copertina.qxp_copertina_AEA_2014 28/04/14 12:05 Pagina 1 AèA AA abruzzoèappennino AprIlE/MAggIO 2014 1 abruzzoèappennino lA rIvIstA DEll’AppENNINO AbruZZEsE AprIlE/MAggIO 2014 MAC EDIZIONI 01/14 www.abruzzoeappennino.com Storia di copertina Cocullo Prima della festa. Storia di un serparo Raiano All’ombra dei ciliegi in fiore Protagonisti I cordai di Salle Paesaggi Storie e leggende delle terre di confine Sport e natura Bike in libertà Endurance Rafting copertina.qxp_copertina_AEA_2014 28/04/14 12:05 Pagina 2 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 10:59 Pagina 1 numero 1 anno 2014 Registrazione Tribunale di Sulmona n. 3 del 13-12-2006 abruzzoèappennino aprile AèA Abruzzo è Appennino rivista trimestrale dell’appennino abruzzese spedizione in abbonamento postale 01/14 Direttore Responsabile Antonio Di Fonso Segreteria di redazione Riziero Zaccagnini Progetto Editoriale Massimo Colangelo Ufficio Stampa Via Collegio dei Fabbri Corfinio 67030(AQ) email [email protected] ZoШdesign Progetto grafico Fotografia Luca Del Monaco Traduzioni Marta Di Felice Editoriale 3 Raccontare l’Appennino Progetto pilota per la valorizzazione dell’ambito montano 4 Cocullo Prima della festa. Vita di serparo 7 Cocullo Il rito dei serpari patrimonio dell’Unesco 10 All’ombra dei ciliegi in fiore Carri, canti e prodotti tipici della sagra di Raiano 12 Hanno collaborato Marcello Bonitatibus Pasquale D'Alberto Bruno D'Amicis Bianca Flagnani Massimo Maiorano Valeria Notarmuzi Tommaso Paolini Carlo Ravenna William Santoleri Piero Savaresi Redazione "Terre" Riserva Zompo lo Schioppo Corde armoniche Le famiglie D’Orazio, Toro e la tradizione dei cordai di Salle 16 REGIONE ABRUZZO Il Parco Nazionale d’Abruzzo “Una storia da tutelare, un presente da valorizzare”. Conversazione con il nuovo presidente Antonio Carrara 27 Regione Abruzzo L.R. 11-11-2013 Assessorato agli Enti locali Progetto pilota AbruzzoèAppennino Comuni Cocullo, Morino, Fontecchio, Raiano, Pettorano sul Gizio, Scontrone, Vittorito Partner privati Mac edizioni, TV6, Associazione Paesaggi d'Abruzzo www.abruzzoeappennino.com stampa PUBLISH pre&stampa Sambuceto (CH) Taccuino di un fotografo viaggiatore 20 Pratola. La festa di Maria Misteri e pathos di una tradizione 24 Moscufo. Il fascino chiaroscuro di Santa Maria del lago 30 Conservare la natura Il Piano di Gestione del SIC Simbruini 34 Zompo lo Schioppo. La riserva naturale 35 Nelle terre di confine: la Necropoli di Campovalano Il PineCube© 36 40 Endurance internazionale a Vittorito 42 Castel Manfrino. Dove la storia incontra le leggende 44 Il Vinitaly abruzzese 47 Il tartufo di Campovalano 49 La piccola Atlantide di Capodacqua Una scuola di sub a Capestrano 50 Rafting sull’Aventino Un’avventura straordinaria per adulti e bambini 53 Il Wolf bike tour Turismo natura: una proposta dedicata agli appassionati di bici su strada 55 Bike. La “Strada Maestra” nel parco Nazionale del Gran Sasso Monti della Laga 57 Trekking a Pizzo Intermesoli Scenari suggestivi e grotte da scoprire 59 Internet e banda larga: un aiuto arriva dall’Unione europea 63 5 LINK 8 Prima del rito Cocullo Le serpi di Francesco Paolo Michetti Viaggiatori della valle del Sagittario Salle. Il Museo delle corde armoniche D’Orazio strings Artisti della pietra I tartufi Macchia sole Notte delle Paure Abruzzo Rafting La discesa Raggiungere Pietracamela 18 19 30 49 43 43 53 53 57 Il mio borgo. Contest fotografico 57 9 9 5 Redazione Massimo Colangelo Luca Del Monaco Giuliana Susi Riziero Zaccagnini Papa Celestino e gli eremi della Majella: una mostra a Roma 58 L’ultima estate Storia di due pastori della Maiella 64 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 10:59 Pagina 2 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 10:59 Pagina 3 Editoriale di Antonio Di Fonso Il nuovo numero di Abruzzoèappennino ha scelto le feste religiose e i riti popolari come storie di copertina: da Cocullo, dove la tradizione dei serpari ha assunto ormai rilievo e riconoscibilità internazionale, a Raiano, la cui festa delle ciliegie è un esempio di vitalità culturale e promozione turistica. Anche i percorsi si ricollegano alla religiosità, inneggiata nei momenti collettivi e arcaici di Pratola Peligna, attesa nella penombra del santuario di Moscufo, avvertita nelle processioni rupestri di Gioia dei Marsi, intuita negli antichi cammini di flagellanti e questuanti sulle strade dell’Abruzzo medievale. Al racconto delle tradizioni, al viaggio indietro nel tempo alla riscoperta di un patrimonio culturale si affianca il report sulle tecnologie e sugli scenari istituzionali, di cui il primo di una serie di articoli dedicati allo stato di salute dei nostri territori protetti propone un’intervista al nuovo presidente del Parco nazionale d’Abruzzo, il più antico e prestigioso dei parchi italiani. Uno spazio importante è dedicato ai protagonisti, a coloro che hanno scelto di fare della loro abilità, tramandata da generazioni e spesso patrimonio esclusivo di un sapere artigiano, un investimento sul futuro: la storia dei cordai di Salle è un innesto perfetto di storia familiare e qualità dell’offerta. I paesaggi e i cammini sono incardinati dalle terre di confine della provincia teramana, tra necropoli e castelli, leggende e storia locale. La vitalità della vacanza natura si ritrova nei sentieri da fare con le bici da strada e da montagna, mentre le forme più diverse di espressione del tempo libero, dall’endurance alla scuole di sub di Capodacqua, rappresentano alcune delle tendenze che abbiamo proposto nelle rubriche dedicate allo sport e alla natura, a cui si aggiungono i consueti trekking, dotati di scale cartografiche e schede tecniche, che i nostri collaboratori hanno percorso appositamente per i lettori. Infine l’enogastronomia, le tipicità, i ristoranti di territorio che propongono i prodotti della loro cucina e la sapienza di ricette rispettose della tradizione hanno trovato spazio, curiosità e attenzione nelle pagine a loro dedicate: da segnalare il resoconto sullo stato di salute dei vini abruzzesi dopo il recente Vinitaly. Un numero di 64 pagine, di racconti e reportage, di testimoni e protagonisti che è stato costruito dalla nostra redazione anche con la collaborazione degli artefici del progetto pilota dedicato all’Appennino: dai comuni che hanno aderito alle associazioni, ai volontari e alle cooperative - è interessante a questo proposito la collaborazione con Terre che gestisce la Riserva naturale di Zompo Lo Schioppo – , dai partner ai tecnici professionisti che a vario titolo, nella televisione e nei social network, si occupano di comunicazione, e hanno come noi il medesimo intento editoriale: raccontare e far conoscere la regione dell’Abruzzo montano. AbruzzoèAppennino has chosen religious festivities as subject for the new issue. Cocullo’s Serpari (namely snake keepers) and Cherries Festival in Raiano are the cover stories, while the pilgrimage to the Madonna della Libera Sanctuary in Pratola Peligna appears to be one of the most anticipated itineraries of the season, to which the indistinct shade of the “Madonna of the Lake”’s church in Moscufo adds on a charming light. Besides the first series of reports about the state of art of our cultural heritage, you can also find the interview to the newly appointed President of the National Park of Abruzzo. Among main articles, the story of Salle’s strings manufacturer is a beautiful tale of some great quality productions obtained thanks to the appreciated ability of a small family business. Landscapes and itineraries of the province of Teramo lead us to the various necropolises and castles, legends and local history. The bright vitality of holidays to spend into nature is represented by some classical paths to be hiked or to be followed through with mountain bikes, and by several different free time activities, as the annual endurance horse race and the scuba diving school in Capodacqua. In conclusion, from the prestigious showcase of Vinitaly, an account about the state of art of wine production in Abruzzo. 2 3 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 10:59 Pagina 4 C Raccontare l’Appennino Progetto pilota per la valorizzazione dell’ambito montano di Carlo Masci Assessore regionale agli enti locali 4 ON I SUOI BORGHI, le sue memorie storiche, le bellezze paesaggistiche, le offerte enogastronomiche la montagna è un patrimonio inestimabile. Diffonderne le peculiarità, farne conoscere le prerogative, raccontarne le risorse è un dovere istituzionale, un compito che l’amministrazione regionale ha deciso di assolvere, con serietà e impegno. In questa prospettiva la regione Abruzzo e l’Assessorato agli enti locali hanno promosso mediante bando di concorso un progetto pilota che avesse come obiettivo la costituzione di un sistema integrato di informazione, finalizzato proprio alla valorizzazione dell’Appennino abruzzese. Il progetto vincitore è risultato quello di AbruzzoèAppennino, che ha visto la costituzione di un partenariato pubblico e privato formato da sette comuni e tre soggetti privati: Cocullo, Scontrone, Fontecchio, Pettorano sul Gizio, Raiano, Vittorito e Morino, i comuni; Mac edizioni, che pubblica la rivista AbruzzoèAppennino, Tv6, che produce i programmi “Talenti e territori” e “Tentazioni dei territori”, e l’associazione Paesaggi d’Abruzzo, operatrice nel settore del social network e della web community. Un progetto integrato che non soltanto unisce amministrazioni pubbliche e operatori privati, ma si propone anche di far dialogare linguaggi e forme diverse di comunicazione, dalla stampa alla televisione al web. Sostenere la promozione del territorio partendo dal basso, dai territori e dagli amministratori locali è in filigrana il motivo che ha indirizzato la scelta di dare vita al progetto pilota; riconoscerne le professionalità che da tempo negli ambiti locali si erano distinte nella promozione del territorio montano è il secondo esplicito intento. Il progetto è pensato come una rete in cui gli operatori della comunicazione raccontino storie, talenti, percorsi, paesaggi, memorie e tradizioni avendo come interlocutori proprio chi opera e lavora nelle comunità della montagna: le associazioni, i produttori, le cooperative. Solo in questo continuo e fertile dialogo si potrà illuminare la miriade di risorse locali che brillano nel territorio dell’Abruzzo appenninico, promuovendo e valorizzando al meglio le nostre eccellenze. AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 10:59 Pagina 5 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 6 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 7 COCULLO Prima della festa. Storia di un serparo testi di Antonio Di Fonso Foto Luca Del Monaco IL GIORNO PIÙ ATTESO DELL’ANNO A COCULLO è il primo giovedi di maggio. Quella mattina davanti a migliaia di turisti, curiosi e fedeli la statua di San Domenico ondeggerà carica di serpi, sfilando lungo le stradine del paese, in una ritualità antica che rimanda alla tradizione pagana, fatta di gesti e preghiere, sacrifici e devozioni indirizzati ai capricci della volubile dea Angizia, protettrice e dispensatrice di balsami antivipera, rimedio e conforto di un popolo ubbidiente. Il giorno più atteso di Massimo Mascioli, giovane serparo di Cocullo, invece è il primo sabato di metà marzo, in una mattinata fredda e umida, in cui stillano ancora di brina i ciglioni dei sentieri intorno al paese, quando finalmente come ogni anno comincerà la sua caccia ai serpenti. «Non esistono bastoni particolari, non ci sono zone specifiche. I serpenti sono dappertutto. E per scovarli ci vuole occhio ed esperienza: nient’altro». Tra i serpenti, i veri protagonisti del rito, quelli che si mostrano sinuosi e sibilanti davanti alle macchine fotografiche e agli smarth phone dei turisti il giorno della festa di San Domenico, ci sono anche quelli che ha catturato Massimo, i “suoi serpenti”, scovati con pazienza e abnegazione dentro le macchie e i boschi. Le antiche virtù di una passione che discende dalla famiglia e che lui ha assorbito sin da piccolo, quando seguiva le orme del padre Mario, si tramandano sempre: “È una passione nata tanti anni fa, frequentavo le scuole medie, andavo con mio padre e con gli altri serpari anziani.” Parla come un veterano, dietro un sorriso timido nasconde i suoi ventisei anni e una orgogliosa consapevolezza del “mestiere” di cacciatore di serpi. “Ci sono tante specie, a prima vista possono sembrare uguali. Ma l’occhio esperto sa riconoscerli. Il saettone, per esempio, quello più grande, si trova in zone d’erba, esce più facilmente dopo la pioggia. Ma si nasconde anche nei prati, nei campi coltivati, negli uliveti. Il cervone, invece, che noi chiamiamo “capitone”, preferisce le zone rocciose, i muretti a secco di pietra: sono i serpenti più docile, quelli che ricoprono la statua del santo”. Spiega le diverse specie, attento alle parole, corregge le diffuse banalità e i luoghi comuni che si sentono dire sui rettili, sul veleno: «Nessuno dei serpenti è velenoso. Qualche esemplare è più aggressivo, come il biacco, la “serpa nera”. Altri sono rari ed è difficile reperirli, come la coronella. Oppure ci sono quelli acquatici, come la natrice». Si intrattiene sulle tecniche, ribadisce che non esistono strumenti o bastoni da rabdomanti delle serpi, al massimo si può ricorrere alla forcina classica “quando un serpente non si rie- 6 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 8 89 che non è abituato alla collana di serpenti, tradisce un qualche imbarazzo: ma nessuno sviene, eccetto, forse, i serpenti”. The first Thursday in the month of May, is “The” most anticipated day of the year in Cocullo. On that morning, thousands of tourists, curious and believers will observe the statue of S. Dominique, completely covered with snakes, taken into procession across the streets of the village. The most anticipated day for Marco, a 26 years old “serparo” (i.e. snake keeper) in Cocullo, is instead a chilly and soggy morning when, as every year, he eventually goes for his snakes hunt. He is passionate about this family tradition, which he has been involved in since he was little, following into his father’s footprints. He is certainly led by passion, but also a certain degree of experience is needed when he goes in search, finds and catches the different species of snakes living in the territory. His only tool is a snake catcher attached at the far end of a wooden stick. Luckily, venomous snakes are not requested to be captured. Within a hunt season, approximately March to April, Marco usually can seize about 20 snakes, innocuous and not venomous, and all of them are temporarily kept inside hand-built cases, especially assembled for this event. After S. Dominique’s procession has ended, the reptiles adorning the statue are released back into nature. 5 Prima del rito Cocullo “Cocullo è un piccolo paese che conta meno di trecento abitanti e come molte altre comunità dell’Abruzzo montano ha conosciuto nel corso dei decenni il drammatico fenomeno dello spopolamento. I nostri giovani partono oggi per le medesime ragioni per cui sono partiti i nostri nonni nel passato, e i loro padri prima di allora, vale a dire la ricerca di una opportunità di lavoro e di migliori condizioni di vita. Come Comune di Cocullo crediamo che per far rifiorire i piccoli centri si debba stimolare l’economia locale e potenziare l’offerta ricettiva. Ma soprattutto è necessario puntare sul patrimonio culturale, valorizzandone le tradizioni popolari – quali il culto di San Domenico e il rito dei serpari – nonché le eccellenze locali, il patrimonio enogastronomico e le suggestioni paesaggistiche. In questo modo aspiriamo ad intercettare le esigenze di un turismo di qualità, interessato alla storie e alla cultura di un territorio oltre che, naturalmente, alla sua bellezza”. Loreta Risio Assessore alla Cultura, Comune di Cocullo 5 sce a prenderlo perché è rintanato sotto una pietra o nel fondo di un roveto”. Marco lavora, ha impegni familiari eppure tutti i fine settimana dalla metà del mese di marzo fino alla sera dell’ultimo giorno utile che precede la festa lui è a caccia: batte i sentieri, sale e scende piccoli colli, fruga con l’occhio attento, ascolta i “frusci e gli stecchi” , come direbbe il poeta, che per lui non sono simboli o allegorie di presenze divine, non intercettano passi cadenzati della dea che vuole rivelarsi, ma suonano semplicemente come richiami al suo fiuto di cacciatore, perché “il serpente si sente arrivare e il rumore è il primo segnale, lo aspetto e lo riconosco”. In una stagione riesce a catturare una ventina di serpi, le sistema in teche artigianali costruite con sapienza e dedizione, e quindi dopo la processione di San Domenico le libera. “Le lascio andare”, aggiunge con un sorriso di soddisfazione e d’intesa come se quel gesto magnanimo rinsaldasse ancora di più il legame con i serpenti, quasi a ritrovare il ringraziamento finale alla loro funzione salvifica e rituale. Un atto di fede che i serpari vogliono stringere con gli animali, nel misterioso connubio che si rinnova diverso, inedito eppure millenario nella sua dimensione. Gli chiedo alla fine una curiosità, se ha qualche episodio particolare da ricordare. “L’anno del terremoto, quello del 2009. La notte tra il sabato e la domenica prima della scossa presi parecchi serpenti. Anche gli altri serpari ne portarono a casa tantissimi. Si trovavano facilmente, stavano fuori dai nascondigli. Come se avessero sentito il segnale d’allarme lanciato dalla terra”. Un mestiere sapiente e antico, quello del serparo, un prima della festa che restituisce l’importanza dovuta ai piccoli rettili che faranno la loro passerella nella processione in piazza. Tornano in mente le parole che scrisse Giorgio Manganelli, commentando il rito: “I cocullesi prestano i loro sacri serpenti ai turisti che vogliono farsi fotografare carichi di onesti rettili. Il cocullese si riprende il serpente. Magari il turista AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 9 Le serpi di Francesco Paolo Michetti Il dipinto che sintetizza il culto dei serpari fu presentato all’esposizione universale di Parigi del 1900 e fu eseguito in breve tempo. La scena riproduce un momento della festa che l’autore riprese fotograficamente in occasione di una gita a Cocullo che egli fece in compagnia di Gabriele D’Annunzio e Costantino Barbella. L’esecuzione si avvalse delle numerose fotografie che Michetti scattò per documentare anche i particolari della cerimonia. Fotografie che l’autore dispose come un puzzle sul bozzetto fino all’esito finale della scena. Il soggetto ritrae San Domenico e i serpari durante la processione. L’opera, su tela in pittura a tempera, misura in altezza cm. 380 e in larghezza cm. 970; è collocata nel Museo Francesco Paolo Michetti di Francavilla al Mare. Viaggiatori della valle del Sagittario Da Cocullo si raggiunge facilmente Anversa e Castrovalva, lungo la valle del Sagittario, seguendo la strada paesaggistica che conduce a Vilallago e Scanno. In questo breve tragitto diversi e suggestivi incontri d’autore hanno sigillato la bellezza arcaica e scontrosa dei luoghi, diventando pagine d’autore, immagini d’artista e letteratura di viaggio. Dallo stesso immancabile vate D’Annunzio che trovò l’ispirazione tra valloni verdi, boschi e botri per alcune ambientazioni teatrali, come La fiaccola sotto il moggio, o le percorse nelle scorribande a cavallo alla ricerca delle “terre ferine”, che torneranno in alcuni suoi romanzi, come Il trionfo della morte e Le vergini delle rocce. Ma anche i viaggiatori del grand Tour si soffermarono su Anversa e Castrovalva, dalla Canziani a Lear, lodando i luoghi e le genti, quintessenza di un Abruzzo a metà tra il primitivo e il romantico. Infine la frazione di Castrovalva è stata immortalata in uno dei paesaggi più celebri di Escher, divenuta una sorta di icona della figurazione del geniale artista olandese. 