appalti e contratti appalti pubblici Secondo i giudici di Palazzo Spada vi è una netta distinzione tra gli accertamenti che fanno capo al prefetto e quelli dell’amministrazione appaltante. Quantomeno per le informative atipiche, dunque, la stazione appaltante è chiamata a compiere una nuova valutazione discrezionale circa l’incidenza delle informazioni fornite dalla Prefettura Informativa antimafia atipica: per l’esclusione serve la motivazione Consiglio di stato, sez. vi, dec. n. 5780 del 7 novembre 2008 Appalti pubblici - Infiltrazioni mafiose - Informativa prefettizia - Inattualità dei presupposti - Idoneità a fondare un giudizio di qualificata probabilità - Sussistenza L’ampiezza dei poteri di accertamento giustifica che il prefetto possa ravvisare l’emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti che, seppur inattuali, siano idonei, nel loro coacervo, a fondare un giudizio di “qualificata probabilità” Appalti pubblici - Infiltrazioni mafiose - Informativa prefettizia atipica - Provvedimento di esclusione Obbligo di motivazione - Sussistenza È sempre necessario l’autonomo approfondimento valutativo dell’amministrazione in ordine alle condotte descritte in un’informativa prefettizia atipica, al fine di chiarire e rendere intellegibile l’iter logico/motivazionale che ha condotto al provvedimento di esclusione. di Francesco Lilli Avvocato in Roma I l Consiglio di Stato torna ancora una volta a rassegna, in particolare, il Supremo consesso esprimere il proprio orientamento sulla comples- della giustizia amministrativa si sofferma su sa tematica inerente le c.d. “informazioni prefet- quelle che la prassi amministrativa è solita denotizie antimafia” che, come noto, pur non trovan- minare “informative atipiche o supplementari”, do puntuale riscontro nell’art. 38 del Codice dei sui cui contenuti e implicazioni si è sviluppato contratti pubblici, concernente i requisiti di ordi- negli ultimi anni un nutrito contenzioso. ne generale, attiene alle cause Le ragioni sono senza dubbio di esclusione dei concorrenti @ Il testo della sentenza sul sito da ricercare nella presenza di dalle procedure a evidenza una normativa a tratti approssiwww.dpa.ilsole24ore.com pubblica. Con la pronuncia in mativa e dai contorni sfumati in Gennaio 2009 N. 1 47 appalti e contratti appalti pubblici una materia tanto spinosa quanto carica di conseguenze quale quella oggetto della pronuncia in esame. Detta pronuncia, come si vedrà nel prosieguo, oltre a contenere importanti precisazioni su alcuni aspetti fondamentali dell’istituto delle informative prefettizie (come la nozione di “tentativo di infiltrazione mafiosa”, o la questione dell’ampiezza dei poteri del prefetto e delle stazioni appaltanti), appare tanto più significativa in quanto trae spunto dal caso di specie per procedere a una ricognizione degli interventi normativi e, soprattutto, giurisprudenziali che si sono succeduti nella materia de qua. Al fine di una più agevole comprensione dell’argomento, si ritiene preliminarmente opportuno dare conto di tale ricognizione. Il contesto normativo e giurisprudenziale di riferimento. Le diverse tipologie di informativa antimafia Al riguardo, giova premettere che il legislatore ha dettato numerose disposizioni speciali volte a contrastare fenomeni di collegamento tra le organizzazioni criminali e l’apparato amministrativo, particolarmente frequenti nel settore dei pubblici appalti, sicché non può prescindersi da una ricostruzione, seppur sintetica, del quadro normativo di riferimento. In primo luogo, occorre evidenziare che l’art. 247 del Codice dei contratti pubblici, con norma di coordinamento, afferma espressamente la salvezza della disciplina vigente in materia di prevenzione della delinquenza di stampo mafioso, nonché delle specifiche disposizioni in tema di comunicazioni e informazioni antimafia. Con riferimento alle norme volte a disciplinare detti istituti e, segnatamente, le comunicazioni e le informative antimafia, assumono rilievo i seguenti testi legislativi: Dlgs n. 490 dell’8 agosto 1994, recante “Disposizioni attuative della legge n. 47 del 7 gennaio 1994, in materia di comunicazioni e certificazioni previste dalla normativa antimafia”; Dpr n. 252 del 3 giugno 1998, “Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia”, nonché il Dl n. 629 del 6 settembre 1982, convertito dalla legge n. 726 del 12 ottobre 1982, recante “Misure urgenti per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa”. In