QUADERN
/ MARTEDÌ, 01 DICEMBRE 2015
ILCASODELGIORNO
PRIMOPIANO
Soci non residenti
soggetti alla
trasparenza fiscale
L’abitualità nelle omesse ritenute
esclude la particolare tenuità
/ Salvatore SANNA
Il regime opzionale di trasparenza fiscale per le società di capitali
consente a tali società di attribuire direttamente ai soci i redditi
prodotti, indipendentemente
dall’effettiva percezione, secondo
il modello tipico delle società di
persone.
I redditi imponibili, o le perdite fiscali, che la società partecipata
realizza nei periodi di imposta
“trasparenti”, sono imputate ai soci:
- nel periodo di imposta in corso
alla data di chiusura del periodo
di imposta della società partecipata,
- in proporzione alle rispettive
quote di partecipazione agli utili
in essere alla predetta data.
Così come accade nell’ambito delle società di persone, i soci delle
società di capitali “trasparenti”
non scontano alcuna forma di imposizione all’atto dell’effettiva
percezione degli utili.
L’opzione per il [...]
A PAGINA 2
Per la Cassazione, con più condotte “in continuazione” e una
precedente condanna per omesso versamento non opera l’esclusione
della punibilità
/ Maria Francesca ARTUSI
Continuano a porsi questioni su applicabilità e
limiti della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, come introdotta dal DLgs.
28/2015. La Cassazione – con sentenza n. 47256
depositata ieri – ha ripreso la tematica, in relazione alla fattispecie di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali prevista
dall’art. 2 comma 1-bis del DL 463/1983, fattispecie sulla quale dovrebbe intervenire uno dei
due DLgs. che riguardano la c.d. depenalizzazione, di cui il Governo ha approvato i relativi schemi (si veda “Omesse ritenute previdenziali sotto
i 10.000 euro depenalizzate” del 14 novembre
2015).
L’attuale testo dell’art. 2 comma 1-bis del DL
463/1983 dovrebbe infatti essere sostituito dal
seguente: “l’omesso versamento delle ritenute
di cui al comma 1, per un importo superiore a
euro 10.000 annui, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032. Se
l’importo omesso non è superiore a euro 10.000
annui, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000. Il datore
di lavoro non è punibile, né assoggettabile alla
sanzione amministrativa, quando provvede al
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INEVIDENZA
FISCO
Hong Kong esce dalle black list “costi” e “CFC”
Principio di competenza inderogabile anche se il
metodo contabile è costante
L’insindacabilità delle scelte gestorie espone a una
duplice responsabilità
Servizi on line INAIL, nuovi accessi “in sicurezza”
Ridotte le possibilità di censurare l’atto per vizio di
sottoscrizione
ALTRENOTIZIE
versamento delle ritenute entro tre mesi dalla
contestazione o dalla notifica dell’avvenuto
accertamento della violazione”.
Nella sentenza in esame, la condotta era consistita in un’omissione pari a poco più di
1.000 euro. Il difensore, pertanto – ancor prima della particolare tenuità – aveva invocato
l’inoffensività di tale condotta, come emergente dalla modestia della somma della quale
è stato omesso il versamento all’ente previdenziale. Ciò anche tenuto conto dei principi
sanciti dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 139/2014, nella quale si afferma che “resta precipuo dovere del giudice di merito di
apprezzare, alla stregua del generale canone
interpretativo offerto dal principio di necessaria offensività della condotta concreta, se essa,
avuto riguardo alla ratio della norma incriminatrice, sia, in concreto, palesemente priva di
qualsiasi idoneità lesiva dei beni giuridici tutelati”.
La Cassazione, nella sentenza depositata ieri,
precisa pertanto, preliminarmente, che l’affermazione della Consulta, appena richiamata,
deve intendersi riferita non tanto [...]
Fornitori esclusivi della
P.A. senza acconto IVA
/ Emanuele GRECO
Con l’avvicinarsi dell’abituale adempimento
di fine anno, relativo al versamento dell’acconto IVA (per il 2015, il termine scade il 28
dicembre), opportune considerazioni devono
essere svolte per i soggetti che effettuano cessioni di beni e prestazioni di servizi nei confronti della Pubblica Amministrazione.
Difatti, per le operazioni nei confronti della
P.A. – fatte salve specifiche ipotesi di esclusione (ad esempio, le operazioni in reverse
charge e le prestazioni rese dai professionisti)
– a decorrere dal 1° gennaio [...]
/ A PAGINA 11
A PAGINA 4
ancora
IL CASO DEL GIORNO
Soci non residenti soggetti alla trasparenza
fiscale
Non vi sono ritenute sugli utili distribuiti purché il soggetto non residente possegga la
partecipazione tramite una stabile organizzazione in Italia
/ Salvatore SANNA
Il regime opzionale di trasparenza fiscale per le società di capitali consente a tali società di attribuire direttamente ai soci i redditi prodotti, indipendentemente dall’effettiva percezione, secondo il modello tipico delle società di persone.
I redditi imponibili, o le perdite fiscali, che la società partecipata realizza nei periodi di imposta “trasparenti”, sono imputate ai soci:
- nel periodo di imposta in corso alla data di chiusura del periodo di imposta della società partecipata,
- in proporzione alle rispettive quote di partecipazione agli
utili in essere alla predetta data.
Così come accade nell’ambito delle società di persone, i soci
delle società di capitali “trasparenti” non scontano alcuna
forma di imposizione all’atto dell’effettiva percezione degli
utili.
L’opzione per il regime di trasparenza fiscale può essere
esercitata solo:
- dalle società di capitali interamente partecipate da altre società di capitali, ciascuna con una percentuale di partecipazione agli utili e di diritti di voto esercitabili nell’assemblea
ordinaria non inferiore al 10% e non superiore al 50% (trasparenza ex art. 115 del TUIR);
- dalle srl interamente partecipate da persone fisiche, purché
il numero di soci non sia superiore a 10, elevato a 20 nel caso di srl di tipo cooperativo (trasparenza ex art. 116 del
TUIR).
