Projects
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Crisi mondiale della
globalizzazione e ritorno a una
cultura dell’eticità si traducono in
nuove tendenze inneggianti al
rifiuto del non necessario non
solo in economia ma in tutti i
settori del vivere civile.
Minimalismo economico,
dunque, ma anche minimalismo
architettonico dichiarato da
scelte linguistiche epurate che
esaltano il ruolo della struttura in
quanto elemento fondante
dell’archetipo. Nuovi registri
espressivi orientati a una sintesi
intelligente tra tecnologie
all’avanguardia, valori plastici e
prestazioni funzionali per una
dimensione dello spazio costruito
armonica e mai invasiva
dell’elemento umano e naturale.
The worldwide crisis in globalization
and return to a culture of ethics
translate into new trends
encouraging the rejection of the
unnecessary, not just in economics
but in every realm of civil life.
So this means economic minimalism
and also architectural minimalism
based on simplified stylistic options
exalting the role of structure as a
grounding element of the archetype.
New stylistic keys directed toward a
clever synthesis of cutting-edge
technology, sculptural values and
functional performance for a
harmonious vision of built space
which never invades either the
human side of life or nature.
Ritorno alla base
Back to Base
Maurizio Vogliazzo*
“B
ack to Basics”. Lo slogan non è male, ha
un suo fascino. È anche così convincente
che sarebbe proprio difficile, o per lo
meno curioso, non essere d’accordo. Se fra qualche tempo, diciamo una decina d’anni, qualcuno
volesse tentare uno zibaldone di questo periodo
che stiamo attraversando, Back to Basics ne sarebbe il titolo perfetto. In inglese, perché all’epoca
non si potrà fare diversamente: al massimo, per l’edizione italiana, destinata a lettori dalle note e forse invincibili refrattarietà linguistiche, potremmo
avere un sottotitolo per la verità un poco infedele,
ma per fortuna più ambiguo, “Ritorno ai fondamentali”. Avrebbe un successo molto vintage, a
ben vedere: nostalgia su nostalgia. Come non
ricordare le parole d’ordine fra il punitivo e il
repressivo, più che altro dementi al di là della loro
confezione accuratamente mirata a un target assai
poco laico e modernizzato quale quello italico, che
hanno segnato due o tre generazioni cresciute nell’ultimo quarto del ventesimo secolo? “Austerità”,
per esempio, largamente proposto come minaccioso life style, che da parecchio ormai ricompare sotto le mentite spoglie di “sostenibilità”, “eco-compatibilità”, e così via, necessità ovviamente indifferibili ma purtroppo spesso spappolate in rituali vulgate da schiere di benintenzionati ma ingenuissimi
operatori sociali e astuti costruttori di consenso.
Questi ultimi poi hanno, ahimè, o meglio pretendono di avere, competenze onnivore, quindi anche
architettoniche, contribuendo involontariamente e
non poco al deprimente complessivo abbattimento
della qualità del nostro habitat costruito ma non
soltanto.
Con tutto ciò, l’architettura non sta sulla luna, non
è che passi indenne attraverso periodi critici come
quelli attuali. E non soltanto per i risvolti più diretti,
prettamente immobiliari. Tuttavia, lasciarsi trascinare da un generale overpressing favorisce facilmente, nei propri cantucci, il riemergere di rancori
mai sopiti. Coniugando reminiscenze vitruviane
(derivate probabilmente da frequentazioni liceali),
nostrani fascini storicistici postbellici (quelli che
avevano fatto rilevare a Reyner Banham1 la famosa
ritirata italiana dall’architettura moderna), superficiali suggestioni ecologiche e ambientalistiche
orecchiate dal gran battage dei temi dello sviluppo
sostenibile, insofferenze e moralismi vari, non è
raro negli ultimi tempi sentir classificare le architetture di Gehry come non sostenibili, o quelle di
Zaha Hadid come formaliste (quando magari si
tratta più propriamente di mancato controllo delle
diversità di scala), tanto per fare degli esempi. Per
riproporre magari, anche sotto sotto come antidoto alla crisi in nome di una supposta apodittica
serietà, il vecchio tandem italiota tipologia/morfologia, che in quarant’anni e più non ha portato da
nessuna parte, tanto meno a un anche marginalissimo miglioramento di qualche città o cittadina o
paese, ma invece alla quasi totale paresi della
nostra architettura e delle scuole nelle quali viene
insegnata questo sì, col conseguente totale deterioramento e sfascio di ogni qualità dell’ambiente,
fisica e della vita di ciascuno. Bel colpo, non c’è
che dire: neppure a volerlo sarebbe stato possibile
fare peggio e più danni.
Per quanto riguarda l’architettura e il built environment (basta parlare di natura: non esiste paesaggio senza modificazione umana), la questione è
qui (i discorsi planetari sono sfondi interessanti ma
privi di ricadute operative), nella miseria quotidiana
in cui in Italia si dibattono ricerca, professione,
gestione. D’altra parte che senso può avere trasferire Back to Basics tout court in questo milieu così
infelice?
Si può tuttavia tentare di trovarlo. L’architettura, la
qualità degli spazi e della vita, che altro hanno
costituito se non quel Basics, quando Barcellona in
una decina d’anni e poi in seguito con ammirevole
continuità (a fronte di traversie non indifferenti) è
stata rivoltata come un guanto, da conurbazione
infetta da rottamare a vera metropoli contemporanea, sotto quasi tutti i profili possibili e immaginabili? E non è finita lì, perché la scala degli interventi
è poi divenuta regionale e ben oltre, se si prendono in considerazione, come è d’obbligo, le infrastrutture e i flussi finanziari.
Senza contare l’impressionante ammodernamento
amministrativo, giunto ormai mille miglia lontano
dai nostri uffici ossificati che ben si conoscono.
Malgré tout con complessiva soddisfazione e consolidamento dei margini identitari di autoriconoscimento nei luoghi in cui si vive e si lavora, con procedimenti nel complesso soft di conduzione delle
modificazioni e di gestione dei conflitti (non è questo il famoso e tanto qui da noi agognato consenso?). Qualcuno dirà: ma che noia, sempre
Barcellona, è un esempio sdrucito. Sbagliato: non
lo è per nulla, e la dimensione e la scala di ogni
intervento, fisico e amministrativo, e perfino, in
parte, il tessuto sociale, sono quanto di più vicino e
paragonabile si possa trovare con le nostre città.
Berlino, Londra e Parigi, tanto per fare degli esempi, è come se si trovassero su di un altro pianeta.
Semplice dunque: basterebbe guardare, cercare di
riprodurre modificando quando e se del caso.
RITORNO AI FONDAMENTALI BACK TO BASICS
Vista area di Barcellona.
Aerial view of Barcelona.
Occorre tuttavia per poterlo fare avere occhi che
vedono, e non “des yeux qui ne voient pas”2: la
questione rimane sempre quella. Invece qui da noi
la cecità avanza, fra non molto tempo diventerà
totale. Mentre sta sviluppandosi un altro genere di
vista, che non sembra, al momento, farci molto
onore. Né, a parte questo, essere molto utile.
All’opposto dell’accezione di Basics che ha rimesso
Barcellona all’onor del mondo prende invece sempre più piede, negli ambienti che si autodefiniscono più aggiornati, l’idea che l’architettura e la qualità degli spazi (quella della vita non è ben chiaro in
che termini interessi e venga o non venga affrontata) devono esclusivamente derivare da ciò che a
tutti gli abitanti piace. Eredità remota (diretta
anche se distorta) dell’ideologia perversa della progettazione partecipata, mai vituperata a sufficienza, questa dichiarata convinzione e questo intento
(già qua e là messo in pratica, ovviamente con l’unico strumento operativo possibile: dichiarazioni e
parole), mentre apre squarci su scenari fisici e non
soltanto squallidi e depressi, cancella in un sol colpo l’unico significato di Basics per noi adatto e
possibile.
Così purtroppo rischia davvero di rimanere soltanto il Back, l’indietro. Back, back, back. Reyner
Banham lo aveva già allora perfettamente capito.
* Maurizio Vogliazzo, architetto, è professore ordinario di
Architettura del Paesaggio e delle Infrastrutture Territoriali presso
il Politecnico di Milano, dove presiede il Corso di Laurea
Magistrale in Architettura. È titolare di “Storia e Teoria del
Design Italiano” presso lo University College di Londra (UCL) e
insegna Architettura del Paesaggio presso lo IULM di Milano.
Visiting professor a Barcellona, Lisbona, Matosinhos, Parigi,
Brisbane, è direttore di ricerca per CNR, MPI, MIUR, UE ed enti
pubblici e privati. Coordinatore ICP Erasmus dal 1987, dirige
ALAD Laboratories (Architecture&LandAmbientDesign), area di
ricerca del Politecnico di Milano che ha vinto come migliore
scuola di architettura del paesaggio la V Biennale europea di
Barcellona. Premiato in concorsi nazionali e internazionali, è
autore di opere realizzate e pubblicate. Espone a New York,
Berlino, Parigi, Milano, Venezia e altrove. È membro di giurie
nazionali e internazionali ed è autore di articoli, saggi e libri,
apparsi in Italia e all’estero. È attualmente vicedirettore de l’Arca.
Note
1. Reyner Banham (1922-1988), prolifico critico e teorico dell’architettura meglio conosciuto per il suo libro Theory and
Design in the First Age Machine, 1960 (Architettura della prima
età della macchina) e per Los Angeles: The Architecture of Four
Ecologies, 1971 (Los Angeles: l’architettura di quattro ecologie).
2. Le Corbusier, Vers une architecture, Ed. G. Crès & Cie, Paris,
1923.
