STAGIONE 2011/2012
Berliner Philharmoniker, Wiener Philharmoniker, Münchner Philharmoniker, Orchestra
dell’Accademia Nazionale di S.Cecilia, Bayerisches Rundfunkorchester, Philharmonia
Orchestra, Orchestre Philharmonique de Radio France, Kirov Orchestra e con le maggiori
orchestre del Nord America. Ha suonato con tre generazioni di direttori quali Kurt Masur,
Bernard Haitink, Esa-Pekka Salonen, Neeme Järvi, Pierre Boulez, Riccardo Chailly, Valery
Gergiev, Myung-Whun Chung, Vladimir Jurowski, Fabio Luisi e Andris Nelsons, YannickNézet-Séguin. Grande interprete della musica da camera, Hélène Grimaud si esibisce
regolarmente nei maggiori festival collaborando con artisti quali Thomas Quasthoff,
Rolando Villazón, Jan Vogler, Clemens Hagen e i fratelli Capuçon. Nel 2010 è stata Artiste
étoile al Festival di Lucerna.
Nel 2002 la pianista ha firmato un contratto esclusivo con la Deutsche Grammophon
per la quale ha inciso i Concerti per pianoforte nn. 19 e 23 di Mozart con l’Orchestra da
Camera della Radio Bavarese, i Concerti per pianoforte di Bach, il “Concerto Imperatore”
con la Staatskapelle Dresden e Vladimir Jurowski, Credo (con pagine di Beethoven e Arvo
Pärt) e un album con Sonate di Chopin e Rachmaninov. Nel 2010 è stata premiata con
l’Echo Klassik Award per il suo Dvd con il Secondo Concerto per pianoforte e orchestra di
Rachmaninov eseguito dall’Orchestra del Festival di Lucerna diretta da Claudio Abbado.
Nel 2002 Hélène Grimaud è stata insignita del titolo “Officier dans l’ordre des Arts et des
Lettres” dal Ministro della Cultura francese e nel 2008 del titolo “Chevalier dans l’Ordre
National du Merite”; nel 2009 ha ricevuto il Musikfest Bremen Award.
Hélène Grimaud è autrice di due libri, Variations Sauvages e Leçons Particulières, pubblicati
anche in Italia. La sua passione per i lupi ha spinto nel 1999 la pianista francese a fondare il
Wolf Conservation Center. Più recentemente ha dato il proprio nome e sostegno a molte
altre associazioni, tra cui Amnesty International, International Children’s Camp Villa Sans
Souci e il World Wide Fund for Nature.
Antonio Pappano è Direttore Musicale dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
dall’ottobre 2005 e dal 2002 è Music Director del Covent Garden di Londra. In passato è
stato Direttore Musicale della Norske Opera di Oslo ed al Théâtre Royal de la Monnaie
di Bruxelles.
Nato a Londra nel 1959 da genitori italiani, studia pianoforte, composizione e direzione
d’orchestra negli Stati Uniti. Fra le tappe più prestigiose della sua carriera sono da ricordare
i debutti alla Staatsoper di Vienna nel 1993, al Metropolitan di New York nel 1997 e al
Festival di Bayreuth nel 1999. Pappano ha diretto molte tra le maggiori orchestre del
mondo, tra cui New York Philharmonic, Berliner Philharmoniker, Concertgebouw di
Amsterdam, Bayerisches Rundfunkorchester, London Symphony ed è dal 1997 Direttore
Ospite Principale della Israel Philharmonic Orchestra. “Direttore dell’anno 2005” per
la Royal Philharmonic Society, è stato inoltre insignito del Premio “Abbiati” 2005 della
Critica per l’esecuzione dei Requiem di Brahms, Britten e Verdi realizzati con i Complessi
Artistici all’Accademia di Santa Cecilia, complessi che ha già guidato in tournèe in ogni paese
d’Europa, Russia, Giappone e Cina. Con Santa Cecilia Pappano ha effettuato numerose
incisioni discografiche. Tra queste ricordiamo le due dedicate a Čajkovskij (Ouvertures &
Fantasies e le ultime tre Sinfonie), Madama Butterfly di Puccini che ha vinto il Gramophone
Award e la Messa da Requiem di Verdi che ha ricevuto nel 2010 il BBC Music Magazine
Award, il Premio della Critica ai Classical Brits Awards ed il Gramophone Award.