Se la società partecipata non è residente nel territorio dello
Stato, non è possibile optare per la trasparenza. Al contrario,
la presenza di soci non residenti non costituisce di per sé un
fatto ostativo all’esercizio dell’opzione per la trasparenza
fiscale.
L’art. 115, comma 2 del TUIR ammette la validità dell’opzione anche se i soci (o alcuni di essi) non sono residenti in
Italia, purché siano rispettati i vincoli di forma giuridica e i
limiti minimi e massimi di partecipazione e, soprattutto, purché non sia obbligatorio procedere all’applicazione di ritenute in occasione della distribuzione di dividendi da parte della partecipata residente.
Come confermato dalla circ. Agenzia delle Entrate 22 novembre 2004 n. 49 (§ 2.5), la condizione che sugli utili distribuiti dalla società partecipata non vi sia obbligo di ritenu-
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 01 DICEMBRE 2015
ta (o sia previsto l’integrale rimborso della ritenuta eventualmente operata) è soddisfatta se:
- il soggetto non residente possiede la partecipazione per il
tramite di una stabile organizzazione in Italia (in questo
caso, infatti, non sussiste alcun obbligo di ritenuta alla fonte
sulla distribuzione di dividendi);
- sussistono le condizioni per l’applicazione della c.d. “disciplina madre-figlia”, di cui all’art. 27-bis del DPR 600/73.
Considerata l’espressa previsione normativa dell’art. 23,
comma 1, lett. g) del TUIR, i redditi imputati ai soci non residenti si considerano prodotti nel territorio dello Stato e,
conseguentemente, concorrono a formare il reddito imponibile degli stessi in Italia. Il socio estero deve, quindi, dichiarare in Italia il reddito che gli è stato imputato per trasparenza, compilando il quadro RH del modello UNICO.
Scatta l’obbligo di presentare UNICO
Con la ris. 19 dicembre 2005 n. 171, in particolare, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che il reddito imputato per trasparenza da una srl italiana a una società cipriota è tassabile
in Italia. Dopo avere ribadito che l’opzione è esercitabile anche da parte di soci non residenti che non hanno una stabile
organizzazione in Italia, l’Agenzia delle Entrate chiarisce
che il reddito in questione non si considera prodotto da una
società estera, bensì da una società italiana. Pertanto, in forza della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata
tra i due Stati, la tassazione deve avvenire – e in via
esclusiva – in Italia.
In merito all’opzione per la trasparenza fiscale delle srl a ristretta base proprietaria (art. 116 del TUIR), l’art. 14,
comma 1, lett. b) del DM 23 aprile 2004 precisa che l’esercizio dell’opzione non è precluso dalla presenza nella compagine sociale di un socio non residente, purché quest’ultimo
possegga la partecipazione nella società trasparente per il
tramite di una stabile organizzazione in Italia.
Tale fattispecie, infatti, rappresenta l’unico caso in cui non
sorge l’obbligo di effettuazione della ritenuta sulle
distribuzioni di utili in favore di socio non residente persona
fisica (il regime “madre-figlia” sarebbe, infatti, chiaramente
inapplicabile).
/ 02
ancora
IMPRESA
L’abitualità nelle omesse ritenute esclude la
particolare tenuità
Per la Cassazione, con più condotte “in continuazione” e una precedente condanna per
omesso versamento non opera l’esclusione della punibilità
/ Maria Francesca ARTUSI
Continuano a porsi questioni su applicabilità e limiti della
causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, come introdotta dal DLgs. 28/2015. La Cassazione – con sentenza n. 47256 depositata ieri – ha ripreso la tematica, in relazione alla fattispecie di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali prevista dall’art. 2 comma 1-bis del
DL 463/1983, fattispecie sulla quale dovrebbe intervenire
uno dei due DLgs. che riguardano la c.d. depenalizzazione,
di cui il Governo ha approvato i relativi schemi (si veda
“Omesse ritenute previdenziali sotto i 10.000 euro depenalizzate” del 14 novembre 2015).
L’attuale testo dell’art. 2 comma 1-bis del DL 463/1983 dovrebbe infatti essere sostituito dal seguente: “l’omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1, per un importo
superiore a euro 10.000 annui, è punito con la reclusione
fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032. Se l’importo
omesso non è superiore a euro 10.000 annui, si applica la
sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro
50.000. Il datore di lavoro non è punibile, né assoggettabile
alla sanzione amministrativa, quando provvede al
versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o
dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione”.
Nella sentenza in esame, la condotta era consistita in
un’omissione pari a poco più di 1.000 euro. Il difensore, pertanto – ancor prima della particolare tenuità – aveva invocato l’inoffensività di tale condotta, come emergente dalla modestia della somma della quale è stato omesso il versamento
all’ente previdenziale. Ciò anche tenuto conto dei principi
sanciti dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 139/2014,
nella quale si afferma che “resta precipuo dovere del giudice
di merito di apprezzare, alla stregua del generale canone interpretativo offerto dal principio di necessaria offensività
della condotta concreta, se essa, avuto riguardo alla ratio
della norma incriminatrice, sia, in concreto, palesemente
priva di qualsiasi idoneità lesiva dei beni giuridici tutelati”.
La Cassazione, nella sentenza depositata ieri, precisa pertanto, preliminarmente, che l’affermazione della Consulta, appena richiamata, deve intendersi riferita non tanto alla disposizione sulle omesse ritenute, quanto al complessivo corpus
normativo penale. In altre parole, i giudici di legittimità ritengono che sia possibile parlare di condotta inoffensiva solo laddove l’offesa (il vulnus), che la condotta posta in essere ha arrecato al bene giuridico tutelato, sia effettivamente
irrilevante o inesistente.
Si deve, dunque, trattare di condotte non idonee a cagionare
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 01 DICEMBRE 2015
la lesione (cfr. Cass. n. 3562/2015): si può pensare a condotte tali da realizzare l’offesa in misura talmente lieve da porsi
al limite tra rilevanza e irrilevanza penale (Cass. n.
