GRANDE
CJARGNE
GRANDE CJARGNE
dalla moda alla cucina, dal cinema al teatro...
scopri quanto c’è di carnico nel mondo
GRANDE
CJARGNE
Si ringraziano per la preziosa collaborazione
Museo Carnico delle Arti Popolari, Tolmezzo
Museo Paleontologico, Portogruaro
Comune di Tolmezzo
Comune di Ravascletto
Cineteca del Friuli
Snaidero SpA
prof. Gilberto Ganzer
Attiliana Argentieri Zanetti
Giuliano Cossetti
Gianfranco Intilia
Anna Linussio
Bruno Machin
Fabio Mansutti
Maurizio Puntin
Servizio Sviluppo Area Montagna
e supporto “Fondazione Dolomiti”
Cristiana Mainardis
Federica Mecchia
Foto
Provincia di Udine, Comune di Tolmezzo,
Museo delle Arti Popolari-Tolmezzo,
Museo Paleontologico-Portogruaro,
Archivio Snaidero, Alessandro D’Osualdo,
Comune di Ravascletto, Dante Spinotti,
Cineteca del Friuli, Archivio Candotti
Correzioni testo friulano a cura di
Linda Picco
Ideazione
Alessandro D’Osualdo Editore
Stampa
Tipografia Menini
ISBN: 9788898705023
Opera non in vendita
© Provincie di Udin/Provincia di Udine
L’editore si riserva di adempiere ai diritti d’autore relativi
alle immagini usate e delle quali non gli è stato possibile
risalire alle fonti.
La Carnia riserva continue e importanti sorprese e scorrendo questo libro ne abbiamo
un’ulteriore prova.
Grande Cjargne raccoglie, infatti, le storie di alcuni personaggi che hanno conquistato
visibilità internazionale in ambito artistico, teatrale e intellettuale.
Uomini e donne legati a una terra che ha saputo emergere e far parlare di sé attraverso
persone che si sono distinte per grandi capacità ma soprattutto per intuito, intraprendenza, voglia di fare e di dare concretezza a idee, progetti, iniziative che hanno avuto poi
riflessi significativi anche sullo sviluppo locale.
Questa è una caratteristica vincente, peculiare dei carnici di ieri - ai quali è dedicato il
libro - e di quelli di oggi, a dimostrazione di quanta ricchezza sia racchiusa in questo territorio tutt’altro che marginale e periferico. Un territorio che deve la sua trasformazione
anche alle esperienze vissute al di là dei suoi confini: l’emigrazione, a esempio, è stata
una necessità che i personaggi raccontati in questo libro hanno saputo mettere a frutto a
favore della loro terra d’origine.
Terra dove in tanti hanno fatto ritorno con un bagaglio di conoscenze, saperi, culture
che ha arricchito questo territorio.
Nel sostenere quest’inedita iniziativa editoriale, la Provincia di Udine auspica che
le vicende, proposte in chiave accattivante per i ragazzi e in maniera coinvolgente per gli
adulti, siano fonte di motivazione, orgoglio e fierezza per la Carnia di oggi.
Inducano i giovani, in particolare, ad avere coraggio, a non aver paura di confrontarsi
con il mondo, a credere e a sviluppare idee e progetti muovendosi nel solco dell’esperienza tracciata dai loro avi che, guardando ai loro vissuti, potremmo definire veri e propri rivoluzionari. Un invito, insomma, a seguire l’esempio di questi personaggi per poter
dare alla Carnia nuove speranze e prospettive per il futuro.
Ne trarremmo tutti beneficio.
il Presidente della Provincia di Udine
Prof. Pietro Fontanini
Nel 1965 il Sen.Avv. Guglielmo Pellizzo nella prefazione alla “Guida illuminata e appassionata del Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari”, che allora scrisse in qualità
di Presidente della Società Filologica Friulana editrice del volume, sosteneva:
“Noi guardiamo alla Carnia, come alla culla della nostra razza, in cui si sposano la forza
celtica con la gentilezza mediterranea. I lunghi inverni, una vita patriarcale semplice, ma
non misera, un’intatta fiducia nei valori della vita fecero fiorire il ferro, il legno, la pietra,
lasciando anche nel più umile oggetto l’impronta dello spirito…”.
Subito dopo il Sen. Prof. Michele Gortani aggiungeva:
”Amor mi mosse che mi fa parlare… amore verso la mia terra e la sua gente, la sua vita,
le sue tradizioni; tanto più forte, quanto è più povera, dimenticata, priva di appoggi e di
aiuti”.
Come non condividere, specialmente con le nuove generazioni, queste parole e l’orgoglio che da esse scaturisce, di essere parte viva di questo popolo Carnico il cui passato
travagliato e spesso misconosciuto, ha regalato bagliori grandiosi attraverso tanti suoi
illustri figli, illuminando non solo la storia delle sue genti e delle sue valli, ma travalicando spesso i confini di queste?
È un’imprescindibile responsabilità di un’Istituzione dello Stato stare al fianco dei propri cittadini, dar loro in questi difficili momenti di crisi, non solo sicurezza e risposte
concrete, ma anche una speranza, uno sprone affinché chi, figlio dei grandi personaggi
le cui vite sono raccolte in questo volumetto, possa ritrovare la volontà e la dignità di
rialzare la testa, possa capire che nulla gli è precluso e tutto è alla portata, possa ritrovare
il senso di appartenenza a quella coraggiosa e forte stirpe di donne e di uomini di Carnia
che in passato ha sempre avuto la tenacia di reagire pur se piombata negli abissi più bui.
Grande Cjargne vuole dunque essere questo e vuole esserlo nella consapevolezza della
sua parzialità. La storia della Carnia, infatti, è così affollata di persone che con il loro
ingegno e la loro personalità hanno contribuito a rendere noi, oggi, quello che siamo,
che la lista dei candidati a occupare un posto in questa pubblicazione era di gran lunga
superiore allo spazio a disposizione.
Ma i Carnici si sa, sanno essere anche molto pazienti, e chi per ora è rimasto escluso
saprà sicuramente attendere con accondiscendenza il proprio turno.
il Consigliere delegato alla Montagna
Luigi Gonano
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3a
GRANDE CJARGNE
PARTIAMO DAL NOME, PER PRESENTARCI
QQQQQQQQQQ
KARNICI
CARNI
QQQQQQQQQQ
C’è ancora chi afferma che i celti in Carnia
sono una favola. Bene: noi carnici sappiamo
di vivere in una terra fantastica!
Per buona educazione, la prima cosa da fare nel presentarsi è dire il proprio nome, ma se dici
“Piacere, sono Carnico” l’interlocutore potrebbe rimanere interdetto e domandare “Che nome strano,
cosa vuol dire?” Perché succede questo, che ognuno di noi ha un nome di cui ignora il significato:
Carlo, Maria, Anna, Giorgio… Però, essendo un nome usuale non incuriosisce nessuno, nemmeno
chi lo porta. Carnico, invece, incuriosisce. Allora approfittiamone per capire da dove proviene e così
imparare qualcosa di noi. Per farlo intervistiamo Tarvos, un personaggio dei fumetti che abita a Sighiet
(Sigilletto) sotto il Coglians e le cui avventure hanno avuto un certo successo anni fa.
Tarvos, da dove saltano fuori i carnici?
Oh, bella! Dai Celti, ben si sa!
Ora capisco perché ti dicono “il celtic”…
Perché noi Carnici e il nostro nome proveniamo
da una tribù celta giunta da queste parti
nel IV secolo a. C.. Qualcuno ancora oggi storce
il naso quando parli di Celti ma gli antichi,
che li frequentavano, non dubitavano affatto, tanto
che i romani ci chiamarono Galleis Karneis,
i Galli Carnici, già nel 115 a.C..
Qualcuno dice che siamo parte di quella grande
migrazione celtica diretta in Pannonia,
ossia verso Vienna e il Burgenland, parte
dell’Ungheria, della Croazia e della Slovenia attuali,
e che finì col dirigersi anche verso la Grecia
o ad assediare Roma.
I Celti non amavano stare fermi.
Solo che già allora noi Carnici facemmo,
al solito, di testa nostra abbandonando
gli altri e spostandoci verso quella terra
che oggi chiamiamo Friuli, ma che a lungo
è stata la terra dei Carni e verrà,
pertanto, chiamata Carnia.
Guarda che non è l’unica terra ad essere stata rinominata
perché anche il Carso, la Carniola, in Slovenia,
e la Carinzia, in Austria, prendono nome da questo popolo.
Tutti abbiamo la “car” davanti, che non è l’auto inglese.
Praticamente siamo “cugini” dei triestini, dei carinziani
e dei carniolani e formiamo una sorta
di quella che oggi chiameremmo Euroregione
e che i Romani (sempre loro!) chiamarono
“Carnorum Regio”, la regione dei Carni.
Ma da dove provenivano questi Celti?
Più o meno dalla Baviera e dall’Austria dove avevano sviluppato
una loro importante cultura chiamata “cultura di Hallstatt”,
dal nome della città vicino all’odierna Salisburgo, perché scacciati
dai Germani verso il 450 a.C.. A loro volta, nel 186 a.C.
(stando a Tito Livio anche se, oggi, si pensa che in quell’anno
fossero già presenti) scacceranno oltre il Livenza i paleo-Veneti
o Venetici che abitavano queste terre e l’odierno Friuli.
Arriveranno fino a Trieste che diventerà un “borgo della Carnia”
come dirà il greco Strabone nel libro VII della sua “Geografia”.
NORIC
CARINZIE
IO
REGCRAGN
M
U
NOR
CJARGNE
CAR
Questa è bella! I triestini sarebbero anche loro dei Carni!
Se pensi che lì si parlava una variante del friulano, il tergestino,
ancora nell’Ottocento… Inoltre, il loro simbolo, l’alabarda, è
in realtà un’arma detta “spiedo alla furlana”: hanno molto più
Friuli nella loro storia di quanto immaginano.
Cosa vuol dire, però, Carni?
Per alcuni questo nome proviene da “carnu” che vuol
dire corno o corno da battaglia.
Per altri da “carno” o meglio “karn” che indica un mucchio
di pietre o la roccia. Per cui noi saremmo un popolo
sia battagliero che duro. Tant’è che i Romani fonderanno
Aquileia, inviando qui alcune tra le loro migliori truppe,
anche per difendersi dai Carni.
Il storic roman Tito Livio al à
iniment pe prime volte i Cjargnei
co al fevele di une lôr ambassade
che si presentà intal Senât a Rome
(170-171 a.C.) par lamentâsi
des robariis e des violencis fatis
cuintri di lôr dal consul
Longinus.
Tarvos al è a stâ a Sighiet
paîs là che si fevele inmò
un furlan antîc, che al finìs
in “o” tant che te Ete di Mieç!
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5a
Oltre al nome è rimasto qualcosa di celtico in Carnia?
Certo! Oltre ai tanti ritrovamenti archeologici, ci sono
tradizioni e personaggi mitologici che fanno riferimento
a quella cultura e alla sua religione che condividiamo
con molta parte d’Europa.
Ad esempio, ci sono i fuochi rituali, il lancio delle “cidulis”;
il Maçarot che ha le stesse caratteristiche del Puck
del “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare...
Credo che rimanga soprattutto lo spirito indomito e legato
alla terra. I Celti non erano un popolo guerriero come i Germani,
erano soprattutto contadini.
Prendevano le armi solo se serviva, per difendere la loro libertà.
Questo è rimasto nel nostro carattere: non amiamo la guerra e la
retorica e, appena possiamo, cerchiamo di riprenderci la nostra
libertà come è capitato con la Repubblica Libera di Carnia
o nelle tante lotte per difendere i nostri privilegi sui boschi
e sulle acque, frutto di un’attenta e antichissima tradizione
fatta di rispetto della comunità e della natura.
E poi, ci piace cantare a voce alta e raccontare storie
da tramandare. Che è tipico dei Celti.
I Celtis Cjargnei si pense che a sedin rivâts
dal Pas di Mont di Crôs che za de antichitât
al jere un impuartant pas di scambi economic
cui popui di di là des Alps.
Jenfri i dius celtis, al jere une vore impuartant Belen
cui rais tor il cjâf, che al à lassadis cetantis olmis
in Friûl. Si conte che al vedi adiriture salvade Aquilee
dal atac des trupis dal imperadôr Massimin tal 238
dopo di Crist. Cussì nus conte il storic Erodian:
“A clamin chest diu Belen e lu venerin cetant (…)
Cualchidun dai soldâts di Massimin al diseve
che la sô figure e jere comparide dispès tal aiar,
batintsi parsore la citât.”
Ce diference ise jenfri Celtis e Gjai? Nissune:
i Celtis si definivin cun chest non, come che nus
conte Cesar, biel che i romans ju clamavin Gjai.
Il nestri sei antîc al resurìs / cuant che nus vinç il bal, il vin o amôr.
Celts, Otmar Mainardis (cit. di S. Carrozzo)
Galarie des Cjartis Gjeografichis, Museus Vaticans.
Plante dal nord de Italie cu la scrite “CARNI” (evidenziade)
“In conclusione, sembra
che la celtizzazione del territorio
fra Livenza e Timavo sia stata
prevalente opera dei Carni.
Furono essi che, realizzando
un insediamento stabile
e di proporzioni mai prima verificatesi,
gettarono, alla fine della preistoria,
lo strato etnico culturale fondamentale
della futura civiltà friulana.”
(G. C. Menis, Storia del Friuli, 1976)
I esemplis plui antîcs di scriture
che si cognossin fin cumò in Friûl,
si ju cjate ancje su lis monedis
celtis.
Monede celte-cjargnele, Museu di Zui.
I fumuts di Tarvos si sierin simpri cul trai des cidulis.