20 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 10 Cocullo Il rito dei serpari patrimonio dell’Unesco testo di Pasquale D’Alberto foto archivio Synapsi Edizioni/G. Cocco AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 11 I L RITO DEI SERPARI di Cocullo, una delle manifestazioni misterico-religiose abruzzesi più famose a livello nazionale ed internazionale, ha iniziato il suo percorso per il riconoscimento, da parte dell’Unesco, come “patrimonio immateriale dell’umanità”. Dapprima il riconoscimento, da parte della Regione Abruzzo, come “manifestazione e giacimento culturale di alto valore”, il 22 gennaio 2013. Poi l’impegno da parte del vicepresidente del parlamento europeo, Gianni Pittella, nel convegno del 29 aprile 2013, dell’inserimento del Rito nell’ambito dei sostegni previsti dalla “Convenzione di Faro”, che sottolinea le radici popolari nell’evento. Ed ancora: il sostegno da parte della diocesi di Valva e Sulmona, tramite il vescovo Angelo Spina (e da parte della Conferenza Episcopale Abruzzese e Molisana), “purchè si salvaguardi l’equilibrio tra l’aspetto laico/culturale e gli aspetti religiosi profondi”, che caratterizzano la manifestazione cocullese. La costruzione, anche come accoglimento di que- sta raccomandazione, del “percorso della devozione a San Domenico Abate”, che coinvolge cinque regioni (Abruzzo, Lazio,Umbria, Molise e Campania) e che si concretizza in decine di confraternite molte delle quali si ritrovano a Cocullo in occasione della festa del 1° maggio. Ed infine, la convocazione annuale della convention “Cocullo for ICH (Immaterial Cultural Heritage)”, che raduna nel centro peligno antropologi di tutta Italia per la certificazione delle radici popolari del rito attraverso un processo di inventario partecipato, per confrontare analisi ed opinioni e per dare valore ai contenuti raccolti nel Centro di Documentazione per le Tradizioni Popolari. Un centro che raccoglie un archivio con la documentazione delle maggiori manifestazioni della cultura popolare italiana; una biblioteca arricchita dalle tesi di laurea del professor Alfonso Di Nola, antropologo scomparso nel 1997, cittadino onorario di Cocullo, a cui è intitolato il centro; una emeroteca; pergamene del 6/700 restaurate; la mostra multimediale; la mostra erpetologica, concretizzazione visiva del “progetto di tutela della specie”, portato avanti dagli erpetologi Ernesto Filippi e Giampaolo Montinaro. Il centro è visitato, ogni anno, da decine di scolaresche dell’Italia centrale. Queste le tappe realizzate fino ad ora per dare visibilità al percorso di riconoscimento Unesco. Ora è iniziata la fase che dovrà portare alla concretizzazione della proposta, al salto di qualità. La ricerca del sostegno da parte del Governo italiano, tramite l’impegno del sottosegretario Giovanni Legnini. La sistematizzazione dei contenuti in un “portale” a sostegno della proposta. A questo stanno lavorando le antropologhe Lia Giancristofaro e Valentina Zingari, affiancate da studenti delle loro università (Chieti e Perugia) e l’Unpli (l’Unione nazionale delle Pro Loco) tramite il dirigente nazionale Gabriele Desiderio. Contenuti che dovranno giungere dalle testimonianze dirette dei protagonisti dell’evento (serpari, membri delle confra- ternite, cittadini comuni, associazioni, portatori di interesse vario). «Siamo convinti – sottolinea il sindaco di Cocullo, Nicola Risio – che il riconoscimento da parte dell’Unesco, se arriverà, come ci auguriamo, sarà un fatto che darà visibilità a tutto l’Appennino abruzzese e non solo, con profonde ricadute positive dal punto di vista turistico e culturale. Il nostro – aggiunge – è un progetto, quindi, che dovrebbe stare a cuore all’intera Regione, oltre che alla nostra piccola comunità cocullese. Speriamo di riuscire a fare squadra». AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 12 C ESTE RICOLME DI CILIEGIE SUGLI AVAMBRACCI, adulti e bambini in abito d’epoca, carri allegorici, ornati da rami di ciliegie intrecciate con ciuffi di ginepro, sfilano trainati dai buoi per le strade del paese tra ali di folla, con il carico di storia e sapori della terra peligna. Tutto intorno i colori della primavera che diventa estate. Il suono dei balli di tanti anni fa, una vecchia canzone abruzzese, usi e costumi di un popolo e una festa lunga cinquantanove anni. 12 12 All’ombra dei ciliegi in fiore Carri, canti e prodotti tipici della sagra di Raiano di Giuliana Susi / foto archivio Amaltea AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 13 È 5 Il 18 Maggio a Raiano si celebrano i festeggiamenti in onore del patrono San Venanzio. Santo martire caro a questi luoghi, dove sorge il suggestivo eremo, immerso negli scenari naturali meravigliosi, disegnati dalla potenza del fiume Aterno, incastonato tra rocce e anfratti delle Gole dedicate al giovane Venanzio, il quale convertitosi al cristianesimo, si rifugiò in questi ambienti, prima di essere arrestato e martirizzato. La chiesa, legata al culto del Santo, è meta di pellegrinaggio, per toccare, secondo tradizioni, le impronte miracolose lasciate dal Santo il tempo delle ciliegie a Raiano. Si apre la stagione delle sagre popolari che riporta in auge radici e identità di una comunità. Non esiste modo migliore di riscoprire un territorio se non attraverso i prodotti della propria terra, facendo rivivere la bellezza delle tradizioni, nelle rassegne dei costumi antichi e delle poesie popolari, con canti folklorici e manifestazioni, in una miscela di storia, cultura e spettacolo, coniugando passato e presente, invitando, soprattutto negli ultimi anni, delegazioni dei paesi limitrofi con le loro usanze e peculiarità. Nella passata edizione, tra le strade raianesi hanno sfilato Navelli, con il suo “Palio degli asini”, Villetta Barrea, con la “Dodda”, e ancora Goriano Sicoli raccontando “Santa Gemma” e Sulmona la “Giostra Cavalleresca”. Antiche e moderne tradizioni che si rinnovano in una mescolanza di riti, eventi e credenze, offrendo ai tanti turisti e visitatori, che annualmente si lasciano ammaliare dall’irresistibile richiamo della regina indiscussa di Raiano, un’immagine agreste fatta di storia e genuinità. La sagra delle ciliegie torna con tutta la forza della sua tradizione, rinnovando l’appuntamento per il 2014, il 7 e 8 Giugno, a cura del gruppo “Raiano Eventi”, in collaborazione con le tante associazioni locali, con il supporto dell’amministrazione comunale, della Riserva delle Gole di San Venanzio e dell’associazione Ephedra. “Cerase i chente/ che nascete a Raiane/ d’assai luntane/ rechiamete la gente”. È la strofa di un’antica canzone firmata da Ottaviano Giannageli, studioso, scrittore e poeta, al quale si deve la nascita della manifestazione tutta raianese. Chiamata Maggiolata, ai tempi d’esordio, svolgendosi nel periodo dei festeggiamenti in onore del patrono San Venanzio, prese, poi, il nome di sagra, slittando a Giugno, in quanto le ciliegie non sempre arrivavano alla giusta maturazione nel mese mariano. Edizioni scandite dai preziosi libretti, che, di volta in volta, ne raccontano la storia, con foto e testi delle canzoni dei cori d’autore, come “Raiane Cante”. Da diversi anni, la copertina è dedicata al disegno vincitore del concorso nazionale per le scuole, alle prese con elaborati incentrati proprio sulla ciliegia, pronti per le premiazioni che avvengono durante la manifestazione. Addobbato a festa, con colori e sagome che richiamano la ciliegia in tutti i suoi aspetti, un gremi- to corteo segue la carovana lungo l’antico tratturo, dall’ingresso del paese fino a piazza Postiglione. Proprio qui da dieci anni si svolge la fiera dell’Agroalimentare, dove i protagonisti sono le prelibatezze tipiche locali, con stand, banchetti e scenografia ad hoc, restituendo i luoghi e i sapori di una volta, lasciando che a contagiare i numerosi visitatori sia quell’odore di terra sana e genuina, fatta di fatica, di mani forti e ruvide. Anziani seduti alla seggiola sul ciglio della strada sorridono e salutano il forestiero, tra ricordi e memorie dei primi anni del dopoguerra quando la sagra era ai primi passi. Una manciata di ciliegie nella mano, mentre si cammina tra la folla, rapiti da quell’irresistibile “una tira l’altra”, due piccioli uniti come orecchini sui lobi di bambine, si assaggia, si degusta, si comprano ciliegie, mentre scorrono le note di canzoni abruzzesi e dei cori folklorici, leitmotiv della festa, anima pulsante dell’evento fin dalle origini con i canti d’autore, memorie storiche del paese. E c’è anche chi, intorno a un tavolino, tra una ciliegia e una canzone, giocando a carte approfitta per scartare una figura e prendere l’asso, mentre davanti sfila la 12 5 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 14 5 Raiano è anche il paese in cui si produce l’olio della varietà Rustica e Gentile, che caratterizza la Valle Peligna, vantando tre frantoi tra i sette del territorio (Agripeligna, Tiberi e Ansape). Fu il primo nel 2006 ad ospitare il “Frantolio”, convegno itinerante sull’extravergine legato al concorso che premia il Buon Olio Peligno, a cui anche gli ovicoltori e i frantoiani raianesi partecipano ogni anno con successo. 5 14 15 modernità riproponendo usanze e cantori del tempo che fu. È la semplicità della vita quotidiana che prorompe nella manifestazione che si fa risorsa importante, culturale ed economica, finalizzata alla promozione del territorio. La coltivazione del ciliegio ha avuto un ampio sviluppo del nostro territorio spiega il sindaco Marco Moca, aggiungendo che le famiglie raianesi vendevano le ciliegie delle proprie piante, in un grande mercato nella piazza del paese, dando così vita alla Maggiolata. Novità quest’anno la festa dei Ciliegi in fiore, anteprima della sagra di Giugno, una sorta di gita nel ciliegeto dai bianchi rami, che conta 400 alberi, organizzata dalla Cooperativa Ephedra di Raiano, in collaborazione con l’associazione “La Città del Sole”, al fine di riscoprire lo stare insieme immersi nelle campagne peligne. Da qualche anno, infatti, anche attraverso la Riserva Gole di San Venanzio, sono stati riconvertiti alla coltivazione di ciliegi diversi terreni del territorio, da sempre fertili per questa produzione. Grazie alla cooperativa Ephedra e alla Riserva da qualche anno sta tornan- do l’opera di rilancio della coltivazione e della produzione locale delle ciliegie di Raiano spiega il Consigliere comunale Merilisa Zitella, raccontando, con grande entusiasmo e soddisfazione, il lavoro di sinergia delle associazioni del posto, con le scuole del paese, coordinate da “Raiano Eventi”, che dura tutto l’anno. D’inverno si preparano i progetti dei carristi, che vengono esaminati e plasmati, sfoggiando creatività e maestria figlie delle abili mani di artigiani e semplici appassionati raianesi, insieme all’entusiasmo dei bambini dell’istituto comprensivo. Creando, così, ogni anno, un numero sempre maggiore di partecipanti al colorato corteo che porta in trionfo per le strade di Raiano la ciliegia, tra cultura, tradizione e innovazione. Since 59 years, Raiano is celebrating the awakening of springtime as the famous Cherries Festival takes place. Known as “Maggiolata” in the early days, while usually was held in conjunction with the celebrations dedicated to the patron Saint Venanzio, the name was later changed into Cherries Festival as the event was postponed to June, since cherries could not always be reaching their full ripening within May. Again, this year on 7th and 8th June, adults and children dressed up in typical 18th century village’s costumes will parade carrying cherries-full baskets at their arms, walking among floats pulled by ox and decorated with cherry tree branches. Everyone will be dancing again the old folk tunes and reviving the stories of tradition, reciting ancient poems in the old dialect of the fathers. Since the last edition, the parade has seen some new participants, a few delegations from other local festivals. Contemporarily to the Cherries Festival, Raiano as well hosts the agricultural and food local fair, where all the typical and local delicacies act as main attractions, taking all the visitors back in time to taste the ancient flavours. Every year, the Festival is also evoked in a precious booklet recounting of each edition’s stories, calendars and events through photos, lyrics and choir’s performances. AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 15 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 16 corde armoniche Le famiglie D’Orazio, Toro e la tradizione dei cordai di Salle AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 17 testo Riziero Zaccagnini foto Luca del Monaco Via delle corde armoniche. Un nome evocativo, memoria degli anni in cui in paese “non c’era famiglia che non avesse un cordaro”. Siamo a Salle, piccolo borgo dell’entroterra pescarese. In una foto dei primi anni Sessanta esposta al museo, due ragazzini corrono i venti metri su e giù, la mano stretta in una presa di carta vetrata, “giocando” a levigare le corde tese tra due alberi: erano cinghie di trasmissione, prodotto secondario degli scarti di lavorazione del budello per fili di sutura chirurgica, tennis e, soprattutto, corde per strumenti musicali. Dietro i ragazzi, la foto ritrae Enrico D’Orazio, figlio di Donato, maestro cordaio di fama internazionale, medaglia d’oro e gran diploma all’esposizione di Parigi nel 1910. Rientrato negli anni Settanta dagli Stati Uniti, Enrico fu, assieme al fratello, tra i pionieri in Italia del nuovo corso inaugurato oltre oceano, affiancando alla produzione in budello ovino e bovino, la fabbricazione di corde in metallo per strumenti moderni. Nel 1985, con la scomparsa di Enrico, il definitivo abbandono del budello. Oggi sua figlia Rosanna è l’ultima discendente di una famiglia di cordai le cui origini risalgono almeno al 1654, anno del primo documento esistente in cui è citato un De Orazio Thomas, lavorante “cordaro”. Il laboratorio alle porte del paese è ormai chiuso. Tutta la produzione si è spostata a Campo di Fano (frazione di Prezza, provincia dell’Aquila). «Un trasferimento dovuto a esigenze familiari. Ma la residenza la conservo a Salle», ci tiene a sottolineare Rosanna. E gli occhi tradiscono un timido orgoglio, quando nel piccolo ufficio, ci mostra documenti e immagini che raccontano la storia di famiglia. Una storia di partenze e ritorni, storia di emigrazione, di fortune insperate e sogno americano. “Carissimo compare…puoi inviarmi le corde in budello bianco (…). Fammi fare bella figura”; queste le parole scritte in una lettera a firma D’Addario inviata a Enrico D’Orazio. «I D’Addario, sallesi anche loro, non erano produttori di corde, all’inizio le compravano dal nonno di Rosanna – ricorda suo marito Alessandro. - Oggi sono i titolari della più grande azienda del settore, con oltre mille dipendenti negli Stati Uniti». Storia comune a tante case di produzione di corde musicali, Galli di Napoli, La Bella di New York, tutte di origine sallese. «Salle era e doveva rimanere la capitale mondiale delle corde armoniche. Ma la storia è andata diversamente». Complice 16 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 18 Salle. Il Museo delle corde armoniche “L’unico capitale d’industria, in questa terra di Salle, si è quello del lavoro delle corde armoniche”. Così leggiamo nella riproduzione della “Relazione sulle industrie Sallesi nel 1806” che accoglie il visitatore nella prima sala del Museo delle corde armoniche. Un edificio all’ingresso del paese in cui, attraverso testimonianze trascritte, fotografie storiche, macchinari per la lavorazione del budello e corde di ogni tipo, si racconta la storia del più antico e importante mestiere del paese. Un’associazione nata in questi giorni si occuperà della gestione del museo. Intanto, per visitare la mostra ed essere accompagnati dal racconto di una guida esperta, potete contattare il comune di Salle, tel. 085928138; e-mail [email protected]. 