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“B
ack to Basics” is not a bad slogan, it has a certain charm. It is also so convincing that it
would be truly difficult, or at least strange,
not to agree with it. If some time from now, say in
about 10 years time, somebody wanted to give an account of this period we are going through, then Back to
Basics would be a perfect title. In English of course, because there will be no choice by then: at most, for the
Italian edition, written for those readers unable to overcome their familiar and perhaps insuperable linguistic
limits, we might use a subtitle which, to tell the truth, is
not very faithful to the original but, at least, has the
benefit of being more ambiguous, “Ritorno ai fondamentali”. Its vintage flavor would be quite successful:
nostalgia heaped upon nostalgia. How could we ever
forget those sound-bites, lying somewhere between
the punitive and repressive (demented than anything
else), carefully concocted for an anything but secular
and modernized target group like Italy, which have
now left their mark on the two or three generations
growing up during the last quarter of the 20th century?
“Austerity”, for example, mainly put forward as a
threatening kind of lifestyle, which cropped up again
over recent times thinly disguised as “sustainability”,
“eco-compatibility” and so forth. Obviously pressing
needs but, alas, often mangled into ritual vulgates by
hoards of well-intentioned but naive social workers and
clever opinion-makers. Unfortunately, the latter have
(or rather claim to have) all-encompassing expertise
even covering architecture, involuntarily contributing
considerably to the depressing overall decline in the
quality of our built habitat and much more.
Bearing all this in mind, architecture certainly is not a
world apart and most definitely has not been unaffected by critical periods like the one we are going through
at the moment. And not just in terms of direct and
largely property-related implications. Nevertheless,
allowing ourselves to be overwhelmed will certainly
allow certain unresolved grudges and resentments to
resurface. Lumping together Vitruvian reminiscences
(probably deriving from what was learnt at high
school), a distinctly Italian brand of post-war fascination with historicism (what eventually caused Reyner
Banham 1 to sound the famous Italian retreat from
modern architecture), superficial ecological and environmentalist ideas taken from the great barrage of
issues related to sustainable growth, and all kinds of
intolerance and moralizing, it is not rare these days to
hear Gehry’s architecture described as unsustainable
and Zaha Hadid’s as formalist (when, in actual fact, it is
probably more a matter of lack of control over various
differences in scale), just to quote a few examples.
Only to re-propose perhaps (deep down as an antidote
to the crisis in the name of some sort of alleged apodictic seriousness) the old-fashioned Italian combination
of typology/morphology, which has got us nowhere over
a period of 40 years and more. Certainly not even bringing about even the tiniest improvement in some city,
town or village, but which, in contrast, has certainly totally paralyzed architecture and the institution where it is
taught, consequently bringing about the complete deterioration and destruction of the physical environment
and everybody’s life. Congratulations, it must be said: we
could not have done worse or caused more damage
even if we had tried.
As regards architecture and the built environment
(enough talk of nature: there is no such thing as landscape untouched by human hand), the issue is right
here (planetary debate forms an interesting backdrop,
but with no practical implications) in the day-to-day
misery in which research, the profession and management are debated in Italy. After all, what would be the
point of simply transferring Back to Basics into such an
unhappy milieu?
But we could at least try to find the point. Architecture,
the quality of spaces and life, what else are they constructed out of if not those Basics, look at the way
Barcelona has been turned inside out like a glove in the
space of about 10 years and then, even after that, with
admirable continuity (despite facing considerable problems)? What was once an infected conurbation ready
to be thrown on the rubbish heap was transformed
into a real modern-day metropolis from almost every
possible and imaginable point of view. And it does not
end there, because the scale of operations was then
upgraded to a regional and then even wider scale, if
we take into consideration, as we must, infrastructures
and financial flows.
Without counting the striking modernization of
administration, now light years away from the ossified offices we are so familiar with over here.
Achieving all this with the overall approval of almost
everybody and without jeopardizing the identity of
the places where people live and work, operating
along gentle lines of alteration and conflict management (is not this the famous notion of consensus Italy
is so desperately searching for?). Somebody might say
that it is boring to keep on talking about Barcelona
and that the example is overstretched. Wrong: it is
not overstretched at all, and the scope and scale of all
the physical and administration operations (and even
part of the social fabric) is as close and comparable to
our cities as you can find. Berlin, London and Paris,
just to name a couple of examples, might indeed be
Prefigurazione del
futuro quartiere
d’affari a
La Défense,
Parigi (©EPAD).
Prefiguration of the
future business
district at
La Défense,
Paris (©EPAD).
described as being from another planet. So it is all too
easy: you just need to look at what has been done and
then try and reproduce it, with all the due modifications as and when required. But in order to do this,
you need to have eyes which can see and not “des
yeux qui ne voient pas”2: it is always the same problem.
But here in Italy blindness seems to be contagious and
soon nobody will be able to see. Meanwhile, a different kind of sight is being developed, which, at least for
the time being, is not very admirable. Neither is it very
useful. In complete contrast with the meaning of
Basics, which has taken Barcelona to the very center of
the world’s attention, in our allegedly most up-to-date
milieus, the idea is emerging that architecture and
space quality (it is not clear in what terms the quality of
life is being considered or even whether it is being considered at all) must exclusively derive from what everybody actually likes and is most popular. This openly
avowed belief and intention (actually implemented
here and there, obviously using the only operating tool
available: statements and words) is a distant (and
direct, although distorted) legacy from an ideology
shot through with the idea of participated planning,
never sufficiently reviled. Meanwhile, in one fell swoop
the only meaning of Basics possible and adaptable to
us has been canceled out amidst a maze of squalid and
dilapidated physical scenarios and settings.
In this way there really is a danger that all that will be
left of Back to Basics is the Back. Back, back, and even
further back. Something Reyner Banham realized a
long time ago.
* The architect Maurizio Vogliazzo is a Full Professor of Landscape
Architecture and Territorial Infrastructures at Milan Polytechnic, where he is also Head of the Postgraduate Course in Architecture. He
teaches “History and Theory of Italian Design” at University College
in London (UCL) and Landscape Architecture at the IULM in Milan.
He is a Visiting Professor in Barcelona, Lisbon, Matosinhos, Paris and
Brisbane, and Head of Research for the CNR, MPI, MIUR, EU and
other public and private associations. He has been the ICP Erasmus
Coordinator since 1987 and runs the ALAD Laboratories
(Architecture&LandAmbientDesign), a research department at Milan
Polytechnic, which won the 5th European Biennial in Barcelona as
the best school of Landscape Architecture. He has won both national
and international competitions and has built and written numerous
works. His work has been exhibited in New York, Berlin, Paris, Milan,
Venice and elsewhere. He is a member of national and international
panels of judges and the author of articles, essays and books published in Italy and abroad. He is currently the Assistant Editor of l’Arca.
Notes
1. Reyner Banham (1922-1988), prolific architecture critic and theorist
best-known for his book Theory and Design in the First Age Machine,
1960, and for Los Angeles: The Architecture of Four Ecologies, 1971.
2. Le Corbusier, Vers une architecture, Ed. G. Crès & Cie, Paris, 1923.
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Perla di luce
Pearl of Light
Pechino, Gran Teatro Nazionale
Beijing, Grand National Theater
Progetto di Paul Andreu
Project by Paul Andreu
T
ra sublimazione poetica e tecnologie all’avanguardia, il Gran Teatro Nazionale di Pechino, opera
maggiore dell’architetto francese Paul Andreu, è
uno dei simboli della Nuova Cina. La sua inaugurazione,
nel dicembre del 2007, segna la riuscita conclusione di
un percorso durato circa 10 anni e più volte contrastato
da non poche critiche e posizioni divergenti. Giudicato
troppo poco cinese e troppo poco coerente col contesto
urbano di Pechino, nonché esageratamente costoso
(oltre 300 milioni di euro), il Grand National Theater è
invece uscito da questo travagliato cammino con un’opera maestosa e unica, guadagnandosi il riconoscimento
della testata americana Business Week come una delle
prime dieci meraviglie architettoniche della Nuova Cina.
Un raffinato lavoro sulla forma, sulle superfici, sulle trasparenze e sui giochi di luce e di riflessi, che ha permesso ad Andreu di trasformare la semplicità di una forma
morbida e bombata come quella dell’uovo in un oggetto
vivente, uno scrigno cangiante che rivela sensazioni,
suggestioni e dimensioni sempre nuove e coinvolgenti.
Nel cuore di Pechino, vicino a Piazza Tiananmen e alla
Città Proibita l’edificio è adagiato al centro di un lago
artificiale, “come una perla barocca” racchiusa in un
guscio ovoidale in lastre di titanio e vetro.
La struttura è un mega ellissoide – 213 metri sull’asse
maggiore e 144 su quello minore – definito da una
sovrapposizione di involucri successivi da cui si generano
giochi di trasparenze e di luce che si riflettono sullo specchio del lago e si trasformano con le condizioni del cielo
e del clima. L’involucro in titanio e vetro concepito da
Andreu non doveva “urtare con il cielo” ma sposarne le
30
La “bolla” in titanio
del Gran Teatro
Nazionale di Pechino.
Pagina a fianco,
particolare della
grande vetrata curva
che delimita gli
ambienti interni
comuni.
The titanium
“bubble” of the
Beijing Grand
National Theater.
Opposite page, detail
of the large curved
glass window
bordering around the
communal interiors.
variazioni: la pelle metallica gli risponde così con i riflessi,
mentre l’onda vetrata che la taglia centralmente lascia
penetrare la luce naturale.
Il senso di galleggiamento, di sospensione, è esaltato dal
piano dell’acqua che circonda sull’intero piano di appoggio il volume dell’edificio, nascondendo il percorso d’ingresso. Sommersa a una profondità di 80 metri, una galleria trasparente lunga 60 metri accompagna il pubblico
alla scoperta di un universo inatteso e sorprendente
dove si svolge la scena dello spettacolo.