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GRANDE CJARGNE
EMIGRARE (CON SUCCESSO) PER AMORE
QQQQQQQQQQ
FABIO
STICOTTI
&
CO.
QQQQQQQQQQ
Dove si narra di come un giovanotto carnico di buona famiglia
e che non ama molto seguire le regole, si innamori di una cantante,
venga diseredato, fugga a Parigi trovandovi il successo come attore
e metta al mondo dei figli che influiranno sulla cultura del tempo
litigando con gente del calibro di Diderot, Rousseau,
Voltaire…
Sticotti al è chel
che al à inventât
il Pierrot tal mût
che ducj a cognossin.
Ve cemût che al veve
di jessi un Pierrot
dal so timp.
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Fabio (Amaro, 1677-Parigi,1741) non è certo
uno scolaro modello. Francesco Matteo, il padre
notaio, l’ha mandato a studiare a Venezia
per continuare e magari accrescere il prestigio
della famiglia. Gli Sticotti sono nobili e le varie
famiglie possiedono un certo patrimonio fatto
di attività agricole, beni commerciali e immobiliari
sparsi tra Friuli, Veneto e Istria. Chiaro che il padre
veda in quel figliolo un futuro radioso al pari
di altri Sticotti diventati insigni dottori
in giurisprudenza, medici, insegnanti, scrittori…
Ha, però, fatto i conti senza l’oste.
Venezia è una città che attrae e lusinga con le sue bellezze
non solo artistiche. Lo fa adesso a distanza di secoli,
figuriamoci nel Sei-Settecento quando, con i suoi 17 teatri,
è una delle capitali mondiali della cultura e del bel mondo,
un po’ come lo sono oggi New York, Londra o Berlino.
È il periodo effervescente e solare di Canaletto, Tiepolo,
Albinoni, Vivaldi… solo per citare qualche personalità
che puoi incontrare per strada.
Dunque, anziché dedicarsi agli studi, il giovanotto
di belle speranze Fabio, si lascia andare nonostante
la costernazione del genitore. Un po’ di soldi
non gli mancano, le occasioni per spenderli nemmeno.
Ciò che gli manca è la voglia di proseguire
sulle orme famigliari.
Ad aggravare la situazione, qualora ce ne fosse bisogno,
capita che si innamori di una ragazza veneziana,
figlia di un orologiaio, bella nonché brava cantante,
Ursula Astori (1694–1739), molto più giovane di lui
che ormai è un po’ in età (ed è ora che prenda moglie).
Lei è molto graziosa, così graziosa che viene rapita
e disonorata da un certo Cellini, un nobile
della Serenissima.
Ne esce un grande scandalo, il primo di tanti altri
che segneranno la famiglia Sticotti. Il Cellini, per porvi rimedio,
fornisce alla ragazza una dote matrimoniale.
Voi cosa fareste se foste un po’ in età e molto innamorati
di una deliziosa quindicenne? Immagino che vi comportereste
da gentiluomini come Fabio, che decide di sposarla.
Non solo per la dote dal momento che è di buona famiglia.
Lo fa per amore, fatto che ne denota il carattere
e che contribuirà al suo futuro successo.
Tutto bene, allora? Non proprio.
Provate solamente a pensare come potrebbe venir accolta
una notizia simile ad Amaro, paese lontano dalle frivolezze
veneziane, dal padre probabilmente uomo tutto casa e chiesa,
che vede definitivamente sfumare ogni speranza di gloria.
Questi dà in escandescenze (fatto prevedibile) minacciando
di diseredare il figlio (fatto meno prevedibile) per il buon nome
del casato. Però Fabio è innamorato e non vuol sentire ragioni
e sposa Ursula in gran segreto convinto che nessuno l’avrebbe
saputo e che la cosa sarebbe finita lì. Finita lì per niente!
A casa lo vengono subito a sapere e Fabio si ritrova diseredato,
buttato fuori di casa e costretto a fuggire da Venezia
con la sua Ursula.
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I due viaggiano al seguito di compagnie teatrali menando una vita
grama perché è una vita da vagabondi e ai margini della società.
Lui, poi, è un aristocratico, situazione che aggiunge scandalo
allo scandalo: secondo me il padre non ci dormiva la notte
al pensiero.
Nella disgrazia, però, è fortunato perché i due innamorati
incontrano l’impresario Luigi Riccoboni (1676-1753) detto Lelio,
un tipo tosto che vuole rivoluzionare la commedia dell’arte
e che cerca attori disposti a seguirlo in quest’avventura.
Per il momento è a capo della migliore compagnia in circolazione
dove recitano teatranti del calibro di Tomaso Antonio Vicentini
(1682–1739), detto Thomassin uno dei più grandi Arlecchini
della storia del teatro, capace di fare una piroetta all’indietro
tenendo in mano un bicchiere d’acqua senza versarne neppure
une goccia. La compagnia recita Molière, Racine, Coneille,
Shakespeare…
Girano l’Europa e parlano italiano, un buon francese, prussiano,
inglese, bavarese, un po’ di polacco e di spagnolo oltre alle lingue
locali di appartenenza.
Nel 1716, dunque, Fabio e Ursula sono obbligati al gran passo:
si aggregano alla compagnia di Riccoboni e partono per Parigi
con la “Troupe Italienne du Roi” (Compagnia Italiana del Re).
Una scelta felice perché, grazie all’intuito, alla spigliatezza e alle
novità ideate da Riccoboni, la compagnia ha subito successo.
A essere sinceri, per Fabio e Ursula il successo non è così
immediato: per un bel po’ devono limitarsi a comparsate e ruoli
di secondo piano. Nei dipinti di Watteau (1684-1721), grande
e innovativo pittore francese, in cui si pensa sia rappresentata
la compagnia, loro due sono quelli dipinti in fondo, dietro
agli altri. Come si dice: “sono quelli in ombra”.
Il loro ruolo è soprattutto di cantori e Ursula in questo
doveva essere bravissima se viene menzionata con i nomi d’arte
di “Isabella”, forse per la delicata bellezza che traspare anche dalla
penombra nella quale è rappresentata nei quadri, e di “Cantarina”
per la voce. Ma la famiglia Sticotti è brava e, magari non proprio
in breve, riesce a farsi strada nel mondo dello spettacolo tant’è
che nel 1733, a 56 anni, Fabio è accolto a pieno titolo
nella “Comédie Italienne du Roi” dove debutta nel ruolo,
molto importante al tempo, di Pantalone.
Il re è Luigi XV detto il Beneamato (1715-1774) anche se
alla sua morte il popolo si dà a pazzi festeggiamenti
chiamandolo il Malamato, tante ne aveva combinate.
Il mistîr dal comic al è considerât
tant scandalôs che ancje par podê
maridâsi, i atôrs a scuegnin fâ
un at scrit di “rinunzie” al teatri.
Cussì a fasin sedi Toni che Agathe
Sticotti, doi dai fîs. Ancje se a van
indenant, daspò, a recitâ.
“ Il comic nol esisteve tant che om
parcè che no si maridave,
nol veve fîs, nol murive
uficialmentri.”
(Claudio Meldolesi, Gli Sticotti, Roma 1969,
Quaderni di cultura francese,
Edizioni di storia e letteratura)
WATTEAU, Jean Antoine (1684-1721): La commedia Italiana, post 1716 (?).
Diviers studiôs a identifichin il grup tant che la compagnie di Riccoboni
e i doi in secont plan a man çampe, cui cjantants Fabio Sticotti e Ursula Astori.
Berlino, Gemaeldegalerie, Staatliche Museen zu Berlin.
Olio su tela, 37x48 cm. Inv. 470. Foto: Joerg P. Anders. ©2014.
Foto Scala, Firenze/BPK, Bildagentur fuer Kunst, Kultur und
Geschichte, Berlin.
Nel frattempo, a Fabio e Ursula nascono tre figli: Antonio, Michel
detto “Kelly” e Agathe che diventeranno pure loro importanti
nel mondo dell’arte e della cultura in un modo o nell’altro.
Viaggiano molto e in varie capitali europee. Ovunque sempre
ben accolti dalle varie teste coronate e dagli intellettuali del luogo
per le loro qualità non solo di attori ma di drammaturghi
e saggisti. Un bel risultato per l’insofferente Fabio, uno che
non ne voleva sapere di studiare e seguire le regole del padre.
La riuscita maggiore, forse, la ottiene nel 1744 quando
il figlio Antonio è “riabilitato” dalla famiglia e rientra
in possesso dell’eredità grazie alla fama internazionale
acquisita dalla famiglia.
I parenti chiudono tutt’e due gli occhi sul passato pur di potersi
vantare di tanta e gloriosa parentela. Tale riabilitazione, però,
giunge tardi per Fabio morto pochi anni prima, il 5 dicembre
1741, due anni dopo l’amatissima moglie.
WATTEAU, Jean Antoine (1684-1721):
La commedia Francese, post 1716.
Ancje in chest cuadri, cualchi critic
al à intindût di viodi i doi Sticotti,
stant che tancj atôrs a somein propit
a chei parsore. Dut câs, lôr a son simpri
daûr: no je inmò rivade la lôr ore.
Berlino, Gemaeldegalerie, Staatliche Museen zu Berlin.
Olio su tela, 37x48 cm. Inv. 468. Foto: Joerg P. Anders. ©2014.
Foto Scala, Firenze/BPK, Bildagentur fuer Kunst, Kultur und
Geschichte, Berlin.
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11 a
Dai, Sticotti, facciamoci riconoscere da tutti!
Alla sua morte Fabio lascia una bella fama, un personaggio mondiale, Pierrot, molti creditori e tre eredi che dimostrano
ben presto di che pasta sono fatti e che lo seguono nella carriera artistica.
Intanto va precisato che il successo porta non poco scompiglio in famiglia dato che Antonio viene spesso confuso
con il padre tanto da essere chiamato Fabio per la notorietà di questo.
A sua volta, a lui vengono attribuiti scritti del fratello Michel che, pur essendo il maggior intellettuale
di famiglia, viene scambiato con Antonio ancora oggi nei suoi testi ripubblicati. Un bel caos, vero?
Non per nulla tutti e tre hanno a che fare con trame teatrali. Vediamo di conoscerli, allora, questi altri dotti Sticotti.
ANTONIO (Toni, Fabio) GIOVANNI STICOTTI
(Parigi 1711–Meaux 1769)
È il primo dei fratelli, anche nel calcare le scene
a diciotto anni. Lo chiamano “Fabio” come
il padre, confondendolo con quello, perché
da lui ha ereditato la maschera che lo rende
famoso, quella di Pierrot.
Sono tempi in cui gli attori vengono definiti
dalla maschera interpretata e non da chi
la interpreta. Se ci aggiungete che vanno
in scena, per l’appunto, mascherati,
la confusione è inevitabile.
C’è chi ritiene Fabio Sticotti il più grande Pierrot
della storia del teatro, colui che rivoluzionò
questa maschera fino al punto di farla diventare
una protagonista di primo piano della commedia
dell’arte e quel simbolo romantico
che riscuote ancora tanta fortuna.
Prima di lui Pierrot è solo un servitore furbo
e sempliciotto. È grazie alla sua sensibilità e alla sua
inventiva per accontentare gli spettatori francesi
che diventa la maschera triste che conosciamo,
con la lacrimuccia che scende su una gota, vestita
di bianco e con grandi pouf bianchi o neri che fungono
da bottoni. Così innamorato dell’ingrata Colombina,
che gli spezza il cuore giungendo ad abbandonarlo
per il birbante Arlecchino, da essere solitamente
rappresentato rivolto alla luna alla quale confida,
cantando, le sue pene d’amore.
Una figura romanticissima giusta per le svenevolezze
amorose di un pubblico sentimentale e pronto
a commuoversi.
Certo è che la maschera diventa così famosa da essere
ripresa dal figlio Antonio nel 1737.
Il successo che riscuote anche lui è tale che non esita
a riproporla nelle recite successive tanto che diversi
studiosi ritengono lui e non il padre il vero,
grande Pierrot.
Pierrot è un ipocorismo - parolaccia che indica
l’attitudine ad alterare i nomi in senso affettuoso
tipo Totò al posto di Salvatore - del francese Pierre
al quale è aggiunta la codina (si chiama suffisso)
pure francese -ot.
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Confusion
in cjase Sticotti:
no Antonio-Fabio
ma il fradi
Michel
al è l’autôr !!!
Anche per Antonio, pertanto, il successo è legato
a Pierrot: la gente s’innamora della sua ingenuità,
gentilezza, della sua triste sorte di innamorato.
Però Antonio è anche un ottimo drammaturgo.
Già a ventisei anni comincia a scrivere per
la “Commédie Italienne” trame teatrali, alcune
delle quali vengono ancora pubblicate e recitate.
La sua fama è tale che, spesso, gli sono attribuiti
testi del fratello Michel come nel caso
di un celebre manuale con informazioni utili,
ma essenziali a far fare bella figura in società
alle persone glamour del tempo,
il “Dictionnaire des gens du monde”,
dizionario della gente di mondo.
È assai popolare tra la gente-bene tanto che,
come vi ho anticipato, nel 1744 può tornare
ad Amaro circonfuso di gloria mondana,
riabilitare la famiglia e riavere l’eredità
sottratta al padre.
Eisen, La muart idealizade di Sticotti
cui fiis intor, 1783
Fabio Sticotti al è stât un grant atôr ancje te vite
privade. Tal 1745 a Parîs si fevelave cetant di
lui, e e zirave la vôs che al fos adiriture un dai
plui siôrs zentiloms dal Friûl, e il Friûl al è stât
simpri, par dute la famee, un pont di riferiment
morâl e ideâl. Par chel che al rivuarde la sô
nobiltât, Fabio si compuartà simpri fûr
di misure, di nobil, ma plen di debits.
