Centro Francescano di Studi sul Mediterraneo Cognitio cum dilectione 2 collana diretta da Errico Cuozzo ISBN 978-88-903688-1-3 © Centro Francescano di Studi sul Mediterraneo E’ vietata la riproduzione totale o parziale da parte di terzi. CEFRASM - Centro Francescano di Studi sul Mediterraneo Convento San Francesco a Folloni, via san Francesco s.n.c., 83048 Montella (AV) [email protected] Il materiale fotografico riprodotto nel testo, ove non diversamente specificato è opera dei singoli autori. Il materiale fotografico riprodotto nelle tavole, ove non diversamente specificato, è opera del curatore del presente volume. In copertina: particolare tratto dal Ms. BNF, fonds ital. 973, De pratica seu arte tripudii di Guglielmo Ebreo da Pesaro (1463), f. 21v, dal Catalogo della mostra Gardens and Ghettos, VIVIAN B. MANN (a cura di) (1989), Berkeley, University of California Press. Redazione editoriale Gemma Teresa Colesanti Marina Sarto Impaginazione a cura di Fulvia Sarto Stampato nel mese di ottobre 2010 presso la Tipografia Dragonetti l.go Piediserra, 10, 83048 Montella (AV) [email protected] Le usate leggiadrie I cortei, le cerimonie, le feste e il costume nel Mediterraneo tra il XV e XVI secolo Atti del convegno - Napoli, 14 /16 dicembre 2006 a cura di Gemma Teresa Colesanti Centro Francescano di Studi sul Mediterraneo MONTELLA (AV) 2010 Comitato scientifico Brian Catlos University of California, Santa Cruz Gemma Colesanti Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo - CNR Errico Cuozzo Università Suor Orsola Benincasa, Napoli Gugliemo de’ Giovanni Centelles Accademico Pontificio José Manuel Gironés Diretto del centro UNESCO, Valencia Bernardette Martin-Hisard Maître de conférences à l’Université Paris I Panthéon - Sorbonne Jean Marie Martin École Française de Rome CNRS Tanja Michalsky Kunstgeschichtliches Institut - der J. W. Goethe Universität, Frankfurt Eduardo Mira Gonzáles Universidad de Alicante Eleni Sakellariu Università di Creta Gerardo Sangermano Università di Salerno Tino Santangelo Vicesindaco di Napoli Núria Silleras Fernández University of California, Santa Cruz Fra Agnello Stoia Frati Minori Conventuali di Napoli 7 Programma Le usate leggiadrie I cortei, le cerimonie, le feste e il costume nel Mediterraneo tra il XV e XVI secolo Napoli, Complesso Monumentale di S. Lorenzo Maggiore Giovedì 14 dicembre Saluti Fra Michele Alfano Ministro Provinciale dei Frati Minori Conventuali di Napoli Antonio Bassolino Governatore della Regione Campania Rosa Russo Jervolino Sindaco di Napoli Alberta De Simone Presidente della Provincia di Avellino Nicola Di Iorio Presidente Comunità Montana “Terminio Cervialto” José Manuel Gironés Diretto del Centro Unesco-València Presiede Anna Laura Trombetti Budriesi Università di Bologna Maria Giuseppina Muzzarelli Università di Bologna “Gentigli panni”. Uomini e abiti tra desiderio e mercato, critiche e regole. Laura Sciascia Università di Palermo Costumi di scena: moda e regalità alla corte di Barcellona. 8 Roberta Orsi Landini CIETA, Centre international d’étude des textiles anciens, Lione Influenze mediorientali sul costume occidentale tra Umanesimo e Rinascimento. Doretta Davanzo Poli Università di Venezia “...sponsa possit habere...qualem caudam voluerit”. Costumi nuziali a Venezia nei secoli XIV e XV. Presiede Fra Bernardino Fiore Frati Minori Conventuali di Napoli Elisa Varela Rodríguez Universitat de Girona La moda e la circolazione dei tessuti nei paesi della Corona d’Aragona. Francesca Pirodda Soprintendenza BAPPSAE delle province di Sassari e Nuoro Il Rinascimento in armi su un velluto del XVI secolo nella Sardegna nord-occidentale. Venerdì 15 dicembre Presiede Paolo Cammarosano Università di Trieste Michele Bernardini Università Orientale di Napoli Le parate militari nel mondo ottomano e centroasiatico. Miquel Raufast i Chico CSIC - Institució Milà i Fontanars, Barcellona Las ceremonias de entrada real en la Barcelona bajomedieval: una interpretación visual. 9 Guglielmo de’ Giovanni Centelles Università Suor Orsola Benincasa, Napoli Trionfare a Roma. Nadia Zeldes The Hebrew University, Gerusalemme Dress, Dancing and Music: Aspects of Renaissance Culture among Sicilian Jews and Converts. Roser Salicrú i Lluch CSIC - Institució Milà i Fontanars, Barcellona Usi e costumi iberici agli occhi dei viaggiatori europei del Quattrocento. Patricia Almacergui Universidad Internacional de Cataluña, Barcellona La recepcion de los ambajadores castellanos en Samarcanda (1403). El viaje de vuelta de Ruy González de Clavijo. Aspasia Papadaki Università Aperta Ellenica, Atene Dagli eventi politici alle feste cretesi durante il dominio veneziano. Presiede Salvatore Fodale Università di Palermo Eduardo Mira Gonzáles Universidad de Alicante Alfonso il Magnanimo y Felipe el Bueno. Fastos y realidades de la Orden del Toisón de oro. Antonella Putaturo Murano Università Suor Orsola Benincasa, Napoli Uno spaccato della Napoli Aragonese nella cronaca figurata, ms. 801 Pierpont Morgan Library di New York. Joan Domenge i Mesquida Universitat de Barcelona La gran sala di Castelnuovo: uno spazio per la memoria dell’ “Alphonsi regis triumphus”. 10 Paolo Evangelisti Camera dei Deputati, Archivio Storico Costrure comunità, leggittimare la Corona. Metafore ed icone costitutive del discorso politico francescano tra Napoli e Valencia (XIII-XV sec.). Presiede Errico Cuozzo Università Suor Orsola Benincasa, Napoli Tavola rotonda Sabato 16 dicembre Presiede Blanca Garí de Aguilera Universitat de Barcelona Giancarlo Lacerenza Università Orientale di Napoli Un maestro di danze ebreo alla corte di Ferrante d’Aragona: Guglielmo da Pesaro. Francesco Paolo Tocco Università di Messina Gioco e fede nella Palermo quattrocentesca: i festeggiamenti dell’Assunta. Conclusioni Duccio Balestracci Università di Siena 11 12 Usi e costumi iberici agli occhi dei viaggiatori europei del Quattrocento Roser Salicrú i Lluch Institució Milà i Fontanals - CSIC (Barcellona)1 Durante il Quattrocento, la Penisola Iberica ricevette un flusso costante di viaggiatori, in primo luogo nobili, piccoli aristocratici, gentiluomini e cavalieri, quindi anche patrizi e borghesi, provenienti per lo più dai distinti territori del Sacro Romano Impero. Questi, come caballeros andantes imbevuti di quella mentalità così ben descritta da Huizinga ne L’autunno del Medioevo2, facevano il