33835/2014) ovvero nelle quali il danno arrecato sia stato
compensato da un vantaggio, derivante dalla medesima condotta, avente valore non inferiore al primo (Cass. n.
49787/2013).
Nel caso in esame – a giudizio della Cassazione – sebbene
l’ammontare delle contribuzioni previdenziali e assistenziali
omesse sia di importo piuttosto contenuto, tuttavia, il fatto
non appare tale da non cagionare un danno (che la sentenza
stessa in commento definisce “limitato”) alla gestione delle
risorse finanziarie, cui le contribuzioni omesse avrebbero
dovuto accedere.
A ciò si ricollega la tematica della particolare tenuità del fatto. Si tratta della possibile rilevanza, nel caso analizzato dalla presente sentenza, della causa di non punibilità recentemente introdotta nell’art. 131-bis c.p. Tale norma introduce,
per definizione, un regime più favorevole al reo e pertanto
può essere fatta valere anche in Cassazione per fatti avvenuti prima dell’entrata in vigore della norma stessa (principio
di retroattività della legge penale più favorevole di cui
all’art. 2 comma 4 c.p.). Inoltre, data la natura sostanziale di
tale istituto e afferendo la particolare tenuità a un carattere
obiettivo del fatto, il giudice potrà anche rilevarla d’ufficio
ovvero potrà essere sollevata dal difensore anche privo di
procura speciale.
La sentenza in commento ripercorre, dunque, sinteticamente
le caratteristiche e gli elementi necessari per l’applicazione
dell’art. 131-bis c.p.: oltre al limite di pena (pena detentiva
non superiore ai 5 anni), sono previsti i due requisiti congiunti della particolare tenuità dell’offesa e della non abitualità del comportamento.
I giudici di legittimità concentrano l’attenzione proprio su
quest’ultimo requisito – non abitualità – e, dopo aver delimitato il campo di applicazione della normativa in questione,
escludono la sua pertinenza alla fattispecie di omesse ritenute previdenziali o assistenziali, come contestata nel caso di
specie. Qui, infatti, da un lato, si trattava di più condotte di
omissione “in continuazione” tra di loro (art. 81 cpv c.p.);
dall’altro, il soggetto imputato aveva già riportato nel passato un’ulteriore condanna per reati inerenti l’omesso
versamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto,
da considerarsi della stessa indole di quello per cui si
procede nella sentenza in commento.
/ 03
ancora
FISCO
Fornitori esclusivi della P.A. senza acconto
IVA
L’adempimento non è richiesto per il 2015 ai soggetti che fatturano con il sistema di
split payment
/ Emanuele GRECO
Con l’avvicinarsi dell’abituale adempimento di fine anno, relativo al versamento dell’acconto IVA (per il 2015, il termine scade il 28 dicembre), opportune considerazioni devono
essere svolte per i soggetti che effettuano cessioni di beni e
prestazioni di servizi nei confronti della Pubblica Amministrazione.
Difatti, per le operazioni nei confronti della P.A. – fatte salve specifiche ipotesi di esclusione (ad esempio, le operazioni in reverse charge e le prestazioni rese dai professionisti) –
a decorrere dal 1° gennaio 2015, l’IVA si applica con la modalità dello “split payment” di cui all’art. 17-ter del DPR
633/72.
Si ricorda che, per le operazioni assoggettate alla disciplina
dello “split payment”, in deroga alle ordinarie regole IVA,
non è prevista la rivalsa dell’imposta. Quest’ultima è trattenuta dalla Pubblica Amministrazione (acquirente del bene o
servizio), la quale provvede a versarla direttamente
all’Erario. Non sussistendo il meccanismo della rivalsa, il
fornitore della P.A. che applica l’IVA con il sistema dello
“split payment” registra le fatture emesse senza computare
l’imposta nelle liquidazioni periodiche (art. 2 comma 2 del
DM 23 gennaio 2015).
Per i soggetti che hanno quale unico fornitore la Pubblica
Amministrazione, la conseguenza fattuale è l’esonero dal
versamento dell’acconto dell’IVA dovuta per il 2015.
Ai sensi dell’art. 6 della L. 405/90, l’acconto IVA può essere determinato sulla base della liquidazione prevista per il
mese di dicembre dell’anno in corso (per i contribuenti con
liquidazione su base mensile) ovvero per l’imposta
emergente dalla dichiarazione annuale relativa all’anno in
corso (per i contribuenti che hanno optato per le liquidazioni
su base trimestrale).
Il descritto metodo di determinazione dell’acconto (cosiddetto “previsionale”), se più favorevole, può infatti essere adot-
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 01 DICEMBRE 2015
tato in luogo del metodo “storico”, che prevede quale base di
riferimento la liquidazione IVA relativa all’anno precedente
o l’imposta emergente dalla precedente dichiarazione annuale.
Quindi, i soggetti fornitori della P.A. che, nel corso del
2014, addebitavano l’IVA in rivalsa all’Amministrazione, se
a partire dal 2015 hanno effettuato le operazioni attive adottando il meccanismo dello “split payment”, non sono chiamati al versamento dell’acconto nel mese di dicembre 2015.
Il principio può essere esteso al nuovo reverse charge
Le medesime considerazioni possono estendersi ai contribuenti le cui operazioni abituali, a decorrere dal 1° gennaio
2015, sono rientrate nell’ambito di applicazione della disciplina del reverse charge. Anche in questo caso, non prevedendo il meccanismo del reverse charge la rivalsa dell’imposta, le operazioni attive risultano neutre nelle liquidazioni
periodiche del fornitore.
Rispetto ai soggetti che operano nei soli confronti della Pubblica Amministrazione (per i quali la disciplina dello “split
payment” si applica per la generalità delle operazioni), l’esonero dal versamento dell’acconto IVA per i soggetti che operano in reverse charge costituisce ipotesi residuale.