Al rivarà a vê fin a 36 creditôrs tal stes moment
e a jessi citât in judizi di un di lôr. Dome la
muart lu salvarà dai assalts dai creditôrs.
Il bello è che, nonostante i successi teatrali
e letterari, Antonio finirà col fare il postino
in Germania, allora occupazione per nulla
disprezzabile, a Marburg, nell’Assia, e a Meaux.
Lo diventerà non prima di aver fatto un ultimo
tentativo di rientro a Parigi per ricercare nuova
fortuna scrivendo ancora per il teatro.
Edizion
moderne
dal libri.
13 a
N’allons point en courant
sur de lointains rivages,
Critiquer les habits, les façons, les visages,
Il faut étudier le coeur,
Analiser les esprits, les humeurs (…)
Et sages revenir instruisant son pays
No stin a lâ corint su lontanis rivis,
Criticâ costums, manieris, musis,
O vin di studiâ il cûr,
Analizâ i spirts, l’umôr
(...)
E savis tornâ a istruî la proprie int
Lis nestris virtûts tal pet
dai nestris amîs pandint.
Répandre nos vertus au de sein de nos amis.
(M. Sticotti, A un voyageur)
MICHEL (Kelly) STICOTTI
Michel Sticotti (Parigi 1719-1770/2/7, c’è sempre l’incertezza tipica degli Sticotti)
è l’intellettualone dei tre.
Viene soprannominato “Kelly” a Londra dove recita al “Theatre Haymarket”, fatto che segnerà
parte della sua produzione.
In particolare, si appassiona al modo di recitare di un attore inglese del tempo, Garrik,
che ama la naturalezza e la verità in scena e detesta la pomposità, le smancerie, i profondi
inchini… delle recite usuali. Lo ammira talmente che, nel 1769 pubblica la traduzione
riadattata di un testo di John Hill, “The Actor” dedicandogli il lunghissimo titolo:
“Garrik, ou les Acteurs Anglois, Ouvrage contenant des Observations sur l’Art Dramatique, sur l’Art
de la Répresentation, & les Jeux des Acteurs. Avec Des Notes historiques et critiques, & des Anedoctes
sur les différents Théâtres de Londres & de Paris. Traduit de l’Anglais”.
Per praticità ve lo traduco con “Garrik, o gli Attori Inglesi”.
Testo che, forse anche per il lunghissimo titolo, viene stroncato da Diderot in persona anche
se oggi viene rivalutato e ripreso da studiosi del teatro e lo stesso Diderot userà certi elementi
per stilare la sua concezione del teatro. Il fatto è che i due sono in guerra tra loro dal momento
che Michel Sticotti mette in discussione le idee degli illuministi ed è tenuto in grande
considerazione dall’aristocrazia per l’acutezza delle sue idee.
È un conservatore intelligente, colto, brillante ma ingenuo e, forse, un po’ opportunista,
in un mondo che va verso la Rivoluzione.
Contesta pure Voltaire e - con il nome “Thomas du Frioul”, Tommaso del Friuli
per sottolineare il senso di nobiltà famigliare e di appartenenza a questa terra – se la prende
anche con Rousseau. Almeno questa volta, una certa ragione ce l’ha perché riguarda un fatto
capitato a una persona a lui molto vicina, la sorella Agathe, e che lui aveva vissuto
in prima persona a differenza dell’illuminato Rousseau.
h 14
Michel al spose
a Copenaghen
la signorine Amand
Huguet,
balarine e atore
famose, specializade
tal rûl di Arlechin.
AGATHE STICOTTI
Agathe Sticotti (Parigi 1722–Rennes, 1787) è la terzogenita
di Fabio e pure lei segue le orme artistiche del padre e fa parlare
di sé. Perché le succede qualcosa di analogo a quanto capitato
a Fabio. Infatti, va sposa al cavaliere Marguerite Hugues “Charles”
Marie Huchet de la Bedoyère, Marchese de la Bédoyère
e de la Thébaudais, Barone de Bossac, Signore de Rieux.
Un giovanotto che già dalla lunghezza del nome fa capire che deve
appartenere alla crema della nobiltà francese.
Anche lui, a causa di queste nozze, viene diseredato dal genitore –
che è magistrato e gioca in casa - dopo un processo che fa scalpore
tanto da diventare un libro di successo: “Les époux malhereux ou
Historie de Monsieur et Madame de la Bedoyère”, gli sposi infelici
o storia del signor e della signora de la Bedoyère di François
Thomas Marie de Baculard d’Arnaud, altro bel nome lungo.
Il processo che precede la perdita dell’eredità li obbliga a fuggire
ad Avignone per non essere separati dalla condanna.
La vicenda fa talmente rumore che dieci anni dopo è ancora
ben presente nella memoria collettiva tanto che Rousseau
ne parla due volte nei suoi saggi. A sproposito secondo Michel
che lo attacca con un proprio saggio.
Al di là delle battaglie legali e filosofiche, rimane il fatto che i due
sposini anche in questo caso si amano talmente tanto che i suoceri
saranno costretti a riconoscerlo e li faranno risposare di nuovo
e con la loro benedizione. Il loro amore è così forte che Agathe
sopravviverà solo quindici giorni alla morte del marito.
Questi Sticotti amanti dell’amore, del teatro, delle discussioni,
pieni di glamour... e poi dicono che i carnici sono gente fredda!
Pûr di fâsi acetâ dai misars,
Agathe si fâs passâ par une camarele
par mostrâ ce frute tant brave
e oneste che je.
Scuvierte, e ven butade fûr di cjase.
No passarà però masse timp
par che lis robis si sistemin par jê
in maniere positive.
Il libri su la storie di amôr disgraciade di Agathe e di Charles al è deventât un best-seller cun 60 edizions
e al ven ancjemò cetant stampât!!! Chest ca al è un collage di plui edizions.
15 a
GRANDE CJARGNE
NEL ’700 LA CARNIA È DI MODA!
QQQQQQQQQQ
JACOPO
LINUSSIO
QQQQQQQQQQ
Dove si vede come imparando un’arte senza metterla da parte
si diventa il maggiore produttore di fashion del Settecento
Per capire l’importanza di Jacopo Linussio
(Paularo, 8 aprile 1691–17 giugno 1747)
provate a contare fino a 32.000.
Se dite un numero al secondo ci metterete
esattamente 8 ore, 53 minuti e 20 secondi,
sempre che non crolliate prima.
Questo non vuol dire che Jacopo era
un tormentone, ma torna utile per darvi l’idea
del grandissimo numero di persone che,
più o meno, lavoravano per lui, 32.000:
30.000 filatrici e 2.000 operai tessili.
Uno sproposito anche al giorno d’oggi...
Se non basta, vi dico ancora che Jacopo
aveva costruito a Tolmezzo la più grande
manifattura tessile europea - praticamente
mondiale - del Settecento e che la sua ‘Fabrica’
(così la chiamava, vi ricorda niente?)
era più grande dell’intera città di Tolmezzo,
un “fuori scala” come si direbbe.
Ma come ha fatto, un ragazzo di Paularo
povero ed emigrato come apprendista garzone
nelle fabbriche tessili austriache a costruire
un impero simile? Usando l’ingegno.
Partiamo da Villa di Mezzo di Paularo
che non è certamente il centro del mondo
in una Carnia di fine del Seicento con poche
strade, tanti emigranti e molta miseria.
È qui che avviene il miracolo che la porterà
all’attenzione del mondo: nel 1691,
nasce Jacopo Linussio.
È un ragazzino sveglio a cui la famiglia offre
una istruzione di base prima di mandarlo,
come tanti altri, in Austria ad apprendere
il mestiere di tessitore. In breve Jacopo diventa
un giovanotto esperto in questa professione.
A 26 anni fa il grande passo aprendo
una sua fabbrica a Moggio perché ha un’idea
geniale: ridurre a circa 1/4 i fili adoperati nel
tessere le tele usando fili più grossi e ottenendo tele più grossolane, certamente, ma meno
costose, a buon mercato e alla portata di tutte
le tasche.
C’è, però, un problema: ha pochi soldi e deve
farsi finanziare. Perciò va a Venezia a esporre la
sua trovata. Qui avviene un secondo miracolo.
Gli interlocutori intuiscono la sua capacità
industriale, gli danno fiducia e lo finanziano
anche perché Venezia sta passando un brutto
momento dal punto di vista commerciale
e sociale tant’è che ha proibito l’importazione
di alcuni tessuti tedeschi per agevolare
la produzione interna.
Cosa fa, allora Jacopo? Edifica una fabbrica
in Venezia per essere più vicino a un porto?
No, lui non disloca, come si direbbe oggi,
ma ritorna nella sua Carnia per più validi
motivi: i carnici (maschi) sono riconosciuti
come tessitori “eccellenti e rari” oltre che abili
ricamatori e la manodopera costa poco.
Inoltre, ha a cuore la situazione di miseria
della sua terra e vuole aiutarla a risollevarsi.
Pertanto, importa il materiale grezzo
da ogni dove, dall’Egitto alla Moscovia,
ma lo fa filare qui nonostante le difficoltà
di trasporto date le pessime vie
di comunicazione.
C’è una sua bellissima frase del 1726,
che richiama questa grande attenzione
per la sua gente.
Telis produsudis
te “Fabrica” di Linussio
Avete capito? L’asso nella manica di Jacopo
è la riduzione dei costi delle sue tele per
renderle più economiche e venderle meglio.
Un po’ come succede ancora oggi.
Ma lo fa senza trasferire la sua ‘Fabrica’ e
cercando, invece, soluzioni che lo facciano
risparmiare. Per questo scopo inventa
espedienti che sono validi ancora oggi.
Prima di tutto, come vi ho detto, riduce a
circa un quarto i fili necessari e già questo è
un bel risparmio. Poi sviluppa il lavoro
casalingo, quello che oggi chiamiamo
“home working”, ottenendo due risultati:
avere minori costi di produzione perché non
deve costruire una fabbrica per ogni paese
ma è sufficiente che, settimanalmente,
un addetto passi a ritirare il semilavorato;
permettere alle donne (sono loro che filano)
di avere un guadagno e rendersi
un po’ indipendenti.
Non solo, introduce il concetto aziendale
di casa-madre, con il centro direzionale a
Tolmezzo, e filiali dislocate sul territorio:
a Moggio, San Vito, Pordenone, Sacile...
Ciò gli permette di tenere tutto
sotto controllo, comprese le spese.
Per organizzare questo si dà da fare anche
per migliorare le strade e i ponti, importanti
per il trasporto delle merci. Taglia un costo
qui, risparmia là, alla fine le sue tele
risultano molto, molto economiche senza
perdere di qualità – anche i nobili se ne
servono – e sono esportate con successo
in buona parte del mondo.
Un boom incredibile ottenuto anche
con le costanti migliorie tecniche che apporta
ai macchinari. Migliorie alle volte “rubate”
alla concorrenza tedesca grazie a spie!
Il denaro comincia a fluire non solo in Carnia
ma in tutto il Friuli e a Venezia che dedicherà
una voce daziaria esclusiva alle tele
di Linussio tante ne vendeva.
Venezia cerca anche di ringraziarlo creandolo
nobile ma Jacopo, che non è uno sciocco,
manda a dire che per lui sarebbe meglio
che gli si abbassino piuttosto le tasse,
cosa che ottiene.
Per finire, forse, ha anche a che fare
con i moderni jeans... Interessante, no?
Jacopo Linussio ritrat di Nicola Grassi.
h 16
17 a
Proprio bravo, Jacopo Linussio.
Così bravo che si autocelebra commissionando
dipinti, che lo ritraggono in gran posa,
ad artisti famosi come il carnico Nicola Grassi.
In uno, dipintogli da Pietro Longhi e conservato
al Museo Civico d’Arte di Pordenone, pittore
al top in quel momento, si fa ritrarre addirittura
con la mano che indica una scritta “Videtur ex ne
natus”, che equivale a dire “guardate che mi son
fatto dal niente, da solo”.
Incredibile Linussio: anche in questo supera tutti
perché è il primo imprenditore che si autocertifica
anticipando quello che fanno tutti gli imprenditori e stilisti moderni, una vera rock star
del prêt-à-porter!
A proposito di arte, c’è una cosa che dovete sapere.
Avete presente la Carnia con le sue belle casette,
palazzi, chiese con quadri di pittori famosi?
Avete notato che è dissimile da tutte le altre zone
dell’arco alpino? Beh, anche questo si deve,
in parte, a Linussio perché l’impetuosa ricchezza
che porta fa sì che la gente abbia voglia
di costruirsi belle dimore seguendo i modelli
più in voga e adattandoli al territorio.
Questa è bella! Pur avendo contribuito
a rendere grande Tolmezzo, Linussio
non riuscì mai a diventare un suo cittadino.
Anzi, lo guardarono sempre con diffidenza
nonostante avesse fornito, tra l’altro,
di maestro la scuola cittadina che navigava
in brutte acque, edificato uno dei palazzi
più belli della Regione, ristrutturato
il Duomo, creato ricchezza e fama…
Jacopo, par podê stâ
sul marcjât, nol paie
masse i siei lavorents
che, dispès, si lamentin
pe paie basse.
Par vignîur incuintri,
Linussio al bat monede:
cun cheste, a puedin
comprâ la robe tai siei
magazens a metât presit
e tornâ a vendile
par cjapâsi un franc.
MA
PLUI BULOS
A JERIN
I OMS
Tal Friûl di metât
Sietcent, lis feminis a son tor lis
160.000. Un tierç
di lôr, su lis 55.000,
a son ocupadis,
tant che filanderis,
tal tessil.
