ECONOMIA E SOCIETÀ NELL’ALTO MEDIOEVO CAPITOLO 8 Il calo demografico Uno dei cambiamenti più rilevanti dell’inizio del Medioevo fu il calo demografico. Le invasioni barbariche e condizioni climatiche sfavorevoli portarono all’abbandono delle campagne, con un conseguente riduzione della produzione agricola. Si generarono così carestie e fame, a cui si aggiunsero le costanti epidemie di peste. In Italia la popolazione diminuì da 7 milioni di abitanti (I sec) a 2,5 nel VII secolo. Foreste e paludi Con il crollo demografico si ruppe anche l’equilibrio uomo-ambiente. L’ordinato paesaggio di ville padronali, campi coltivati, uliveti e vitigni lasciò il posto al predominare della natura selvaggia. La vegetazione ricoprì le strade, i campi e i villaggi abbandonati: la foresta ebbe il sopravvento. Anche le opere di irrigazione e gli argini, privati della necessaria manutenzione, favorirono il propagarsi delle acque, che diedero vita a paludi ed acquitrini. Uomo – ambiente: un nuovo equilibrio Va chiarito che l’agricoltura non scomparve nell’Alto Medioevo, ma dovette fare i conti con il nuovo ambiente che la circondava. I contadini seppero infatti sfruttare sia le foreste che le paludi. Le prime erano fonte di legname e permettevano il pascolo degli animali, nonché la caccia della selvaggina; le seconde erano ricche di pesci e di uccelli. Il contatto con il nuovo ambiente portò all’integrazione tra agricoltura e nuove risorse, influenzando anche la mentalità contadina e popolandola di paure e fantasie. Le foreste La produttività delle campagne Sotto l’impero romano le campagne producevano prodotti anche per le città. Ora invece le città, con la loro popolazione contenuta, riuscivano a provvedere al proprio fabbisogno tramite orti e coltivazioni collocate all’interno delle mura. Le campagne comunque non potevano sfamare le città: la mancanza di concimi e la scarsa manodopera determinarono un calo produttivo. Basti pensare che per ogni chicco di grano seminato se ne ottenevano soltanto tre a fine raccolto. Autoconsumo e insediamenti Il lavoro agricolo si concentrò quindi sull’autoconsumo, cioè si tendeva a produrre solo ciò che serviva per sfamarsi, oltre a tutti gli utensili necessari per il lavoro nei campi. Il lavoro dei campi, come si è detto, si svolgeva a ridosso delle aree boschive e cercava di integrare i diversi tipi di attività per garantire il sostentamento. Autoconsumo e insediamenti Per questo scopo si creò il modello delle zone concentriche (III-IV sec), sviluppate intorno al villaggio: 1) la prima zona intorno al villaggio era coltivata ad orto e vigneti. 2) la seconda zona era dedicata ai cereali e al pascolo. 3) la terza era composta da zone boschive o paludose, utili a tutti per legna, raccolta e caccia. Fertilizzazione Per fertilizzare si ricorreva al maggese, al debbio e al sovescio, tecniche rudimentali ma necessarie: 1) Il maggese consisteva nel lasciare i campi a riposo dopo il raccolto fino a maggio, quando l’erba che vi cresceva veniva mangiata dagli animali al pascolo, che fertilizzavano il terreno con i loro escrementi. 2) Il debbio consisteva nel bruciare le stoppie dei raccolti sfruttando le potenzialità fertilizzanti della cenere. 3) Il sovescio era l’interramento di piante fertilizzanti, come i legumi selvatici. La curtis L’azienda agricola: la curtis La maggior parte dei contadini non era proprietaria dei terreni, ma li riceveva dal signore in cambio di un canone (affitto), pagato con una parte del raccolto. Questa pratica era definita a gestione indiretta, per differenziarla da quella dei Romani, definita invece diretta perché erano gli stessi schiavi del proprietario a coltivare i campi, non degli affittuari. Vantaggi della gestione indiretta La gestione indiretta non aveva lo scopo di ottenere un surplus di derrate (evento impossibile, del resto), ma di garantire la sopravvivenza dei contadini e di mettere a coltura i pochi campi (definiti mansi) rimasti. Agli schiavi rimanenti venivano affidati invece i mansi più lontani e una casa in cui vivere. Talvolta, anche alcuni contadini liberi o piccoli proprietari rinunciavano ai diritti di proprietà in cambio della protezione di un signore. La curtis I grandi fondi (terreni) agrari subirono così una trasformazione e presero la forma della curtis. Essa era divisa in due parti: 1) pars dominica: parte gestita direttamente dal padrone e coltivata dai suoi schiavi, che vivevano nella sua residenza (i prebendari). 2) pars massaricia: terre affidate a gestione indiretta a contadini liberi (detti coloni o massari) e non liberi (detti servi, ma non veri e propri schiavi). Spesso nel massaricio sorgevano i villaggi. La curtis I fondi così ristrutturati prendevano il nome di curtis, cioè azienda agraria e che indicava sia la reggia del padrone, che tutto il complesso delle proprietà gestite in forma diretta e indiretta (dominico e massaricio). La curtis, da un punto di vista “spaziale”, riprendeva il modello delle zone concentriche, dal momento che in ogni sua parte si integravano diversi tipi di attività. Le corvées La vita nei mansi era dura: 1) i contadini dovevano al padrone due terzi del raccolto. 