giro dell’Europa inseguendo le emozioni dell’“arte di cavalleria” non di rado accompagnati da grandi cortei, secondo lo status nobiliare e l’effettivo desiderio di avventure. Alcuni dei protagonisti di questa corrente che, in realtà, parte già della seconda metà del Trecento, nel tardo Quattrocento lasciarono delle relazioni dei propri viaggi3. Nella Penisola Iberica, come pure altrove, era il loro status o livello sociale quello che gli consentiva o meno di essere ricevuti nelle corti reali e principesche europee4. Spesso questi nobili e cavalieri facevano una sorta di giro turistico di corte in corte che gli permetteva di confrontare i propri cerimoniali con quelli delle corti che li accoglievano, senza risparmiarsi però le visite a quei luoghi che possiamo considerare i principali “siti turistici” del momento, ovvero i santuari e i luoghi di pellegrinaggio più famosi, quali Santiago di Compostella e Guadalupe, in Castiglia, o Montserrat, in Questo lavoro si iscrive nel progetto di ricerca approvato e finanziato dal Ministerio de Educación y Ciencia spagnolo La Corona de Aragón en el Mediterráneo medieval: puente entre culturas, mediadora entre Cristiandad e Islam (HUM2007-61131). Sono molto grata alle Dott.sse G.T. Colesanti e M.E. Soldani per la revisione del testo in italiano. 1 Huizinga (1998), ad esempio, per quanto riguarda all’edizione italiana. Vedasi anche Riquer (1965, 1967). 2 L’elenco più esaustivo di questi cavalieri è, al momento, quello pubblicato in Salicrú (2004), dove si menzionano le precedenti rassegne più note, quali Vielliard (1936), Vincke (1959) o Vendrell (1971). Per un repertorio generale, critico e bibliografico dei testi tedeschi, Paravicini (2001). 3 4 In particolare si veda Paravicini (2000) e Contamine (1982). 237 Catalogna. Divisa tra i regni di Portogallo, Castiglia, Navarra, Corona d’Aragona e Granada, nel tardo medioevo la Penisola Iberica acquistò per i viaggiatori, richiamati dalle tracce del passato islamico e da un presente ancora musulmano, un fascino particolare a cui si andava ad aggiungere la sua mediterraneità5. Perché consentiva, da una parte, di fare una visita cortigiana a Granada e di recarsi eventualmente sia nei sultanati di Fez, Tlemcen e Tunisi sia, dal 1415 in poi, nella Ceuta portoghese; dall’altra, in quanto offriva la possibilità di mettere in pratica, alle porte dell’Europa, il binomio del pellegrinaggio e della lotta contro gli infedeli inerente alla crociata, abbinando la visita a Santiago di Compostella con il coinvolgimento bellico nelle ostilità della frontiera castigliano-granadina6. I viaggiatori provenienti dal Nord dell’Europa non avevano soltanto una mentalità diversa, ma anche abitudini e valori assai dissimili da quelli osservati nell’Europa Mediterranea; così una volta arrivati, si stupivano sovente delle differenze di atteggiamento, abitudini, usi e costumi. D’altra parte, come figli della loro epoca, cercavano pure di dimostrare la propria superiorità attraverso i loro testi e narrazioni, ragion per cui le testimonianze scritte risultano intrise di pregiudizi, di disdegno della diversità e di una non appropriata valutazione della differenza. Di solito questi personaggi descrivevano senza cercare di capire, offendendosi facilmente di fronte ad atteggiamenti e a modi di fare a loro ignoti, fraintendendo e disprezzando tutto ciò che gli era sconosciuto, senza lasciarsi coinvolgere affatto da quanto li circondava7. Questa loro attitudine costituisce, però, un chiaro vantaggio per noi, perché ci consente di avvertire molto più facilmente alcune delle differenze che i nordeuropei percepivano nell’Europa Mediterranea e in particolare nella Penisola Iberica. Indubbiamente non abbiamo la garanzia che le loro narrazioni si soffermassero su tutto ciò che, di strano e scioccante, osservavano, ma viceversa è ovvio che almeno quanto di diverso e nega5 Secondo Schmugge (1997), p. 192, “le relazioni scritte consentono concordemente di riconoscere come quasi tutti i pellegrini tedeschi di qualsiasi ceto che varcavano le Alpi per la prima volta subissero una sorta di ‘shock culturale’ provocato dalle impressioni sconvolgenti del clima mediterraneo”. 6 Salicrú (2004), Salicrú (2007b). Nelle parole di Arnold Esch (Esch) (1991), p. 289 riportate da Schmugge (1997), p. 192, “in mancanza di un sistema concettuale sviluppato le osservazioni dei viaggiatori tardomedievali si servono spesso del confronto con ciò che è famigliare”. 7 238 tivo rilevavano li stupisse; pensavano poi che questo avrebbe potuto far rimanere stupefatti anche i loro compaesani, sicuramente ritenuti possibili destinatari e lettori di questi scritti. I testi di viaggiatori sui quali si richiamerà l’attenzione sono quattro. Il più antico è quello dei “Viaggi in cerca dell’ideale della nobiltà” del cavaliere svevo Georg von Ehingen8, che percorse la Penisola Iberica e visitò la Ceuta portoghese nel 1457, accompagnato dal cavaliere di Salisburgo Georg von Ramsyden e da un araldo. Il titolo del suo rapporto, sebbene attribuibile a un suo nipote, offre già una prima idea dell’impostazione dello scritto. Ehingen raffigura se stesso come animato da un ideale e da uno spirito militare-cavalleresco allo stato puro, che si traduce nella voglia di lottare contro gli infedeli tanto nella frontiera di Granada quanto a Ceuta. Di conseguenza, si attribuisce non di rado un protagonismo esagerato, completamente eroico ed epico, e il suo testo finisce per assumere un’aria smisuratamente fanfarona9. La seconda testimonianza è quella del viaggio di Leo von Rosmithal, nobile ceco cognato del re di Boemia Giorgio di Podiebrad da parte di sua sorella, che percorse la Penisola tra 1465 e 1467. In questo caso, non soltanto la narrazione del viaggio non è scritta in prima persona bensì in terza, ma se ne conservano due versioni, redatte da due persone diverse del suo seguito10. Come si confaceva all’alto lignaggio del personaggio, Rosmithal iniziò il suo viaggio in compagnia di una ventina di cavalieri, una cinquantina di cavalli, una carrozza e i propri servitori. Sebbene nel momento di attraversare i Pirenei si trovasse già senza la carrozza, era allo stesso modo accompagnato da una comitiva impressionante, che non poteva far altro che sconvolgere, al suo passaggio, gli abitanti dei luoghi che attraversava. La ragione ufficiale del viaggio di Rosmithal era il suo pellegrinaggio a San Giacomo di Galizia; ciò nonostante si ritiene che in realtà avesse anche obiettivi politici e religiosi: voleva probabilmente sondare il sostegno che suo cognato avrebbe ricevuto dalle corti europee nel conflitto che lo opponeva a papa Paolo II contro il movimento ussita. L’intenzione più Si veda, Paravicini (2001), p. 127-133, e per le traduzioni o frammenti di traduzione per la Penisola Iberica Fabié (1879), Letts (1929), García (1999) [1952], Ehrmann (1979), Herbers – Plötz(1998). 