Trieste, 22 Settembre 2011 European Summer School of Classics in tali circostanze, e di conseguenza credono che le cose stiano come dice chi parla, anche se non stanno così, e l’ascoltatore compartecipa sempre dell’emozione dell’oratore, anche se non dice nulla.' (trad. Dorati) Aristotele, Orazio e il teatro che non ci fu 2) Hor. ars, vv. 112-118 1) Hor. ars, vv. 99-111 non satis est pulchra esse poemata; dulcia sunto, et quocumque volent animum auditoris agunto. ut ridentibus arrident, ita flentibus adflent humani vultus. si vis me flere, dolendum est primum ipsi tibi; tum tua me infortunia laedent, Telephe vel Peleu; male si mandata loqueris aut dormitabo aut ridebo. tristia maestum vultum verba decent, iratum plena minarum, ludentem lasciva, severum seria dictu. format enim natura prius nos intus ad omnem fortunarum habitum; iuvat aut impellit ad iram aut ad humum maerore gravi deducit et angit; post effert animi motus interprete lingua. 'Non basta che la poesia sia bella: produca anche l'incanto e trascini dove vuole l'animo di chi ascolta. Come il volto degli uomini risponde col sorriso a chi ride, così si adegua a chi piange: se vuoi che io pianga, devi prima dolerti tu: allora, Telefo o Peleo che tu sia, le tue sventure mi colpiranno; se ti si metterà in bocca una parte mal scritta o sonnecchierò o riderò. Parole tristi si addicono a un’espressione afflitta, ad una irata parole minacciose, ad una scherzosa parole giocose, serie ad una severa. Infatti prima la natura dà al nostro animo una forma coerente con ciascuna condizione prodotta dalla sorte; ci diverte o ci spinge all’ira o ci prostra a terra e ci tormenta con lutto profondo; poi grazie alla mediazione della lingua esprime le emozioni dell’animo.'(trad. Longo) 1a) Arist. Poet. 17, 2, 1455a 29-33 2. Inoltre il poeta deve impegnarsi, quanto più è possibile, ad elaborare la scena considerando (synapergazómenon) gli atteggiamenti (schémata) dei personaggi. Difatti, chi vive una passione reale, riesce molto persuasivo perché è mosso dalla sua medesima natura: così il furioso s'infuria, e l'adirato si sdegna, nella maniera più genuina. Perciò la poesia è l'arte di un saggio oppure di un folle, perché tra i personaggi ci sono i ragionevoli e i disfrenati. (trad. Gallavotti) 1b) Arist. Rhet. III, 7, 1408a 'In grado di esprimere emozioni (pathetiké) vuol dire che, di fronte ad atti di oltraggio, lo stile dev’essere quello di un uomo adirato; di fronte ad azioni empie e turpi, quello di un uomo offeso e riluttante persino a parlare; di fronte ad azioni encomiabili, quello di chi parla con ammirazione; di fronte a fatti degni di compassione quello di un uomo che si esprime con tristezza e similmente negli altri casi. Uno stile appropriato rende credibile la questione, poiché l’anima degli ascoltatori trae false conclusioni, come se l’oratore stesse dicendo la verità, poiché essi provano le stesse disposizioni si dicentis erunt fortunis absona dicta, Romani tollent equites peditesque cachinnum. intererit multum divusne loquatur an heros, maturusque senex an adhuc florente iuventa fervidus, et matrona potens an sedula nutrix, mercatorne vagus cultorne virentis agelli, Colchus an Assyrius, Thebis nutritus an Argis. 