Lis monedis
di Linussio
Ma a tiessi e son i oms, come che si viôt te
ricostruzion dal Deutsches Museum di München.
Chei tignûts plui in stime a son i cjargnei,
considerâts - bielzà tal Cinccent - “eccellenti
e rari” pe lôr bravure.
...E
PLUI BULOS
DI DUCJ I
CJARGNEI
Tal 1756, a Tumieç a son ben trê fabrichis di tessil:
chê di Linussio, chê di Tommaso del Fabro che cui siei 10.000 lavorents no scherçave nancje chê e la plui piçule, di Pier’Antonio Zinelli.
Fustagn cun tele diagonâl
de manifature Linussio,
Enemonç/Enemonzo,
fin dal Sietcent:
ce us vegnial iniment?
Fûs dal Museu
des Arts Popolârs
di Tumieç/Tolmezzo
h18
Di cheste mape si viôt ben cetant grande
che e je la ‘Fabrica’ Linussio di Tumieç.
Se po si pense che al veve fabrichis ancje
in altris bandis dal Friûl e che la plui part
dai lavorents e lavorave a cjase, si pues ben
rindisi cont dal Imperi che al veve metût
adun.
19 a
JACOPO LINUSSIO HA ‘INVENTATO’ I JEANS MODERNI?
Qui bisogna essere un po’ chiari.
Con il termine jeans noi intendiamo un certo tipo
di pantaloni fatti con un certo tipo di tela detta
“diagonale” nota già nella preistoria.
Questi, chiaramente, non li ha inventati lui ma sono
il risultato della capacità imprenditoriale di Levi
Strauss che aveva brevettato, nel 1873, i caratteristici
rivetti che impediscono alle tasche di rompersi.
Questi calzoni sono in denim, tela che prende
il nome da “de Nîmes” una delle città che la produceva. Il color indaco è quello che li contraddistingue
e dà loro il nome di jeans derivandolo da
una storpiatura di “bleu de Gênes”, blu di Genova
importante porto di smercio internazionale
delle stoffe.
Ricostruzion moderne
di tiessût “operât piçul”
de manifature di Linussio
tor la fin dal Sietcent
Ora, esistono dei campionari della manifattura
Linussio del 1764 e del 1896 che presentano fustagni
e tele analoghi alla tela jeans. Inoltre, il colore blu
indaco è uno dei colori che contraddistingue
la produzione carnica e friulana tanto che Linussio
aveva dedicato un lavatoio esclusivamente a questa
tintura. È un colore così usato che il nipote
di Linussio pensa bene di prendere in moglie la figlia
del proprietario di una delle maggiori piantagioni di
indaco, a Corfù, la quale portava in dote pure uno zio
chimico interessato alle tinture per stoffe e in grado
di scoprire e fornire in anticipo la famiglia
delle migliorie da farsi per tinteggiare la stoffa.
Ricostruzion moderne
di un ‘tiesût operât’
prodot de ‘Fabrica’
di Linussio tal 1764
Ma, allora, Linussio ha inventato o no la tela di jeans
moderna? Diciamo che deve averla aiutata non poco
nella diffusione e nella portabilità.
Prima era talmente rigida che la usavano essenzialmente per fare vele, coprire le stoffe e fare vesti per
marinai. Grazie alla riduzione dei fili, questa tela
diventa più portabile ed economica.
Inoltre, la grande rete commerciale della manifattura
Linussio, che andava dall’Asia all’America,
ne permette la rapida diffusione.
I campionari presenti in Carnia, tra i più vecchi
che si conoscano, sono lì a dimostrarlo.
Campionari
des manifaturis
Linussio,
Cjavaç/
Cavazzo Carnico,
dal “Libro
di tacamenti “
di Antonio Michieli,
1869
h 20
Tjesût diagonâl (“jeans”)
prodot de manifature
Linussio tal 1869
21 a
GRANDE CJARGNE
Cosa conoscete degli austriaci che stanno proprio oltre le nostre montagne?
Mi sa che ne sapete ben poco anche se abitano a pochi passi (alpini) da noi.
Vi sembrerà strano ma ne sapevano molto di più i nostri antenati che in
quelle terre ci andavano a piedi e con quelle persone scambiavano opinioni,
ricette, commerciavano, costruivano ricchezze.
Conoscevano anche la loro lingua tant’è che molti carnici furono usati
dall’Esercito Italiano come interpreti durante la Prima Guerra Mondiale.
Possiamo addirittura dire che questa sia iniziata da noi già nel 1914
quando tutti i carnici che lavoravano o commerciavano oltreconfine furono
rimandati a casa, disoccupati, e la Carnia piombò nella miseria più nera.
La storia dei fratelli Moro è un esempio di come fossero molto stretti
i rapporti tra i popoli alpini a tutto vantaggio delle varie comunità.
IMPRENDITORI
Dovevano conoscere molto bene gli austriaci i fratelli Cristoforo
(1760-1823) e Giovanni Moro (1762-1816) di Ligosullo
che avevano fatto una certa fortuna commerciando con loro.
Così che quando decidono di investire i loro risparmi
in un’attività tessile prendendo, come esempio, il successo avuto
dai carnici Jacopo Linussio o da del Fabro, si traferiscono
direttamente in Austria. Cominciano in piccolo, aprendo
un negozio di tessuti nel 1785, ma il loro sogno è possedere
una fabbrica. Ora, nell’estate del 1786 viene chiuso il monastero di Vitkring, vicino a Klagenfurt, un edificio ampio circondato
da vasti possedimenti. Loro si fanno avanti ma la destinazione
d’uso è quella di “Ergötzungszentrum”, una specie di complesso
residenziale con tanto di taverna, bagno, sala da ballo,
poligono… per la nobiltà.
E LODEN
Dove si narra
di due fratelli
carnici che
si comprano
un’intera
Abbazia
per farne una
grande fabbrica,
di come
diventino
nobili e
finiscano per
ritrovarsi degli
Imperatori
per casa.
h 22
Façade de badie di Vitkring
Solo che non succede nulla e il novembre del 1788, a un’asta, i due fratelli
cominciano ad acquistare un pezzo dell’Abbazia per 10.000 fiorini, che era
una bella sommetta, per trasformarlo nella loro fabbrica.
Lo attrezzano e cominciano a produrre un panno che risulterà tra i migliori
in commercio. L’impresa dei due fratelli, la ‘Morosche Tuchfabrikation’, diventa
così importante per la Carinzia che, nel 1816, essi vengono creati nobili con
diritto a un proprio stemma, e fatti cavalieri nel 1819.
Il panno prodotto dai fratelli e dal figlio Franz Ritter von Moro (1782-1866),
in particolare quello bianco e quello rosso ‘ponceau’ delle divise degli ufficiali
austriaci, è così bello che nel 1855, un cronista presente al Salone delle esposizioni di Parigi scrive, entusiasta:
“Il loro ‘ponceau’ era di una bellezza e di un incendio quale non producono
né Francia né Prussia. Il loro panno bianco è rimasto ineguagliato in fiera,
e ogni esperto ha espresso la più alta ammirazione per la rara purezza
del colore.”
Fatto ancora più importante, grazie alla qualità dei tessuti prodotti entrano
in ottimi rapporti con la Casa d’Austria tanto che la loro industria è visitata
più volte dagli imperatori: nel 1816 da Francesco I d’Asburgo (1768-1835)
e dalla moglie Carolina Carlotta Augusta di Baviera (1792-1873), nel 1850
e nel 1852 da Francesco Giuseppe. Oltre alle visite ricevono anche molte
commesse militari: gli affari sono affari!
La ‘Morosche Tuchfabrikation’ occupa centinaia di lavoratori tanto che il figlio
Franz, che prende in mano la direzione della fabbrica e dei suoi grandi possedimenti alla loro morte, diviene uno dei fondatori della Camera di Commercio carinziana ed è accolto nell’esclusivo Ordine della Corona ferrea.
Ancje lis feminis di famee a dan un
grant contribût ae cressite de industrie
tessil. La gnece e conte che la femine
di Cristoforo, Giuseppa, e sedi
vivude - e in fin ancje muarte in fabriche de matine adore fin
tal colm de gnot, supervisionant
e dant coragjo a ducj i lavorents
“cun inzen e abilitât”.
Vistude simpri compagn, sedi di Istât
che di Invier, co la nene i puartave
i fruts, je ur dave di tete là che
al capitave, ancje suntun scjalin.
23 a
Alc al pee Linussio ai Moro, deventâts
von Moro, val a dî l’amôr pe art che
al è te nature dai Cjargnei che a àn
vût sucès te vite. Po ben, se Linussio
al puarte a Tumieç autôrs di fame,
i dissendents dai fradis Moro a son
pitôrs, biel che altris a adatin stanziis
dal ex convent di Vitkring par fâ un
centri estîf par artiscj e amants des
arts. Chest amôr pe art però al va fûr
di scuare cuant che, a un ciert pont
une erede - no savint ce fâ - e lasse
che al sedi un pitôr a direzi la aziende
di famee: une sielte no masse di sest
che e judarà il lâ al mancul di cheste
industrie impuartante.
LE DATE DELL’AVVENTURA TESSILE DEI MORO
19 maggio 1786, un decreto di corte scioglie il monastero di Viktring.
10 novembre1788, i fratelli Giovanni e Cristoforo Moro acquistano parte
dell’edificio e alcuni terreni per installarvi una fabbrica di panno.
1789, i fratelli Moro acquistano altri edifici e terreni del monastero.
1816, l’imperatore Francesco I e l’imperatrice Carolina visitano la fabbrica
di tessuti.
1824, viene fondata la società “Gebrüder Moro”.
1850 e 1852, visita dell’imperatore Francesco Giuseppe I.
1869, s’inizia la fabbricazione di tessuti Loden.
1873, visita del principe ereditario Rodolfo.
1897, l’intero edificio dell’ex convento è di proprietà della famiglia Moro.
1925, l’ultimo erede della famiglia Moro, Adeline von Botka, cede
la fabbrica al barone Josef Aichelburg-Zoseneg.
Steme dai Moro deventâts
von Moro a Vitkring.
La glesie dal complès de badie e frescs che si cjatin li dentri.
IL LODEN
È un capo d’abbigliamento invernale
caratteristico dei paesi tedeschi.
Formato di panno di lana infeltrito
per renderlo impermeabile,
inizialmente era prodotto come
abbigliamento da lavoro usato
soprattutto dai minatori o dai soldati.
Solo alla fine dell’Ottocento diventa
un capo invernale d’uso comune
e di tendenza. Di solito, si fa iniziare
la sua avventura nel mondo
della moda nel 1894.
Ma crediamo che la famiglia Moro
abbia qualcosa da ridire…
Il nome Loden deriva dal tedesco
arcaico ‘lodo’ che indicava una balla
di lana o un tessuto grezzo;
o dal medio tedesco “Lodi”
che vuol dire cappotto.
Il colore verde, il più diffuso ai nostri
giorni, è solo l’ultimo di una serie di
colori usati per il loden. Inizialmente,
infatti, era grigio come la lana delle
pecore, poi divenne bianco, rosso,
nero fino al verde che conosciamo.
La tradizione del loden non è solo
alpina ma anche delle popolazioni
Sami della Lapponia.
È diventato un capo alla moda
grazie all’imperatore Francesco
Giuseppe che lo introdusse a corte.
h 24
I von Moro a jerin cussì famôs
che i imperadôrs a lavin
a cjatâju te lôr imprese.
Dal alt:
Franz I dai Ausburg Lorene,
la femine, imperadore Karoline,
e Franz Joseph, plui o mancul
te etât che al à visitade
la fabriche di Vitkring.
25 a
GRANDE CJARGNE
JACOPO NICOLÒ CRAIGHERO
JAKOB NIKOLAUS, Reichsfreiherr (barone imperiale)
VON CRAIGHER DE JACHELUTTA
un romantico degno di note
Qui si ha la conferma
di come un carnico
del passato sia soprattutto
un abile commerciante
che conosce più lingue.
Quindi, sia una persona
di cultura che ama
l’arte e l’amicizia
magari di santi, filosofi
e musicisti.
Spartît di “Die junge
Nonne” di Schubert
su tescj di Craigher
Lo so che non vi piace la musica classica
ed è un vero peccato anche perché la differenza tra musica classica e musica rock
spesso può essere invisibile tanto che, alle
volte, la musica classica è usata per cover
dalle pop star, tant’è affascinante; mentre
opere rock come “Jesus Christ Superstar”
sono diventate dei classici. La vita di
Mozart, tanto per citare un autore classico,
a ben guardare non fu molto dissimile da
quella di un’odierna star musicale di successo con le sue stravaganze e i suoi eccessi.
Ora, nell’Ottocento va alla grande un musicista
romanticone che si chiama Franz Schubert (17971828). Scrive della musica che è una via di mezzo
(non me ne vogliano i musicisti) tra i Radiohead,
gli Oasis…, con un filo di gotico all’Evanescence.
Solo che i brani sono fatti con un bel po’
di strumenti, musica e armonizzazioni in più
e un bel po’ di amplificatori in meno (non c’erano
allora…). Inoltre, la sua fama la ottiene scrivendo
Lieder, che in tedesco sta per “canzoni”, per voce
e pianoforte. La sua musica è così accattivante
che viene accusato di essere solo un fortunato
inventore di melodie piacevoli.
Ora mi chiederete cosa c’entra Schubert e la musica
classica con il Jacopo Nicolò della nostra storia.
Semplice: Jacopo Nicolò gli fa nientepopodimeno
che da paroliere tanto che, se andate su Google e
cercate Jakob Nikolaus, Reichsfreiherr (ossia barone
imperiale) von Craigher de Jachelutta vi salta fuori
una sfilza di link che vi portano a case discografiche
e, magari, vi fanno credere di avere a che fare con
un musicista mentre non è del tutto vero.