8 L’episodio più notevole diventa, indiscutibilmente, quello in cui racconta di aver risolto un presunto assedio di Ceuta con un suo scontro corpo a corpo con un musulmano quasi gigante; vedasi in García (1999) [1952], p. 232-233. 9 10 Paravicini (2001), p. 153-157. 239 chiara che animava il viaggio era nondimeno quella di percorrere il mondo partecipando a tornei e giostre e visitando le corti e i santuari che avrebbe trovato sul suo cammino. In questo caso le due narrazioni del viaggio pervenuteci permettono di osservare la differenza tra i racconti e valutare il tipo d’influenza che la condizione di ciascuno dei narratori ha avuto sul risultato. Una versione è redatta dal giovane boemo Venceslas Schaschek, probabilmente d’origine nobile, e l’altra da un eminente borghese di Norimberga, esperto in giostre e tornei. I due testi lasciano trapelare temperamenti completamente diversi. Innanzitutto, esiste il contrasto tra un giovane che non ha ancora girato il mondo e che quindi offre una sorta di racconto iniziatico e, d’altro canto, il racconto di un uomo maturo che ha già viaggiato e percorso grandi città e corti principesche. Possiamo quindi confrontare le due narrazioni: da una parte un testo più interessato alla descrizione impersonale, quasi privo di valutazioni soggettive di giostre, tornei e ricevimenti ufficiali, in cui l’autore si preoccupa di descrivere tutto ciò che scopre, meravigliandosi di fronte ad un mondo pomposo e magnificente; dall’altra un testo più breve, meno accurato, che è tuttavia più capace di raccogliere nel dettaglio le impressioni personali e le esperienze comuni del viaggio, un testo che potremmo definire più pittoresco, diretto e sincero. C’è però sempre, dietro Rosmithal, l’ironia del grande cavaliere nobile che cerca di essere ospitato e ben accolto nelle città opulente e nelle corti principesche, interessato quasi soltanto alle feste organizzate in suo onore e ai tornei che gli possono consentire di dimostrare il suo valore cavalleresco, ma che, tanto in Castiglia quanto nella Corona d’Aragona, si trova in realtà nel bel mezzo di terre agitate da lotte intestine e quindi incapaci di accoglierlo come avrebbe desiderato e meritato11. In terzo luogo, abbiamo a disposizione la testimonianza di Nikolas von Popplau, un nobile della Slesia che attraversò la Penisola Iberica negli anni Herbers – Plötz (1998), p. 102-103, Wolfzettel (2000), p. 442. Mentre il testo di Tetzel si conserva nella sua forma originale in tedesco, quello di Schaschek, scritto originalmente in boemo, ci è pervenuto attraverso una traduzione in latino stampata nel 1577 insieme ad un’edizione sempre in latino di Tetzel. Per le edizioni, traduzioni o frammenti di traduzione per la Penisola Iberica, si veda Bonnaffé (1970) [1895], Fabié (1879), Letts (1957), García (1999) [1952], Herbers – Plötz (1998). Rimando anche a Michaud-Fréjaville (1996, 1997), Colette (1991), Van Crugten (1976), Briesemeister (2005), Pardo De Guevara (2002), De Matos (1964), Zaragoza (1965), Hrubes (1971) e Rafaust (2007). 11 240 1484-1485, e che tra gli studiosi iberici è chiamato anche Popielovo12. Il suo racconto è molto più vicino a quello di Rosmithal che a quello di Ehingen, e diventa il più fecondo per quanto riguarda la descrizione dei cerimoniali di corte, soprattutto della corte portoghese. Infine, faremo riferimento al medico di Norimberga Hieronymus Münzer, molto più noto rispetto ai precedenti, che percorse la Penisola Iberica negli anni 1494-1495.13 La sua testimonianza ha un carattere assai diverso rispetto alle altre. Il profilo di Münzer non è più quello del nobile o del cavaliere tardomedievale ma dell’umanista curioso che osserva e non giudica, capace di accettare le differenze senza bisogno di criticarle, di ammirarle e di guardarle con gli occhi e la mente aperti pur non condividendole14. Insieme alla luce e al clima mediterraneo, all’occasione di visitare terre musulmane e alla possibilità di lottare contro gli infedeli, il viaggio attraverso la Penisola offriva ai viaggiatori del Nord Europa l’opportunità di osservare e di entrare in contatto diretto non soltanto con quanto rimaneva della più antica presenza musulmana, ma anche di far esperienza diretta della stessa con i mudéjares15. In particolare il vedere che, sia in Castiglia sia in Catalogna, Aragona e Regno di Valenza, cristiani e musulmani convivevano –o piuttosto coabitavano– gli uni accanto agli altri senza apparenti problemi, diventava per loro incomprensibile e scioccante. Sebbene spesso fosse trasmessa in modo confuso e completamente sbagliato, vi era certamente anche una componente di fascino per le tracce del passato e per l’esistente presenza islamica che i viaggiatori non sempre riuscivano a nascondere –e che, nel caso di Münzer, non si cerca nemmeno di mascherare–16. Quest’atteggiamento si verificava da una parte per la Paravicini (2001), p. 220-223. Per le traduzioni o frammenti di traduzione per la Penisola Iberica, si veda García (1999) [1952], Herbers – Plötz (1998). Rimando anche a Radzikowski (1998), Paravicini (2000) e Ladero (2000). 12 Paravicini (2001), p. 261-265. Per le traduzioni o frammenti di traduzione per la Penisola Iberica, si veda Pfandal (1920), García (1999) [1952] e Münzer (1991). 13 La contrapposizione tra i due distinti approcci nell’osservare le differenze, di Münzer e di Rozmithal, è perfettamente rifletta in Wolfzettel (2000). 14 Ovvero i musulmani che nei distinti regni iberici conservarono la loro libertà e la loro religione sotto il dominio cristiano. 