particolare, secondo quanto disposto dall’art. 4, del Dlgs n. 490 dell’8 agosto 1994, rubricato “Informazioni del prefetto”, le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e gli altri soggetti di cui all’art. 1 (società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico) prima di stipulare, approvare o autorizzare contratti e subcontratti relativi ad appalti pubblici di lavori, servizi e forniture (di valo48 re pari o superiore alla soglia comunitaria), devono acquisire dalla Prefettura speciali notizie circa la sussistenza o meno di elementi atti a integrare “tentativi di infiltrazione mafiosa” nelle società o imprese aggiudicatarie. Laddove emergano detti elementi, le amministrazioni destinatarie delle informazioni non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti e, ove ciò fosse già avvenuto, possono revocare le autorizzazioni e le concessioni ovvero recedere dai contratti stessi. Dal che si ricava come le misure in questione ambiscano a porsi, quanto meno nelle intenzioni del legislatore, a fianco di quelle preventive antimafia - ma con una funzione di tutela ancor più anticipata rispetto a esse - quale utile strumento di difesa sociale nella lotta alla criminalità organizzata, in quanto suscettibili di dar luogo all’esclusione dell’imprenditore, sospettato di legami o condizionamenti da infiltrazioni mafiose, dal mercato dei pubblici appalti a prescindere dal concreto accertamento in sede penale di uno o più dei reati che vi siano direttamente connessi (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4574 del 17 luglio 2006; sez. IV, n. 2783 del 4 maggio 2004; sez. VI, n. 149 del 14 gennaio 2002; sez. VI, n. 5710 del 24 ottobre 2000). Tale accertamento, invero, è rimesso al Prefetto secondo quanto disposto dal Dlgs n. 490 dell’8 agosto 1990 che, all’art. 4, comma 4, distingue le informazioni che questi può rilasciare in due tipi: a) quelle che comunicano la sussistenza a carico dei soggetti responsabili dell’impresa ovvero dei soggetti familiari, anche di fatto, conviventi nel territorio dello Stato, delle cause di divieto o di sospensione dei procedimenti indicate nell’allegato 1 del medesimo decreto legislativo (provvedimento definitivo di applicazione di misure di prevenzione; sentenza definitiva di condanna o sentenza di primo grado confermata in grado di appello per uno dei delitti di cui all’art. 51, comma 4-bis, c.p.p.; determinati provvedimenti dell’Autorità giudiziaria ordinaria); b) quelle da cui risultino eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate e la cui efficacia interdittiva discende da una valutazione del prefetto. Successivamente, è intervenuto il Dpr n. 252 del 3 giugno 1998 che ha compiuto un importante processo di razionalizzazione, accorpando in un unico corpus normativo (una sorta di testo unico regolamentare) le diverse disposizioni operanti in subiecta materia. In particolare, con riferimento a quelle prefettizie, due sono le categorie di informative contemplate dall’art. 10, comma 7, del Dpr n. 252/1998. La prima, di cui alle lettere a) e b) di tale comma, ha unificato le ipotesi descritte dall’art. 4, del Dlgs n. Gennaio 2009 N. 1 appalti e contratti appalti pubblici 490 dell’8 agosto 1994, in un unico genus di informative: quelle dalle quali emergano gli eventuali “elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa”. Essa ha natura meramente ricognitiva, giacché fondata sull’accertamento di provvedimenti giudiziari di applicazione di misure cautelari o di sottoposizione a giudizio o di adozione di sentenze di condanna. In presenza di tali presupposti, l’informativa tipica che ne deriva assume carattere interdittivo, nel senso che la comunicazione prefettizia determina automaticamente l’esclusione dell’impresa dalla gara o la revoca del contratto stipulato, lasciando prive le amministrazioni destinatarie dell’informativa di qualsiasi potere discrezionale in merito alla valutazione dei fatti oggetto della stessa. La seconda categoria di informative prefettizie è quella contemplata dalla lettera c), del medesimo comma 7 dell’articolo 10, relativa a eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società e delle imprese interessate. Essa dà luogo a maggiori problemi rispetto all’ipotesi precedente poiché la sua efficacia interdittiva discende da accertamenti autonomi del prefetto condotti a fronte di una fattispecie quanto mai insidiosa sotto il profilo della esatta