Nello spazio di 3.500 metri quadrati racchiuso sotto la
bolla luminescente sono organizzate una sala principale
dell’Opera di 2.416 posti e due sale minori, di 2.017 e di
1.040 posti, rispettivamente per concerti e teatro. I tre
ambienti si affacciano su un ampio atrio pubblico avvolto in un involucro in legno rosso; concepito come un
quartiere urbano con strade, piazze, negozi, ristoranti e
zone di riposo e di attesa, offre un luogo protetto e denso di stimoli e suggestioni aperto a tutti.
Il gioco degli involucri viene ripreso nell’individuazione
dei volumi delle sale, una maglia dorata definisce quello
principale dell’Opera che nasconde un’anima rivestita di
rosso acceso, mentre una pelle argentea riveste i volumi
delle due sale minori, disposte lateralmente.
Lo spazio interno interagisce con la superficie dell’involucro esterno per esaltare la scenografia urbana: di giorno,
la vela vetrata tagliata nel titanio si apre alla luce naturale che inonda gli spazi in un infinito gioco di riflessi, la
notte, la vita del teatro si proietta sulla città, arricchita
dai sorprendenti effetti di luce creati dai lighting designer Kaoru Mende e Yosuke Hiraiwa.
RITORNO AI FONDAMENTALI BACK TO BASICS
31
P
oised between poetic sublimation and cuttingedge technology, the Grand National Theater in
Beijing, a major work by the French architect Paul
Andreu, is one of the symbols of New China. Its opening in December 2007 marked the successful completion of a process which lasted about 10 years and was
often strongly criticized from opposing fronts. Judged as
being far too un-Chinese and far too inconsistent with
the Beijing cityscape, as well as much too expensive
(over € 300 million), the Beijing Grand National Theater
has actually emerged from all these skirmishes as a
majestic work unique of its kind, actually being
acknowledged by the US-based journal Business Week
as one of the top ten architectural wonders of New
China.
By working elegantly on its form, surfaces, transparencies and interplay of light and reflections, Andreu has
managed to turn a simple, soft and rounded form,
rather like an egg, into a living object, a shimmering
case revealing constantly new and engaging sensations,
suggestions and dimensions.
The building, which is situated right in the heart of
Beijing, near Tiananmen Square and the Forbidden City,
rests gently in the middle of a man-made lake, “like a
baroque pearl” enclosed in an egg-shaped shell made
of sheets of titanium and glass.
The structure is a mega-ellipsoid—213 m along the
main axis and 144 along the minor axis—defined by
overlapping shells generating interplays of transparency
and light, which are reflected in the water of the lake
and change with the weather and sky conditions. The
titanium and glass shell designed by Andreu was not
32
Viste notturne del
teatro che si
specchia in un lago
artificiale, come
un’isola nel cuore
della capitale.
Il gioco di riflessi e di
luce che emanano
dalla superficie
vetrata, ritagliata al
centro del volume in
titanio, crea
suggestivi effetti
scenografici.
Night-time views of
the theater which is
mirrored in an
artificial lake, like an
island in the heart of
the capital.
The interplay of
reflections and lights
emanating from the
glass surface, cut
into the center of the
titanium structure,
creates striking visual
effects.
supposed to “clash with the sky,” just blend in with its
variations: hence the metal skin responds with its own
reflections, while the glass wave cutting through it centrally lets natural light flow in.
The floating and suspended feeling is enhanced by the
surface of the water surrounding the building’s entire
base level, concealing the entrance path. Submerged at
a depth of 80 m, a 60-meter-long transparent tunnel
allows the general public to discover an unexpected and
startling world, where shows are staged.
A space covering 3,500 square meters enclosed
beneath a luminescent bubble holds a main hall for
operas with 2,416 seats, and two smaller halls with
seating for 2,017 and 1,040, used respectively for concerts and theatrical productions. The three halls surround a spacious public lobby enveloped in a red wooden shell; designed like an urban neighborhood with
streets, squares, shops, restaurants and relaxation/waiting areas, it is a very carefully sheltered place full of
stimulating and suggestive features open to everybody.
The interplay of shells is reiterated in the structural
design of the halls, a golden web marks the main Opera
hall, which hides away a core made of bright red, while
a silvery skin covers the structures of the two smaller
halls, set out laterally.
The interior space interacts with the surface of the outside shell to focus on the urban setting: during the daytime the glass veil cut into the titanium opens up to natural light which floods the spaces with endless reflections, at night-time life in the theater is projected onto
the city, enhanced by startling light effects created by the
lighting designers Kaoru Mende and Yosuke Hiraiwa.
Planimetria dell’area
dove sorge il Teatro
Nazionale, situato a
circa 500 metri da
piazza Tiananmen e
dalla Città Proibita,
e sezione del volume
sulla sala dell’Opera.
In basso, a sinistra,
pianta del livello a
quota -7 e, a destra,
pianta del piano
terreno.
Site plan of the area
where the National
Theater stands,
located
approximately 500 m
from Tiananmen
Square and the
Forbidden City,
and section of the
Opera hall.
Bottom, left, plan of
level -7 and, right,
ground floor plan.
33
34
Pagina a fianco,
particolari costruttivi
e sviluppo
assonometrico della
struttura vetrata.
In questa pagina,
in senso orario,
assonometria della
galleria vetrata di
ingresso, sviluppo
concettuale del
volume ellissoidale e
schizzi di progetto.
Pagine seguenti,
particolari degli spazi
comuni e delle sale
del teatro e
dell’Opera.
Opposite page,
construction details
and axonometric
development of the
glass structure.
This page, clockwise,
axonometry
of the glazed
entrance gallery,
conceptual
development of the
ellipsoidal structure,
and project sketches.
Following pages,
details of the public
areas, the theater
and the Opera hall.
35
36
37
Dove comincia l’architettura
Where Architecture Begins
Vienna, Complesso per residenze e uffici Schlachthausgasse
Vienna, Residential and Office Complex Schlachthausgasse
Progetto di Coop Himmelb(l)au
Project by Coop Himmelb(l)au
L’
architettura dello studio austriaco Coop
Himmelb(l)au, attivo da circa trent’anni in campo
internazionale, è emblematica di una ricerca
mirata al superamento dei confini della statica strutturale. I due fondatori, Wolf D. Prix e Helmut Swiczinsky,
si fanno portatori di un’architettura che “sanguini,
svuoti, si contorca e, perché no, si spezzi”.
Lo stesso nome scelto per lo studio, Cielo (Himmel) blu
(blau), designa un’architettura fluida, contrastata, in
movimento, cangiante, aerea e libera “come le nuvole”. Non solo, la (l) si rifà all’edificio, Bau in tedesco,
quindi il nome può essere anche letto come “Edificio
Cielo”, quindi manufatto libero da vincoli tipologici e
immaginato in modo fluido e dinamico come il ritmo
delle nuvole. Una visione che solo grazie alle moderne
tecnologie può tradursi in realtà, come ben dimostrato
da questo edificio per appartamenti e uffici realizzato a
Vienna. Alle spalle un concorso bandito dalla municipalità per la risistemazione di un’area di circa 22.000
metri quadrati precedentemente occupata da un ospedale per bambini, chiuso nel 1998.
Il progetto di Coop Himmelb(l)au, vincitore del concorso, ridisegna l’allineamento su via Schlachthausgasse
salvaguardando il verde e gli alberi ad alto fusto del
lotto interno, lungo la via Kleingasse. I progettisti lavorano su un impianto tradizionale a stecca, spezzando
l’orizzontalità del blocco lungo 130 metri con alcuni
episodi dirompenti che esasperano gli ordini strutturali
segnando la testa dell’edificio e il volume dell’audito-
38
Il volume scultoreo in
corrispondenza
dell’auditorium che
segna il prospetto
del complesso.
Pagina a fianco,
il volume di testa
dell’edificio,
individuato dalla
struttura trapezoidale
a triliti.
The sculptural
structure near the
auditorium, which
marks the elevation
of the complex.
Opposite page, the
head block of the
building featuring
trapezoidal structure
with triliths.
rium proteso nella parte retrostante. Scultoreo e
incombente, il telaio a triliti del pignone, doppiamente
trapezio e inclinato, si stringe dal livello strada verso il
centro della facciata interna per poi riaprirsi con un
maggiore aggetto e una dinamica ancora più dichiarata. Inquadrati dalla maestosa struttura gli affacci degli
82 appartamenti, ritmati dalle aperture sfalsate delle
finestre e dai volumi delle terrazze.
A questa dirompente architettura si affianca il ritmo
costante del prospetto sulla Schlachthausgasse, fortificato dai sei corpi scala che esasperano con un ordine
gigante l’enfilade prospettica.
Tra questo affaccio e la testa del blocco, si innesta il
corpo dei servizi leggermente arretrato quasi a indicare
il passaggio al lotto retrostante. Qui si rivela un altro
paesaggio scultoreo, animato dalla protuberanza
sospesa che segna la corrispondenza dell’auditorium
e libera un ampio spazio per la hall, assicurandone
il collegamento con l’ingresso principale sulla
Schlachthausgasse. Anche qui è la forma trapezoidale
a dettare le regole della composizione, due prismi
opposti e convergenti che permettono a quello proiettato in aggetto di aprirsi con una ampia vetrata per
dare luce e punti prospettici molteplici agli spazi comuni e di collegamento. Il rosso acceso che individua questo volume e quello, questa volta più discreto, del corpo scala principale, si stagliano sulla facciata regolare
degli spazi destinati agli uffici, circa 12.000 metri quadrati su sette piani.
RITORNO AI FONDAMENTALI BACK TO BASICS
39
40
Particolari del blocco
di testa.