15 Infatti in Münzer diventa difficile trovare qualche critica o rimprovero ai musulmani e alla loro religione. Münzer condanna soltanto una volta, e in modo lieve, il “falso” profeta Maometto, la cui legge è osservata dai musulmani “con tutta scrupolosità e devozione” (fatto che pare degno di ammirazione, cosicché sembra che Münzer voglia dare a intendere che i cristiani non abbiano la stessa encomiabile attitudine verso la propria religione), mentre tutta la cattiveria dei musulmani iberici 16 241 mancanza di comprensione e d’altra, perché i viaggiatori descrivevano le diverse realtà secondo i propri codici culturali, alterandone quindi il risultato. Se ci atteniamo alla testimonianza di Tetzel, la curiosità di Rosmithal –che non visitò Granada ma che senza dubbio ne sentì parlare e che conobbe le comunità di mudéjares– è evidente, giacché afferma che i “mori” gli consentirono di informarsi sulle loro abitudini e lo condussero a un loro “tempio”, e lì gli mostrarono l’acqua che usavano per lavarsi il viso, le ascelle e i piedi. Dentro il tempio non c’era nemmeno una pittura, ma soltanto tantissimi lampadari che dovevano rimanere accesi quando i mori pregavano o “gridavano”. C’era poi un’unica apertura con una volta nel muro al di sotto della quale si collocava il principale “sacerdote” quando officiava. Vi si situava lanciandosi poi sul pavimento, aprendo le mani e gridando allo stile “moro”, con gesti che tutti imitavano17. La descrizione della moschea e del modo di pregare è indubbiamente elaborata con disprezzo: l’interno del “tempio” è insensatamente vuoto, i musulmani gridano e si buttano in terra in modo insensato. Fin qui, però, troviamo un semplice adattamento descrittivo al linguaggio e ai codici culturali del narratore e dei possibili lettori: la moschea diventa chiesa, la preghiera ufficio divino e l’imam sacerdote. Invece, è infondato il riferimento fatto da Shaschek alla poligamia, assai poco diffusa tra i musulmani iberici18. A suo dire, ognuno dei saraceni avrebbe avuto sette mogli19: qualora una di queste non fosse stata più di suo gradimento, l’avrebbe potuta ripudiare per sposarne un’altra20. In questo caso, dunque, la realtà viene chiaramente manipolata, dal momento si riduce al modo in cui tengono in schiavitù e maltrattano i prigionieri cristiani nella Granada islamica: Era Granada cárcel horrible de cristianos, en la cual, por lo general, quince o veinte mil de ellos cada año se veían forzados a durísima esclavitud y arrastrando cadenas, a labrar la tierra como bestias, y a desempeñar los más inmundos trabajos; los cristianos con las cadenas, que hacía muchos años estaban aherrojados en aquellas durísimas mazmorras (Münzer) (1991), p. 125 e p. 117-119. L’assai ricca visione che Münzer offre della realtà islamica della Penisola Iberica meriterebbe, da sola, un approccio che qua, per ragioni di spazio, siamo soltanto in grado di abbozzare. 17 García (1999) [1952], p. 283-284. Si veda Marín (2000), p. 445-452. Come segnala l’autrice citando Daniel (1960), p. 135-161, la poligamia fece parte, tradizionalmente, degli argomenti usati nella polemica antimusulmana per abbassare l’altezza morale dell’avversario. Rimando anche a Ávila (1995). 18 19 In realtà, e come giustamente segnala Münzer (1991), p. 129, l’Islam consente solo quattro spose e non sette come indica Shaschek. 20 García (1999) [1952], p. 270. 242 che, pur accettando la possibilità della poligamia, la generalizzazione non può che essere ascritta a uno screditamento consapevole. Al contrario invece è veritiera la testimonianza per cui, quando i musulmani erano scontenti del loro re, lo detronizzavano o lo uccidevano mettendone un altro al suo posto, e che questo avveniva con frequenza21 – essendo riscontrabile in modo rilevante e quasi come luogo comune sia nelle cronache sia nelle fonti archivistiche coeve22 –: ha un motivato fondamento visto che le lotte intestine e gli omicidi in seno alla corte della Granada dei nazarì furono costanti per tutto il Trecento e il Quattrocento23. Seguendo questa visione spregevole dei musulmani, non stupisce affatto che l’argomento più comune per disprezzare le genti iberiche fosse la loro somiglianza e convivenza con i musulmani, una convivenza assai più riprovevole per i monarchi che per il popolo umile. Quando Rosmithal visitò la Castiglia, il paese si trovava in guerra civile. Senza dubbio lui si lasciò influenzare dai detrattori di Enrico IV che, per detronizzarlo, lo screditavano accusandolo di morofilia. Di conseguenza Rosmithal insistette quasi ossessivamente su quest’argomento: Enrico mangiava, beveva, si vestiva e pregava alla moresca; riceveva in udienza seduto per terra su tappeti alla moresca; dalla sua corte, piena d’infedeli, aveva invece espulso tantissimi cristiani cedendo ai mori le loro terre; era nemico dei cristiani; infrangeva i precetti della legge e conduceva una vita da infedele24. Pur essendo questi argomenti frutto di una sostanziale detrazione, vi era nel suo discorso un fondamento reale, conseguenza dell’importanza acquisita alla corte di Enrico dalla così detta guardia morisca, la guardia del corpo del monarca formata da rinnegati, cavalieri e mercenari musulmani, per lo più granadini25. Fu questa una delle critiche più diffuse 21 Ivi. Mentre nel 1447 la regina Maria, moglie di Alfonso il Magnanimo, dichiara che no és indubitat rey ne senyor de Granada, com los del dit regne sien en gran divisió, e los uns lo hagen per rey, los altres no (Salicrú) (1999), p. 422, a detta di Álvar García de Santa María intorno alla metà del Quattrocento, i granadini son gente movible, que de buen talante é amenudo mudan sus Reyes cuando han lugar para ello, e los moros más de lijero mudan los Reyes que las ropas (García) (1891), I, p. 332 e 364. 22 Per una ricostruzione generale degli agitati secoli XIV e XV nazarì, rimando a Ladero (1989) e Arié (1990) (sebbene non completamente aggiornati), o Salicrú (1998) e Vidal (2000) per il Quattrocento. Per il Trecento, Vidal (2004). 23 García (1999) [1952], p. 278. Si dovrebbe forse sottolineare una sfumatura importante, cioè che l’inclinazione di Enrico, così come descritta, è verso i musulmani e non verso la loro religione, l’Islam. 