individuazione dei relativi confini. Secondo gli orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati, le informative in questione non devono fondarsi sul concreto accertamento penale di reati eventualmente commessi, ossia non devono assurgere al rango di prova dell’intervenuta infiltrazione. Infatti, in ragione della loro funzione di tutela anticipata rispetto all’azione preventiva di natura giurisdizionale, è sufficiente che i fatti e le vicende che ne sono alla base abbiano valore meramente sintomatico e indiziario dell’esistenza di elementi dai quali sia desumibile il tentativo di ingerenza mafiosa (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4737 del 23 agosto 2006; Consiglio di Stato, sez. IV, n. 1507 del 23 marzo 2004). Tale dato trova conforto anche nella sentenza in commento la quale, pur non definendo il tentativo, sottolinea - in riferimento al grado di approfondimento probatorio che deve sussistere perché il mero tentativo sia configurabile - la necessità che venga accordata rilevanza anche agli elementi che costituiscono solamente degli indizi circa il rischio di coinvolgimento con le organizzazioni criminali; indizi che comunque non devono costituire semplici sospetti o congetture privi di riscontri fattuali. Non a caso si parla al riguardo di poteri prefettizi di natura tecnico-discrezionale, non suscettibili di sindacato di merito, ove non inficiati da profili di carenza motivazionale, illogicità o travisamento. Gennaio 2009 N. 1 Una terza categoria di informative, della quale non di meno si occupa la sentenza in commento, è di derivazione giurisprudenziale ed è quella denominata “informativa supplementare o atipica”, il cui effetto interdittivo, meramente eventuale, lungi dall’essere automatico, come negli altri due casi, è rimesso a una valutazione autonoma e discrezionale dell’amministrazione destinataria dell’informativa. Il suo fondamento normativo risiede nell’art. 10, comma 9, del Dpr n. 252 del 1998, che a sua volta richiama l’art. 1-septies, del Dl n. 629 del 6 settembre 1982, convertito con modificazioni dalla legge n. 726 del 12 ottobre 1982 (articolo aggiunto dall’art. 2, della legge n. 486 del 15 novembre 1988). La norma richiamata dall’art. 10 si limita a disciplinare la possibilità che vengano forniti alle autorità competenti al rilascio di licenze, autorizzazioni o concessioni, elementi di fatto o altre indicazioni utili alla valutazione dei requisiti soggettivi del richiedente. Tuttavia, per espressa previsione dell’art. 10, il rinvio non opera quanto alle informazioni prefettizie antimafia, “salvo che gli elementi o le altre indicazioni fornite siano rilevanti ai fini delle valutazioni discrezionali ammesse dalla legge”. Tale formulazione induce a ritenere come l’informativa in questione debba fondarsi sull’accertamento di elementi che, pur denotando il pericolo di collegamenti tra l’impresa e la criminalità organizzata, non raggiungano la soglia di gravità prevista dall’art. 4, del Dlgs n. 490/1994, perché carenti dei presupposti ivi contemplati (sussistenza di cause di divieto o di sospensione - tentativi di infiltrazione tendenti a condizionare le scelte della società o dell’impresa). Il tratto peculiare di questa terza categoria risiederebbe, secondo le precisazioni contenute nella pronuncia in rassegna, nella circostanza che, diversamente dall’informativa tipica, quella supplementare o atipica “non ha carattere interdittivo, ma consente l’attivazione degli ordinari strumenti di discrezionalità nel valutare l’avvio o il prosieguo dei rapporti contrattuali alla luce dell’idoneità morale del partecipante alla gara di assumere la posizione di contraente con la PA”. Pertanto, essa non necessita di un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso e si basa su indizi ottenuti con l’ausilio di particolari indagini che possono risalire anche a eventi verificatisi a distanza di tempo perché riguardano la valutazione sull’idoneità morale del concorrente e non producono l’esclusione automatica dalla gara (Consiglio di Stato, sez. V, n. 4574 del 17 luglio 2006). Tracciato il contesto normativo e giurisprudenziale di riferimento, dovrebbe ora apparire più agevole 49 appalti e contratti appalti pubblici procedere a un’analisi approfondita della pronuncia in esame. L’approfondimento La controversia portata all’attenzione del Consiglio di Stato trae origine dall’esclusione dal prosieguo della gara, indetta mediante licitazione