'Se le parole saranno discordanti dalla condizione di chi parla, i nobili e la plebe scoppieranno a ridere. Ci sarà molta differenza se a parlare sarà un dio o un eroe, un vecchio attempato o un giovane che ferve dell’età ancora in fiore, e una potente matrona o una nutrice premurosa, un mercante che viaggia o il coltivatore di un campicello verdeggiante, un abitante della Colchide o un Assiro, uno cresciuto a Tebe o uno cresciuto ad Argo.' (trad. Longo) 2a) Arist. Rhet. III, 7, 1408a 'In grado di esprimere caratteri (ethiké) è la dimostrazione fondata su prove quando è accompagnata da uno stile che si adatta ad ogni classe (ghénos) e disposizione morale (héxis). Per classe intendo in rapporto all’età, ad esempio ragazzo, uomo o vecchio, oppure uomo e donna oppure Spartano e Tessalo; per disposizioni morali quelle in virtù delle quali ognuno è il genere di persona che è nella vita, poiché non a tutte le disposizioni morali corrisponde un dato genere di vita. Se una persona userà termini appropriati alla sua disposizione morale, creerà il carattere. Un uomo ignorante e uno colto non direbbero le stesse cose nello stesso modo.' (trad. Dorati) 3) Hor. ars, vv. 119-130 aut famam sequere aut sibi convenientia finge, scriptor. †honoratum† si forte reponis Achillem, impiger, iracundus, inexorabilis, acer, iura neget sibi nata, nihil non arroget armis. sit Medea ferox invictaque, flebilis Ino, perfidus Ixion, Io vaga, tristis Orestes. si quid inexpertum scaenae committis et audes personam formare novam, servetur ad imum qualis ab incepto processerit et sibi constet. 'Scrivendo attieniti alla tradizione o costruisci personaggi coerenti con sé stessi. Se per caso rappresenti il glorioso Achille, ardente, iroso, inflessibile, aspro, tenga in spregio le leggi, tutto affidi alle armi. Medea sia fiera e indomita, piangente Ino, sleale Issione, errabonda Io, triste Oreste. Se metti in scena qualcosa di mai sperimentato e hai il coraggio di creare un personaggio nuovo, sia mantenuto fino alla fine con il carattere con cui si è presentato all’inizio e sia coerente con sé stesso.' (trad. Longo) 1 3a) Arist. Poet. 15, 1-4, 1454a 16-28; 33-36 4a) Arist. Poet. 4, 4, 1448b 34-1449a 2 1. Quanto ai caratteri dei personaggi, ci sono quattro punti da curare: uno e principale, che siano nobili (chrestá) (Donini: 'validi'/ 'efficaci'). Un'opera avrà la qualità del carattere, se il dialogo o l'azione, come dicevo, manifesta che c'è una tendenza nelle persone; ma avrà un carattere nobile, se rivela una tendenza nobile. E in qualunque classe si trova: è nobile una donna, e pure uno schiavo, anche se uno di questi è certo un tipo inferiore, e l'altro è basso del tutto. 2. Il secondo punto è che siano adatti (harmóttonta), perché c'è il carattere virile (Donini: 'coraggioso'), ma non è adatto alla donna questo essere virile o tremenda. 3. Terzo è che sia naturale (hómoion) (Altri: 'corrispondente al carattere tradizionale del personaggio'), e questo è diverso dal fare nobile il carattere e adatto nel modo che si è detto. 4. Quarto è che sia coerente (homalón); e infatti, se l'oggetto della mimesi è una persona incoerente, e questo è il carattere presentato, tuttavia deve essere incoerente in maniera coerente. Ma Omero, come fu artefice soprattutto di soggetti nobili, e basta aggiungere che compose i racconti non solo bene ma anche nel modo drammatico, così fu anche il primo a suggerire le strutture della commedia, quando in maniera drammatica rappresentò il ridicolo e non produsse invettive; quindi, come l'Iliade e l'Odissea stanno in rapporto alle tragedie, così il Margite si presenta nel medesimo rapporto con le commedie. (trad. Gallavotti) […] 33-36 'Ed anche nei caratteri, come nella struttura della vicenda, bisogna sempre cercare o il necessario o il verosimile che un determinato personaggio dica o faccia determinate cose, così come deve apparire o necessario o verosimile che un fatto avvenga dopo un altro.'