Sent. 867/2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER LA REGIONE LAZIO
composta dai seguenti magistrati
Ivan De Musso
Presidente
Giuseppina Maio
Consigliere relatore
Luigi Impeciati
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 71601 del registro di segreteria della Sezione,
promosso dal Procuratore regionale nei confronti di:
Antonio RINALDI rappresentato e difeso dall’Avv. Alessandro Graziani unitamente al
quale è elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Dario De Blasiis in Roma, alla
Via dei Gracchi n. 209;
ISTITUTO FISIOTERAPICO SAN VALENTINO s.r.l. in persona del legale rappresentante
pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Alessandro Graziani unitamente al quale è
elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Dario De Blasiis in Roma, alla Via dei
Gracchi n. 209;
Visto l’atto introduttivo del giudizio;
Visti gli altri atti e documenti di causa;
Uditi alla pubblica udienza del 2 ottobre 2014, con l’assistenza del segretario, dr. Antonio
Fucci, il
relatore dr.ssa Giuseppina Maio, il Pubblico Ministero nella persona del Vice
Procuratore Generale, dr. Pio Silvestri e l’avv. Alessandro Graziani in difesa dei convenuti.
FATTO
Con atto di citazione, depositato in data 29 novembre 2011, e ritualmente notificato, la
Procura presso questa Sezione ha convenuto in giudizio il sig. Antonio Rinaldi e l’ Istituto
Fisioterapico San Valentino S.R.L. in persona del rappresentante legale,
condannare al pagamento, in solido tra loro o in subordine
per sentirli
in parti eguali, in favore
dell’Azienda AUSL di Rieti la somma di € 66.352,89 oltre rivalutazione secondo la
seguente tabella: - dal 2005 quanto a € 12.182,49 – dal 2006 quanto a € 12.068,58 – dal 2007
quanto a € 11.347,91 – dal 2008 quanto a € 11.035,10 – dal 2009 quanto a € 11.986,51 – dal
16.09.2010 quanto a € 7.732,30, oltre interessi dalla data della sentenza al soddisfo e spese
di giudizio.
Nell’atto introduttivo del giudizio, precisa parte attrice, che, dalle risultanze di una
indagine svolta dalla Guardia di finanza è emerso che tra il 2005 ed il 2009, l’Istituto
Fisioterapico San Valentino, in qualità di soggetto accreditato presso il S.S.R. Lazio,
avrebbe incassato indebitamente dalla A.U.S.L. di Rieti, la somma di € 58.620,59 per
prestazioni non effettuate in favore di pazienti affetti da patologie ortopediche o
neurologiche più ulteriori € 7.732,30 riferibili all’anno 2010, come sarebbe emerso dalle
successive indagini svolte dalla Guardia di Finanza, compendiate in una integrazione
istruttoria n. prot. 0230890/11 del 14 maggio 2011.
Questi fatti, dai quali sarebbe emerso un complessivo danno erariale quantificato nella
misura di euro € 66.352,89, sono stati imputati al sig Antonio Rinaldi e all’Istituto
Fisioterapico San Valentino s.r.l. in persona del rappresentante legale ed è stato, in data
17 maggio 2011, nei loro confronti formulato l’invito a dedurre, di cui all’art. 5 del D.L. 15
novembre 1993, n. 453 convertito in legge 14 gennaio 1994 n. 19.
Le giustificazioni fornite non sono state ritenute sufficienti a superare i motivi di
responsabilità ipotizzati, pertanto è stato emesso atto di citazione in giudizio.
In esso la Procura ha sostenuto che sulla base delle dichiarazioni rese ai militari della
Guardia di finanza dai vari fisioterapisti e da quattro pazienti è stata accertata la
sussistenza di un comportamento doloso imputabile agli odierni convenuti che hanno
volutamente alterato la tempistica e la tipologia delle prestazioni rese o non rese al fine di
locupletare somme di denaro all’ente pubblico e ne ha chiesto pertanto la condanna.