privata, comminata nei confronti di una società di servizi in ragione di un’informativa della Prefettura di Napoli, con la quale era stata accertata la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa ex art. 4, del Dlgs n. 490/1994 e art. 10, del Dpr n. 252/1990. La predetta informativa prefettizia veniva giustificata con il richiamo alla misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del rappresentante legale della società, misura che in seguito (e ben prima che l’informativa venisse fornita) era stata annullata dal competente Tribunale del riesame per insussistenza di un serio quadro indiziario a carico di detto rappresentante, peraltro già cessato dalla carica di amministratore unico ai tempi dell’adozione dell’informativa stessa. La società ricorreva dinnanzi al Tar per l’annullamento del provvedimento di esclusione, nonché di quello prefettizio, deducendo numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere per carenza di istruttoria, presupposti e travisamento dei fatti, in toto respinte dal giudice di prime cure sulla base di considerazioni che la sentenza in commento richiama, approfondisce e in parte riforma secondo quanto di seguito precisato. In primo luogo, i giudici di Palazzo Spada raggruppano le censure proposte in due ordini di doglianze: da un lato, quelle attinenti ai presupposti legittimanti l’esercizio del potere espulsivo da parte della stazione appaltante; dall’altro, quelle relative al quomodo dell’esercizio di tale potere. Con riferimento alle prime, la ricorrente rilevava come l’informativa in questione, indipendentemente dalla sua natura, tipica o supplementare, fosse stata adottata in palese contrasto con l’art. 4, del Dlgs n. 490/2004, ossia in assenza dei riscontri indicati da tale norma, uno dei quali - la misura cautelare in carcere - già da tempo venuto meno. Tali presupposti, invero, come si è in precedenza chiarito, se puntualmente indicati con riferimento alle informative tipiche, a efficacia escludente automatica, presentano contorni più sfumati nelle informative atipiche, ben potendo queste fondarsi anche solo su elementi di pericolo di infiltrazione mafiosa, rimettendo così all’amministrazione aggiudicatrice una valutazione discrezionale in ordine a eventuali effetti interdittivi. Orbene, con riguardo alla fattispecie in oggetto, i giudici dell’appello hanno chiarito - a conferma di 50 quanto sostenuto in primo grado - che, al fine di valutare la legittimità dell’operato dell’amministrazione appaltante, non assume rilievo la circostanza che l’informativa prefettizia risulti essere stata adottata in un momento in cui il destinatario della misura cautelare custodiale fosse già cessato dalla carica di amministratore delegato della società. Né tantomeno quella per cui i fatti ascrittigli in un primo momento non avessero in seguito trovato riscontro al vaglio del giudice penale. Ciò che invece appare decisivo è la circostanza che l’informativa in parola risulti fondata su un quadro fattuale di elementi tali da far ritenere ragionevolmente, secondo l’id quod plerumque accidit, l’esistenza del rischio di infiltrazioni mafiose. Rispetto a tali elementi, da valutare con riferimento alla compagine societaria nel suo insieme (non solo, quindi, con riguardo alla figura dell’amministratore unico), è sufficiente il requisito dell’idoneità a denotare il pericolo di collegamenti fra l’impresa e la criminalità mafiosa. In tal caso, l’ampiezza dei poteri prefettizi di accertamento è spinta fino a poter ravvisare l’emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti in sé per sé privi di assoluta certezza, quali appunto una condanna successivamente annullata. Fatti che, tuttavia, non perderebbero la loro funzione di strumenti di garanzia dell’interesse sociale protetto, stante la loro idoneità a sostenere una informativa antimafia sfavorevole e il loro valore sintomatico e indiziario, sufficiente a fondare un giudizio di “qualificata probabilità” che l’attività di impresa possa agevolare, anche in maniera indiretta, le attività criminali, ovvero possa esserne in qualche modo condizionata per la presenza, nei centri decisionali, di soggetti legati a organizzazioni malavitose. Da ciò il Consiglio di Stato fa discendere un importante corollario con riguardo alle informative negative, ravvisabile nella “inattualità” dei fatti idonei a fondare un giudizio espulsivo, “inattualità” intesa come “non necessaria istantaneità” degli stessi