Pagina a fianco,
in alto, sezione
trasversale e vista
della facciata
retrostante dove si
affacciano gli uffici,
in basso, il volume in
corrispondenza
dell’auditorium.
Pagine seguenti,
planimetria generale
e piante dei sette
livelli fuori terra e del
piano interrato che
ospita un parcheggio
per 260 automobili.
Details of the head
block.
Opposite page, top,
cross section and
view of the rear
facade overlooked by
the offices; bottom,
the structure near
the auditorium.
Following pages, site
plan and plans of the
seven levels above
ground and
basement holding a
car park for 260
vehicles.
T
he architecture designed by the Austrian firm,
Coop Himmelb(l)au, which has been working
internationally for about 30 years, is emblematic
of research aimed at breaking the bounds of structural
statics. The two founders, Wolf D. Prix and Helmut
Swiczinsky, promote a kind of architecture “that bleeds,
that exhausts, that whirls and even breaks.”
The name of the firm itself, Sky (Himmel) blue (blau),
designates architecture which is fluid, contrasted, in
motion, shimmering, airy and as free “as the clouds.”
Moreover, the (l) is connected with the word building,
Bau, in German, so the name can also be interpreted as
“Heavenly Building”, meaning it is free from stylistic
constraints and envisaged fluidly and dynamically like
the flow of the clouds. A vision which, only thanks to
modern technology, can actually be turned into reality,
as is clearly demonstrated by this apartment and office
building in Vienna. Behind it lies a competition organized by the city council to redevelop an area of approximately 22,000 square meters previously taken up by a
children’s hospital, which closed down in 1998.
Coop Himmelb(l)au’s project, which won the competition, realigns Schlachthausgasse street while protecting
the greenery and tall-trunked trees across the entire lot
along Kleingasse street. The architectural designers
worked on a conventional block-style layout, breaking
down the 130-meter block’s horizontality by means of
some striking features, which exaggerated the structural
arrangements at the end of the building and the auditorium structure at the rear. Sculptural and cumbersome,
the gable’s trilith frame, a double trapezoid and
inclined, narrows from road level toward the center of
the internal facade before opening up again with a bigger overhang and even more dynamism. Framed by the
majestic structure of fronts of the 82 apartments, the
rhythm is set by the staggered apertures of the windows and terrace structures.
This striking architecture is reinforced by the constant
rhythm of the elevation along Schlachthausgasse, further enhanced by six stairwells, whose massive presence
exalts the perspective enfilade.
The services structure, gently setback as if to indicate the
transition through to the lot at the rear, lies between this
front and the end of the block. Here another sculptural
form emerges, enlivened by a suspended protuberance
which marks the auditorium and frees up plenty of space
for the hall, guaranteeing its link with the main entrance
along Schlachthausgasse. Here again it is the trapezoidal
form which dictates the rules of the composition, two
opposing and converging prisms allowing the one overhanging to open up through a wide glass window to cast
light and multiple perspective points into the communal
and connection spaces. The bright red marking the structure, and the more discrete red of the main stairway,
stand out on the regular facade of the office spaces,
approximately 12,000 square meters set over seven floors.
41
42
Level +/- 0.00
Level +3.80
Level +7.00
Level +10.20
43
Level +13.40
Level +16.60
Level +19.80
Level +23.00
Tra acqua e struttura
Between Water and Structure
Oslo, Teatro dell’Opera
Oslo, Opera House
Progetto di Snøhetta
Project by Snøhetta
A
ffacciato sul fiordo della penisola Bjørvika, il
nuovo Teatro dell’Opera di Oslo inaugurato nell’aprile 2008, è un’opera monumentale che
nasce da una logica di progetto profondamente ancorata alla natura e alla dimensione del paesaggio.
La proposta dello studio norvegese Snøhetta, vincitrice
nel 2002 di un concorso internazionale promosso dal
Ministero degli Affari Culturali ed Ecclesiastici, traduce
l’esigenza di un edificio rappresentativo ed emblematico di una zona in divenire. Linea guida di sviluppo è
l’estensione in orizzontale da cui si genera il disegno di
superfici ascendenti che dal mare si proiettano verso la
terra ferma.
Una scelta profondamente ancorata alle dinamiche del
sito naturale che divengono parte dell’organismo architettonico, ne plasmano lo sviluppo e danno origine a
un nuovo paesaggio fatto di piani inclinati, quinte trasparenti, percorsi panoramici, spazi pubblici fruibili liberamente e informalmente, a contatto con la natura e
proiettati sulla baia e sulla città.
L’edificio, sede della Compagnia d’Opera e Balletto
norvegese, è individuato da una grande piastra pubblica in marmo bianco che partendo dalle rive del fiordo
si solleva da terra con un’inclinazione controllata per
trasformarsi in copertura. Il sollevamento della piastra,
del “tappeto” come lo definiscono i progettisti, è
tagliato da una quinta verticale vetrata che si inserisce
44
Vista aerea e, pagina
a fianco, particolare
della quinta vetrata.
Aerial view and,
opposite page,
detail of the glazed
curtain front.
perfettamente nella dinamica di piani inclinati aprendo
ampie panoramiche e amplificando la continuità tra lo
spazio pubblico del foyer e quello della spianata in
marmo.
La marcata mineralità della dimensione esterna viene
ribaltata negli ambienti interni dove si respira un’atmosfera calda e accogliente. Si ritrovano qui altri due elementi fondamentali dell’insieme, il “muro onda” e la
“fabbrica”, che con il “tappeto” formano la base concettuale da cui si è generato l’edificio. Come all’esterno, anche per gli interni è il linguaggio dei materiali
che declina ed enfatizza la forza espressiva e la monumentalità dell’insieme.
Il “muro onda” è una sorta di facciata interna del foyer
che rappresenta la materializzazione della soglia, dove
il mare si congiunge con la terra e l’arte con la vita
quotidiana. Realizzata con un legno di quercia bianca
americana, questa parete ritmata da un movimento
ondivago, ammorbidisce lo spazio pubblico del foyer
dove sono organizzati i due grandi auditori, di 1.400 e
400 posti, rivestiti internamente in rovere scuro e dall’acustica perfetta.
Gi spazi dell’amministrazione e i laboratori sono infine
riuniti nel terzo elemento forte del progetto, la “fabbrica”, un corpo metallico di quattro piani collocato sul
lato orientale e concepito secondo criteri di massima
funzionalità e flessibilità degli spazi.
RITORNO AI FONDAMENTALI BACK TO BASICS
45
A sinistra, particolare
della parete vetrata
e, in basso,
i volumi in metallo
della “fabbrica”.
Pagina a fianco,
il suggestivo
paesaggio generato
dal succedersi dei
piani inclinati che
sembra si sviluppino
naturalmente dalle
acque del fiordo.
46
O
verlooking the fjord on Bjørvika peninsula, the
new Oslo Opera House, which opened in April
2008, is a monumental work designed in very
close relation to nature and the landscape.
The project designed by the Norwegian firm Snøhetta,
which won an international competition organized by
the Ministry of Culture and Church Affairs in 2002, renders the need for an emblematic and representative
building in a developing area. The guideline behind the
design was horizontal extension, resulting in the creation of ascending surfaces projecting up from the sea
toward the mainland.
An approach closely tied to the dynamics of the natural
site, which becomes an integral part of the architectural
organism, shaping its development and creating a new
landscape made of sloping planes, transparent curtains,
panoramic pathways and public spaces open for free
and easy usage in contact with nature and projected
toward the bay and city.
The building, which houses the Norwegian National
Opera and Ballet, features a large public platform made
of white marble, which starts from the banks of the
fjord and rises up from the ground at a carefully controled angle until it turns into a roof. The raising of the
platform, the “carpet” as the designers call it, is cut
Left, detail of the
glass wall and,
bottom, the metal
structures of the
“factory”.
Opposite page,
the striking
builtscape created by
the sequence of
sloping planes, which
seem to naturally
develop out of the
fjord’s waters.
through by a vertical glass curtain, which fits in perfectly
with the dynamics of sloping planes, opening up wide
panoramic views and extending the continuity between
the foyer’s public space and the marbled zone.
The distinctive mineral feel of the exteriors turns to a
feeling of warmth and comfort in the interiors. Here we
find two key features of the overall construction, the
“wave wall” and the “factory”, which with the “carpet”
form the conceptual basis underpinning the building.
As on the outside, it is again the vocabulary of materials
used in the interiors, which dictates and emphasizes the
stylistic force and monumentality of the overall design.
The “wave wall” is a sort of internal facade in the foyer,
which is a sort of materialization of the threshold,
where the sea meets the land and art meets everyday
life. Made of white American oak, this wave-patterned
wall softens down the foyer space where the two large
auditoriums are located with seating room for 1400 and
400, clad on the inside in dark oak and with perfect
acoustics.
Finally, the administration spaces and workshops are
combined into the project’s third powerful feature, the
“factory”, a four-story metal section set over on the east
side and designed along the lines of maximum spatial
functionality and flexibility.
47
48
A sinistra, dal basso,
piano interrato, piano
terra e primo piano.
A destra dall’alto,
particolari della sala
prova per l’orchestra,
del laboratorio di
pittura e della sala 2.
Left, from bottom,
underground floor,
ground floor and first
floor. Right from top,
details of the orchestra
rehearsal room, the
painting workshop,
and stage 2.
A sinistra, dal basso,
piante del secondo e
terzo piano e sezione
longitudinale del
complesso.
A destra, dall’alto,
vista dell’auditorium
principale e alcuni
momenti del galà di
inaugurazione.
Left, from bottom,
plans of the second
and third floors and
longitudinal section
of the complex.
Right, from top, view
of the main
auditorium, and
excerpts from the
official opening gala.
49
Particolare
dell’auditorium
principale e, in basso,
la parete
fonoassorbente della
sala 2.
