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SOMMARIO
Il ruolo del giudice
1. L’ammissione della prova ed i poteri del giudice in tema di integrazione delle
indagini. – 2. Il decreto che dispone il giudizio. – 3. L’attività di integrazione probatoria. – 4. Il regime delle integrazioni probatorie ed il modello processuale accusatorio. – 5. La formazione del fascicolo per il dibattimento. – 6. L’udienza preliminare e l’incidente probatorio.
1. L’ammissione della prova ed i poteri del giudice in tema di integrazione delle indagini
L’art. 421 c.p.p. descrive l’iter processuale dell’udienza preliminare
con la scansione degli interventi dei soggetti legittimati ad interloquire
in seno alla discussione.
Non viene specificato alcun criterio per l’esercizio del potere di ammissione della prova ad impulso di parte, contemplato nell’art. 421,
comma 3, c.p.p., non potendosi estendere i parametri di cui agli artt.
421-bis e 422 c.p.p., che disciplinano i meccanismi di integrazione della
prova in esito all’udienza preliminare.
La norma indica “atti” e “documenti” quale materiale da sottoporre
all’attenzione del giudice per la relativa ammissione prima dell’inizio della discussione.
Si tratta di documenti di svariata natura, comprensivi delle acquisizioni ex art. 234 c.p.p., dei verbali di prove di altri procedimenti e delle
sentenze irrevocabili ex artt. 238 e 238-bis c.p.p., oppure ancora delle
attività di investigazioni difensive ex legge 7 dicembre 2000, n. 397.
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Capitolo Terzo
È possibile considerare anche le memorie tecniche, sulle quali è intervenuta la Corte Costituzionale a stimare priva di rilevanza la questione di legittimità dell’art. 421 c.p.p. in merito alla possibilità di depositare tale atto, osservando come il comma 3 della norma prevede che la discussione debba svolgersi anche sulla base di atti e documenti diversi da
quelli contenuti nel fascicolo ex art. 416, comma 2, c.p.p. ivi comprese
le memorie provenienti dal consulente.
Giurisprudenza
«L’apparente mancanza di regole sul deposito della consulenza tecnica di parte e sul relativo contraddittorio nella fase anteriore alla discussione nell’udienza preliminare, non viola
il diritto di difesa delle parti processuali, in quanto, nel caso, (a differenza da quanto ritenuto dal giudice a quo) è applicabile il disposto dell’art. 121 c.p.p., che prevede la facoltà
delle parti e dei difensori di presentare al giudice memorie o richieste scritte “in ogni stato
e grado del procedimento”. Come già affermato dalla Corte, infatti, l’espressione “procedimento” non è riferibile solo alle indagini, ma anche all’udienza preliminare. E del resto lo
stesso art. 421 c.p.p. prevede, al comma 3, che la discussione, in detta udienza, si svolga
anche sulla base di “atti e documenti”, preventivamente ammessi dal giudice, diversi da
quelli contenuti nel fascicolo trasmesso a norma dell’art. 416, comma 2, il che implica che
in essa pertinenti documenti e memorie – ivi comprese quelle del consulente tecnico di
parte – ben possono essere prodotti dalle parti e formare oggetto del contraddittorio. (Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 421 c.p.p., in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 Cost.)»
Corte cost. 30 maggio 1991 (C.C. 22 maggio 1991), n. 238 (ord).
Il giudice dell’udienza preliminare prende una decisione ancorata non
solo al materiale in quel momento esistente, ma anche alla forma che esso può avere.
Egli esamina, infatti, tutti gli elementi fornitigli dalle parti, formulando un giudizio prognostico basato sul materiale probatorio in gran
1
parte suscettibile di perfezionamento nella fase dibattimentale .
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione affermano che:
Giurisprudenza
«Il radicale incremento dei poteri di cognizione e di decisione del giudice dell’udienza preliminare, pur legittimando quest’ultimo a muoversi implicitamente anche nella prospettiva
della probabilità di colpevolezza dell’imputato, non lo ha tuttavia disancorato dalla fondamentale regola di giudizio per la valutazione prognostica, in ordine al maggior grado di
1
Così si esprime J. CALAMANDREI, La novità della prova come presupposto per revocare la
sentenza di non luogo a procedere, in Dir. pen. e proc., n. 3/1988, p. 356.
