S. Erberto e la cattedrale di Conza A cura di: Pro Loco “COMPSA” Curia Arcivescovile di Sant’Angelo dei Lombardi – Conza – Nusco – Bisaccia Conza della Campania 2005 S. Erberto e la cattedrale di Conza Conza della Campania 2005,192 pp., 22 cm 1. Conza, Storia In copertina: G. Florio, 1759, S. Erberto Quarta di copertina: stemma della famiglia Nicolai © 2005 Copyright Pro Loco “Compsa" Tutti i diritti riservati - riproduzione vietata Grafiche Pannisco s.n.c. - Contrada Isca - 83045 Calitri (AV) Questo volume fa seguito a Memorie Conzane I, del 1996, e a Memorie Conzane II, del 2000, curati dall’associazione Pro Loco “Compsa". Un ringraziamento particolare a mons. Tarcisio Gambalonga per la collaborazione fornita a nome della Curia Arcivescovile di S. Angelo dei Lombardi – Conza – Nusco – Bisaccia. Agli arcivescovi Salvatore Nunnari e Francesco Alfano Nella città di Conza (...) Quando credeva godere i frutti delle sue fatiche, ecco per nostro insegnamento Iddio col terremuoto orribile abbatté il tutto riducendo la chiesa, il campanile, le camere e tutto quanto s’era studiato operare in un mucchio di pietre, e cadde appunto a dì 8 di 7mbre 1694 giornata lagrimevole non solo per detta città, ma per tutta quasi la diocesi, ed anche paesi convicini, che provarono l’effetti dell’ira divina; sicché il povero prelato con amare lagrime piangendo replicava le parole di Geremia quomodo desolata est civitas, e l’altre di Giobbe Dominus dedit, Dominus abstulit; mentre in un punto fatiche di più anni si osservarono ridotte in polvere; benvero devesi riflettere non porre fiducia né stabilimento nelle cose terrene, perché nel meglio mancano, ma solo in Dio, che in eternum stat. Doppo sì crudele flagello non perdendosi d’animo il prelato, con fiducia in Dio diede di piglio alla ristauratione della chiesa. IGNOTO DEL XVIII SECOLO, Cronista Conzan. Aggiunta doppo la morte dell’Authore PRESENTAZIONE Il fluire del tempo, di un tempo che è storia e che come tale è sostanza della vita scandisce queste pagine. Parlano di Conza, della sua cattedrale, del suo santo Erberto, della sua storia ormai più che secolare. È la storia conzana dischiusa dalla natura dei luoghi che la circoscrivono, è quella inclusa nel tratto e nel temperamento tradizionale, civico e religioso della sua gente. Qui il passato continua nel presente e si apre pieno di speranza sul futuro delle nuove generazioni. Conza appartiene ai conzani perché Conza è dei conzani: parafrasando “a loro immagine e somiglianza”. Verità queste che troppo spesso sfuggono ai cittadino disattento e superficiale. Distratto e ingrato al tempo stesso. Il fatto è che l’uomo dimentica. La dimenticanza non è opera del tempo. È opera nostra. E la si paga cara, in un ritardo di crescita e di maturità per cui tanto ma ahimè forse invano avrebbero lottato e sofferto le generazioni passate su queste terre, Semi lasciati soli, a marcire, a morire. Ben vengano allora i cultori del tempo della storia. Di quella conzana in particolare, in cui ci situano gli autori (possano trovare qui la nostra gratitudine di questo volume, pensato e nato nei 25° anniversario di una triste e drammatica “storia”, quella del 23 novembre 1980. Tanto triste e tanto drammatica da sradicare l’antico borgo per un nuovo insediamento. Ancora: ben vengano quanti, singoli o istituzioni, quali la Pro Loco “Compsa” con entusiasmo e passione favoriscono questo tipo di pubblicazioni. Offrono un valido contributo all’impegno che dovrebbe essere quello delle attuali generazioni conzane perché non dilapidino “i1 tempo che divora ogni cosa” (edax rerum), come diceva Ovidio, ma lo valorizzino strappandolo a quella morte insita nella storia di ogni uomo e di ogni società -anche quella conzana quando, immemore della sua passata storia, non fa più Storia nel presente. Questo libro corre dunque come pressante invito al cuore e alla mente di ognuno, invito alla fedeltà nella continuità di un passato che ha fatto degno l’orgoglio di Conza. Perché lo perpetui oggi e possibilmente sempre. “È difatti un traguardo importante giungere a pronunciare la parola IO quale espressione di chiara identità individuale, ma è ugualmente importante giungere a pronunciare la parola NOI quale espressione di chiara identità sociale”. (G. Colombero) P. PIERANGELO PIROTTA Erberto Il santo patrono di Conza GERARDO CIOFFARI O. P. *Nel medioevo, quando la sede pontificia lasciava le canonizzazioni alla Chiesa locale, molte popolazioni individuarono il loro patrono in un Santo che per qualche motivo aveva dato lustro alla loro cittadina. L’occasione poteva essere diversa, come una traslazione (translatio) di reliquie oppure un ritrovamento (inventio) di esse dopo un certo tempo in cui si era persa memoria. Talvolta era il ricordo stesso di un vescovo che aveva fatto molto per quella città, spiritualmente e materialmente, a rinverdire il bisogno di un proprio Santo. Successivamente la devozione, ravvivata dalla fantasia popolare, faceva nascere delle biografie relative a questi Santi, le quali servivano a tenere vivo il culto, ma che reggevano con difficoltà le esigenze della critica storica o della mentalità moderna. E questo perché la preoccupazione maggiore era allora il messaggio che emanava da quella santa figura, piuttosto che soffermarsi a stabilirne la cronologia. Spesso, persino l’anno di nascita è incerto. Il che vale non soltanto per i Santi locali, ma anche per parecchi santi universali, come Francesco, Domenico, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino e così via. Nonostante la sua importanza in età medioevale, Conza non fa eccezione. Il suo santo patrono, il vescovo Erberto, Abbreviazioni e sigle: PL Patrologia Latina MGH Monumenta Germaniae Historica CC Cronista Conzana presenta buoni punti fermi (documenti editi dal Mansi e dall’Holtzmann), ma anche alcune zone d’ombra (notizie riportate dall’Ughelli, dalla Cronista Conzana e dagli storici locali, che fanno spesso riferimento a documenti oggi perduti)1. In generale, si può dire che, per lo storico critico, S. Erberto di Conza è un caso agiografico ben documentato, meglio di molti altri santi avvolti nella leggenda o in varie incertezze (prima fra tutte l’identificazione del Santo fra vari personaggi con lo stesso nome). Tuttavia, l’esigenza del devoto di saperne di più, di conoscere episodi edificanti o miracolistici della sua vita, fa apparire tale documentazione piuttosto povera. 1 Per la presente ricostruzione degli episodi della Vita di S. Erberto, resa possibile dalle amichevoli insistenze di Clemente Farese, presidente della Pro Loco “Compsa”, mi sono servito di fonti e di studi. Alla prima categoria appartengono: J. D. MANSI, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, Venetiis MDCCLXXVIII; W. HOLTZMANN, Kanonistische Ergänzurzgen zur Italia Pontificia V-X, in “Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bihliotheken”, Tübingen 1958, p. 152-154; F. UGHELLI, Italia Sacra, VI (Compsani Archiepiscopi), II ediz. Venetiis 1720, coll.. 807-812; A. Di Meo, Annali critico-diplomatici del Regno di Napoli nella mezzana età, 12 vol., Napoli 1795-1819 (vol. X); D. A. CASTELLANO, Cronista Conzana, manoscritto del 1691 conservato nell’archivio diocesano di S. Angelo dei Lombardi. Alla seconda appartengono: A. LUPOLI, Synodus Compsana et Campaniensis.., celebrata VI, V, IV kalendas Maias a. 1827, Napoli 1827; G. GARGANO, Ricerche storiche su Conza antica, Avellino 1934 (rist. Conza 1977 e Calitri 2001); V. ACOCELLA, Storia di Conza, I, Il gastaldato e la città di Conza fino alla caduta della monarchia sveva, Benevento 1927; A. MARRANZINI e G. CHIUSANO, Memorie conzane, Conza della Campania 1996; E. Cuozzo, I Normanni. Feudi e feudatari, Salerno 1996; A. BALDUCCI, Erberto, in Bibliotheca Sanctorum, IV, Roma 1964, s.v.. Questo studio non comprende gli sviluppi del culto di S. Erberto a partire dall’opera del giovane arcivescovo Gaetano Caracciolo (1682-1709), tenta del lavoro dell’amico Emilio Ricciardi, La cattedrale di Conza ai tempi di monsignor Gaetano Caracciolo e la rinascita dei culto di S. Erberto, che appare in questo stesso volume. Ignoto, XVIII secolo, Sant’Erberto benedice la città di Conza, acquaforte. 1. Erberto, eletto arcivescovo di Conza (1168) Sulla nascita, infanzia e formazione sacerdotale di S. Erberto, non vi sono documenti o testi sufficientemente antichi meritevoli di fede. La sua elezione episcopale, per l’epoca a cui ci si riferisce, fa pensare tuttavia a origini nobiliari o, comunque, ad una formazione culturale degna di tutto rispetto. Il primo documento che lo riguardi risale al 1168 e lo vede in cammino da Conza a Palermo in visita a Guglielmo il Buono, da due anni nuovo re di Sicilia. Questo viaggio, collegato ad un fatto avvenuto 12 anni prima (l’accordo di Benevento del 1156 tra il papa e il re sulle elezioni episcopali), nonché alla qualifica datagli da un documento di “arcivescovo eletto” permette di rendere meno vaga l’entrata di S. Erberto sulla scena della storia, riducendo il campo delle ipotesi e delineando non pochi dati storici. Solitamente si connette il viaggio di S. Erberto a Palermo nel 1168 all’intento di rivendicare i diritti del suo episcopio sulla chiesa abbaziale di S. Maria Maggiore in Auletta, con le relative rendite e privilegi. Un viaggio di affari, insomma, sia pure di affari ecclesiastici. Il che è vero, ma, se per raggiungere un simile scopo si fosse reso necessario un viaggio in Sicilia, che presentava non pochi pericoli, allora la corte palermitana non sarebbe stata altro che un pullulare di vescovi e abati in cerca di privilegi2. La spiegazione più ragionevole, invece, è che, non essendo stato designato dal re né nominato da papa, bensì eletto dal capitolo di Conza, Erberto doveva necessariamente recarsi a 2 DI MEO, Annali diplomatici, X, p. 338; UGHELLI, Italia Sacra, VI, col. 807. L’Acocella data il documento al 1168 (Acocella, Storia di Conza, I, p. 103), mentre il Gargano (Gargano, Ricerche p. 60) al 1178. È preferibile la prima data in quanto il suo viaggio acquista un senso soprattutto per l’ottenimento dell’assenso regio. Immaginare un viaggio nel 1178 solo per la rivendicazione di certi diritti sembra alquanto azzardato. Palermo per farsi conoscere e dichiarare la sua fedeltà alla corona. Ovviamente, ritenne opportuno cogliere l’occasione dell’assenso regio per tornare a Conza con qualcosa di concreto, come il recupero di certe proprietà e diritti allo scopo di rimettere in sesto la situazione dell’arcidiocesi. Le circostanze dell’elezione episcopale di Erberto, se si considerano i tre dati suddetti (accordo di Benevento del 1156, viaggio del 1168, qualifica di “eletto”) possono ritenersi abbastanza chiare. Pochi anni prima e non lontano da Conza, si era verificata una svolta fondamentale che aveva cambiato un uso millenario nella Chiesa cattolica. Il tutto, mentre Erberto doveva essere un canonico di Conza e poteva avere intorno ai quarant’anni. Sull’onda della vittoria sui Normanni ribelli e sui Bizantini, appoggiati dal papa, il re Guglielmo il Malo, verso la fine di giugno del 1156, assediò il papa Adriano IV che si era chiuso in Benevento. Come condizione per la sua liberazione Guglielmo il Malo gli impose un accordo che doveva regolare tutto un ventaglio di problemi concernenti l’antica questione delle investiture: Appellationes, Translationes, Consecrationes, Visitationes, Legationes. In realtà i papi, sin dal tempo di Urbano II (+ 1099), erano stati larghi di concessioni con i conti normanni di Sicilia, in considerazione del fatto che avevano liberato l’isola dai musulmani. Praticamente erano loro a nominare i vescovi (la famosa Legatia Apostolica). Successivamente, nel contesto della lotta alle investiture laiche, il ruolo dei conti era andato scemando. Ora, invece, essendosi creata una nuova situazione, quella della ribellione dei conti normanni ai re di Sicilia, Guglielmo il Malo decise di non ammettere altre brutte sorprese. Ad evitare nomine di vescovi ostili, che avrebbero potuto fomentare se non capeggiare rivolte, impose questa modalità: Quanto alle elezioni si proceda in questo modo: i chierici si accordino sulla persona idonea, mantenendo il suo nome segreto, fintanto che quella persona non sia notificata alla nostra maestà. E dopo che quella persona è stata presentata alla nostra altezza, se essa non fa parte della schiera dei traditori e nemici nostri o dei nostri eredi, daremo l’assenso3. Con questo accordo il procedimento dell’elezione episcopale cambiava radicalmente rispetto all’epoca precedente al 1156. Non era più il popolo a ratificare la scelta dei chierici, ma direttamente il re di Sicilia Il popolo, che era stato il protagonista nell’elezione del vescovo della propria città, usciva definitivamente di scena. Elettori divenivano esclusivamente i canonici e i chierici delle cattedrali e la situazione che poteva presentarsi era duplice: se il clero della cattedrale nella sua votazione segreta esprimeva un eletto con un’alta percentuale di voti, questi, in veste di electo, si presentava direttamente al re a Palermo per ottenere il suo assenso. Se invece, dalla votazione uscivano due o più nomi con una maggioranza risicata, solitamente la minoranza faceva appello a Roma (adducendo motivi di irregolarità), ed il papa interveniva, designando il suo preferito o facendo un nome del tutto diverso. Nel primo caso si Parlava di “vescovo eletto”; vale a dire che era un vescovo a tutti gli effetti, fino a che non avesse anche formalmente regolarizzato la sua posizione. All’assenso regio faceva dunque seguito la consacrazione papale che, nel caso di arcivescovati importanti come quello di Conza, consisteva nell’invio del pallio. Il fatto che, nei primi documenti che lo riguardino, Erberto viene definito “electo” risolve dunque il problema delle circostanze della sua elezione. Egli usci cioè eletto a seguito di una votazione del clero di Conza. L’unico dubbio che potrebbe 3 C. BARONIO, Annales Ecclesiastici, all’anno 1156; Cfr. P. TROYLI, Istorja generale del reame di Napoli, IV/3, Napoli 1751, pp. 3839. Il testo conclude con: “Datum ante Beneventum per manus Maionis Magni Ammirati, anno Dominicae Incarnationis millesimo centesimo quinqiiagesimo sexto, mense iunii, quartae indictionis.” sorgere è se a tale votazione partecipasse tutto il clero di Conza e dell’archidiocesi, oppure solo il clero della cattedrale. Infatti, il procedimento stabilito con l’accordo di Benevento (1156) fu sanzionato definitivamente dalla Chiesa romana nel concilio Lateranense III (1179), al quale partecipò lo stesso Erberto, Nel paragrafo Cum in cunctis (...) de Electionibus, si ribadiva che solo i chierici, anzi soltanto i chierici delle cattedrali avevano facoltà di eleggere il proprio vescovo4. In un sol colpo cioè sparivano dalla scena i laici, i sacerdoti urbani non appartenenti alla cattedrale e persino gli abati di monasteri importanti. E altamente improbabile dunque quanto ha scritto qualcuno, che Erberto sia stato “nominato vescovo da papa Alessandro III”. Non si vede alcun motivo per affermare un intervento pontificio in questa elezione, tanto più che la vicinanza cronologica all’Accordo di Benevento lo rende abbastanza ingiustificato5. Non che sia del tutto da escludere, poiché, come si è detto, in caso di disaccordo fra i chierici elettori, spesso il papa interveniva. Ma non sembra che questo sia stato il caso con Erberto. 2. Nazionalità di S. Erberto Quasi tutti gli scrittori che si sono occupati del santo patrono di Conza hanno voluto avanzare delle ipotesi sulle sue origini. Secondo alcuni sarebbe stato spagnolo, secondo altri 4 G. D. MANSI, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, Paris-Leipzig Arnhem 1901-1927, XXII, col. 203-468. Cfr. G. ALBERIGO, Conciliorum Oecumenicorum Decreta, Basilea 1962, pp. 187201. 5 Cfr. MARRANZINI-CHIUSANO, Memorie conzane, p. 86. L’inattendibilità di questi autori è data dal fatto che “regolarmente” suppongono la nomina o la creazione dei vescovi conzani da parte del papa, il che, fino al 1350 circa, dev’essere considerato un procedimento del tutto eccezionale. tedesco o inglese, altri invece lo dicono lombardo se non addirittura di Conza. L’autore della Cronista Conzana volle fare delle ricerche al riguardo, ma i risultati furono alquanto deludenti. L’unico “dato” che riuscì a scovare fu una notizia contenuta in un Martirologio dei Santi extravaganti ritrovato nella Biblioteca Vaticana. Purtroppo egli non riporta la data di questo Martirologio, ma è più che probabile che si tratta delle annotazioni raccolte nella seconda meta del XVI secolo al fine di pubblicare il Martirologio Romano secondo le disposizioni del Concilio di Trento. In ogni caso, ecco la notizia ivi contenuta: “20 agosto. Conza, in Irpinia. S. Erberto, vescovo della stessa città!”