Jenfri lis onorificencis impuartantis
che i derin, si à di ve iniment chê
dal Ordin Ecuestri dal Sant Sepulcri,
dal Ordin svedês dai Serafins
(il plui impuartant in Svezie).
Golâr dal Ordin
dai Serafins
(Creative Commons,
Lokal_Profil)
Ricominciamo, allora, con ordine anche
per capire il perché del nome tedesco.
Jacopo Nicolò (Ligosullo, 1797–Cormòns, 1855)
ha solo dodici anni e solo un cognome, Craighero,
quando viene mandato prima a Pest e quindi a
Vienna per imparare l’arte del commercio.
È qui che esplode il vecchio spirito carnico fatto
di buoni affari e amore per l’arte tanto che,
nel 1825, esce una sua poesia sul Wiener Zeitung.
Tre anni dopo viene pubblicata la sua prima raccolta (anonima) di poesie “Poetische Betrachtungen
in freyen Stunden“ (Meditazioni poetiche nelle ore
libere) che ha un’importante introduzione scrittagli
nientemeno che da Karl Willhelm Friedrich von
Schlegel (1772-1829), filosofo, scrittore e critico,
nonché uno dei fondatori del Romanticismo.
Un’ottima partenza per Jacopo Nicolò che si ritrova
recensito anche da Carlo Cattaneo il grande
federalista che voleva gli Stati Uniti d’Italia!
h 26
Jacopo Nicolò al ve cetantis cjariis
impuartantis: al fo ambassadôr
de Belgjiche, membri de ‘Societât
Africane’ di Parîs, vicepresident
de “Societât universâl pe cressite
des arts e de industrie” di Londre,
conseîr dal municipi di Triest
e un dai fondadôrs dal asîl di caritât
pai frutins bandonâts de citât...
Dome par nomenânt cualchidune...
Ordin dai Cavalîrs
dal Sant Sepulcri
disen: MATHIEU CHAINE
(Creative Commons)
27 a
Fervente cattolico, a Vienna si fa molti amici tra i quali Clemens Maria
Hofbauer (1750-1820) che diventerà addirittura santo e patrono di Vienna.
Diventa amico anche di Franz Schubert, suo coetaneo, che di mestiere fa il
musicista romantico. Ora capite cosa c’entra Craigher con Schubert: sono amici!
Ma così amici che Schubert gli chiede di tradurgli dei testi dai classici greci,
inglesi, spagnoli, francesi e italiani (si! da tutte queste lingue perché Jacopo
ne conosce un bel po’) per ricavarne dei Lieder, delle canzoni.
A un certo punto, musicherà addirittura due Lieder su testi dello stesso Jacopo:
“Totengräbers Heimweh” (La nostalgia del becchino) e “ Die junge Nonne”
(La giovane suora). Già dal titolo capite che trattano argomenti non molto
allegri e decisamente gothic alla Tim Burton. Tutte e due queste canzoni sono
considerate molto importanti nell’opera di Schubert.
“La giovane suora” raggiunge tale notorietà che gli vengono addirittura dedicate
delle copertine di periodici. Ora mi direte che due Lieder sono pochi rispetto
a quanti ne ha musicati Franz e, in parte, potreste avere ragione.
Solo che non è sempre la quantità che conta, ma anche la qualità e molti critici
sono d’accordo nell’affermare il rilevante peso dell’amicizia con Jacopo
nella formazione artistica di Schubert. Che non è poco, tanto più se a dirlo
è il musicologo Alfred Einstein cugino del più famoso Albert.
Nel 1835 va ad abitare a Trieste dove svolge il compito di rappresentanza per
una grossa banca viennese, la “Arnsein & Eskeles” e, dal 1840, anche quello di
console del Belgio. A Trieste, tanto per non smentirsi, continua a dedicarsi
alla sua grande passione, l’arte, tanto che è tra i finanziatori e il principale
promotore della Società di Belle Arti di Trieste, chiamata “Società filotecnica”,
che ha intenti promozionali e commerciali nel mondo dell’arte per stimolare
una vivacità artistica che le istituzioni non seguono con la dovuta attenzione.
A Vienna, Jacopo Nicolò è diventato ricco, famoso e nobile tanto che gli si
allunga il cognome e il nome diventa tedesco dal momento che appartiene,
con tutti gli onori, alla nobiltà austriaca. Ora, da buon nobile ha bisogno
di un castello altrimenti che nobile è? Lo trova in Carnia, in una sua proprietà
dove giace in rovina un vecchio castellaccio, Castel Valdajer.
Dal 1939 comincia a ricostruirlo adattandolo alla moda del momento.
Ne esce un delizioso castello di stile neogotico tedesco, molto romantico
e da favola con le sue belle torri a cuspide e merlate, i pinnacoli, le cornici
geometriche abbellite di fregi vegetali, circondato da prati, boschi e montagne.
Qui ospita personaggi della finanza e dell’arte mitteleuropea.
Forse è qui che pensa di ritirarsi da vecchio, di ritornare al punto di partenza
della sua vita ma il destino gli riserva una brutta malattia e una morte beffarda
a Cormòns dove si trova in convalescenza, immaginiamo convinto di essere
sulla via della guarigione, pronto nuovamente a combattere per i suoi sogni
romantici di bellezza come un antico cavaliere.
h 28
DIE JUNGE NONNE
Wie braust durch die Wipfel
der heulende Sturm!
Es klirren die Balken - es zittert das Haus!
Es rollet der Donner - es leuchtet der Blitz!
Und finster die Nacht, wie das Grab!
Immerhin, immerhin!
So tobt’ es auch jüngst noch in mir!
Es brauste das Leben wie jetzo der Sturm!
Es bebten die Glieder, wie jetzo das Haus!
Es flammte die Liebe, wie jetzo der Blitz!
Und finster die Brust, wie das Grab! -
San Clemens Maria Hofbauer,
patron di Viene
Nun tobe, du wilder gewaltiger Sturm!
Im Herzen ist Friede, im Herzen ist Ruh!
-Des Bräutigams harret die liebende Braut,
Gereinigt in prüfender Glut Der ewigen Liebe getraut.
(Jakob Nikolaus Graigher)
LA ZOVINE MUINIE
Il romanticisim
di Jacopo Nicolò
al è une vore peât
ae religjon
e a une cierte mode
gotiche che, in part,
e à influence te art
dal timp.
Nol è di maraveâsi,
alore, se i doi Lieder
scrits par jessi
musicâts di Schubert
a sintin de sô
personalitât.
Cetant che al renç jenfri lis pichis
il burlaç che al berle!
Lis trâfs a cricin - treme la cjase!
Il ton al bruntule - art la saete!
E la gnot e je scure tant che une tombe!
Par simpri, par simpri!
Cussì mi scjassavi un timp dentri di me!
E la vite e renzeve tant che vuê il burlaç!
Tremavin i membris, tant che cumò la cjase!
Sflamiave l’amôr tant che cumò la saete!
E scûr al jere il cûr, tant che la tombe!
Rabiiti pûr cumò, burlaç salvadi e possent!
Tal cûr e je pâs, tal cûr al è il seren!
Il nuviç al spiete la nuvice amade,
purificade de prove dal fûc,
al eterni amôr avodade.
Come Jacopo, ancje Cjistiel
Valdaier al patirà un brut destin.
Il piçul bebei romantic incalmât
tes bielecis des monts cjargnelis
nol rivarà a tignî bot aes
violencis de Prime Vuere
Mondiâl e al sarà sdrumât des
trupis talianis in ritirade, tal 1917.
Tornât a meti adun, nol rivarà
plui a vê che dolcece
che il baron imperiâl, tal so grant
amôr pe culture, pal so paîs
e pe Cjargne, i veve dade.
De ilustrazion, o podês dome
imagjinâ cetant biel che al jere.
29 a
GRANDE CJARGNE
MICHELE GORTANI
L’importanza di conservare bene la propria storia
Politico, geografo, geologo e volontario della Grande Guerra,
si fa volontario anche per soccorrere i carnici stritolati dalle guerre
e per conservare la migliore memoria manuale della Carnia.
Michele Gortani (Lugo, Spagna, 1883-Tolmezzo, 1966)
è un carnico che studia, si appassiona
alla composizione delle pietre, del suolo e,
di conseguenza, si laurea in scienze naturali.
Anche se sarà il suo interesse per le persone, quelle
carniche in particolare, a caratterizzare la sua vita.
L’attenzione verso la sua gente lo porta a essere eletto deputato
già nel 1913 e a interessarsi da subito della situazione
dei carnici anche perché, il 28 luglio 1914, l’imperatore
austro-ungarico Francesco Giuseppe se ne esce con il celebre
proclama “Ai miei popoli” con il quale dichiara guerra alla Serbia.
Bisogna capirlo, un serbo gli aveva ammazzato un mese prima
il nipote nonché erede al trono Francesco Ferdinando e la cosa
l’aveva fatto uscire dai gangheri. Solo che la situazione sfugge
di mano un po’ a tutti e finirà con il dare l’avvio
alla Prima Guerra Mondiale bollata come “inutile strage”
e “suicidio dell’Europa civile” da papa Benedetto XV.
Cosa c’entrano i carnici in tutto questo visto che da noi la guerra
inizierà l’anno dopo? C’entrano, eccome. Perché allo scoppio
della guerra gli emigrati carnici e friulani che lavorano
soprattutto nei territori della Monarchia e in Germania, sono
costretti a ritornarsene a casa. Si parla di quindici/diciassettemila
persone senza stipendio e con famiglie a carico.
Una bella batosta per una terra che non se la passa affatto bene
economicamente. Michele si dà subito da fare e interviene
cercando di occuparli nelle costruzioni militari
che si stanno allestendo per prepararsi al conflitto.
I carnici, però, hanno una brutta nomea, quella di essere
poco patriottici, antimilitaristi e individualisti
anche perché parlano quella strana lingua…
In realtà hanno la testa ben piantata sulle spalle
e sanno che da una guerra non si ricava mai
nulla di buono.
Ciò, però, non dissuade Michele dall’arruolarsi
volontario, nel 1915, come sottotenente alpino
per riscattare l’onore della sua gente
ed è in prima linea sul Pal Grande,
sul Freikofel, sul Passo Pramosio...
h 30
Subito, però, si scontra con l’inadeguatezza dell’esercito
italiano nell’affrontare le ben più preparate truppe
austroungariche. Situazione che critica in un rapporto
del 1916 che gli vale subito la corte marziale e tre mesi
di prigionia nella fortezza di Osoppo e, nel 1917, un deciso
intervento davanti alla Commissione d’inchiesta istituita
dopo la disfatta di Caporetto.
In quell’occasione si prodiga, insieme alla moglie, nel portare
soccorso ai carnici affamati, profughi e dispersi nelle varie
parti d’Italia. È talmente arrabbiato contro i palleggiamenti
di responsabilità tra i vari Ministeri che, il 12 aprile 1918,
presenta una dura e diretta maxi-interpellanza al Presidente
del Consiglio con ben 50 domande e richieste relative
al pessimo trattamento riservato ai profughi carnici.
Alla fine del conflitto inciterà, addirittura, i sindaci
alle dimissioni per accelerare la liquidazione dei danni
di guerra che andavano a rilento. Considerato che era una
persona molto tranquilla ed equilibrata, dovete ben immaginare la gravissima situazione in cui vivevano i vostri antenati!
Co al jentrà in vuere, l’esercit talian al jere cussì
scuintiât che il so amì, il gjenerâl Clemente
Lequio, si jere metût a fâ bombis a man
cui cops pe mignestre.
Te foto, une bombe a man “Carnia”, come chês
inventadis dal gjenerâl Lequio.
Quest’attenzione verso la sua gente la usa pure durante
il secondo conflitto mondiale forse ormai ben cosciente,
da buon carnico, che la guerra porta solo disgrazie.
Non se ne sta al sicuro a Bologna, dove insegna, ma torna tra
i suoi monti a difendere i carnici contro le angherie dei fascisti, dei nazisti e dei cosacchi, come Presidente del Comitato
di Assistenza. Alla fine del conflitto si prodiga per attuare
azioni utili alla crescita della sua Carnia. Con questo spirito,
viene eletto all’Assemblea Costituente (1946-1948) e collabora in maniera decisiva alla realizzazione degli articoli 44 e 45
della Costituzione, quelli che dedicano grande attenzione
all’artigianato e alla montagna. Tanta attenzione alla sua gente
la riserverà anche da senatore aletto nella I legislatura della
Repubblica Italiana (1948-1953), quella che tenta di ricostruire il tessuto sociale di uno Stato uscito a pezzi dalla guerra.
Chescj i doi articui de Costituzion taliane là che al è intervignût
il senatôr Gortani a pro de mont e dal artesanât.
Costituzione Italiana
Art. 44.
Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo
e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi
e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua
estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove
ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo
e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola
e la media proprietà.
La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane.
Articolo 45
La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione
a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata.
La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi
più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli,
il carattere e le finalità.
La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato.
foto: A. Foscheri
A Michele Gortani a son dedicâts doi museus,
chel des arts popolârs di Tumieç e il ‘Museu
Paleontologjic’ di Puart/Portogruaro.
I è stât dedicât ancje un abìs impuartant,
l’‘Abìs Gortani’, te mont Cjanine, lunc passe
30 km e cetant cognossût dai speleosubs, e un landri,
la ‘Grote Michele Gortani’, a Zola Predosa (BO).
31 a
Anche la Legge sulla montagna del 1952 è farina
del suo sacco.