L’ultimo riconoscimento, nel 2011, per lo Stabat Mater di Rossini, è il Gramophone Editors’
Choice Award. Tra le nuove incisioni, la Sesta Sinfonia di Mahler per la EMI, lo Stabat Mater
di Rossini; lo Stabat Mater di Pergolesi per la Deutsche Grammophon, Verismo Arias con
Jonas Kaufmann (per la Decca) e il Guillaume Tell di Rossini.
Antonio Pappano nel 2007 è stato nominato Accademico Effettivo di Santa Cecilia e nel
2008 è stato insignito dell’onorificenza di Commendatore dell’Ordine al Merito della
Repubblica Italiana.
L’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, fondata nel 1908,
è stata la prima in Italia a dedicarsi esclusivamente al repertorio sinfonico ed è stata diretta da
tutte le più importanti figure musicali del XX secolo: da Mahler, Strauss, Stravinskij, Toscanini,
Mengelberg, Furtwängler, De Sabata, Karajan, Solti sino a Carlos Kleiber, Claudio Abbado
e Riccardo Muti. Leonard Bernstein ne è stato Presidente Onorario dal 1983 al 1990; negli
stessi anni anche Carlo Maria Giulini, Lorin Maazel, Valery Gergiev, Georges Prêtre, Wolfgang
Sawallisch, Yuri Temirkanov e Christian Thielemann hanno regolarmente diretto l’Orchestra
di Santa Cecilia. Dopo una lunga collaborazione con Bernardino Molinari, i Direttori Musicali
dell’Orchestra sono stati Franco Ferrara, Fernando Previtali, Igor Markevitch, Thomas
Schippers, Giuseppe Sinopoli, Daniele Gatti e Myung-Whun Chung.
La prima sede dell’Orchestra è stato l’Augusteo, la leggendaria sala costruita sulle rovine
del Mausoleo d’Augusto. Dal 2002 l’Orchestra di Santa Cecilia si esibisce nella sala Santa
Cecilia del nuovo Auditorium Parco della Musica, progettato da Renzo Piano.
Grazie alla collaborazione con il Maestro Antonio Pappano, Direttore Musicale dal 2005,
il prestigio dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha avuto uno slancio
straordinario, ottenendo importanti riconoscimenti internazionali ed è stata ospite dei
maggiori festival: Proms di Londra, Festival delle Notti Bianche di San Pietroburgo, Festival
di Lucerna e delle più prestigiose sale da concerto, tra cui la Philharmonie di Berlino, il
Musikverein di Vienna, il Concertgebouw di Amsterdam, la Royal Albert Hall di Londra, la
Salle Pleyel di Parigi, la Scala di Milano, la Suntory Hall di Tokyo, la Semperoper di Dresda.
Lo scorso luglio l’Orchestra e il Coro di Santa Cecilia sono stati nuovamente ospiti dei Proms
di Londra eseguendo, in forma di concerto, il Guillaume Tell, mentre in agosto i complessi
ceciliani, sempre diretti da Pappano, si sono esibiti per la prima volta al Festival di Salisburgo.
Recentissima una serie di concerti in Giappone e in Cina.
L’attività discografica, dopo una lunga collaborazione con alcune delle più celebri etichette
internazionali che ha prodotto memorabili testimonianze ormai storiche, è stata in questi
ultimi anni molto intensa: recentemente sono state infatti pubblicate, sempre con la direzione
di Antonio Pappano, le ultime tre Sinfonie di Čajkovskij, un cd dedicato ai Poemi sinfonici
“romani” di Respighi, il Concerto per violoncello di Lalo (con Han-Na Chang), Madama Butterfly
di Puccini (con Angela Gheorghiu, incisione premiata con un Brit Award), il Requiem di Verdi
(Gramophone Award, BBC Music Magazine, Brit Classical), Stabat Mater di Rossini con Anna
Netrebko (appena premiato con il Gramophone Editors’ Choice Award), la Sinfonia n. 2
di Rachmaninov, il Guillaume Tell di Rossini e la Sesta Sinfonia di Mahler.