. In calce a questa notizia vengono riportate alcune note, a cominciare dall’indicazione geografica di Conza (50 miglia da Benevento e 8 da Melfi). Quanto a S. Erberto, viene specificato che la data del 20 agosto è riportata nelle tavole episcopali di Conza. Quindi aggiunge: “Hispana natione fuisse traditur. Corpus ibidem ante annum 25 repertum est, acta non estant, et per prius iste Herbertus fuit episcopus Licopens in Suetia6”. Né l’ignoto glossatore sente il bisogno di tentare una spiegazione di questa strana notizia che crea un triangolo quanto meno improbabile fra la Spagna, la Svezia e la Longobardia Minor. E l’amaro in bocca ci lascia lo stesso Castellano, nel momento in cui non dà una data (neppure approssimativa) del manoscritto, visto che c’è la notizia del ritrovamento delle reliquie a Conza. Sarebbe stato interessante conoscere l’anno di questa prima inventio Sancti Herberti avvenuta 25 anni prima di quelle annotazioni al Martirologio (prima di quando?). 6 CC, libro I, cap. IV, discorso I, ff. 24-26. La sede episcopale svedese di cui si fa menzione in questo Martirologium Sanctorum extravagantium, è Linköping (Lincopen.), suffraganea di Uppsala. Purtroppo la serie dei vescovi di questa sede edita dall’Eubel, comincia con la morte del vescovo Giovanni verso il 1215. È difficile controllare dunque chi era il vescovo intorno al 1160. Cfr. C. EUBEL, Hierarchia Catholica Medii Aevi, Editio altera, Monasterii MDCCCCXIII, p. 306. In ogni caso, avendo fatto proprie le informazioni contenute nel Martirologio, il Castellano, poco prima di parlarne, narra un episodio accaduto presso il sarcofago di S. Erberto, preannunciando la sua origine spagnola: “Nel 1573, mentre a Conza, per ordine del re, stanziava una grande moltitudine di soldati spagnoli, uno di questi, spinto da curiosità, essendo il suddetto santo originario di una città della Spagna (dum dictus Sanctus erat Hispanae civitatis), volle aprire il sarcofago. Nel fare ciò, si procurò una ferita a forma di croce dalla quale uscì il sangue, e così si rese conto della gravità della sua azione. Atterriti, tutti gli altri invocarono l’aiuto di S. Erberto, riconoscendo pubblicamente il loro sacrilegio; quindi, toccato il suo santo corpo con una corona (del rosario?) detta comunemente “Pater Noster” e appoggiatola alla sua ferita, subito quello guarì. Avendo visto il miracolo e ravvedutisi, i suddetti soldati si calmarono e da allora si comportarono bene verso la città7”. La tesi del Castellano sull’origine spagnola di S. Erberto recentemente è stata oscurata da altre teorie, come quella che vede S. Erberto tedesco o inglese. L’origine sassone, vale a dire tedesca o anche inglese, ma dal ceppo germanico (e non normanno), è resa probabile dalla peculiarità del nome. “Erberto” (o Eriberto) è un nome di chiara derivazione tedesca (come Erimanno o Ermanno), un nome che ha reso illustri alcuni personaggi dell’XI-XII secolo, fra monaci e vescovi. Fra questi ultimi il più noto è S. Eriberto, arcivescovo di Colonia nella prima metà dell’XI secolo. Un suo parente, Eriberto di Eichstätt si distinse come fine poeta e musico8. Accanto a queste ipotesi che lo fanno spagnolo o tedesco, c’è anche quella che lo dice d’origine inglese. Tale tradizione viene raccolta dagli Acta Sanctorum, che però ne danno anche una diretta confutazione: 7 8 CC, libro I, capo IV, discorso I, ff. 24-26. Cfr. MIGNE, P L 141, col. 1370-1374. “John Pitz (Pitseus), nell’Appendice “Centuria seconda” del suo Sugli scrittori inglesi illustri, alla pagina 864, per quanto riguarda la sua patria ricorda: Erberto di Hoscam, di nazione inglese, nativo di Merx, uomo pio ed erudito. Partito per l’Italia, fu nominato arcivescovo cosentino in Puglia. Alcuni riportano che abbia lasciato ai posteri opere letterarie o abbia voluto lasciarle, e che le abbia effettivamente date alla luce, ma che tutte scomparvero con l’autore. Infatti, quello stesso anno in cui cominciò il suo arcivescovato e occupò la sua cattedra episcopale, lui con tutta la sua famiglia, anzi con quasi tutta la popolazione, perdette la vita durante un violento terremoto. Era l’anno dalla nascita di Cristo 1185, mentre in Inghilterra regnava Enrico II9”. Sia Righelli, che riporta ugualmente questo brano, che il 9 Acta Sanctorum Augusti, IV, Venezia 1752, p. 100. Faccio notare che non conoscendo a quali nomi inglesi corrispondono i termini latini, ho tradotto i nomi come mi sono sembrati più prossimi alla realtà. Ricordo tuttavia l’nizio del brano: “Joannes Pitseus de illustribus Angliae scriptoribus in Appendice Centuria 2, pag. 864, haec de patria eius memorat: - Herebertus Hoscamus ().natione Anglus, patria Mercius, vir pius et eruditus. In Italiam profectus, factus est archiepiscopus Cusentinus in Abulia -.” Vale la pena anche ricordare che, nonostante la confutazione di questo brano sia da parte dell’Ughelli che da parte del Bollandista, non è mancato chi insistesse sull’origine inglese di S„ Erberto. “Der Erzbischof Herbert von Conza, der ein Engländer gewesen sein soll”, dice l’Holtzmann a commento del doppio documento n. 204 (HOLTZMANN, Kanonistische Ergänzungen, p. 153). Da parte sua John Julius NORWICH, Il Regno nel Sole (1130-1194), Mursia, Milano 1972, p. 337, scrive: “Oltre a Riccardo Palmer e Gualtiero del Mulino (Walter of the Mill), vi furono almeno altri due prelati inglesi in Sicilia durante il regno di Guglielmo II: Umberto di Middlesex, arcivescovo di Conza in Campania, e Bartolomeo, fratello di Gualtiero, che succedette a Gentile nella sede di Agrigento”. Purtroppo non è indicata la fonte. Bollandista, ritengono che si tratti di una certa confusione fatta dallo scrittore inglese, in quanto Cosenza è in Calabria e non in Puglia, e che il vescovo che morì nel terremoto era Rufo e non Erberto, come si evince dalla cronaca dell’Anonimo Cassinese all’anno 1184. La spiegazione, benché ragionevole, non è del tutto convincente, in quanto da “Herebertus” a “Rufus” la differenza non è piccola, e comunque è molto più grande che non fra “Cusentinus” e “Consanus” o “Compsanus”. L’origine inglese è comunque quasi certamente da escludere. Se, infatti, Erberto fosse stato inglese per nessun motivo avrebbe mancato dal recarsi a Palermo in occasione del matrimonio fra Guglielmo il Buono e la principessa Margherita, figlia del re d’Inghilterra Enrico II. A questo matrimonio celebrato il 13 febbraio 1177 c’era un gran numero di arcivescovi e vescovi10. Lui, invece, non c’era. Tuttavia, considerando la facilità con cui la terra trema in Alta Irpinia, è tutt’altro che da escludere che S. Erberto sia effettivamente morto in un terremoto, ad esempio quello del 24 maggio (nono kal. Junii) 1184. Pertanto, dato il contesto storico, in particolare per quanto detto in precedenza sulle circostanze della sua elezione episcopale, per il santo vescovo di Conza è da preferire un’origine irpina, se non addirittura conzana e, comunque, che Erberto fosse un personaggio da tempo vissuto e conosciuto fra il clero conzano. Essendo, infatti, Conza un antico gastaldato longobardo, e successivamente una contea normanna, non aveva bisogno di “importare” personaggi con 10 Atto delle donazioni di Guglielmo II alla regina, Cod. Vat. Reg. n. 980, f. 172. Anche MGH, XXVII, p. 91, e F. CHALANDON, Histoire de la dommatton normande en Italie et en Sicile, Paris 1907, p. 377. nomi stranieri11. Li aveva già in casa. Nei documenti dell’epoca si trovano diversi “Erberto” tra l’Irpinia e la Puglia. La conclusione più probabile è dunque che Erberto fosse un personaggio della nobiltà locale, ben accetto al conte del tempo e non inviso al re di Sicilia. 3. Sollecitudine pastorale Al momento in cui Erberto veniva eletto arcivescovo di Conza, la diocesi usciva da un periodo di crisi. Con cura veniva custodita la pergamena delle indulgenze concesse dal papa Callisto II12 che aveva segnato l’inizio della rinascita. Il papa, come si sa, era sceso in Puglia per porre pace fra i ribelli conti normanni e liberare Costanza, la vedova di Boemondo tenuta prigioniera a Bari dal principe Grimoaldo13. Nonostante le tracce notevoli sull’importanza 11 L’origine Irpina è sostenuta da F. FERRARI nel suo Catalogus generalis Sanctorum, qui in Martirologio non sunt descripti, Venezia 1625, non come una sua opinione, ma come la tradizione prevalente tra i conzani. Cfr. GARGANO, Ricerche, p. 61. L’origine conzana è proposta anche da MARRANZINI e CHIUSANO, Memorie conzane, pp. 34-35. In questo lavoro si porta anche un altro argomento, che è opportuno riportare come curiosità, se non come prova. E un brano della Relazione del prof. Gastone Lambertini sulla ricognizione delle ossa: “Soggetto di quasi sicura origine meridionale dato lo spiccato grado di dolicocefalia che appare evidente all’ispezione del cranio. Si tratta pertanto di un soggetto di statura superiore alla media, di abito stenico-muscolare, di età probabile tra i 60 e i 70 anni, e di origine meridionale” (Ivi, p. 35). 12 La pergamena faceva bella mostra ed era custodita gelosamente anche nella seconda metà del XVI secolo quando furono riordinate le reliquie conservate in cattedrale. CC, libro I, cap. V, discorso I, f. 54. 13 Chronicon Fossae Novae, a. 1120, in G. DEL RE, Cronisti e scrittori sincroni napoletani, I, Napoli 1845, p. 507. dell’arcidiocesi di Conza14, agli inizi del XII secolo la diocesi stava vivendo un momento difficile. Cogliendo l’occasione della, venuta in Puglia del papa francese, la contessa Itta e l’arcivescovo R(oberto) avevano chiesto un suo intervento. Il papa li aveva accontentati secondo una modalità comune a quel tempo (ed anche dopo), concedendo cioè delle indulgenze che attirassero la generosità dei fedeli. Con bolla del 30 marzo 1120 il papa concedeva indulgenze e grazie spirituali (con la remissione di tutti i peccati) a tutti coloro che si fossero confessati e si fossero fatti seppellire nella cattedrale di Conza (“absolutionem omnium peccatorum sancimus omnibus Christianis, qui confessi fuerint et ibi sepeliri se faciant15”). L’operazione dovette avere qualche successo se tra il 1122 e il 1123 fu terminata la ricostruzione della cattedrale, che venne dedicata all’Assunta16. 14 Bastano al riguardo due esempi. Il primo si riferisce ad un viaggio a Bari dell’arcivescovo Leone accompagnato da vari prelati. Al termine della messa sulla tomba del Santo, venne riverito da un uomo che egli aveva assistito per qualche tempo a Conza. Solo che egli lo ricordava come uno storpio, ed invece ora lo rivedeva in ottima salute. Cfr. A. BEATILLO, Historia della vita, miracoli, traslazione e gloria del’illustrissimo confessore di Christo S. Nicolò, Arcivescovo di Mira e Patrono della Città di Bari, Napoli 1620, libro IX, cap. XII, pp. 728-729. Da notare che il Beatillo colloca Conza nel Regno di Napoli. Mentre il curatore della successiva 3° edizione, quella nota all’Acocella (ACOCELLA, Storia di Conza, I, p. 72) la dice in Basilicata. Il secondo esempio è la bolla di Urbano II del 20 luglio 1099, Nel concedere ad Alfano di Salerno la dignità primaziale sulle arcidiocesi di Acerenza e Conza, il papa ricorda la grandezza di queste due chiese che “nei tempi passati meritarono dalla sede apostolica la dignità del pallio e l’autorità dei privilegi”. Cfr. UGHELLI, Italia Sacra, VII, Venetiis 1721, col. 394. 15 UGHELLI, Italia Sacra, VI, col 810. Sulla partecipazione di Itta alla richiesta, vedi S. AMMIRATO, Delle famiglie nobili napoletane, II, Firenze 1651, p. 9. 16 GAMS, Series Episcoporum Ecclesiae Catholicae, Ratisbonae 1873, p. 877. AGOCELLA, Storia di Conza, I, p. 77. Un’altra tappa sulla via della rinascita ecclesiale di Conza, prima del suo apogeo al tempo di S. Erberto, fu una donazione del conte Gionata che, malgrado i suoi rischiosi coinvolgimenti in ribellioni e colpi di stato, trovò il tempo nel 1161 di occuparsi della Chiesa. In quell’anno infatti il conte donò alla cattedrale di Conza la chiesa di S. Andrea, sita “inter territorium Compsanae civitatis et castri Petrae Paganae”17. Lo stesso conte però, avendo partecipato ad un’ennesima rivolta contro Guglielmo il Malo, l’anno dopo si dileguava e nessuno seppe più nulla di lui. L’Acocella avanza l’ipotesi che l’arcivescovo beneficiario della donazione di Gionata sia non Roberto, come suppone l’Ughelli18, bensì S. Erberto19. Dal documento non si evince il nome dell’arcivescovo, tuttavia ha ragione nel ritenere poco probabile che Roberto sia vissuto tanto a lungo. Ha torto però nel supporre che il vescovo sia proprio S. Erberto, Dovrebbe trattarsi di un vescovo, del quale si ignora il nome, e che abbia governato la diocesi tra l’uno e l’altro. Che non si tratti di Erberto si deduce dal fatto che questi era electo nel 1168 o 116920. Ed è praticamente impossibile che sia rimasto eletto sin dal 1161. Lo stato di eletto, anche in circostanze eccezionali, era difficile che potesse prolungarsi per oltre due o tre anni. E vero, infatti, che il papato di Alessandro III fu alquanto movimentato, con un trasferimento a Parigi e la lotta contro il Barbarossa a proposito dei comuni lombardi, ma fu tutto sommato un papato con una notevole continuità. Anzi, sono ben documentati i rapporti di S. Erberto con questo papa. 17 UGHELLI, Italia Sacra, VI, col. 810-811. Anche ACOCELLA, Storia di Conza, I, doc. VI, pp. 131-132. 18 UGHELLI, Italia Sacra, VI, col. 811-812. 19 ACOCELLA, Storia dì Conza, I, p. 93. 20 L’Acocella (Ivi, p. 94, n. 1) fa notare la contraddizione in cui cade l’Ughelli, che a col. 807 riporta 1168, mentre alla col. 812 parla del 1169. A meno di una migliore spiegazione, penserei al tempo che ci voleva per un viaggio in Sicilia. Erberto potrebbe essere andato nel 1168 e tornato nel 1169. Di conseguenza non è possibile che Erberto fosse l’arcivescovo della donazione di Gionata nel 1161 ed essere ancora arcivescovo eletto nel 1168. Per cui, allo stato attuale della ricerca, bisogna dire che la situazione ecclesiale di Conza nel 1161 resta alquanto incerta, potendo trattarsi di sede arcivescovile “vacante” oppure con la presenza di un arcivescovo di identità sconosciuta (per mancanza di documenti che lo riguardino). La donazione di Gionata, in ogni caso, non è fatta all’arcivescovo ma al capitolo della cattedrale. Anzi, il conte è attento a specificarne lo scopo: “Concedimus et damus perpetualiter Ecclesiae Sanctae Mariae Episcopii Compsae pro victu Clericorum qui in eadem Ecclesia Compsana diu noctuque Deo deserviunt ad elaborandum et serviendum; tali conditione quod nullus Archiepiscopus hanc nostram donationem de mensa Clericorum alienandi habeat potestatem”21. In altre parole l’arcivescovo non ne è il beneficiario, se non in solidum con il capitolo. Anzi, viene specificato che nessun arcivescovo abbia il potere di togliere questo beneficio feudale che ha lo scopo di sostentare il clero che nella cattedrale prega giorno e notte. La mentalità cattolica invalsa dopo il concilio di Trento (1563) porta spesso a pensare che l’effettivo potere episcopale dipendesse dalla conferma papale. Nulla di più falso. L’autorità episcopale veniva esercitata immediatamente dopo la proclamazione pubblica da parte del clero della cattedrale. La consacrazione ufficiale da parte di vescovi delegati dal metropolita (nel nostro caso, di Salerno) era una ufficializzazione che rendeva pubblico il fatto che il vescovo in questione esercitava, il suo ministero in comunione col papa. Nel caso però di sede vacante del papato, oppure di un papa 21 Ivi, p. 131 impossibilitato a delegare la consacrazione, il vescovo era comunque nel pieno della sua autorità episcopale. Quindi, benché soltanto “eletto”, nel 1168 o 1169 Erberto era già nel pieno dei suoi poteri, come dimostra una delle poche bolle che nel XVIII secolo ancora si conservavano nella sacrestia della cattedrale22, vale a dire la bolla con la quale nel 1169 ordinava al vescovo di Muro Lucano Roberto, di consacrare la chiesa di S. Martino23. Ovviamente, come avveniva solitamente tra l’XI ed il XII secolo, ogni decisione dell’arcivescovo era presa in armonia col suo capitolo24. Per cui anche la consacrazione di S. Martino, sia che si tratti della cattedrale di Muro, come suppone l’Ughelli, sia che si tratti di S. Martino de Silere presso Calabritto, come vorrebbe il Gargano, era normale che procedesse da una disposizione congiunta dell’arcivescovo e del clero a lui più vicino. La cosa, tra l’altro, si spiega anche con la più che probabile assenza di S. Erberto da Conza. Infatti, la pergamena non è l’atto con cui S. Erberto ordina la consacrazione, ma la dichiarazione che dice che la consacrazione è avvenuta per ordine di Erberto e del capitolo. Forse Erberto era ancora in Sicilia per ottenere l’assenso regio. Al suo ritorno a Conza, forte dell’assenso regio e probabilmente anche della consacrazione papale (recezione del pallio), sul finire di quello stesso anno (1169), Erberto otteneva 22 GARGANO, Ricerche, p. 58. “Anno Domini nostri Iesu Christi millesimo sexagesimo nono, indict. II, dedicatum est hoc templum in honorem sancti Martini confessoris iussu Domini Herberti Compsanae Ecclesiae Venerabilis electi et totius Compsani Capituli a Roberto Muranensis Ecclesiae Antistite”. Cfr. GARGANO, Ricerche, pp. 58-59, 24 L’Archivio della Basilica di S. Nicola (Bari) ha numerose pergamene che dimostrano questo fenomeno, anche se non manca qualche caso in cui il vescovo decide per proprio conto. 