(trad. Gallavotti) 4) Hor. ars, vv. 140-152 quanto rectius hic qui nil molitur inepte: 'dic mihi Musa, virum, captae post tempora Troiae qui mores hominum multorum vidit et urbes.' non fumum ex fulgore, sed ex fumo dare lucem cogitat, ut speciosa dehinc miracula promat, Antiphaten Scyllamque et cum Cyclope Charybdin. nec reditum Diomedis ab interitu Meleagri, nec gemino bellum Troianum orditur ab ovo; semper ad eventum festinat et in medias res non secus ac notas auditorem rapit, et quae desperat tractata nitescere posse, relinquit, atque ita mentitur, sic veris falsa remiscet, primo ne medium, medio ne discrepet imum. 'Quanto meglio fa costui che niente mette in moto senza opportunità. 'Cantami o Musa l'eroe che dopo la presa di Troia, conobbe i costumi e vide le città di molti uomini.' Non procura di spargere fumo dalle fiamme, ma dal fumo luce, sì da tirarne fuori spettacolari bellezze. Antifate e Scilla e Cariddi e il Ciclope. E non si mette a narrare il ritorno di Diomede dalla morte di Meleagro, né la guerra di Troia dalla coppia delle uova. Sempre si dirige con rapidità all’esito e trascina chi ascolta al centro della vicenda come se fosse già nota e tralascia gli eventi la cui trattazione dispera possa essere nitida e così plasma, così mescola le cose inventate a quelle tramandate affinchè il centro non discordi dall’inizio, la fine dal centro.' (trad. Longo) 4b) Arist. Poet. 8, 2-3, 1451a 22-35 2. Ma Omero, come eccelle sotto ogni altro aspetto, così anche in questo si vede che, per abilità artistica o intuizione naturale, mirò giusto: componendo un'Odissea, non rappresentò tutte le vicende che capitarono ad Ulisse, per esempio essere ferito sul Parnaso, e poi fingersi pazzo nell'adunanza, perché non era conseguenza necessaria o verosimile che dopo quel fatto avvenisse l'altro. Ma compose veramente l'Odissea attorno ad un'azione che è unica nel senso che ho detto, e così pure l'Iliade. 3. Ora, come avviene nelle altre arti mimetiche, che uno è il soggetto dell'unica mimesi, così bisogna che il racconto (mythos), poiché è mimesi d'azione, lo sia di un'unica azione e completa; e le successive parti della vicenda debbono tra loro collegarsi in modo che, togliendone una o cambiandola di posto, il tutto (tò hólon) si sciupi e si sconnetta: perché, ciò che nulla significa quando c'è o non c'è, non è neppure un elemento del tutto. (trad. Gallavotti) 4c) Arist. Poet. 23, 1, 1459a 17-21; 3, 1459a 301459b 5 1. Quanto all'arte narrativa e poesia in versi, anzitutto è chiaro che deve comporre racconti come sono nelle tragedie, drammatici e di un'unica azione, che sia intera e completa (hólen kaì teleían), ed abbia inizio e mezzo e fine, di modo che procuri il piacere che le è proprio come un essere vivente intero. 3. Quindi Omero, come già si diceva, ci appare divino anche in ciò rispetto agli altri, perché quella guerra, che pure aveva principio e termine, non si mise a rappresentarla intera, giacché il racconto avrebbe finito per diventare una massa troppo grande e non percepibile tutta insieme (ouk eusynopton); né la fece involuta di complicate vicende commisurandola all'imponenza del racconto; invece ne estrasse una sola delle parti; e tuttavia adopera molti episodi di quelle parti, come il Catalogo delle navi, ed anche lascia, per mezzo di altri episodi, che l'opera si protragga […] E perciò una sola tragedia si può ricavare da ciascuna delle due, Iliade e Odissea, o due da questa sola; molte invece dalle Ciprie, e otto dalla Piccola Iliade o anche più… (trad. Gallavotti) Scala dei 6 elementi del dramma secondo Aristotele: mythos (trama), ethe (caratteri), dianoia (pensiero), lexis (espressione), melopoiia (musica), opsis (spettacolo); 2 4d) Arist. Poet. 6, 7, 1450a 15-22 Ma fra tutti gli elementi, la composizione dei fatti (he ton pragmáton systasis) è capitale, perché la tragedia è imitazione non di uomini, ma di un'azione. Così pure, nella vita umana, la felicità come l'infelicità consiste nell'azione, e il fine della vita è azione, non qualità: gli uomini sono qualificati secondo i loro caratteri, ma sono felici oppure il contrario secondo le loro azioni. Quindi non svolgono l'azione scenica per riprodurre i caratteri, ma attraverso le azioni assumono i caratteri. (trad. Gallavotti) 5) Hor. ars, vv. 179-192 aut agitur res in scaenis aut acta refertur. segnius irritant animos demissa per aurem, quam quae sunt oculis subiecta fidelibus et quae ipse sibi tradit spectator. non tamen intus digna geri promes in scaenam, multaque tolles ex oculis quae mox narret facundia praesens: ne pueros coram populo Medea trucidet, aut humana palam coquat exta nefarius Atreus, aut in avem Procne vertatur, Cadmus in anguem. quodcumque ostendis mihi sic, incredulus odi. neve minor neu sit quinto productior actu fabula, quae posci vult et spectanda reposci. nec deus intersit, nisi dignus vindice nodus inciderit; nec quarta loqui persona laboret. actoris partes chorus officiumque virile defendat, neu quid medios intercinat actus quod non proposito conducat et haereat apte. ille bonis faveatque et consilietur amice, et regat iratos et amet †peccare timentes†; ille dapes laudet mensae brevis, ille salubrem iustitiamque legesque et apertis otia portis; ille tegat commissa, deosque precetur et oret, ut redeat miseris, abeat fortuna superbis. 'La storia o si svolge sulla scena o è riferita dopo che si è svolta. I fatti comunicati per mezzo dell'orecchio colpiscono l'animo più debolmente di quelli sottoposti all'attenzione dello sguardo e che lo spettatore acquisisce da sé; però non metterai in scena fatti che conviene si svolgano all'interno e sottrarrai alla vista molte cose che poi narrerà la presenza di una voce. Non accada che Medea trucidi i figlioletti davanti agli occhi del pubblico o che il malvagio Atreo cuocia le viscere umane alla pubblica vista o che Procne si muti in uccello e Cadmo in serpente. Qualunque cosa tu mi mostri in questo modo, non ci credo e mi ripugna. Il dramma che aspiri ad essere rappresentato e replicato non duri né più né meno di cinque atti. E non intervenga un dio, a meno che non venga a crearsi un nodo che richieda qualcuno che lo sciolga, né si dia a parlare un quarto personaggio. Il coro sostenga la parte di un attore e i doveri propri di un uomo e fra un atto e l'altro non canti intermezzi che non riconducano e non si leghino strettamente all'azione. Esso prenda le parti dei buoni e gli consigli come un amico e ponga un freno agli iracondi e preferisca chi teme la colpa; lodi i cibi di una parca mensa, la giustizia benefica e le leggi e la pace che apre le porte delle città; esso custodisca i segreti affidatigli e rivolga preghiere e suppliche agli dèi, perché la buona sorte torni agli infelici e si allontani dagli arroganti.' (trad. Longo) 5a) Arist. Poet. 14, 1-2, 1453b 1-14 '1. Il fatto pauroso e compassionevole può risultare dunque dallo spettacolo, ma anche dalla struttura della vicenda per sé stessa, e questo è appunto preferibile, ed è segno di più abile poeta. Anche a prescindere dalla visione, il racconto dev'essere strutturato in modo che, al solo ascoltare gli avvenimenti, si provino sentimenti di paura e di pietà per quello che sta succedendo: è ciò che si prova al solo udire la vicenda di Edipo. E invece, il procurare quest'effetto per mezzo della scena (opsis) dimostra minore abilità nell'arte e cerca sussidio nella regia. 