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Il ruolo del giudice
probabilità logica e di successo della prospettazione accusatoria ed all’effettiva utilità della
fase dibattimentale, di cui il legislatore della riforma persegue, espressamente, una significativa deflazione»
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Cass. sentenza 30 ottobre 2002, Vottari .
Gli artt. 421-bis e 422 c.p.p., il primo introdotto dall’art. 21, legge 16
dicembre 1999, n. 479, il secondo sostituito dall’art. 22 della medesima
legge, disciplinano i poteri del g.u.p. in tema di integrazione probatoria.
L’art. 421-bis c.p.p. conferisce al g.u.p. il potere di ordinare al p.m.
l’integrazione delle indagini, mentre l’art. 422 c.p.p. prevede l’assunzione d’ufficio di prove manifestamente decisive ai fini della sentenza di
non luogo a procedere.
Il g.u.p., se ritiene di non poter decidere allo stato degli atti e dichiarare la chiusura della discussione perché le indagini sono incomplete,
deve indicare al p.m. le ulteriori indagini, fissare il termine per il loro
compimento e la data della nuova udienza nonché dare comunicazione
della propria ordinanza al procuratore generale perché disponga, qualora ne reputi l’opportunità, l’avocazione delle indagini.
Al giudice è riconosciuta una funzione di controllo sulla completezza
delle indagini strettamente correlata sia all’obbligatorietà dell’azione penale sia alla necessità di porre l’imputato in condizione di optare, a ragion veduta, per eventuali riti alternativi.
Giurisprudenza
«Il principio di obbligatorietà dell’azione penale esige che nulla venga sottratto al controllo
di legalità effettuato dal giudice; ciò comporta non solo il rigetto del contrapposto principio
di opportunità che opera, in varia misura, nei sistemi ad azione penale facoltativa; ma, altresì, comporta che in casi dubbi l’azione vada esercitata e non omessa (principio del favor actionis). Azione penale obbligatoria non significa, però conseguenzialità automatica
tra notizia di reato e processo, né dovere del p.m. di iniziare il processo per qualsiasi notitia criminis. Limite implicito alla stessa obbligatorietà è che il processo non debba essere
instaurato quando si appalesi oggettivamente superfluo.
Conseguentemente il problema dell’archiviazione sta nell’evitare il processo superfluo senza
eludere il principio di obbligatorietà e, a tal fine, col nuovo codice è stato predisposto un
articolato sistema di controllo, non solo gerarchico interno agli uffici del p.m. e affidato al
procuratore generale, ma anche uno esterno da parte del giudice (possibilità per il g.i.p. di
chiedere ulteriori indagini o di restituire gli atti per la formulazione dell’imputazione) ed infine altro strumento è costituito dalla facoltà della parte offesa di opporsi alla richiesta di
archiviazione»
Corte cost. 15 febbraio 1991 (C.C. 28 gennaio 1991), n. 88.
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Per un commento si veda G. CANZIO, Prova scientifica, ragionamento probatorio e libero convincimento del giudice nel processo penale, in Dir. pen. e proc., n. 10/2003, p. 1193.
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Capitolo Terzo
La funzione di controllo sulla completezza delle indagini è analoga a
quella attribuita al g.i.p. in caso di richiesta d’archiviazione del p.m. (ex
art. 409, comma 3, c.p.p.) ed il giudice, nell’esercizio del suo potere,
non può dichiarare inutilizzabile un atto compiuto dal p.m. durante la
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fase delle indagini preliminari .
L’impossibilità di decisione allo stato degli atti non è una valutazione
di tipo assoluto ma una scelta discrezionale di differimento della conclusione dell’udienza preliminare per evitare che qualsiasi decisione sia
condizionata dalla mancanza di elementi conoscitivi.
La carenza delle necessarie informazioni ai fini della decisione è posta a carico del p.m., che è venuto meno al suo dovere di completezza
nell’espletamento delle indagini preliminari.
Il problema si pone con riguardo alla pronuncia della sentenza di non
luogo a procedere per insufficienza – contraddittorietà – inidoneità degli elementi probatori raccolti per sostenere l’accusa in giudizio.