Pagina a fianco,
particolare del muro
onda.
50
Detail of the main
auditorium
and, bottom,
the stage 2’s
soundproof wall.
Opposite page,
detail of the wave
wall.
51
Diamante di cemento
A Concrete Diamond
Wageningen, Dipartimento universitario di scienze ambientali
Wageningen, University Department of Environmental Sciences
Progetto di Rafael Viñoly Architects
Project by Rafael Viñoly Architects
52
C
ome avviene spesso nei grandi progettisti, le
costrizioni e i vincoli imposti dalla committenza
si trasformano in stimoli e divengono materia
per affrontare nuove sfide, sperimentare nuovi linguaggi, creare soluzioni di straordinaria innovazione e maestria tecnica.
Rafael Viñoly (1944), architetto uruguaiano da trent’anni naturalizzato statunitense e a capo dello studio Rafael
Viñoly Architects, ci offre un esempio emblematico con
l’Atlas Building, realizzato nel giugno del 2007 presso
l’Università di Wageningen in Olanda.
L’edificio sorge all’interno del Centrum de Born, il nuovo campus dove sono state accorpate tutte le attività
della Wageningen University, uno dei principali centri al
mondo per la formazione e la ricerca scientifica nei settori dell’ambiente, delle scienze alimentari, animali e
vegetali. La struttura progettata da Viñoly, una tra le più
avanzate piattaforme tecnologiche per la ricerca e lo sviluppo, sintetizza nella mineralità e plasticità di un volume monolitico le ambizioni del programma funzionale e
i condizionamenti di un piano urbanistico che richiedeva
un edificio compatto.
Il rigore della geometria cubica che definisce il corpo
dell’edificio si anima di una dimensione scultoria grazie
alla ingabbiatura di una struttura reticolare esterna in
cemento.
Sensibile e attento alle più moderne tecnologie, Viñoly
parte da una forma elementare per ribaltare il concetto
stesso di scheletro costruttivo e portare all’esterno la
struttura dell’edificio.
Il tessuto alveolare che dà grazia e carisma al nuovo
centro, non è infatti una semplice pelle che maschera e
RITORNO AI FONDAMENTALI BACK TO BASICS
impreziosisce una scatola in cemento, ma è esso stesso
struttura portante che sostiene l’edificio e garantisce la
flessibilità degli spazi interni. La plasticità del disegno
della griglia regolare diviene icona del campus sdoppiandosi in un gioco di riflessi nell’acqua del lago e dando luce e aria agli ambienti di studio e ricerca.
Esteso su una superficie di circa 10.000 metri quadrati
distribuiti su sei piani, l’Atlas Building è occupato per circa un terzo da laboratori di ricerca, e per la restante parte da uffici secondo un impianto planimetrico che, grazie alla struttura portante spostata all’esterno, risulta
libero da pilastri interni e suddivisibile, su un modulo
base di 1,8 metri, in funzione delle diverse esigenze.
L’atrio e l’ingresso principale, organizzati al primo piano
e accessibili attraverso una lunga rampa leggera, lasciano il piano terreno a disposizione dei laboratori che esi-
gono un’entrata diretta dal livello strada. L’ingresso, sul
lato nord, viene evidenziato da un’interruzione del disegno reticolare che si apre in corrispondenza dell’entrata
immettendo nell’atrio centrale, cuore formale e funzionale dell’intero organismo.
In questo ampio spazio illuminato naturalmente confluiscono in modo informale ricercatori e utilizzatori del
centro.
Attorno a esso si organizzano i laboratori, mentre il
sistema di passerelle aeree che lo attraversa offre percorsi verticali alternativi tra i diversi livelli e al tempo
stesso luoghi di scambio e di incontro. Al piano superiore sono riuniti gli uffici con vetrate a tutt’altezza proiettate sul campus e sugli edifici circostanti, e protette da
un sistema esterno di schermatura dal sole controllato
da ogni utente in modo manuale.
53
A
54
s is often the case with great architects, the
restrictions and constraints imposed by clients
turn into positive input and stimuli for taking on
new challenges, experimenting with new languages and
creating extraordinarily innovative solutions of great
technical mastery.
Rafael Viñoly (1944), a Uruguayan architect and naturalized US citizen for the last thirty years who is the head
of Rafael Viñoly Architects, provides a fine example with
his Atlas Building constructed in June 2007 on the campus of Wageningen University in the Netherlands.
The building is located inside the Centrum de Born, the
new campus where all the various activities of
Wageningen University have been grouped together,
one of the world’s leading centers for scientific training
and research in the fields of the environment and
food/animal/vegetable sciences.
The structure designed by Viñoly, one of the most
advanced technological platforms for research and
development, embodies the functional program and
constraints imposed by an urban blueprint calling for a
compact building in the mineral and sculptural features
of its monolithic structure.
The rigor of cubic geometry characterizing the main
body of the building is injected with sculptural life
through the cage-style effect of an external reticular
structure made of concrete. With a keen eye for the latest technology, Viñoly works from a simple form to turn
the concept of a construction skeleton on its head and
take the building structure outside.
The honeycomb-shaped weave, which instills the new
center with grace and charisma, is not just a simple skin
masking and embellishing a concrete box, it is actually
the bearing structure itself, which holds up the building
and ensures the interiors are flexible. The sculptural
nature of the design of the regular grid becomes the
icon of the campus, dividing itself up in an interplay of
reflections in the water of the lake and bringing light
and air into the study and research premises.
About one third of the Atlas Building, which covers an
area of approximately 10,000 square meters over six levels, is taken up by research laboratories and the rest by
offices based on a layout, which, thanks to the bearing
structure shifted to the outside, is free from internal
columns and can be divided up according to a base
module of 1.8 m, in order to cater for various requirements. The lobby and main entrance, located on the first
floor and accessible along a lengthy light ramp, leave
the ground floor free for laboratories, which require a
direct entrance at road level.
The entrance on the north side is emphasized by an
interruption in the reticular design, which opens up by
the entrance to provide access to the central lobby, the
formal and functional heart of the entire organism.
Researchers and other people using the center flow
informally into this naturally lit and spacious area. The
laboratories are set around it, while the system of overhead walkways running across it provides alternative
vertical pathways between the various levels and, at the
same time, introduces meeting and socializing places.
The offices are grouped together on the top floor with
full-height glass windows overlooking the campus and
surrounding buildings, sheltered by an outside system of
sunscreens controled manually by each individual user.
Pagine precedenti,
particolare della
griglia in cemento
che individua il
volume dell’Atlas
Building.
In queste pagine,
planimetria generale,
la passerella che
collega il nuovo
centro di ricerca con
gli edifici universitari
esistenti e particolare
ravvicinato della
griglia in cemento
portante e della
scatola vetrata.
Lo spazio tra i due
involucri è utilizzato
come semplice vano
tecnico per la
manutenzione della
facciata.
Previous pages, detail
of the concrete
latticework marking
the structure of the
Atlas Building.
These pages, site
plan, the walkway
connecting the new
research center to
the old university
buildings, and
close-up detail of the
grille in load-bearing
concrete and the
glass box. The space
between the two
shells is used as a
simple technical shaft
for carrying out
maintenance work
on the facade.
55
56
Sezione del volume
cubico e, in basso,
pianta di un piano
tipo. Il layout interno,
basato su moduli di
1,8 metri, consente
un’ampia flessibilità
nella distribuzione
funzionale degli spazi.
Pagina a fianco,
particolare dello
sviluppo in alzato
della griglia e del
gioco d’ombre creato
sulla superficie del
volume vetrato e,
in basso, particolare
costruttivo del sistema
di rivestimento di
facciata.
Section of the
cube-shaped structure
and, bottom, plan of
a standard floor.
The interior layout,
based on 1.8-meter
modules, allows
plenty of flexibility in
the functional layout
of spaces.
Opposite page, detail
of the development of
the grille in the
elevation and
interplay of shadows
on the surface of the
glass structure and,
bottom, construction
detail of the facade’s
cladding system.
57
58
In questa pagina,
dall’alto, particolare
dell’ingresso, la sala
riunioni e l’area
laboratori.
A destra e nella
pagina a fianco, le
passerelle che
attraversano l’edificio.
This page, from top,
detail of the main
entrance, the meeting
room and laboratory
spaces.
Right and opposite
page, the crisscrossing
ramps.
59
Semplice complessità
Simple Complexity
Hofdastrond, residenza Hof
Hofdastrond, Hof Residence
Progetto di Studio Granda
Project by Studio Granda
60
P
er apprezzare a fondo il senso e la natura del
complesso residenziale Hof, a 100 km dal
Circolo Polare Artico nella lontana terra
d’Islanda, è necessario leggerlo nella complessità della
sua storia in cui confluiscono culture e sensibilità
diverse. Due committenti provenienti dal milieu creativo, l’artista Lilja Pálmadóttir e l’attore regista
Baltasar Kormákur Baltasarsson, e una équipe di giovani e coraggiosi progettisti, gli islandesi dello Studio
Granda, che si sono calati nel luogo cogliendone il
potenziale di suggestioni e assolutezza in completa
sintonia con lo spirito e le esigenze dei clienti per realizzare la loro casa di campagna.
Siamo nel verde fiordo Skakafjördur, rive coperte da un
ampio manto erboso e profili montagnosi percorsi da
lunghe valli protese verso l’isola rocciosa di Drangey.