Chiamata la causa all’udienza del 29 marzo 2012, rilevato che la notifica della citazione era
avvenuta senza il rispetto del termine libero a comparire di 90 (novanta) giorni previsto
dagli artt. 7, R.D. n. 1038 del 1933 e 163bis del codice di procedura civile, la discussione
del giudizio veniva rinviata alla data del 2 ottobre 2014 con termine per il deposito di atti
e documenti sino al giorno 12 settembre 2014.
Il sig. Antonio Rinaldi e l’Istituto Fisioterapico San Valentino s.r.l. si sono costituiti in
giudizio per il tramite dell’avv. Alessandro Graziani con memorie in data 12 settembre
2014 in cui, salvo rilievi specifici relativi alla posizione di ciascun convenuto, la difesa ha
in via generale eccepito: la prescrizione dell’azione, rilevando che l’atto di citazione a
giudizio è stato ricevuto dal Rinaldi solo in data 29 febbraio 2012, e dalla San Valentino
s.r.l. in data 13 marzo 2012, con conseguente prescrizione di tutti i fatti verificatisi prima
del quinquennio, cioè prima del 29 febbraio 2007, non potendo l’invito a dedurre essere
ritenuto un valido atto interruttivo della prescrizione non essendo idoneo ad esprimere ,
nel caso di specie, la volontà inequivoca di farsi restituire dal destinatario le somme che la
Procura ritiene dovute a titolo di danno erariale; il difetto di giurisdizione del giudice
adito essendo l’Istituto Fisioterapico San Valentino un soggetto di diritto privato che
opera sul mercato alla stregua di qualsiasi altro operatore economico; la violazione del
principio dell’onere della prova; il difetto di contraddittorio considerata la mancanza
della chiamata in giudizio della Sig.ra Nescatelli Augusta quale amministratrice di fatto;
nel merito, ha rilevato l’erronea quantificazione dell’asserito danno erariale richiamando a
sostegno delle proprie argomentazioni una relazione depositata in atti a firma del Dott.
Antonio Cocci; la mancanza di dolo o colpa grave; la parziarietà dell’eventuale
obbligazione per poste di danno erariale; in via subordinata ha chiesto la riduzione degli
addebiti evidenziando l’assenza di qualsiasi profitto o vantaggio per l’Istituto San
Valentino e tantomeno per il dr. Antonio Rinaldi.
In conclusione la difesa, evidenziando la mancanza sia dell'elemento oggettivo sia
dell'elemento soggettivo della contestata responsabilità amministrativa, ha sostenuto
l’impossibilità di configurare, nel caso di specie, una responsabilità amministrativa a
carico dei propri assistiti.
Nel corso della odierna pubblica udienza, l’avvocato sviluppava le argomentazioni
dedotte in sede di atti defensionali e chiedeva in conclusione il rigetto della domanda
attorea; il Pubblico Ministero, nella persona del Procuratore Regionale, ribadiva
ulteriormente dispiegandole le ragioni della propria posizione di causa.
DIRITTO
L’ipotesi di danno erariale sottoposta al vaglio del Collegio riguarda l’indebita ricezione di
somme per prestazioni fisioterapiche non eseguite o parzialmente eseguite da cui secondo
la Procura regionale sarebbe originato per l’ASL di Rieti un danno pari ad euro 66.352,89.
In termini di assoluta pregiudizialità, questo Collegio deve pronunciarsi in ordine alle
considerazioni svolte, sia nella memoria scritta, depositata in atti, che al dibattimento
odierno, dalla difesa dei convenuti sulla insussistenza di giurisdizione di questo adito
organo giudicante.
L’eccezione non è meritevole di accoglimento.
Essa si fonda, infatti, su una lettura restrittiva dell’art.1, comma 4, della legge 14.1.1994 n.