4 novembre · ore 20.45 TEATRO&
Civica Accademia d’Arte
Drammatica Nico Pepe
LA TRILOGIA
DELLA VILLEGGIATURA
di Carlo Goldoni
regia di Claudio de Maglio
assistente alla regia Francesco Godina
con gli allievi della Nico Pepe
(ingresso gratuito previo ritiro del tagliando segnaposto)
5 novembre · ore 21.00 TEATRO& I COMICI
URGE
di e con Alessandro Bergonzoni
regia di Alessandro Bergonzoni
e Riccardo Rodolfi
produzione: Allibito
spettacolo proposto in collaborazione tra le stagioni
Teatro Nuovo Giovanni da Udine e Teatro Contatto
6 novembre · ore 20.45 MUSICA
Viktoria Mullova violino
Bach Sonata in sol minore n. 1 BWV 1001
Bach Partita in mi maggiore n. 3 BWV 1006
Bach Partita in re minore n. 2 BWV 1004
14 novembre · ore 18.00 Letture sceniche
Sala Fantoni
INTORNO A VÁCLAV HAVEL
Entrare e uscire di scena
Frammenti scenici da Uscire di scena
A cura di Paolo Fagiolo
Andrea Gulli composizione ed esecuzione
drammaturgia musicale
Interventi di Luigi Reitani Docente
di Letteratura Tedesca, Università di Udine
Annalisa Cosentino Traduttrice del volume,
Università di Udine
Una iniziativa del Teatro Nuovo Giovanni da Udine,
con il sostegno e patrocinio dell’Ambasciata
Repubblica Ceca in Italia e in collaborazione
con l’Università di Udine, Dipartimento Lingue
e Letterature straniere e di Forum Editrice
Universitaria Udinese.
15 novembre · ore 20.45 MUSICA
Royal Philarmonic Orchestra
Charles Dutoit direttore
Yuja Wang pianoforte
Berlioz Le corsaire, Ouverture op. 21
Rachmaninov Concerto n. 3 op. 30
per pianoforte e orchestra
Brahms Sinfonia n. 1 op. 68
17 novembre · ore 20.45 OPERETTA
CAN CAN
musical di Cole Porter
adattamento e regia Corrado Abbati
produzione: Compagnia Corrado Abbati
prima edizione originale in italiano
20 novembre · ore 20.45 PROSA
FRIULI E ALTROVE
Teatro di poesia
testi di Pierluigi Cappello,
Ida Vallerugo, Leonardo Zanier
regia di Andrea Collavino
con Carla Manzon, Riccardo Maranzana,
Renato Rinaldi, Aida Talliente
e Simone Serafini contrabbasso
Mirko Cisilino tromba
Marco Germini fisarmonica
produzione: Teatro Nuovo Giovanni da Udine
Biglietteria online
[email protected]
www.teatroudine.it
www.vivaticket.it
Fondazione
Teatro Nuovo Giovanni da Udine
Via Trento, 4 - 33100 Udine
Tel. 0432248411
[email protected] · www.teatroudine.it
© Studio Novajra · Pappano: Musacchio&Ianniello licensed to EMI Classics · Grimaud: Mat Hennek · print: Grafiche Filacorda
Hélène Grimaud si esibisce regolarmente con le maggiori orchestre d’Europa:
29 ottobre 2011 · ore 20.45
Orchestra dell’Accademia
Nazionale di Santa Cecilia
Antonio Pappano direttore
Hélène Grimaud pianoforte
Segui il Teatro
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MUSICA
Orchestra dell’Accademia Nazionale
di Santa Cecilia
Antonio Pappano direttore
Hélène Grimaud pianoforte
Johannes Brahms (1833-1897)
Concerto n. 1 in re minore op. 15 per pianoforte e orchestra
Maestoso
Adagio
Rondò. Allegro non troppo
***
Petr Il’ič Čajkovskij (1840-1893)
Sinfonia n. 6 in si minore op. 74 “Patetica”
Adagio - Allegro non troppo
Allegro molto vivace
Finale. Adagio lamentoso - Andante
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BRAHMS, CONCERTO OP. 15
Una fortunata definizione della personalità artistica del giovane Brahms è quella che ne
evidenzia il carattere stürmisch (tempestoso, appassionato) sottolineandone la vocazione