Lungo il fiume, un gruppo di edifici esistenti, una casa,
una chiesa, un fienile e una stalla; in posizione più arretrata verso l’interno due stalle di più recente costruzione. Il progetto coinvolge la risistemazione dell’esistente
e una nuova residenza leggermente spostata rispetto
all’insediamento originario e situata in un terreno rialzato che domina il mare. L’elemento naturale, il rapporto con il sito, la dimensione panoramica e la tensione poetica che da essi sprigiona sono gli elementi da
cui si è generato l’intero intervento, a livello sia di articolazione dei volumi, sia di scelte di materiali e tecnologie costruttive. Il linguaggio, semplice, lineare, quasi
RITORNO AI FONDAMENTALI BACK TO BASICS
scarno, privo di aggettivazioni formali dell’architettura,
è un omaggio a questa terra di cui rispetta i ritmi, le
luci, gli spazi e i colori.
In posizione rialzata, la casa è individuata esternamente
da facciate squadrate in calcestruzzo che variano di
aspetto e tonalità cromatiche a seconda del tempo e
del clima. Le coperture sono rivestite di un tappeto
erboso realizzato reimpiantando l’erba tolta dal prato,
mentre i leggeri sbalzi di quota delle terrazze e dell’ingresso dell’edificio sono stati collegati al suolo con terrapieni di torba e pietra ricavati falciando e smuovendo
i campi intorno. In fase di cantiere, sono stati scavati
durante la preparazione delle fondamenta dei pilastri
esagonali in basalto utilizzati poi per rivestire le superfi-
ci esterne. La semplicità e la discrezione dell’immagine
dell’impianto volumetrico la si ritrova all’interno, dove
ogni ambiente vive grazie all’orientamento pensato per
catturare in ogni punto il panorama esterno. Pavimenti
lastricati in basalto nella zona giorno e negli spazi di
circolazione, muri in cemento grezzo o dipinto, soffitti,
porte e carpenteria in legno trattato a olio con inserti
in acciaio. Un tocco di raffinatezza è concesso ai soli
spazi della cucina e del bagno dove compare il marmo,
quasi a richiamare la tradizione di ambienti domestici a
latitudini più “vivibili”. Un sistema secondario di lucernari e altre aperture sul tetto potenzia il grado di luce
naturale negli interni integrando le ampie viste panoramiche e amplificando il rapporto con il paesaggio.
61
Vista del prospetto
est della residenza
Hof. Il complesso è
realizzato con
tecnologie e materiali
– legno, cemento,
pietra e manto
erboso sulle
coperture – che
rispettano
l’inserimento
ambientale.
View of the east
elevation of the Hof
residence.
The complex is built
using technology and
materials—wood,
concrete, stone and
grass roofs—which
blend in with the
environment.
62
I
n order to fully understand the meaning and nature
of the Hof residential complex, 100 km from the
Arctic Circle in the distant land of Iceland, it needs to
be interpreted in the full complexity of its history, which
combines different cultures and sensibilities. Two clients
from a creative milieu, the artist Lilja Pálmadóttir and
actor-director Baltasar Kormákur Baltasarsson, working
with a team of young and courageous designers from
the Icelandic team Studio Granda, really delved into the
setting, grasping its full evocative potential in complete
harmony with the clients’ spirit and demands to create
their house in the country.
We are actually in the green fjord of Skakafjördur,
whose banks are covered in a grassy surface lined by
mountains with long valleys running through them
out toward the rocky island of Drangey. Along the river there is a group of old buildings, a house, church,
barn and a stable; set further back inland there are
two more recently constructed stables. The project
involves redeveloping what is already there and creating a new residence slightly setback in relation to the
original settlement and located on raised ground overlooking the sea. Nature, interaction with the site,
panoramic views, and the poetic tension they give off,
provide the inspiration for the entire project, both in
terms of the structural layout and choice of building
materials and technology. The simple, linear, almost
terse language, with no striking architectural features,
is a tribute to this land, respecting its rhythms, light,
spaces and colors.
Set in a raised position, the house has square concrete
facades on the outside, which change in color tone
and appearance depending on the weather and time
of day. The roofs are covered with a grassy surface
created by replanting grass from the lawn, while the
slight shifts in height of the terraces and building
entrance are connected to the ground by turf and
stone embankments created by scything them out of
the surrounding fields and moving them to the site.
During building work, hexagonal columns of basalt
were cut out for preparing the foundations and then
used for cladding the outside surfaces. The simplicity
and unobtrusiveness of the overall structural image reemerges on the inside, where each room is carefully
positioned to capture outside views from every point.
There are paved basalt floors in the lounge areas and
circulation spaces, raw or painted concrete walls, ceilings, floors and wooden frames treated with oil and
inset with steel. A touch of elegance is confined to the
kitchen and bathroom spaces, where marble appears
almost as an allusion to traditional home environments in more “livable” latitudes. A secondary system
of skylights and other apertures in the roof enhances
the amount of natural light in the interiors, integrating
spacious panoramic views and extending relations
with the countryside.
63
Vista del prospetto
ovest.
View of the west
elevation.
Pianta del piano
terra.
In basso, vista della
scala elicoidale e
particolare
dell’angolo esterno
dell’ala contenente il
soggiorno.
Ground floor plan.
Bottom, view of the
spiral staircase and
detail of the external
corner of the wing
holding the lounge.
64
Planimetria generale e, a destra,
sezioni a, b, d, e.
In basso, corridoio della zona notte e
zona pranzo/cucina.
Site plan and, right, a, b, d and e sections.
Bottom, the corridor of the sleeping quarters
and the dining area/kitchen.
65
Miraggi verticali
Vertical Mirages
Rho Pero Milano, Hotel NH Fiera
Rho Pero Milan, NH Fiera Hotel
Progetto di DPA Dominique Perrault Architecture
Project by DPA Dominique Perrault Architecture
66
Schizzo di progetto
e, pagina a fianco,
vista generale dei
due monoliti dell’NH
Fiera. Alte 60 metri e
inclinate di 5°, le due
torri sono collegate
da un elemento a
crociera in metallo
perforato, mentre un
percorso
pavimentato protetto
da una pensilina
trasparente in vetro
serigrafato collega gli
hotel al centro
congressi.
Project sketch and,
opposite page,
overall view of the
two monolithic
blocks of the NH
Fiera. 60 m tall and
inclined at an angle
of 5 degrees, the
two towers are
connected by a
perforated metal
cross-base, while a
paved pathway,
protected by a
transparent canopy
made of serigraphed
glass, connects the
hotels to the
conference center.
“D
ominique Perrault non impone un oggetto,
ma crea degli spazi; un’architettura che si
attraversa, che si può sperimentare”, è
questo uno dei tratti più originali e distintivi dell’opera
dell’architetto della Bibliothèque nationale de France di
Parigi, che Frédéric Migayrou, commissario della grande
esposizione organizzata nel 2008 dal Centre Pompidou,
ha sottolineato molto acutamente descrivendo la sua
opera. Quella di Perrault è infatti un’architettura che
parte da elementi semplici, volumi e forme geometriche
primarie, e quindi li lavora, gioca con i limiti imposti dalla scatola strutturale e la trasforma per metterla in relazione con il paesaggio, con il contesto che la accoglie.
Un percorso che lo ha portato ad approfondire la ricerca
sui materiali, sull’involucro, sulle possibilità aperte dalle
moderne tecnologie e sui sistemi di produzione e utilizzo della materia. “È possibile fare molto con poco, dell’architettura senza ornamento, e scomparire costruendo un edificio” afferma il progettista, e le sue architetture lo dimostrano, alcune in modo particolarmente
emblematico come le due torri della catena NH Hoteles,
costruite a Milano, nell’area della nuova Fiera Rho Pero.
Due parallelepipedi gemelli a pianta quadrata si innalzano solenni a sud del nuovo quartiere espositivo imprimendo al territorio della periferia milanese una nuova
dinamica. Una leggera inclinazione e lo sfalsamento sul
piano orizzontale “creano due edifici in movimento”
che si liberano con un gesto raffinato dal rigore ortogonale dell’impianto di base. Perrault ricorre a una forma
geometrica consolidata per proiettarla in un gioco di
nuovi equilibri e declinare un nuovo paesaggio architettonico. La scenografia viene esaltata da un rivestimento
nero lucente sui lati meno esposti al sole, che riflette la
luce, lo scorrere delle nubi, le mutazioni del cielo, rafforzando le suggestioni dei due monoliti che si rivelano
all’orizzonte con l’illusione di un “miraggio”.
Raffinatezze strutturali ed effetti materici inediti, spinti
dalla sperimentazione di nuovi materiali, coronano l’iter
tecnico-costruttivo dell’intervento. Una struttura in
cemento armato con un’anima centrale destinata ai collegamenti verticali, i locali tecnici e gli office di piano,
sostiene le due torri, alte rispettivamente 19 e 18 piani.
Le facciate ventilate, dalle elevate prestazioni termiche e
acustiche, sono declinate con materiali diversi a seconda
dell’orientamento. Quelle orientali e settentrionali sono
rivestite con 20 mila lastre in vetro gres di colore nero,
quelle più soleggiate, a mezzogiorno e occidente, in marmo bianco. Le aperture, di dimensioni variabili, sono intagliate nelle superfici con infissi in alluminio verniciato a
taglio termico e frangisole in alluminio lucido motorizzati.
Altro registro espressivo per l’atrio con pianta a crociera
che distribuisce sia gli accessi ai piani delle camere, sia i
percorsi verso gli spazi di ristorazione e i servizi. La marcata mineralità delle torri trova nella leggerezza e trasparenza di questo nodo di collegamento un prezioso
polmone di energia dove si concentra la carica emotiva
di una nuova dimensione dell’accoglienza. Tutto è calibrato sulle variazioni e i riflessi della luce naturale che
penetra attraverso un involucro in vetro e metallo perforato, color oro, giocando con le trasparenze. Una luce
sempre unidirezionale, garantita da un’avanzata soluzione tecnologica che adotta una parete a doppia pelle
costituita da un sandwich di due lastre di vetro, stratificato all’esterno e temperato all’interno, dove è inserita
una lastra piegata in alluminio di colore dorato. Alle prestazioni di efficienza termica e acustica si coniugano le
particolari proprietà ottiche che, come nella lucentezza
del rivestimento delle torri, confermano la straordinaria
sensibilità dell’architetto parigino nel trattare le sinergie
tra superfici diverse, qualità riflettenti e componenti
luminose dei materiali, per disegnare nuove poetiche del
territorio.