In verità, il meccanismo del reverse charge di più recente introduzione ha natura prettamente oggettiva (si pensi al reverse nel settore edilizio di cui all’art. 17 comma 6 lett. a-ter)
del DPR 633/72. Per cui, potrebbe risultare esonerato
dall’acconto IVA solo l’operatore che effettua prestazioni
tutte caratterizzate dalla medesima natura, tra quelle che
hanno cambiato modalità di applicazione dell’imposta a
decorrere dal 2015 (ad esempio il soggetto che, come attività
dell’impresa, effettua la sola installazione, manutenzione e
riparazione di impianti elettrici).
/ 04
ancora
FISCO
Hong Kong esce dalle black list “costi” e
“CFC”
In Gazzetta Ufficiale i due decreti che modificano i DM 23 gennaio 2002 e 21
novembre 2001
/ REDAZIONE
Sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 279 di ieri i
due decreti – entrambi datati 18 novembre 2015 – che eliminano il territorio di Hong Kong dalle liste degli Stati o
territori a regime fiscale privilegiato di cui al DM 23 gennaio
2002 e al DM 21 novembre 2001.
Ad aprire la strada all’espunzione del territorio di Hong
Kong dalle black list “costi” e “CFC” è stata la ratifica e
l’esecuzione, avvenuta con la L. 96/2015 dell’Accordo tra il
Governo della Repubblica italiana e il Governo della
Regione amministrativa speciale di Hong Kong della
Repubblica popolare cinese per evitare le doppie imposizioni
in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni
fiscali, con Protocollo, fatto a Hong Kong il 14 gennaio 2013
(si veda “La Convenzione apre le porte per l’uscita di Hong
Kong dalle black list” del 9 luglio 2015).
Tale Convenzione segue i dettami classici del modello OCSE per l’individuazione della residenza fiscale delle persone fisiche (per la quale si seguono, in ordine, i criteri del
possesso di un’abitazione permanente, del centro degli interessi vitali e della dimora abituale), la tassazione dei dividendi e degli interessi (con ritenute nella misura rispettiva del
10% e del 12,5%), i redditi per il lavoro dipendente prestato
all’estero, così come la territorialità del capital gain (con tassazione esclusiva nello Stato di residenza del cedente, fatta
eccezione per le cessioni di partecipazioni in società non
quotate il cui patrimonio è investito per oltre il 50% in immobili, tassate in entrambi gli Stati). Conforme al modello
OCSE è anche la clausola per lo scambio di informazioni
ai fini fiscali contenuta nell’art. 26 del Trattato, che impone
di fornire i dati richiesti anche se detenuti da banche o
società finanziarie.
Con un comunicato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del
26 ottobre, infine, il Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale ha annunciato che il 10 agosto
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 01 DICEMBRE 2015
2015 sono entrati in vigore l’Accordo e il relativo Protocollo, essendosi perfezionato lo scambio delle notifiche previsto.
Accordo e Protocollo entrati in vigore il 10 agosto 2015
In base all’art. 28 dell’Accordo, quest’ultimo ha effetto:
- in Italia, con riferimento alle imposte relative ai periodi dal
2016 in avanti;
- nella Regione amministrativa speciale di Hong Kong, con
riferimento alle imposte relative ai periodi 1° aprile 2016-31
marzo 2017 e successivi.
Ora arriva anche il nuovo aggiornamento delle liste degli
Stati o territori con riferimento ai quali si applicano le
limitazioni alla deducibilità dei costi previste dall’art. 110
comma 10 e seguenti del TUIR e di quelli considerati a
regime fiscale privilegiato passibili di rientrare nella
disciplina delle CFC. La precedente modifica era stata
operata rispettivamente dal DM 27 aprile 2015 e dal DM 30
marzo 2015 (si veda “In Gazzetta le nuove black list «costi»
e «CFC»” del 12 maggio 2015).
Per quanto riguarda la prima lista, Hong Kong era compreso nell’elencazione di cui all’art. 1, comma 1 del decreto del
Ministro dell’economia e delle finanze del 23 gennaio 2002,
che individua Stati o territori aventi regime fiscale privilegiato ai fini dell’applicazione dell’articolo 110, commi 10 e
12-bis del TUIR.
Per quanto riguarda quest’ultimo caso, Hong Kong era ricompreso nell’elencazione di cui all’art. 1, comma 1 del decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze 21 novembre 2001 degli Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato ai fini dell’applicazione dell’art. 127-bis del TUIR.
Ora il territorio viene eliminato da entrambe le liste.
/ 05
ancora
FISCO
Principio di competenza inderogabile anche
se il metodo contabile è costante
Il caso esaminato dalla Cassazione aveva per oggetto spese per prestazioni di servizi e
costi per assicurazioni contabilizzati in modo costante
/ Alessandro BORGOGLIO
Il principio della competenza fiscale è inderogabile e,
pertanto, il contribuente non può adottare, ai fini fiscali, un
diverso metodo di contabilizzazione, ancorché costante, in
luogo del criterio di competenza previsto dalla normativa
fiscale. A stabilirlo è stata la Cassazione, con la sentenza n.
22799 del 9 novembre 2015.
Occorre preliminarmente ricordare che, ai sensi dell’art. 109,
comma 1 del TUIR, i ricavi, le spese e gli altri componenti
positivi e negativi concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza; tuttavia, i ricavi, le spese e gli altri
componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo
l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si
verificano tali condizioni.
Il successivo comma 2, poi, disciplina l’individuazione del
periodo di competenza, distinguendo tra cessioni di beni e
prestazioni di servizi: i corrispettivi delle cessioni si
considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei beni si
considerano sostenute, alla data della consegna o spedizione
per i beni mobili e della stipulazione dell’atto per gli
immobili e per le aziende, ovvero, se diversa e successiva,
alla data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo
della proprietà o di altro diritto reale, mentre i corrispettivi
delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le
spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute,
alla data in cui le prestazioni sono ultimate, ovvero, per
quelle dipendenti da contratti di locazione, mutuo,
assicurazione e altri contratti da cui derivano corrispettivi
periodici, alla data di maturazione dei corrispettivi.
