Settori e mercato
TAX I CRITERI CHE POTREBBERO ISPIRARE LE NUOVE REGOLE
FISCO
UNA RIFORMA
efficiente familiare e, nel contempo, aumentando gradualmente
l’aliquota IRES fino al 33%) e in
relazione alle diverse tipologie di
reddito imponibile nonchè aree
impositive (secondo il criterio:
“dalle persone alle cose”).
La Legge delega 42/2009 attuativa di quella parte del DPEF del
2008 che guarda al federalismo
non contiene, però, le previsioni necessarie per quella revisione
dell’ordinamento tributario di cui
l’Italia avrebbe bisogno. Manca,
in particolare, la precisazione dei
principi e criteri direttivi su cui
fondare il nuovo sistema fiscale
tra i quali si possono annoverare,
non unici, quello dell’equità nella
ripartizione del carico tributario
sia tra categorie di contribuenti
che tra le differenti aree del Paese (che deve essere comunque
rispettosa dei principi costituzionali di capacità contributiva e di
progressività) unito a quello della
concessione del favor fiscale per
il sostenimento/incentivo degli
investimenti produttivi e di contemporaneo svantaggio per le rendite. E non bisogna dimenticare la
persuasione alla correttezza fiscale
con funzione evidentemente antievasiva.
Insomma: quasi un libro dei sogni.
Essendo, però, tutti “figli” de “Il
Principe” di Machiavelli e pervasi
IN CERCA D’AUTORE
La Legge delega 42/2009 non contiene le previsioni
necessarie per quella revisione dell’ordinamento
tributario di cui l’Italia avrebbe bisogno
“R
iforma fiscale”
è un mantra che
viene ossessivamente recitato.
Si tratta - con riferimento alla
fiscalità delle persone e delle famiglie - di quanto ancora sostanzialmente inattuato della riforma
Tremonti del 2003/2004. Uno dei
punti programmatici dell’attività
di Governo inserito nel DPEF fin
dal 2008, nonchè una necessità
oramai ineludibile di introduzione
di disposizioni di stimolo dell’economia. Ma si tratta, anche, di coordinare l’attuazione del federalismo
con un profondo ridisegno del sistema fiscale, senza dimenticare
che il federalismo costituisce solo
uno dei pilastri su cui si baserà il
futuro ordinamento tributario e
che realizzerà una rivoluzione copernicana nell’ambito dei rapporti
tra lo Stato e le sue articolazioni
territoriali, attuando così uno dei
criteri direttivi della legge delega
per l’attuazione del federalismo fiscale (articolo 2, secondo comma,
lettera t della Legge 42 del 2009)
che sancisce il principio dell’invarianza di gettito a parità di funzio-
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TOPLEGAL Aprile 2011
ni complessivamente esercitate dal
settore pubblico, anche se frazionate nelle sue diverse articolazioni
territoriali.
Prima di addentrarci nell’individuazione dei possibili principi e
criteri di una auspicabile riforma
fiscale, è necessario sgomberare il
campo da un incombente equivoco di fondo: l’invarianza di gettito.
Al concetto di invarianza di gettito
è attribuito il significato secondo
il quale la riforma non comporterà
un aumento delle imposte, ma – si
badi bene – il concetto d’invarianza sottende anche il fatto che esse
neanche caleranno.
Data la attuale situazione economico-finanziaria dell’Italia e
tenuto conto degli impegni del
nostro Paese con l’Unione Europea, una possibile riforma fiscale
non potrà avere quale obiettivo
quello della riduzione del carico
impositivo, ma piuttosto quello di
una rimodulazione del carico impositivo tra le differenti categorie
di contribuenti (come indicato nel
DPEF del 2008 laddove si prevede di porre al centro la famiglia
attraverso l’introduzione del co-
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DI PAOLO VIGNANDO*
Settori e mercato
di un sano pragmatismo, sappiamo per cultura ed esperienza che
in un gioco a somma zero, come
quello di una riforma fiscale ad
invarianza di gettito, c’è sempre
qualcuno che perde e qualcuno che guadagna. Consci di ciò,
possiamo provare ad individuare
principi e criteri direttivi ulteriori,
rispetto a quelli sopra elencati, per
cercare se non di realizzare tutti
i sogni, almeno di contemperarne alcuni provando a migliorare
la condizione del sistema fiscale
nella logica di uno scambio paretiano.
Andando oltre alle complessità applicative conseguenti dalla modulazione di un rinnovato sistema fiscale su più livelli territoriali – con
ovvie conseguenze di concorrenza
fiscale interna (potenzialmente devastanti se non regolate e controllate mediante un delicato gioco di
contrappesi istituzionali) tra le diverse autonomie locali – i principi
direttivi potrebbero essere: quello
della semplicità del sistema, da incardinare su pochi tributi, nonchè
su regimi fiscali minimamente
articolati (con conseguente “disboscamento” di deduzioni e detrazioni d’imposta che oggi rendono farraginosa
l’applicazione del tributo nonchè di abolizione o di profonda
riforma dell’odiosa IRAP che,
però, creerebbe una importante
mancanza di gettito che, ad oggi,
non ha ancora trovato soluzioni);
quello della certezza degli istituti
impositivi fondamentali, ora assai
carente (un caso per tutti: la disciplina dell’esenzione da imposizione delle plusvalenze ha subito
almeno 5 modifiche nei quattro
anni dal 2004 al 2008 creando
incertezza, senza riuscire ad evitare che essa sia applicabile anche
alle plusvalenze speculative) e
quello della stabilità degli effetti
delle norme fiscali messi in serio
pericolo dall’eccesso del ricorso
da parte dell’amministrazione finanziaria al principio dell’abuso
del diritto – recentemente stigmatizzato anche dalla Corte di
Cassazione (Sentenza n. 1372 del
2011) -; la perequazione del carico
impositivo tra differenti categorie
di contribuenti e di reddito; la celerità applicativa e accertativa, che
richiede importanti sforzi organizzativi anche dell’amministrazione finanziaria.
In tale am-
bito, le recenti disposizioni di
potenziamento dell’efficacia degli atti di accertamento e le modifiche al processo di riscossione
delle imposte vanno esattamente
nella direzione opposta, finendo
per rendere ancora più insopportabile il peso della variabile fiscale
anche perché non accompagnate
da adeguate misure di semplicazione procedurale e velocizzazione dell’esecuzione dei rimborsi
dovuti.
Non si tratta di qualcosa di facile,
nonostante ciò, c’è la necessità di
fare presto e bene. Anche perchè – come diceva Keynes –
nel lungo periodo saremo
tutti morti. TL
*L’autore è partner
dello studio Macchi Di Cellere
Gangemi
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