24 25 Relativamente alla guardia moresca di Enrico IV, si veda Echevarría (1995, 2001, 2006), López 243 e forti mosse contro di lui dai suoi nemici. D’altro canto l’influenza moresca che si faceva sentire in Castiglia sui vestiti e sul cerimoniale,26 dovuta alla prossimità della frontiera con l’Islam, ai costanti contatti e a forme di acculturazione, diede seguito a una lettura forse non positiva, ma almeno incuriosita, dei viaggiatori, soprattutto quando si traduceva in modo suntuario o visuale, in altre parole quando era percepita esclusivamente nelle forme esterne e non più nelle attitudini o nelle possibili convinzioni. Così, si parlava con ammirazione di un conte di Burgos che riceveva i visitanti con bellissime ragazze e signore raffinatamente abbigliate alla moresca che, seguendo in tutto e per tutto quell’usanza, ballavano danze molto graziose in stile moresco. A Medinaceli, dove un nobile ricevette Rosmithal e altri quaranta commensali a pranzo, i piatti furono serviti con una sorta di sfilata preceduta da trombette e clarini e da due mori con grandi tamburi secondo l’usanza moresca27. Rosmithal rimase inoltre sorpreso dal modo di cavalcare dei castigliani, chiamato alla jineta, che consisteva nel montare a cavallo a mo’ dei musulmani con le staffe molto corte e le ginocchia quasi sulla sella28. Come lui, altri viaggiatori europei che visitarono la Penisola Iberica, tra cui Popplau, misero in evidenza questa particolare forma di montare29 diffusa soprattutto in Castiglia e in Portogallo, indubbiamente risultato dell’acculturazione islamica, di secoli di contatto. Costoro rilevavano inoltre – in modo veritiero – che cristiani e musulmani fabbricavano allo stesso modo gli accessori per montare a cavallo, ovvero selle, freni, staffe e speroni, lavorati su oro e argento; che i nobili e i cavalieri competevano tra loro per avere i freni più lussuosi; che anche i loro migliori cavalli provenivano dalle terre degli infedeli30. De Coca (1996); su Enrico IV si vedano le sue biografie più recenti, quali Pérez-Bustamante, Calderón (1998), Sánchez (1999), Suárez (2001) e Martín (2003). 26 Arié (1997), Salicrú (2007a). 27 García (1999) [1952], p. 277, 283. Montan con los estribos muy cortos, y llevan las rodillas casi sobre la silla, como hacen los moros. L’agilità dei cavalli jinetes viene anche segnalata (no habiendo visto en mi vida caballos ni gente más ágil; caballos que llaman jinetes, que quizá no se críen de igual ligereza y gallardía en ninguna provincia de la cristiandad). Ivi, p. 256, 279. 28 29 montan los caballos en silla con muy cortos estribos. Ivi, p. 295. Sostiene Popplau che las sillas, frenos, estribos y espuelas las fabrican de la misma manera los cristianos que los paganos. Unos tienen sus monturas plateadas, y algunas doradas. Sus mejores caballos proceden de las comarcas cercanas paganas, y se llaman potros. El empeño entre ellos consiste en más lujosos frenos, que pagan a precios elevados (Ivi, p. 295), mentre Ehingen fa riferimento a lance e armi muy ricas y al estilo morisco, y hechas con 30 244 Certamente interessanti sono le differenze riscontrate nel cerimoniale liturgico segnalate da Shaschek, sebbene la loro attendibilità debba essere almeno messa in dubbio. Molte volte queste erano infatti vincolate a critiche assai negative rivolte a quei cristiani iberici che convivevano con gli infedeli e che, di conseguenza, si pensava ne fossero stati contaminati o che si presumeva, perlomeno, avessero stemperato il corretto modo di esprimere la propria fede e religione a causa di quell’influenza. Ad esempio gli abitanti della città di Olmedo, dove si trovava quel re Enrico così ben disposto verso i musulmani, “sono peggio degli stessi pagani perché, quando innalzano durante la messa il corpo di Cristo, nessuno s’inginocchia, ma rimangono tutti in piedi come animali sporchi”31. In realtà, concludeva Popplau, l’unica differenza tra saraceni e cristiani iberici si poteva percepire nella religione e non nell’educazione, nelle abitudini e nel comportamento. I cristiani praticavano molto male la loro fede; erano pochissimi quelli che confessavano i loro peccati, e ancora meno quelli che digiunavano. Ammettevano poi soltanto due peccati, rubare e uccidere, mentre tutto il resto (frodi, inganni, impudicizie, delitti e mancanze di ritegno) era accettato e rimaneva, dunque, impunito32. D’altronde, lo stesso giorno in cui i sacerdoti venivano ordinati e cantavano la prima messa e nei giorni successivi, laici e chierici passeggiavano in città al suono di trombette, ballando, cantando e facendo un gran chiasso, portando in processione il nuovo sacerdote. Un’abitudine simile era osservata durante i funerali. Quando qualcuno moriva si portavano in chiesa vino, carne e pane insieme ad altre pietanze, e i parenti del defunto seguivano le esequie indossando abiti bianchi e cappucci simili a quelli dei monaci, che si avvolgevano in un modo particolare. Invece, quelli che asgran maestría, muy fuertes y adornadas (Ivi, p. 233). Per dati realistici sullo scambio e circolazione di bardature, Salicrú (2007a), p. 96 e ss. 31 García (1999) [1952], p. 251. Ivi, p. 301. Popplau segnala anche che, con poche eccezioni, il clero di Siviglia (e qui si riferisce sicuramente al clero della Castiglia o della Penisola Iberica) non sa nemmeno parlare latino; che non ha incontrato da nessuna parte gente così sciocca e impertinente e che, se uno di loro era stato almeno una volta a Roma, credeva di possedere tutta la sapienza del mondo o d’averlo visto per intero. Al contrario Münzer, umanista e buon conoscitore del latino che in latino scrive persino il suo racconto di viaggio, non soltanto osserva che i Re Cattolici lo capiscono perfettamente –sebbene lo parlino raramente– e che pure gli spagnoli –essendo la loro lingua più vicina al latino che l’italiano– lo capiscono facilmente, ma che a causa di questo non si preoccupano di perfezionarlo. Münzer (1991), p. 271 e 277. 