Nel frattempo continua a fare il geologo ricoprendo
le cattedre di Cagliari, Pavia e Bologna dove il suo attivismo
si esprime attraverso quella che è l’altra sua vocazione:
arricchire biblioteche e musei per conservare la memoria
delle cose. Realizza fondamentali studi geologici sulla Carnia,
sulla Sardegna e sull’Africa orientale.
Il suo più grande successo sarà la realizzazione del “Museo
Carnico delle Arti Popolari” nel 1963, che gli è dedicato
insieme al padre Luigi. Detta così sembra una cosa facile,
ma entratevi e cominciate a guardare le tantissime cose
che vi sono racchiuse: ricordate che, per quantità
dei materiali, il Museo Carnico è uno dei maggiori musei
europei del settore! Tanto più che lo fa in un periodo
nel quale le persone sono tese verso il benessere e la modernità e buttano via tutto quello che a loro sembra vecchio.
È il trionfo della plastica, della fòrmica, del compensato
e del linoleum sul legno fatto in modo artigianale.
Per molti anni lo si vede peregrinare su strade di ghiaia
a convincere la gente a non buttare le cose vecchie,
a non bruciare armadi, telai, cassepanche antichi…,
ma a portarli in deposito sperando che finiscano
in un museo che dev’essere ancora costituito.
Ad acquistare questi splendidi pezzi d’artigianato
e antiquariato oggi si fanno dei begli affari ma, ai tempi,
era un’impresa non da poco convincere le persone a non
disfarsene, anche se sei un senatore. Michele lo fa ed è grazie
a lui se oggi possediamo una collezione stupefacente come
quella del Museo Carnico che molti musei ci invidiano.
Gortani si bat une vore ancje cuintri lis centrâls
idroeletrichis di Dimpeç e di Samblâc parcè
che, di bon gjeolic, al à capît subit i disastris
ambientâi che ur saressin vignûts daûr.
Michele Gortani al è stât ancje soci de
“Accademia dei Lincei”, de “Accademia delle
Scienze di Torino” e dal “Istituto Veneto di
Scienze, Lettere ed Arti” in plui che president
de “Società Geologica Italiana”, de “Società
alpina friulana” e de “Socjetât Filologjiche
Furlane”. Al à publicât 325 lavôrs sientifics e
rifondât, a Bologne (tor i agns Cincuante)
l’”Istituto italiano di speleologia” che veve
presiedût a Postumie a la sô prime fondazion (1929). Al à istituide, tal 1946, la “Libera
Comunità Carnica” doventade “Comunità
Carnica”. In graciis a la sô ativitât cheste a rive
a fâ front ai disastris de vuere: fan, paîs brusâts,
besteam copât…
Gortani al à vude tante stime ancje te cualitât
des oparis de sô int e no si limità nome
a salvâlis e a fâlis preseâ cuntun Museu,
ma al studià ancje par fâ capî lis diferencis
jenfri lis tantis produzions cjargnelis.
Cjapait lis cassis: al è lui che al à intivât
lis tipologjiis dai intais che a caraterizin
ogni valade.
Al è par interessament diret
di Michele Gortani che pape Pio XII
al proclame, ai 26 di Lui dal 1956,
sant Benedet Abât tant che patron
dai speleolics talians.
La Cjargne antighe e jere
plene di cûrs: lait tal Museu
a scuvierziju ducj!!
Cjalait ce maraveis che al à salvadis Michele
Gortani cul sô amôr pe Cjargne!
h 32
33 a
GRANDE CJARGNE
JACOPO LINUSSIO
e la LAMBORGHINI SKI
Sciare è facile e la Carnia vanta molti campioni dello sci.
Produrre e inventare sci innovativi lo è decisamente meno.
Eppure anche in questa specialità un carnico
è diventato un campione mondiale!
Ma Jacopo non è uno zuccone e dimostra precocemente di che pasta è fatto: ama tenere i conti
in ordine tant’è che anche quelli dei debiti li tiene puntigliosamente in nota.
Oltre a questo è un gran sportivo e appassionato
della montagna. D’inverno si reca a sciare a Sella
Nevea e ci va in bicicletta sulle strade disagevoli
di allora. Inoltre frequenta le più rinomate stazioni sciistiche quali Cervinia, Courmayeur…
Tra l’altro, proprio negli anni della sua giovinezza, le truppe alpine cominciano a usare gli sci
e serve chi li produce. A farli è una piccola
fabbrica artigiana di Udine, la “G. Lamborghini
Fabbrica Ski” che produce e vende sci agli alpini,
anche a quelli di Tolmezzo. Ora ditemi: cosa
fareste voi se, rimasti orfani di padre a (quasi)
ventun anni, ricevuta in eredità una fabbrica
tessile che non funziona più come un tempo,
amate lo sci e venite a sapere che a Udine stanno
liquidando una fabbrica di sci per la morte
del proprietario? Bravi! Fareste proprio quello
che fa Jacopo: molla la manifattura di famiglia
e acquista la “Lamborghini ski” portando
macchinari e artigiani a Tolmezzo, nei locali
della vecchia manifattura tessile.
Jacopo ha ora 28 anni e, oltre a intraprendere
una nuova avventura imprenditoriale,
ha trascorso gli ultimi anni alle prese
con la cessione dei vecchi macchinari, della villa
e dei conti di famiglia, una gavetta non da poco.
Fortuna che ci sono le auto, l’altra sua grande
passione (con tanto di multe).
Cambia il nome della ditta che diventa “Lamborghini Ski”. Il marchio sarà realizzato da uno dei
maggiori incisori del Novecento italiano,
Tranquillo Marangoni (1912-1992), uno degli
artigiani portati da Udine a Tolmezzo.
La “Lamborghini Ski” giunge a contare oltre
un centinaio di operai e il marchio è ricercato
dagli sportivi più famosi del dopoguerra.
Sono sci fatti molto bene anche perché Jacopo
non si accontenta e porta loro continue migliorie
tecniche inventando gli sci multistrato
e i cosiddetti “sci di vetro”.
I primi multistrato sono composti da due cartelle
di frassino con in mezzo un’anima lamellare.
Gli altri, gli sci ‘ZIG-ZAG’, sono prodotti anche
con la fibra di vetro, un’innovazione che porterà
la Lamborghini a diventare l’azienda leader
del settore e che è usata ancora oggi
nella fabbricazione degli sci.
100
DOME
INT DI
CJARGNE
A son cent lis operazions che
a coventin par meti adun un schi
Lamborghini, tantis di chês fatis
a man!
I dipendents di Jacopo a son cussì
brâfs che a son nomenâts tant
che “i mobilieri dello sci”.
Jacopo al vûl che ducj i siei
lavorants a sedin cjargnei.
Te foto: Ravasclêt, 1947
Porta bene chiamarsi Jacopo in Carnia dove sembra che questo
nome sia di successo. Se poi ci aggiungete il cognome Linussio
potete andare sul sicuro. Per cui ecco un altro Jacopo Linussio
(Tolmezzo, 1904 - 2003) destinato al traguardo.
Nato un bel po’ dopo lo Jacopo Linussio delle stoffe,
pur avendo iniziato la sua avventura imprenditoriale con l’azienda
tessile dell’avo, non è con questa che si fa conoscere nel mondo.
Un’altra costante di alcuni carnici di successo, inoltre, sembra essere
la scarsa propensione alla scuola se non è quella della vita.
Non che non vogliano applicarsi agli studi, no!
È proprio la scuola in sé che non funziona con loro.
Fatto da non riferire agli insegnanti perché potrebbero restarci male.
Anche in questo Jacopo Linussio non è da meno tant’è che, dopo una serie
di brutte note scolastiche e di debiti contratti, il padre lo va a ripescare a Torino,
in calesse, all’Istituto Tecnico al quale lo aveva inutilmente iscritto.
h 34
35 a
Costruisce anche i primi bastoncini da sci
in fibra di vetro che risultano, però, troppo
pesanti per l’uso! Non tutte le ciambelle
riescono con il buco…
Neanche gli sci di vetro che, per un errore
di scelta del collante, si scollano.
Jacopo non si arrende e tra il 1955 e il 1956
lancia uno sci composto di fibre di vetro e
resine sintetiche, il “Kristal”. Un successo?
Sì, se non fosse che glielo copiano ed è la
concorrenza che ne trae vantaggio.
Jacopo non molla e produce nel 1966
lo sci “Fuego 190”, uno sci talmente ganzo
che viene ricordato ancora.
L’avventura della “Lamborghini Ski”
comincia a rallentare negli anni ’70.
La concorrenza è molta, Jacopo non investe
in pubblicità, vuole fare tutto da solo
e, inoltre, ha 70 anni e nessuno cui affidare
il timone dell’azienda.
Gli sci sono sempre tra i migliori a livello
mondiale, ma gli sciatori acquistano quelli
che usano i campioni anche se di minore
qualità e Jacopo confida troppo solo sulla
qualità di ciò che produce.
L’azienda comincia a entrare in crisi e finisce
con l’essere ceduta alla Snaidero che ne
tenta il rilancio internazionale, offrendole
un’appendice di celebrità fino alla chiusura
definitiva.
Resta la memoria di sci mitici.
Sono tantissimi gli sciatori che ricordano
con piacere gli sci Lamborghini e li
conservano, gelosamente, in casa.
h 36
Par provâ i siei schîs, Linussio no si ferme
denant di nuie, nancje denant de biele
stagjon. Ve, alore, che al ordene ai siei
colaudadôrs di butâsi jù pai glereons
o di peâsi daûr de sô machine.
Pensait aes musis di chei che ju viodevin
a passâ!
Par realizâ i schîs di veri, Jacopo al à une
intuizion vinicule. Al va li dai missêrs che
a àn la cantine di Buri e al scuvierç lis bots
in vitroresine, un materiâl che al apliche
dal moment sui siei schîs.
Tal 1972 la Lamborghini Sci e prodûs un schi speciâl
pal dissesist Franco Tach di For di Avoltri
che lu sperimente sul ‘chilometri lançât’ a Cervinie.
A son schîs cetant luncs in fibre di veri e metal
e, midiant di chei, l’atlete al rive
a fâ i 170,132 km/h.
Te foto grande: schîs Lamborghini
produsûts di Snaidero;
a drete: i mitics Fuego e Fuego Competition.
37 a
GRANDE CJARGNE
APOLLO PROMETEO CANDONI
Perdere la vista ma saper guardare più lontano degli altri
Prometeo fu un dio dell’antichità che si ribellò a Giove
e portò il fuoco agli uomini. Apollo Prometeo, invece,
è un capitano d’industria che, ribellandosi al suo destino,
porta anche in Carnia il fuoco della sua genialità imprenditoriale.
In Francia comincia a lavorare gestendo un ristorante
con la moglie e facendo il pianista di un certo successo.
Ma ciò non gli basta e nel 1948, a 36 anni, decide di dare
una decisa svolta alla sua vita.
In tasca ha 140 franchi dell’epoca, che non sono certo una
gran cifra. Con cento franchi compra giusto un bilanciere di
seconda mano che piazza in un garage a Morsang-sur-Orge,
non lontano da Parigi. Inizia proprio come Steve Jobs se non
peggio di lui visto che il garage non ha neppure il pavimento!
Ora non so se sapete cos’è un bilanciere.
È la macchina che vedete nella foto a sinistra con due bracci
che si muovono: ci credete che Apollo non se li è mai beccati
in testa come accade spesso a quelli che gli occhi li hanno
buoni al pari della distrazione?
I restanti quaranta franchi li spende per acquistare materiale
ferroso. Altro materiale se lo fa prestare sulla fiducia e con un
amico, Constant, comincia a produrre morsetti metallici
perché intuisce la futura fortuna e diffusione che avrebbe
avuto l’auto. Il suo straordinario intuito, che non
l’abbandonerà mai, vede giusto.
L’avventura ha inizio. Con l’aiuto dell’amico e della moglie
inizia a produrre fanali per auto, inizialmente per la Citroën.
Lavorano sodo, 24 ore su 24, dandosi il cambio a turno
per riposare pur di non fermare la produzione.
Nasce così la SEIMA, Societé Exploitation Industrielle Mecanique
Automobile.
Apollo, detto “il Capo” da chi lavora con lui, non si accontenta della qualità di ciò che produce. Sembra quasi che la cecità
gli imponga una continua sfida per dimostrare di “vederci”
meglio di chi la vista ce l’ha buona. Infatti, è il primo a intuire
che la plastica sostituirà il metallo e il vetro nella costruzione
dei fanali, una vera rivoluzione! Controlla, prova i materiali
che vengono prodotti, indica come fare per migliorarli e come
razionalizzare l’organizzazione aziendale con la conseguenza
che, in vent’anni, crea un’impresa così grande e su tante sedi
da essere insignito, nel 1972, della Legion d’Onore, il massimo
riconoscimento francese creato da Napoleone Bonaparte.
Candoni al refudarà simpri di sei considerât
un vuarp, anzit al odeave di fâsi cognossi tant
che tâl e di jessi compatît di chei che lu incuintravin. Par la cuâl, al diseve “Voyons, voyons”
(“Viodìn, viodìn”), al compagnave dirigjents
impuartants de FIAT di Turin a Tumieç
o par Vignesie, spiegantjur ce che a viodevin
pe strade, basantsi sui suns, su lis curvis, sui
odôrs e su la sô memorie straordenarie.
Cussì che chescj ca a scuvierzevin la sô
minorazion/invaliditât dome ae fin…
Par Udin, po, al lave di bessôl
e divuardi a volê compagnâlu
sot il braç!
Può un cieco costruire un colosso internazionale capace di dare lavoro fino a 5.500
persone occupandosi di fanali per auto, ossia di qualcosa che lui, forse, non ha mai
visto e che aiutano quelli che già vedono bene a vedere meglio ciò che combina
l’auto che li precede? Non ditemi di no perché è successo. A un carnico, ovviamente.