La Cassazione ha sempre ribadito, anche nelle più recenti
sentenze, che non è consentito al contribuente scegliere di
effettuare la deduzione di un costo in un esercizio diverso
da quello individuato dalla legge come esercizio di
competenza, neppure al dichiarato fine di bilanciare
componenti attivi e passivi del reddito e pur in assenza della
configurabilità di un danno per l’Erario, atteso che le regole
sull’imputazione temporale dei componenti negativi, dettate
in via generale dall’art. 109 del TUIR, sono vincolanti sia
per il contribuente che per l’Erario e, per la loro
inderogabilità, non richiedono né legittimano un qualche
giudizio sull’esistenza o meno di un danno erariale.
L’applicazione di detto criterio, inoltre, non implica di per sé
la conseguenza, parimenti vietata, della doppia imposizione, che è evitabile dal contribuente con la richiesta di
restituzione della maggior imposta, la quale è proponibile,
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 01 DICEMBRE 2015
nei limiti ordinari della decadenza, a far data dal formarsi del
giudicato sulla legittimità del recupero dei costi in relazione
all’annualità non di competenza (Cass. n. 8194/2015; nello
stesso senso, Cass. nn. 4023, 7231 e 9344 del 2015, Cass. n.
16349/2014).
La pronuncia in commento si pone in continuità con il filone giurisprudenziale poc’anzi ricordato, stabilendo che il
principio di competenza fiscale non è derogabile neppure
quando, invero, una deroga sia prevista da norme speciali,
che, tuttavia, come rilevato dalla Suprema Corte, non impattano sul profilo fiscale, rimanendo operative nell’ambito
ad esse assegnato dal legislatore.
Il riferimento normativo è all’art. 1 del DL 83/1991 (conv.
L. 154/91), modificativo dell’art. 1 del DL 429/82 (conv. L.
516/82), che, nel punire con sanzioni penali le violazioni
connesse all’omessa fatturazione e all’omessa annotazione
nelle scritture contabili obbligatorie, al quarto comma stabiliva, ai fini della repressione penale di quegli illeciti, che non
si consideravano omesse le annotazioni e le fatturazioni di
corrispettivi, purché, tra l’altro, le annotazioni effettuate in
violazione del criterio di competenza di cui all’attuale art.
109 del TUIR risultassero dalle scritture contabili
obbligatorie del periodo d’imposta precedente o successivo a
quello di competenza e derivassero dall’adozione di metodi
costanti di impostazione contabile.
Il contribuente, che aveva contabilizzato delle spese per prestazioni di servizi e costi di assicurazione con un metodo
costante, ma irrispettoso del principio di competenza fiscale
previsto dall’art. 109 del TUIR, aveva invocato, appunto,
l’applicazione della prefata disposizione, che, a suo dire, gli
avrebbe comunque consentito quel comportamento, senza
incorrere in sanzioni.
La Suprema Corte, riprendendo la sua giurisprudenza pregressa e ribadendo nuovamente l’inderogabilità del principio di competenza fiscale, ha stabilito che tale disposizione
non introduceva affatto una deroga al principio di
competenza e che la stessa era valida soltanto per la
repressione penale di quegli illeciti specificamente previsti.
In sostanza, il contribuente aveva violato il principio di
competenza ed era, quindi, legittimo il recupero del Fisco.
La questione di tale norma del DL 83/1991 oggi neppure più
si pone, atteso che la disciplina dei reati tributari è poi stata
riformata dal DLgs. 74/2000, con abrogazione delle disposizioni del 1982, compresa quella richiamata nella sentenza in
commento.
/ 06
ancora
Analoga norma era prevista anche dall’art. 7 del DLgs.
74/2000, il quale è stato recentemente abrogato ad opera del
DLgs. 158/2015, recante la nuova riforma dei reati tributari.
Quest’ultimo decreto ha aggiunto, però, il nuovo comma 1bis all’art. 4 del DLgs. 74/2000, a mente del quale, ai fini del
reato di dichiarazione infedele, non si tiene conto della non
corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o
passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 01 DICEMBRE 2015
concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità
di elementi passivi reali.
Si tratta, evidentemente, ancora una volta, di una disposizione che ha rilevanza ai soli fini penali e, quindi, non può
introdurre alcuna deroga al principio di competenza rilevante
per le dichiarazioni e gli accertamenti fiscali.
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ancora
IMPRESA
L’insindacabilità delle scelte gestorie espone
a una duplice responsabilità
Secondo il tribunale di Roma occorre che le decisioni siano coerenti con le
informazioni assunte
/ Maurizio MEOLI
Il Tribunale di Roma, nella sentenza del 28 settembre 2015
n. 19198, approfondisce i limiti da attribuire al principio della insindacabilità delle scelte di gestione (c.d. “business
judgment rule”). Quando l’addebito di responsabilità agli
amministratori di società non si fonda sulla violazione di
specifiche norme di legge o di clausole statutarie, ma
sull’inosservanza del criterio generale di diligenza richiesta
dalla natura dell’incarico e dalle specifiche competenze,
viene in rilievo la c.d. “business judgment rule”.
Agli amministratori non può essere imputato, a titolo di responsabilità ex art. 2392 c.c., di avere compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, attenendo una simile
valutazione alla discrezionalità imprenditoriale. Tale
decisione potrebbe eventualmente rilevare come giusta causa
di revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale
nei confronti della società.