32 245 sistevano ai funerali “pagati per piangere” vestivano di nero e piangevano innalzando alte grida, come fossero stati allegri o ubriachi33. Probabilmente una delle cose più sorprendenti del racconto di Popplau è la possibilità di verificare che non vi fossero usi comuni in tutta Europa, neanche tra i ceti nobiliari e i circoli cortesi. Da una parte è chiaro che Popplau si sentiva molto confortato dal fatto che il re del Portogallo l’onorasse così tanto da farlo sedere a tavola sempre al suo fianco e da concedergli, in chiesa, di stare in piedi vicino allo scanno regio. Dall’altra, però, rilevava l’ignoranza dei cortigiani portoghesi; molti di loro, quando vedevano l’onorificenza o l’insegna imperiale che il cavaliere sfoggiava, gli domandavano se l’avesse attaccata da sé, “e così capii che quei signori non avevano perlopiù visto il mondo, perché non sapevano nulla di quanto conveniva ad un cavaliere”34. Il mancato riconoscimento delle insegne imperiali si doveva forse davvero al fatto che i cortigiani portoghesi non avessero girato il mondo35. Altri comportamenti sembrano però soltanto manifestazioni di codici di condotta e di espressioni corporali diverse, alcune delle quali ancora oggi costituiscono elementi di distinzione tra mediterranei e nordeuropei: la forma e l’intensità dello sguardo, la maggior abitudine e predisposizione al contatto fisico corporale... I portoghesi “si comportavano con me”, segnala Popplau, stando a corte e di fronte al re, “in modo veramente grossolano: mi guardavano così sfacciatamente, senza nascondersene, che il re, con i suoi occhi, parole e gesti, li allontanava da me per liberarmene (...). Quando rispondevo alle doman33 García (1999) [1952], p. 264. Anche se non sappiamo se ha un fondamento reale, secondo Popplau in Andalusia esisteva un modo particolare di far suonare le campane, che lui riconduce alla storia e alla vicinanza della frontiera con l’Islam, sebbene in questo caso senza nessun rimprovero: Tanto en la ciudad [Cordova] como también en todo el territorio de Lozia (Andalucía), no se tocan las campanas como en Alemania, Francia y otros países, en memoria de haber perdido allí los cristianos el reino de Granada; se dan golpes de martillos sobre las campanas, como se suele tocar a fuego en Alemania, y no se tocará del modo ordinario, es decir, a vuelo, hasta la reconquista del dicho reino de los moros (Ivi, p. 300). Ivi, p. 290. La popolazione di Siviglia non sembra più preparata. “Vedendomi con arme, scudo e copricapo nella chiesa di Siviglia, e sul copricapo una real corona, dissero che forse ero il bastardo di qualche re”; “non capivano assolutamente nulla di quanto conveniva a un nobile”; “mi chiesero pure: Cos’è, un imperatore?”; “uno di loro mi domandò se ero cavaliere. Se vedete, gli dissi, le insegne di cavaliere appese nel mio collo, perché mi fate la domanda?” (Ivi, p. 298). 34 35 Questo lo sostiene Popplau che, oltre a ridicolizzare il clero che non ha viaggiato (rimando alla nota 32), osserva pure che le persone di Siviglia gli porgevano domande tanto strane che potevano essere formulate soltanto da gente che non aveva mai viaggiato in vita sua (Ivi). 246 de di sua maestà, tornavano correndomi incontro per ascoltare quanto dicevo e per esaminare il mio costume e le mie insegne”36. I vestiti e l’apparenza fisica di Popplau non stupivano, d’altronde, soltanto i cortigiani portoghesi. Una folla di sivigliani lo seguiva quando si recava a corte o in chiesa; lo scomodavano, come i portoghesi, perché lo stringevano e lo guardavano intensamente come si fosse trattato di uno spettro37. Perfino la regina di Castiglia rimase così meravigliata dai capelli di Rosmithal, forse per la lunghezza o per il colore, da indurre Tetzel a farne riferimento38. In modo reciproco, Tetzel raccontava che la regina “è una signora bruna carina” e che le ballerine abbigliate alla moresca, quelle che avevano allietato la visita presso il conte di Burgos39, erano tutte “brune con gli occhi neri”40; Popplau segnalava dal canto suo che i portoghesi “sono di colore bruno e capelli neri”, le donne hanno gli occhi generalmente neri e belli e lasciano che si guardi liberamente il loro volto41. Al contrario rispetto a quando l’ignoranza o la percezione della differenza era imputata agli altri, nel momento in cui erano i viaggiatori a sbagliare o a non capire, questi si difendevano adducendo le differenze esistenti tra gli usi nordeuropei o imperiali e quelli che disconoscevano. L’esempio più chiaro è quello del mancato baciamano di Popplau al sovrano portoghese. La prima volta che Popplau incontrò il re del Portogallo, ignorandone la pratica, non glielo fece e, quando si ritirò, fu fortemente rimproverato da un dottore. Ancora a un secondo incontro, quando già avrebbe dovuto essere, almeno teoricamente, al corrente di quel costume, aveva atteso che il re gli tendesse la mano e il risultato fu che non gliela baciò nemmeno allora. Soltanto dopo un secondo rimprovero fu informato che doveva essere lui a prendere la mano del re e a fargli il baciamano. Per difendersi Popplau non poté far altro che giustificarsi dicendo: Non sono nato in questa terra. Non conosco le abitudini e l’eti36 Popplau considera che, tra loro, il re era l’unico signore che aveva un alto giudizio (Ivi, p. 293). Si rilevi che, nel testo corrispondente alla nota successiva, si parla anche di stringere e guardare in modo intenso. 37 Ivi, p. 298. 38 Ivi, p. 278. 39 Si veda il testo corrispondente alla nota 27. 40 Ivi, p. 277. 41 Ivi, p. 292. 247 chetta della corte. Nessuno me l’aveva detto prima, nessuno di voi me l’aveva segnalato. Se qualcuno prendesse la mano di sua maestà imperiale per baciargliela, o di qualsiasi altro re delle mie regioni, per sua volontà o piacere, senza che prima il re gliel’avesse tesa e offerta, lo prenderebbero per un animale. Io ho concesso tutto il rispetto meritato a sua maestà, secondo l’abitudine del mio paese, nello stesso modo in cui lo faccio con sua maestà imperiale. Non si baciano le mani all’imperatore. Di conseguenza, aspettando che sua maestà mi tendesse volontariamente la mano invece di impadronirmene io come un grossolano rustico, non gli ho mancato di rispetto se sua maestà non me la tese. Quello che nel mio paese è rispettoso in un altro, molto spesso, è indecoroso, e viceversa. Quindi mi sembra che mi rimproverate ingiustamente. Se sua maestà vuole, non soltanto le mani, ma bacerò anche i suoi piedi42. Purtroppo, questa visione lucida che i viaggiatori avevano di loro stessi non era adottata nel giudicare le attitudini altrui. Uno degli esempi più chiari ci viene di nuovo offerto da Popplau per quanto riguarda le abitudini e i comportamenti a tavola del re del Portogallo, del principe suo figlio e dei suoi servitori. Il re, come signore di alta intelligenza, a tavola si accontenta di quattro o cinque piatti; beve soltanto acqua del pozzo, senza che sia aromatizzata né con zucchero né con spezie, e questo gli basta. Il principe suo figlio beve vino mescolato ad acqua e, pur con un servizio a parte, mangia gli stessi piatti di suo padre. A tavola, la loro servitù è solitamente composta da dieci persone che stanno in piedi, in ordine, di fronte al tavolo. Queste appoggiano in modo volgarissimo le loro mani e i loro ventri sul tavolo e il re, come un umile signore, è costretto a soffrire tali scortesie. Sotto il tavolo, ai piedi del re, stanno seduti sei o otto ragazzi, su ogni lato, per allontanar da lui le mosche con ventagli di seta. Il re distribuisce loro il suo primo piatto di frutta, quando non può mangiarlo da solo. Se non ci sono altri invitati a tavola, non fa uso di coltelli: morde con i denti o spezza con le mani il pane, pur avendo a disposizione il coltello. Il figlio del re, invece, usa il coltello a tavola. A tutti e due le pietanze sono servite in piatti e bicchieri ordinari, come 42 Ivi, p. 294. 