ad una bruciante intensità espressiva, destinata a mitigarsi negli anni. Di tale qualità, grazie
anche alla potenza del mezzo orchestrale, il primo tempo dell’op. 15 costituisce il saggio
più eclatante: nonostante l’estesa durata, esso è caratterizzato da una tensione espressiva
formidabile, realizzata con una continua ed irrequieta elaborazione tematica, ma al tempo
stesso da una coerenza che apparirebbe sbalorditiva in un ventunenne se non fosse per
l’avviso diramato da Schumann nell’articolo Neue Bahnen (1853), dove il giovane Brahms
era definito «come Minerva, quando uscì interamente armata dal capo di Zeus», già cioè in
totale possesso della propria tecnica compositiva. Oltretutto il Concerto op. 15 rappresenta
il primo impegno di Brahms con un organico sinfonico: dato alle stampe nel 1861, esso fu
concepito dal marzo 1854, a partire dal primo tempo, in veste di sonata per due pianoforti.
Nella significativa tentazione di farne il brano d’una sinfonia, il movimento fu presto
orchestrato, ma solo nel 1856 Brahms avrebbe preso la decisione ultima sull’organico
pianistico-orchestrale, favorito dall’incoraggiante parere di Clara Wieck, la celebre pianista,
moglie di Schumann, che giudicò il pezzo «magnifico […], potente, originale, grandioso». I due
restanti brani furono ultimati più rapidamente, rispettivamente nel 1856 e 1857. L’esordio
ebbe luogo ad Hannover, il 22 gennaio 1859; Brahms sedeva al pianoforte, la direzione era
affidata al violinista Joseph Joachim, che aveva svolto un discreto ma importante ruolo di
consigliere durante la stesura del concerto.
La compattezza del brano d’apertura è solo occasionalmente interrotta da alcuni
episodi. Il primo fra questi è l’irruzione del tema iniziale la cui apocalittica visionarietà fu,
a detta del biografo Max Kalbeck, ispirata dalla notizia del tentato suicidio di Schumann
il 27 febbraio 1854. L’ipotesi è peraltro avvalorata dalla presenza, nella prima stesura del
concerto, di un quarto tempo poi eliminato: un Lento funebre, che sarebbe poi divenuto
il solenne, macabro, supremo Denn alles Fleisch del Requiem tedesco. Altri episodi che vanno
a stemperare l’unitaria tensione dell’intero movimento sono i brevi inserti lirici, come ad
esempio il tenue motivo che segue l’angosciante esordio: su soavi arpeggi dei violoncelli,
dapprima i legni, quindi i violini con sordina, ripetono una melodia che d’improvviso
s’impenna in un delicatissimo picco acuto, dal quale inizia a discendere prima di dissolversi.
Le letture di stampo contenutistico in Brahms sono sempre un po’ a rischio, ma qui
davvero seduce l’idea che, sulla scia dell’interpretazione di Kalbeck, possa trattarsi della
sigla di un dolore ricomposto, attenuato ma non estinto.
Del resto l’idea che dipinge Brahms quale campione d’una “musica assoluta”, refrattaria
all’intenzione espressiva, è frutto di un’evidente semplificazione, contrastante con più
d’un suo esplicito asserto. È proprio questo il caso del secondo tempo, che per Brahms
rappresentò il tramite di una cifrata dichiarazione d’amore a Clara Wieck-Schumann
(«dipingo anche un tuo soave ritratto, che sarà l’Adagio […]. Sotto alle mie migliori melodie dovrei
scrivere: di Clara Schumann» così una lettera del dicembre 1856). Il movimento inizia da un
saliscendi dei fagotti che echeggia lo stile del corale e definisce un clima intimo, sacrale.