23 da Roberto di Loritello, conte di Conversano e signore di Lavello, il diritto di pascere gli animali della chiesa conzana e prendere acqua nel territorio di Lavello25. Probabilmente, questo secondo successo in vista del miglioramento della situazione sociale del clero conzano, non fu troppo difficile. Infatti la dinastia dei Loritello, conti di Conversano, era stata sempre ribelle ai re di Sicilia. Questo piccolo atto di generosità, permetteva al conte Roberto di riscattarsi agli occhi del re. Il programma ecclesiale di S. Erberto tendeva dunque, attraverso un riassetto economico, a risollevare la situazione morale del clero, di modo che anche gli intenti pastorali venissero più facilmente raggiunti. Se il ricordo di lui nella popolazione restò a lungo come di un santo vescovo, è più che probabile che almeno in parte il programma pastorale di S. Erberto riscosse un certo successo. Già prima della consacrazione papale si era messo all’opera, scrivendo ai papa per avere lumi in situazioni socialmente ingarbugliate. Come si sa, papa Alessandro III era stato un professore di Diritto e molti suoi pronunciamenti si avviavano ad entrare nei testi ufficiali del Diritto canonico romano. Ci è pervenuto a questo riguardo un documento veramente singolare. S. Erberto gli scrisse sottoponendogli il caso di una fanciulla che si era sposata a dieci anni invece che all’età canonica (che era di almeno 12). Il marito non aveva saputo attendere ed aveva avuto rapporto carnale con lei. Un anno dopo, quando aveva ormai 25 UGHELLI, Italia Sacra, VI, col. 812; DI MEO, X, p. 338; GARGANO, Ricerche, p. 59: “Robertus comes Palatinus, comes Loretelli et Cupersani, et dominus Civitatis Lavelli (...) pro redemptione animarum dominorum Rogerii et Guglielmi, gloriosissimorum Regum et Dominae Alviliae (Alberiae) nobilissimae Reginae et domini ducis Rogerii (...) concedit Herberto, venerabili Consano Archiepiscopo et Ecclesiae Consanae, in perpetuum, ut omnia animalia dictae Ecclesiae tunc tempo ris et in futurum sine affidatura et exactione aliqua possint uti aquis et pascuis in tenimento Lavelli”. undici anni, la fanciulla aveva richiesto il divorzio. Data l’incertezza del diritto al riguardo, S. Erberto si rivolse per consiglio al papa. Probabilmente avvertiva la particolarità della situazione. Forse già era perplesso sul fatto che canonicamente ci si poteva sposare a 12 anni, ma che si scendesse ancora a dieci oli era un po’ troppo. Il papa gli consigliò di accertarsi bene delle circostanze. Se la giovinetta era stata consenziente, l’arcivescovo non avrebbe in alcun modo dovuto permettere il divorzio. Se invece fosse risultato che l’uomo l’aveva posseduta con la violenza, Erberto avrebbe dovuto subito emettere sentenza di divorzio26. Da notare però che la facilità con cui il papa parlava di divorzio, in questo come in altri casi, non deve trarre in inganno. Infatti il papa ammetteva sì il divorzio “ob solam fornicationis causam”, ma questo non voleva dire che la moglie che otteneva il divorzio poteva risposarsi. Essa non aveva che due vie, o riconciliarsi col marito o mantenersi casta (“continentie votum servare”). In caso contrario il vescovo avrebbe dovuto scomunicarla27. 26 Cfr. W. HOLTZMANN, Kanonìstische Ergänzungen zur Italia Pantificia V-X, p. 152, num. 204: “Alexander III Consano electo. De muliere, quam infra aetatem cuidam in diocesi tua nupsisse et ab eo infra X annum carnaliter cognitam fuisse audivimus, sed nunc in anno XI constitutam divorcium querere, licet contra naturam hoc esse noscatur, prudentie tue significatione presentium intimamus, quatenus, utrum post carnalem commixtionem in X anno vel in principio XImi vir mulieri placuisse seu consensisse videatur et cuius discretionis mulier sit, scilicet an aetatem maliciam suppleat, diligenter et studiose inquiras, et si ista vel maior pars horum concurrant, licet mulier in anno XI vel etiam XII reclamare dicatur, ipsos propter hoc ab invicem separari nulla ratione permittas, sed eos potius, sicut virum et uxorem decet, compellas districte cohabitare. Quod si virum mulierem per violentiam oppressisse nec eam sibi tunc consensisse constiterit sed potius in anno XI constitutam instantius reclamare, tu inter illos divortii sententiam non differas promulgare”. 27 Ivi, p. 152, num. 203 (lettera del papa al vescovo di Mottola). Intervenire a risolvere pastoralmente i problemi dei fedeli non poteva però essere compito solo dell’arcivescovo, che, anche a causa delle distanze dei paesi della sua archidiocesi, poteva conoscere solo i casi più eclatanti La sua sollecitudine pastorale sarebbe stata tanto più efficace nella misura in cui avesse coinvolto nell’opera di risanamento il suo clero. Cominciò così l’opera di sensibilizzazione, che però si presentava tutt’altro che facile. Ma Erberto, come si è detto, era un uomo di carattere, e non intendeva recedere, come dimostra una sua seconda lettera al papa quand’era ancora soltanto “eletto”. Ad Alessandro III S. Erberto chiese come comportarsi con i sacerdoti ricalcitranti e disobbedienti. Probabilmente, sin dal primo momento si era impegnato ad estirpare abusi e disordini nella sua diocesi. Incontrando diversi sacerdoti che vivevano in modo poco consono alle regole ecclesiastiche, li aveva sospesi a divinis. Quelli però avevano fatto orecchio da mercante, ed avevano continuato a celebrare. Alla sua richiesta in tal senso, il papa Alessandro III gli consigliò il pugno fermo» Gli disse di prendere uno di essi e di farlo entrare in un monastero di stretta osservanza e di fare penitenza. Il che sarebbe servito di esempio anche agli altri. Se si fosse rifiutato, avrebbe dovuto deporlo, ridurlo cioè allo stato laicale28. E da ritenere, anche a giudicare dal fatto che il popolo conzano lo ricordasse come santo, che Erberto seppe coniugare la severità con la bontà. Era necessario riordinare ecclesiasticamente la diocesi e quindi costringere i preti ad una più vissuta religiosità, ma era anche importante che tale scopo 28 Ivi, p. 153, num. 204 b. “Sacerdotes autem illos, qui infra tuam diocesim post interdictum tuum in eos canonice promulgatum excommunicati divina etiam celebrare presumunt, ad tempus secundum discretionem tibi a Deo datam suspendas et unum illorum, qui gravius deliquerit, ad terrorem aliorum aliquam religionern disctrictam intrare compellas et eum ibidem peccata sua facias penitentia condigna deflere aut ipsum perpetuo deponas”. fosse raggiunto mediante strumenti consoni al ruolo di pastore della diocesi stessa. 4. Il conflitto con Ruggero di Laviano Un episodio caratteristico della vita di S. Erberto, particolarmente rivelatore del suo carattere è certamente quello dello scontro con il feudatario Ruggero di Laviano, da identificarsi forse con Ruggero di Balvano, figlio del conte di Conza Filippo. Va detto subito che, senza che cambi il quadro per quanto qui ci interessa, tale identificazione resta a livello di ipotesi. Come di ipotesi si tratta quando si parla dei conti di Conza nel ventennio 1160-1180, Infatti vi sono due tesi al riguardo. Una prima vede come conte di Conza Riccardo, figlio del filonormanno Gilberto di Balvano (+ 1156), ma che l’Acocella suppone figlio di Gionata29. Una seconda considera conte di Conza il filosvevo Filippo di Balvano (cugino di Gilberto)30, succeduto in tale titolo dal figlio Ruggero e poi da Rao. Ma con Rao siamo già oltre il 1200. Resta il problema della titolarità della contea nel periodo 1168-1181, il periodo dell’episcopato di S. Erberto. Bisogna accontentarsi dell’esemplificazione dell’Acocella che vede la contea nelle mani di Ruggero de Medania per tutto il periodo di Erberto, o le cose sono più complesse e la contea si sposta dalle 29 L’Acocella pone come conti di Conza Riccardo di Balvano, supposto figlio di Gionata, che nel 1167 si era ribellato a Guglielmo il Buono ed era stato privato della contea di Conza, concessa a Ruggero de Medania, ma reintegrato nel titolo di “comes Consie” nel 1191, in quanto così figura in un documento di Enrico VI del 17 giugno 1191. Cfr. ACOCELLA, Storia di Conza, I, p. l07. 30 La Jamison congettura che conte di Conza sia stato Filippo, e dopo di lui i figli Ruggero prima e Rao poi (Cfr, E. JAMISON, Admiral Eugenius of Sicily, his Life and work and the Authorship of the Epistola ad Petrum and the Historia Hugonis Falcandi Siculi, London 1957, p. 321, riportato in CUOZZO, I Normanni p. 430, nota 53 e p. 431, nota 56). mani dei figli di Gilberto a quelle dei figli di Filippo cioè da un ramo all’altro della famiglia Balvano. Saperlo ci avrebbe aiutati a comprendere con chi ebbe effettivamente a che fare S. Erberto. Non è tuttavia da escludere che la contea sia stata nominalmente nelle mani di Ruggero di Madama, e che il governo reale sia stato esercitato dallo stesso arcivescovo di Conza, Atteniamoci comunque ai fatti. Il feudatario in questione è Ruggero di Laviano, giovane signorotto che doveva nutrire un. certo spirito religioso31, ma che, confortato forse dallo scontro in corso fra il Barbarossa e il papa Alessandro III, pensò di approfittarne non versando le decime all’arcivescovo di Conza. Il classico scontro fra stato e chiesa nella sua applicazione locale. Gli storici locali ricordano che lo stesso Ruggero di Laviano, che negli, anni settanta si scontra con S. Erberto, riemerge nel 1184 in buoni rapporti col successore di Erberto, Gervasio32. In realtà egli ricompare ancora in un documento del 6 dicembre 1199 (stilato a Capua) che riporta la riscossione da parte del cancelliere imperiale Marco vai do di un “magnum thesaurum” dal monastero di Montevergine. Dato che in quei giorni Ruggero di Balvano fece un prestito allo stesso monastero, è stata avanzata l’ipotesi che Ruggero di Balvano e Ruggero di Laviano siano la stessa persona33. La cosa è plausibile, in quanto i conti normanni erano soliti intitolare la loro signoria non dal titolo principale, 31 Ci è pervenuta la notizia del suo intento di costruire la chiesa di S. Maria e che l’arcivescovo Gervasio, successore di Erberto, nel 1184 gli concesse la facoltà, a patto di corrispondere alla mensa arcivescovile cinque libbra di cera all’anno. Cfr. UGHELLI, Italia Sacra, VI, col. 812. 32 Ivi. 33 Archivio di Montevergine, perg. n. 1065, in G. MONGELLI, Regesto delle pergamene dell'Abbazia di Montevergine, I, Roma 1956, nr. 1065; per l’identificazione dei due personaggi, vedi JAMISON Admiral Eugenius, p. 154, nota 2. ma dalla cittadina coinvolta nell’atto in questione. Era quindi abbastanza normale che Ruggero di Balvano (se si tratta di lui) nell’intraprendere una causa a proposito di Laviano, si firmasse come Ruggero di Laviano. A rafforzare la tesi dell’identità del personaggio c’è anche il caso in questione. Con il potente Ruggero di Balvano lo scontro diventa comprensibile. Alquanto incomprensibile diverrebbe l’azione dimostrativa di Ruggero nel saccheggiare una chiesa dell’arcivescovo di Conza, se fosse stato un semplice signore di Laviano, invece che di una vera e propria contea (che poteva essere S. Angelo dei Lombardi, come pensa la Jamison, o Conza stessa). L’episodio ci è noto da una lettera del papa Alessandro III che, rispondendo ad un’altra di S. Erberto, lo chiama “venerabile fratello Erberto, arcivescovo di Conza” il che porta a datare la lettera intorno allarmo 1175, quando ormai da vari anni Erberto aveva ottenuto la conferma papale, Alessandro III diceva espressamente di rispondere alla lettera con la quale Erberto lo informava di aver preso provvedimenti di disciplina ecclesiastica nei confronti di un feudatario appartenente alla sua diocesi. Il provvedimento di scomunica dei preti di quel paese si era reso necessario dal fatto che Ruggero si era rifiutato di pagare le decime all’arcivescovo. Non solo i preti non avevano tenuto conto della scomunica di S. Erberto, ma Ruggero si era permesso di mandare suoi funzionari ad impadronirsi di una chiesa della diocesi e di asportare tutte le cose che vi erano. Se, come sembra, Ruggero di Balvano era il signore di Laviano (e non pagava le decime della sua terra di Laviano), Erberto venne a trovarsi di fronte un personaggio di altissimo rango. Addirittura giustiziere imperiale nel 1196, una ventina di anni prima (al momento del contrasto col santo arcivescovo di Conza), Ruggero doveva essere nei fiore degli anni ed estremamente ambizioso. Figlio di Filippo di Balvano, sembra che ottenesse dal padre la contea di S. Angelo dei Lombardi, mentre Filippo si riservava quella di Conza34. Ci si potrebbe chiedere: se Ruggero di Balvano rifiutava di pagare le decime della sua città di Laviamo, perché non si rifiutava ugualmente per le altre città? La spiegazione si trova forse nella particolare situazione ecclesiastica di Laviano nel contesto dell’archidiocesi di Conza. Infatti, risulta (anche dal Catalogus Baronum) che Gilberto di Balvano aveva parecchi feudi (Cisterna, Armaterra, Vitalba, Rocchetta S. Antonio, Lacedonia e Monteverde) oltre ad una “comestabulia” corrispondente ai territorio della contea di Conza. Ecclesiasticamente essa comprendeva le diocesi di Montemarano, Frigento, Lacedonia, Bisaccia, Monteverde, S. Angelo dei Lombardi e Nusco, oltre a parti delle diocesi di Salerno, Avellino e Benevento, Delia diocesi di Conza comprendeva la parte settentrionale (Caposele, Calabritto e Santomenna), ma non Laviano, E forse è qui la chiave del mistero, del perché Ruggero, mentre pagava le decime per le altre cittadine della diocesi, si rifiutava di pagarle per Laviano, che non faceva parte della comestabulia. Ma a S. Erberto non interessava la divisione amministrativa del territorio. Interessava la diocesi, e Laviano era nella sua diocesi e quindi era tenuta comunque a pagargli le decime. Nelle prime battute della lettera, il papa riassumeva la vicenda come l’aveva riportata l’arcivescovo di Conza: Scrivevi nella tua lettera che, non volendo il suddetto Ruggero darti la decima, tu hai disposto che nella sua terra non si celebrassero più i divini uffici, ma che i cappellani dello stesso Ruggero, andando contro la tua proibizione, hanno continuato a celebrare l’ufficio divino. A causa di tanta presunzione tu li hai colpiti con la scomunica, ma essi per tre mesi, come tu dici, hanno persistito in questo stato di scomunica, mentre il suddetto 34 JAMISON, Admiral Eugenius, p. 321, nota 2. Il tono con cui Enrico Cuozzo riporta tali ipotesi fa pensare ad una certa accettazione. Cfr. Cuozzo, I Normanni, pp. 430-431. Ruggero si intratteneva amichevolmente con loro a tavola, condividendo cibo e bevande. Inoltre, lo stesso Ruggero mandò ad una certa tua chiesa ì suoi baglivi, che si sono violentemente impossessati delle chiavi ed hanno portato via dalla chiesa e dalla canonica tutta la suppellettile. Quando poi per il tramite dei tuoi canonici lo hai ammonito a ravvedersi, egli ne tenne carcerati due dal mattino alla sera. Poiché dunque per generale decreto incorrono nella sentenza di scomunica tutti coloro che si rivolgono con mani violente contro ì chierici, con questo scritto apostolico demandiamo alla tua fraternità che, se lo stesso Ruggero ha raggiunto una tale audacia della sua superbia, senza dargli ulteriore occasione di appello, pubblicamente con le candele accese dichiaralo scomunicato e che come tale sia proibito ogni contatto con lui, fino al momento in cui non faccia tutto quello che è necessario a soddisfare l’ingiuria arrecata, versi a te la decima di cui ti ha privato e restituisca, tutte le cose che ha sottratto alla suddetta chiesa. Poi, munito di tue lettere che certifichino tutto ciò, si presenti alla sede apostolica35. Purtroppo non si conosce come la vicenda andasse a finire. Il contesto storico porterebbe a concludere che almeno 35 “Alexander ep. serv. serv. Dei. Venerabili fratri Her(berto) Consano archiepiscopo. A. Intelleximus ex litteris tuis, quod Rogerus de Laviano parro-chianus tuus districtione compellas. b. Adiecisti insuper in litteris ipsis, quod, cum in terra predcti Rogeri pro eo, quod decimam tibi dare nolebat, divina prohibuisses officia celebrari capellani eiusdem Rog(eri) contra prohibitionem tuam divina ibi celebraverunt officia. Quos pro tante presumptionis excessu vinculo fecisti exeommunicationis astringi, sed ipsi per tres menses, sicut asseris, in exeommunicatione perstiterunt et prefatus R. eis in mensa et cibo et potu communicavit. Preterea idem R. ad quandam ecclesiam tuam suos bailivos direxit, qui claves ecclesie violenter ceperunt et res ecclesie de ecclesia et de domo ecclesie violenter asportaverunt, Cum autem per canonicos tuos ipsum ad emendationem sollicite monuisses, ipse duos eorum tota die usque ad vesperam in sua detinuit captione. Quoniam igitur ex generali decreto sententiam exeommunicationis incurrunt, qui in clericos manus iniciunt violentas, fraternitati tue per apostolica scripta precipiendo mandamus, quatenus, si prefatus R. in tantam audaciam sue presumptionis prorupit, eum contradictione et appellatione cessante, publice accensis candelis exeommunicatum denunties et facias sicut exeommunicatum vitati, donec passis iniuriam congrue satisfaciat et tibi subtractam decimam solvat et res prescripte ecclesie cum integritate restituat et cum litteris tuis ad apostolicam sedem satisfacturus accedati”. In HOLTZMANN, Kanonistische Ergänzungen, pp. 153-154. fino a che Erberto era in vita, Ruggero fu costretto a sottomettersi. L’arcivescovo di Conza era infatti in troppo buoni rapporti sia col re che con il papa, ed è quindi poco probabile che Ruggero potesse spuntarla. A giudicare dal fatto che il successore di S. Erberto nel 1184 stabilisse buoni rapporti con Ruggero e che lo stesso Ruggero raggiungesse poi alti gradi nella gerarchia politica imperiale sveva, c’è da ritenere che il braccio di ferro non. fu di poco conto. Del resto, questa reticenza a pagare le decime alla chiesa, versione a livello locale dello scontro m corso ira papa e imperatore, s’inserisce bene nella tendenza di politica filoimperiale di Filippo di Balvano e dei suoi figli, Ruggero prima e Rao poi. Quanto alla personalità di S. Erberto, il precedente episodio dei sacerdoti indegni da lui colpiti con la sospensione a divinis, lo rivela uomo dal carattere energico e deciso. La sua forte personalità emerge da questo episodio di scontro con Ruggero di Laviano, in cui emette una seconda sentenza di scomunica, quale che sia stato l’esito della vicenda. 