In quali casi il giudice deve prosciogliere l’imputato ravvisando i presupposti di cui all’art. 425, comma 3, c.p.p.; ed in quali casi, invece, deve procedere con l’integrazione delle indagini?
L’istituto di cui all’art. 421-bis c.p.p. non è concepito dal legislatore
per assicurare il consolidamento di un quadro investigativo che presenti
già i caratteri dell’idoneità a sostenere l’accusa in dibattimento, neppure
nella logica dell’incentivazione delle richieste dell’imputato finalizzate
alla definizione anticipata di tipo premiale.
Le ulteriori indagini che il g.u.p. indica al p.m. non devono essere
necessariamente connotate da “decisività” a carico, o a discarico, ma sono neutrali e servono solo a colmare la lacuna investigativa.
Il g.u.p. deve «indicare le ulteriori indagini» al p.m. con specificazione dei temi incompleti lasciando intatta l’autonomia e libertà di scelta del p.m. circa la natura, il contenuto e le modalità d’assunzione dei
singoli atti d’indagine.
La disposizione non pone limiti al g.u.p. nell’individuazione del termine entro il quale il p.m. deve compiere le ulteriori indagini, con eventuale superamento dei termini di durata massima custodiale previsti dall’art. 303 c.p.p.
Tuttavia nessuna disposizione stabilisce eventuali inutilizzabilità nell’ipotesi di svolgimento delle indagini dopo la scadenza prevista dallo
stesso giudice.
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Cass., sez. IV, 24 gennaio 2004.
Il ruolo del giudice
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Non è previsto che detto termine sia prorogabile; e nulla esclude
che, nella nuova udienza preliminare fissata, il g.u.p., qualora il p.m. ne
faccia richiesta, conceda al medesimo di portare a compimento le ulteriori indagini, fissando un nuovo termine e una nuova udienza.
L’art. 421-bis c.p.p. delinea implicitamente la necessità di un previo
deposito degli atti compiuti e di un ragionevole lasso di tempo tra questo adempimento e la successiva udienza.
Non vi sono discipline particolari nel caso di deposito tardivo, per cui,
in tal caso, la difesa potrà chiedere un congruo termine a difesa per poter interloquire validamente nell’udienza di trattazione.
Il p.m. ha l’obbligo di svolgere le ulteriori indagini indicategli dal g.u.p.
L’eventuale inadempimento non comporta necessariamente la pronuncia di sentenza di non luogo a procedere.
Nella nuova udienza preliminare si svolge una nuova discussione avente ad oggetto anche i risultati delle ulteriori indagini.
In tale udienza non sussistono preclusioni al compimento di atti che
ordinariamente trovano spazio nell’udienza preliminare, compresa la possibilità che l’imputato renda dichiarazioni spontanee.
All’esito di detta nuova discussione, non può escludersi che il g.u.p.
emani altra ordinanza ex art. 421-bis c.p.p., nel caso, ad esempio, in cui
il p.m. abbia adempiuto solo parzialmente all’ordine impartitogli, svolgendo, cioè, solo in parte le ulteriori indagini oppure nel caso in cui sia
la stessa attività d’indagine svolta a richiedere altre connesse attività investigative.
2. Il decreto che dispone il giudizio
Il decreto ex art. 429 c.p.p. svolge la duplice funzione di atto di rinvio a giudizio, poiché attesta l’avvenuta verifica dei risultati delle indagini preliminari, e di decreto di citazione, in quanto introduce la succes4
siva fase processuale .
Tale forma è stata prescelta, non senza qualche perplessità, poiché
detto provvedimento di rinvio è privo di motivazione, avendo il legisla4
Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, in G.U. 24 ottobre
1988, Suppl. ord. n. 2, 103.
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Capitolo Terzo
tore voluto perseguire un duplice obiettivo: da un lato, semplificare ed
accelerare il passaggio dalla fase processuale preliminare a quella dibattimentale, attraverso un provvedimento formale in grado di sintetizzare
decisione ed impulso processuale; dall’altro, evitare che il percorso valutativo compiuto dal giudice dell’udienza preliminare sia esternato in
sede di motivazione e, quindi, possa in qualche modo influenzare il suc5
cessivo operato del giudice del dibattimento .