rispetto all’adozione dell’informativa, che pure potrebbe intervenire anche a seguito di un mutamento fattuale (per esempio nella compagine societaria) nel frattempo sopravvenuto. In altri termini, il fattore di pericolo emergente da un’informativa (pur quando la stessa si basi su fatti in seguito mutati) non viene automaticamente meno col passare del tempo, bensì solo con il verificarsi di elementi positivi idonei a dar conto di un nuovo e consolidato operare dei soggetti cui è stato ricollegato il pericolo medesimo. Ciò che invece rileva è che i fatti non siano talmente remoti da essere reputati superati e in alcun modo reiterabili: “ché altrimenti - argomentano i giudici Gennaio 2009 N. 1 appalti e contratti appalti pubblici sarebbe sufficiente di volta in volta procedere a modifiche anche parziali [...] per rendere impossibile l’accertamento prefettizio”. Particolare attenzione merita ora il secondo gruppo di censure, ossia quelle dedotte con riguardo all’esercizio del potere amministrativo da parte della stazione appaltante. Come già si è avuto modo di rilevare, le informative atipiche o supplementari, in considerazione della maggiore indeterminatezza dei presupposti che ne sono a fondamento, lascerebbero l’amministrazione aggiudicatrice libera di procedere alla sottoscrizione del contratto o meno. Al riguardo, la giurisprudenza è pacifica nel ritenere illegittima la clausola del bando che imponga l’esclusione del partecipante alla gara a fronte di un’informativa supplementare, espropriando la stazione appaltante del relativo potere di accertamento e apprezzamento (Consiglio di Stato, sez. VI, n.1948 del 3 maggio 2007). L’innegabile margine di apprezzamento, tuttavia, si traduce nell’obbligo di motivazione del provvedimento espulsivo, soggetto a sindacato giurisdizionale sul piano della logicità e della completezza dell’accertamento dei fatti ritenuti rilevanti (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3484 del 22 giugno 2007; Consiglio di Stato, sez. V, n. 2828 del 31 maggio 2007). Infatti, se è innegabile che nei provvedimenti amministrativi l’indicazione delle ragioni che ne sono a fondamento possa esprimersi anche attraverso il richiamo degli esiti degli accertamenti compiuti in altre sedi ovvero contenuti in altri atti (motivazione per relationem), cionondimeno, non può in alcun modo tralasciarsi di evidenziare, nell’atto conclusivo, le ragioni della valutazione negativa espressa. Nel caso di specie, il periculum desunto nelle informazioni prefettizie riguardava fatti che, in prima battuta, avevano formato oggetto di valutazione penalistica. Era rimasto incontestato che l’ordinanza custodiale fosse stata annullata in sede di riesame per carenza del requisito gravemente indiziante, con provvedimento confermato dalla Corte di cassazione. Il Collegio, tuttavia, non manca di rilevare come una tale statuizione, essendo resa rebus sic stantibus, non sia di per sé in grado di pregiudicare in senso sfavorevole all’accusa il prosieguo del procedimento penale (che ben potrebbe concludersi con una pronuncia di tenore condannatorio). Tanto meno essa potrebbe condizionare in senso negativo il vaglio amministrativo sul “significato” delle condotte ascritte al destinatario dei provvedimenti penali e l’autonomo giudizio che su di esse l’amministrazione è chiamata a rendere. È pur vero, peraltro, come chiaramente affermato Gennaio 2009 N. 1 nella decisione in esame, che “a fronte di un deliberato (l’ordinanza custodiale) a connotato incolpatorio, successivamente smentito dal giudice penale, è ineludibile una complessiva valutazione dell’amministrazione, volta a chiarire e rendere intellegibile in base a quale iter logico/motivazionale si consideri persistere il rilievo negativo delle condotte descritte nei provvedimenti in questione”. In sostanza, l’amministrazione non deve mai sottrarsi alla necessità di accertare l’esistenza dei tentativi di ingerenza o del pericolo di condizionamenti mafiosi, e tale accertamento deve essere condotto senza apriorismi, in modo concreto e specifico, dando conto nella motivazione dell’iter logico a tal fine seguito. Se ciò è vero (ed è questo l’orientamento consolidato in giurisprudenza), in presenza di elementi fattuali di segno negativo, a maggior ragione una motivazione si renderà necessaria nei casi in cui, come quello di specie, ci si trovi al cospetto di emergenze penali di segno contrario. Conclusioni Una delle criticità maggiori