18 di certo il passaggio dal budello al metallo, la difficoltà di reperire la materia prima, il suo costo, il cambio della moneta. Le stesse problematiche che vivono oggi Alessandro e Rosanna. Quando li incontriamo sono appena rientrati da Francoforte, sede della più importante fiera europea del settore. Un successo: l’apertura del mercato asiatico e sudamericano, Turchia, Indonesia, Russia, Israele che si affiancano al consolidato commercio europeo. Paesi nei quali propongono corde per ogni strumento, dalla chitarra al violino, dall’oud alla lira cretese. «Pur con l’aiuto delle macchine, resta una lavorazione artigianale. Alcuni macchinari li abbiamo costruiti noi, assecondando le richieste dei musicisti». Si parte dall’anima in acciaio, si inseriscono i pallini di fine corda, poi si passa all’avvolgimento con leghe di rame e altri materiali. Una corda per volta e, alla fine, la prova sullo strumento. Il risultato è una crescente fiducia nel prodotto che ha conquistato musicisti di fama internazionale e nomi noti del panorama italiano, tra cui Bandabardò e Tiromancino. «Attraverso la fusione con Gato, azienda del napoletano, aspiriamo a un ruolo da protagonisti, puntando sul made in Italy, sul fascino di una storia secolare e di una tradizione tutta abruzzese». Storia e tradizione: ma che ne è stato delle corde in budello? Lo scopriamo tornando a Salle, dove ci aspetta Beniamino Toro. «La mia famiglia si era specializzata nella produzione di fili per sutura chirurgica in budello. Era un mercato florido. Poi è scoppiata la “mucca pazza” e, in un attimo, una lavorazione durata secoli è andata perduta per sempre». Fu allora che Beniamino e suo fratello Pietro lanciarono la sfida alla modernità, tornando alla produzione di corde armoniche di budello, potendo contare su un mercato di nicchia esigente e ricercato, com’è quello della musica barocca e rinascimentale. «Abbiamo scelto di tornare a un lavoro duro, fatto di tempi lunghi e gesti meticolosi. Produciamo un centinaio di corde a settimana, contro le oltre mille di un laboratorio per corde in metallo. La differenza sta nell’anima, continua Beniamino mostrandoci una corda appena lavorata - e nel processo per darle corpo». Il budello, conservato nel sale, viene immerso in un bagno di acqua, sbiancato e purificato con soda e acqua ossigenata, pressato tra due rulli, disteso sui tavoli in acciaio e selezionato per lunghezza e diametro. Un lavoro completamente manuale, nel freddo e nell’umidità necessari a conservare AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 19 5 Link D’Orazio strings via Prezza, 10 67030 Campo di Fano (AQ) tel +39 0864.77.33.19 fax +39 0864.77.33.19 www.doraziostrings.it [email protected] Toro strings c.da Conicelle 65020 Salle (PE) tel +39 085.92.83.25 fax +39 085.92.83.26 www.torostrings.it [email protected] 5 l’elasticità della materia prima. A seconda della corda da realizzare, si tirano tre, quattro...fino a settanta budelli su due aste e, con una manovella, si procede alla torcitura. Tese su telai d’acciaio, le “trecce” vengono lasciate ad asciugare e incollarsi in un unico corpo. Una settimana ad asciugare in essiccatoio e la corda è pronta per la levigatura nella rettificatrice, la macchina “più tecnologica” che troviamo nel laboratorio. In base all’uso, il budello così lavorato viene verniciato per essere montato “nudo” sullo strumento, oppure destinato a far da anima per una corda rivestita. «La tonalità, il timbro e la giusta tensione vengono definite sin dall’anima – sottolinea Pietro mentre con mano leggera accompagna il rivestimento in argento puro che avvolge una corda tesa sulla trafila del primo dopoguerra». Ma come fanno ad essere sicuri che una determinata corda darà il risultato cercato? I fratelli Toro si scambiano uno sguardo, poi restano in silenzio. Nessun segreto, ma qui si ferma il racconto, dinanzi alla sapienza pratica dei maestri cordai. Salle is a tiny village in the outskirts of Pescara and since centuries is home to the most famous string makers. Between the 800’s and 900’s several string makers left the village to try their luck in Naples or oversea. The US famous D’Addario family, the most important strings manufacturer, has his origins in this village, as well as the New Yorker La Bella, owned by the Mari family. All of them grew up serving as apprentices in the string workshops of Salle. Nowadays, the D’Orazio and Toro families are the last heirs to a tradition which is genuinely from Abruzzo. Rosanna D’Orazio and her husband Alessandro have invested their money and experience in the production of metal plain and coated strings, keeping faithful to the handcrafting tradi- tion. Their aim is to hit the world market, specialising in the production of strings for any kind of instrument, covering modern guitars to the medieval Oud and Cretan Lyra. The Toro brothers, instead, have recently revitalised the ancient tradition of the strings made from sheep and cow intestine. A niche kind of market for a sophisticated product, especially wanted for the baroque and renaissance music performances. A long lasting and laborious manufacturing, able to keep alive the fascinating history and tradition of the string makers masters. 19 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 20 Luoghi dell’anima Taccuino di un fotografo viaggiatore testi e foto di Bruno D’Amicis AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 21 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 22 Bruno D’Amicis vive e lavora all’ombra delle montagne d’Abruzzo, anche se ha viaggiato in decine di Paesi esteri per i suoi progetti. Appassionato di natura sin da bambino, Bruno è laureato in Scienze Biologiche e fotografo naturalista professionista dal 2004, con uno spiccato interesse per i temi della conservazione degli ambienti naturali e della biodiversità. Le sue immagini sono state pubblicate in riviste (National Geographic, GEO, BBC Wildlife, Terre Sauvage, La Repubblica, etc.), libri, calendari sia a livello nazionale che internazionale. Bruno è stato invitato come speaker ad eventi prestigiosi come Wildphotos a Londra nel 2011, il Festival Internazionale della Fotografia Naturalistica della associazione tedesca GDT in Germania ed il convegno Europe Wilderness Days tenutosi in Georgia nel 2010. Si occupa soprattutto di progetti multimediali di fotografia, divulgazione e conservazione. Ha fatto parte della rosa di 60 fotografi partecipanti al progetto paneuropeo “Wild Wonders of Europe” e dal 2009 è membro dell’International League of Conservation Photographers. Ha vinto il prestigioso riconoscimento del premio Word Press Photo 2013. Per maggiori informazioni, potete visitare il suo sito: www.brun- odamicis.com U N CARO AMICO ABRUZZESE una volta ha detto che l’Abruzzo è “come un abbraccio”, che ti si stringe attorno quando, arrivando in autostrada dalla Capitale, superi l’ultima galleria dopo Tagliacozzo e ti vedi l’imponente massa calcarea del Velino comparire davanti. Il contrario succede, ovviamente, quando lo abbandoni e le cime montuose si fanno pian piano più piccole nello specchietto retrovisore dell’auto. Io non sono ancora riuscito a trovare una descrizione migliore. Sono nato a Roma 33 anni fa e ho una laurea in Scienze Biologiche. Ho già visto molte cose, vivendo un po’ all’estero e bighellonando in tanti paesi diversi. Da sette anni sono un fotografo naturalista di professione e da quasi cinque ho scelto di vivere in un paese della Marsica. Il mio rapporto con le montagne dell’Appennino Centrale dura, però, da tutta la vita. Sì, perché dovete sapere che, assieme al sangue della mia famiglia (originaria della Regione), io sin dall’infanzia ho preso anche una sorta di patologia, che definirei “mal d’Abruzzo”. Una patologia che ti fa sentire a casa solo all’ombra dei faggi contorti di una valle del Parco Nazionale o quando sei a zonzo nell’infinito erboso di Campo Imperatore. Ne riconosci i sintomi se, di notte come di giorno, sogni di lupi che vagano liberi nel fitto dei boschi o se recluti silenziosi pastori tra i tuoi compagni di avventure. Sai, poi, di essere malato cronico quando sei disposto a guidare 50km solo per mangiare una pizza negli stretti vicoli di Scanno o se ti arrabbi quando senti che a qualcuno non piace il Montepulciano. Le montagne abruzzesi mi hanno fatto scoprire la natura selvaggia, quando ancora non sapevo leggere. Le vacanze che, con i miei genitori, passavo in Abruzzo, erano di avventura e scoperta. Ho imparato a memoria i nomi di tutti gli uccelli della regione quando i miei amici imparavano quelli dei calciatori di serie A. Per il mio dodicesimo compleanno ho chiesto ai miei un binocolo e a sedici anni ho avvistato il mio primo orso. Da lì, il passo alla macchina fotografica è stato breve. Il mio lavoro è quello di scattare fotografie. E di venderle. Come tutti i fotografi, sono un romantico, un’esteta e un vanesio. Ogni volta che inquadro una porzione di realtà e premo il pulsante di scatto, faccio una scelta. Scelgo di fermare ciò che, in quel ben preciso momento, è per me la cosa più importante che ci sia. Ho bisogno delle fotografie per convalidare le mie esperienze visive. Cerco ordine e bellezza nel flusso costante e caotico di stimoli che arrivano al mio sistema sensoriale. Pubblicizzo e cerco di vendere alla gente, poi, quella che è la mia visione personale del AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 23 alcuna delle tante uscite a vuoto. Non c’é alcun altro posto sulla Terra dove io abbia potuto provare così tante emozioni. Questa terra è casa mia, senza avere mura né tetti. E, pertanto, capirete la rabbia e la sofferenza, vere, che provo quando vedo violentare questo territorio. Quando leggo di orsi avvelenati e di piani per nuovi, inutili, impianti da sci; quando le pale eoliche rendono angusti gli orizzonti e quando forze invisibili arrivano a inquinare l’acqua che si beve. Capirete che gli occhi, abituati a così tanta bellezza, mi fanno male di fronte all’ignoranza e alla distruzione. Ma se gli occhi si chiudono, allora gli incubi non svaniscono più e così io voglio vedere, fotografare e diffondere anche questo lato ombroso del cuore verde d’Italia. Sì, se sei malato di questa terra, è proprio una brutta storia. L’Abruzzo è un’amante generosa, che però ti fa anche soffrire. 5 Bruno è stato premiato con il primo premio nella sezione Nature, immagine singola, del prestigioso World Press Photo, il più grande e prestigioso concorso di fotogiornalismo mondiale. WPP è una organizzazione noprofit nata nel 1955 ad Amsterdam con l'obiettivo primario di sostenere e sviluppare il fotogiornalismo professionale ed indipendente su scala internazionale. La premiazione del concorso si tiene ad Amsterdam. Le fotografie vincitrici sono esposte in una mostra itinerante, visitata ogni anno da oltre un milione di persone in 40 paesi. Inoltre viene pubblicato in sei lingue differenti un annuario che presenta tutte le fotografie premiate. Oltre ad assegnare il premio World Press Photo of the Year alla foto vincitrivce del concorso, vengono assegnati anche i premi per foto singole e storie nelle seguenti categorie: Spot News, General News, People in the News, Sports Action, Sports Features, Contemporary Issues, Daily Life, Portraits, Arts and Entertainment, Nature 5 mondo. E, nella fattispecie, della natura schiva e commovente di questo ruspante Appennino. So che questo è uno stile di vita più che una professione. Non so più quante volte ho percorso in auto l’A25 a 130Km/h o il sentiero della Val di Rose, da solo e in silenzio, per trovare i miei soggetti. Ho visto centinaia di albe sui monti e inquadrato decine di volte i camosci nel mirino della macchina fotografica. Mi sono ustionato al sole di luglio e inzuppato sotto un temporale di settembre. Ho fatto tesoro dei rari incontri con lupi e orsi e non ho mai rimpianto AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 24 Percorsi Pratola. La festa di Maria Misteri e pathos di una tradizione di Giuliana Susi di Luca Del Monaco,Francesco Lombardi AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 25 Un canto di preghiera che inneggia a Maria liberatrice si ode in lontananza, pochi metri prima della periferia di Pratola Peligna. Ad ogni passo è un crescendo di toni che si fanno più nitidi e forti come la folla pellegrini che compare all’orizzonte, proveniente da Gioia dei Marsi. I fedeli partono alle prime luci dell’alba percorrendo a piedi quaranta chilometri, tra valichi e sentieri, circondati solo dal suggestivo silenzio della montagna. Il gruppo si avvicina. Un’alternanza di voci maschili e femminili. Anziani, giovani, bambini, donne, uomini. Superano, solitamente, le duecentocinquanta anime. Stanchi nei volti, emozionati nel cuore, tra lacrime e preghiere, mossi da fede e devozione, impulso che li spinge a ripetere il rito da tempi remoti, in onore della Madonna della Libera. Per una grazia ricevuta, per una preghiera, per un credo. Le signore alle finestre, nel rione pratolano di San Lorenzo, salutano i pellegrini con lunghi e gioiosi applausi, unendosi alla festa di accoglienza preparata dall’intera comunità che, al tramonto del venerdi, con un abbraccio affettuoso, accoglie il corteo dei fedeli di Gioia, i quali, in tempi remoti, prima della ripartenza, dormivano nel Santuario, oggi sulla paglia, secondo tradizione, in locali adibiti a casa del pellegrino. Davanti: le autorità civili e religiose e il comitato festeggiamenti in onore della Madonna Libera. Dietro: la folla, sulle note della banda, si incammina in solenne processione unendosi al canto, alzando il sipario sulla cerimonia che si svolge ogni prima domenica di Maggio. Un rito toccante ed emozionante, che affonda le origini in tempi antichissimi e che richiama, in ogni week end d’esordio del mese mariano, moltissimi visitatori. Momento commovente l’arrivo della compagnia marsicana nel bellissimo Santuario, dedicato proprio a Maria liberatrice, la cui posa della prima pietra risale al 1851 (anche se le origini sono datate dalla prima metà del 1500). Continuano a cantare l’inno a Maria, «Maria della Libera» i pellegrini che, in ginocchio, dalle scale del Santuario, AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 26 strusciano lungo la navata centrale fino ad arrivare a baciare l’altare maggiore. È il rito dello “strascìne” (unico secondo gli studiosi) che, in tempi antichi, prevedeva lo struscio con la lingua sul pavimento. In segno di penitenza. “Il cammino della speranza”, dagli anni sessanta ai settanta, sarà raccontato attraverso foto che verranno esposte nella sala parrocchiale, dal 25 aprile, giorno dell’inaugurazione, alla presenza del sindaco di Pratola Antonio De Crescentiis, del primo cittadino di Gioia dei Marsi, come annuncia il presidente del Comitato festeggiamenti, Maurizio Ferrini. Figura importante come la Mastra, quest’anno Rosita Cianfaglione, che guida le cercatrici delle offerte. Per la prima volta il 17 aprile si terrà una riflessione sul culto nel Santuario con religiosi ed esperti di tradizioni popolari. Antichi rituali rimasti intatti, così come tramandati nei secoli; usi e costumi radicati nel profondo dell’anima di un popolo, riti carichi di suggestione e mistero, dove emergono, con forza prorompente e trascinante, fede e pathos, a metà tra cristianesimo e paganesimo. Tutto comincia con la tradizione del quadro della Madonna della Libera. Leggenda vuole che nei secoli bui un contadino malato di peste, dopo aver 26 27 sognato una donna bellissima che gli annunciava la fine della pestilenza, trovò al suo risveglio, tra le macerie di una chiesetta dove si era rifugiato, un’immagine raffigurante la stessa donna del sogno. Gridando al miracolo, la portò in paese, dove, per accoglierla, fu costruita una piccola cappella, divenuta poi, nei secoli, il Santuario che custodisce tutt’oggi il dipinto con l’immagine della Vergine. La devozione popolare riserva preghiere e lacrime alla statua della Madonna della Libera (1741), secondo tradizione, donata dai celestini dell’Abbazia di Santo Spirito al Morrone di Sulmona. Momento clou, colmo di tensione emotiva per i pratolani e per i tanti fedeli, il sabato prima della festa, l’esposizione della statua, veneratissima e ricoperta di speranze e oro come ringraziamento, ex voto. Dal tempietto, sull’altare maggiore, sorretta da un meccanismo, lentamente la Maria avanza, andando incontro alla folla, come un abbraccio che riempie il cuore. Il grido liberatorio <Viva Maria, Viva la Madonna della Libera>. La processione, e poi, novità quest’anno, i cori e canti dedicati alla Vergine intonati dalla «Corale di Pratola» e dal gruppo «Raiane Cante». Fuochi d’artificio, intensa partecipazione, sacro e profano che si incontrano, si mescolano e si stringono la mano diventando un tutt’uno nella tradizione dei festeggiamenti che Pratola ogni anno dedica alla Madonna della Libera. Un cartellone eventi diviso in due, quello religioso e quello civile. Quello in cui è la fede a trionfare, quella devozione così forte che richiama tutti i paesani emigrati oltreoceano, dal Canada all’Argentina. Quello del pellegrinaggio, del sacrificio, della preghiera, della processione, e quello civile, della fiera, delle manifestazioni di cultura e spettacolo, che annualmente