Apollo Prometeo (Amaro,1911-Antibes, Francia 1985) è figlio di Umberto Candoni che di mestiere fa
il fotografo e che, forse, gli dà quei nomi sperando possa esprimere i suoi sentimenti di bellezza
e di anarchia. Bellezza con Apollo, ribellione con Prometeo.
La vista della bellezza, però, Apollo Prometeo la perde quasi subito: a otto anni trova un residuato
bellico sul greto del fiume e questo gli esplode in faccia: è facile in quegli anni trovare quanto resta
dell’orrore della Grande Guerra e i giochi fatti da ragazzi sono spesso incoscienti.
A poco a poco comincia a perdere la vista e, in breve, rimane cieco.
In più si sente umiliato dal padre che lo porta in giro come testimonianza delle atrocità della guerra.
Lui, invece, non vuole sentirsi diverso anche se la cecità non gli offre molte speranze.
Storia finita, dunque? Per niente. Il suo carattere determinato e combattivo, tipico di molti carnici,
emerge quasi a voler sfidare un destino poco generoso.
S’iscrive al Conservatorio di Trieste riuscendo a diplomarsi in pianoforte - Chopin è il suo idolo - ma
sono gli anni del fascismo e un’altra brutta guerra si avvicina minacciosa. Temendo misure restrittive
per le sue idee antimilitariste, il padre fugge in Francia a cercare fortuna con tutta la famiglia e Apollo
inizia la vita di emigrante come era già successo, per secoli, a molti carnici.
h 38
Candoni al piert la Legjon di onôr tal 1982
parcè che e salte fûr une furbetât tai confronts
dal fisc di bande di une des sôs fabrichis là che
lui al jere president. In realtât, la sô e jere une
cjarie onorifiche, ancje parcè che al jere aromai
malât e nol jere plui in grât di direzi. Ma tant al
è, e lui salacor si cjate a paiâ pes colpis di altris.
11 a
Come l’altro grande suo conterraneo, Jacopo Linussio, non gli basta
il successo ottenuto, ma fa della vita una continua sfida:
suona il pianoforte, pratica sport come lo sci d’acqua e lo sci sulla neve
alle volte senza chi lo guidi, andando a memoria…
Per capire come la testardaggine e la forza di volontà di Apollo determinino il suo successo basta verificare il numero degli addetti che assume
nel tempo: se nel 1948 sono solo in tre, lui, Costant e sua moglie, nel
1950 i dipendenti sono già 16. Negli anni ‘60 i dipendenti crescono a
2.300 in tre stabilimenti e nel 1975 diventano 5.500 in sei stabilimenti:
cinque in Francia e uno in Carnia.
Sì perché il “Capo”, come tutti i carnici, ricorda con affetto la sua terra,
ne vede le difficoltà e cerca di portare un po’ di benessere ai luoghi
dai quali è partito.
Candoni al compensave la pierdite de
viste cuntune memorie e une sensibilitât
tatile prodigjose: al ricognosseve il gjenar
di mobii tocjantju, al capive a colp la posizion di chei che a jerin in taule cun lui une
volte che je vevin dite… E al jere il terôr
dai operaris co al passave in fabriche,
parcè che cul tocjâ al rivave a intivâ ogni
plui piçul fal dai prodots, miôr di lôr.
Nel 1969 nasce, pertanto, la “SEIMA Italiana” che giungerà a occupare
1.700 persone e che, inizialmente, ha i suoi uffici, pensate un po’,
al Museo Carnico delle Arti popolari!
La “SEIMA” è un’azienda importante, che fornisce tutte le maggiori case
automobilistiche europee e, grazie all’imprenditorialità di Candoni,
non ha rivali in Europa.
A fermare il “Capo” è solo la malattia che, nel 1981, lo costringe
ad abbandonare l’attività mentre la sua avventura viene portata avanti
dal figlio Walter e continua a crescere incorporando varie altre aziende
europee. La “SEIMA Italiana” fa altrettanto finché, nel 2.000 viene, a
sua volta, inglobata nella Magneti Marelli del gruppo FIAT per la sua
importanza.
Cosa ci insegna l’avventura di Apollo Prometeo, il “Capo”, la stessa
di Linussio, di Craighero e di tantissimi carnici? Che noi siamo
un popolo fiero e combattivo e che nulla ci può fermare.
Si pues dî che Candoni nol costruì dome
la SEIMA ma, par podê tignî sot control
i timps di produzion, al à svilupadis tantis
altris industriis, tant che la stamparie
CSAT, la VITRERIA CARNICA...
dant inmò plui ocupazion ae Cjargne.
Par capí
l’impuartance
sociâl de SEIMA
di Tumieç baste
impensâ che,
partide cun 140
dipendents,
e rivâ a ocupâ
fin a 1.700 di lôr!
Ancje se vuarp, il “Capo” si diplome
in piano al Conservatori e al pratiche
sports tant che il schi e il schi di aghe,
come che si viôt in cheste foto.
h 40
Tal 1969, chei che a produsevin automobii
a jerin ducj a Turin o a Milan.
Par convenience e par dâi di vore ae sô
tiere, Candoni nol ve pôre di meti sù
une industrie ancje in Cjargne.
Tai ricuadris: fanâi produsûts a so timp de SEIMA. A son presintis
dutis lis plui grandis cjasis che a produsin automobii.
(publicitât de SEIMA pai Paîs todescs).
Vuê la SEIMA taliane e je te “Automotive
Lighting” e e furnìs cjasis di automobii tant
che Fiat, Alfa, Lancia, Audi, Bmw, Mercedes,
Opel, Volvo, Saab, Ferrari, Maserati.
41 a
GRANDE CJARGNE
FERMO e REMIGIO SOLARI
Saper disegnare il tempo
Che i nomi spesso non ci azzecchino è un fatto visto che uno
di nome Fermo ha creato il suo successo rincorrendo il tempo
e finendo con il dominarlo grazie all’ingegno del fratello.
Ve ne sarete accorti che in questo libro non si parla di donne. Questo non vuol dire che in Carnia
non ci siano donne e nemmeno che queste contino meno degli uomini. Il fatto è che a esse toccava il duro lavoro di amministrare la casa durante l’assenza del marito, impegno particolarmente
gravoso vista la difficoltà del vivere in montagna, e di supportare e consigliare il consorte con coraggio com’è capitato a Bianca, sicura spalla di sostegno per il marito, Fermo Solari (1900-1988).
Come tutti i carnici che fanno fortuna, Fermo nasce
povero. È uno dei dodici figli di un orologiaio
di Pesariis che muore quando lui ha 12 anni.
Fortuna vuole che Fermo abbia un fratello, dieci anni
più vecchio di lui, che vive a Bologna.
Questi lo ospita e l’aiuta negli studi così che riesce
a ottenere il diploma di tecnico agrimensore,
che sarebbe un po’ il geometra attuale.
Potrebbe fermarsi lì, ma Fermo ha forza di volontà
e cervello e non tarda a dimostrarlo.
Va a Roma a lavorare senza smettere di studiare e nel
1926 ottiene, a Friburgo in Svizzera, il diploma di ingegnere edile. L’edilizia sarà la sua prima avventura tanto
che nel 1932 fonda una sua impresa edile con la quale
lavora soprattutto nell’Africa coloniale.
È così svelto e capace che nel 1936 è nominato cavaliere del Regno. Neanche questo fatto, però, lo trattiene
dal continuare gli studi e nel 1943 ottiene la Laurea in
Scienze Economiche presso l’Università di Roma.
L’edilizia lo rende ricco ma, nel 1941, scioglie l’impresa
di lavori pubblici affermatasi con lui e ritorna in Friuli.
Sono tempi brutti, c’è il fascismo, la guerra...
Inizialmente Fermo è un sostenitore
del regime, ma nel 1940 - qualcuno dice
grazie alla moglie Bianca - comincia
a rivedere drasticamente le sue posizioni
tanto da diventare uno dei fondatori
del Partito d’Azione, movimento politico
che anticipa il concetto di Regione e l’ideale
europeista, svolgendo un’azione clandestina
contro la dittatura.
Non è facile, in quei primi anni di guerra,
essere contro un’ideologia condivisa
dalla stragrande maggioranza degli italiani,
euforici per quella che si prospetta come una
grande vittoria a fianco dell’alleato tedesco.
Comincia, pertanto, a interessarsi di politica
abbracciando, pur essendo un benestante e
un “padrone”, gli ideali socialisti che lo porteranno dalla clandestinità al vice comando
del Corpo volontari della libertà (1944-45)
e a ricoprire ruoli decisivi nella politica
nazionale. Prima come membro del Comitato Centrale del Partito Socialista Italiano
(1947-57), poi come Senatore
della Repubblica (1958-63).
Il non di bataie di
partigjan di Fermo
al è “Somma”.
Te sô ativitât
clandestine al reste
ferît a Milan e al ven
arestât dai republichins.
Puartât al Niguarda
al è liberât di une azion
partigjane a la vilie
de insurezion de citât.
Solari al scrîf
ancje libris.
La esperience
partigjane le conte
soredut intun libri
une vore let e atuâl:
“L’armonia
discutibile della
Resistenza”.
Cheste e je biele. Par no lâ
in vuere a pro dal fassisim,
prime de visite militâr,
al conte che - par jessi
esonerât - la sere prime
al mangje cuarantedoi ûfs
dûrs par fâsi vignî disturps
al fiât. Che no i vegnin.
Dut câs, al pense un so amì
miedi a no fâlu partî.
Teleindicadôr de Solari
tal aeropuart TWA di New York:
grant design e grande eficience.
h 42
43 a
Ma Fermo è noto soprattutto per aver contribuito a fondare
la “Solari R. e C.”, innovativa industria di orologi.
Che c’entra, direte, con l’edilizia e la politica?
Se ricordate, la storia di Fermo è partita da Pesariis dove ha sede
la “Premiata fabbrica fratelli Solari fondata nel 1725” in cui
lavorava il padre.
Inoltre appartiene a una famiglia di persone intraprendenti.
In particolare, tra i fratelli ce n’è uno geniale nell’inventare
automatismi, Remigio (1890-1957), che Fermo indicherà sempre
come il vero autore del successo della “Solari” e che è quello
che lo ha spinto a laurearsi a Friburgo.
Remigio è un autodidatta che ha in sé la genialità di famiglia.
Dopo l’apprendistato a Pesariis si dedica a inventare cose: con uno
zio prete inventa un dispositivo a moto perpetuo; da tecnico specialista al Pirotecnico di Bologna (1915-18) realizza automatismi
per lanciare granate... È lui che inventa l’orologio a schede che fa
la fortuna dell’azienda. Ha una voglia tale di progettare che morirà, di notte, proprio mentre sta realizzando un nuovo progetto.
Par coerence cu lis sôs ideis, tal 1966 Fermo
al cree la fondazion “Bianca e Fermo Solari”
cu la intenzion di jessi di aiût ai operaris.
Cuant che Fermo al vendarà la fabriche, i fonts
de fondazion a saran distribuîts ai operaris.
Pesariis è giustamente definito “il paese degli orologi”.
Quest’attività, infatti, è qui documentata fin dalla fine
del Seicento quando viene menzionato Cristoforo
Capellari (1646-1718) come “primo orologiaio”.
Ma è nel 1725, con la fondazione della Fària,
lo stabilimento Solari, che quest’attività diventa
veramente importante per la comunità.
Questa lunga storia oggi è raccontata in un piccolo museo
che conserva preziosi orologi d’epoca al quale corrisponde
un museo all’aperta dove si alternano orologi
a carillon, dal moto perpetuo, ad acqua...
Nel 1936, dunque, Remigio lascia Pesariis per Udine e coinvolge
Fermo nella sua volontà di aprire un’industria di orologi.
Remigio ci mette la sua abilità, Fermo il capitale e la sua
grandissima abilità organizzativa. È così che con altri due fratelli,
Ettore e Remo, e il cugino Ugo fondano a Udine l’azienda
che sarà a lungo all’avanguardia nell’orologeria internazionale
e fiore all’occhiello dell’industria friulana.
Le capacità progettuali di Remigio e quelle imprenditoriali
di Fermo fanno sì che la “Solari” diventi una delle aziende
più importanti nella produzione di orologi con reti commerciali
in tutto il mondo e 350 tecnici che vi lavorano.
A 64 anni, Fermo decide di ritirarsi dall’attività e cede la “Solari”
alla Pirelli rimanendone presidente emerito per vari anni.
Une des storiis che si contin su la nassite di cheste
vocazion propit a Pesariis e je peade ae liende
di un pirate di Gjenue che al sedi scjampât chenti,
dedicantsi a cheste ativitât tant di fondâ une
fabriche. Plui facil che, invezit, ancje cheste ativitât
e sedi peade aes peregrinazions dai cramârs sù
pes Gjermaniis: si pense che cualchidun di lôr
le vedi imparade te Foreste Nere e le vedi
puartade chenti.
Ancje par deventâ orloiârs al covente lâ a scuele
e praticâ a lunc, come che si capìs di un scrit
dal 1753 di Giacomo Capellari là che si impegne
a istruî so nevôt in cheste art tal timp di sîs agns.
Il “Cifra 5” de Solari, un dai mitics
“Cifra” , al vinç il “Compasso d’oro”
tal 1956, ven a stâi il plui grant
premi pal design talian.
Il “Cifra 3” il plui famôs
dai orlois “Solari” presint
ancje al MoMa
di New York.
La grande invenzion
de Solari al è stât l’ûs
di paletis che si movin
par fâ viodi lis oris.
Chest al permet di podê
viodilis di lontan e,
duncje, a deventin
essenziâls cuant che si à
di leilis in puescj tant
che lis stazions
o i aeropuarts.