espresse con riferimento alle informative atipiche, ed emersa con riguardo alla fattispecie oggetto della sentenza in commento, viene ravvisata nel trasferimento in capo all’amministrazione di decisioni delicate e impegnative, rispetto alle quali le informative in questione sono al più in grado di fornire elementi di valutazione spesso carenti e indefiniti, nonché, come nel caso di specie, molto lontani nel tempo. Come è stato ben evidenziato dalla giurisprudenza, la stazione appaltante non ha né il potere né l’onere di verificare la portata e i presupposti dell’informativa, ché altrimenti il prefetto verrebbe esautorato di una competenza legislativamente assegnatagli, e per la quale dispone dei mezzi tecnici-operativi finalizzati all’accertamento prescritto. Ne consegue che l’effettivo ambito di discrezionalità riservata alle stazioni appaltanti deve essere circoscritto alle determinazioni conseguenti alle informative, con esclusivo riferimento alla sorte della procedura di affidamento dell’appalto. Da tali considerazioni discende un importante corollario, vale a dire la netta distinzione e la necessaria autonomia degli accertamenti che fanno capo ai due soggetti (prefetto e amministrazione appaltante). Quantomeno per le informative atipiche (e in ciò risiede il loro maggior tratto distintivo rispetto alle altre), dunque, la stazione appaltante non può ritenersi vincolata alla statuizione in esse contenuta, ma è chiamata a compiere una rinnovata valutazione discrezionale circa l’incidenza delle informazioni fornite dalla Prefettura sulla perdurante sussistenza degli elementi che ne sono a fondamento. 51 appalti e contratti appalti pubblici La giurisprudenza sul punto è concorde, arrivando a sostenere che, anche in presenza di un’informativa atipica che attesti il pericolo di infiltrazione mafiosa, la stazione appaltante potrebbe legittimamente decidere di proseguire il rapporto contrattuale con l’impresa sospettata, ovviamente essendo gravata in tal caso da un dovere di ampia motivazione. Detto obbligo motivazionale, invece, appare meno pacifico nelle ipotesi di adesione all’indicazione prefettizia. l 52 Sul punto, la sentenza in commento chiarisce che la valutazione amministrativa debba essere sempre preceduta da una approfondita analisi delle condotte tenute dai soggetti ai quali l’informativa si riferisce, e ciò anche nel caso in cui essa vi si conformi negli esiti provvedimentali. Tale valutazione è autonoma e la sua carenza, come si ricava nelle indicazioni conclusive della pronuncia de qua, vizia irrimediabilmente l’azione amministrativa l In sintesi di violazione di legge ed eccesso di potere. Contro la sentenza è stato proposto appello. Il fatto La questione ha origine dal ricorso di una società esclusa dal prosieguo della gara indetta, mediante licitazione privata, per l’affidamento del servizio di pulizia dei presidi autostradali, in ragione di un’informativa della Prefettura di Napoli, con la quale era stata accertata la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa ex art. 4, del Dlgs n. 490/1994 e art. 10, del Dpr n. 252/1990. Il Tar Lazio (sede di Roma, sez. III ter, n. 363 del 19 gennaio 2006) ha respinto il ricorso, mercé il quale erano state dedotte numerose censure La decisione Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale ha accolto parzialmente l’appello con conseguente riforma della sentenza appellata e parziale accoglimento del ricorso di primo grado. In particolare, il giudice amministrativo ha respinto le censure volte a prospettare uno “straripamento di potere” in capo alla stazione appaltante e ha accolto quelle concernenti il quomodo dell’esercizio di tale potere, evidenziando l’assenza nel caso di specie di un autonomo approfondimento valutativo dell’amministrazione. Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza n. 5780 del 7 novembre 2008 I precedenti Sulle finalità dell’informativa antimafia e sulla non necessarietà di un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, si veda: Cons. Stato, sez. VI, n. 4574 del 17 luglio 2006; sez. IV, n. 2783 del 4 maggio 2004; sez. VI, n. 149 del 14 gennaio 2002; sez. VI, n. 5710 del 24 ottobre 2000. Sulla valutazione della c.d. “informativa atipica o supplementare” da parte della stazione appaltante e sul conseguente obbligo di motivare il provvedimento espulsivo, si veda: Cons. Stato, sez. VI, n. 3484 del 22 giugno 2007; sez. V, n. 2828 del 31 maggio 2007 l Gennaio 2009 N. 1