RITORNO AI FONDAMENTALI BACK TO BASICS
67
“D
ominique Perrault does not impose an
object, he creates spaces; architecture you
can pass through and experiment with”
sums up one of the most original and distinctive traits
of the architect who designed the French National
Library in Paris. The aforementioned quote is how
Frédéric Migayrou, the commissioner of the major exhibition held in 2008 at the Pompidou Center, most
acutely described his work. Perrault’s architecture actually starts from simple elements, structures and primary
geometric forms and then works with them, playing
with the limits imposed by the structural box and transforming it so that it relates with the landscape and setting in which it is accommodated. A process, which
has led him to deepen his research into materials,
shells, the possibilities opened up by modern technology, and systems for manufacturing and using materials.
“A lot can be done with very little, creating architecture
free from ornamentation and then vanishing as the
building is constructed,” the architectural designer himself states and his works prove so, some in a particularly emblematic way such as the two towers belonging
to the NH Hoteles chain in Milan on the site of the new
Rho Pero Trade Fair.
Two twin square-based parallelepipeds rise up solemnly
to the south of the new exhibition site, instilling fresh
dynamism into this area of the Milanese suburbs. A
slight inclination and a staggering of the horizontal
plane “create two buildings in motion,” which, with
extreme elegance, break free from the orthogonal rigor
of the base plan. Perrault resorts to a trusted geometric
form, which is projected into an interplay of new balances to shape a new architectural landscape. The scenario is exalted by the shiny black coating on the sides
least exposed to the sun, which reflects light, passing
clouds and any changes in the sky, enhancing the striking force of the two monoliths creating the illusion of a
“mirage” on the horizon. Elegant structural features cre-
68
Planimetria generale
dell’area a sud del
polo fieristico
milanese di Rho
Pero.
Site plan of the area
south of the Milan
Trade Fair in Rho
Pero.
ating surprising physical effects, driven along by experimentation with new materials, crown the project’s
technical-construction process. A reinforced concrete
structure, with a central core holding the vertical links,
utility rooms and offices, supports the two towers,
which are respectively 19 and 18 stories high. The ventilated facades with notable heat and sound insulation
properties are made of various different materials
according to their position. Those to the east and north
are clad with 20,000 black sheets of glass ceramic,
those to the south and west (absorbing most sunshine)
are made of white marble. The apertures, which vary in
size, have heat-cut painted aluminum inserts in their
surfaces and motorized shiny aluminum shutters.
The lobby is designed differently, with a cross-shaped
layout for setting out the entrances to the floors holding
the hotel rooms and the corridors running through to
the catering facilities and services. The distinctly mineral
nature of the towers draws a lungful of energy from the
lightness and transparency of the connection hub,
adding a fresh dimension of emotional force in the
name of hospitality and accommodation.
Everything is geared to variations in and reflections of
natural light, which flows in through the golden-colored
perforated metal and glass shell playing on transparencies. Light always flows in one direction thanks to a
cutting-edge technological solution using a doubleskinned wall formed by a sandwich of two sheets of
glass, stratified on the outside and reinforced on the
inside, with a golden-colored folded sheet of aluminum
between them.
Heat and sound insulation efficiency combines with
peculiar optical properties, which, as in the case of the
shiny cladding on the towers, confirm the Parisian architect’s extraordinary awareness of how to handle the
synergies between the different surfaces, reflective qualities and luminous aspects of materials to enhance stylishly the territory.
Prospetti est e sud e
sezione longitudinale
sulla crociera.
In basso, sezione
della torre di 19 piani
inclinata verso la
Fiera.
East and south
elevations and
longitudinal section
of the cross-base.
Bottom, section of
the 19-story tower
inclined toward the
Trade Fair.
69
Viste delle due torri
dal bacino artificiale
che le riflette
amplificandone la
proiezione in
verticale.
Pagina a fianco,
particolari del
rivestimento in gres
porcellanato con
70
superficie nera in
vetroceramica che
coniuga le qualità
specchianti con
elevate prestazioni
termo-acustiche,
totale impermeabilità,
e resistenza agli sbalzi
termici, agli agenti
esterni e alla flessione.
Views of the two
towers from the
man-made basin
mirroring and
extending their
vertical projection.
Opposite page, details
of the porcelain gres
cladding with black
glass ceramic
surfaces, which
combines reflective
qualities with high
heat-sound insulation
properties, total
impermeableness and
resistance to sudden
jumps in temperature,
external agents and
bending.
71
72
Particolari del gioco
di riflessi generati
dai due monoliti
lucenti.
Pagina a fianco,
particolari costruttivi
e sezione sulla
crociera che collega le
due torri.
Pagine seguenti,
vista della crociera,
gli spazi comuni
(reception, sala bar
e ristorante, zona
relax) e particolari
di una camera tipo.
Details of the
interplay of
reflections generated
by the two shiny
monoliths.
Opposite page,
construction details
and section of the
cross-base connecting
the two towers.
Following pages, view
of the cross-base,
the communal
spaces—reception,
bar, restaurant and
relaxation area—and
details of a standard
room.
73
74
75
Solo pelle e ossa
Nothing but Skin and Bone
Aix-en-Provence, Centro Nazionale di Coreografia
Aix-en-Provence, National Choreography Center
Progetto di Rudy Ricciotti
Project by Rudy Ricciotti
76
RITORNO AI FONDAMENTALI BACK TO BASICS
Particolari della struttura in cemento
a geometria variabile che ingabbia
il cubo vetrato.
Details of the geometrically variable
concrete structure, which frames
the glass cube.
77
I
78
l Pavillon Noir di Aix-en-Provence è un edificio che riflette
in modo particolarmente rappresentativo ed efficace la
personalità e la forza progettuale del suo autore. Figura
di spicco nel panorama dell’architettura francese ed europea, Grand Prix National d’Architecture 2006, Rudy
Ricciotti è un personaggio che non lascia indifferenti, sia
per la carica emotiva e turbolenta del suo temperamento,
spesso in polemica con la banalizzazione di stili e tendenze
comunemente diffuse, sia per lo straordinario potenziale
poetico che emana da ogni sua opera. Di formazione ingegnere e poi architetto, Ricciotti rivendica l’amore per la forma, per la struttura, per i materiali “portatori di un’evidenza architettonica”.
Il Pavillon Noir, pensato e progettato per ospitare il Centro
Nazionale di Coreografia (CCN) della regione ProvenceAlpes-Côte d’Azur (PACA), concilia in un intervento carismatico e provocatorio i valori di contemporaneità, sperimentazione e sfida alle tradizioni consolidate.
Il registro linguistico privilegia una grammatica cruda, senza sentimentalismi; l’edificio si afferma per l’esasperazione
della struttura e l’essenzialità della materia ridotta ai soli
cemento e vetro. Costruito in prossimità del centro di Aixen-Provence, in una zona di nuova pianificazione disegnata dallo studio catalano MBM Arquitectes, il CCN prende
le distanze dal contesto, “tenta di esistere in un principio di
solitudine esasperata” spiega Ricciotti che, in posizione critica rispetto al progetto urbanistico, interviene in un’area
costretta tra spazi urbani “enormi e sovradimensionati”.
Sul principio di questo “autismo” – sono ancora le sue
parole – nasce l’idea di un edificio “nervoso come lo sono i
ballerini”. La stretta collaborazione e le sinergie di pensiero
con il coreografo Angelin Preljocaj, direttore artistico del
CCN, hanno alimentato un’architettura ridotta alle sue
componenti fondamentali, una struttura “pelle e ossa”
animata solo dall’attività dei ballerini e dalla rappresentazione del corpo e dello spettacolo quotidiano durante le
prove.
Coraggioso e provocatorio il concetto strutturale, che
dichiara il sistema portante all’esterno elevandolo a icona
del progetto. Un volume cubico di 18x36 metri di base viene fasciato da un intreccio di nastri in cemento lasciato
grezzo, che ingabbiano un’anima vetrata dove sono contenute le quattro sale per le prove e quella per gli spettacoli,
oltre agli ambienti comuni e i locali di servizio.
L’ingegneria della maglia strutturale è dettata dai condizionamenti dovuti ai forti vincoli urbanistici e alla natura del
sito – dalla sua origine sismica alla presenza di una falda
freatica che può interferire con la sala degli spettacoli nel
sottosuolo, fino allo sferragliare della vicina ferrovia – a cui
si aggiunge l’esigenza di ambienti privi di vibrazioni necessari all’attività dei ballerini.
Il senso di questa ricercata soluzione strutturale è ancor più
evidente una volta penetrati nell’edificio dove si aprono
ampi spazi completamente liberi da partizioni e pilastri di
sostegno. La proiezione sull’esterno è amplificata dalle
ampie superfici vetrate che accompagnano il succedersi dei
piani dove sono organizzate le sale di prova. Lo spettacolo
dei corpi in esercizio si offre alla vista dei passanti facendo
vivere di una nuova dinamica il rigore e la radicalità dell’espressione architettonica. Un elogio alla materia, allo sforzo insito nella struttura, ma anche all’energia, all’impegno,
alla fatica che qualificano l’attività umana e di cui questa
architettura si fa portatrice, sfidando il rischio di un’espressione cruda e brutale per elevarsi oltre l’inconsistenza di
effimere estetizzazioni dell’immagine.