5. Il concilio Lateranense III (1179) Un importante punto fermo nella vita di S. Erberto è la sua partecipazione al concilio Lateranense III (5-22 marzo 1179), un concilio ricordato soprattutto per i primi provvedimenti contro le fiorenti eresie della Francia Meridionale, ma che è importante anche sotto altri aspetti. I decreti conciliari riflettono notevolmente l’impostazione di fondo di papa Alessandro III, già professore di diritto, il quale, scomunicando l’imperatore Federico Barbarossa, aveva messo un’ipoteca sul primato del Romano Pontefice, spianando la via ad Innocenzo III. Pochi anni prima Graziano aveva pubblicato la sua Concordia discordantium Canonum, meglio nota come Decretum. Quasi contemporaneamente Pietro Lombardo pubblicava i suoi quattro Libri Sententiarum. L’uno e l’altro destinati a gettare le basi (il primo nel Diritto, i secondi nella Teologia) della metodologia scolastica medioevale. Il Concilio, conseguenza dell’Accordo fra papa e imperatore (Venezia, 1177), aveva il compito di sanzionare il nuovo ruolo della chiesa romana, che ormai non faceva più mistero di voler risolvere la dialettica fra sacerdotium ed imperium tutto a favore del primo. Alessandro III non riuscì ad imporre le sue vedute né nel campo del diritto (la sua visione del matrimonio non entrò nei decreti conciliari) né della teologia (non riuscì a fare condannare chiaramente la tesi di Pietro Lombardo secondo cui Cristo come uomo era nulla). Eppure, questo concilio porta tutta la sua impronta, con la Chiesa che si arma di un diritto a salvaguardia della sua struttura. Che è poi, in fondo, l’intento di S. Erberto a Conza: attraverso l’affermazione del diritto, dare continuità al progresso ecclesiale. Solo così si spiegano le sue lettere al papa per essere illuminato su alcuni punti concreti. Tra la fine di febbraio e gli inizi di marzo del 1179 confluirono a Roma circa un migliaio di persone per partecipare, ciascuno nella sua veste (religiosa o laica), al concilio previsto in un’aula adiacente alla Basilica di S. Giovanni in Laterano, Degli oltre 300 vescovi presenti il gruppo più folto fu proprio quello proveniente dall’Italia Meridionale (con 73 unità), seguito dall’Italia centrale (51) e dalla Settentrionale (39). Gli altri venivano dalla Francia (35), dalla Borgogna (25), dalla penisola Iberica (17), dalla Germania (16), dall’Oriente latino (8), dall’Ungheria (7), dalla Gran Bretagna (7), dall’Irlanda (6), e così via. La presenza di S. Erberto a questo grande consesso ecclesiastico è confermata dagli elenchi dei Padri che ci sono pervenuti36. Negli atti del concilio la chiesa conzana è messa in buona evidenza e, nel contesto degli elenchi dei vescovi che vi parteciparono, le vien data una specifica collocazione: Provinciae Compsanae. Al che segue l’Elenco dei vescovi di questa provincia ecclesiastica. 1. 2. 3. 4. 5. 6. Herbertus, compsanus episcopus Johannes, sancti Angeli de Lombardis episcopus Richardus, Bisaciensis episcopus Angelus, Laquedonensis episcopus Nicolaus, Montis Viridis episcopus Petrus, Satrianensis episcopus. Così non solo si ha l’elenco dei vescovi irpini, ma si ha anche un quadro delle diocesi suffraganee di quella conzana. E che S. Erberto fosse attento al mantenimento dell’ordinamento ecclesiastico, lo si è visto in più d’un caso. In un certo senso il canone che meglio esprime il suo punto di vista sul riassetto canonistico della Chiesa è il 12°: I chierici, dal suddiaconato in su, e anche quelli che sono ancora negli ordini minori, se vivono delle rendite ecclesiastiche, non devono esercitare l’avvocatura nelle cause dei tribunali civili, a meno che difendano la propria causa, quella della loro chiesa o quella di persone misere che non hanno la possibilità di sostenere le proprie ragioni. Nessun chierico, inoltre, sia autorizzato ad assumere funzioni amministrative o giudiziarie al servizio di principi o signori secolari. Chiunque violi questo decreto sia allontanato da ogni ministero ecclesiastico37. In altri termini, il sacerdotium completa la sua emancipazione rispetto all’imperium. Con questo canone il concilio decide il distacco del sacerdote dal mondo laico, E tale è anche il pensiero di S. Erberto. Se si pone attenzione, infatti, anche nel 36 Ctr. J. D. MANSI, Sacrorum Conciliorum, col. 215. Cfr. G. ALBERIGO (ed.). Storia dei Concili Ecumenici, Brescia 1990, p. 198. 37 caso di Ruggero di Laviano, più che con l’intraprendente feudatario, Erberto se la prende con i sacerdoti che vivono alla sua ombra. Invece di assumere un atteggiamento indipendente. E questo distacco dai potenti ha precisamente lo scopo di schierarsi con i miseri e i deboli. Certo, se uno considerasse l’impegno di Erberto a difendere i diritti episcopali soltanto come una questione di principio, il personaggio potrebbe essere considerato rispettabile ma certamente non Santo. Il fatto, Invece, che alla sua morte sia stato venerato come Santo dimostra che quei canoni che egli aveva contribuito a stendere erano per lui una lettera viva. Salvaguardare l’indipendenza del clero non era una preoccupazione corporativistica, ma aveva lo scopo di non legarsi troppo agli interessi dei signorotti per riservarsi la libertà e la possibilità di difendere il debole e il bisognoso. 6. Morte del Santo (1181-1184). La tomba e i miracoli Dopo una vita intensamente trascorsa per l’incremento spirituale e materiale del gregge a lui affidato dal Signore, Erberto morì pianto da tutti i conzani. La sua scomparsa va datata tra il 1181 ed il 1184, quando Conza fu scossa da un terribile terremoto38. E comunque non dopo il 1184, in quanto in questo anno un documento già menziona il suo successore, Gervasio39. Una tale datazione si accorda meglio con la tradizione orale locale sulla morte del Santo riportata dal Lupoli: Finalmente, carico di anni e di meriti, quasi desiderando di morire e di congiungersi a Cristo, divinamente avvertito sul giorno in cui sarebbe 38 E l’ipotesi del Di Meo, che a me sembra la più plausibile. E, tra l’altro, spiegherebbe l’atteggiamento arrendevole di Gervasio con Ruggero di Laviano, essendo cioè nel bisogno della ricostruzione. 39 UGHELLI, Italia Sacra, VI, col 812. morto, entrò nella cattedrale dove, mentre era intento a meditare sulle cose celesti, serenamente si addormentò nel Signore40. È vero che il Lupoli avanza l’ipotesi del 1181, ma sembra una sua aggiunta, per di più senza alcuna motivazione. Mentre è tanto più suggestiva, quanto più forse vicina alla verità, l’affermazione che S. Erberto sarebbe morto nel 1184 mentre pregava in cattedrale, sorpreso dal terremoto. Una morte che, al di là della sua vita virtuosa, potrebbe aver acceso di ammirazione e venerazione la fantasia dei conzani. Alla morte di S. Erberto, si pensò di dare degna collocazione alle sue spoglie nella stessa cattedrale dell’Assunta, per il prestigio della quale si era tanto adoperato. Invece di costruire un nuovo sarcofago si pensò di riutilizzare (cosa frequente a quel tempo) il sarcofago più rinomato che vi era. in quel momento nella chiesa, aggiungendovi probabilmente qualche decorazione scultorea, come ad esempio le teste di animali sui pilastrini del basamento41. Il sarcofago, alquanto arcaico nella sua configurazione semplice, sembra risalire al IX secolo, se non addirittura ad epoca anteriore. Formato di due pezzi, la sottostante grande vasca (cm 216 di lunghezza per 69 di larghezza per 66 d’altezza) 40 “Tandem, anno rum ac meritorum plenus, dissolvi iam cupiens et esse cum Cfaristo, quo die mortem ipse erat obiturus, divino instinctu admonitus, cathedralem Ecclesiam ingressus est, ubi coelestium rerum contemplationi intentus, placide in Domino obdormivit”. (LUPOLI, Synodus Compsana, p. 298). 41 E l’ipotesi di Daniela Mauro, che ritengo fondata: “Il sarcofago potrebbe appartenere alla fase preromanica dell’edificio ed essere stato reimpiegato per dare degna sepoltura alle spoglie dell’arcivescovo, del quale già si narravano i miracoli”. Cfr. D. MAURO, Nuove tracce della produzione scultorea nella Longobardia Minore, in “Rassegna storica salernitana,” n. s., II/ 2 (1985), pp. 91-108, in part. p. 100. e il coperchio “a capanna” poggiava su delle basi di una trentina di centimetri42. Sul sarcofago non vi sono iscrizione il che farebbe pensare che la “canonizzazione” popolare non sia avvenuta subito, ma qualche tempo dopo. E tale mancanza di iscrizioni è pure all’origine della difficoltà trovata dai conzani anni dopo a ritrovare il suo corpo, disperso per qualche evento drammatico. D’altra parte, anche ad ovviare a tale carenza, la sua fama di santità è rivelata in due iscrizioni già inglobate nel pilastro maggiore della cattedrale. La prima, quella che era incastonata in cornu epistolae diceva: “Perché continui a cercare? Le ossa del presule Erberto sono qui. Non startene lì fermo! Mettiti a pregare dal profondo del cuore! Questo padre e presule governò i conzani, e quelli che una volta resse ora li protegge dall’alto. O felicissima Conza, che custodisci le ossa di tanto presule, mentre le veneri cresce la tua lode. Anno del Signore 1118”43. La seconda, immurata in cornu evangelii, era una invocazione al Santo: “O Erberto, vescovo e almo Padre, proteggi i Conzani che vengono qui a venerare le tue ossa”44. 42 Per gli aspetti architettonici del sarcofago, vedi V. DE MARTINI, II sonno inquieto di Erberto, in “Il Mattino” 16 febbraio 1984, Cronaca di Avellino, p, 16; MAURO, Nuove tracce, P. Di FRONZO, L’arte sacra in Alta Irpinia, IV, Mercogliano 1998, pp. 18-21. 43 “Quo pergis sunt hic Herberti presulis ossa / quid cessas imo pectore funde preces / Hic Pater et presul comp(sani)s prefuit / olim, quod rexit tandem cernit / in arce poli felix Compsa nimis que ta / nti presulis ossa contegis, illa / colens non sine laude tua. A.D. 1118” 44 “Aspires Herberte tuis ve(ne) / rantibus ossa, / hic tua Compsanis presul / et alme Pater”. L’inizio della prima epigrafe è rivelatore di una circostanza particolare. Quella che vede i conzani alla ricerca del corpo di S. Erberto. L’autore dell’epigrafe taglia corto: è qui, è inutile cercarlo altrove. Una espressione che ben si addice ad una situazione creatasi a seguito di una catastrofe naturale (una guerra o un terremoto) che aveva provocato lo smarrimento della popolazione e quindi la dimenticanza della tomba del Santo. Mentre alcuni cercavano i corpi dei loro cari, altri si preoccupavano delle reliquie del santo patrono, volendole ritrovare per dare loro degna sepoltura. Purtroppo lènto re del 1113 non aiuta in alcun modo a chiarire l’anno della morte. L’opinione corrente è che sarebbe morto nel 1181 e che lo scalpellino abbia invertito l’1 e 1’8. Benché ingenua come spiegazione, non è facile dimostrarne l’infondatezza. Non si dovrebbe però escludere la possibilità che l’iscrizione sia stata composta cento o duecento anni dopo, magari ancora una volta dopo lo sbandamento di un terremoto, quando effettivamente si era persa memoria dell’epoca in cui Erberto era vissuto. Tanto più che questa seconda interpretazione giustifica meglio sia l’errore che il fatto che Erberto era già considerato un santo. Anche se non impossibile, è alquanto improbabile che, a distanza di pochi anni dalla morte, da una parte lo scalpellino abbia sbagliato la data, dall’altra nella cattedrale siano state apposte due epigrafi così glorificanti e in siti così prestigiosi. Le due epigrafi, pur rivelatrici della sua fama di santità, non danno notizia di miracoli avvenuti presso la sua tomba. Ma è probabile che guarigioni e grazie siano state attribuite alla sua intercessione, altrimenti non si spiegherebbe la “canonizzazione” popolare. Per avere notizia di miracoli specifici bisogna attendere la prima metà del XVI secolo. Il primo miracolo è l’aiuto prestato da S. Erberto ad una sua fedelissima devota, la contessa Isabella Ferrella. Figlia del conte di Muro, intorno al 1532 Isabella convolava a giuste nozze con il giovane Luigi, figlio del conte di Conza, Fabrizio. Isabella portava al futuro (1545) conte di Conza ricchi possedimenti, come la baronia di Montefredane nella Valle Beneventana. E con quelle ricchezze il futuro appariva abbastanza roseo (infatti nel 1543 avrebbero acquistato il principato di Venosa). Ma tante speranze erano rattristate dal fatto che poco dopo il matrimonio gli sposi scoprirono che Isabella non poteva avere figli. Immaginarsi la tristezza che avvolse gli sposi. Ma Isabella non disperò e quotidianamente andava a pregare presso la tomba di S. Erberto. Pochi mesi dopo si ritrovò incinta, e non solo ebbe un figlio, Fabrizio, ma dopo di lui vennero anche Carlo, Alfonso, Giulio, Sveva, Maria e Costanza45. E se Carlo morì giovinetto, grande fortuna ebbero gli altri figli. In particolare Alfonso che, come si sa, divenne arcivescovo dì Conza, cardinale di santa Romana Chiesa ed a Roma nunzio del re Filippo III presso il papa Gregorio XIII46. Parlando della possibile origine spagnola si. è già accennato ad un secondo miracolo avvenuto una quarantina danni dopo quello appena narrato. Trovandosi a Conza una compagnia di soldati spagnoli nei 1573, uno di essi, incuriosito dalla voce che il santo fosse d’origine spagnola, chiese ai canonici di aprire la tomba. Essi si rifiutarono, considerando il gesto sacrilego. Ma il soldato non si diede per vinto e con l’aiuto della spada cercò di aprire la lastra superiore. Vi riuscì, ma nel movimento si ferì seriamente. Alla vista del sangue, gli astanti cominciarono a gridare e ad invocare il Santo. Un canonico allora toccò devotamente le ossa del Santo con una corona e con questa la ferita del soldato. La guarigione del loro commilitone 45 C. DE LELLIS, Discorsi delle Famiglie Nobili del Regno dì Napoli, II, Napoli 1663, pp. 17-20. Vedi anche CIOFFARI, Calitri. Uomini e terre nel Cinquecento, Bari 1996, p. 8. 46 Su di lui vedi CIOFFARI, Calitri. Uomini e terre, pp. 945. spinse i soldati spagnoli a comportarsi bene con la popolazione conzana. Un tentativo di riordino delle reliquie, a partire dalla cripta, lo fece proprio l’arcivescovo Alfonso Gesualdo il quale promosse delle ricerche e degli scavi nella cripta, riponendo tutte le reliquie in un armadio che fu collocato nella sacrestia. La Cronista Conzana aggiunge anche che in esso vi sta anco conservata l’indulgenza di Calisto II come diremo appresso, come l’autentica della consacrazione di detta chiesa consacrata da Roberto, vescovo di Muro, per ordine di S. Herberto arcivescovo di Conza all’hora eletto nell’anno 116947. Col tempo, la fantasia popolare aveva intanto creato la leggenda che chiunque avesse osato aprire quel sarcofago e disturbare il sonno del santo patrono sarebbe morto nel corso di quell’anno. L’arcivescovo Gaetano Caracciolo sfidò due volte questa credenza popolare. Una prima in segreto, quando si limitò a chiamare un “mastro fabricatore che vi scavò e ritrovò molt’osse sotto” e senza toccarle lo richiuse; una seconda, il 23 marzo 1684, quando l’aprì pubblicamente dopo aver fatto preannunciare la cerimonia. I conzani accorsero in massa, essendosi sparsa la voce che l’arcivescovo volesse portare altrove il corpo del Patrono. L’autore della Cronista Conzana dice che i conzani “si quietorno, quantunque detto monsignore ne prendesse diverse reliquie”48. E da ritenere che la protesta si facesse sentire a lungo, e che solo dopo molti anni i cittadini si siano rassegnati, sollevati in parte da quei “sacri soperletteli, candelieri, carte di gloria e giarre d’ottone assai belle”49, come pure dal fatto che il suddetto sarcofago fosse collocato al centro 47 CC, libro I5 cap, V, discorso I, f. 54. Ivi, f. 53. 