20 secondo la quale ai fini del radicamento della giurisdizione contabile sarebbe
“requisito necessario, l’esistenza di un vero e proprio rapporto di dipendenza tra la P.A.
ed il soggetto nei confronti del quale viene mosso l’addebito” disattesa dalla
giurisprudenza consolidata della Cassazione che, sulla base di un’interpretazione
estensiva delle varie disposizioni di legge ( art. 52 rd.12.7.1934, n. 1214 ,artt. 18 e 19 dpr
10.1.1957, n. 3 , artt 81 e 83 r.d.18.11.1923,n. 2440 ,art.58 legge 8.6.190 n.142 ed art 1 comma
4 l 14.1.1994, n. 20), ha ritenuto sussistente la giurisdizione contabile anche sulle persone
giuridiche private in quanto beneficiarie di risorse pubbliche aventi specifica destinazione
o in quanto legate all’amministrazione da un rapporto di servizio funzionale, quale quello
che si instaura nel sistema del Servizio sanitario nazionale e/o regionale con Case di cura
autorizzate e accreditate (fra le molte, Cass. SS.UU. n. 1377/06; Sezione Lazio n. 348/12 e
n. 1951/08).
Ritiene questo Collegio che il “rapporto di servizio”, presupposto per un addebito di
responsabilità erariale è rinvenibile anche nell'esistenza di una relazione "funzionale" di
servizio, la quale è configurabile anche quando il soggetto, persona fisica o giuridica,
benché estraneo alla Pubblica Amministrazione, venga investito, anche di fatto, dello
svolgimento, in modo continuativo, di una determinata attività in favore della medesima
Pubblica Amministrazione, nella cui organizzazione esso si inserisca, assumendo
particolari vincoli ed obblighi che risultano funzionali rispetto al fine di assicurare il
perseguimento delle esigenze generali alle quali l'attività è preordinata (cfr ord. n.
24672/09, ma anche la giurisprudenza relativa alla affermazione della responsabilità
erariale anche nei confronti delle società partecipate: tra le tante, Cass., n. 24002 del
20/11/2007, Sez. Un., n. 20132/2004; Cass., Sez. Un., n. 18258/2004; Cass., Sez. Un., n.
19662/2003; Cass., Sez. Un., n. 19661/2003).
In sostanza, si sostiene che l’elemento caratterizzante il concetto odierno di “rapporto di
servizio” non è dunque la traslazione di pubblici poteri ma il nesso funzionale e
strumentale della attività svolta con l’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione
come avviene nel caso delle Case di cura accreditate la cui attività costituisce attuazione
della attività di assistenza sanitaria di pertinenza pubblica (ex art. 43 L. n. 833/1978 ed 8
D.lvo n. 502/1992), ed è proprio questa inerenza al pubblico interesse a giustificare sia
l’esborso di danaro pubblico (sotto forma di assunzione a carico del bilancio pubblico
delle relative prestazioni effettuate dalla Casa di cura con il sistema della remunerazione
tariffaria) sia l’esistenza delle norme tecniche che definiscono i limiti tecnici ed operativi
entro i quali la prestazione sanitaria può essere validata.
Elemento determinante per radicare la giurisdizione di danno erariale è dunque la natura
del danno e degli scopi perseguiti, dovendo essa rinvenirsi ogni volta che si riscontri
gestione del denaro pubblico e funzionalizzazione dell’ attività (anche svolta tramite
strumenti di gestione disciplinati dal diritto civile) all’interesse pubblico o al servizio
pubblico di competenza di una pubblica amministrazione (cf. Cass. SS.UU. n. 16697 del
2003; n. 3899 del 2004; n. 9096 del 2005; n. 4511 del 2006; in identici termini, Corte dei conti,
Sez. 1^ Giur.Centrale d’Appello n. 532/08).
Nel caso di specie l’Istituto San Valentino ha come finalità statutaria quella di fornire le
prestazioni sanitarie in regime di accreditamento e con l’utilizzo di contribuzioni
pubbliche, risultando così evidente il suo inserimento funzionale nella attività istituzionale
della amministrazione sanitaria.
