L’EVOLUZIONE DEL
MICROCOSMO-OSPEDALE
IL CASO DEI REPARTI DI TERAPIA INTENSIVA
Classe 5^C Liceo Scientifico “Edoardo Amaldi” di Alzano Lombardo (BG)
- “Il Regno” : nome di un ospedale
di Copenhagen
Suggerisce l’idea di un
territorio:
- isolato in se stesso;
- dominato da una sorta di
gerarchia feudale;
- in cui si difende
gelosamente il sapere che i
suoi abitanti detengono.
Da Michel Foucault, Nascita della clinica:
“[Nell’ospedale moderno] Le
malattie saranno raggruppate per
ordini, generi, specie, in un dominio
razionalizzato che restituisce
l’originaria distribuzione delle
essenze. (…). La malattia trova qui
il suo luogo privilegiato e come la
residenza forzata della sua verità.”
LA STRUTTURA DELLA NOSTRA
RICERCA
• dall’hospicium medievale al modello moderno di un
ospedale separato dall’ambiente urbano circostante;
• i reparti di TI come simbolo di un sapere medico sempre
più specializzato: le opportunità e i rischi che ne
derivano;
• i rapporti tra i membri del personale di TI;
• il valore simbolico degli spazi nel reparto di TI;
• proprio dalle TI, una nuova richiesta di “umanizzazione”
della medicina?
• L’esperienza del pudore, come costante antropologica e
criterio di valore per la stessa medicina del futuro.
GLI OSPEDALI NEL MEDIOEVO: IL CASO DI BERGAMO
-luoghi di “assistenza polivalente” che accoglievano non solo malati, ma
anche poveri, pellegrini e orfani; in un secondo tempo, in parte, si
specializzarono nell’assistenza dei lebbrosi;
-gli ”ospedali” si diversificavano per l’origine (laica o religiosa) e
l’ubicazione (urbana o rurale);
-rispetto agli ospedali moderni, il numero
dei degenti era assai basso (non più
di 12-15 per hospicium); anche per
questo, le strutture erano numerose;
-mancava una vera e propria assistenza
medica, in senso moderno, e la cura
dei malati si svolgeva soprattutto sul
piano igienico e dietetico.
- inoltre: l’esperienza della MIA
(Misericordia Maggiore di Bergamo) ben 1730 donne coinvolte nell’attività
assistenziale, nella Bergamo del 1265.
Conclusione:
un’incessante osmosi
tra gli ospedali e
la società circostante.
L’AFFERMAZIONE DEL MODERNO “MODELLO
CLINICO”
-Michel Foucault, Nascita della clinica. Una archeologia dello sguardo
medico (1963).
Tesi:
l’ospedale moderno come
strumento di un “biopotere”
che si esercita sui corpi degli internati.
Il corpo del paziente è visto
come una “macchina da riparare”,
qualora questo sia possibile.
FORMAZIONE DEL REPARTO DI TERAPIA
INTENSIVA
L’ospedale moderno (visto come “città nella città”)
ha avuto un’evoluzione che ha portato alla
formazione di diversi reparti fra cui quello di
TERAPIA INTENSIVA
(reparto all’apice della specializzazione in cui
la medicina “gioca tutte le sue carte”)
L’INCONTRO CON LA STORIA DEI
PAZIENTI
È un’esigenza manifestata dai medici e da tutti
gli operatori sanitari delle TI
«Aiuta a rendere meno
artificiale, mano artificioso,
meno bianco, meno
ospedaliero, meno strumento il
malato, la persona che hai
davanti».
Importanza del dialogo con i parenti
NECESSITÀ DI CONDIVISIONE
Condividere idee e osservazioni relative ai pazienti
aiuta medici e infermieri a:
1. commettere meno errori;
2. lasciare meno solo il singolo nelle scelte;
3. limitare i periodi di stress emotivo e i casi
più estremi di burnout.
RAPPORTO TRA MEDICI E INFERMIERI
«Io credo che si debbano
ridefinire i nostri rapporti, il
rapporto medico-infermiere,
nel ruolo della scelta […].
Sicuramente c’è un problema
di competenze diverse […],
ma sarebbe importante anche
sottolineare questa diversità
di ruolo che è sicuramente un
arricchimento per tutto il
personale medico, per fare in
modo che la scelta sia ancor
più condivisa».
Nella TI di Lecco - 1
SGUARDO SULLA TI DI LECCO E SU UN ANALOGO
REPARTO DI UNA CLINICA DI BERGAMO
-Non è presente un rapporto
“gerarchico” infermiere-medico;
-gli infermieri e i medici formano una
squadra coesa;
-tutti gli operatori sanitari lavorano in
un approccio collaborativo;
-il medico intensivista ha uno sguardo
differente rispetto al medico di un
altro reparto;
-è presente la figura di una psicologa
che ha un ruolo di mediazione tra i
medici e i parenti, ma anche tra gli
stessi membri del personale.