Nel comma 1, lett. c) dell’art. 429 c.p.p., si dispone che il decreto di
rinvio a giudizio contenga l’enunciazione in forma chiara e precisa del
fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono determinare
l’applicazione di una misura di sicurezza, nonché dei relativi articoli di
legge.
La mancanza, o l’insufficiente indicazione, di uno dei requisiti ora
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elencati comporta la nullità del provvedimento .
Tale vizio, inoltre, può essere fatto valere, con impulso di parte, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento ex art. 492 c.p.p.
Una volta rilevata la nullità del decreto che dispone il giudizio, il giudice del dibattimento emetterà un provvedimento per la trasmissione degli atti al g.u.p., perché proceda alla rinnovazione del decreto in que7
stione, previa fissazione dell’udienza a norma degli artt. 418 ss. c.p.p. .
È consentito, tuttavia, al g.u.p., nel caso in cui rilevi una nullità del
decreto che dispone il giudizio, non ancora notificato, di rinnovare l’udienza preliminare già tenutasi, senza provvedere alla discussione sulla
richiesta del p.m., in quanto la competenza del g.u.p. permane sino alla
formazione del fascicolo del dibattimento ed alla relativa trasmissione al
8
giudice competente .
5
F. CORDERO, Procedura penale, Milano, 2003, p. 964, il quale afferma che, a seguito
dell’udienza preliminare, nella sequela delle decisioni a contenuto processuale, viene il decreto che dispone il giudizio, così denominato dall’art. 429 c.p.p., ma sarebbe stato meglio
definirlo ordinanza, poiché atto bivalente, contenente sia l’accusa che la citazione; E. AMODIO, sub art. 429 c.p.p., in AA.VV., Commentario del nuovo codice di procedura penale, a cura di E. AMODIO-O. DOMINIONI, Milano, 1989, p. 81, afferma che si è voluto evitare la previsione di una ordinanza, poiché avrebbe richiesto una motivazione argomentata, proprio
per evitare che il giudice del dibattimento possa essere influenzato dalla ricostruzione dei
fatti propostagli dal giudice dell’udienza preliminare.
6
Sulla natura della nullità v. Cass., sez. II, 16 aprile 1996, in Cass. pen., 1998, p. 211.
7
Cass., sez. un., 12 febbraio 1998, in Arch. nuova proc. pen., 1998, p. 224.
8
Cass., sez. V, 12 maggio 2000, in C.E.D. Cass., n. 216113.
Il ruolo del giudice
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3. L’attività di integrazione probatoria
L’attività di integrazione probatoria del g.u.p. viene disciplinata dall’art. 422 c.p.p.
La norma è stata riformulata dall’art. 22, legge 16 dicembre 1999, n.
479 nella prospettiva di un potenziamento della figura del g.u.p., che
può ora disporre, anche d’ufficio, l’assunzione delle prove se ne «appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere».
Nella precedente formulazione, l’art. 422 c.p.p. prevedeva la possibilità che il g.u.p., terminata la discussione, indicasse alle parti i temi nuovi od incompleti sui quali riteneva necessario acquisire «sommarie informazioni ai fini della decisione».
Il g.u.p. non poteva di sua iniziativa assumere la prova, differenziando la sua azione da quella riconosciuta al giudice del dibattimento dall’art. 507 c.p.p.
L’iniziativa per l’ammissione della prova spettava alle parti ed era imperniata sulla distinzione tra prove a carico, prove a discarico, e sul giudizio (ipotetico) di manifesta (o evidente) decisività.
Il supplemento istruttorio era eccezionale ed ancorato alle possibili
iniziative di parte ed agli obiettivi unilaterali che ciascuna di esse perseguiva.
L’attuale art. 422 c.p.p. individua l’integrazione probatoria come potere “d’ufficio” del giudice.
Tuttavia, anche l’imputato può, nel corso della discussione, sollecitare il g.u.p. ad esercitare il potere d’integrazione, giacché la locuzione legislativa prevede l’assunzione dei mezzi di prova integrativi “anche”
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d’ufficio .
Contro l’eventuale rigetto della richiesta non è previsto alcun mezzo
d’impugnazione.