2. Ma quei poeti che neppure producono terrore, ma solo stupore con i mezzi scenici, non fanno opera di tragedia, perché da una tragedia non è un piacere qualunque che deve trarsi, bensì quello suo caratteristico. E poiché il poeta deve produrre il piacere che nella mimesi deriva da pietà e paura, questo dev'essere fatto evidentemente nell'interno della vicenda (en tois prágmasin).' (trad. Gallavotti) 5b) Arist. Poet. 11, 5 1452b 9-13 '5. Questi dunque sono due elementi del racconto, peripezia e riconoscimento, e il terzo è la sciagura (pathos). Dei tre, peripezia e riconoscimento sono stati trattati; la sciagura, poi, è un fatto esiziale e luttuoso, come le esecuzioni e le stragi a scena aperta, e i ferimenti, e gli altri casi di questo genere.' (trad. Gallavotti) 5c) Arist. Poet. 12, 1, 1452b 14-18 1. Gli elementi di una tragedia che si realizzano in quanto forme dell'arte, già si era detto prima quali fossero; poi ci sono da considerare i seguenti dal punto di vista materiale, rispetto alle sezioni fra cui si ripartiscono: prologo, episodio, esodo, e parte orchestrale. Di questa c'è ingresso e stasimo che sono parti comuni ad ogni coro, mentre particolari di alcuni sono i canti della scena e i compianti. (trad. Gallavotti) 5d) Arist. Poet. 15, 6, 1454b 2-8 '6. Il meccanismo artificioso (mechané) è da accettare soltanto nella vicenda esterna al dramma che si rappresenta, ossia per gli antefatti, che è impossibile siano a conoscenza degli uomini, oppure per le conseguenze, che hanno bisogno di annuncio e profezia: solo agli dèi attribuiamo che vedano ogni cosa. Ma nulla di irrazionale ci deve essere nella vicenda, o, in caso contrario, deve restare fuori della tragedia, come nell'Edipo di Sofocle.' (trad. Gallavotti) 5e) Arist. Poet. 18, 7, 1456a 25-30 7. Il coro, infine, bisogna che assuma la parte di un attore; deve essere un elemento dell'intero, e partecipare all'azione, come fa in Sofocle, e non in 3 Euripide. Nei poeti posteriori, invece, le parti cantate appartengono al racconto come potrebbero appartenere a una tragedia differente; perciò si cantano ormai solo intermezzi e a fare questo cominciò Agatone per primo. (trad. Gallavotti) 6) Hor. epist. 2, 1, vv. 50-52 Ennius et sapiens et fortis et alter Homerus, ut critici dicunt, leviter curare videtur quo promissa cadant et somnia Pythagorea; Naevius in manibus non est et mentibus haeret paene recens? Adeo sanctum est vetus omne poema. Ambigitur quotiens, uter utro sit prior, aufert Pacuvius docti famam senis, Accius alti, dicitur Afrani toga convenisse Menandro, Plautus ad exemplar Siculi properare Epicharmi, vincere Caecilius gravitate, Terentius arte. Hos ediscit et hos arto stipata theatro spectat Roma potens, habet hos numeratque poetas ad nostrum tempus Livi scriptoris ab aevo. 'Ennio, il saggio e il robusto e, come vogliono i critici, il secondo Omero, non sembra preoccuparsi molto di dove vadano a finire per lui le predizioni e i sogni di Pitagora. Nevio non va per le mani di tutti, e non si recita a memoria quasi fosse di ieri? Tanto è venerata ogni opera antica. E ogni qual volta si discute quale sia da prescegliere: se Pacuvio, ovvero Accio, l'uno becca il titolo di dotto, l'altro di sublime. Si ripete che la toga di Afranio andrebbe bene a Menandro, che Plauto si accosta al modello del siculo Epicarmo, che Cecilio supera gli altri per nobiltà, Terenzio per eleganza. Questi poeti apprende, e questi ammira, pigiata nel teatro zeppo, la potente Roma; e questi ritiene e classifica poeti, dall'epoca di Livio Andronico ai giorni nostri.' (trad. Bo) 7) Hor. epist. 