248 fossero stati principi di una corte di poca importanza43. La descrizione delle differenze può apparire, d’altra parte, completamente neutra. Rosmithal raccontava, ad esempio, che in Spagna quando i personaggi importanti realizzavano viaggi via terra, cavalcavano sul dorso di una mula, e tutti i loro servitori, generalmente trenta o quaranta, dovevano camminare a piedi al ritmo del signore, procedendo così anche per dodici o quattordici miglia al giorno. Si direbbe quindi che Rosmithal si rifiutasse di valutare le comitive o i seguiti. Probabilmente anche in questo caso operava una comparazione, pur velata, con il proprio corteo, composto inizialmente da una ventina di cavalieri, una cinquantina di cavalli, diversi servitori e una carrozza, non soltanto, dunque, da una mula e un mucchio di semplici pedoni. La comparazione con gli elementi e i parametri conosciuti, fossero stati questi mentali oppure fisici e reali, fu una delle risorse più utilizzate dai viaggiatori per descrivere e valutare quello che vedevano, sentivano e che cercavano poi di esprimere. Era anche un modo di far capire al loro pubblico le proprie esperienze. Mentre un tedesco come Münzer confrontava le misure di una grande città, la dimensione delle sue mura e la disposizione delle sue chiese a quelle da lui conosciute nei territori imperiali44, un castigliano come Pero Tafur non poteva far altro, visitando la Germania, che paragonarla alla Castiglia45, così come un lombardo avrebbe adottato come metro di paragone la Lombardia46 e un toscano la Toscana47. Per questa ragione oltre ad insistere sugli occhi, sui capelli e sulla pelle scuri, e sui vestiti scollati delle donne, il miglior modo di far capire l’aspetto degli iberici ai lettori e a un possibile pubblico tedesco era paragonare il loro aspetto a quello degli zingari che si aggiravano intorno alle terre imperiali48. In questo modo gli iberici, prima perlopiù identificati con quei mori la cui presenza nella Penisola Iberica era praticamente il leit-motiv dei testi dei viaggiatori di cui abbiamo parlato, finirono per trasformarsi in zingari im43 Ivi, p. 293-4. 44 Münzer (1991). 45 Tafur (1982) [1874]. 46 Monga (1985). 47 Frescobaldi, Gucci & Sigoli (1948). Su aspecto es del de los gitanos que merodean por nuestras tierras. Por lo demás, llevan la vida de aquéllos, robando y haciendo fechorías. García (1999) [1952], p. 284. 48 249 periali. I viaggiatori, potremmo dire, finivano per non viaggiare, facendo piuttosto viaggiare in direzione delle loro terre quelli che osservavano –gli iberici, come zingari, verso l’Impero–, e gli abitanti delle loro terre, gli zingari, verso le terre dei “mori” iberici che visitavano. Non si adattavano affatto alle terre che visitavano e nemmeno adattavano a queste le loro esposizioni; al contrario, quello che facevano era adeguare le terre visitate, con i loro usi, costumi, abitudini, feste e cerimonie, a se stessi. 250 Bibliografia Arié R., (1990) L’Espagne musulmane au temps des Nasrides: 1232-1492. Réimpression suivie d’une postface et d’une mise à jour par l’auteur, Parigi. Arié R., (1997) Contacts de civilisation et échanges culturels entre l’Espagne musulmane et l’Espagne chrétienne, in Eadem, Aspects de l’Espagne musulmane. Histoire et culture, París, pp. 7-20, publicato prima in 1492: L’héritage culturel arabe en Europe. Actes du Colloque International organisé par le G.E.O. (Strasbourg) et le C.R.E.I. (Mulhouse), Strasburgo, (1994), pp. 7-20. Ávila M. L., (1995) La estructura de la familia en al-Andalus, in Casas y palacios de al-Andalus [siglos XII y XIII], [Granada] Barcellona, pp. 33-37. Bonnaffé E., (1970) [1895] Voyages et voyageurs de la Renaissance, Ginevra. Briesemeister D., (2005) El viaje por la Península Ibérica del barón Lev z Rozmitálu en compañía del patricio Gabriel Tetzel de Nuremberg (1465/1467), “Opera romanica” 8, pp. 66-78. Colette F., (1991) Le voyage en Europe du seigneur Léon de Rosmital en l’an 1466, in Les chemins de Saint-Jacques et la culture européenne, Parigi, pp. 87-99. Contamine PH., (1982) L’hospitalité dans l’Europe du milieu du XVe siècle: aspects juridiques, matériels et sociaux, d’aprés quelques récits de voyage, in La conscience européenne au XVe et au XVIe siècle, Parigi, École Normale Supérieure de Jeunes Filles, pp. 75-87. Daniel N., (1960) Islam and the West. The Making of an Image, Edimburgo. De Matos G., (1964) Itinerário de Leao de Rozmital, “Revista Portuguesa de História” XI, pp. 116-127. Echevarría Arsuaga A., (1995) Los elches en la guardia de Juan II y Enrique IV de Castilla, in Actas del VI Simposio Internacional de Mudejarismo. Teruel, 16-18 de septiembre de 1993, Teruel, pp. 421-427. Echevarría Arsuaga A., (2001) La guardia morisca: un cuerpo desconocido del ejército medieval español, “Revista de Historia Militar” 90, pp. 55-78. Echevarría A., (2006) Caballeros en la frontera. La guardia morisca de los reyes de Castilla (1410-1467), Madrid. Esch A., (1991) Anschauung und Begriff. Die Bewältigung fremder Wirklichkeit durch den Vergleich in Reiseberichten des späten Mittelalters, “Historische Zeitschrift” 253, pp. 281-312. Fabié A. M., (1879) Viajes por España de Jorge de Einghen, del barón León de Rosmihal de Blatna, de Francisco Guicciardini y de Andrés Navajero, Madrid. Frescobaldi, Gucci & Sigoli, (1948) Visit to the Holy Places of Egypt, Sinai, 251 Palestine and Syria in 1384 by Frescobaldi, Gucci & Sigoli, Translated from the Italian by Fr. Theophilus Bellorini O.F.M. and Fr. Eugene Hoade O.F.M. with a Preface and Notes by Fr. Bellarmino Bagatti O.F.M., Gerusalemme. García De Santa María Á., (1891) Crónica de Don Juan II de Castilla (14201434), Madrid, Colección de Documentos Inéditos para la Historia de España, vol. 99 e 100. García Mercadal J. (ed.), (1999) [1952] Viajes de extranjeros por España y Portugal desde los tiempos más remotos hasta comienzos del siglo XX, vol. I, [Salamanca], Madrid. Herbers K., Plötz R., (1998) Caminaron a Santiago. Relatos de peregrinaciones al “fin del mundo”, Santiago de Compostela, Xunta de Galicia. Hrubes J., (1971) El itinerario checo más antiguo de España y Portugal, “IberoAmericana Pragensia” V, pp. 69-82. Huizinga J., (1998) Autunno del medioevo, Milano. Ladero Quesada M.