Nella TI di Lecco - 2
TECNOLOGIA E SPAZIO
Entrando in un
reparto di terapia
intensiva si ha la
sensazione di
entrare quasi in un
“altro mondo”,
infero, separato da
quello diurno.
Colpisce soprattutto
il massiccio
dispiego di
tecnologia.
Per l’osservatore esterno, il
paziente quasi si fonde con
le macchine alle quali è
collegato, poiché dipende
in tutto e per tutto da esse.
Questa “ibridazione” però
può portare anche a una
spersonalizzazione del
ricoverato, che rischia di
ridursi a “caso clinico”,
unicamente considerato
attraverso i dati e i
parametri monitorati.
Una feroce descrizione delle pratiche di una TI, da parte di
Ferdinando Camon:
«Oggi
si muore con cuore e cervello innestati ai
fili, che finiscono in uno strumento registratore: è
la morte intubata. E il personale curante è ormai
un’équipe di meccanici impegnati a badare che
la flebo sgoccioli e l’ossigeno arrivi…»
Tuttavia, nella nostra ricerca ci è parso di vedere che il
personale della TI si dimostra spesso attento alla dimensione
psicologica e alla dignità personale dei pazienti.
La persona ricoverata in un reparto di TI, se cosciente, può
sperimentare emozioni molto forti.
Anche i parenti, gli amici, possono sperimentare smarrimento e
paura di fronte alla precarietà della condizione del proprio
congiunto.
Le pratiche di cura, nelle TI, non possono trascurare
quest’aspetto:.
Il percorso di cura in tali reparti dovrebbe basarsi
su un'alleanza (implicita o esplicita) tra il paziente,
i suoi parenti e il personale medico e
infermieristico.
La strutturazione degli ambienti di una TI può
avere un ruolo strategico.
Sarebbe importante coniugare le esigenze di sicurezza sanitaria
con le esigenze dei sentimenti di tutti coloro che sono coinvolti
nella relazione di cura.
Ad esempio attraverso:
• finestre ben dimensionate e poste di fronte a loro.
•“salottini privati”;
•separare visivamente il paziente appena spirato e i suoi congiunti
dagli altri pazienti ancora in terapia;
•luoghi “semiprotetti”, dove coloro che sono in migliori condizioni o
stanno per essere trasferiti in altri reparti possano incontrarsi in
modo più discreto con i loro cari.
LO SGUARDO CLINICO,
IL PUDORE DELLA CARNE - 2
«La vita della persona è avvinta, per natura, a una sua intimità. Il
riserbo nell’esprimersi, la discrezione, è l’omaggio che la persona
rende alla sua infinità interiore. Il pudore fisico significa che io
sono infinitamente più del mio corpo guardato o colto dagli altri;
e alla stessa maniera il pudore dei sentimenti. Il contrario
del pudore è la volgarità, l’accettare di essere solo la nostra
apparenza immediata, di esibirsi sotto lo sguardo del pubblico».
Emmanuel Mounier, Il personalismo.
L’attenzione alla persona, al suo pudore e alla sua dignità dovrebbe avere
un rilevo pari alle esigenze organizzative.
«Il pudore ci ricorda che in ogni essere umano c’è una parte in ombra,
mai del tutto conoscibile o dominabile, assoggettabile alle leggi del
mercato. Il pudore – così come, su un altro livello, ciò che chiamiamo
“legge”, o “diritto” –, tende a limitare il nostro desiderio di dominio e
onnipotenza sull’altro. Forse, il tradizionale adagio secondo cui la
libertà di ciascuno finisce là dove comincia quella dell’altro
meriterebbe di essere riformulato: si potrebbe dire che la libertà di
ognuno comincia là dove comincia quella dell’altro: perché il rispetto
nei confronti degli altri esseri umani va di pari passo con la nostra
capacità di costituirci come individui, di chiedere per noi un analogo
rispetto da parte degli altri».
Monique Selz, Il pudore.
BIBLIOGRAFIA
-Antonia Arslan, Ishtar 2. Cronache dal mio risveglio, Rizzoli, Milano 2010
-Guido Bertolini (a cura di), Scelte sulla vita. L’esperienza di cura nei
reparti di terapia intensiva, Guerini e Associati, Milano 2007
-Michel Foucault, Nascita della clinica. Una archeologia dello sguardo
medico, Einaudi, Torino 1998.
-Paolo Frascani, Ospedale e società in età liberale, Il Mulino, Bologna
1986.
-Monique Selz, Il pudore. Un luogo di libertà, Einaudi, Torino 2005.
-Marco Venturino, Cosa sognano i pesci rossi, Mondadori, Milano 2006
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