Il Collegio è chiamato poi a pronunciarsi in merito alla eccezione di prescrizione
dell'azione, sollevata dai convenuti nella memoria di costituzione in giudizio in cui hanno
evidenziato che l’atto di citazione è stato ricevuto dal Rinaldi in data 29 febbraio 2012 e
dall’Istituto convenuto in data 13 marzo 2012, con conseguente prescrizione di tutti i fatti
verificatisi prima del quinquennio che deve essere considerato a ritroso dalla data di
ricezione della citazione a giudizio. E’ stato altresì evidenziato che l’invito a dedurre
notificato dalla Procura in data 8 maggio 2011 e ricevuto dal San Valentino in data 9
maggio 2011 non può essere ritenuto un valido atto interruttivo della prescrizione
dovendo, per avere tale valenza, esprimere la volontà inequivoca di farsi restituire dal
destinatario le somme che la Procura ritiene dovute a titolo di danno erariale, ciò al netto
di formule dubitative.
La Sezione ritiene di non poter condividere l'assunto difensivo.
L'art. 1 comma 2 della legge 14 gennaio 1994 n. 20, nel testo sostituito dall'art. 3 del D.L. 23
ottobre 1996 n. 543, convertito in legge 20 dicembre 1996 n. 639, in materia di
responsabilità contabile, prevede che il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque
anni decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso ovvero, in caso di occultamento
doloso del danno, dalla data della sua scoperta.
Orbene il “fatto dannoso” può considerarsi verificato, almeno ai fini del decorso della
prescrizione, solo quando il danno acquista il carattere di certezza ed attualità.
Sul punto giova richiamare testualmente quanto affermato dalle Sezioni Riunite nella
sentenza n.7/QM/2000 ,”poiché il danno da risarcire deriva dall'effettivo depauperamento e si
identifica con esso ed inoltre nei casi di debenza di una somma di denaro, esso si verifica con
l'esborso della somma non dovuta, è solo da questo momento che all'(asserito) obbligo (illegittimo)
di pagare consegue il danno azionabile con il correlativo sorgere dell'interesse ad agire. Prima del
pagamento vi è solo una situazione di danno potenziale che, proprio perché tale può anche non
attualizzarsi per vicende successive …”
E’ infatti nel momento dell’effettivo pagamento e depauperamento dell’Amministrazione
(C. conti, Sez. III, sent. N. 134 del 10/4/2000) che l’evento dannoso – inteso quale elemento
costitutivo del “fatto” indispensabile per configurare la responsabilità amministrativa ed
effetto naturale della condotta che abbia comportato una modificazione del mondo
esteriore (elemento c.d. oggettivo) - assume i caratteri della concretezza e della attualità
divenendo irreversibile.
Pertanto, è piuttosto agevole rilevare che nel caso di specie il diritto al risarcimento
dell’eventuale danno patrimoniale conseguente all’indebita percezione
di somme non è
stato attinto da alcuna prescrizione, che sarebbe maturata nel termine di cinque anni (art.
1, co. 2, L. 14/1/1994, nel testo novellato dall’art. 3, co. 1, lett. b), D.L. 23/10/1996, n. 543,
convertito in L. 20/12/1996, n. 639).
E ciò in ragione, anche, dell’idoneità dell’invito a dedurre (art. 5, co. 1, del D.L.
15/11/1993, n.453, convertito nella Legge 14/1/1994, n. 19) di spiegare effetti cc.dd.
sostanziali interruttivi della prescrizione, previsti dal combinato disposto degli artt. 2943 e
1219 cod. civ., quale atto stragiudiziale di costituzione in mora del debitore in esso
espressamente riportato, laddove indichi il titolo, l’oggetto ed ogni altro elemento di
identificazione o qualificazione del rapporto ed una quantificazione del danno (C.conti,
SS.RR., n. 14/2000/QM), anche nei limiti che saranno successivamente riconosciuti in sede
processuale (cfr., Sezione I, sent. 20/9/2004, n. 333).