Da tale elemento prima gli archi, poi violoncelli e corno ritagliano un semplice tema di
quattro suoni. Le varianti melodiche a tanta soave purezza, aggiunte dal pianoforte al
suo ingresso, definiscono un clima più espressivo, ma sempre trattenuto. Il movimento
procede in quest’atmosfera, sognante ed interiorizzata, tra delicatezze orchestrali e cenni
del pianoforte a culmini emotivi, che risultano però puntualmente evitati, al punto da
suggerire un azzardo interpretativo secondo lo schema “tu, meravigliosa irraggiungibile
Clara (orchestra) / io, avvinto e timido innamorato Johannes (pianoforte)”. La sobrietà
che domina l’invenzione riesce nel miracolo di cifrare in forma sonora l’ideale metafisico
dell’amor romantico, talmente profondo ed interiorizzato da riuscire inesprimibile se non
con il linguaggio eletto e criptico della musica.
Dei tre tempi, quello meno espressivamente implicato è il Rondò conclusivo, sorta di
omaggio al classicismo viennese. Per questo - beninteso dopo aver sottolineato quanto
decisamente brahmsiano possa dirsi il carattere “ungherese” del tema principale - esso
è lontano dal clima stürmisch del primo tempo e dall’onirico romanticismo del secondo. Il
modello è quello dei tempi conclusivi di Haydn, Mozart e Beethoven, dove la regolarità
della forma e, soprattutto, la scorrevolezza dei temi erano aspetti dell’invenzione volti ad
ottenere un senso conclusivo, di ricomposizione e superamento dei conflitti. In questo
senso, per quanto forse il Rondò non sia all’altezza dei due tempi precedenti - ma tenendo
ben presente che confrontare Brahms a Brahms è un po’ come paragonare il Monte
Rosa al Monte Bianco (si formulano cioè giudizi relativi, paragoni fra “vette” assolute) questo movimento esplora una direttrice, quella dell’estremo autocontrollo, che la sua
arte avrebbe più approfonditamente coltivato negli anni a venire.
ČAJKOVSKIJ, SINFONIA OP. 74 “PATETICA”
Nella coscienza storico-artistica occidentale la Patetica, presentata a Pietroburgo
il 28 ottobre 1893, è ben presto divenuta un (se non persino “il”) capolavoro paradigmatico
della diffusa idea che intende la musica quale luogo deputato per l’espressione emotiva,
per la confessione autobiografica. Coerente a quest’idea è che essa rechi un titolo e che
Čajkovskij l’abbia definita «una sinfonia a programma», ma curioso (e allettante) è che il
programma non esista, che sia stato intenzionalmente celato: «Mi è venuta l’idea per una
nuova sinfonia, questa volta con un programma che resti enigmatico per chiunque, l’indovini chi
potrà […]; tale programma è colmo di emozione soggettiva; nel corso del mio ultimo viaggio,
mentre pensavo ad essa, piangevo frequentemente». Aldilà del suo contenuto principale,
quest’indicazione è preziosa per almeno due ragioni: perché situa l’enigma in un preciso
ambito - intimo, autobiografico - e perché aiuta a comprendere in quale senso vada inteso
il termine Patetica: termine che, quantunque apocrifo (fu suggerito da Modest, il fratello
di Pëtr Il’ič), sembra davvero in grado di sintetizzarne la peculiarità.
Nel moderno senso di “lamentosi”, “afflitti”, “addolorati”, “accorati”, possono senza
dubbio risultare patetici il contrastato primo tempo ed il cupissimo quarto (più una
decomposizione che una composizione). La melodia iniziale del primo tempo, affidata al
fagotto, è accompagnata da un basso cromatico discendente, tipico vocabolo storicomusicale associato al lamento, all’idea del dolore individuale. A questo tema, protagonista
di vari episodi turbinosi ed inquieti, se ne oppone un secondo, celeberrimo, la cui
distesa cantabilità si giova di ampie, estatiche ripetizioni; ma con i traumi sonori che
sopraggiungono a sconvolgere quella cantabilità, il movimento “parla” di felicità chimerica,
di vanità dell’abbandono alle illusioni, frante dall’irruzione d’immagini da incubo. Davvero
emblematico in questo senso è il caso della tempestosa climax del movimento, interrotta
dalla citazione di un corale che nel requiem ortodosso russo accompagna l’implorazione
“Con i tuoi santi, o Cristo, dà pace all’anima del tuo servo”.