T
he Pavillon Noir in Aix-en-Provence is a particularly
emblematic and effective embodiment of the personality and design expertise of its creator. A leading
figure on both the French and European architecture
scene and winner of the 2006 Grand Prix National
d’Architecture, Rudy Ricciotti is a character who never
goes unnoticed either for his turbulent, emotive personality, often criticizing the blandness of widespread styles and
tendencies, or for the incredible poetic potential emanating from all of his work. With a background in engineering
and then architecture, Ricciotti has a genuine love for
form, structure and materials “carrying with them architectural force.”
The Pavillon Noir, devised and designed to accommodate
the National Choreography Center (CCN) for the ProvenceAlpes-Côte d’Azur region (PACA), brings together the values of the contemporary scene, experimentation and a
challenge to well-established traditions in one charismatic
and provocative work.
The stylistic design works around a rather crude vocabulary
with no signs of sentimentalism; the building stands out
for its exasperated structure and the simplicity of the material, which is confined to just two types, concrete and
glass. Built close to the center of Aix-en-Provence in a
recently developed area whose master plan was designed
by the Catalonian firm MBM Arquitectes, the CCN distances itself from its setting “attempting to be in a state of
exasperated solitude,” according to Ricciotti, who, adopting a critical stance to urban design, has worked in a confined area amidst “huge and oversized” urban spaces.
Drawing on this “autism,” to quote him again, we have
the idea of a building “as nervous as the dancers.” A close
working relationship and converging lines of thinking with
the choreographer Angelin Preljocaj, the artistic director of
CCN, have inspired a work of architecture reduced to its
barest components, a structure which is nothing but “skin
and bone” enlivened only by the dancers and the representation of the body during the daily spectacle of
rehearsals.
The structural concept is brave and thought-provoking,
placing the bearing system on the outside and raising it to
the status of a design icon. A cubic volume with a base
measuring 18x36 meters is enveloped in a web of concrete strips left rough, which encompass a glass core holding the four rehearsal rooms and the stage area, as well as
the communal facilities and utility rooms.
The engineering of the structural web is dictated by constraints due to town-planning restrictions and the nature
of the site—ranging from its seismic origin to the presence
of a water table which could interfere with the stage area
in the underground, and also the clatter from the nearby
railway—plus the need for premises with no vibrations to
allow the dancers to perform properly.
The sense of this elaborate structural design is even more
obvious once inside the building, where wide spaces open
up completely free from partitions and support columns.
The projection toward the outside is amplified by the wide
glass surfaces throughout the various floors holding the
rehearsal rooms. The spectacular sight of exercising bodies
can be seen by passers-by, allowing the rigor and radicalness of the architectural design to experience a new kind
of dynamics. A tribute to matter, the intrinsic force of the
structure and also the energy, commitment and hard work
characterizing human activity, this work of architecture
manages to defy the danger of being a crude and brutal
design, raising itself above the inconsistency of the transient aesthetics of image.
A sinistra, dal basso,
piante del primo,
secondo e terzo
piano e sezione
longitudinale.
Sotto, a destra,
sezioni trasversali.
Left, from bottom,
plans of the first,
second and third
floors and
longitudinal section.
Bottom, right, cross
sections.
79
80
Viste del Pavillon
Noir, particolari
dell’ingabbiatura in
cemento e una sala
prove.
Views of the
Pavillon Noir,
details of the
concrete cage, and a
rehearsal room.
81
Scolpiti nella materia
Sculpted in Matter
Città del Messico, Complesso residenziale Haus Santa Fe
Mexico City, Haus Santa Fe Residential Complex
Progetto di De Yturbe Arquitectos
Project by De Yturbe Arquitectos
82
Particolari del
rivestimento di
facciata della Haus
Santa Fe.
Details of the facade
coating of Haus
Santa Fe.
C
ostruito in una zona particolarmente densa e
abitata di Città del Messico, la torre per residenze e uffici progettata da De Yturbe Arquitectos
rivisita il tema dell’edificio alto con lo spirito e le declinazioni stilistiche proprie della tradizione messicana
moderna.
José De Yturbe Bernal, capostipite del gruppo di progettazione con sede a Mexico City, ripropone in modo
originale una linea di percorso di stampo minimalista
supportata dalla maestria nel disporre le superfici, articolare rapporti di forze equilibrati e sperimentare usi
insoliti dei materiali. L’essenzialità e l’immediatezza di
geometrie e volumi evolve però in una dimensione
amplificata dalla passione per la luce e i colori dove si
leggono, in una proiezione contemporanea, riferimenti
filtrati dalla scuola di Luis Barragán.
In questo edificio di trenta piani, per un’altezza di 105
metri, vengono riunite diverse funzioni: appartamenti e
suite di lusso, una palestra, aree commerciali, servizi,
oltre a 400 metri quadrati di uffici e un parcheggio sotterraneo.
La soluzione architettonica parte da un volume prismatico a pianta quadrata e lo lavora nella massa e nella
materia, frazionandolo in due corpi principali separati
da una “falda” centrale che libera un angolo della
base per ricavare un patio alberato.
La Haus Santa Fe completa una cortina di costruzioni
alte, imprimendo una nuova immagine a un contesto
urbanizzato senza particolari attrattive e piuttosto ano-
nimo e banale. Lo studio De Yturbe reinterpreta in
chiave contemporanea la cultura architettonica messicana giocando sulla texture dell’involucro e sui cromatismi dei materiali per sottolineare l’articolazione dei
volumi, esaltare i giochi di luce e di ombre e dare maggior enfasi ai tagli prospettici.
I due blocchi laterali, allineati su strada, sono rivestiti
con pannelli in cristallo temperato di colore bianco,
combinati con pannelli trasparenti protetti da una pellicola riflettente che mitiga gli effetti di un eccessivo
irraggiamento.
In contrappunto alla solarità di questa pelle scolpita nel
profilo della città l’arretramento della faglia centrale,
tagliata all’interno del lotto.
Con un gesto coraggioso e deciso, i progettisti ricorrono
a un rosso vivace per annunciare il cambiamento di registro formale. La monoliticità dell’edificio si anima della
dinamica dell’apertura centrale che trova un’altra dimensione espressiva rivelando nuovi tagli prospettici e nuove
verticalità. All’interno si incontra il patio luminoso che
distribuisce l’ingresso ai due corpi laterali e ne distingue
la separazione funzionale. Appartamenti e suite possono
godere di un affaccio protetto dal traffico della città,
beneficiando del riparo delle fronde degli alberi e degli
effetti rinfrescanti di un bacino artificiale.
Un’attenzione al recupero energetico ha guidato la scelta della pavimentazione del patio, realizzato in un materiale completamente impermeabile alla pioggia, che può
essere così convogliata in cisterne e totalmente riciclata.
RITORNO AI FONDAMENTALI BACK TO BASICS
83
In basso, la cortina
di alti edifici in cui
si iscrive la Haus
Santa Fe imprimendo
un vivace tocco
cromatico al denso
contesto urbano.
Pagina a fianco,
particolare della
“falda” che divide i
due blocchi.
84
Bottom, the curtain
of tall buildings in
which Haus Santa Fe
is set, adding a
brightly colored
touch to the dense
cityscape.
Opposite page,
detail of the “fault”
separating the two
blocks.
B
uilt in a particularly densely populated area of
Mexico City, the housing and office block
designed by De Yturbe Arquitectos is a reworking of the theme of tall buildings in the stylistic spirit
and traditions of modern Mexico.
José De Yturbe Bernal, head of the design team based in
Mexico City, has come up with a very original minimalism
style approach, backed up by a masterful arrangement of
surfaces, carefully balancing of forces and experimental
use of materials. The simplicity and immediacy of the geometric relations and structures is enhanced by a passion for
light and colors, whose inspiration lies in a modern-day
reading of the Luis Barragán school of thought.
This 30-story building rising up to a height of 105 m
combines various functions, luxury suites and apartments, a gym, retail areas, utilities, 400 square meters
of office space, and an underground car park.
The architectural design derives from a square-based
prismatic structure whose mass and material has been
carefully worked, dividing it into two main structures
separated by a central “fault”, which frees up a corner
of the base for accommodating a tree-lined patio.
Haus Santa Fe completes a curtain of tall buildings,
instilling a fresh image on a rather bland and faceless
urbanized setting with no really attractive features. De
Yturbe architects have come up with a modern-day ren-
dition of Mexican architecture playing on the texture of
the shell and colors of the materials to underline the
structural layout, exalt the interplay of light and shadow
and place greater emphasis on perspective cuts.
The two side blocks, aligned with the road, are clad
with white-colored reinforced glass panels combined
with transparent panels protected by a reflective film,
which mitigates the effects of excessive sunlight.
As a counterpoint to the solar nature of this skin
sculpted into the skyline, the central fault cut inside the
lot has been carefully set back.
With a brave and decisive gesture, the designers have
used bright red to announce the change in stylistic key.
The monolithic nature of the building is enlivened by
the dynamics of the central aperture, which finds fresh
expressivity by revealing new perspectives and new vertical forms. Inside, the brightly lit patio sets out the
entrance to the two side constructions and marks the
functional separation. The apartments and suites have
a front which is protected from city traffic, enjoying
the sheltering effect of the foliage of the trees and
refreshing effects of a man-made pool.
Attention to energy recycling guided the choice of
patio flooring, made of a material totally impermeable
to rain, which is conveyed into tanks and completely
recycled.
85
Dall’alto, sezione
della torre, e piante
del piano terreno
e di un piano tipo.
From top, section of
the tower and plan
of the ground floor
and a standard floor.
86
In questa pagina,
prospetto
dell’edificio.
Pagine seguenti,
particolari degli
appartamenti e il
patio alberato
interno al lotto.
This page, elevation
of the building.
Following pages,
detail of the
apartments and the
tree-lined patio
inside the lot.
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88
89
Scarica

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