3. Orlois cun calendari: une novitât
assolude tal setôr.
Chestis, in curt, lis fasis de aventure “Solari”.
1. Invenzion di un model di orloi a schede,
bon di stampâ ore e date suntun cartonut,
cetant util pes aziendis.
Al ven fat in cinc modei numerâts
2. Orloi a scat là che ogni cifre
cui agns dai socis: 46, 48, 49,
e je scrite su dôs miezis paletis.
55 e 58.
Par fânt un a coventin fin a 700 tocs!
h 44
4. Teleindicadôrs pes stazions
e pai aeropuarts che si puedin lei
di 10 a 100 metris di distance.
45 a
GRANDE CJARGNE
QUANDO LA CARNIA È KOLOSSAL
Dante Spinotti (Tumieç 1943) al è un diretôr di fotografie
cetant preseât e che al à vudis dôs Nominations ai Oscar
pai films “L. A. Confidential” dal 1998 e “Insider” dal 1999
e trê Nominations al ASC Award, impuartant premi
de American Society of Cinematographers.
DANTE SPINOTTI
I carnici li trovi dove meno te l’aspetti!
Ad esempio, dietro una macchina da presa a inquadrare
tipini dello star system come Sharon Stone,
Johnny Deep, Roberto Benigni,
Russel Crowe, Al Pacino, Leonardo Di Caprio...
Con il rischio di prendersi pure l’Oscar.
A guardare le vite dei personaggi presenti nel libro, la domanda che ci si pone è
sempre la stessa: “Come hanno fatto ad avere successo partendo dalla Carnia?”
So già che rispondi “Per l’appunto, partendo!” Ma non basta perché ci vuole ben più
dell’acquisto di un biglietto: quanti ne hai acquistati tu?
Forse è qualcosa che è nello spirito delle nostre montagne e che queste ci hanno
trasmesso. Qualcosa che ha a che fare con la forza delle rocce e la solenne
tranquillità degli alti orizzonti. Qualcosa che ci fa sempre ritornare da loro...
Per prudenza, comunque, lo abbiamo chiesto a Dante che ha fatto questo percorso.
Come si diventata candidati all’Oscar?
Diventare candidati all’”Oscar” provoca una forte emozione vista la selezione mondiale che viene
fatta. La candidatura viene attribuita da tutti i membri dell’Accademia del Cinema di Hollywood,
che comprende molti cineasti provenienti da tutto il mondo, circa 500 colleghi, che fanno di mestiere i direttori della fotografia. Il loro compito è di valutare tutti i film dell’anno e votarne i cinque
che considerano i migliori. Poi tutto il corpo dell’Academy, composto da cinque/seimila membri,
a sua volta vota per decidere chi tra i candidati vincerà l’”Oscar” nelle varie sezioni: miglior attore,
miglior regista, miglior direttore della fotografia, miglior scenografo, miglior truccatore... e così via.
La cerimonia della consegna degli “Oscar” avviene solitamente in marzo.
Devi sapere che un film per avere una candidatura può essere realizzato ovunque nel mondo, ma
deve essere proiettato per almeno una settimana in un cinema negli Stati Uniti prima della fine
dell’anno. Giungere a essere candidati all’”Oscar” è il risultato di quello che fai per anni con passione
e perseveranza, che ti porta alla possibilità di partecipare a film di qualità.
È necessaria anche una buona dose di fortuna che ti permette di partecipare alla realizzazione di un
film che sarà un bel film, visto e apprezzato da moltissima gente. La candidatura è una scelta
anche di onestà perché non sono ammessi favoritismi, raccomandazioni, pressioni economiche...
h 46
La sô aventure cinematografiche e je scomençade tant
che operadôr, assistent dal barbe Renzo Spinotti
in Kenya. Po dopo, al lavore pe RAI fin che, tal 1981,
al tache a interessâsi di cine, mostrant di subite
la potence espressive de sô fotografie.
Dopo dai prins films talians, al à lavorât soredut
in Americhe là che al à colaborât a kolossal une vore
famôs e cun atôrs cetant brâfs.
Dal 2003 al è citadin dai Stâts Unîts.
Dante Spinotti cun Sharon Stone
sul set di “The Quick and the Dead” (1995)
Chescj i premis, in plui des Nominations, che al à vûts te sô
cariere sflandorose:
- doi “David di Donatello”;
- doi “Nastri d’argento”;
- un ‘BAFTA Award’ (British Academy Film Awards).
Quand’è partita la tua grande avventura
e che percorsi e difficoltà ha incontrato?
La mia avventura è iniziata a dodici anni.
Già allora la fotografia mi appassionava molto,
ma il mio scarso amore per la scuola ha fatto
il resto. Latino, greco e matematica non
colpivano la mia attenzione con il risultato
che sono finito in Kenya ospite di uno zio,
Renato Spinotti, che faceva il mestiere
che faccio io adesso.
Questo mi permise di imparare l’inglese
e di maturare, imparando cosa vuol dire
lavorare e assumere delle responsabilità.
Tornato in Italia dopo un anno, una serie
di eventi, frutto di buone coincidenze
e di fortuna, mi hanno portato, con il tempo,
ad acquisire la doppia cittadinanza:
ora sono sia cittadino americano che italiano.
È stato difficile abbandonare la Carnia?
A essere sincero io non ho mai abbandonato
la Carnia. Me ne sono dovuto allontanare
molto presto, questo sì. Ma dai sei anni in su
vengo in Carnia appena possibile e questa terra
è diventata una realtà costante nella mia vita.
Ancora oggi io e la mia famiglia siamo
legatissimi a Muina di Ovaro dove ci dedichiamo
alla vecchia - e proprio per questo preziosa casa di famiglia e ai suoi terreni circostanti.
Chi “abbandona” la Carnia, dove si vive
molto bene, o è disinformato
o non sa quello che fa.
11 a
Con quali attori e registi hai lavorato e qual’è stato il più simpatico?
Ho lavorato con moltissime persone, spesso assai differenti tra loro.
L’aspetto bello di questo mestiere (ci sono anche aspetti meno belli) è proprio questa
immersione di due, sei o più mesi in un lavoro che ti fa incontrare gente nuova,
ogni volta diversa e a volte straordinaria, su temi umani, storici o altro.
A volte si stringono amicizie anche se poi, magari, non ci si rivede per molto tempo.
C’è sempre qualcosa di importante da imparare in queste esperienze.
Un grande attore, o una grande attrice, è una persona fortunata, dotata dalla nascita
di quelle particolari caratteristiche. Un po’ come i campioni di calcio o del ciclismo.
Ma le qualità di partenza non bastano. Poi è necessario lavoraci sopra e con fatica
per affinarle. Dovessi citare un attore simpatico o regista dovrei mettere al primo posto
Roberto Benigni. Ho lavorato con lui per un anno sul suo “Pinocchio”.
Che differenza c’è tra lo scattare una bella foto e dirigere il set fotografico di un film?
Il cinema si basa su immagini fotografiche anche se in movimento. Un film che comprende,
mettiamo, 2/3.000 immagini ha bisogno di uno studio, una preparazione su un proprio
“linguaggio” narrativo perché ogni film parla una lingua diversa, con le sue regole, la sua
grammatica, i suoi punti e virgola... Alcuni film, ad esempio, hanno uno stile basato
sul documentarismo con la cinepresa portata a mano. Altri usano un linguaggio
più classico e tradizionale. Ogni linguaggio si occupa di determinare molti degli elementi
che compongono un film: il tipo di costume, le capigliature, la luce, i colori...
Cosa consiglieresti a un ragazzo o a una ragazza che vogliano intraprendere la tua avventura?
A un ragazzo che vuole lavorare nel mondo del cinema (che è anche realizzare
documentari, programmi televisivi e altro) consiglierei di imparare non tanto la tecnica,
che è la parte più facile. Soprattutto oggi grazie alle nuove tecnologie che ti permettono
di vedere cosa stai facendo, un po’ come quando si fa un disegno; ma di imparare
soprattutto l’arte, la letteratura, la storia. Il cervello ha bisogno di immagazzinare
conoscenze che ti permettano poi di fare delle scelte.
È bene anche essere certi che ci sia una vera passione perché ci sono momenti
che richiedono pazienza e costanza, momenti nei quali non tutto va come dovrebbe
ed è facile lo scoramento...
Quanto sogno o immaginazione ci vogliono perché la fotografia diventi sogno e realtà
immaginaria come in un film?
Il sogno e l’immaginazione creativa sono legati a una sana preparazione.
Si deve sognare o immaginare prima l’intero film o video o attualità, e poi scegliere
e fare quello che serve perché diventi un film capace di far sognare o emozionare
chi lo vede. Proprio come il sogno che, prima, ha emozionato voi.
h 48
Tal principi, tai agns Setante
e Otante, Dante al lavore
par regjiscj come Salvatore
Samperi, Lina Wertmüller
e Gabriele Salvatores.
Tes fotografiis:
cun Michael Mann, regjist di
“The Last of the Mohicans”;
cun Jodie Foster sul set di “Nell”
e cun Max von Sydow intune
sene de “Vita di Benvenuto
Cellini”
Tal 1986 al tache a colaborâ cun
Hollywood, curant la fotografie di
“Manhunter” (Frammenti di un
omicidio). Dopo di chest, al dirêç
la fotografie par cetancj films,
come “The Last of the Mohicans”
(L’ultimo dei Mohicani), “L.A.
Confidential”, “Pinocchio”, “Red
Dragon” e “X-Men: The Last
Stand “ (X-Men: Conflitto finale),
“Public Enemies” (Nemico
pubblico ), “The Chronicles of
Narnia: The Voyage of the Dawn
Treader” (Le cronache di Narnia
- Il viaggio del veliero)...
La sô filmografie e cjape dentri
almancul 41 titui, la plui part di
films di grant sucès di public!
Spinotti al è stât candidât a doi
premis “Oscar” pe sô direzion in
“L.A. Confidential” e in “Insider”
(Dietro la verità).
Une part dai siei materiâi le à
donade a un font intitulât a so
non te “Cineteca del Friuli” di
Glemone.
49 a
GRANDE CJARGNE
LA CUCINA CARNICA
Si dice che la cucina sia la vera ambasciatrice di una terra nel mondo
perché ne trasmette i sapori, i profumi, le tradizioni...
Che dire, allora, della cucina carnica che ha almeno due prodotti
notissimi a livello mondiale: il frico e il tiramisù?
Che non sono gli unici, grandi protagonisti della nostra cucina
perché lo sono anche quelli che hanno saputo elaborarli e il ristorante
al centro di tante bontà: il “Roma” di Tolmezzo.
“A Tolmezzo un ristorante di sicura classe mondiale
il Rome di Tumiez, nella cucina del quale reinventa cose
medievali il patron-chef Gianni Cosetti... l’eno-magnata
è di quelle che ti confermano, per una volta,
che a tavola non si invecchia...”
Gianni Brera in “L’Europeo”
La vuide Michelin e je la plui preseade e cognossude vuide a nivel internazionâl par chei che vuelin lâ
sul sigûr te enogastronomie.
I miôr ristorants, une vore selezionâts, a son marcâts cun stelis che van di une a trê. Vê chestis stelis
al è un ricognossiment une vore cirût e cualificant
pai ristoradôrs, une sorte di Nobel dal ben mangjâ.
Te ilustrazion: lis modernis stelis Michelin.
GIANNI COSETTI
Ben prima del bravissimo Luca Manfé, vincitore
del MasterChef USA 2013 con il frico, quest’incredibile
delizia carnica ha avuto il suo “profeta”: Gianni Cosetti
(Villa Santina, 1939–Tolmezzo, 2001), che gli amici
hanno soprannominato “Orso della Carnia”.
Un ristoratore così bravo da rendere una cucina, ritenuta
povera come quella carnica, meritevole di una Stella
Michelin (1991), il riconoscimento più prestigioso dato
a un ristorante da chi ama mangiare bene.
La sua fortuna culinaria va di pari passo con quella
del locale che gestisce, il “Roma” di Tolmezzo,
definito “mitico” dai tanti estimatori internazionali della
buona cucina e affollato, negli anni del suo massimo
splendore, da enogastronomi, grandi giornalisti, attori…
Per il grande critico Luigi Veronelli, i piatti
del “Roma” erano “immensi, inarrivabili, superiori”
e Gianni Cosetti “il cuoco più moderno che l’Italia
abbia mai avuto, perché ha intuito primo fra tutti
il valore assoluto delle sue erbe, dei suoi funghi,
dei prodotti delle sue malghe”.
Le sue sperimentazioni di 45 anni di grande
cucina sono raccolte in un volume del 1995
edito dalle Arti Grafiche Friulane, che è
una specie di Bibbia del buon mangiare,
“Vecchia e nuova cucina di Carnia”,
dove manifestò tutto il suo grande
amore per questa terra
e i suoi inarrivabili sapori.
h 50
Frico fat te maniere vecje.
TIRAMISÙ
Tra i maggiori e capaci promotori delle delizie della Carnia
vanno ricordati i Del Fabbro più volte premiati dall’Accademia
della Gastronomia Italiana.
In particolare la moglie di Giuseppe (Beppino) Del Fabbro,
Norma Pielli che asserisce di aver avuto, nel 1951 o nel 1952,
una fortunata intuizione: sostituire il burro previsto nell’antico “Dolce Torino” con il mascarpone. Racconta che il marito
chiamò questa novità “Tiramisù” e che tenne a lungo segreta la
ricetta. Una magia, questa, diventata una dei più gustosi dolci
internazionalmente conosciuti e che non poteva accadere che
in Carnia, nel mitico “Roma” di Tolmezzo...
51 a
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