9
In ordine al diritto alla prova si veda P. TONINI, Manuale di procedura penale, Milano,
2003, p. 488; R. BLAIOTTA, sub art. 429 c.p.p., in AA.VV., Codice di procedura penale, a cura
di G. LATTANZI-E. LUPO, Milano, 2003, p. 956 ss. Sul fatto che nell’udienza preliminare
«alle parti non competa un “autonomo diritto alla prova”, come nel dibattimento», F. CORDERO, Procedura penale, Milano, 2003, p. 910.
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Capitolo Terzo
Giurisprudenza
«Il provvedimento di diniego di accertamenti supplementari giudicati superflui adottato dal
g.u.p. nel corso dell’udienza preliminare ai sensi dell’art. 422 c.p.p. non è impugnabile,
non essendo previsto avverso di esso alcun mezzo di gravame»
Cass., sez. I, 30 marzo 2001 (C.C. 12 gennaio 2001), n. 12990.
«Non sono autonomamente impugnabili né il decreto con cui il giudice dell’udienza preliminare dispone il giudizio a chiusura delle indagini preliminari né atti o provvedimenti propedeutici allo svolgimento dell’udienza preliminare. E ciò vale anche se si deduce una nullità assoluta ed insanabile in quanto la deducibilità in ogni stato e grado del procedimento
concerne il momento della sua rilevabilità e non il mezzo attraverso il quale la nullità stessa va denunciata»
Cass., sez. VI, 13 maggio 1999 (C.C. 8 aprile 1999), n. 1230 (ord.).
«Il provvedimento di diniego di accertamenti supplementari giudicati superflui adottato dal
g.u.p. nel corso dell’udienza preliminare ai sensi dell’art. 422 c.p.p. non è impugnabile non
essendo previsto avverso di esso alcun mezzo di gravame»
Cass., sez. V, 3 aprile 1992 (C.C. 24 gennaio 1992), n. 294 (ord.).
Il g.u.p. dispone l’attività integrativa «quando non provvede a norma
del comma 4 dell’art. 421 ovvero a norma dell’art. 421-bis», vale a dire
qualora non dichiari chiusa la discussione – e provveda ex art. 424 – ovvero non reputi necessario pronunciare l’ordinanza con cui indica al p.m.
le ulteriori indagini da svolgere.
Un primo problema si pone tra il potere di integrazione delle indagini esercitato ai sensi dell’art. 421-bis c.p.p. e quello di integrazione
probatoria di cui all’art. 422 c.p.p.
La presenza di due norme diverse, che disciplinano i poteri del g.u.p.,
evidenzia la non alternatività delle prerogative e la possibilità che lo stesso
organo possa, attraverso valutazioni prognostiche differenti, pervenire
ad iniziative eterogenee concomitanti.
Il duplice potere presenta un rapporto di sussidiarietà interna: non è
indifferente, in altri termini, che si scelga di attivare il meccanismo di
cui all’art. 421-bis c.p.p. anziché quello di cui all’art. 422 c.p.p.
Prima di tutto può essere invitato il p.m. a migliorare il panorama di
indagine e poi, in seconda battuta, dare corso direttamente all’acquisizione d’ufficio delle prove necessarie ai fini della decisione.
All’incompletezza delle indagini preliminari è destinato a porre rimedio l’istituto di cui all’art. 421-bis c.p.p. 10.
10
G. LOZZI, Lezioni di procedura penale, Torino, 2004, p. 420, il quale sostiene che
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Il ruolo del giudice
Se, invece, l’impostazione dell’accusa risulti sufficientemente supportata dagli elementi acquisiti, ma emergono significative lacune per essere stata trascurata l’acquisizione di elementi a discarico, pur individuabili, il g.u.p. può porvi rimedio facendosi carico, in via sussidiaria, dell’integrazione probatoria ex art. 422 c.p.p.
La possibilità che siano acquisite prove a discarico rimane, in ogni
modo, ancorata ad una pre-deliberazione circa la loro evidente decisività ai fini della pronuncia di sentenza di non luogo a procedere.
Altro problema è quello della individuazione delle fonti di prova
dell’attività di indagine assunta dal giudice.
L’art. 422, comma 2, c.p.p. prevede esclusivamente testimoni, periti,
consulenti tecnici e «persone indicate nell’art. 210», ma non ne formula
limitazione tassativa potendosi ammettere mezzi di prova diversi da
quelli espressamente riportati dalla norma.