49 Ivi. 48 del presbiterio50. Ed effettivamente l’arcivescovo Caracciolo prese varie iniziative per dare lustro al santo Patrono, con istituire processioni, stampare immagini, e mettendo la sua effigie nel suo stemma. Fece fare pure una statua del Santo, ponendogli al dito il vero anello che aveva prelevato dalla sua tomba. Con il Caracciolo, il cui esempio fu seguito dai suoi successori sulla cattedra arcivescovile, iniziava dunque un periodo di rinascita del culto di S. Erberto. 7. Conclusioni La figura di S. Erberto si staglia abbastanza bene nel quadro del regno di Guglielmo il Buono, sostenitore della politica di papa Alessandro III, tendente a ridurre le prerogative dell’imperatore Federico Barbarossa. Il suo nome, d’origine anglosassone, era già ben assestato nell’Irpinia del tempo, ed è quindi probabile che fosse nativo di Conza o delle vicinanze. Nato dunque intorno al 1120, e cresciuto nel clero conzano, era entrato forse a far parte del capitolo verso il 1160, dopo di che i canonici nel 1168 lo elessero loro arcivescovo. L’assenso di Guglielmo il Buono nel 1169 gli permise di avviare un programma di riforme morali e disciplinari nel clero conzano. Un programma che vide l'appoggio autorevole del papa Alessandro III, che precedentemente era stato professore di diritto. Onde, le lettere di S. Erberto a questo papa vanno viste non solo come fedeltà al papa legittimo, ma anche come effettiva richiesta di consiglio pastorale. La partecipazione di S. Erberto al concilio Lateranense III (1179) è un ulteriore conferma di quanto avesse a cuore la riforma della Chiesa e soprattutto la liberazione di essa dall’asservimento al potere imperiale. Probabilmente è su questo sfondo che si svolse il duro scontro con Ruggero di Laviamo, 50 Cfr. CC Aggiunta doppo la morte dell’Authore, in RICCIARDI, La cattedrale di Conza, in questo stesso volume. che si rifiutava di pagare le decime alla mensa arcivescovile, L’appoggio sia del re che del papa fanno pensare ad un successo di S. Erberto, anche se poi, con l’avvento degli Svevi, Ruggero otterrà importanti riconoscimenti. Non vi sono elementi per determinare con certezza l’anno della sua morte, che molti pongono al 1181, pensando tra l’altro che tale supposizione sia avvalorata dal presunto errore dello scalpellino nell’epigrafe sull’arco maggiore della cattedrale, che scrive 1118. Ma forse è più accettabile come data della sua morte quel fatidico anno 1184, quando, mentre egli era In preghiera nella cattedrale, fu sorpreso dal terremoto, chiudendo gli occhi nel Signore, Come molti santi di epoca normanna, e tutti quelli di epoca precedente, S. Erberto non è stato canonizzato dalla Chiesa romana, ma soltanto dal popolo del quale egli fu pastore sollecito. Certamente, nella memoria del popolo per secoli restarono i suoi miracoli, ma il santo patrono di Conza non trovò II suo biografo che ne tramandasse il ricordo nel secoli. Persino la Cronista Conzana si limita a riportare soltanto due miracoli, quello a favore di Isabella Ferrella, che da sterile riuscì per la sua devozione ad avere parecchi figli, e quello a favore dell’intraprendente soldato spagnolo che volle aprirne il sarcofago, e feritosi fu guarito. Di conseguenza, anche per lui vale ciò che si è verificato per la maggior parte dei santi antichi e medioevali: molte cose si sanno, ma, per la maggior parte, i suoi meriti sono noti soltanto a Dio. La cattedrale di Conza ai tempi di monsignor Gaetano Caracciolo e la rinascita del culto di S. Erberto EMILIO RICCIARDI *La cattedrale di Conza1 fu innalzata prima del 1344 nell’area occupata in età romana dal foro della città; più volte distrutta dai tanti terremoti che funestarono l’Irpinia, fu ogni volta ricostruita. Le notizie disponibili sulla chiesa prima del XVII secolo sono scarse e incerte, poiché le carte del Quattro e del Cinquecento dedicano poche righe alla città e nessuna alla Abbreviazioni e sigle: ADSAL S. Angelo dei Lombardi, Archivio diocesano ASN Napoli, Archivio di Stato CC Cronista Conzana 1 Su Conza della Campania cfr. ADSAL, ms. del 1691, D. A. CASTELLANO, Cronista conzana (parte del manoscritto è riportata in G. CHIUSANO, La Cronista conzana, Conza della Campania 1983); F. UGHELLI, Italia sacra, II ediz., VI, Venezia 1720; F. SACCO, Dizionario geografico-istorico-fisico del regno di Napoli, I, Napoli 1795; L. GIUSTINIANI, Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli, IV, Napoli 1802, p. 122; F. P. LAVIANO, La vecchia Conza e il castello di Pescopagano, Trani 1924; V. ACOCELLA, Storia di Conza, I, Il gastaldato e la contea fino alla caduta della monarchia sveva, estratto dagli “Atti della Società Storica del Sannio” Benevento 1927-1928; G. GARGANO, Ricerche storiche su Conza antica, Avellino 1934; V. ACOCELLA, Storia di Conza, II, La contea dalla dominazione angioina al Vicereame, estratto da “Samnium” 1942, 1945, 1946, poi in volume, Napoli 1946; G. CHIUSANO, Memorie conzane, Lioni 1969; A, CESTARO, Le diocesi di Conza e Campagna nell’età della Restaurazione, Roma 1971; G. FELICI, Il principato di Venosa e la contea di Conza dai Gesualdo ai Boncompagni Ludovisi, a cura di A. Capano, Venosa 1992; E. RICCIARDI, Conza in Campania dopo il terremoto del 1694, in “I Beni Culturali. Tutela e conservazione” 1/1997, pp. 16-18. Conza della Campania, cattedrale – lato Nord Ovest – situazione attuale Conza della Campania, cattedrale – lato Sud Est – situazione attuale chiesa2. Uno dei primi documenti in cui si accenna alla cattedrale è di pochi anni successivo al sisma del 1627: Consa, che è arcivescovato et in altri tempi fu Città grande, appena hora conserva la chiesa metropolitana per la celebratione delle fontioni arciepiscopali, essendo nel resto desolata. Gl’abitanti son pochi (...) La chiesa è assai bella, ove sono le sepolture degli antichi Signori Gesualdi conti di Consa (...) Il territorio è grande e bello a meraviglia, ma per carestia d’huomini e bovi non è coltivato3. Gli atti delle visite pastorali datano da metà Cinquecento, e tra la fine del Seicento e l’inizio del secolo successivo esistono altre quattro descrizioni che possono aiutare a chiarire l’aspetto della cattedrale nel periodo a cavallo tra i due terremoti del 1694 e del 1732. L’ultima di esse5 contenuta in un manoscritto inedito di inizio Settecento, permette inoltre di precisare il ruolo che l’arcivescovo Gaetano Caracciolo4, titolare della diocesi dal 1682 al 1709, ebbe nella diffusione del culto di S. Erberto, patrono di Conza e arcivescovo della città tra il 1169 e il. 11815. 2 Cfr. E, RICCIARDI, Conza in età moderna, I - Dal 1494 al 1696, in “Il Calitrano”, n.s. 11 (1999), pp. 13-17. 3 Roma, Archivio Boncompagni - Ludovisi, prot. 274, parte III, n. 18 [1637], riportato in FELICI, Il Principato di Venosa. 4 Gaetano Caracciolo, del ramo dei duchi di Belcastro, nacque nel 1656 a Napoli da Tommaso e da Vittoria Sersale. Fu il cardinale Innico Caracciolo, arcivescovo di Napoli, a proporlo alla guida della cattedra conzana e a consacrarlo arcivescovo nel 1682 nella cattedrale di Napoli. Giunto in sede, a Santomenna, riceve il pallio dalle mani dello zio materno Carlo Gargano, vescovo di Belcastro, e resse la diocesi per ventisette anni, fino alla sua morte, avvenuta nel 1709. CC, libro I, capo IV, discorso I, ff. 4243; cfr. anche F. UGHELLI, Italia sacra, II ediz., VI, Venetiis 1720, col. 827-828. 5 Su S. Erberto cfr. A. BALDUCCI, in Bibliotheca Sanctorum, IV, Roma 1963, p. 1295, s.v., a cui si rimanda per la bibliografia. 1. La Cronista Conzana e le altre descrizioni della cattedrale Come è noto, la più importante fonte sulla storia di Conza e sulle terre della sua diocesi è la Cronista Conzana, scritta intorno al 1691 da Donato Antonio Castellano6; l’opera, dedicata all’arcivescovo Gaetano Caracciolo, di cui Castellano fu vicario generale, raccoglie una gran mole di informazioni7; l’autore descrive anche la cattedrale secentesca, della quale ricorda che, prima del restauro intrapreso dall’arcivescovo Caracciolo, “era a un certo uso antico mal acconcia bassa, et oscura”8. L’aula inoltre era umida e appariva affollata di altari, sepolture e altre superfetazioni che si erano stratificate nel corso degli anni e che, a giudizio di Castellano, la rendevano indecente. Anche dopo i terremoti del 1561 e del 1627, che di certo resero necessari lavori di riparazione e di consolidamento delle strutture, gli interventi architettonici nella chiesa furono pochi e di piccola entità, a causa delle scarse risorse economiche della mensa arcivescovile: già al tempo del cardinale Alfonso 6 Donato Antonio Castellano, nato a Bagnoli Irpino da una famiglia originaria di Teora, fu vicario generale sotto monsignor Caravita e alla morte dell’arcivescovo resse la diocesi per nove mesi in qualità di vicario capitolare. Nel 1685 fu prescelto come vicario generale anche da monsignor Gaetano Caracciolo. Si ignora l’anno della sua morte, CC, libro I, capo IV, discorso II f. 49. 7 Sulla cattedrale cfr. G. FRATIANNI, La cattedrale di Conza, Note archeologiche e architettoniche, in “Civiltà altirpina” n.s., 1990/2, pp. 8-14; RICCIARDI, Conza in età moderna. 1; ID, Conza in età moderna. 2 - Una descrizione del 1713, in “il Calitrano” n.s., 12 (1999), pp. 12-14; ID., Conza, S. Maria Assunta, in Santuari della Campania, a cura di U. DOVERE, Napoli 2000, pp. 329-330. 8 Questa e le altre citazioni del presente paragrafo sono tratte da CC, libro I, capo V, discorso I, ff. 50-57. Gesualdo9 arcivescovo della città dal 1565 al 1572, era stato necessario ridurre il capitolo., una volta composto da una trentina di persone, a soli 12 canonici, poiché “per la tenuità della sua rendita et anco per la pessima residenza nessuno ve aspira”. La Cronista Conzana, descrivendo la cattedrale, elenca diversi altari antichi demoliti nel corso del Seicento, come la cappella di S. Antonio di Padova, nella quale fu sepolto l’arcivescovo Salvatore Caracciolo (1S724S73)10; la cappella di S, Margherita, dove “in un muro era pittata l’effigie di detta santa assieme con quella di S. Donato, e S. Francesco di Paula”11; e la cappella della Maddalena, che esisteva nella cattedrale al tempo dell’arcivescovo Fabrizio Campana 9 Su Alfonso Gesualdo cfr. C. D’ENGENIO CARACCIOLO, Napoli Sacra, Napoli 1623, p. 26; B. CHIOCCARELLI, Antistitum praeclarissimae Neapolitanae Ecclesiae catalogus, Neapoli 1643, pp. 354-355; UGHELLI, Italia Sacra, I, col. 148, 243 e 274, e VI, col. 167 e 822; G. SPARANO, Memorie istoriche per illustrare gli atti della S. Napoletana Chiesa, I, Napoli 1768, pp. 269-273; G. MORONI, Dizionario di erudizione storicoecclesiastica, XXX, Venezia 1845, p. 107; L. PARASCANDOLO, Memorie storico - critico - diplomatiche della Chiesa di Napoli, IV, Napoli 1849, pp. 101-107; S. D’ALOE, Storia della Chiesa di Napoli, Napoli 1861, pp. 584585; V. ACOCELLA, Storia di Calitri [1946], r. a., Calitri 1984, pp. 246248; A. VACCARO, Carlo Gesualdo principe di Venosa, L’uomo e i tempi, Venosa 1989, pp. 25-31; G. CIOFFARI, Calitri. Uomini e terre nel Cinquecento, Bari 1996; S, FECI, in Dizionario Biografico degli Italiani, LIII, Roma 1999, pp. 488-492, s.v. ; E. RICCIARDI, Alfonso Gesualdo (1540 -1603), in “il Calitrano” n.s., 20 (2002), pp. 4-8; ID., Appunti per una biografia di Alfonso Gesualdo (1540-1603), in “Archivio Storico per le Province Napoletane”, CXIX (2003), pp. 149-171. 10 Questa cappella era stata ricostruita intorno al 1670 dall’arcidiacono Francesco Erberto Gallo, un dotto sacerdote di Conza che era stato vicario generale di tre arcivescovi (Rangone, Campana e Lenzio) e vicario capitolare alla morte di ciascuno di essi; ai tempi di Castellano della cappella era rimasto solo il luogo spoglio che una volta accoglieva l’altare. CC, f. 56. 11 Ivi. (16534667), lo stesso prelato che aveva fatto riparare i danni causati dal terremoto del 162712. Nel 1668 l’arcivescovo Jacopo Lenzio (16684672) fece demolire altri quattro altari, intitolati al Crocifisso, alla Trinità, a S. Maria del Soccorso e all’Annunziata, mentre nel 1680, per volere di monsignor Paolo Caravita (1673-1681), si diede inizio alla costruzione di un nuovo campanile, riutilizzando le pietre tratte dalla pavimentazione stradale di età romana e da un “tempio d’idoli (...) ch’era circondato di bellissime pietre d’intaglio”; vicino al tempio c’èra un cimitero medievale, “vulgarmente dimandata la Carnalia” che godeva del beneficio di un’indulgenza concessa dal papa Callisto II13. 12 La visita pastorale condotta nel 1658 dall’arcivescovo Fabrizio Campana contiene una breve descrizione della cattedrale, nella quale sono ricordati il fonte battesimale all’ingresso della chiesa, la sacrestia con le reliquie e la porta che conduceva alla cripta di San Menna, l’altare maggiore intitolato alla Vergine Assunta con le lampade sempre accese davanti a un’antica tavola raffigurante la Vergine titolare, l’altare di S. Maria della Pietà “in cornu epistolae (…) in quo adest icona magna ex tela effigie eiusdem virginis decorata” la cappella di S. Maria della Scala “cum statua eiusdem virginis ex stucco sub quadam lamiola subtus organum” e con una sepoltura, la cappella di S. Maria della Gaggia “in quo adest lamia magna sita in quadam cupula, et in medio (…) est statua lignea deaurata posita in nicchio, et huiusinde (…) icona adsunt cornices, et columnae deauratae” l’altare di S. Margherita, con l’immagine della santa insieme a S. Donato e a S. Francesco di Paola. Seguivano gli altari di S. Nicola, di S. Maria Maddalena, della SS. Trinità e della SS. Annunziata, con immagini consumate dall’antichità, poi l’altare di S. Erberto “quod est remotum intus latere ecclesiae quadam lamiolam latere dextro ecclesiae” con il corpo del santo arcivescovo racchiuso nel sepolcro marmoreo, infine gli altari di S. Maria degli Angeli, di S. Antonio di Padova e di S. Bernardino. E descritta anche la cripta di S. Menna, nella quale “adest altare absque ulla statua, seu effigie”. Infine il campanile con cinque campane. (ADSAL, Vìsite pastorali Arcivescovo Fabrizio Campana, ff. 1-10 [1658]). Ringrazio mons. Tarcisio Gambalonga che mi ha dato la possibilità di consultare i documenti dell’Archivio diocesano di S. Angelo dei Lombardi. 13 “Da quest’indulgenza ne accadeva in tempi antichi, che sin dal Cilento venivano gli cadaveri di defonti cristiani, che in tempo che vivevano L’intervento più radicale di tutto il XVII secolo si deve all’arcivescovo Gaetano Caracciolo, il quale, appena entrato in possesso della diocesi, ordinò che fossero tolti dalla chiesa tutti i piccoli altari, tra cui quello di S. Maria della Scala, legati a benefici di cui si era persa la memoria. Così, scriveva Castellano, “hoggidì oltre il detto altare maggiore non vi è rimasta altra cappella se non che quella delli signori conti di Conza, quella di Santa Maria della Caccia ed’altra del soccorpo di Santo Menna”. Dopo i lavori, la chiesa, rifatta nelle coperture e negli intonaci, si presentava a tre navate divise da archi su pilastri a base quadrata, con la navata centrale larga il doppio delle navate laterali e conclusa da un’abside semicircolare, secondo un modello comune agli impianti basilicali di derivazione cassinese diffusi in tutta la Campania in età romanica, Nell’aula superiore rimanevano solo l’altare maggiore e due altari laterali; al primo, intitolato alla Madonna della Gaggia e di patronato dell'Università di Conza, afferiva una confraternita che ne amministrava le entrate, ridotte ai tempi di Castellano “a pochissima rendita”. Il secondo altare, intitolato a S. Maria delle Grazie, si trovava in testa alla navatella destra, nella cappella gentilizia dei Gesualdo, antichi signori di Conza, della quale Castellano ricorda il quadro d’altare “con l’effigie della Madonna Santissima delle Grazie con l’anime dei Purgatorio fatto fare in Roma dal signor cardinal Giesualdo” e i “due depositi di marmo finissimo con gran architettura disegno, e scultura”, che racchiudevano i corpi di Luigi III Gesualdo (m. 1515) e di sua madre Costanza di Capua, moglie di Sansone Gesualdo (m. s’erano dispost’in testamento, che se fossero sepeliti in detta chiesa di Conza, così lo dice Pescara nella sua visita, et in una certa strada, e collina verso Teora vi è una certa fontana, nella quale per traditione se dice, che prendevano riposo coloro, che portavano il morto, e perciò sin’al presente giorno se dimanda la Fontana delli Morti” (CC. f. 54). 