Gli amministratori, quindi, non possono essere ritenuti responsabili solo perché la gestione dell’impresa sociale ha
avuto un esito non positivo: la valutazione sull’eventuale responsabilità dell’amministratore non attiene al merito delle
scelte imprenditoriali compiute. La sua responsabilità giuridica ben può discendere, però, dal rilievo che le modalità
stesse del suo agire denotano la mancata adozione di quelle
cautele o la non osservanza di quei canoni di comportamento che il dovere di diligente gestione ragionevolmente impone – secondo il metro della normale professionalità – a chi è
preposto ad un tal genere di impresa, ed il cui difetto diviene perciò apprezzabile in termini di inesatto adempimento
delle obbligazioni su di lui gravanti. Non può infatti prescindersi dall’ovvia considerazione che la diligenza è qui, come
del resto quasi sempre, espressione del fondamentale dovere di correttezza e buona fede richiamato in termini generali
dagli artt. 1175 e 1375 c.c. Nel caso degli amministratori di
società, come in tutti i casi di gestione di interessi altrui, tale
dovere assume ancor più che altrove i caratteri del dovere di
protezione dell’altrui sfera giuridica: il dovere di prendersi
cura dell’interesse di colui (individuo o ente) che ha incaricato il gestore dell’amministrazione delle proprie attività e,
per ciò stesso, lo ha investito di un compito con indubbie
connotazioni fiduciarie (cfr. Cass. n. 16707/2004).
Se, nonostante l’utilizzo della dovuta diligenza, siano state
compiute scelte rivelatesi inopportune, gli amministratori
non sono responsabili dei danni arrecati alla società; anche
se si tratta di danni che altri amministratori, più competenti,
avveduti e capaci, avrebbero certamente evitato.
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 01 DICEMBRE 2015
Tuttavia, il principio dell’insindacabilità delle scelte non è
assoluto. Esso presenta due limiti: la gestione è insindacabile
se è stata legittimamente compiuta (sindacato sul modo in
cui la scelta è stata assunta); la scelta è insindacabile solo se
non è irrazionale (sindacato sulle ragioni per cui la scelta
compiuta è stata preferita ad altre).
Tendenzialmente, la Suprema Corte si è soffermata sul primo limite. Si è, quindi, sottolineato come, se è vero che non
sono sottoposte a sindacato di merito le scelte gestionali discrezionali, anche se connotate da profili di alea economica
superiori alla norma, resta invece valutabile la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente – se necessario, con
adeguata istruttoria – i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, così da non esporre l’impresa a perdite, altrimenti prevenibili (cfr. Cass. n. 18231/2009).
In particolare, rientra nell’ambito della diligenza esigibile il
corredare le scelte medesime con le verifiche, le indagini e le
informazioni preventive normalmente richieste per una
scelta di quella natura, in quelle condizioni di tempo e di
luogo e ad alla luce di ogni altra circostanza concreta.
Se, certamente, il giudice non può sostituire le proprie valutazioni a quelle di merito compiute dall’organo societario,
rientra però nei suoi compiti verificare se, nel caso concreto,
la scelta gestoria sia avvenuta nel rispetto dei parametri
dell’azione adempiente e diligente – così come richiesta nel
mondo degli affari – che deve essere connotata da liceità, razionalità, congruità, attenzione e cura dei particolari; nozioni da integrare alla luce delle circostanze del caso concreto
(cfr. Cass. n. 28669/2013).
Il Tribunale di Roma si concentra, invece, sul secondo limite. Si osserva, allora, come non sia affatto sufficiente che
l’amministratore abbia assunto le necessarie informazioni ed
abbia eseguito (attraverso l’uso di risorse interne o di consulenze esterne) tutte le verifiche del caso, essendo comunque
necessario che le informazioni e le verifiche così assunte abbiano indotto l’amministratore ad una decisione che sia anche razionalmente coerente con esse. Vale a dire che l’amministratore che abbia svolto tutte le verifiche necessarie e
consultato tutti gli esperti disponibili, e che, ciononostante,
effettui una scelta gestionale non razionale rispetto alle informazioni ricevute e dannosa per la società, non sarà irresponsabile nei confronti della stessa.
Anzi, lo sarà doppiamente, dovendosi sommare al danno arrecato dalla scelta adottata quello correlato agli inutili costi
sostenuti per l’acquisizione delle informazioni.
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ancora
LAVORO & PREVIDENZA
Servizi on line INAIL, nuovi accessi “in
sicurezza”
L’Istituto assicurativo illustra le nuove modalità di rilascio delle credenziali di accesso,
adeguate a un maggior livello di sicurezza informatica
/ Luca MAMONE
Con la circ. n. 81 di ieri, l’INAIL ha fornito le istruzioni per
l’accesso a diverse procedure on line dopo l’adeguamento
a più elevati livelli di sicurezza delle operazioni di
identificazione e di autenticazione informatica. In estrema
sintesi, le modifiche riguardano sia le procedure per il
rilascio delle credenziali di accesso ad alcuni servizi, sia le
modalità di registrazione per gli utenti. Inoltre, si segnala la
creazione di tre nuovi profili utenti, ossia: “Legale
rappresentante ditta”, “Amministratore delle utenze digitali”
e “Datore di lavoro”.
La prima procedura illustrata nella circ. n. 81/2015 riguarda
le credenziali di accesso dispositive, le quali sostituiscono
quelle previste per gli utenti profilati come “azienda” (i quali
accedevano ai servizi on line tramite codice ditta e
password) e per i soggetti registrati come “subdelegato
azienda”. Questi utenti, quindi, potranno accedere ai servizi
on line dell’INAIL esclusivamente tramite le credenziali di
accesso dispositive rilasciate dallo stesso Istituto o
dall’INPS, oppure tramite la Carta Nazionale dei Servizi
(CNS) o le credenziali fornite dal Sistema Pubblico per la
gestione dell’Identità Digitale (SPID).
Per ottenere tali credenziali, l’utente potrà utilizzare un’apposita procedura sul sito www.inail.it, seguendo il percorso
“Richiedi credenziali dispositive”, “Richiedi credenziali
dispositive/Invio modulo online” e compilando un apposito
format e allegando il modulo di abilitazione “Utenti con
credenziali dispositive” (reperibile nella sezione
“Modulistica”) e copia di un documento di identità in
formato pdf. Una volta processate le richieste, l’INAIL
trasmetterà all’utente le credenziali di accesso dispositive
tramite sms (prima parte), mail o PEC (seconda parte). Resta
comunque ferma la possibilità di recarsi presso una qualsiasi
sede INAIL e presentare direttamente la domanda.