Il precedente art. 422 c.p.p. limitava nei termini anzidetti la tipologia
dei mezzi di prova attivabili ex art. 422 c.p.p. e la giurisprudenza costituzionale aveva affermato che «l’espressa limitazione dei mezzi di prova
che potevano costituire oggetto delle richieste delle parti (erano esclusi,
ad esempio, perizie ed esperimenti giudiziali, ricognizioni e confronti)
era in linea con l’eccezionalità dell’istituto, con le esigenze di snellezza e
di concentrazione dell’udienza preliminare e con la tendenza del nuovo
sistema processuale a collocare l’istruzione probatoria nella fase dibattimentale».
Giurisprudenza
«L’integrazione probatoria consentita nell’udienza preliminare, per il caso in cui il giudice
non ritenga di poter decidere allo stato degli atti circa il rinvio a giudizio od il proscioglimento, è limitata dall’art. 422 c.p.p. ad alcune prove tassativamente indicate (produzione
di documenti, audizione di testimoni e consulenti tecnici, interrogatorio di persone imputate di reato connesso o collegato); è, invece esclusa per altre (confronti, ricognizioni, ispezione dei luoghi, ecc.). Tuttavia, poiché, nel caso di specie, l’integrazione probatoria richiesta concerne l’acquisizione di un oggetto (audiovisivo della Polizia di Stato) rientrante
«l’art. 421-bis non comporta alcuna regressione posto che il pubblico ministero agisce unicamente come organo delegato dal giudice dell’udienza preliminare ma non ha più i poteri
che gli competono a conclusione delle indagine stesse. In altri termini, una volta compiute
le indagini preliminari indicate dal giudice dell’udienza preliminare, il pubblico ministero
ritrasmette gli atti al giudice stesso affinché riprenda l’udienza preliminare nella data prefissata dallo stesso giudice senza avere la possibilità di chiedere l’archiviazione e neppure quella di riformulare una richiesta di rinvio a giudizio modificando l’imputazione».
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Capitolo Terzo
nell’ampia nozione di “documento” fornita dall’art. 234 del codice, e in quanto tale deve
ritenersi consentita dalla suindicata norma, è irrilevante ai fini del giudizio a quo, e quindi
inammissibile, la censura, formulata in proposito, di discriminazione, nell’esercizio del diritto di difesa, di chi possa dimostrare l’assenza di responsabilità solo attraverso le prove
escluse»
Corte cost. 2 maggio 1991 (C.C. 23 aprile 1991), n. 190.
Il g.u.p., se non è possibile procedere immediatamente all’assunzione
delle prove fissa la data della nuova udienza, disponendo la citazione
delle persone di cui siano stati ammessi l’audizione (testimoni, periti e
consulenti tecnici) o l’interrogatorio (persone indicate nell’art. 210).
L’audizione e l’interrogatorio delle persone indicate nell’ordinanza
sono condotti dal g.u.p. mentre il p.m. e i difensori possono porre domande, nell’ordine previsto dall’art. 421, comma 2, c.p.p., per la discussione.
L’assunzione si sviluppa secondo un sistema d’acquisizione della prova diverso da quello tipico della fase dibattimentale.
Esaurita la fase d’integrazione probatoria, l’imputato può chiedere di
essere sottoposto ad interrogatorio ad opera del g.u.p.
Su richiesta di parte, il g.u.p. dispone che l’interrogatorio sia reso nelle
forme dell’esame incrociato previste, per il dibattimento, dagli artt. 498
e 499 c.p.p. 11.
Il g.u.p. dichiara, poi, aperta la nuova discussione ed il p.m. e i difensori formulano e illustrano le rispettive conclusioni.
4. Il regime delle integrazioni probatorie ed il modello processuale accusatorio
Il sistema processuale contempla varie ipotesi di insufficienza o contraddittorietà del patrimonio probatorio di volta in volta acquisito all’interno delle varie fasi.
L’evenienza che il pubblico ministero o il giudice si possano trovare
dinanzi a tale situazione provoca le conseguenze previste dalle norme di
riferimento.
Nella fase della chiusura delle indagini preliminari, ogni qualvolta le
11
Si veda L. KALB, Ruolo delle parti e potere del giudice nello svolgimento dell’esame testimoniale, in Dir. pen. e proc., n. 12/2004, p. 1542.
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