Á., (1989) Granada. Historia de un país islámico (12321571). Tercera edición revisada y ampliada, Madrid. Ladero Quesada M.Á., (2000) Nicolás de Popielovo, viajero por tierras hispánicas (1484-1485), “Iacobus. Revista de estudios jacobeos y medievales” 9-10, pp. 91-120 Letts M., (1929) The Diary of Jörg von Ehingen, Londra. Letts M., (1957) The Travels of Leo of Rozmital, Cambridge. López De Coca Castañer J.E., (1996) Caballeros moriscos al servicio de Juan II y Enrique IV, reyes de Castilla, “Meridies” 3, pp. 119-136. Marín M., (2000) Mujeres en al-Andalus, Madrid, CSIC. Martín J.L., (2003) Enrique IV de Castilla. Rey de Navarra, príncipe de Cataluña, Hondarribia. Michaud-Fréjaville F., (1996) Le voyage du seigneur Léon de Rozmital en occident, un apprentissage?, in Voyages et voyageurs au Moyen Age (XXVIe Congrès de la Société des Historiens Médiévistes de l’Enseignement Supérieur Public, 1995), Parigi, pp. 31-51. Michaud-Fréjaville F., (1997) Dangereux occident, le voyage de Léon de Rozmital jusqu’à Saint-Jacques de Compostelle (1465-1466), “Cahiers de Recherches Médiévales (XIIIe-XVe siècles)” 3, pp. 57-69. Monga L., (1985) Un mercante di Milano in Europa. Diario di viaggio del primo Cinquecento, Milano. Münzer J., (1991) Viaje por España y Portugal (1494-1495), Madrid. Paravicini W., (2000) L’étranger à la cour. Nicolas de Popplau en voyage à travers l’Europe (1483-1486), in L’étranger au Moyen Âge. Actes du XXXe Congrès de la 252 Société des Historiens Médiévistes de l’Enseignement Supérieur, Parigi, pp. 11-25. Paravicini W., (2001) Europäische Reiseberichte des späten Mittelalters. Eine analytische Bibliographie Herausgegeben von Werner Paravicini. Teil 1. Deutsche Reiseberichte bearbeitet von Christian Halm, Francoforte sul Meno. Pardo de Guevara E., (2002) El viaje por España y Portugal de León de Rosmithal, barón de Blatna (1465-1467), in Portugal na memória dos peregrinos, Santiago de Compostela, pp. 113-135. Pérez-Bustamante R., Calderón Ortega J.M., (1998) Enrique IV: 14541474, Palencia. Pfandl L., (1920) Itinerarium Hispanicum Hieronymi Monetarii 1494-1495, “Revue Hispanique” 20 (1948), pp. 1-179. Radzikowski P., (1998) Niclas von Popplau. His Work and Travels, “The Ricardian Journal of the Richard III Society” XI/140, pp. 239-248. Rafaust Chico M., (2007) El barón de Rozmital en la Corona de Aragón (nuevos datos sobre la presencia de un ilustre viajero bohemio del siglo XV en la Península Ibérica), “Estudios de Historia de España” IX, pp. 107-137. De Riquer M., (1965) Vida caballeresca en la España del siglo XV. Discurso leído el día 16 de mayo de 1965 en su recepción pública [en la Real Academia Española], Madrid, Real Academia de la Historia. De Riquer M., (1967) Caballeros andantes españoles, Madrid. Salicrú i Lluch R., (1998) El sultanat de Granada i la Corona d’Aragó, 14101458, Barcelona. Salicrú i Lluch R., (1999) Documents per a la història de Granada del regnat d’Alfons el Magnànim (1416-1458), Barcellona. Salicrú i Lluch R., (2004) Caballeros cristianos en el Occidente europeo e islámico, in Herbers K., N. Jaspert N., (eds.), Das kommt mir spanisch“. Eigenes und Fremdes in den deutsch-spanischen Beziehungen des spaten Mittelalters, Monaco, pp. 217-289. Salicrú i Lluch R., (2007a) La diplomacia y las embajadas como expresión de los contactos interculturales entre cristianos y musulmanes en el Mediterráneo Occidental durante la Baja Edad Media, “Estudios de Historia de España” IX, pp. 77-106. Salicrú i Lluch R., (2007b) Galícia i Granada: pelegrinatge i exercici de cavalleria en terres ibèriques i musulmanes occidentals a la Baixa Edat Mitjana, in El camí de Sant Jaume i Catalunya. Actes del Congrés Internacional celebrat a Barcelona, Cervera i Lleida els dies 16, 17 i 18 d’octubre de 2003, Barcellona, pp. 163-177. Sánchez Prieto A.B., (1999) Enrique IV. El impotente, Madrid. Schmugge L., (1997) Pellegrini tedeschi in Italia, in De Rachewiltz S., Ried- 253 J.,(a cura di), Comunicazione e mobilità nel Medioevo. Incontri fra il Sud e il Centro dell’Europa (secoli XI-XIV), Bologna, pp. 169-196. Suárez L., (2001) Enrique IV de Castilla. La difamación como arma política, Barcellona. Tafur, Jiménez De La Espada M., (1982) [1874] Andanças e viajes de Pero Tafur por diversas partes del mundo avidos (1435-1439), Barcellona, tomo VIII. Van Crugten A., (1976) Un voyageur de Bohême à la Cour de Bourgogne, “Cahiers Bruxellois” XXI, pp. 60-68. Vendrell F., (1971) Caballeros centroeuropeos en la corte aragonesa, “Miscellanea Barcinonensia. Revista de investigación y alta cultura” X-XXVIII, pp. 19-43. Vidal Castro F., (2000) Historia política, in El reino nazarí de Granada (12321492), in Historia de España Menéndez Pidal, volume VIII-III, Madrid. Vidal Castro F., (2004) El asesinato político en al-Andalus: la muerte violenta del emir en la dinastía nazarí (s. XIV), in Fierro M., (ed.), De muerte violenta. Política, religión y violencia en al-Andalus, Madrid, CSIC, pp. 349-397. Vielliard J., (1936) Pèlerins d’Espagne à la fin du Moyen Âge. Ce que nous aprennent les sauf-conduits délivrés aux pélerins par la chancellerie des rois d’Aragon entre 1379 et 1422, in Homenatge a Antoni Rubió i Lluch. Miscel·lània d’estudis literaris, històrics i lingüístics, Barcellona, vol. II, pp. 265-300. Vincke J., (1959) Zu den Anfängen der deutsch-spanischen Kultur- und Wirtschaftsbeziehungen, “Gesammelte Aufsätze zur Kulturgeschichte Spaniens. Spanische Forschungen der Görresgesellschaft” 14, pp. 111-182. Wolfzettel F., (2000) Enfer ou paradis: l’altérité de l’Espagne du XVe siècle vue par Léon de Rozmital et Hieronymus Münzer, in Guerres, voyages et quêtes au Moyen Age (Mélanges offerts à Jean-Claude Faucon), Parigi, pp. 439-448. Zaragoza Rubira J.R., (1965) Aspectos médicos de la España del siglo XV según el viaje de León Rosmithal, “Medicina Española” 53, pp.128-136. mann 254