2) davano doni in natura (animali, utensili, ecc) al padrone in occasione di alcune festività 3) durante i lavori più impegnativi (semina, raccolto, vendemmia) lavoravano gratuitamente per il padrone nella pars dominica. Queste giornate di lavoro gratuito erano definite corvées. L’abitante della curtis Nella curtis vivevano gli schiavi, in tutto dipendenti dal padrone, i servi, che erano semiliberi e i coloni, contadini liberi, a cui comunque toccavano le corvées. Coloni e servi spesso si sposavano tra loro, dando vita a una massa indistinta di contadini non liberi, ma non schiavi: lavoravano per il padrone ma non erano una sua “proprietà”; erano legati all’appezzamento che coltivavano e non svolgevano il servizio militare. _________________________ L’economia curtense Il sistema della curtis era un sistema funzionale e razionale: anche le corvées erano in realtà utili per i contadini del massaricio. Lavorare per il padrone poteva infatti creare delle piccole eccedenze alimentari. In caso di carestia, quindi, il padrone dava sementi ai contadini prendendole dai propri magazzini, così che i coloni potessero avviare la semina. L’obiettivo della curtis era infatti raggiungere un equilibrio tra le esigenze dei proprietari e quelle dei contadini. Produzione e consumo Nella curtis vigeva un’economia di autoconsumo. Le poche eccedenze venivano destinate alla curtis stessa, non al commercio: i nobili le usavano per mantenere cavalli e per le vettovaglie di guerra; il clero le destinava agli arredi sacri o alla carità. Era quindi un’economia chiusa. Il commercio, sebbene ridotto, non era scomparso: la moneta ancora circolava e abbiamo testimonianze di spezie conservate nei monasteri, giunte da paesi lontani tramite baratto. Mobilità contadina La curtis occupava un vasto territorio, e più curtes erano in contatto fra loro: questo comportò la creazione di strade e sentieri e un miglioramento delle vie di comunicazione, con un conseguente sviluppo dei trasporti. Per le corvées bisognava infatti raggiungere la pars dominica; anche i frantoi, le macine, i mulini e i forni erano nel dominio padronale. Tutto ciò originava spostamenti quasi quotidiani di breve e media distanza. La svolta del IX secolo Alcune curtes possedevano giacimenti minerari: in questi casi il padrone richiedeva che, oltre ai viveri, gli venissero donate anche materie prime. Dal IX secolo, con la pace e la stabilità garantite da Carlo Magno, l’economia migliorò: le materie prime (sale e ferro) vennero destinate all’esportazione nelle città. Riprese così vita il commercio e con esso l’artigianato, seppure in scala ridotta. La ripresa dopo il Mille Con l’anno Mille si verificò un aumento demografico. Le cause furono diverse: 1) Il sistema della curtis si era regolarizzato e reso efficiente. 2) Le incursioni dei “nuovi” barbari (vichinghi e saraceni) si erano concluse. 3) I predicatori avevano annunciato che dopo l’anno mille il mondo si sarebbe concluso (millenarismo): ciò non accade e si diffuse maggiore ottimismo. Segni evidenti del ripopolamento furono l’allargamento delle mura e la fondazione di nuovi villaggi. La rotazione triennale Tra IX e X secolo si ebbero alcune innovazioni tecniche, che avrebbero poi preso piede dopo il Mille: 1) La rotazione triennale (IX sec): i terreni venivano divisi in tre parti, non più in due. Così, solo una delle tre porzioni era destinata al riposo (maggese), mentre le altre due erano destinate l’una ai legumi e l’altra ai cereali. Le coltivazione poi ruotavano in modo tale da non impoverire il terreno e di riposare con il maggese. La rotazione triennale La rotazione triennale Ciò accrebbe la fertilità, perché legumi e cereali non sfruttano le stesse sostanze nutritive del terreno. I legumi inoltre aiutano a fissare l’azoto nel suolo, elemento fondamentale per una buona produzione agricola. La rotazione triennale metteva maggiormente al riparo dalla fame, perché ci si poteva affidare a più raccolti anziché a uno solo. L’introduzione dei legumi migliorò anche la dieta contadina. Aratro pesante Il versoio Altre innovazioni tecniche Un’altra invenzione fu l’aratro pesante: dotato di ruote, tirato da una coppia di buoi e fornito di un versoio (una struttura in ferro che rigirava le zolle) permetteva di spaccare il terreno in profondità (così che fosse meno duro) e di seminare su strati meno superficiali e più fertili. Il giogo, che faceva leva sulle spalle dell’animale anziché sul collo, permetteva a buoi e cavalli di tirare con maggiore forza senza strangolarsi. Il giogo Altre innovazioni tecniche Queste innovazioni non erano sconosciute prima del IX secolo, ma non erano praticate per mancanza di risorse. L’aumento della produttività di avena aveva permesso di sfamare gli animali da tiro; il commercio di metalli invece consentì la costruzione degli aratri. L’incremento della produttività Come risultato delle innovazioni, la produttività aumentò: da due a tre chicchi per seme piantato si passò ad un rapporto di 1 a 4 o addirittura di 1 a 6. Nel centro e Nord Europa tutto ciò fu permesso dall’aratro pesante e dalla rotazione triennale. A Sud invece l’aratro pesante era inutile (i terreni erano già fertili) e la rotazione triennale impraticabile per il clima secco: furono invece l’ampliamento e la creazione di nuovi appezzamenti coltivati a garantire maggiori derrate.