Sgombrato il campo dalle questioni pregiudiziali e preliminari proposte dalle difese dei
convenuti, occorre, ai fini che ne occupano, passare ad esaminare quello che è il nucleo
centrale di ogni giudizio di responsabilità, costituito dall'elemento soggettivo,
rappresentato dalla colpa grave o dolo, da quello oggettivo, costituito dal danno e dal
rapporto di causalità che deve collegare i due elementi ora detti.
Pertanto il Collegio, deve
verificare se la condotta dei convenuti in ordine alle
contestazioni in fatto descritte integri elementi di responsabilità tali da giustificare
l'accoglimento della richiesta di condanna nei confronti dei medesimi formulata nel
proposto libello.
Con riferimento alle responsabilità dei chiamati in causa l'impianto accusatorio deve
essere parzialmente condiviso.
E' noto che, in ordine alla responsabilità amministrativa, il legislatore (cfr. D.L. 23 ottobre
1996, n. 543, convertito con modificazioni dalla legge n. 639 del 1996), preso atto della
realtà amministrativa, ha ritenuto che l’elemento soggettivo della responsabilità debba
costituire il criterio di riparto tra la p.a. ed il soggetto agente, del rischio relativo alle
eventuali conseguenze dell’azione amministrativa. E, pertanto, ha affievolito il livello di
detto elemento soggettivo, stabilendo che la responsabilità si configuri non nella ipotesi di
semplice negligenza, trascuratezza ed imperizia, ma solo nel caso di una avventatezza ed
irrazionalità tali da poter qualificare come “grave” il livello della violazione dei parametri
della diligenza richiesti dal rapporto di impiego o di servizio, in relazione al quale i punti
di riferimento sono più propriamente le regole della corretta amministrazione ed, in
particolare, i principi di efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa.
Per verificare se nella fattispecie dedotta in giudizio ricorrano o meno le sopra richiamate
condizioni
necessarie
separatamente, alla luce
le
posizioni
dei
convenuti
dovranno
essere
esaminate
di quanto emerge agli atti del giudizio in merito alla loro
condotta.
L'ipotesi di danno portata all'esame della Sezione involge, come desumibile dalla
precedente narrativa, la problematica sottesa all’indebita percezione da parte di Enti
accreditati presso il Servizio Sanitario Nazionale di somme per prestazioni non eseguite o
eseguite irregolarmente e, in particolare, le modalità di pratica attuazione di tali scelte
operative, non improntate, secondo la tesi accusatoria riferita al caso di specie, al
perseguimento degli obiettivi di economicità ed efficienza, ed anzi rivelatesi produttive di
un danno concreto a carico dell'Amministrazione.
La contestazione mossa ai convenuti è quella di avere, nella specie, violato il principio
costituzionale di buon andamento dell'attività della P.A. e, nello specifico, l’aver chiesto ed
ottenuto rimborsi dalla AUSL di Rieti per trattamenti fisioterapici eseguiti a favore di
taluni pazienti in misura inferiore (per numero e tempistica di esecuzione) rispetto a
quanto previsto dalla normativa regionale e non corrispondenti tra l’altro alle necessità
terapeutiche dei pazienti .
Assume il Collegio che significativi elementi indiziari di comportamenti anomali sono
agevolmente individuabili nel fatto che, sulla base dei dati rilevati dalla Guardia di
Finanza, corredati dalle dichiarazioni rese sia dai pazienti che da alcuni sanitari operanti
nella struttura si è rilevato che i trattamenti fisioterapici eseguiti ai pazienti con patologie
ortopediche avessero la durata complessiva di 30 minuti mentre quelli eseguiti a pazienti
con patologie neurologiche avessero la durata di 45 minuti complessivi, in contrasto con
quanto prescritto dalla delibera di Giunta regionale n. 4112 del 2 agosto 1998 che prevede
che ogni seduta di fisioterapia deve avere una durata superiore ai 30 minuti.
Da alcune delle testimonianze acquisite risulta, inoltre, che su molte impegnative non era
specificata la diagnosi, erano inseriti eccessivi cicli terapici contemporaneamente e che in
alcuni casi le prescrizioni erano incongrue rispetto alla patologia indicata.