Pertanto, con riferimento a tutti quei servizi ai quali si accedeva tramite codice ditta e password (es. autoliquidazione,
DURC On line, denunce di variazione, ecc.), è ora possibile
accedervi solo tramite le nuove credenziali dispositive, basate sul codice fiscale del legale rappresentante o di un soggetto da lui delegato. Con particolare riferimento a quest’ultima figura, l’INAIL chiarisce che, per il rilascio della delega,
il legale rappresentante deve utilizzare la funzione
“Gestione utente/Gestione Utenti e profili” e autorizzare il
soggetto prescelto, già in possesso di credenziali dispositive
e quindi presente nel sistema, attribuendogli il ruolo di
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 01 DICEMBRE 2015
“Delegato ai servizi”. Inoltre, con la medesima funzione
“Gestione utente/Gestione Utenti e profili”, il legale
rappresentante può delegare uno o più Amministratori delle
utenze digitali, incaricati a loro volta di abilitare altri
dipendenti, già in possesso di credenziali di accesso
dispositive ai ruoli di “Delegato ai servizi” già descritto e
“Datore di lavoro”.
E proprio con riferimento a quest’ultimo ruolo, l’INAIL ricorda che tale profilo consente di accedere ai servizi on line:
denuncia/comunicazione di infortunio; denuncia di malattia
professionale; denuncia di silicosi asbestosi; dichiarazione
unità produttive; dichiarazione dei responsabili dei lavoratori per la sicurezza (RLS). Sul punto, si precisa che ciascun
utente in possesso delle credenziali dispositive di “Datore di
lavoro” potrà effettuare gli adempimenti in prima persona
ovvero abilitare uno o più delegati/incaricati del cui operato,
comunque, risponde direttamente. Con l’attivazione dei nuovi ruoli “Delegato ai servizi” e “Datore di lavoro” vengono
quindi meno, mediante abolizione, i profili “Subdelegato
azienda” e “Subdelegato alla denuncia di infortunio”, con la
conseguente disattivazione delle relative utenze mentre, per
quanto concerne le utenze “Codice ditta”, è previsto un periodo transitorio, fino al prossimo 30 aprile 2016, nel quale
esse potranno coesistere con le nuove utenze “legale
rappresentante ditta”. Decorso tale termine, le si potrà
utilizzare ancora solo per accedere al servizio on line
“Variazione legale rappresentante”, mentre dal successivo 1°
settembre avverrà la definitiva disattivazione.
Ancora, per gli utenti in possesso di credenziali dispositive,
di PIN INPS oppure di CNS, vi è la possibilità di fruire
anche dei servizi “Denuncia di iscrizione ditta” e
“Variazione del Legale rappresentante”. In particolare, si
precisa che qualora non vi sia l’obbligo di presentare la
Comunicazione Unica al Registro delle imprese, il nuovo
sistema consente ai soggetti tenuti all’obbligo assicurativo
INAIL di presentare direttamente la denuncia di iscrizione
on line da www.inail.it, tramite il legale rappresentante in
possesso di credenziali dispositive. Infine, si ricorda che
eventuali informazioni circa l’operatività di tali procedure on
line potranno essere richieste sia al Contact Center
Multicanale (numero verde gratuito da rete fissa 803.164 o
numero a pagamento 06.164.164 da rete mobile), oppure
tramite il servizio “Inail risponde”, disponibile nell’area
Contatti del portale www.inail.it.
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ancora
FISCO
Ridotte le possibilità di censurare l’atto per
vizio di sottoscrizione
Permane la nullità se la delega è in bianco oppure se assolutamente immotivata, o
ancora se non prodotta
/ Alfio CISSELLO
Con tre sentenze dello scorso 9 novembre, la Cassazione ha
palesemente sostenuto come tutti gli atti sottoscritti da
soggetti (deleganti o delegati) “interessati” dalla sentenza n.
37/2015 della Corte Costituzionale siano assolutamente
legittimi (si veda “Per la Cassazione decadono i dirigenti, ma
non gli atti impositivi” del 10 novembre 2015).
Quindi, si riducono enormemente le “aspettative di vincita”
dei ricorsi fondati sul vizio di sottoscrizione dell’atto impositivo: relativamente alla questione dei “dirigenti decaduti”, la
pronuncia del Giudice delle leggi appare irrilevante, poi, ai
fini della legittimità della sottoscrizione, i giudici hanno affermato che essa non può essere censurata se proviene da un
soggetto appartenente alla terza area funzionale, posto che
è inquadrabile come carriera direttiva (e ciò, si badi bene,
tanto per il direttore provinciale, o meglio, per il “capo
dell’ufficio” quanto per il soggetto delegato alla sottoscrizione da quest’ultimo).
Rimane, come sancito nella sentenza n. 22803, l’illegittimità della c.d. “delega in bianco”.
Entra qui in gioco la c.d. “regola di giudizio”, concernente
l’onere della prova.
Ora come allora, nel momento in cui il contribuente eccepisce la potenziale illegittimità dell’accertamento per invalido
rilascio della delega alla sottoscrizione, spetta all’ente impositore fornire la prova circa la legittimità della stessa.
Tra l’altro, non è agevole, per il contribuente, verificare se il
delegato abbia, effettivamente, tale potere, e se esso sia stato conferito in maniera legittima, ecco perchè, sulla base della “vicinanza alla prova”, il tutto deve provenire dall’ente
impositore.
La delega può essere rilasciata con atto proprio del capo ufficio o con ordine di servizio (viene così sconfessata aperta-
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 01 DICEMBRE 2015
mente la giurisprudenza che riteneva non sufficiente il menzionato ordine, si veda “Accertamento nullo se firmato da un
delegato con ordine di servizio” del 2 marzo 2015), a condizione che ne siano indicate le ragioni (carenza di personale,
assenza, vacanze, malattia...).