1484). II sepolcro di Fabrizio Gesualdo era decorato da “quattro statue delle quattro virtù assi belle” mentre su quello della madre, di fattura più semplice, c’era l’immagine della defunta. La cripta della chiesa, testimonianza superstite della fabbrica di età romanica, ospitava un piccolo altare sotto il quale la tradizione voleva fosse sepolto il corpo di S. Menna; monsignor Caracciolo approfittò dei lavori nella chiesa per tentare uno scavo nella cripta, alla ricerca delle spoglie del santo14. La trasformazione più importante tra quelle volute da Caracciolo fu lo spostamento del sepolcro di S. Erberto, che fino a quel momento si trovava “dentro una cappelluccia assai piccola nel lato destro del ingresso della chiesa”. L’arcivescovo fece aprire in segreto la cassa di pietra lavorata che racchiudeva il corpo del santo, sfatando “l’antica voce che correva che il primo che il vedeva haveva da morire in quel anno”, e ne prelevò diverse reliquie, tra cui l’anello, poi collocato al dito di una statua di legno commissionata dallo stesso prelato. Quindi ordinò di trasferire il sarcofago sotto l’altare maggiore e il 23 marzo 1684, nel corso di una solenne cerimonia, fece aprire di nuovo la tomba, questa volta alla presenza di tutto il popolo, per procedere alla, ricognizione canonica delle spoglie. L’apertura di detto tummolo fu la seconda volta alli 23 di marzo 1684 (...) nella quale successero gran rumori, atteso che quelli pochi conzani, benché bona parte infermi, corsero tutti in chiesa, et huomini, et donne, col sopposto che detto monsignor arcivescovo volesse trasferire detto corpo santo in altra terra, ma poi si quietorno quantunque detto monsignore ne prendesse diverse reliquie. Hoggidì si ritrova detto altare maggiore non solo arricchito di detto corpo santo, ma anco ornato di sacri soperletteli candelieri carte di gloria, e giarre d’ottone assai belle15. 14 “In tempo rifece la chiesa monsignor Caracciolo vi fu un mastro fabricatore che vi scavò, e ritrovò molt’osse sotto che non fe’ toccarle facendo serrare l’apertura con delibera di vederle appresso, che sin’ora non si sono viste.” (Ivi). 15 Ivi, f. 53. Sebbene non si trattasse di un vero ammodernamento, come di certo avrebbe desiderato il dinamico arcivescovo, alla fine del XVII secolo la cattedrale doveva apparire agli occhi dei conzani molto diversa da quella che per secoli avevano visto i loro antenati: completamente rinnovata, rilucente di arredi sacri e soprattutto con il sepolcro di S. Erberto al centro del presbiterio. Ma pochi anni dopo il terremoto del 1694 radeva al suolo la chiesa insieme con la città e con molti paesi vicini; ecco come lo racconta un cronista del tempo: La diocese di Gonzo ha patito notabilmente, potendosi dire, senza esageratone, che quel monsignor arcivescovo Caraccioli sia divenuto pastore senza ovile, per esser rimaste la maggior parte delle sue terre a lui sottoposte distrutte da questa disgrada (...) Conza può dirsi che più non vi è, e la sua chiesa maggiore di S. Giberto non si conosce ove era16. Nella cattedrale rimasero in piedi solo il coro e alcune cappelle. La violenza del sisma fece crollare la copertura della cappella Gesualdo e i marmi che decoravano i sepolcri furono impiegati per ricostruire l’altare maggiore e quello dedicato a S. Maria di Loreto, della famiglia Mirelli, i nuovi proprietari della città17. 16 Vera e distinta relazione dello spaventoso e funesto terremoto accaduto in Napoli e parte del suo regno il giorno di 8 settembre 1694 (...) et in particolare nelle tre Provincie di Principato Ultra, Cifra e Basilicata..., Napoli-Roma 1694, pp. 4 e 5. 17 Appendice, doc. 1, riportato in RICCIARDI., Conza in età moderna. 1, pp. 1546. L’arcivescovo Caracciolo promosse subito la ricostruzione della chiesa. Del nuovo edificio, di dimensioni più contenute rispetto alla fabbrica precedente, resta la descrizione del “tavolario” Giuseppe Di Gennaro18, che visitò Conza nel. 1717; la nuova cattedrale era “formata alla moderna, con tré navi, divisa con archi e pilastri di buon disegno, e proportione, coverta quasi tutta di già a tetti, mancandovi solo l’intonico, ornamento di stucco, altari, e pavimento”19. La descrizione menziona anche la cripta con i corpi dei santi e la cappella dei Gesualdo, temporaneamente adattata a sacrestia: In testa di detta cappella vi è l’altare col quadro di Nostra Signora delle Gratie, di mediocre pittura, con cornice dorata, e parimente un’antichissima statua di legno di Nostra Signora, et altra di Santo Vito, e nelle mura laterali, e parte opposta di detto altare, sonovi vent’uno quadri con cornici negre, rappresentantino arcivescovi, che sono stati di detta Città, e per non esser finita la chiesa, in questa cappella ufficiano li reverendi canonici20. Questa è l’unica descrizione della cattedrale agli inizi del XVIII secolo, prima che il terremoto del 1732 la distruggesse di nuovo. La chiesa fu ricostruita nelle stesse forme dall’arcivescovo Giuseppe Nicolai (1731-1758)21 e poi definitivamente distrutta dal terremoto del 198022. 18 I “tavolati” erano i professionisti incaricati di redigere perizie e piante di beni immobili e dipendevano dal Sacro Regio Consiglio. Cfr. E STRAZZULLO, Edilizia e urbanistica a Napoli dal ‘500 al ‘700, Napoli 1968, pp. 31 ss.. 19 Appendice, doc. 2, riportato in E. RICCIARDI., Conza in età moderna, 2, pp. 12-14. 20 Ivi. 21 Cfr. UGHELLI, Italia sacra, VI, col. 801. 22 Sulla cattedrale odierna, ricostruita a valle dell’antico insediamento, cfr, S. DI LIELLO - P. Rossi, Le cattedrali della Campania. Architettura e liturgia del Concilio Vaticano II, Milano 2003, pp. 136-137. Giuseppe Florio, 1759, S. Erberto, argento, dopo il restauro, Conza della Campania, cattedrale. Andrea Miglionico, inizi XVIII secolo, L’arcivescovo Gaetano Caracciolo benedice i fedeli, olio su tela, già in S. Andrea di Conza (AV), Chiesa procattedrale di S. Michele (Nusco, Museo diocesano di arte sacra). 2. L’arcivescovo Caracciolo e il culto di S. Erberto Della Cronista Conzana esiste una seconda copia manoscritta, conservata in una biblioteca privata. E un volume in ottavo, rilegato in pergamena, al quale però mancano circa duecento pagine (quelle che descrivono le terre della diocesi). Nonostante sia mutila, questa copia è di grande interesse, poiché contiene una Aggiunta doppo la morte dell’Authore23 (il che fa pensare che Donato Antonio Castellano fosse rimasto vittima dei terremoto). L’ignoto cronista24, le cui capacità di scrittore non sembrano all’altezza di quelle del suo predecessore, intende celebrare, non senza una certa enfasi retorica, i meriti dell’arcivescovo, non essendo sufficienti, a suo giudizio, le notizie già fornite da Castellano; ma il dato più importante che emerge dalla lettura dell’Aggiunta, al di là delle notizie di storia e di architettura che pure non mancano, è il ruolo di primo piano che monsignor Caracciolo svolse nel promuovere in tutti i modi e con tutti i mezzi la devozione verso S. Erberto. Dal manoscritto emerge il profilo di un presule volitivo e dinamico, che non appena giunto in sede promuove un radicale ammodernamento della cattedrale, nella quale i suoi predecessori avevano speso ben pochi soldi, trasformandola “in un tempio, che emulava i più magnifici s’amirano non dico nelle città circonvicine, ma delle più cospicue del regno” e arricchendola di arredi e paramenti sacri “di pretiosità mai veduta in questi luoghi”25. 23 Appendice, doc. 3, Aggiunta doppo la morte dell’Authore, ff. 411420. Il manoscritto mi è stato segnalato dall’ ing. Emilio Cicoira, che qui ringrazio. 24 L’autore dell’Aggiunta, scritta intorno al 1709, potrebbe essere don Giuseppe Bozza, che aveva sostituito Castellano nella carica di vicario generale. Oppure l’arcidiacono Michele Natale, vicario generale e poi vicario capitolare tra il 1709 e il 1716. 25 Aggiunta ff. 411-413. Come sottolinea il cronista, Caracciolo fu il primo vescovo a investire tanto denaro in una diocesi che, sebbene ricca di storia e grande di estensione, aveva perso, a causa della posizione decentrata e delle scarse rendite, l’importanza avuta in passato. L’attivismo del prelato si manifestò anche nel fondare nuove chiese, oltre che nel far scavare cripte e aprire sepolcri per cercare testimonianze di santi dell’antichità, sia a Conza, sia nelle altre terre della diocesi. Una volta individuato in S. Erberto il personaggio sul quale concentrare la propria attenzione, l’arcivescovo ne promuove la venerazione tra i fedeli della diocesi con una strategia che lascia impressionati per la coerenza e la determinazione. Per prima cosa Caracciolo fa trasferire la tomba del santo “nel luogo più decente che v’è in chiesa, che appunto è l’altar maggiore”26; poi, nel corso di una solenne cerimonia, fa aprire il sepolcro davanti ai fedeli, badando che ci sia un grande “concorso di cittadini della città, e delle terre convicine”. Preleva dal sacro deposito molte reliquie, e non manca di regalarne una al suo biografo e vicario Castellano, che ricorderà nella sua opera il dono con parole colme di gratitudine; infine commissiona una statua lignea di S. Erberto, al dito della quale fa collocare l’anello doro preso dalla tomba del santo, A differenza dei suoi predecessori, che di solito non risiedevano in città per il clima malsano, Caracciolo si fa costruire un’abitazione utilizzando alcune stanze sotto il campanile e collegandole alla cattedrale attraverso una scala. Tutti gli anni è a Conza per celebrare di persona la festa del santo patrono “con grandissima pompa e assistenza de’ preti più riguardevoli della diocesi vestiti di paramenti sacri, e con più chori di musica”, e alla solenne funzione prendono parte “migliaia e migliaia di persone, concurrendovi non solo dalle 26 Ivi. terre convicine, ma da paesi lontanissimi (…) le confessioni, e comunioni sono di più migliaia”27. Negli inventari della cattedrale non si rinviene mai, prima di monsignor Caracciolo, alcuna suppellettile con la figura del patrono; i vescovi precedenti si limitavano ad apporre il proprio stemma sugli arredi che avevano commissionato. Al contrario Caracciolo, consapevole del potere persuasivo delle immagini, prima commissiona la statua del santo, poi fa stampare la sacra effigie in più copie e le distribuisce con le sue mani ai fedeli, infine regala alla cattedrale numerosi arredi sacri dove, accanto al suo stemma, è raffigurato S. Erberto28. E nelle occasioni più solenni i fedeli vedono l’arcivescovo vestito di paramenti preziosi decorati con l’effigie del santo patrono, seduto su un trono sul quale è ricamata la stessa immagine. Dalle suppellettili della cattedrale viene prelevata, per ordine del prelato, una preziosa mitra “di tela d’oro a specchio antica” per sistemarla “alla testa del corpo di S. Herberto”, mentre davanti allattare viene collocato un paliotto “di tela palumbina con ricamo di argento donato a S. Herberto dal signor principe della Torella a rechiesta di monsignor arcivescovo”29. L’azione di autoglorificazione che Caracciolo condusse attraverso il culto di S. Erberto fa passare in secondo piano altri aspetti meritori del suo episcopato, come la riforma del clero di quella diocesi, intrapresa sull’esempio di un altro prelato della stessa famiglia, il cardinale Innico Caracciolo, che pochi lustri prima aveva promosso la stessa riforma nella diocesi di Napoli. La prassi di legare il proprio nome a quello di un santo, promuovendone o rafforzandone la venerazione da parte dei fedeli, era abbastanza diffusa tra gli ecclesiastici. Per citare solo due esempi, basti pensare all’arcivescovo normanno Arnaldo, 27 Ivi. CQ f. 51. 29 Ivi, f. 52. Il principe di Torella in quegli anni era Marino Caracciolo. 28 che nell’XI secolo organizzò la traslazione ad Acerenza delle spoglie di S. Canio, antico vescovo di Atella, contribuendo alla diffusione del culto del santo in un’ampia zona tra la Campania e la Basilicata30; o all’azione dei prelati di casa Carafa a Napoli, che nel XV secolo fecero costruire nella cattedrale della città il succorpo in marmi preziosi per sistemarvi le ossa di S. Gennaro, trafugate in età longobarda, ritrovate secoli dopo nell’abbazia di Montevergine e riportate a Napoli, con una solenne cerimonia, dal cardinale Alessandro Carafa. Forse anche un altro grande arcivescovo di Conza, il cardinale Alfonso Gesualdo, aveva tentato un’operazione analoga con le reliquie prelevate dalla cripta della cattedrale e trasferite nella sacrestia31; tuttavia egli preferì legare il suo nome all’affermazione dei decreti del Tridentino e alla difesa dei privilegi della mensa arcivescovile, un’impresa più consona alla sua mentalità e al suo carattere. Né va dimenticato che Gesualdo era tutto sommato poco interessato a Conza, poiché, divenuto cardinale in giovanissima età e destinato a una luminosa carriera, ambiva alla diocesi di Napoli, che ottenne solo in tarda età. Un’operazione della portata di quella compiuta da Caracciolo richiedeva, come si è visto, un grande impegno, soprattutto dal punto di vista finanziario, ma il ritorno in termini di immagine era assicurato; né si può escludere che fosse lo 30 Cfr. A. VUOLO, Tradizione letteraria e sviluppo cultuale. II dossier agiografico di Canione di Atella (sec. X-XV), Napoli 1995; E. RICCIARDI, Da Aletta ad Acerenza. Il viaggio di S. Canio, in “il Calitrano” n.s., 13 (2000), pp. 7-9. 31 “Dicono ancora che nelle muraglie di detta chiesa sotterranea vi siano fabricate molte reliquie, e che il cardinal Giesualdo ne facesse scavar molte delle quali si sta formato un reliquiario, che sta riposto in sacristia dentro del quale vi sta anco conservata l’indulgenza di Calisto II come diremo appresso, come l’autentica della consacrazione di detta chiesa consacrata da Roberto vescovo di Muro per ordine di S. Herberto arcivescovo di Conza all’hora eletto nell’anno 1169”. (CC, f. 54). stesso prelato, al quale furono dedicate sia la Cronista Conzana sia l’anonima Aggiunta manoscritta, a sollecitare i suoi vicari affinché lasciassero ampia testimonianza della sua azione pastorale. Comunque siano andate le cose, l’operazione riuscì in pieno e da quel momento la devozione verso S. Erberto non conobbe pause; nel 1759 l'arcivescovo Marcello Capano Orsini, utilizzando il lascito destinato alla cattedrale da monsignor Giuseppe Nicolai, fece realizzare dall’orafo napoletano Giuseppe Florio il busto in argento del santo, pagandolo 1.630 ducati32, mentre nel 1767 i canonici della cattedrale di Conza celebrarono l’arcivescovo Cesare Antonio Caracciolo (17651776) facendo stampare un’acquaforte con l’effigie di S. Erberto che, nella gloria degli angeli, impartisce la sua benedizione alla città33. 3. Conclusioni Alla luce delle attuali conoscenze non è possibile stabilire in quale misura il culto dell’arcivescovo Erberto fosse affermato in Conza prima dell’episcopato di. Gaetano Caracciolo; nelle poche testimonianze di epoca precedente, anche quando si parla della cattedrale, non si accenna mai al santo patrono, e la chiesa è ricordata solo con il titolo di S. Maria Assunta. D’altra parte non si conoscono fonti agiografiche narrative su S. Erberto, che per questo motivo non 32 Cfr, E. CATELLO, L’arte argentana napoletana nel XVIII secolo, in Settecento napoletano. Documenti, a cura di E STRAZZULLO, I, Napoli 1982, pp. 47-62. 33 Alcune abrasioni visibili sull’iscrizione al di sotto dell’immagine fanno pensare che i canonici nel XVIII secolo abbiano riutilizzato la lastra fatta incidere al tempo di monsignor Gaetano Caracciolo, aggiungendovi il nome e lo stemma del nuovo arcivescovo. è recensito nella Bibliotheca Hagiographica Latina34, e dagli atti presenti presso la Sacra Congregazione dei Riti risulta che egli non è mai stato ufficialmente canonizzato dalla Santa Sede35. Dal XVII secolo i decreti restrittivi di Urbano VIII, volti a disciplinare le canonizzazioni e le elezioni di patroni, si limitavano, quando la fama di santità era fondata su una tradizione locale, a permettere solo il culto di santi venerati come tali da più di un secolo (culto ab immemorabili). Bisogna considerare Infine che l’epoca di monsignor Caracciolo fu caratterizzata da un gran numero di elezioni di nuovi patroni nel Regno di Napoli (oltre 400 tra il 1631 e il 1750), e non è improbabile che il dinamico prelato avesse pensato di seguire l’esempio delle principali città del Regno, che nel corso del XVII secolo avevano moltiplicato II numero di santi protettori36. La scelta di un vescovo come protettore di Conza, più che seguire gli esempi dei paesi vicini (S. Canio a Calitri, S. Leone a Cairano, S. Nicola a Teora) fu dettata dall’intenzione, da parte di Caracciolo, di legittimarsi come discendente di un tanto illustre predecessore, rilanciando un culto che forse col passare dei secoli si era affievolito. La tenace devozione che da oltre tre secoli lega i conzani al loro patrono resta a testimoniare il successo dell’azione pastorale dell’arcivescovo Gaetano Caracciolo. 34 Comunicazione personale del prof. Antonio Vuolo, che qui ringrazio. 35 Sacra Congregatio Pro Cultu Divino, prot. n. 123 del 28 maggio 1969, in Anno Erbertiano, VIII centenario della Elezione e della Consacrazione Episcopale di S. Erberto Arcivescovo di Conza (1169-1181), Napoli 1970, pp. 3-4. 