Nella prospettiva del patetismo, trasparente è pure il senso del quarto tempo, Adagio
lamentoso. Nel contesto d’una timbrica plumbea (in netto contrasto con i miracoli di
luminosa orchestrazione disseminati nei precedenti tre tempi) esso trascorre fra accorate
perorazioni e puntuali ripiegamenti, se non crolli, fino all’impressionante disfacimento
della coda. Del finale è altresì rilevante l’inusuale scelta d’impiegare un tempo lento
come brano conclusivo; solo antecedente par essere quello dello (scherzoso) finale
haydniano della Sinfonia n. 45 “degli addii”. Anche la Patetica, con il suo finale lugubrenichilista, è una “sinfonia d’addio”, ma il commiato in causa è ben più terribile e definitivo,
com’è tragicamente avvalorato (ove non bastasse il diretto ascolto d’una musica tanto
tremendamente espressiva) da dichiarazioni dello stesso Čajkovskij, che definiva sì la nostra
una «Sinfonia della vita», ma al tempo stesso annotava «la fine si avvicina». A tale valenza,
tragicamente autobiografica, concorre anche l’incrocio fra la data della morte di Čajkovskij
(il 6 novembre 1893, solo nove giorni dopo il debutto della Patetica) e l’ipotesi, pressoché
assodata, secondo la quale essa sarebbe sopraggiunta in seguito all’assunzione intenzionale
di acqua non bollita mentre a Pietroburgo imperversava il colera…
L’interpretazione fatalistica, di morte, riconosce nella nostra Sinfonia l’impronta d’un
patetismo addirittura rabbrividente, ma certo non trova riscontro nella vitalità dei
due movimenti interni. Il secondo esordisce con un incantevole, solare “valzer zoppo”:
l’inusuale scansione (il ritmo misto di 5/4 anziché il regolare 3/4) proietta l’immagine
della danza in una sorta di reminiscenza fantastica, deformata dal ricordo. Felicità
perduta? Probabile, considerando la sezione centrale; ma prima di quest’ultima la musica
non reca traccia alcuna di nostalgia: la fantasticheria appare tutta assorbita dall’idillica
reminiscenza. L’infelicità erompe appunto nella sezione centrale, quella sì patetica come i
tempi estremi, tutta costruita con il vocabolo musicale del “sospiro”, dell’anelito doloroso,
perdipiù accompagnato dalla nota ribattuta del timpano, spesso impiegata nel repertorio
ottocentesco come simbolo di morte. Quanto al pirotecnico terzo tempo, una marcia
in tempo Allegro molto vivace, le oniriche deformazioni di Mahler sono ad un passo.
Così come, nel “valzer zoppo”, l’invenzione musicale non si limita a riproporre alla lettera
i caratteri salienti - codificati - del modello, qui il “tipo” della marcia è spinto all’estremo
di un parossismo demoniaco.
Chi “semplicemente” desidera la morte non compone, non crea. Anche ove parli di
annichilimento, di nullità del mondo, di nausea per la vita, di prostrata disperazione, un
atto creativo rimane sempre un atto vitale. Patetica è, questa «Sinfonia della vita», non solo
perché esprime il tragico paradosso di una vita disperata sulla quale incombe la morte, ma
perché, d’una vita (di quella vita specifica), esprime il pathos nel senso più vasto e profondo
del termine: quello, antichissimo, di alterazione ed obnubilamento dell’anima razionale;
quello, emotivo e pulsionale, di un’irresistibile forza dionisiaca - eventualmente anche, ma
non solo, autodistruttiva - che alberga nell’oscurità profonda dell’io.
Testi di Gianni Ruffin
25/10/11 14.39
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