richiamano folto pubblico. AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 27 Il Parco Nazionale d’Abruzzo “Una storia da tutelare, un presente da valorizzare” Conversazione con il nuovo presidente Antonio Carrara di Antonio Di Fonso AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 28 5 Antonio Carrara, 53 anni, laurea in Sociologia, già presidente della Comunità montana Peligna, amministratore di esperienza, da sempre appassionato di montagna, è il nuovo presidente del Parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise. A lui abbiamo rivolto alcune domande sulle prospettive, le potenzialità e le vocazioni del Parco più importante d’Italia, che da sempre rappresenta il simbolo dell’Abruzzo nel mondo. Il Parco nazionale d’Abruzzo è il parco più antico e illustre d’Italia, comprende tre regioni, Abruzzo, Lazio e Molise, è conosciuto in Europa e nel mondo, attrae visitatori e turisti. Diventarne il presidente significa assumere un incarico di prestigio, ma farsi anche carico di un impegno di grande responsabilità. È così. Il Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise ha una lunga storia, la più lunga insieme a quella del Parco del Gran Paradiso. Oltre novant’anni di una storia originalissima, che ha scommesso sulla possibilità di coniugare la conservazione della natura e delle specie faunistiche a rischio di estinzione con la ricerca di uno sviluppo economico innovativo e possibile. Una storia fatta di alti e bassi: gli entusiasmi della prima fase, la soppressione dell’Ente durante il fascismo, la sua ricostituzione nel dopoguerra, gli anni bui della speculazione e la “rinascita” avviata alla fine degli anni sessanta. Ha avuto personalità di grande rilievo che ne hanno segnato profondamente il percorso, da Erminio Sipari a Franco Tassi. Ha avuto grandi ostilità ma anche tanti sostenitori. Per alcune generazioni di giovani il Parco è stato un punto di riferimento per la loro formazione. Dal Parco sono state lanciate campagne importanti, non solo per il Parco stesso ma per tutto il Paese: la campagna sul lupo, che ha portato alla sua tutela e al reinsediamento della specie su tutto l’Appennino; quella per la tutela di almeno il 10% del territorio italiano, grazie alla quale sono stati istituiti gli altri 2 parchi nazionali abruzzesi e le altre aree protette italiane; il ripopolamento di cervi e caprioli; la reintroduzione del camoscio nel Parco della Maiella e del Gran Sasso. Da questa storia, ma anche dalla complessità della gestione di un Parco come quello d’Abruzzo Lazio e Molise, deriva sicuramente una grande responsabilità. Spesso nella tua biografia di amministratore ti sei occupato di tutela ambientale, hai creduto nella valorizzazione del patrimonio culturale, storico e paesaggistico dei nostri comuni. In fondo l’arrivo alla guida del Parco d’Abruzzo è l’approdo naturale di un percorso che viene da lontano. Naturale forse no, ma un approdo possibile sicuramente si. Per me si. Come sai, non tutti la pensano così, ma questo è normale. In fondo con l’approvazione della legge 394 nel 1991, che ha dato il via all’istituzione dei Parchi nazionali, molti di coloro che sono stati in prima fila nella battaglia per la protezione della natura hanno dato un grande contributo alla costituzione materiale dei nuovi Enti Parco e spesso ne sono diventati Presidenti, Direttori, membri dei consigli direttivi. Un movimento che si è istituzionalizzato. Per ragioni anagrafiche, ma anche per scelta, io ho fatto un altro percorso nel quale la scelta “ambientalista” non era una scelta specialistica ma una convinzione da testimoniare e praticare nell’ambito di un impegno politico-amministrativo complessivo. Sono stato per tanti anni nelle Comunità dei parchi della Maiella e del PNALM ma non ho mai cercato la possibilità di stare nei consigli direttivi, ho sempre ritenuto di poter sostenere e dare un contributo alle attività dei Parchi nel mio ruolo di amministratore locale. Così come nell’impegno in ambito locale per me è stato un costante riferimento il motto lanciato tanti anni fa da Legambiente: “pensare globalmente e agire localmente”. Nell’immaginario di tutti il Parco si identifica con il suo animale simbolo, sinonimo di tutela e difesa dell’ambiente: l’orso bruno. Quanto è stato fatto e quanto è ancora da fare per la salvaguardia dell’animale? Il Parco è nato per la conservazione dell’orso bruno marsicano e in questi 90 anni ha consentito a 5 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 29 questo animale stupendo di poter continuare a vivere sulle nostre montagne. Senza il Parco d’Abruzzo, oggi, sicuramente non ci troveremmo nella condizione di parlarne. Basti pensare che per la tutela del lupo abbiamo dovuto aspettare gli anni 70 del secolo scorso: era considerato un animale nocivo. Senza quell’azione lungimirante l’orso si sarebbe sicuramente estinto, perché la capacità di aggredire l’ambiente nel corso del novecento si è moltiplicata in maniera esponenziale, una capacità distruttiva messa in atto dall’uomo soprattutto nel corso dell’ultimo secolo. Il fatto che una popolazione di orsi, sia pure ridotta, continui a vivere nello spazio ristretto del PNALM è un miracolo. Ma questo non può bastare, il rischio di estinzione è elevatissimo perché il numero è esiguo e il forzato isolamento mina la specie. Per la conservazione dell’orso c’è quindi molto da fare, all’interno del Parco per garantirne la sopravvivenza e la riproduzione, ma anche e soprattutto fuori, per facilitare l’espansione naturale della specie su una scala più ampia. Ci vuole consapevolezza nella società nel suo insieme, non basta delegare. Non basta più. Il protocollo d’intesa firmato da Ministero dell’Ambiente, Ente Parco e le Regioni Abruzzo, Lazio e Molise ha per me soprattutto questo senso, oltre a misure concrete da attuare. Di recente è stato organizzato un convegno sul turismo natura a Pescasseroli. Ci sono indicazioni confortanti che arrivano a livello nazionale sulla scelta del turismo ambientale come settore in crescita. Che cosa bisogna fare per potenziare ulteriormente le offerte turistiche del Parco? Le indicazioni nazionali dicono che il turismo natura è in crescita e mostra una capacità di tenuta nonostante la profondissima crisi che il nostro Paese vive da qualche anno. Dicono anche che il PNALM continua ad essere il parco più appetito dagli operatori turistici italiani. Ha qualche difficoltà tra quelli esteri. Chi sceglie il turismo natura lo fa molto in funzione anche della possibilità di vivere direttamente un’esperienza attraverso le attività che si possono fare. Quindi credo che la prima cosa da fare è cercare di sintonizzarci di più con le aspettative dei turisti e provare tutti insieme, Ente Parco, comuni e operatori, a perseguire coerentemente gli stessi obiettivi. Credo anche che l’Ente, sia pure in una situazione di obiettiva difficoltà economica, ha la necessità di investire sulle proprie strutture e su quelle che possono aumentare e migliorare l’offerta. Nel versante abruzzese il Parco ha aderito alle due DMC (Destination managment company) che si sono costituite, una nell’Alto Sangro e l’altra nella Marsica. Infine, credo che l’esperienza di collaborazione che si è realizzata negli ultimi tempi tra i Parchi abruzzesi possa essere sviluppata nella promozione turistica e nell’integrazione delle esperienze più interessanti. AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 30 Moscufo Il fascino chiaro-scuro di Santa Maria del lago testo di Riziero Zaccagnini foto Luca Del Monaco AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 31 U N LUCUS, una radura in un bosco sacro, dove la luce finalmente penetra l’ombra nascosta tra le fronde. Santa Maria del bosco: sarebbe questo il nome corretto della chiesa abbaziale alle porte di Moscufo, sulle colline pescaresi. Nel tempo l’appellativo si è corrotto in “lacum”, facendo perdere le tracce di un passato dal gusto misterioso e alimentando contemporaneamente nuove credenze popolari. Nessuna “signora del lago”, dunque, custode di acque miracolose, ma un legame con la sacralità dei luoghi che ha evidenti origini antiche, verso le quali veniamo trascinati dalla suggestione più che da testimonianze storiche. Entrare in Santa Maria del lago, nel silenzio di una giornata di primavera, è proprio come tuffarsi nel fitto della vegetazione dopo un bagno di luce in un prato assolato. Istanti di buio, prima che l’occhio si ritragga, nel fresco penetrante rilasciato dalle pareti in mattoncini. I fasci deboli della luce esterna tagliano l’aula attraverso il rosone spoglio, le monofore e le feritoie che si aprono lateralmente e incidono le absidi. Un gioco di chiaroscuri che ci invita alla scoperta, a ricercare i particolari preziosi nascosti tra le tre navate di una chiesa che, al primo sguardo, sembra imporsi per una bellezza nuda e disadorna. Ma già intravediamo strappi di affreschi sulle colonne circolari, forme intrecciate su capitelli lavorati, figure beate che s’infilano in ciò che resta della ricca decorazione dell’abside, la preziosa tavola dipinta del 1465 raffigurante La Madonna con bambino attribuita a Andrea de Litio e, su tutto, l’ambone appoggiato ad una delle colonne rettangolari, al centro dell’aula, bianco di pietra e gessi, opera d’arte scultorea immensa. A dare forma alle straordinarie figure che decorano su ogni lato il pulpito è stata la mano di Nicodemo, come testimoniato dalla firma apposta su un lato dell’ambone che ricorda anche la data di realizzazione, il 1159. Misterioso artista le cui opere sono ormai emblema della scultura sacra del romanico abruzzese, Nicodemo fa emergere dalla pietra figure umane dai corpi contorti, volti enigmatici, fiere voraci che sbranano uomini nudi. Immagini che si mescolano in un pathos confuso, a cui lo scultore affianca scene descrittive, in uno stile più didascalico, dove è facile riconoscere storie del Vecchio Testamento, Giona inghiottito dalla balena, Davide che As we enter the church of Santa Maria del Lago, in a silent day of spring, we cut across the feeble light that comes through the rose window and draws shades on the hall’s floor. Slits and monofore windows shape the harmony of the apse. A light and shade playful game, invites us to discover the beauty of this church. At a first sight, with all the details and the enchanting atmosphere, this church stands out in its plain and unadorned magnificence. But then, slash of frescoes over the columns and entwined profiles on carved capitals reveal peaceful figures standing as remaining of the lavish decoration of the apse: a precious altarpiece painted in 1465 representing the Madonna and Child attributed to Andrea de Litio. Standing at the centre of the hall is the beautiful ambo. This is a remarkable sculpture, in carved stone and plaster works, made by Nicodemo da Guardiagrele and representing human crooked figures and enigmatic faces, ferocious beasts tearing naked bodies into pieces and stories from the Old Testament, while European style magically encounters Oriental inspiration, giving to this church a particularly fascinating allure. 30 31 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 32 32 33 elemento decorativo è il portale scolpito, nelle pareti a mattoncini e nelle tre absidi. Qui le colonnine che sorreggono le arcatelle cieche, i grappoli, le foglie e gli animali in lotta che contornano le sottili finestrelle, sono il solo richiamo scultoreo di una architettura severa che a Santa Maria del lago si mostra in tutta la sua bellezza. 5 Artisti della pietra Nicodemo, assieme a Ruggero e al figlio Roberto, sono i nomi ricorrenti di una scuola artistica che attraversò l’Abruzzo intorno al 1100 per scomparire misteriosamente meno di un secolo dopo. Scultori presumibilmente appartenenti a un’unica bottega, si dedicarono principalmente alla realizzazione di arredi liturgici in pietra e stucchi. Iscrizioni e frammenti ricordano diverse opere dei tre scultori andate perdute, tra cui un ciborio nell’abbazia di San Clemente a Casauria. Di Roberto e Ruggero è il ciborio di San Clemente al Vomano, prima testimonianza dell’attività di questi maestri della pietra. Assieme a Nicodemo, Roberto firmò il ciborio e il pulpito di Santa Maria in Val Polcraneta a Rosciolo, nella Marsica, le cui figure e rappresentazioni si ritrovano in parte nell’opera meglio conservata firmata dal solo Nicodemo: il pulpito di Santa Maria del Lago. L’ultima opera documentata è il frammentario pulpito della chiesa di S. Stefano a Cugnoli, proveniente dalla chiesa di S. Pietro, eseguito nel 1166 da Nicodemo. 5 strangola l’orso, la vicenda di Sansone e del leone. Tutto intorno un ornato di spirali, forme vegetali, archi e arabeschi che ci riportano all’incontro magico tra stili europei e ispirazioni orientali, incontrato in Santa Maria in Val Polcraneta (AbruzzoèAppennino, 1/2012), distintivo dell’autore. Qui ad accentuare il pregio del’opera contribuiscono le numerose tracce di colore che, un tempo, doveva animare le immagini scolpite. Ciò che rimane degli affreschi lascia intuire come in origine l’interno della chiesa dovesse essere completamente dipinto: un gioco di colori, più accesi sul marmo, scuri e ieratici sulle pareti e intorno alle colonne, che doveva rendere questo scrigno d’arte sacra un luogo di favola. Ed è questo rimando continuo a qualcosa che è stato e non c’è più, sono i piccoli tesori ancora custoditi in una chiesa più volte rimaneggiata nel tempo, che danno enfasi ad una semplicità affascinante. La stessa semplicità che ritroviamo all’esterno, nella facciata il cui unico Info Per visitare Santa Maria del Lago è possibile prenotarne l’apertura al numero 085.979668 Curiosità Santa Maria del lago era un tempo direttamente collegata all’attiguo cimitero, che merita una visita per la curiosa abitudine dei moscufesi di costruire le proprie cappelle riproducendo le forme della chiesa, rendendo il luogo particolarmente caratteristico. AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 33 20 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 34 Conservare la natura Il Piano di Gestione del SIC Simbruini Cos’è un SIC? L’acronimo sta per Sito di Interesse Comunitario, risultato di una serie di azioni dell’ Unione europea (tra cui le Direttive “Uccelli” ed “Habitat”) che riguardano la tutela dell’ambiente e delle specie animali a rischio estinzione- Si tratta della Rete Natura 2000, formata dall’insieme dei siti denominati SIC e ZPS (Zone di Protezione Speciale), i quali garantiranno il ripristino di habitat e di specie che rischiano di scomparire. Al fine di garantire la conservazione dei siti Natura 2000, l’UE ha individuato nei Piani di Gestione lo strumento di pianificazione idoneo alla salvaguardia delle peculiarità di ogni singolo sito, riconoscendo la necessità di integrare gli aspetti più naturalistici con quelli socio-economici ed amministrativi di un territorio. Con il progetto Life Natura “BioItaly”, le Regioni e il Ministero dell’Ambiente hanno individuato i siti da porre a tutela. Tra questi, il SIC “Monti Simbruini”. Con 19.886 ettari di estensione, e 12 Comuni coinvolti (Canistro, Capistrello, Cappadocia, Carsoli, 33 Castellafiume, Civitella Roveto, Morino, Pereto, Rocca di Botte, San Vincenzo Valle Roveto, Tagliacozzo), il sito comprende un vasto settore montano della catena dei Simbruini orientali, con le vette più elevate del massiccio, densi boschi (faggete, ostrieti, castagneti) ed esemplari monumentali di tasso ai quali si affiancano pascoli aridi. Un territorio in cui si contano ben 17 tipi di habitat naturali di Interesse Comunitario, 27 specie di mammiferi in direttiva “habitat”, 104 specie di uccelli, anfibi, rettili, pesci e invertebrati di cui molti tutelati dalle direttive europee. Anche la riserva di Zompo Lo Schioppo, con i suoi 1025 ettari contribuisce per il 5% al territorio SIC. Per rendere operativa la tutela e la valorizzazione del SIC “Monti Simbruini”, Il comune di Morino ha risposto a un bando della Comunità montana “Montagna marsicana” e, tramite un finanziamento del Programma di sviluppo rurale regionale, si è impegnato a redigere un Piano di Gestione del sito. Coniugare la conservazione dell’ambiente con le tradizioni culturali, i mestieri che da sempre hanno contribuito a disegnare il paesaggio montano, l’agricoltura, la pastorizia, e con essi il turismo e i servizi più moderni: questa la sfida raccolta dallo staff di professionisti che curerà la redazione e l’attuazione del Piano di gestione. AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:00 Pagina 35 ZOMPO LO SCHIOPPO La riserva naturale gie per fotografare gli animali selvatici nel loro ambiente naturale. La presenza dei turisti in cerca di spazi e aria pulita,ma anche di cibi genuini stimola la creazione di Cene Culturali, che, alla tradizionale preparazione delle specialità «alla chitarra», arrosto al ginepro e zuppe di montagna, uniscono una compagnia teatrale, composta dagli stessi abitanti del comune di Morino, che sevono a tavola anche le liti familiari di un pranzo di nozze, o i commenti pettegoli e maligni di una piccola comunità. Il teatro è presente anche nei Campi Scuola per studenti di altri paesi e regioni: il Sentiero Naturalistico, si trasforma in palcoscenico lungo tutto il percorso, per far scoprire ai ragazzi la presenza dei piccoli abitanti del bosco, (attori professionisti del Teatro Lanciavicchio trasformati in lumache, bruchi e collemboli) i quali descrivono in prima persona, il loro ruolo e l’importanza della loro opera, attraverso la storia di Aracne. I Campi Scuola destinati agli studenti di ogni ordine e grado, affrontano poi, oltre ai temi canonici, naturalistici e storici, esperienze stimolanti portando i ragazzi a catturare e guidare (provvisti di abbigliamento di sicurezza e guidati da esperti apicoltori) uno sciame di api verso l’alveare; usufruire, ad occhi chiusi, delle audioguide per i non vedenti , percorrendo alcuni tratti del sentiero verso l’antico paese abbandonato di Morino, con la sua storia di terremoto e devastazione nascosta ed evidenziata, oggi, dalla fioritura dei rampicanti sulle antiche strade e dalla presenza svettante del campanile. Ma il tratto che più caratterizza l’attività della Riserva e del CEA è la capacità di comunicare a qualsiasi livello d’età e in ogni tratto delle attività proposte, oltre alla competenza, la passione e l’amore che chi lavora prova verso la Riserva e per il futuro delle migliori risorse del nostro Paese. 