2, 1, vv. 156-176 Graecia capta ferum victorem cepit et artis intulit agresti Latio. Sic horridus ille defluxit numerus Saturnius et grave virus munditiae pepulere; sed in longum tamen aevum manserunt hodieque manent vestigia ruris. Serus enim Graecis admovit acumina chartis et post Punica bella quietus quaerere coepit, quid Sophocles et Thespis et Aeschylos utile ferrent. Temptavit quoque rem si digne vertere posset et placuit sibi, natura sublimis et acer: nam spirat tragicum satis et feliciter audet, sed turpem putat inscite metuitque lituram. Creditur, ex medio quia res accersit, habere sudoris minimum, sed habet comoedia tanto plus oneris, quanto veniae minus. Aspice, Plautus quo pacto partis tutetur amantis ephebi, ut patris attenti, lenonis ut insidiosi, quantus sit Dossennus edacibus in parasitis, quam non adstricto percurrat pulpita socco; gestit enim nummum in loculos demittere, post hoc securus cadat an recto stet fabula talo. rozzezza: ma tracce di rusticità sopravvissero per lungo tempo, e oggi ancora sopravvivono: perché tardi il Romano volse il proprio acume alle opere dei Greci e, solo dopo le guerre puniche, cominciò riposato a considerare qual frutto potevano arrecargli Sofocle e Tespi ed Eschilo. Anche a questo si provò, se gli riuscisse di tradurli degnamente; e l'esito gli corrispose, sublime come egli era per natura e robusto. Infatti ha lampi di vigore tragico, e spiega arditamente il volo; ma a torto ritiene indecoroso e schiva il lavoro di correzione. Si crede, perché attinge i suoi argomenti dalla vita comune, che scarsissima fatica richieda il genere comico; eppure esso presenta tanto maggior difficoltà, quanto meno ottiene l'indulgenza. Osserva come Plauto sostenga le parti del giovane innamorato; come quelle del padre taccagno e del lenone raggiratore; e come fra i parassiti ghiottoni riproduca Dossenno, e come attraversi il palcoscenico a calzare slacciato: egli si dà da fare, per riempir di monete la borsa, indifferente del resto, se la commedia precipiti o si regga in piedi.' (trad. Bo) 8) Hor. epist. 2, 1, 182-207 Saepe etiam audacem fugat hoc terretque poetam, quod numero plures, virtute et honore minores, indocti stolidique et depugnare parati, si discordet eques, media inter carmina poscunt aut ursum aut pugiles; his nam plebecula gaudet. Verum equitis quoque iam migravit ab aure voluptas omnis ad incertos oculos et gaudia vana. Quattuor aut pluris aulaea premuntur in horas, dum fugiunt equitum turmae peditumque catervae; mox trahitur manibus regum fortuna retortis, esseda festinant, pilenta, petorrita, naves, captivum portatur ebur, captiva Corinthus. Si foret in terris, rideret Democritus, seu diversum confusa genus panthera camelo sive elephans albus vulgi converteret ora; spectaret populum ludis attentius ipsis, ut sibi praebentem nimio spectacula plura, scriptores autem narrare putaret asello fabellam surdo. Nam quae pervincere voces evaluere sonum, referunt quem nostra theatra? Garganum mugire putes nemus aut mare Tuscum: tanto cum strepitu ludi spectantur et artes divitiaeque pereginae; quibus oblitus actor cum stetit in scaena, concurrit dextera laevae. 'Dixit adhuc aliquid?' 'Nil sane'. 'Quid placet ergo?' 'Lana Tarentino violas imitata veneno.' 'Quindi la Grecia conquistata conquistò il suo fiero vincitore, e introdusse le arti nel Lazio, dedito all'agricoltura. Così scomparve quell'orrido verso saturnio, e le eleganze scacciarono la pesante 4