Valida la firma della terza area funzionale
È dunque inesistente una delega del tutto immotivata, magari senza scadenza. Ma, una volta che l’atto di delega sia in
qualche modo motivato, a nostro avviso, è arduo per il contribuente censurarne il contenuto: se appare che essa è conferita per carenza di personale, questo fatto non può essere
messo in discussione, siccome in caso contrario il contribuente tenterebbe indebitamente di sindacare l’organizzazione interna dell’Agenzia delle Entrate.
Tra l’altro, a ben vedere l’art. 42 del DPR 600/73 nemmeno
richiede una motivazione per il rilascio della delega.
Non è ammessa la c.d. “delega in bianco”, consistente nella
“indicazione della sola qualifica professionale del dirigente
destinatario della delega, senza alcun riferimento nominativo alla generalità di chi effettivamente rivesta tale qualifica”.
Purtroppo, la Cassazione è ferma nel ritenere che l’art. 58
del DLgs. 546/92 consenta la produzione di “nuovi” documenti in appello, intendendosi per “nuovi” anche quelli non
prodotti in primo grado senza valida giustificazione.
Così, almeno sino a quando l’orientamento testè delineato
sarà confermato, l’ente impositore potrebbe depositare la
delega in appello, rendendo vana la difesa “coltivata” su
questo specifico vizio. Ad ogni modo, il giudice potrebbe
tenerne debita considerazione sul versante delle spese
processuali.
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ancora
FISCO
Il credito d’imposta per l’assunzione di
detenuti trova il nuovo codice tributo
L’ha istituito l’Agenzia con la ris. n. 102, dopo aver definito con provvedimento
modalità e termini per la fruizione
/ REDAZIONE
Con la risoluzione n. 102 di ieri, l’Agenzia delle Entrate ha
istituito il nuovo codice tributo per l’utilizzo in compensazione, mediante il modello F24, del credito d’imposta per le
imprese che assumono detenuti ai sensi dell’art. 3 della L.
193/2000 e del DM 24 luglio 2014 n. 148.
Nel dettaglio, l’agevolazione riguarda le imprese che assumono, per un periodo di tempo non inferiore a 30 giorni, lavoratori detenuti o internati, anche quelli ammessi al lavoro
esterno ai sensi dell’art. 21 della L. 354/75, ovvero detenuti
semiliberi provenienti dalla detenzione; il credito d’imposta
spetta anche alle imprese che svolgono attività formative nei
confronti di tali soggetti. L’art. 5 comma 7 del citato DM 24
luglio 2014 n. 148 ha poi stabilito che il credito d’imposta
sia utilizzabile in compensazione presentando il modello F24
(ai sensi dell’art. 17 del DLgs. 241/97) esclusivamente, dal
2015, attraverso i servizi telematici Entratel e Fisconline
messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate, pena il
rifiuto dell’operazione di versamento, secondo modalità e
termini stabiliti in apposito provvedimento.
L’Amministrazione finanziaria ha diffuso l’appena citato
provvedimento nei giorni scorsi, evidenziando che le disposizioni contenute decorrono dal 1° gennaio 2016 e prevedendo che, sempre a partire da tale data, sia soppresso il codice tributo “6741” (istituito con ris. n. 182/2002) e che
un’apposita risoluzione istituisca il nuovo codice (si veda
“Credito d’imposta per assunzione detenuti con F24 on line”
del 28 novembre).
Con la risoluzione di ieri, quindi, l’Agenzia, per consentire
l’utilizzo in compensazione del citato credito d’imposta, tramite il modello F24 presentato esclusivamente attraverso i
canali Entratel e Fisconline, ha istituito il codice tributo
“6858”, denominato “Credito d’imposta – Agevolazione
concessa alle imprese che assumono detenuti o svolgono attività formative nei confronti dei detenuti – Decreto interministeriale 24 luglio 2014, n. 148”.
In sede di compilazione del modello di pagamento F24, tale
codice va esposto nella sezione “Erario”, in corrispondenza
delle somme indicate nella colonna “importi a credito compensati”, ovvero, nei casi in cui il contribuente debba proce-
dere al riversamento dell’agevolazione, nella colonna “importi a debito versati”.
Il campo “anno di riferimento”, è valorizzato con l’anno per
il quale è concesso il credito, nel formato “AAAA”.
Come anticipato, inoltre, l’Amministrazione finanziaria precisa che questo nuovo codice sarà operativo dal 1° gennaio
2016 e, dalla stessa data, sarà soppresso il precedente codice tributo “6741”.
Pronta la causale contributo per l’“EBILCOOP”
Sempre ieri, con la ris. n. 101, l’Agenzia ha istituito la causale contributo per la riscossione, tramite F24, dei contributi
da destinare al finanziamento dell’Ente Bilaterale “EBILCOOP”.
Al riguardo, si ricorda che la convenzione del 9 gennaio
2008 e successivi rinnovi, stipulata tra Agenzia e INPS, ha
regolato il servizio di riscossione, con modello F24, per il
versamento dei contributi di spettanza dell’Istituto previdenziale, nonché di quelli previsti dalla L. 311/73.
Con la convenzione del 12 novembre 2015 sottoscritta tra
INPS ed Ente Bilaterale “EBILCOOP” è stato poi affidato
all’INPS il servizio di riscossione, tramite F24, dei
contributi per il finanziamento dell’Ente.
A tal fine, per consentire il versamento dei contributi a favore dell’Ente Bilaterale “EBILCOOP” mediante modello F24,
la ris. istituisce la causale contributo “EBC1”, denominata
“Ente Bilaterale EBILCOOP”, che va esposta nella sezione
“INPS”, nel campo “causale contributo”, in corrispondenza,
esclusivamente, della colonna “importi a debito versati”, indicando:
- nel campo “codice sede”, il codice della sede INPS competente;
- nel campo “matricola INPS/codice INPS/filiale azienda”, la
matricola INPS dell’azienda;
- nel campo “periodo di riferimento”, nella colonna “da
mm/aaaa”, il mese e l’anno di riscossione del contributo, nel
formato MM/AAAA. La colonna “a mm/aaaa” non deve
essere valorizzata.
Direttore Responsabile: Michela DAMASCO
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