5 La redazione del Piano Il Comune di Morino sta attuando il Piano Di Gestione del SIC grazie ad un gruppo di lavoro che è coordinato da Gianni Petricca, Responsabile Ufficio Tecnico e da Rita Rufo, Direttore della Riserva Naturale Regionale Zompo lo Schioppo. Il gruppo di lavoro è costituito da Luca Piccirillo, Daniel Bazzucchi, Mauro Fabrizio e Serena Ciabò, Fabio Conti e Gianluca Ciaschetti, Amilcare D’Orsi, Giovanna Di Domenico e Renato Petroni, Marisa Gismondi, Alessandro Bardi, Angelo Venditti, Laura Rubeo, Alessandro Persia e Esmeralda Stornelli, Simona Capoccetti. Biologi, architetti, ingegneri ambientali, agronomi ed economisti, per un’equipe in grado di affrontare le complesse sfaccettature di un progetto ambizioso e di grande valore per la tutela e il rilancio del territorio. 5 Nasce con la vocazione specifica di costruire sul territorio un laboratorio in continua evoluzione, che coinvolga la popolazione locale, gli studenti, le realtà operanti sul territorio . Le attività legate all’Ecomuseo, hanno operato, e operano, non solo nell’ambito della Storia Naturale della Riserva e della Regione, ma lavorano sull’interconnessione di questa realtà naturalistica con le tradizioni, le risorse, le potenzialità degli abitanti del territorio. Il C.E.A. (Centro di Educazione ambientale) si innesta su questa linea nel 2008 integrando le attività con un’attenzione più esplicita ai temi dell’Educazione alla Sostenibilità, alla gestione delle Risorse, al recupero delle Tradizioni Culturali e al coinvolgimento dei ragazzi di qualsiasi provenienza nella salvaguardia della Riserva Naturale e dei suoi contenuti. Nascono così i Fine Settimana Tematici dedicati alla riscoperta dell’antica arte di intrecciare i vimini per costruire cesti di ogni dimensione; alla ricerca e al riconoscimento delle specia eduli dei funghi delle nostre montagne; alla scoperta delle tecniche e delle strate- AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 36 Nelle terre di confine: la Necropoli di Campovalano di Bianca Flagnani foto archivio Synapsi Edizioni/Mauro Vitale AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 37 C AMPOVALANO, circa 600 abitanti, dieci minuti da Teramo, cinque da Campli, si presenta come una piana a scopo agricolo, è campagna, poche case, poche macchine e qualche cane che si capisce subito, è «uno» di famiglia. Tra le bellezze naturali dei Monti della Laga, girando lo sguardo, al di là delle indicazioni, vediamo una costruzione a semisfera, ricoperta di muschio, uno strano ibrido tra un grande igloo e una ciociara, intorno fossi e tumuli che rimandano subito a un’idea di culto dei defunti. Allora qualcosa lontano nel tempo ti attira: siamo nell’area della Necropoli: un grande cimitero protostorico impiantato su un terrazzo fluviale. Scoperto casualmente nel 1964, il sito fu oggetto di scavi a partire dagli anni Settanta, diventando uno dei siti funebri archeologici più importanti del centro Italia. È composta da oltre 600 tombe ad inumazione che abbracciano un arco cronologico che va dalla fine dell’età del Bronzo alla conquista romana (anche se le ricerche inducono a pensare che la necropoli celi nel sottosuolo almeno 20 mila tombe). Le sepolture dell’età del bronzo e della prima età del ferro presentano dei corredi ridotti: si tratta in genere di un solo oggetto in bronzo deposto sul torace dell’inumato. In quelle del VII e VI secolo a. C. è possibile invece osservare mutamenti nell’organizzazione stessa del sito funerario; cambiamenti che riflettono a loro volta le disuguaglianze sociali dell’epoca . Particolarmente esemplificativa è la tomba n. 100 che per dimensioni (lung. m. 4,70, prof. m 1,80 e largh. m 2,8) e per corredo funerario, presenta tutti gli elementi simbolici di uno status elevato. Il defunto sembra infatti appartenere ad un alto grado militare e, non a caso, accanto a lui è sepolto il carro da parata, vari sevizi da mensa che testimoniano la consuetudine del banchetto, riservata alla classe aristocratica. Inoltre solo in questo corredo è documentata la scrittura, prerogativa del pater familias che costituisce, oltre che uno strumento di comunicazione, anche la testimonianza più alta del sapere del defunto. I corredi funerari in questo periodo sembrano riflettere l’organizzazione sociale e politica delle città dei vivi, strutturata 36 37 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 38 in classi a partire dal VII sec. a.C. le classi sociali più abbienti dimostrano infatti una vera e propria ostentazione del lusso nelle sepolture, interpretata come propaganda politica nei confronti delle classi subalterne, un «biglietto da visita» a testimonianza della propria potenza. In questa fase «regia», le offerte dei defunti sono di diversa entità a seconda dell’appartenenza e si osserva la diffusione delle tombe a tumulo (ossia con un circolo di pietra a delimitare un tumulo di terra del diametro che va dai 4 ai 25 metri). Nella necropoli di Campovalano, le troviamo divise in due grandi gruppi a loro volta articolati in singoli sottogruppi. Una tipica disposizione «a macchia di leopardo» che rispecchia la struttura a gruppi familiari (di tipo gentilizio clientelare) della società. Nel corso degli anni i corredi rinvenuti, armi in ferro e bronzo, fibule, vasellame, ceramiche, sono stati depositati ed esposti nel Museo Archeologico Nazionale di Campli. Nella zona degli scavi invece da qualche anno è possibile visitare all’ interno di un Tumulo Multimediale la ricostruzione della tomba di un sovrano dei Pretuzi, con carro da guerra e riproduzioni del corredo funerario. Come spiega il Direttore del Museo, l’archeologo Glauco Angeletti, dai reperti del culto dei defunti è possibile evidenziare le condizioni sociali, le tecnologie civili e militari, la religiosità e le usanze che caratterizzavano le popolazioni. “ La cultura di una civiltà – ci dice il Direttore – è il tutto in cui si ricostruisce, spesso intuitivamente, ma soprattutto toccando con mano, l’unita’ dei contesti e dei mondi”. paesaggi AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 39 38 39 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 40 Il PineCube © di William Santoleri 5 L’ADAMstudio11 è un collettivo nato nel novembre 2011, costituito da Francesca Consigli e William M. Santoleri. Artisti che hanno scelto l’Abruzzo per realizzare i propri site specific work e soprattutto per camminare, attività centrale della loro poetica. 8 febbraio 2013. Freddo intenso, neve fitta, vento. Due artisti camminano in una valle silenziosa. Trascinano su una slitta sessanta chili di ferro arrugginito e sei pelli di agnello provenienti dalla Scozia. Il campo ai piedi del PineCube è stato scelto per uno dei site specific work dal collettivo di artisti ADAMstudio11. Questo è il primo atto di una storia che stiamo ancora scrivendo. In realtà negli ultimi dieci anni avevo percorso in ogni direzione la valle. Spesso all’alba. Qualche volta nel tardo pomeriggio per attendere l’atmosfera magica del crepuscolo. Talvolta per cercare il posto migliore. Altre volte solo per guardare le rocce che precipitano nel bosco cambiare colore di ora in ora. Nella Valle avevo incontrato il Lupo. Un incontro velocissimo in genere. Qualche volta l’avevo osservato con calma curiosare tra l’erba, o chiamare con un debole ululato i compagni di caccia. Camminavo nella Valle e cercavo le parole o le linee per completare un lavoro. Altre volte qui ho trovato l’ispirazione per incominciarne uno nuovo. Un giorno, dopo anni di percorsi casuali, ho scoperto un Pino, isolato sul pendio meridionale di un piccolo colle al centro della Valle. Unico elemento verticale in quel punto. Cresciuto quasi a sfidare l‘imponenza del monte Porrara che ad est s’innalza vertiginoso fino a toccare le nuvole. È stato un amore a prima vista. Quello era il luogo esatto. In quel punto avrei creato una tana. Un riparo dove attendere l’alba dopo una notte trascorsa ad ascoltare le grida di vittoria ed i lamenti di sconfitta degli abitanti della valle. Un punto privilegiato da cui osservare la neve che arriva dal Nord ad avvolgere ogni cosa o la pioggia fitta che dal passo scende a bagnare le pendici del monte. Un pensatoio dove scrivere, disegnare e studiare i prossimi lavori da esporre. Uno studio sospeso tra i rami di un pino isolato. Una scatola di legno e di vetro rialzata da terra, calda, asciutta e sicura. Così è nato il PineCube©. Un sogno materializzatosi nell’estate del 2012, dopo oltre dieci anni di speranze, incertezze e problemi burocratici. Questo “nido” essenziale ha affascinato immediatamente i giornalisti del Sunday Times, uno scrittore sudafricano sulle tracce di Uys Krige, i giornalisti della Rivista Dove, e molti altri incantati dalla pace di questa valle e dalla bellezza d’Abruzzo. Il nome è stato deciso velocemente sulla metropolitana di New York, volevo qualcosa che facesse riferimento al Pino ed alla forma cubica della struttura. Il progetto ha occupato per un inverno intero me e Francesca Consigli, artisti fondatori dell’ADAMstudio11. Adesso il PineCube© esiste. Un’avveniristica struttura mobile costruita al centro di una delle valli più spettacolari della Majella, studio en plein air per gli artisti del collettivo ADAMstudio11, ma anche pensatoio ed osservatorio per il paesaggio e la fauna aperto a turisti, fotografi, camminatori, scrittori, sognatori di tutta Europa. 5 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 41 40 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 42 ENDURANCE INTERNAZIONALE A VITTORITO Nel paese peligno e lungo la valle dell’Aterno l’ultima edizione dell’Endurance Cup di Vittorito è ormai una realtà internazionale. Il week end di metà aprile ha visto l’affermazione di un purosangue arabo del team ANICA , nella tappa abruzzese valida per la qualificazione ai campionati del mondo. Il movimento dell’endurance ha accolto con entusiasmo la due giorni che ha avuto vita nel paese peligno, in un percorso che interessa anche Popoli, Raiano, Corfinio e Roccacasale e attraversa le riserve regionali “Gole di San Venanzio” , “ Sorgenti del Pescara” e “Parco nazionale della Maiella”; in un anello complessivo di 160 km., definito dai cavalieri come «il più bello d’Italia, perché oltre alla bellezza paesaggistica è anche molto tecnico e 42 43 veloce». Team provenienti da tutte le regioni d’Italia e d’Europa, dalla Grecia alla Francia, ma anche esponenti dell’Argentina, del Marocco, degli Stati Uniti e del Brasile. Inoltre, come curiosità di quest’anno, sono arrivati a Vittorito anche gruppi del personale scuderie Emirati Arabi e Catar, attrezzatissimi e con propri veterinari e allenatori, che hanno acquistato cavalli, aggirandosi tra i box con la tipica competenza e sapienza in fatto di cavalli della cultura araba. Una manifestazione che ha saputo unire lo sport e l’ambiente, in un modo che possiamo considerare in questo caso davvero riuscito. Adesso i riflettori saranno puntati sulle qualificazioni dei campionati del mondo ed europei con le finali del Weg del 28 agosto in Francia e il campionato italiano Young Riders in Italia: “Bocconcini appetitosi per tanti binomi che a Vittorito hanno provato a mettere la propria pedina sulla candidatura in squadra azzurra”, sottolineano gli organizzatori dell’A.S.D. i Cavalieri dell’Antea, che in collaborazione con il comune di Vittorito e il sindaco Carmine Presutti hanno avuto più di una ragione di essere soddisfatti. AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 43 20 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 44 Castel Manfrino Dove la storia incontra le leggende di Bianca Flagnani AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 45 5 prio punto di forza: selvaggi e tranquilli, semplici da percorrere, ma a volte sfuggenti dal clima bizzoso e instabile. In un giorno d’aprile, la vegetazione regala tutti i toni del verde, ma è dura e aghiforme; il sentiero per raggiungere il Castello è breve da Macchia Da Sole, un gruppetto di cinque case con una chiesetta, una trattoria e un punto di informazioni turistiche. Una mulattiera panoramica dove a tratti la pietra calcarea si sbriciola, qualche primula gialla gareggia con i cardi mariani e si incanala una brezza costante, qualche nuvola veloce si muove sulla cima dei monti come una coperta troppo corta. Lungo la passeggiata si incontrano piacevoli belvedere naturali, attrezzati con sedute e informazioni turistiche che ci parlano del lupo finalmente protetto, di cinghiali, camosci e caprioli, scoiattoli, tassi. Al di sopra dei monti volano l’aquila reale, il picchio muraiolo, il falco pellegrino, la rondine montana e intorno ginepri, roverelli e ancora sorbo, abeti, faggi. Da lontano ricono- sciamo la fortezza di Civitella, collegata quasi da una linea immaginaria con i ruderi di Castel Manfrino. A tratti la voce della montagna, il canto degli uccelli e il mormorio nervoso dei torrenti verso il Salinello. Lo storico teramano Nicola Palma ricostruì la storia del manufatto e la sua è la teoria più accreditata. In principio, sul luogo esisteva un accampamento fortificato romano, un «castrum» che probabilmente controllava e difendeva la «via del sale»; esso fu occupato, in seguito, dai Longobardi, all’epoca della loro invasione. Sui resti di questa costruzione Manfredi di Svevia, figlio di Federico II, avrebbe fatto erigere il fortilizio, secondo i modelli costruttivi dell’epoca, a guardia dei confini tra Stato Pontificio e Regno di Napoli. Il Castello aveva tre torri, delle quali rimangono ben pochi resti. La più grande era a nord, il torrione angioino, a sud c’era la torre sveva, a strapiombo sul Salinello, in una posizione molto panoramica che guardava la Rocca di Civitella del Tronto. Essa 5 N EL PARCO Nazionale dei Monti della Laga, tra le montagne gemelle dei Fiori e di Campli, si ergono i ruderi di Castel Manfrino o Castello di Macchia, gioiello di architettura militare medievale, in uno dei luoghi più affascinanti e «misteriosi» della provincia di Teramo. Abbarbicati su una terrazza naturale, strategica quanto suggestiva, i resti della fortezza sono visibili da molto lontano, nell’imponente cornice naturale che si sviluppa tutt’intorno e che guarda dall’alto i ruscelli che corrono per riunirsi con il fiume Salinello, in un’aspra vallata che nasconde anfratti e spelonche. Su uno sperone, a 960 metri di quota, il Castello si impone allo sguardo, costruito con pietre di fiume grigie, squadrate e levigate all’esterno che vanno a formare mura di cinta trapuntate sul profilo della cresta rocciosa. È una terra, questa, dove santi e demoni si combattono duramente sin dai tempi più antichi, e la leggenda lo testimonia. I Monti Gemelli hanno nel dualismo il pro- “Notte delle Paure”, eventomanifestazione teatrale (quest’estate raggiungerà la xx edizione) ha tra gli organizzatori Vincenzo Esposito, attuale sindaco di Valle Castellana ed è il frutto di un laboratorio teatrale che inizia intorno al 25 di luglio e che si conclude nelle prime 2 settimane di agosto con 4-5 giorni di spettacoli itineranti. Due anni fa fu organizzato a Castel Manfrino, l’estate passata non è stato possibile causa maltempo, la zona non è agevole, il primo evento si tenne 20 anni fa nel paesino abbandonato di Loturro. Lo spettacolo dura circa un’ ora e gli spettatori sono stati a Castel Manfrino circa 300; come teatro i ruderi del castello, le terrazze naturali, come sipario la notte. Si mettono in scena favole e leggende popolari, ma anche pièce classiche. 