36 Tra il 1600 e il 1750 in Napoli vi furono 28 nuove elezioni di santi patroni (che portarono a 35 il numero complessivo di protettori della città), ad Altamura 21, a Lecce 20. Cfr. J. M. SALLMAN, Santi barocchi, Lecce 1996. DOCUMENTI 1 ASN, Archivio Caracciolo di Torella, voi. 71, n. 9 [1696]. Detta città è decorata del titolo d’arcivescovo metropolitano, e tiene sotto di sé sette vescovi suffragatici, il qual arcivescovo tiene la giurisdittione civile, mista, delle terre di S. Menna, e S. Andrea, ed è signore del feudo rustico detto di Palo rotondo in giurisdittione del stato di Melfi, e tiene d’entrata detto arcivescovo annui ducati 4000 in circa» Dentro detta città vi è la chiesa arcivescovale, sotto titolo dì Nostra Signora dell’Assunta, ch’era fatta con buon disegno d’architettura a 3 navi, e con molte cappelle dall’una, e l’altra parte, però al presente è tutta diruta, e disfatta dall’ultimo terremoto sudetto, successo a 8 settembre 1694, e solamente è restato in piedi il coro, dietro l’altare maggiore con il tumolo, dentro il quale sta il corpo di S. Erberto, coll’altare sotto detto tumolo, nel quale si celebra, et è rimasta anco in piedi una cappella di ius padronato dell’antichi principi Gesualdi, conti di Conza dentro la quale vi sono due turno li di marmo fino con grande architettura, e con statue, dentro li quali stando riposti li cadaveri delli predetti conti di Conza Fabritio, et altri di Gesualdo, e di Costanza di Capua, della quale cappella per la scossa del detto ultimo terremoto se n’è caduta la sua lamia con una partita di muro, e dal presente è rimasta, scoverta, che per la magnificenza di detta cappella si doverla coprire, e ripararne il muro, cossi per l’antichità di essa, come per conservare l’altare privilegiato, che in detta cappella, sotto il titolo di Santa Maria della Gratia, nel qual altare si celebrano dalli reverendi canonici di detta chiesa arcivescovale due messe cantate la settimana, e due lette coll’elemosina di D. 90 l’anno, che si pagano dal padrone di detta città, e dette messe si celebrano per l’anime del quondam Fabritio, Luise, ed Antonio Gesualdo conte di Conza, che per esser scoperta la detta cappella si celebrano dette messe trasferite dall’ordinario nel detto altare di s.to Erberto. Nella detta chiesa arcivescovale vi sono molte reliquie colla sua sfera, pisside, e molti calici con patene d’argento, e diversi, e molti altri ornamenti di qualche valore. Il detto arcivescovo risiede nella terra di S. Menna della sua diocese. Viene servita, ed officiata la detta chiesa dalli suoi canonici con mozzetto violato sopra la cotta, quali canonici per prima erano al n° di 12, e fra essi quattro costituiti in dignità, cioè arcidiacono, cantore, arciprete, e primocerio, al presente non vi sono più di cinque canonici, tra li quali due dignità, cioè cantore, e primocerio, atteso gl’altri sono morti nel mese del sommo Pontefice, e nessuno se l’ha procurato per esser di poco frutto, e non vi è che un altro sacerdote in detta Città, ma bensì vi sono 4 clerici, ed un cursore, e detti canonici tengono di rendita annui D. 220 in circa fra tutti. 2 ASN, Notai del XVII secolo, scheda 1150, prot. 21, ff. 626 ss. [1717] Ritrovasi nella Città predetta la sua chiesa arcivescovile sotto il titolo di Nostra Signora dell’Assunta, nuovamente rifabricata, ma non compita, atteso che l’antica fu con buona parte della Città dal terremoto quasi tutta spianata» Al presente la nuova è formata alla moderna, con tré navi, divisa con archi, e pilastri di'buon disegno, e proportione, coverta quasi tutta di già à tetti, mancandovi solo l’intonico, ornamento di stucco, altari, e pavimento. In testa ritrovasi tribuna coverta à lamia, dov’è l’altare sopra il tumolo di pietra dura, sotto di cui oggi si conserva il corpo del glorioso S. Erberto protettore di detta Città, essendo veramente ammirabile vedere, che nelle mine di detta chiesa, Città e luoghi convicini, quella lamia sola, che copriva l’altare del corpo del Santo, dal terremoto rispettata venisse. Vedonsi quasi che tutti in pezzi i marmi della famosa cappella dell’illustrissimi principi Gesualdi, essendovi rimaste poche statue intiere, et una di esse di marmo assai fino, e di non ordinaria scultura, et una lapide con la seguente inscrittione Fabritius de Jesualdis Compsanorum Comes Aloysio Jesualdo Patri Compsanorum Comiti Felici Senecte Munere Vitam Consecuto fecit MDXXIV. Nella nave di detta chiesa, à destra ritrovasi scala di fabrica, per cui si cala al succorpo, diviso con pilastri, et archi di fabrica, con due rustici altarini, senz’apparato, et ornamento, dove dicono quei venerandi canonici esservi i corpi dei gloriosi Santi Menna e Martino. Ritornando al piano di detta chiesa, in testa della nave piccola dalla parte destra si ritrova porta per la qual si entra nella cappella, che oggi serve per uso di sacrestia, sotto il titolo di Santa Maria delle Grazie, dove era l’enunciata famosa cappella, e tumulo dell’illustre principe conte Fabrizio, e contessa Costanza di Capua, detta cappella è coverta à tetti, con soffitto di legname, et in essa ritrovasi stipo di legno dove si conservano lappatati usuali per la celebratione de Santi Sacrificij, tenendo ivi il solo preciso, e tutto il di più conservasi in Santo Andrea, con molti altri più nobili apparati, et argenti lasciati in detta chiesa dal fu ultimo monsignore Caracciolo arcivescovo di quella. In testa di detta cappella vi è l’altare col quadro dì Nostra Signora delle Gratie, di mediocre pittura, con cornice dorata, e parimente un’antichissima statua di legno di Nostra Signora, et altra di Santo Vito, e nelle mura laterali, e parte opposta di detto altare, sonovi ventuno quadri con cornici negre, rappresentantino arcivescovi, che sono stati di detta Città, e per non esser finita la chiesa, in questa cappella ufficiano li reverendi canonici, e ritornando alla sudetta chiesa, in testa della nave piccola dalla parte sinistra, vi è porta per cui si entra nella principiata, e non compita sacrestia. Vi è parimente la fonte battesimale rustica e non compita, Nell’atrio di detta chiesa sostenuto da grossa trave, per non esservi campanile vi sono quattro campane, una grossa, altra mezzana, e due piccole il dicui suono unito forma un buon accordo. Viene detta Città decorata della dignità d’arcivescovato, il di cui frutto passa annui ducati seimila, e vien servita da dodici canonici, con rendita d’annui ducati cinquanta incirca, quattro di essi sono dignità, cioè arciprete, primicerio, cantore, ed archidiacono, portando l’insegna di mozzetto violato. Vi erano in detta Città, e se ne vedono le vestiggia altre due cappelle sotto il titolo di Santo Rocco, e Santissimo Rosario, al presente da passati terremoti distrutti, essendovi solo fuori della Città alli piani una cappella dedicata à Santo Vito. Ritrovasi in detta Città per servitio de poveri cittadini e forestieri lo spedale, e monte, che somministra ancora alle povere donzelle qualche elemosina in grano per aiuto de loro maritaggi. 3 Ignoto del XVII secolo. Cronista Conzana. Aggiunta doppo la morte dell’Authore, s,d. [ma prima del 1709] Per dovuta corrispondenza di gratitudine, devesi tramandare apposteti quanto ha oprato, ed attualmente opera in beneficio di questa diocesi il nostro Arcivescovo don Gaetano Caracciolo, si’ perché ne resti la memoria, così anche i suoi successori le siano grati, riconoscendo le sue fatiche, che ridondano in loro beneficij per godersile per il lungo tempo come si augura dal Cielo, ed essere tenuti a pregare per l’anima doppo la sua morte; non meno, che i diocesani, giacché ne resta tutto in loro beneficio. Nella città di Conza Benché dall’Authore si sia notato qualche cosa, con tutto ciò non si è abastanza, né intieramente narrato, onde intraprendo la penna nel riferire distintamente il tutto, incominciando dal primo suo ingresso che prese il possesso del governo di questa chiesa, e cadde in punto a’ dì 24 giugno 1682, ed il tre luglio seguenti arrivò in diocesi, ove subito portatosi nella sua metropolitana sposa, la riconobbe così deformata, che non potè rattenere un umanissimo pianto; riconoscendola secondo quelle parole, che non erat ei species neque decor, e subbito prese a darvi di piglio per ridurla in stato convenevole per habitatione d’un Dio sacramentato, e per degna habitatione del glorioso S. Herberto suo predecessore, havendo anche la riflessione a la Celeste Gerusalemme, ove risiede la maestà di Dio; così non conveniva in Terra habitare Christo sacramentato in caverna macerie. Per la qual causa subbito diede di piglio alla ristauratione, ed abbellimento di detta chiesa metropolitana, facendovi, le suffitte dipinte, tutta intonacata di nuovo, lastrichi, e togliendo tutto quello, che la denigravano, la ridusse a un tempio, che emulava i più magnifici s’amirano non dico nelle città circonvicine, ma delle più conspicue del regno, a segno, che portava ammiratione a chi si sia < > spettatore consumandovi in detta opera più migliaia senza aver riparo a i debiti, che haveva contratto nella speditione delle Bolle, ed altro per il suo bisognevole, e fu terminata dett’opera fra due anni; quali finiti pensò < > il < > deposito del glorioso S.to Herberto nel luogo più decente v’è in chiesa, che appunto è l’altar maggiore, non senza rimuneratione, e gratitudine del detto santo verso di lui, permettendovi aprire la cassa marmorea, ove conservavasi il suo deposito. Privilegio non concesso a’ suoi predecessori d’alto merito, ed anche si contentò, se ne prendesse molte reliquie del suo corpo, e vestimenta pontificali che se ritrovarono, e specialmente l’anello, ed il bacolo pastorale, e detta funzione successe nel giorno del glorioso San Lorenzo 1684 con concorso di cittadini della città, e delle terre convicine. Della detta apertura non solo saccese nell'animo de5 fedeli la venerattione, ma una devotione particolare verso detto santo. Secondando il medemo santo la loro devotione nel impartirli un’infinità di grazie a tutti quelli che ricorrono a lui per intercessione appo di Dio di loro bisogni; concorrendovi giornalmente quantità di gente al suo sepolcro, non dico nella sua giornata festiva del suo natalizio, ove si numerano migliaia, e migliaia di persone, concurrentino non solo dalle terre convicine, ma da paesi lontanissimi, e quello, che più se ne ricava, che detto concorso è profittevole per l’anima, mentre le confessioni, e comunioni sono di più migliaia, per non dire che tutti i concorrenti si confessano, e comunichino; non havendo lasciato il detto arcivescovo Caracciolo suscitare maggiormente per quanto si è possibile per la sua opera di contribuirvi havendo fatta effigiare la sua santa imagine, e distribuirla a’ fedeli con le sue mani in detto giorno festivo ove non ha mai mancato desistervi per una lunga serie danni, che li veniva permesso dalla sua gioventù, celebrandovi pontificalmente, e con grandissima pompa e assistenza de’ preti più riguardevoli della diocesi vestiti di paramenti sacri, e con più chori di musica, e perché vi restasse un imagine viva del detto santo fece formare una statua, che benché non di metallo pretioso, ma di legno, contuttavia supera nell’eccitamento alla devotione a qualsivoglia pretiosità, come s’amira oggi arricchita con reliquia quasi insigne del detto santo. Sto tralasciando il meglio, che per suscitare detto prelato la devotione de’ fedeli verso detto santo non solo con le figure, come si è detto, ma maggiormente con l’espressione della voce ha quasi sempre sermoneggiato in sua lode, accompagnando all’armonia musicale la tromba evangelica. Né contento di vedere la sua diletta sposa adornata nelle mura, ed altro non ha mancato arricchirla de paramenti sacri, de quali era del tutto ignuda, non solo per lui, ma per li suoi assistente come attualmente s’osservano di pretiosità non mai veduta in questi luoghi, cioè a dire di racami, drappi doro, e d’argento di tutti lì colori < > di damasco verde, ed un altro cremisi trinato doro con tutte le sedie, e faldistorio, candilieri d’otone, edbgni altro requisito, che paresse renderla speciosa agl’occhi de’ riguardanti. Rimirando dunque nell’interno della sua sposa ridotta in qualche modo honorevole applicò nel di fuori facendo edificare una magnifica torre per campanile, e perché in dette giornate non si allontanasse dalla sua cara sposa, giacché per la malvagità de’ tempi non vi è permesso habitarvi continuamente vi edificò molte cammere con potervi commodamente dimorare, ed bavere l’ingresso nella detta chiesa per una scala antica, ma diruta, che vende di nuovo formata. Tralascio il di più che ha studiato fare in servitio della sua sposa, ove ha riposta tutta la sua applicatione, contentandosi spendere quasi il suo avere per vagheggiarla ornatam monilibus, et perfectam decore, acciò per non rendermi appassionato nell’esagerare le sue operationi, do pausa alla penna. Quando credeva godere i frutti delle sue fatiche, ecco per nostro insegnamento Iddio col terremuoto orribile abbatté il tutto .riducendo la chiesa, il campanile, le camere e tutto quanto séra studiato operare in un mucchio di pietre, e cadde appunto a dì 8 di 7mbre 1694 giornata lagrimevole non solo per detta città, ma per tutta quasi la diocesi, ed anche paesi convicini, che provarono l’effetti dell’ira divina; sicché il povero prelato con amare lagrime piangendo replicava le parole di Geremia quomodo desolata est civitas, e l’altre di Giobbe Dominus dedit, Dominus abstulit; mentre in un punto fatiche di più anni si osservarono ridotte in polvere; benvero devesi riflettere non porre fiducia ne stabilimento nelle cose terrene, perché nel meglio mancano, ma solo in Dio, che in eternum stat. Doppo sì crudele flagello non perdendosi d’animo il prelato, con fiducia in Dio diede di piglio alla ristauratione della chiesa, riducendola a forma più ristretta, ma adornata al possibile sul riflesso de pochi habitatori in detta città, non senza animo fermo ridurla alla primitiva forma, e forse migliore, e presentemente riconoscendo del tutto inhabilitato il fondamento della torre delle campane costruirlo in altro luogo più adatto, e commodo, con di più fare col tempo altre habitationi per commodo dellàrcivescovo. Né l’applicatione del detto prelato si è estesa solamente alla chiesa materiale; ma anche per quello che più importa alla formale, che vuol dire nel piantare virtù negl’ecclesiastici suoi sudditi numerandosi presentemente de professi da venticinque in trenta de dottori dell’una, e l’altra legge, e medicina allìaspettativa di maggior numero di giovane che attualmente sono nell’esercitio delle schuole; riforma de costumi, che devesi ammirare nello stato ecclesiastico, e tolto tutti quell’abusi disconvengono a chi è dedicato al servitio di Dio. Non parlo del suo zelo a defendere l'ecclesiastica immunità e giurisditione baronale delle due terre di S.to Andrea, S.to Menna del feudo di Palorotondo, che per l’immunità acclesiastica ha risestito a’ maggiori baroni posseggono feudi in diocesi, né hebbe ripugnanza scomunicare un suo nipote carnale assieme con un altro suo parente del medemo suo cognome per haver violato un luogo sacro nell’eccidio di sette foresciti; sicché si può dire che l’affetto del sangue, e parentela non l’hando ritardato dal vero zelo dell’honor di Dio, potendoseli applicare quella sentenza, non respexit carni, et sanguini; e per questo riflette alla difesa della mensa nel primanno del suo arcivescovato, essendo citato ad ostendendum titulum della possessione per le dette due terre nel mese canicolare arrischiò la sua vita portandosi in Napoli per la difesa, quale li costò e prezzo dì fatiche, e di denari; ritornandosene vittorioso in diocesi, che porta seco la sua quiete sopra tale affare, ma anche de’ suoi successori, che ritrovando scritture sufficienti, e soprabbondanti per chiarirne il dominio legitimo tiene la mensa sopra detti feudi, come anco dall’Authore sta notato in corpore di quest’opra a’ suoi luoghi. S. Andrea di Conza (Av) – ex Episcopio, oggi sede del Municipio, stemma dell’Arcivescovo Gaetano Caracciolo (1682-1709). La Cappella Santa Maria della Stella Mausoleo della famiglia Nicolai CLEMENTE FARESE Mons. Francesco Nicolai1 (1716-1731) ed il nipote, Mons. Giuseppe Nicolai (1731-1758), Arcivescovi alla guida dell’Archidiocesi di Conza2 per oltre 42 anni, dopo l’Arcivescovo Gaetano Caracciolo (1682-1709) sono stati i fautori, a più riprese, delle ultime fasi della riedificazione dell’antica Cattedrale3 di Conza seguite ai terremoti dell’8 settembre 1694 e del 29 novembre 1732. I due Arcivescovi sono degnamente ricordati nella Cappella Santa Maria della Stella in Adelfia - località Canneto4 (BA). L’originario borgo di Cannitum è ritenuto l’antica frazione e necropoli di Caeliae, importante città della Peucezia, 1 Il gentilizio è stato riportato con le seguenti varianti: Dinicolo De Nicolò, De’ Niccolò, De’ Nicolai, De Nicolai ed infine Nicolai. 