Fortemente anomale sono risultate, in particolare, le prescrizioni di terapie di
elettrostimolazione che nel caso di specie non risultano essere state neanche effettuate
essendo il paziente portatore di pace-maker ma ugualmente fatturate e rimborsate.
Il descritto quadro indiziario circa la sussistenza di una condotta lesiva dell’interesse
erariale
risulta, pertanto confermato e precisato dalle acquisizioni documentali e
testimoniali versate nel processo dalla Procura attrice la cui istruttoria svolta a mezzo
della Guardia di Finanza, con l’ausilio di un delegato esperto, ha consentito di accertare
senza ombra di dubbio che in moltissimi dei casi esaminati le terapie fisioterapiche, oltre
ad essere incongrue in relazione alle patologie dell’assistito non erano state neppure
eseguite o eseguite solo in parte e che l’assistenza prestata dall’Istituto San Valentino ai
propri pazienti, pur se ritenuta dagli stessi generalmente soddisfacente, non fosse
assolutamente sufficiente a lenire le patologie dei destinatari.
La condotta dell’Istituto convenuto che si è reso partecipe di una vicenda gestionale
rivelatasi foriera di un rilevante danno per il Servizio Sanitario Regionale risulta, pertanto,
inescusabile perchè improntata al più scarso interesse per la tutela degli interessi della
collettività amministrata, tutela che avrebbe richiesto un atteggiamento molto più attento e
consapevole per la prestazione di servizi rilevanti e costituisce il presupposto per
l’affermazione, nei suoi confronti, della responsabilità amministrativo – contabile a titolo
di colpa grave.
Quanto alla posizione del Rinaldi
il Collegio non ritiene di poter ravvisare nel suo
comportamento quella condotta gravemente colposa ritenuta, invece, sussistente dalla
Procura attrice che ha ritenuto cooperante alla determinazione del danno pubblico
suindicato l’attività svolta in qualità “di amministratore di fatto, almeno per quel che
concerne la gestione sanitaria ed organizzativa della stessa” in quanto ad esso “competeva
garantire tempi di terapia in linea con le prescrizioni legali e vigilare sulla correttezza in
termini sia temporali che fattuali dei trattamenti eseguiti (…)”.
La difesa del convenuto sostiene, per contro, che “Nessun atto di gestione amministrativa,
contabile o di rappresentanza verso l’esterno è mai stato posto in essere dal convenuto che
è sempre stato un dipendente del San Valentino senza alcuna attribuzione gestionale,
neanche di fatto. (…) Mentre dalle stesse SIT contenute nella relazione della Guardia di
Finanza di cui sopra emerge con chiarezza che tale ruolo era svolto dalla Sig.ra Augusta
Nescatelli, (…)”.
Il Collegio rileva, sul punto, che le considerazioni svolte nell’atto introduttivo, unitamente
alla documentazione allegata, non appaiono sufficienti a dimostrare che il dr. Rinaldi
abbia avuto un ruolo rilevante nella vicenda, risultando confermato e precisato dalle
acquisizioni documentali e testimoniali versate in atti che nel periodo relativo ai fatti in
contestazione, erano altri soggetti
che si
occupavano della parte amministrativa e
contabile della società.
Tra l’altro va anche considerato che la citazione in giudizio non offre sicuri elementi per
attribuire al comportamento del dr. Rinaldi quei caratteri di scriteriata leggerezza e di
intensa negligenza tali da definire una connotazione di gravità che, nell’attuale
configurazione della responsabilità amministrativa giustifica l’addebito del danno.
E, pertanto, in presenza di tali dubbi, ritiene il Collegio non ravvisabile nel
comportamento posto in essere dallo stesso la sussistenza del requisito della gravità della
colpa.
Relativamente alla quantificazione del danno, da quanto precede il Collegio trae la
conclusione che nell’ipotesi di cui trattasi, pur affermandosi la sussistenza di un danno
risarcibile, esso non può essere determinato in misura pari a quanto indicato nell’atto
introduttivo (€ 66.352,89).