44 45 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 46 46 47 che prende il suo nome. L’alone mistico del posto ha contribuito alla nascita di bellissime leggende, come quella del tesoro di monete di Re Manfredi nascosto in un antro, protetto da un enorme macigno e custodito da una fata bianca: per riuscire a trovarlo, avrebbero perso la vita avidi avventurieri e le loro anime vagano senza pace intorno allo strapiombo. O come quella che vorrebbe lo spirito dello stesso Manfredi aleggiare sul castello, celato sotto le spoglie di un’aquila reale: ancora oggi una sensitiva del posto giura di averlo visto. Infine, assicurano da queste parti che la presenza di strani gnomi dispettosi che gli abitanti della zona chiamano “Li Mazzamarilli” non è soltanto una semplice diceria. In questa atmosfera magica gli Enti locali hanno scelto di organizzare eventi e iniziative come “ La notte delle paure “, manifestazione nata per raccontare le tradizioni della ricca e variegata tradizione orale della Laga. Curiosità, brividi ed esorcismi, per tenere lontane le nostre paure ancestrali. The Gran Sasso and Monti della Laga National Park displays the most breathtaking landscapes where, at 960 mts above the sea level, the clinging ruins of the medieval fortress of Manfrino’s Castle stand as the most fascinating and “mysterious” place of Abruzzo. Set on a natural terrace, the ruins of the fortress are visible from very far, nestled in a magnificent natural scenery overlooking an uneven valley. The short path that leads to the Castle starts from Macchia Da Sole and all along one can enjoy natural panoramic viewpoints, fitted with strategic seats and completed by tourists information points about the local flora and fauna. The Fortress was built to do the will of Manfredi of Savoia and erected on the ruins of an ancient Roman “castrum”. Two of the three towers overlook at the Southern and Northern territories, whereas the central tower was the residence of the lord of the castle. Soldiers and peasants would have barricaded inside in case of danger. In time, this region has seen battles and bloodsheds, but was also inhabited by hermits and ascetics. It is said that the very same S. Francis of Assisi was here as he was spending a period of worshipping and praying time in this area, in a cave which holds now his name. The halo of mysticism that the place bears, has contributed to give origin to many legends and tales. The treasure of King Manfredi, in fact, is believed to be hiding here in a cavern, secured by an heavy rock and guarded by a white fairy. In search for that legendary treasure, many ruthless adventurers had lost their life and their souls are said still to be wandering around the cliff edges, in search of their own peace. Another legend would tell the very same Manfredi’s ghost is haunting the place in disguise of a beautiful golden eagle. It seems also that the manifestation of mischievous gnomes, called “Li Mazzimarilli” by the inhabitants of the area, could simply not be just a hearsay…. 5 Macchia da sole Ristorante a Macchia da Sole ( Valle Castellana): creato dalla famiglia locale De Remigis, attualmente in gestione a giovani che vorrebbero un recupero di gusti e tradizione; stanno costruendo un forno a legna per produrre il pane; aprono per Pasqua e concludono la Stagione in ottobre in coincidenza della sagra della Castagna nella vicina Leofara. 5 era situata vicino l’ingresso del forte, che aveva sul portale un’aquila imperiale di pietra. La torre di centro, il maschio, era l’abitazione del castellano, difesa ultima del castello, dove ci si asserragliava in caso di cedimento delle mura esterne. Poi diversi ambienti come stalle, alloggi dei soldati. Tra la torre centrale e quella meridionale, i resti di una costruzione a pianta quadrata, di destinazione ignota, ma che, in lavori più recenti, viene identificata come la cappella. Negli anni ‘70, furono effettuati degli scavi durante i quali furono ritrovati vari reperti come frammenti di ceramica decorata e monete di diverse epoche. Probabilmente, in caso di attacco nemico, i paesani potevano rifugiarsi rapidamente all’interno del recinto fortificato. Quasi niente rimane di questa costruzione se non accenni di mura e perimetri monchi e artigliati alla roccia: eppure sembra di vederlo il Castello e l’intero quadro galleggia in una luce rarefatta, quasi irreale. Negli anni questi luoghi sono stati teatro di battaglie e fatti di sangue, ma hanno anche ospitato eremi, come quello della Maddalena, e asceti. Pare che lo stesso san Francesco d’Assisi vi abbia trascorso un periodo di solitudine, in lotta con il Demonio, in una grotta AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 47 Il Vinitaly abruzzese di Massimo Maiorano 20 47 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 48 Lo si magnifica e lo si denigra, lo si ama e lo si odia: comunque la si pensi, il Vinitaly rimane la Fiera più importante ed influente al mondo nel settore vitivinicolo. La cronaca di questi quattro giorni ci racconta di un incremento del numero dei visitatori (più sei per cento), in special modo degli stranieri; la nuova formula che prevede dallo scorso anno un giorno in meno (sostanzialmente il sabato) è stata vincente: il numero degli operatori professionali è in netta crescita. I padiglioni delle varie regioni sono stati affollati tutti i giorni, al visitatore bastava fermarsi un attimo fra una degustazione e l’altra per rendersi conto di stare di colpo in un mercato di chissà quale posto al mondo in un crogiolo di lingue, di culture, di colori, di filosofie, tutte diverse tra loro. È stato come fare letteralmente il giro del mondo in soli quattro giorni semplicemente osservando ed ascoltando ciò che ci girava intorno! L’Abruzzo anche quest’anno ha fatto la sua parte, con la forza e la tenacia dei nostri viticoltori grandi e piccoli. Ha fatto la sua parte nel Concorso portando a casa tante Menzioni e quattro medaglie, questa volta distribui- 48 te su varie tipologie di vini. Nella categoria dei vini rosati spiccano una Medaglia d’Oro (Cantina Orsogna) ed una di Argento (Contesa): siamo considerati tra i più bravi al mondo a produrre vini rosati ed il nostro Cerasuolo ottiene forse più riconoscimenti e rispetto altrove che non da noi in regione. Abbiamo ottenuto una medaglia di Bronzo ed un premio speciale per la denominazione con un Montepulciano nella categoria dei rossi (Cantina Miglianico). Questa volta poi c’è stata la consacrazione del vitigno Pecorino, dopo il successo commerciale che ha ormai da tempo valicato i confini regionali, ecco una Gran Medaglia d’Oro nella categoria dei vini bianchi. A vincere questo ambito premio poi un Pecorino biodinamico (Cantina Orsogna), a riprova e a conferma che la scelta di produrre bio da parte di molte aziende abruzzesi non si limita più a una mera scelta filosofica come qualcuno pensava solo qualche tempo fa. Ma l’Abruzzo ha soprattutto fatto la sua parte costruendo accordi commerciali che portano i nostri vini in ogni dove. Il Vinitaly ha creato occasioni di incontro sia per il mercato italiano, dove le nostre aziende hanno ancora un grosso potenziale inespresso, sia per il mercato estero, dove si cerca di esportare prodotti con una sempre più alta qualità. La particolarità della Fiera è che le opportunità di business ci sono per tutti, grandi e piccoli, è questo che rende in qualche modo democratica questa superfiera del vino, ed anche un piccolo produttore salito a Verona con grossi sacrifici, può essere ripagato con un ritorno di immagine e business che rappresentano la linfa vitale per continuare sulla strada della crescita qualitativa di tutto il settore. Mai come quest’anno i nostri produttori - dai più piccoli ai più grandi hanno sfruttato questi quattro giorni per incontrare importatori e buyers con un ritmo incessante, portando a casa risultati che vanno oltre il business del vino. Una bottiglia di Montepulciano o di Cerasuolo sulle tavole di Cina o Giappone è un magnifico biglietto da visita della nostra terra, di tutti i nostri prodotti: agricoli, industriali e turistici; e già solo per questo i nostri contadini andrebbero ringraziati. Arrivederci al 25 marzo 2015 ovvero al prossimo Vinitaly. AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 49 Il tartufo di Campovalano 5 di Bianca Flagnani Il “Tubero d’Oro” ricerca con cani addestrati. Questi funghi ipogei dal sapore e dalla fragranza inconfondibili si mescolano da sempre alla tradizione enogastronomica del territorio. In paese la famiglia Tassoni dal 1999 ha dato vita a una piccola, appassionata e specializzata azienda nel commercio del tartufo in tutti i suoi utilizzi: fresco, in crema, in conserva, in olii aromatizzati, in salse. Questa premiata ditta affianca all’ offerta di tartufi molte altre tipicità gastronomiche del territorio teramano come i mieli, i formaggi freschi e secchi, i salumi saporiti e profumati. Accanto alla rivendita “Tassoni Tartufi” potremmo entrare nel ristorante a tema “Il tubero d’oro” per gustare direttamente in loco le specialità culinarie a base di tartufo e funghi e portare con noi il ricordo degli odori e dei sapori di questa terra generosa. 5 L’Abruzzo offre una vasta produzione di tartufo sia in termini qualitativi che varietali, in alcune zone tartufigene non passa mese in cui non si trovi almeno una specie di tartufo, dal bianco al nero pregiato, dal bianchetto allo scorzone. Nella provincia di Teramo uno di questi luoghi è Campovalano, dove il tartufo cresce in abbondanza. Si organizzano fiere e sagre di questo prezioso tubero e anche visite guidate alla sua Sulla Strada Statale 81, alla frazione di Campovalano nel comune di Campli (TE), adiacente alla rivendita Tassoni Tartufi. La bottega del tartufo, la famiglia Tassoni gestisce anche il ristorante Tubero d’oro. L’attività, a conduzione familiare, apre nel 2012. Dal produttore al consumatore, il ristorante offre un menù di prelibatezze tra cui spiccano la lasagna bianca al tartufo e funghi porcini e un agnello in porchetta tartufato. Aperto tutti i giorni a pranzo e cena, il ristorante resta chiuso il martedì. AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 50 La piccola Atlantide di Capodacqua Una scuola di sub a Capestrano testo di Giuliana Susi foto Carlo Ravenna In alto il Castello (1485 d.C.) che domina Capestrano, il paese del “guerriero” simbolo d’Abruzzo. In basso i resti archeologici di un paesaggio medievale sommerso nel lago di Capo d’Acqua (noto come Capodacqua). Nel mezzo la storia di ieri e di oggi in equilibrio sulla sottile linea di confine tra terra e acqua. È il fascino del passato che si fa tutt’uno con il mistero dei mondi sommersi, regalando alla terra d’Abruzzo un piccolo gioiello dai suggestivi fondali. Sconosciuto, paradossalmente, a molti abruzzesi, meta, invece, di tanti appassionati sommozzatori e di fotografi subacquei professionisti provenienti da tutto il mondo. Nuotano nella storia e ne restano colpiti. Incantati, come mostrano gli affascinanti scatti pubblicati su riviste specializzate nazionali e internazionali. Rapiti dalle meraviglie dei “tesori” del lago, dallo splendore senza tempo dei resti di due antichi mulini, costruzioni dei secoli bui, di strade dai colori ambrati e verdeggianti, di tronchi d’alberi, passaggi e strutture architettoniche in pietra, libere dalle alghe che connotano la vegetazione lacustre, accarezzata dalle correnti che costeggiano il vecchio letto del fiume. Una piccola Atlantide d’Abruzzo, che torna a vivere di volta in volta solamente calandosi nelle acque lacustri. Restiamo a riva, osservando il rito della vestizione di un gruppo di sommozzatori esperti (l’immersione è permessa solo a professionisti o scuole, associazioni, in sostanza a coloro dotati di brevetto), pronti a seguire la guida che li accompagnerà nel viaggio sott’acqua, per circa 35-40 minuti, alla scoperta del lago della Valle del Tirino, nel Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. A fare da cicerone, raccontando ai sub, prima che s’immergano, la storia del territorio, del bacino lacustre e dei reperti archeologici conservati sott’acqua è Dante Cetrioli, istruttore professionista aquilano, dell’Associazione sportiva «Atlantide» scuola sommozzatori, che gestisce e conserva questo luogo dal 2004. Con disponibilità, umiltà e passione spiega che le origini dell’invaso risalgono agli anni sessanta del novecento, creato come riserva utile per irrigare i terreni agricoli circostanti, alimentato da diverse sorgenti naturali AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 51 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 52 sia sommerse che in superficie. Lungo corsi d’acqua, che unendosi ad altre sorgenti formavano il fiume, erano stati costruiti un colorificio, edificio ancora visibile in quanto immerso a metà, e i due mulini medievali, oggi sommersi, di cui uno mostra resti di pale che azionavano le macine, l’altro, meglio conservato, è la struttura più affascinante e articolata, nonostante abbia subìto il crollo di un arco con il sisma aquilano del 2009. «Questo lago ha le caratteristiche dei bacini lacustri di alta quota, a oltre 1800 metri, mentre qui siamo a circa 300 metri» spiega Cetrioli, rivelando che la visibilità nelle acque cristalline, dalla profondità di 6 metri, resta chiara anche a distanza di 35-70 metri «ed è proprio questo aspetto che lo rende unico». Una caratteristica che affascina moltissimi esperti visitatori con pinne e bombole. «La temperatura nel lago resta sempre costante tra 8 e 10 gradi» precisa, aggiungendo che i periodi migliori a Capodacqua sono durante le stagioni invernale e primaverile, quando l’escursione termica tra dentro e fuori l’acqua è minima. Un’esperienza che è possibile effettuare nei week end solo su prenotazione e sotto la guida dello staff dell’Associazione, la cui sede è all’Aquila. Un’attività accessibile anche ai portatori di handicap, ognuno dei quali, sempre dopo aver frequentato un corso, viene accompagnato dall’inizio alla fine dell’immersione nel lago dall’istruttore preparato con tanto di certificazione, che si trova affissa in bella mostra sulle pareti del chioschetto nell’area verde recintata. Tra premi, riconoscimenti e articoli di giornale che raccontano il record mondiale di apnea lineare sotto i ghiacci a 85 metri conquistato proprio da Dante Cetrioli. Luoghi incantati questi che hanno prestato, nel 2007, la magia degli scenari intrisi di storia alla celebrazione delle nozze di una coppia di sommozzatori romani: prete, sposi e invitati con muta e bombole si immersero per il fatidico “sì” pieno di fascino e originalità, tra resti archeologici, vegetazione dai colori cangianti e trote che solitamente si nascondono sui fondali in presenza umana. Straordinario angolo d’Abruzzo, dunque, che ammalia con la sua storia sopra e sotto il lago. Associazione sportiva Atlantide Sub Scuola Sommozzatori Via Caprini, 8 L’Aquila 67100 mobile 347 342 0185 www.atlantidesub.com 52 Capo d’Acqua’s Lake is an artificial lake situated between the village of Capestrano and the archaeological area of Aufinum. Generally unknown to most people, it is nevertheless the favourite destination of passionate scuba divers and underwater photographers from all over the world. This lake hides some amazing submerged treasures among which the most fascinating are two ancient mills still standing as old structures built in stone, and the earlier river bed. Despite the fact the lake is only at 300 mts above the sea level, it holds the characteristic of having a high visibility, up to 6 mts of depth, which is otherwise typical of high mountain’s lakes. A sport association named “Atlantide”, and based in L’Aquila, runs the lake’s activities since 2004. Immersions last each about 40 minutes and take compulsory to hire a guide, as well they are necessarily to be planned and booked in advance. The experience is allowed only to trained and licensed scuba divers. Best time for immersions is during spring and summer. AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 53 Rafting sull’Aventino Un’avventura straordinaria per adulti e bambini. Testo di Riziero Zaccagnini foto Abruzzo Rafting 20 53 “Un valore importante per noi è che le persone che lavorano per l’Abruzzo Rafting sono della zona. Questo non è solo per la sostenibilità della società, ma anche per fornire opportunità ai giovani di sviluppare una professionalità e avere un impiego. Abbiamo condotto due corsi di guide cui hanno partecipato 40 persone. Dopo questa esperienza, 6 abruzzesi hanno ricevuto la certificazione dalla Federazione Italiana Rafting (FIRAFT)”. AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 54 54 55 Pratola Peligna), Paolo e Preamina fondano Abruzzo Rafting. Settemila clienti in due sole stagioni, italiani e stranieri, per un centro rafting capace di incontrare le esigenze dei canoisti più esperti e dei turisti desiderosi di un’esperienza originale in piena sicurezza. L’Aventino è il fiume ideale. Lunghi tratti di letto ampio e acque dolci che si alternano a curve repentine, piccole rapide e slalom tra le rocce, discese divertenti e sicure, in un ambiente incontaminato, guidati sempre da professionisti qualificati. “L’unico rumore è quello dell’acqua che scorre e lentamente ci trasporta verso valle”. È previsto anche un programma specifico dedicato ai meno esperti, alle famiglie accompagnate da bambini, una discesa di un’ora e mezzo lungo il tratto più morbido dell’Aventino. Ma sono possibili anche escursioni in gommone, rafting notturni, discese e lezioni di kayak, teambuilding, educazione ambientale, acqua trekking a piedi nel letto e sulle sponde del fiume, per ridiscendere lasciandosi trasportare dalla corrente. Un pacchetto speciale è dedicato alle scuole, con un programma didattico alla scoperta del fiume, della flora e microfauna, con piccole escursioni su gommoni. Tra le proposte originali c’è anche “l’addio al celibato o nubilato”, bottiglia di spumante compresa. “Tante iniziative, con l’unico fine di far conoscere le meraviglie dell’Abruzzo” nello splendore della Maiella, in una “terra vicina, verde, a misura d’uomo”, incontrata scivolando sulle acque dell’Aventino. 5 La discesa Nome: Rafting classica durata: circa 1.5 ore difficoltà: livello rapide, 2 e 3. (adatta anche ad inesperti, comprese famiglie con bambini piccoli) descrizione: Dopo la registrazione alla base del centro rafting e il cambio degli indumenti con attrezzatura nautica, i furgoni trasportano i clienti circa 5 chilometri più su, nel luogo dell’imbarco. La discesa sul fiume avverrà su gommoni per ognuno dei quali l’equipaggio è composto da una guida esperta e sei ospiti; prima di intraprendere la discesa, all’imbarco verrà svolta una lezione sulle tecniche per pagaiare e sulle regole del rafting che i clienti dovranno rispettare. Durante la discesa, il gommone si ferma un paio di volte per una nuotata nel fiume in totale sicurezza. Al rientro al centro rafting sono a disposizione docce, strutture per picnic, barbecue e un piccolo bar. Abruzzo Rafting Contrada Forconi, Frazione Ciclone Civitella Messer Raimondo (CH) www.abruzzorafting.com e-mail: [email protected] Tel: +39 327.2819191 (italiano e inglese) Orari d’apertura (a partire da Aprile) Lunedi - venerdi: 9am - 6pm Sabato - domenica: 9am 6pm Prima discesa alle 09.00 Ultima discesa alle ore 18.00 5 Paolo, milanese, e Preamina, malese: una carriera nella cooperazione internazionale, una vita sospesa tra gli Stati Uniti e le continue missioni all’estero, e una passione, il kayak. Nella primavera del 2011 Paolo giunge in Abruzzo per provare una discesa sull’Aventino. Il comune di Civitella Messer Raimondo pubblica un bando per l’assegnazione di una struttura lungo il fiume, usata come centro rafting alcuni anni prima. Due mesi dopo, la prima discesa aperta al pubblico; un esperimento di un mese per provare che diventa lavoro e investimento sul futuro. “Un’esperienza entusiasmante, durante la quale abbiamo scoperto e apprezzato la bellezza e la gente d’Abruzzo”. Nel 2012, assieme a due partner abruzzesi, Cristian Borrelli ( presidente della Aventino Kayak Club) e Lorenzo Zarlenga (istruttore di kayak di AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 55 Il Wolf bike tour Turismo natura: una proposta dedicata agli appassionati di bici su strada di Tommaso Paolini * 20 55 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 56 Il tempo che viviamo è veramente difficile e il turismo potrebbe rappresentare lo strumento capace di riportare la nostra economia sulla strada virtuosa della crescita, della competitività e dell’aumento dell’occupazione: specialmente quella giovanile fortemente scolarizzata. Il turismo come fenomeno generale nel 2013 non è riuscito a confermare le performance conseguite nell’anno precedente. C’è però una tipologia che da molto tempo: o da sempre? si muove in territorio positivo ed è rappresentata dal turismo natura, da quel turismo cioè nel quale il turista ha come motivazione principale alla vacanza l’osservazione e il godimento della natura e della cultura tradizionale. Nel 2012, secondo l’11° Rapporto sul turismo natura, quasi 101,5 milioni sono state le presenze registrate nei parchi nazionali, in quelli regionali e nelle altre aree comunque protette, con un forte aumento della domanda estera e un fatturato che ha superato di molto gli 11 milioni di euro. Tra i parchi regionali e nazionali più richiesti dai tour operator: sia europei che d’oltreoceano, Il Parco Nazionale d’Abruzzo (che figura al 1° posto tra i parchi più richiesti dalla domanda organizzata domestica) si colloca all’8° posto, mentre il Parco Nazionale del Gran Sasso si colloca al 12° posto. Il Parco Nazionale della Majella a livello mondiale non è mai richiesto. Allo scopo di far conoscere questo bellissimo parco anche fuori dai confini nazionali e far scalare qualche posizione al nostro parco storico, abbiamo pensato di organizzare il Wolf Bike Tour: una due giorni ciclistica non competitiva adatta a tutti gli appassionati della bicicletta. Il 6 e 7 settembre prossimo porteremo a pedalare sulle strade dei nostri parchi tantissimi cicloturisti, molti dei quali stranieri, per far scoprire loro i paradisi naturalistici che vi sono racchiusi e i tanti paesi così belli così lindi che vi si trovano. La nostra speranza è quella che poi i cicloturisti, abbagliati dalle bellezze naturalistiche, accompagnati e coccolati dallo spirito ospitale delle nostre genti e abituato il palato al gusto particolare dei nostri prodotti tipici, tornati a casa conservino non solo la memoria della vacanza attiva pensando di ripeterla una o più volte l’anno, ma ne parlino ai parenti, agli amici, ai colleghi di lavoro, ai conoscenti in una sorta di passaparola positivo che possa rappresentare la scintilla per dare l’avvio a un circolo virtuoso e mettere in moto uno sviluppo endogeno, garanzia di un livello di benessere duraturo della popolazione. In ogni paese attraversato faremo sosta nelle zone più caratteristiche e di pregio per fare apprezzare ai partecipanti i prodotti tipici del territorio e dare evidenza e mercato a quelli dell’artigianato locale. *Coordinatore scientifico dell’Osservatorio sul Turismo Natura AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 57 La “Strada Maestra” nel parco Nazionale del Gran Sasso Monti della Laga di Valeria Notarmuzi A I PIEDI del Corno Grande, nel cuore del Parco nazionale Gran Sasso e Monti della Laga, si colloca una delle aree più interessanti del Parco, il Distretto denominato “Strada Maestra” dove i massicci montuosi del Gran Sasso e dei Monti della Laga vengono a contatto, sovrapponendo due litotipi diversi, i bianchi calcari del Gran Sasso con le arenarie tipiche del bacino della Laga. Questi due terreni offrono paesaggi completamente diversi, da quelli aspri e acclivi del massiccio del Gran Sasso, alle forme più modellate e dolci della Laga. In questo scenario si muovono interessanti itinerari in mountain bike con diversi livelli di difficoltà. Vi proponiamo tre itinerari con partenza da Prati di Tivo, località sciistica in provincia di Teramo. A percorso facile Il primo percorso è un anello che va dalla stazione sciistica Prati di Tivo (TE) e l’abitato di Pietracamel. Di lunghezza 3,44 Km e un dislivello di 105 m, tocca la quota massima di 1469 m. Si percorre in 45 minuti circa e si svolge prevalentemente su terreno asfaltato. Adatto a tutti. B percorso medio Il secondo percorso da Prati di Tivo al Rifugio del Fontanino è lungo circa 5,28 km si snoda su un dislivello di circa 210 m toccando la quota massima di 1646 m; si percorre in circa 2 ore considerando il tempo di andata e ritorno, pedalando per circa il 50% su asfalto e il 50 % su terreno naturale C percorso impegnativo Il terzo itinerario va dalla stazione scistica di Prati di Tivo a Pietracamela. Il tracciato copre un dislivello complessivo di 422 m toccando la quota massima di 1469. Si percorre in circa 2 ore. Per i più esperti, si pedala quasi al 100% su terreno naturale. I dati e la cartografia sono scaricati dal «Parco Nazionale del Gran Sasso-Monti della Laga») 56 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 58 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 59 Trekking a Pizzo Intermesoli Scenari suggestivi e grotte da scoprire D al limite sud dell’abitato di Pietracamela si imbocca il S.I. (anche sentiero n.102) che percorre la Valle del Rio Arno in direzione sud; dopo circa mezz’ora, una minuta edicola votiva segnala la presenza di un incrocio da prendere a destra raggiungendo, quasi immediatamente, un piccolo ponte di legno che attraversa il fiume. Pochi minuti di cammino occorrono per arrivare a un nuovo e meno evidente bivio; svoltando a destra e allontanandosi dalla riva del Rio Arno, il sentiero, inerpicandosi ripidamente, raggiunge (c.a 10 minuti) un’ampia radura (1345m.) ai piedi di Colle Secco (destra). Verso Sud l’evidente e piramidale colle boscoso prende il nome di Colle Dell’Asino. Dietro di esso si ha una sorprendente vista delle tre vette che compongono l’imponente Pizzo Intermesoli, la meta del nostro trekking. Si prosegue lungo il solco terroso del sentiero che attraversa la radura e costeggia il bosco a destra, successivamente si penetra nella vegetazione di aceri, faggi e castagni intercettando una più ampia strada sterrata. Qui occorre fare particolare attenzione perché bisogna piegare verso sinistra, abbandonando l’evidente sentiero, per addentrarsi più profondamente nel bosco, aggirando in leggera salita il colle dell’Asino. La traccia è presente, ma appena avvertibile sul suolo e per orientarsi occorre fare affidamento sulle proprie capacità di osservazione per rintracciare la presenza di radi bolli gialli sui fusti dei faggi o di piccoli e distanti ometti di pietra. Aggirato il colle, il sentiero prende a salire con maggior vigore e sempre dirigendosi in direzione sud-est incontra una netta radura di forma quasi circolare detta Prato Tondo(1500m.). La traccia torna ad essere evidente e segue, brevemente, il bordo sinistro del bosco ritornando immediatamente in esso fino a raggiungere il limite di una profonda scarpata, quindi piega verso destra, seguendo il bordo del fosso e impennando bruscamente; dopo 15 minuti si torna ad uscire dal bosco ai piedi del ripido e roccioso Picco Dei Caprai (1947m.). La traccia torna a essere un chiaro sentiero che zigzagando aggira il Picco a destra, raggiungendo una conca detritica, che in primavera è frequentata soprattutto per la presenza dei ricercatissimi e gustosi orapi (spinaci selvatici). Si esce dalla conca percorrendo la traccia brecciosa sulla sinistra e successivamente piegando a destra si supera il grosso salto roccioso che sbarra il percorso. Infine dopo un ultimo breve tratto sul sentiero ora inerbito (c.a 5 min.), si arriva sul confine nord dell’ampia, suggestiva e nascosta Conca Del Sambuco, un gioiello glaciale, incassato a nord della vetta principale del Pizzo Intermesoli, molto noto agli sci alpinisti, ma quasi del tutto sconosciuto alla maggior parte degli escursionisti. Sulla sinistra della Conca, e incombente sulla Val Maone, si erge il remoto Picco Pio XI (2262m.); al centro si eleva la Vetta del Pizzo Intermesoli (2635m.) mentre a destra la Vetta Settentrionale Del Pizzo (2483m.). Il sentiero tracciato termina qui ma d’ora in poi la probabilità di smarrirsi è praticamente nulla. L’escursione prevede la rapida conquista delle vette dell’Intermesoli, ma vista l’eccezionalità dei luoghi si consiglia caldamente di effettuare una piccola e faticosa variazione risalendo il ripidissimo pendio erboso che conduce alla cima del Picco Pio XI. Affacciarsi sulle strapiombanti pareti dell’Intermesoli, godendo della splendida e inusuale vista della Val Maone, ma soprattutto dell’assoluta vicinanza dei due Corni del Gran Sasso, osservandoli da un luogo testo e foto di Piero Savaresi 58 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:01 Pagina 60 In fondo al crinale si perviene ad un passo che prende il nome di Sella Dei Grilli (c.a.2230m.): questo è un importante crocevia che ad ovest conduce verso la suggestiva Valle Venaquaro, a sud verso Pizzo Cefalone; si gira ad est ridiscendendo, ripidamente, il sentiero fino a raggiungere Campo Pericoli, una enorme valle glaciale circondata dalle vette più imponenti del Gran Sasso (Corno Grande, Pizzo Cefalone, Monte Aquila, Monte Portella). Il sentiero intercetta un piccolo bivio all’altezza della zona denominata “le Capanne”, un luogo dove sono collocati i resti di antichi stazzi pastorali oramai abbandonati. Al bivio è necessario dirigersi verso nord, rapidamente (c.a 5min.) si entra nella Val Maone, una profonda valle coronata da pareti rocciose imponenti, ad ovest i pilastri dell’Intermesoli, spigoli e canali di pietra complessi ma apprezzati dagli alpinisti, ad est le pareti ed i valloni dei due Corni. Il lungo percorso che si snoda in quella che può essere definita tra le più belle valli del gruppo montuoso permette di ammirare dal basso tutta la maestosità che caratterizza questo angolo di Abruzzo, il tracciato che attraversa questi luoghi è molto frequentato e non di rado si incontrano numerosi e consistenti gruppi di persone dirette al noto rifugio Garibaldi (gestito dal CAI nei mesi estivi) sito in Campo Pericoli. Per i più volenterosi dopo 20 minuti circa (1680m.), a sinistra, subito dopo una grande macchia boschiva è possi- bile visitare la «Grotta Dell’Oro»; leggenda vuole che in quella zona, il prezioso metallo giallo fosse presente e luccicante, scatenando una forsennata corsa al minerale prezioso che si dimostrò vana, visto che il brillante materiale si rivelò della più semplice pirite. Proseguendo l’unico ed evidente tracciato a quota 1585m., si incontrano le sorgenti del Rio Arno; la valle acquista il nome del fiume che sorge da piccole cascate le cui acque vengono in parte intercettate da vecchie e dirute costruzioni in cemento e confluite in acquedotto. Successivamente, prima di un grosso bivio si svolta a sinistra (a destra l’ampio sterrato conduce alla nota stazione sciistica di Prati Di Tivo) e ci s’inoltra nel bosco, tenendo il bordo del fiume. Prima di raggiungere nuovamente l’abitato di Pietracamela si incontrano enormi megaliti franati dalle pareti rocciose vicine ed in successione i monumenti dedicati agli alpinisti Paolo Emilio Cichetti e Mario Cambi, morti durante una bufera nell’inverno del 1929. 5 Raggiungere Pietracamela Dall’autostrada A24 occorre uscire a Colledara e proseguire per Montorio al Vomano. Successivamente, percorrendo la Val Vomano lungo la S.S.80 si raggiunge il bivio per Pietracamela e Prati di Tivo. Dall’Autostrada A14 occorre uscire per Teramo e successivamente per Montorio al Vomano, quindi proseguire come precedentemte indicato. È possibile parcheggiare l’auto alle porte del paese e percorrere le caratteristiche vie del centro montano fino all’imbocco del sentiero che costeggia il Rio Arno. Caratteristiche Trekking Tipologia percorso: Anello. Livello di difficoltà: EE (Escursionisti Esperti) Dislivello totale: 2065m. Lunghezza: 24.000m. Durata: 10h. Esposizione al vuoto: NO. Presenza sorgenti d’acqua: NO. 5 tanto poco conosciuto quanto meraviglioso è un’espereinza straordinaria. Un luogo affascinante, remoto e silenzioso, poco visitato ma assolutamente prossimo ad una delle più frequentate zone dell’Appennino Centrale. Ridiscendendo lo stretto Picco e tornando sul limite nord della Conca Del Sambuco si continua per via logica sul pendio di detriti rocciosi che risale verso est, guadagnando la lingua inerbita che conduce sulla cresta nord della Vetta Settentrionale dell’Intermesoli. La stretta, rocciosa linea di cresta permette di raggiungere, molto rapidamente (c.a 25min.) e comodamente, la Cima Settentrionale godendo della vista (ovest) del lago Di Campotosto. Aggirati a destra i massi che costituiscono la vetta, si prosegue lungo la linea di cresta che collega la cima settentrionale alla più nota, e un po’ più frequentata, vetta principale del Pizzo d’Intermesoli (c.a 1km.). Ora il sentiero torna ad essere visibile e il panorama torna ad essere più familiare. Dalla cima, contrassegnata da una piccola statuetta della Madonna, la discesa avviene inizialmente lungo un evidente e sufficientemente ampio sentiero che dirige verso sud, il quale, stringendosi per superare un importante bastione roccioso attraverso una stretta fenditura, sparisce. Si ridiscende intuitivamente l’ampio e instabile crinale di detriti dirigendo in direzione sud fino alla base di esso, dove il sentiero torna evidente sul terreno erboso. AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:02 Pagina 61 Primo Papa Celestino e gli eremi della Majella: una mostra a Roma Il mio borgo. Contest fotografico Tipici dei Parchi Transiberiana d’abruzzo. Si riparte Il salone dedicato ai Parchi e alle loro produzioni è giunto quest’anno alla seconda edizione, dopo il successo dello scorso anno. Si svolgerà all’Aquila dal 16 al 19 maggio e sarà incentrato su degustazioni, show cooking e laboratori del gusto; ci saranno anche mostre fotografiche, workshop e tra le novità di quest’anno Park on stage, un contest musicale dedicato ai parchi. Oltre alle consuete proposte di itinerari ed escursioni, ci saranno momenti di riflessione e dibattito incentrati sull’importanza strategica dei parchi italiani all’interno della direttrice del turismo natura. L’edizione ha avuto un importante riconoscimento: il patrocinio del Padiglione Italia dell’Expò di Milano 2015, il cui tema sarà dedicato all’alimentazione: Nutrire il pianeta. Energia per la vita. Si torna in vettura sulla Sulmona Carpinone. Finalmente dopo gli sforzi del comitato e le manifestazioni, le iniziative a sostegno di organizzazioni e associazioni riparte il treno che si arrampica sulla linea ferroviaria più scenografica d’Italia. A partire dalla metà di maggio riprenderà la normale circolazione dei treni turistici sulla storica linea, si potranno organizzare visite e percorsi turistici che vedranno coinvolti visitatori e appassionati italiani e stranieri. Da Sulmona a Pettorano sul Gizio, da Cansano al Bosco di Sant’Antonio e Campo di Giove, fino a Palena e Pescocostanzo, per ridiscendere a Castel di Sangro e Carpinone: boschi, pinete, faggete, colli e vallate, gallerie e saliscendi, ponti e caselli lungo la ferrovia dell’Appennino da scoprire dietro al vetro di un finestrino. Per informazioni e programmi http://www.tipicideiparchi.it/. 