Il Collegio non condivide tale impostazione, in quanto, seppure dalle risultanze
dell’indagine è emerso che l’Istituto San Valentino ha lucrato rimborsi non spettanti per
carenza del requisito oggettivo della prestazione denunciata (prestazione rimborsabile non
erogata,
prestazione
erogata
diversa
da
quella
prescritta,
prestazione
erogata
parzialmente) le prestazioni sono pur sempre state eseguite per cui risulta evidente che,
laddove si dovesse accogliere la quantificazione operata dalla Procura regionale, non si
terrebbe conto dei vantaggi comunque conseguiti con l’evidente rischio di duplicazione a
vantaggio dell’amministrazione sanitaria.
Il Collegio ritiene altresì che non sia ragionevole addebitare l’intero importo del danno
all’Istituto San Valentino s.r.l. in quanto devesi valutare l’effettivo apporto causale nel
rispetto del disposto di cui all’art. 1, comma 1 quater, della legge n. 20 del 1994, nella
versione risultante dalle successive modifiche normative, secondo cui, se il fatto dannoso è
causato da più persone, “… la Corte dei Conti, valutate le singole responsabilità, condanna
ciascuno per la parte che vi ha preso” e rileva che al pregiudizio all’esame abbia
significativamente concorso anche l’attività inerte e omissiva e, comunque, di
ingiustificata trascuratezza posta in essere da altri soggetti operanti nella struttura e dai
sanitari che effettuando prescrizioni su mera indicazione dei propri assistiti
hanno
violato scientemente e volontariamente le norme deontologiche e di convenzione, le quali
impongono al medico di base che le prescrizioni nell’ambito del Servizio sanitario
nazionale sia compiuta previa verifica secondo scienza e coscienza delle effettive esigenze
terapeutiche dei propri pazienti.
Pertanto, tenuto conto di quanto dinanzi esposto, l’effettivo apporto causale dell’Istituto
San Valentino s.r.l. nella determinazione del danno deve essere limitato, con ragionevole
valutazione da effettuare necessariamente in via equitativa (ex art. 1226 c.c.), all’importo di
euro 40.000,00 (euro ventimila/00).
Tale importo dovrà inoltre essere incrementato della maggior somma tra la rivalutazione
monetaria su base annua e secondo gli indici ISTAT e gli interessi legali dalla data del
pagamento fino a quella della pubblicazione della presente sentenza, oltre ancora agli
interessi legali da quest'ultima data e fino al soddisfo del credito esecutivamente vantato.
Dovendo invece emettere una pronuncia di proscioglimento a favore del sig. Rinaldi, il
Collegio stabilisce di liquidare per spese legali la somma di euro 1.000,00.
P . Q. M
La Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio, definitivamente
pronunciando:
- assolve il
sig. Antonio Rinaldi e per l'effetto liquida in suo favore le spese legali
nell'importo di euro 1.000,00;
- condanna l’Istituto San Valentino s.r.l. a risarcire il danno subito dall'A.S.L. di Rieti che
si liquida in euro 40.000,00.
Tale importo dovrà inoltre
essere
incrementato della
maggior somma tra la rivalutazione monetaria su base annua e secondo gli indici ISTAT e
gli interessi legali dalla data del pagamento del bene e fino a quella della pubblicazione
della presente sentenza, oltre ancora agli interessi legali da quest'ultima data e fino al
soddisfo del credito esecutivamente vantato.
- condanna inoltre l’Istituto San Valentino s.r.l. al pagamento, delle spese di giudizio che,
si liquidano in €.
233,80 (duecentotrentatre/80)
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 2 ottobre e del 20 novembre 2014.
L'estensore
Il Presidente
F.to Dott. Maio Giuseppina
F.to Dott. Ivan De Musso
Depositata in segreteria il 9 dicembre 2014
P.IL DIRIGENTE
IL RESPONSABILE DEL SETTORE
GIUDIZI DI RESPONSABILITA’
F.to Dott. Luigi De Maio
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