60 a «Majella: Domus Christi, Domus naturae. San Pietro Celestino ed i luoghi dello spirito. Fede, storia, tradizioni nel territorio del Parco”. Una mostra su papa Celestino V e gli eremi della Majella ospitata dal 3 al 28 aprile nella Sala del Coro dell’Auditorium Conciliazione. L’iniziativa e’ stata promossa dal Parco nazionale della Majella, in collaborazione con la Fondazione Telecom, la Fondazione delle Genti d’Abruzzo e la Sovrintendenza ai Beni Storici e Artistici d’Abruzzo. Alla scoperta, in una visione unitaria, dei tesori sconosciuti del Parco attraverso il filo conduttore dell’eremitismo. Sette sezioni ricche di effetti tecnologici, multimediali, sensoriali, visivi, con cui apprezzare ambienti e paesaggi abruzzesi e conoscere un fenomeno storico e culturale poco noto come l’eremitismo, che qui trovo’ uno dei luoghi di elezione sotto l’importante impulso e guida di Fra’ Pietro da Morrone. Un territorio che conserva, quasi intatti, i suggestivi insediamenti eremitici e monastici, immersi e incastonati alle pendici delle Montagne del centro Abruzzo, mostrando quanto siano parte integrante della cultura e della vita delle popolazioni locali e dell’intero contesto naturale. Un concorso fotografico dedicato ai borghi abruzzesi organizzato dalla web community Paesaggi d’Abruzzo, nell’ambito del progetto pilota promosso dalla regione e dall’ assessorato alle Aree montane. Hanno partecipato 269 concorrenti, 1190 foto inviate, 40 selezionate che sono state esposte in una mostra allestita all’interno del Castello Cantelmo di Pettorano sul Gizio. Scorci, paesaggi, tramonti, scale e piazzette, primi piani di fontane, vedute di tetti al tramonto, rue e chiostri francescani: sono alcuni dei soggetti ritratti nelle foto. Accomunati tutti dalla stessa identica passione, i fotografi hanno saputo interpretare al meglio l’idea degli organizzatori che si proponeva di promuovere attraverso l’immagine il patrimonio inesauribile di arte, storia e cultura dei nostri paesi. La mostra è stata inaugurata lo scorso 19 aprile e resterà aperta al pubblico fino alla fine del mese di maggio nella sala conferenza del castello di Pettorano . Per informazioni e immagini www.ilmioborgo.it; www.pettorano.com; www.paesaggidabruzzo.com. AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:02 Pagina 62 Le nuove tecnologie e la montagna Nuove professioni nei borghi appenninici di Marcello Bonitatibus La montagna è considerata soprattutto come “territorio sociale”, ci si riferisce cioè alle valenze sociali, culturali ed economiche che si esprimono in aree caratterizzate – e spesso condizionate – da una geomorfologia peculiare. La “tecnologia”, invece, è qui intesa come qualcosa che provoca un cambiamento nella vita dell’uomo, nei suoi comportamenti, nel suo modo di comunicare e nel suo modo di vedere se stesso, e non soltanto uno strumento, una macchina “neutrale”. Ed è considerata “nuova” non soltanto se prima non c’era, ma anche quando ha un carattere di novità, perché inserendosi nella vita di ognuno di noi, entriamo in simbiosi con essa, la ricomprendiamo e la vediamo come una protesi di noi stessi. Un esempio in tal senso può essere quello delle comunicazioni telefoniche mediante i dispositivi portatili, che hanno innovato il modo di telefonare consentendo di comunicare in mobilità e hanno, allo stesso tempo, modificato i comportamenti relazionali di ognuno di noi. Il giudizio sulla valenza positiva o negativa della nostre attuali relazioni lo lasciamo al lettore. Delineato il quadro di riferimento, si può fare un passo in avanti e ricordare sinteticamente gli elementi che caratterizzano i due 62 universi – montagna e nuove tecnologie – per poi prendere in esame come e in che misura esistano possibilità di interazione fra loro. Per quanto attiene la montagna, è noto il suo progressivo abbandono, registratosi in Italia negli ultimi 50 anni, e la conseguente sua marginalizzazione sociale ed economica. Ad una analisi superficiale sembrerebbe che tale processo sia destinato a continuare, poiché quasi tutti gli indicatori statistici orientano le previsioni in tal senso. Se invece si considerano con maggiore attenzione altri elementi, si può nutrire la speranza di “cambiare verso” e ricostruire un equilibrio territoriale fondato su nuovi paradigmi produttivi ed economici. È in tale prospettiva che le nuove tecnologie potrebbero avere un ruolo fondamentale. Queste, in particolare quelle basate sulla conoscenza e sullo scambio veloce ed efficiente di dati e informazioni, stanno determinando infatti un vera rivoluzione dei modelli produttivi e quindi economici. Perciò, rispetto al passato, oggi è sempre più importante “come” si produce e non “dove” si produce, il “dove” è rilevante solo se riferito alla “qualità” del luogo/spazio fisico in termini di benessere del lavoratore ma è un vincolo sempre meno importante per produrre, soprattutto beni e servizi immateriali o ad alto contenuto creativo. Più esplicitamente, un grafico, uno sviluppatore di software, ma anche un trader finanziario - per citare alcune professioni creative - può lavorare ovunque, e quanto più starà bene nel suo luogo di lavoro, tanto più sarà probabile che il suo prodotto/servizio sia competitivo. Prendere in considerazione questi cambiamenti può essere utile per innescare un processo attrattivo di nuova residenzialità nei centri di montagna, la cui attuale condizione di marginalità ha nello spopolamento l’indicatore più significativo. La possibilità di vivere e lavorare in un contesto capace di offrire una qualità della vita elevata dal punto di vista ambientale e naturalistico o attraverso il valore del vivere in comunità piccole e per questo più coese, può infatti essere una formidabile leva per indurre lavoratori creativi a trasferirsi nei borghi oggi in deficit demografico. Perché questa ipotesi si concretizzi è però necessario che i lavoratori creativi (e famiglie) siano messi in condizione di godere di una qualità della vita di fatto omogenea a quella dei centri urbani in termini di accesso ai servizi ma, soprattutto, siano messi in condizione di lavorare. In altri termini, è necessario dare loro la possibilità di scambiare velocemente e in modo efficiente dati e informazioni, come si è visto, elementi caratterizzanti il lavoro creativo. In ogni caso è necessario utilizzare le nuove tecnologie e in particolare la rete internet in banda larga. Dove questo obiettivo è stato perseguito i risultati non si sono fatti attendere. È il caso di Colletta, una frazione del comune di Castelbianco, in Liguria. Il borgo medievale era stato gradualmente abbandonato intorno al 1887 a causa di un devastante terremoto. Oggi è tornato a nuova vita grazie ad una ristrutturazione che, nel rispetto della bellezza delle antiche scale in pietra e dei soffitti a volta, ha incorporato nelle abitazioni, in modo discreto, l’alta tecnologia contemporanea. Gli appartamenti sono interamente cablati in fibra ottica per offrire ai residenti e agli ospiti in vacanza l’accesso alla più recente tecnologia delle telecomunicazioni e del divertimento. La possibilità di essere connessi con il mondo e contemporaneamente avere una qualità della vita soddisfacente, ha richiamato decine di lavoratori creativi da molti paesi europei, che nel borgo ligure si sono trasferiti stabilmente, e indotto flussi turistici prima inesistenti. AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:02 Pagina 63 Internet e banda larga: un aiuto arriva dall’Unione europea L’importanza della banda larga e dell’internet veloce quali strumenti necessari per ridurre lo svantaggio delle aree marginali nonché volano di nuove forme di sviluppo economico, è riconosciuto anche dall’Unione Europea nella “Agenda Digitale Europea”. Con questo strumento programmatico la UE definisce tre obiettivi: entro il 2013, la totalità della popolazione deve avere accesso alla banda larga base; entro il 2020, il 100% della popolazione deve avere accesso a servizi a larga banda in grado di raggiungere velocità fino a 30Mbps; entro il 2020, almeno il 50% della popolazione deve essere abbonato ad un servizio a larga banda ultra-veloce in grado di raggiungere una velocità di almeno 100Mbps. Gli obiettivi posti dalla UE sono stati condivisi con gli Stati membri che hanno attivato delle “Agende digitali” nazionali, finanziate in gran parte con fondi comunitari ed in parte con risorse proprie. Purtroppo, però, l’Agenda Digitale italiana è in ritardo sulla tabella di marcia che pure il nostro paese ha condiviso. Lo afferma Francesco Caio, Commissario di Governo per l’attuazione dell’Agenda Digitale, nel rapporto presentato il 30 gennaio scorso. A dicembre 2013, ad esempio, la copertura della larga banda base è pari al 98,4% (lorda) delle unità abitative; rimangono 2 milioni di linee problematiche, in parte servite da soluzioni wireless e satellitare. È superfluo sottolineare dove siano queste linee problematiche: tutte in territori marginali. Comunque, il dato consentirebbe all’Italia – anche se in ritardo - quasi il pieno conseguimento del primo degli obiettivi fissati dalla UE. Tuttavia, considerando il secondo degli obiettivi fissati dall’Unione, il rapporto Caio evidenzia che le prestazioni di rete in Italia collocano la banda erogata nel nostro Paese tra le più basse in Europa e nel Mondo. E se questo si registra a livello nazionale si può immaginare quale sia la prospettiva per i territori montani e marginali. Considerando il terzo obiettivo europeo, il rapporto ha una visione ottimistica: entro il 2016/17 la copertura di reti che possano erogare 30Mbps dovrebbe attestarsi attorno al 50% delle linee fisse in Italia (23,4 milioni) – soprattutto nelle aree a più alta densità abitativa - a seguito dei piani di investimento degli operatori privati, dello Stato centrale e delle amministrazioni regionali. In sintesi si può affermare che, nonostante le scelte strategiche dell’Unione Europea, le ingenti risorse economiche impegnate a livello comunitario e nazionale per la diffusione della banda larga e larghissima, il digital divide, fra aree marginali e aree metropolitane – almeno in Italia – è destinato a persistere. È possibile evitare che questo accada ma è necessario che gli amministratori locali e tutti coloro che in territori marginali vivono o lavorano, acquisiscano piena consapevolezza dell’importanza strategica delle reti di comunicazione a banda larga e larghissima quale strumento per superare la propria condizione di svantaggio. COPERTURA BANDA LARGA ABRUZZO Popolazione Residente (milioni): 1,313 Copertura Banda Larga (ADSL): 86,2% Banda Larga (solo wireless) (*): 6,1% Divario digitale (**): 7,7% (*) disponibile solo copertura mobile 3G/4G (**) velocità di connessione inferiore a 2Mbps Con riferimento alla popolazione residente regionale (1,313 milioni), l’ 86,2% risulta coperto da banda larga da rete fissa in tecnologia ADSL; a questa va sommata una ulteriore quota pari al 6,1% di copertura solo da connessione wireless. Il restante 7,7% rimane in digital divide, ovvero con disponibilità di velocità di connessione inferiore a 2Mbps. Fonte: Ministero dello Sviluppo Economico (http://www.sviluppoeconomico.gov.it/index.php? option=com_content&view=article&idarea1=1701&idarea2=0&i darea3=0&idarea4=0&andor=AN D§ionid=0&andorcat=AND& partebassaType=0&idareaCalen dario1=0&MvediT=1&showMenu =1&showCat=1&showArchiveNe wsBotton=0&idmenu=2509&id= 2019467&viewType=0) Banda Larga (ADSL) Banda Larga (solo Wireless) (*) Digital Divide (**( 63 AEA_2014_v10_definitivo.qxp_Layout 1 05/05/14 11:02 Pagina 64 L’ultima estate Storia di due pastori della Maiella di Marcello Bonitatibus 5 La favola pitagorica, Giorgio Manganelli Adelphi 2003 Il trionfo della morte, Gabriele D’annunzio Oscar Mondadori 1989 Le vergini delle rocce, Gabriele D’Annunzio Oscar Mondadori 1989 La fiaccola sotto il moggio, Gabriele D’Annunzio Oscar Mondadori 1989 Attraverso gli Appennini e le terre d’Abruzzo, Estella Canziani, Synapsi Editore 2008 Lu libbre d’Ottavie, Ottavio Giannangeli DiCioccio Editore 1979 Lettera alla posterità, Ottavio Giannangeli Nova italica 1989 Vino generoso, Italo Svevo Wingsbert House 2014 Giallo su giallo, Gianni Mura Feltrinelli 2008 Il segreto del bosco vecchio, Dino Buzzati Oscar Mondadori 2012 Uomini, boschi e api, Mario Rigoni Stern Einaudi 1979 Marina Bellezza, Silvia Avallone Rizzoli 2013 Il pranzo di erbe, Jonh Verney Quale vita edizioni 2014 Viaggio in Italia, Mario Soldati Sellerio 2006 Storia dell'architettura in Abruzzo, 3 volumi, I.C. Gavini, Costantini, 1980 I L VOLUME L’ULTIMA ESTATE di Bruno D’Amicis e Luca del Monaco (Edizioni MAC, 2013) utilizza prevalentemente immagini – anche se una preziosa chiave di lettura ci è data dai testi di Francesco Sabatini, Aurelio Manzi e Antonio Di Fonso - per illustrarci il territorio della Maiella ma, soprattutto, per raccontarci il mondo di due uomini che con la “montagna madre” continuano a vivere in simbiosi. Domenico Di Falco e Marco Ultimo, epigoni di quel mondo pastorale abruzzese, da alcuni mitizzato romanticamente e da molti utilizzato come spiegazione dell’arretratezza economica della regione o del carattere “chiuso” dei suoi abitanti. Falsi stereotipi che, come scritto dallo storico Costantino Felice, resistono ancora oggi grazie anche ad alcuni dei grandi intellettuali abruzzesi del passato come Gabriele D’Annunzio o Ignazio Silone. Le foto di D’Amicis e Del Monaco non sono però stereotipate, non mistificano la realtà che documentano ma la interpretano, con un approccio quasi etnografico e la consapevolezza che la realtà è troppo vasta per poter essere descritta integralmente. Bruno e Luca hanno cercato di fissare nelle immagini ciò che Domenico Di Falco e Marco Ultimo sono nel loro mondo e poi di proiettare queste persone in un altro mondo, il nostro mondo, in modo che noi possiamo comprenderlo. Un lavoro che li colloca sicuramente nell’ambito della categoria dei fotografi documentaristi ma che li accomuna, per il metodo utilizzato, anche a quella dei ricercatori sociali. Molto spesso i fotografi documentaristi non considerano seriamente una problematica che è invece ben presente a quanti fanno ricerca sociale, cioè il significato dei mutamenti comportamentali determinati dalla macchina fotografica sui soggetti che fotografano. Non considerano che mettersi dietro la macchina fotografica cambia molti aspetti della loro interazione con gli altri, al punto da condizionare, più o meno esplicitamente, quanto intendono documentare. In altri termini, la presenza di un “estra- neo” – a maggior ragione se si pone nella posizione di colui che registra come fa un fotografo – modifica la realtà umana osservata (fotografata) al punto che questa non sarà mai pienamente corrispondente a quelle che erano le intenzioni. Ancora più chiaramente, non solo la presenza del fotografo modifica le cose, ma anche la presenza dell’antropologo ha questo effetto, e altrettanto avviene per la presenza del parroco, di una suocera, di una fidanzata o del funzionario del fisco. Una risposta che la fotografia (ma anche per la cinematografia) ha dato a questa problematica è costituita dalla macchina fotografica o dalla cinepresa nascosta, capace di penetrare al di la delle maschere che le persone portano abitualmente come membri di una società. Ne sono un esempio le famose candid camera di Nanny Loy o, per restare alla fotografia, la serie di foto che Walker Evans, scattò nella metropolitana di New York a soggetti inconsapevoli e pubblicate in un libro dal titolo “Many are called” nel settembre 1966. Le valenze leggermente voyeristiche di questa tecnica, tuttavia, mettono a disagio non tanto i fruitori delle immagini “carpite” quanto, soprattutto, coloro che mediante le immagini intendono fare ricerca sociale con metodo scientifico, poiché mette in discussione uno dei cardini su cui quest’ultima poggia: la qualità interattiva della esistenza umana. In questi errori non sono caduti Bruno D’Amicis e Luca del Monaco. Le foto dei due pastori che ci propongono nel loro libro, infatti, non sono “pose” falsamente rappresentative di una realtà che è stata condizionata dalla loro interazione con i pastori stessi, né suscitano uno stupore pruriginoso in quanto non sono state “carpite” all’insaputa dei soggetti fotografati. Nel corso di quella Ultima estate Bruno e Luca hanno messo in secondo piano il ruolo di fotografi per mettere in evidenza quello di persone che anche se momentaneamente e in modo parziale – rappresentavano una presenza sociale nel mondo di Domenico Di Falco e Marco Ultimo che con questi ultimi, inevitabilmente, iquesto approccio “antropologico” derivi da una scelta, fin dagli inizi, consapevole degli autori non è dato sapere. È però sicuro che a lavoro concluso, D’Amicis e Del Monaco evidenziano quanto sia importante utilizzare il metodo della “osservazione partecipata” proprio delle scienze sociali, anche nel campo della fotografia documentarista quando affermano che “non c’è la farai mai ad arrivare ad uno stazzo di pecore con la macchina fotografica al collo, pensando di iniziare subito a scattare. Occorre farti come prima cosa annusare e accettare (a sangue freddo!) dai mastini abruzzesi che si avventano abbaiando contro di te, così come bisogna che ti presenti per bene al padrone di casa. E questo prima di ogni altra cosa. Poi, ci vuole un bicchiere di vino o due e qualche ora di conversazione, la promessa di tornare a trovarlo. (…) Spesso la macchina fotografica resta nello zaino e, allora, aiuti il pastore a radunare il gregge al tramonto, a raccogliere legna per il fuoco o a metter su la macchinetta del caffè. Il fotografo in te smania, ma un certo sesto senso ti dice che non è ancora il momento. A un certo punto sarà proprio lui, il pastore, a chiederti del tuo lavoro e perché non scatti qualche foto. Inizia così un rapporto stretto, di mani tese ad aiutare, di orecchie aperte per ascoltare, con l’occhio sempre attaccato al mirino della fotocamera”. Se il ricercatore sociale può anche essere disponibile a subordinare l’estetica del medium al contenuto che con esso intende documentare, quasi sempre un fotografo pone maggiore attenzione alle valenze estetiche del proprio lavoro. D’Amicis e Del Monaco, pur essendo prima di tutto fotografi, non hanno però mai sacrificato valore documentale all’estetica della foto. Tutte le immagini che ci propongono ne L’ultima estate mantengono un prezioso equilibrio fra i due elementi. Il risultato è stupefacente per gli effetti cromatici e di luce ma anche per il mondo che con questi effetti ci si racconta. 5 copertina.qxp_copertina_AEA_2014 28/04/14 12:05 Pagina 2 copertina.qxp_copertina_AEA_2014 28/04/14 12:05 Pagina 1 AèA AA abruzzoèappennino AprIlE/MAggIO 2014 1 abruzzoèappennino lA rIvIstA DEll’AppENNINO AbruZZEsE AprIlE/MAggIO 2014 MAC EDIZIONI 01/14 www.abruzzoeappennino.com Storia di copertina Cocullo Prima della festa. Storia di un serparo Raiano All’ombra dei ciliegi in fiore Protagonisti I cordai di Salle Paesaggi Storie e leggende delle terre di confine Sport e natura Bike in libertà Endurance Rafting