2 Su Conza e sulla diocesi cfr. F. UGHELLI, Italia sacra, II ediz., VI, Venetiis 1720; F. LANZONI, Le origini delle diocesi antiche d’Italia, Roma 1923; V. ACOCELLA, Storia di Conza, I, Il gastaldato e la contea fino alla caduta della monarchi sveva, estratti dagli “Atti della Società Storica del Sannio”, Benevento 1927-1928: ID., Storia di Conza, II, La contea dalla dominazione angioina al Vicereame, estratto da “Samnium”, Benevento 1942, 1945, 1946; A. CESTARO, Le diocesi di Conza e di Campagna nell’età della restaurazione, Roma 1971. 3 Alla morte dell’Arcivescovo Gaetano Caracciolo (1079) proseguì la costruzione della Basilica metropolitana l’E.mo Cardinale Orsini, nominato esecutore testamentario, allora Arcivescovo di Benevento, eletto successivamente Papa Benedetto XIII. 4 Il Comune di Adelfia nasce dalla fusione dei due vicini Comuni di Canneto e Montrone con Regio Decreto n. 1903 del 29 settembre 1927. territorio corrispondente alla Puglia centrale. Sulla località poche notizie ci sono pervenute del periodo medioevale5. Da quanto riferisce il gesuita Cataldo Nicolai, estensore di una Pergamena del 1756 sulla storia locale6, le origini di Canneto risalirebbero al secolo XI, quando i Normanni, guidati da Roberto il Guiscardo, scesero in Puglia per combattere i Greci. Durante l’assedio di Barium, tra il 1067 ed il 10717, le milizie si accamparono nei pressi della città formando, in una località vicina in cui abbondavano macchieti di canne, un primo nucleo urbano che divenne poi il borgo cittadino di Canneto. Il dominio su quella terra fu concesso da Roberto ad uno dei suoi più valorosi cavalieri di nobile famiglia di Messina, Giosuè Galtieri ed in seguito trasferito al figlio Domenico. Alla morte di Domenico (1169), l’eredità di Canneto passò alla figlia Stella Beatrice Galtieri, sposata con il nobile napoletano Alfonso Balbiano. Fu quest’ultimo che nell’anno 1186, per la miracolosa guarigione della moglie, gravemente ammalata, volle costruire una Cappella sotto il titolo della “Madonna della Stella”, sul luogo di sepoltura dell’antenato cavaliere Galtieri. 5 Il primo documento storico in cui Canneto insieme al vicino Comune di Montrone è menzionato, è la bolla del papa Alessandro III del 28 giugno 1172 ove i due paesi figurano dichiarati sottomessi all’autorità dell’Arcivescovo di Bari. 6 C. NICOLAI, Origine di Canneto, ms del 1756. Il manoscritto è conservato presso il Comune di Adelfia con un’altra pergamena dello stesso autore, attinente alla storia della vicina Montone. Su Adelfia e Canneto cfr. anche F. BUONO, San Vittoriano, Frascati, 1927; L. STANGARONE, Adelfia – Cenni storici, Cassano 1981; G. SANTORO, Canneto e San Vittoriano, Bari 1984; L. STANGARONE, Adelfia – Stemmi e feudatari, Bari 1994. 7 Conza cedette all’invasione dei Normanni nel 1076. Le chiavi della Città irpina furono consegnate a Roberto il Guiscardo dall’ultimo gastaldo di Conza della stirpe longobarda. A partire da questo periodo, per il naturale ruolo strategico del sito e per i privilegi concessi, Conza divenne una delle più importanti Archidiocesi, la quindicesima Provincia Ecclesiastica in tutta l’Italia. Nel 1719, facendo un balzo di circa 500 anni, Carlo Nicolai dei Baroni di Arfavilla di Francia - I Marchese di Canneto8, comprò il feudo dall’allora detentore, Gian Giuseppe Gironda, con l’aiuto dei due fratelli emersi nella carriera ecclesiastica, Cataldo (gesuita) e Francesco (I Arcivescovo di Conza della famiglia Nicolai), dando inizio così allo stretto rapporto che da anni lega Canneto con la nobile casata9. Adelfia (BA), Cappella di Santa Maria della Stella, mausoleo della famiglia Nicolai (interno). 8 La terra di Canneto fu posseduta da Carlo e dai suoi successori con il titolo di Marchese ottenuto dall’Imperatore Carlo VI di Austria. 9 Fratello di Giuseppe Nicolai, II Arcivescovo di Conza della famiglia. Adelfia (BA), Santa Maria della Stella, stemma della famiglia Nicolai sulla lapide sepolcrale. D.O.M. GENTIS NICOLAJORUM / CINERES HIC QUIESCUNT / IMMUTATIONEM SUAM / EXPECTANTES BEATIOREM / (DO)NE(C) SE VOCET LETHUM / QUOS VITA IUNXIT / AD NOVISSIMUM DIEM / UTQ(UE) DOMICILIUM / INTERITURAE PARTIS / MONITUM FAMILIAE / EXCITARET MORTALITATIS / FRANC(ISCUS) PAUL(US) DE NICOLAI / EX BARONI(BUS) / ARPHAEVILLAE GALLIAR(UM) / CANNETI MARCHIO III / SEPULCRALEM HANC SEDEM / SUIS HEREDUMQ(UE) ARTUBUS / P.C. / ANN. CHR(IST) MDCCLXV A DIO OTTIMO MASSINO QUI RIPOSANO LE CENERI DELLA FAMIGLIA DEI NICOLAI, IN ATTESA DEL RISVEGLIO, NEL GIORNO DEL GIUDIZIO UNIVERSALE, QUANDO I CORPI SI UNIRANNO ALLE ANIME E SI PRESENTERANNO DINANZI A DIO PER RENDERE CONTO DELLE AZIONI COMPIUTE DURANTE LA VITA TERRENA. FRANCESCO PAOLO NICOLAI DEI BARONI DI ARFAVILLA DI GALLIA III MARCHESE DI CANNETO FECE FARE QUESTO SEPOLCRETO PER I SUOI EREDI E FAMILIARI NELL’ANNO DEL SIGNORE 1765 Nel 1756 Domenico Nicolai - II Marchese, rifece quasi interamente la Cappella trasformandola in Mausoleo di famiglia10. La pianta interna della chiesetta, semplice, è a navata unica a forma ellissoidale, strutturata su quattro pilastri reggenti la volta. La Cappella è stata in seguito arricchita da cinque monumenti sepolcrali, in pregiati marmi policromi, eretti in memoria di personaggi illustri della casata: Carlo - I Marchese di Canneto, Domenico - II Marchese, Francesco Paolo - III Marchese, Francesco (I Arcivescovo di Conza) e Giuseppe (II Arcivescovo Conza). Tranne quello dedicato a Francesco Paolo, posto al lato sinistro dell’ingresso della Cappella, ornato dagli scudi della famiglia Nicolai, gli altri quattro monumenti sepolcrali, in marmo finemente lavorato, figurano addossati ai quattro pilastri interni. Le sculture, impreziosite da elementi decorativi comuni, hanno tutte la stessa conformazione e la stessa fattura.11 Le opere sono state verosimilmente eseguite dalla mano dello stesso artista. Sul fronte della base di ognuna è scolpita una protome leonina ad altorilievo che sorregge, su marmo bianco, 10 “Sia quel che si voglia della origine della famiglia Nicolai e della Baronia di Arfevilla nel Delfinato, è indubitato che quella famiglia, al pari di moltissime altre, illustratasi con l’esercizio di uffici civili ed ecclesiastici o di libere professioni, giunse al possesso di ricchezze che le permisero di acquistare terre e titoli feudali. E’ probabile che i Nicolai di Bitetto abbiano avuto capo stipite quel Iacopo (…); è certo che Domenico Nicolai fu il capo di quella cospicua famiglia che, trasferitasi in Altamura verso la metà del XVII secolo e quivi mantenutasi per oltre cento anni, ebbe una serie d’individui che la illustrarono veramente, a cominciare da Francesco Vescovo di Capaccio e Arcivescovo di Conza…” O. SERENA, La famiglia Nicolai o De’ Niccolò, estratto dalla “Rassegna Pugliese”, (anno XVI) num. XII, Trani 1900, pp. 7-8. 11 La prof.ssa Angela Berardini segnala un monumento sepolcrale simile nella Cappella di S. Maria della Pietà o Pietatella dei Sangro in Napoli. l’iscrizione riguardante il singolo personaggio cui è dedicato il monumento. Sovrastante, segue il sarcofago di marmo grigio con baccellature in marmo giallo e su di esso, il busto marmoreo del defunto, sorretto da una base triangolare con protome umana, attorniata da corolle di fiori bianchi a rilievo. Ritroviamo i monumenti sepolcrali degli Arcivescovi di Conza Francesco12 e del suo successore Giuseppe Nicolai in luogo preminente della Cappella, nella parte anteriore dell’abside in fondo alla navata, fatti realizzare dai nipoti Giovanni Battista, prelato domestico del Papa Clemente XIII e da Francesco Paolo - III Marchese di Canneto. Francesco Paolo nel 1765 fece anche costruire il sepolcreto gentilizio della famiglia, come risulta dalla lastra tombale, originariamente posta al centro della navata della Cappella, a chiusura dei locali interrati13. La lapide è stata successivamente rimossa e, da alcuni anni, riposizionata con un vetro di protezione sul pavimento in prossimità della balaustra fra i due monumenti degli Arcivescovi di Conza. Sulla lapide appare inciso lo stemma di famiglia. Ai due lati dell’ingresso della Cappella, sorretta da mensoline, figurano incassate a muro due pile acquasantiere14 del sec. XVIII, a forma di conchiglia con intradosso buccellato in marmo grigio. Su entrambe le pile, ad ornamento delle stesse, campeggiano, incassate alla parete due scudi con stemma vescovile in marmo bianco. Gli stemmi contengono gli stessi elementi a rilievo che caratterizzano lo scudo in pietra di Mons. 12 Un altro busto marmoreo del sec. XVIII raffigurante Mons. Francesco Nicolai, proveniente da Sant’Andrea di Conza, è attualmente custodito presso i depositi della Soprintendenza in Calitri (AV). 13 I locali non risultano attualmente accessibili né risultano documentate precedenti esplorazioni o ricognizioni. 14 Le due acquasantiere sono di grandezza inferiore a quelle esistenti fino al terremoto del 23 novembre 1980 nella Cattedrale di Conza, addossate ai primi due pilastri d’ingresso. Giuseppe Nicolai collocato, fino al 23.11.1980, sulla facciata della Cattedrale di Conza15. In Adelfia esiste inoltre un’altra Chiesa (Matrice), fatta riedificare dalle fondamenta da Francesco Paolo - III Marchese di Canneto. Non sfugge la circostanza della sua consacrazione avvenuta il 14 giugno 1761 per mano del Vescovo di Lacedonia Mons. Nicola De Amato16, lo stesso Vescovo che un decennio prima (16 maggio 1751) consacrò la Cattedrale di Conza, ricostruita nel 1736 da Mons. Giuseppe Nicolai17 dopo il disastroso terremoto del 1732. 15 Attualmente posizionato nella nuova Concattedrale ricostruita nel nuovo centro urbano. Sull’arco trionfale della Cattedrale di Conza, fino al 23 novembre 1980, figuravano realizzati in stucco altri due stemmi identici andati distrutti con il crollo dell’abside. Nella Chiesa di San Sabino in Canosa (BA), poggiata sulla lapide posta a ricordo della ristrutturazione della chiesa del 1699 ad opera di Mons. Francesco Nicolai, è esposto un altro scudo in pietra dello stesso Arcivescovo, simile ai precedenti accennati, integrato da un’aquila ad ali spiegate e da protome umana. 16 Nella Chiesa Matrice vi è l’iscrizione che ne ricorda la consacrazione: “D.O.M. / FRANCISCO PAULLO DE NICOLAI / TERRAE CANNETI MARCHIONI III / QUOD HANC MATRICEM ECCLESIAM A FUNDAMENTIS REAEDIFICATAM / HAC PER LAQUEDONIAE EPISCOPUM D. NICOLAUM DE AMATO SOLEMNITER CONSECRATAM / DIE XIV MENSIS JUNII ANNO DOMINI MDCCLXI / PROPRIIS PENE SUMPTIBUS LIBERALISSIMA PIETATE EXTRUXERIT AMPLIAVERIT ATQU: EXORNAVERIT / UNA TANTUM CAPPELLA SUB TITULO, SS:MI CRUCIFIXI QUAE DE JURE PATRON:TUS IN SUA FAMILIA HERI DEBEA / PRAE SINGULARI ANIMI MODESTIA SIBI VINDICATA / SACERDOTIBUS CAPITULARIBUS AD TRIA ANNIVERSARIA QUOLIBET ANNO IN PERPETUUM / IN GRATI ANIMI TESTIMONIUM SE SE SUCCESSORESQU: CANONICA SANCTIONE OBSTRINGENTIBUS / AD POSTERORUM MEMORIAM SUMMO CLERI POPULIQU: PLAUSU / SACERDOS DOMINICUS MARACHIONI DEPUTATUS ET / NICOLAUS DE MACINA ARCHIPRESBYTER HOC MONUMENTUM POSUERE / DIE XX MENSIS JUNII ANNO DOMINI MDCCLXI”. 17 A ricordo della ricostruzione del 1736 ad opera dell’Arcivescovo Giuseppe Nicolai è tutt’ora visibile la lapide sulla facciata della Cattedrale di Conza, Mons. Francesco Nicolai nacque ad Altamura il 22 luglio 165718 “ad un’ora di notte” da Domenico Nicolai (Bitetto – 8 dicembre 1624) e da Clarice Viti (Altamura – 24 agosto 1632). Battezzato il 30 luglio 1657 gli fu imposto il nome di Francesco Paolo Gaetano19. Si laureò a Roma in sacra teologia ed ebbe come compagno all’Accademia Sinodica del Collegio Urbano “De Propaganda fide” il prelato Gianfrancesco Albani, successivamente eletto Papa Clemente XI. Fu fatto canonico dall’Arcivescovo di Bari e nel 1689 a 32 anni, avendo rinunciato al suo canonicato, dal Papa Alessandro VIII fu provvisto della prepositura a Canosa con la giurisdizione di ordinario e con l’uso della mitra e del pastorale. Il 21 luglio 1704 fu eletto Vescovo di Capaccio da Clemente XI ed il 2 settembre 1716, dallo stesso Pontefice fu nominato Arcivescovo di Conza. Portò a termine la ricostruzione dell’antica Chiesa Metropolitana, consacrata nel 1726 con la cripta dedicata a S. Menna Martire. Morì nella residenza di Sant’Andrea di Conza alle ore 18,00 dell’11 agosto 1731 e fu sepolto20 (provvisoriamente?) nella chiesa di San Michele, contigua al palazzo arcivescovile, dove si era fatto il tumulo, in vita, con una iscrizione sepolcrale eloquente. ricollocata dopo gli interventi di restauro integrativo effettuato dopo l’ultimo sisma del 23 novembre 1980. 18 Cfr. G. GARGANO, Ricerche storiche su Conza antica, Avellino 1934, p. 83. G. LELLA, “Domenico Nicolai e il suo casato” in Uomini illustri di Adelfia - ProLoco Adelfia, Molfetta 1983, p. 39 riporta “23 luglio 1657” come O. SERENA, La famiglia Nicolai … cit. p. 10. 19 Archivio Storico - Diocesi Altamura Gravina Acquaviva Ricerche: Mons. D. Carlucci - Cancelliere vescovile – Mons. O. Simone Direttore Capitolo Cattedrale. 20 “Poi la salma con gli onori dovutigli, fu trasferita a Canneto e sepolto nella Cappella della Madonna della stella” - V. CARINGELLA, in La Cappella di Santa Maria della Stella – 1186-1986 - 800 anni di storia e di fede, A.C., Adelfia 1986, p. 18. Fra le sue opere figurano i seguenti scritti: Dissertatio Historico-Canonica de Episcopo Visitatore seu de Antiquo Regimine Ecclesiae vacantis, ab intelligentiam verborum in Registro Epistolarum B. Gregorii Magni, Roma, 1710; “Risposta sopra li Rituali Chinesi, Colonia 1710; Epistola Pastoralis Capitulo, Clero et Populo Dioecesis CaputAquensis21; Commentarii storici della sede Canosina.22. Mons. Giuseppe Nicolai nacque ad Altamura il 9 gennaio 1695 dal barone d’Arfavilla di Francia Carlo (I Marchese di Canneto) e da Vittoria Viti. Fu battezzato lo stesso giorno con il nome di Giuseppe Celzo Francesco. Il 6 marzo 1714, dopo aver studiato con profitto, prese possesso del primiceriato nella chiesa maggiore di Altamura in seguito a rinunzia fatta dallo zio materno Nicolò Domenico Viti. Nel 1720, fu chiamato dall’altro zio paterno, Mons. Francesco Nicolai, nella residenza di Santomenna. Dopo esservi stato undici anni, durante i quali ebbe modo di farsi apprezzare grandi capacità e per la sua benevolenza, il 9 aprile 173123, per libera dimissione fatta dal predetto zio, fu nominato come suo successore Arcivescovo di Conza, da parte del Papa Clemente XII, guidando l’Archidiocesi con rettitudine ed oculatezza. Nel 1736 completò i lavori dell’ultima ricostruzione della Cattedrale avviati dallo stesso Arcivescovo subito dopo il disastroso terremoto del 1732. Nel 1746 Mons. Giuseppe Nicolai invitò Alfonso Maria de Liguori a fondare una casa per i Missionari Redentoristi a Materdomini. Il futuro Santo accettò l’offerta per la costruzione 21 22 O. SERENA, La famiglia Nicolai…Cit. p. 10. V. CARINGELLA, La Cappella di Santa Maria della Stella…p. 18. 23 G. GARGANO, Ricerche…, cit. p.20. Il “9 aprile 1731” secondo G. LELLA, “Domenico Nicolai …” cit. p.38. del Convento e la Basilica di Materdomini che ora custodisce la tomba di San Gerardo Maiella. Dopo 27 anni d’ininterrotto servizio nell’importante sede conzana, morì alle ore 23,30 del 24 ottobre 175824 in Sant’Andrea di Conza, sede residenziale attribuita agli Arcivescovi di Conza: “un pensiero delicato ne fe’ porre la spoglia mortale dentro la stessa urna che racchiude le ceneri dello zio e predecessore”25. Richiamando la stessa sensibilità, rinnovandone la memoria, si auspicano maggiori approfondimenti sulle singole realtà locali ove le due importanti figure hanno per lungo tempo operato. 24 25 Il “27 ottobre 1758” G. LELLA, “Domenico Nicolai …” cit. p. 40. G. GARGANO, Ricerche storiche su Conza antica, cit. p. 92. D.O.M. FRANCISCUS DE NICOLAI EX BARONIBUS ARFEVILLE IN GALLIAE DELPHINATU AC CANNETI IN APULIA ALTILIAE ORTUS NOMEN SORTITUS A PATRUO FRANCISCO SOCIETATIS IESU QUI TUNC TEATE PESTE LABEFACTATIS SEDULO INSERVIENS UTI VICTIMA CHARITATIS MARTYR OCCUBUIT. ADOLESCENS IN URBE DIU MORATUS ET IN OMNI SCIENTIARUM GENERE SOLIDE IMBUTUS MONUMENTA SUPER RECONDITA PRISCAE DISCIPLINAE ARCANA ET OMNIGENA SACRA ERUDITIONE PUBLICE EDIDIT ET IN EA SOCIUM ET DIRECTOREM HABUIT FRANCISCUM ALBANUM POSTEA CLEMENTEM XI PONTIFICEM MAXIMUM. IN SINGULIS GRADIBUS ECCLESIASTICAE HIERARCHIAE TIROCINIUM EXPLEVIT AC INDE VETUSTISSIMAS ET IN PRIMIS ECCLESIAE SAECULIS INSTITUTAS SEDES CONSCENDIT CANUSINAM NEMPE IN APULIA, PAESTAM IN LUCANIA, COMPSANAM IN HIRPINIS QUAS PROFICUO REGIMINE ANNORUM TRIGINTA NOVEM MODERAVIT EASDEMQUE VEL TEMPORUM INIURIA COLLAPSAS VEL NONDUM COMPLETAS NOVIS AEDIFICIIS PERFECIT TABULIS MARMOREIS ORNAVIT AC SOLEMMI RITU SACRAVIT ECCLESIASTICAM DISCIPLINAM NOVA SEMINARIORUM ERECTIONE AC LOCUPLETI DOTATIONE PRISTINO CANDORI RESTITUIT. DEMUM NE IMPARATUM MORS INOPINA RAPERET IMPAVIDUS SIBI TUMULUM PARAVIT ET SICUT IAMPRIDEM ANIMAM SUB TUTELA CAELORUM PRAEPOSITI REPOSUERAT ITA CORPORIS EXUVIAS SUB EIUS ARA CONDI VOLUIT OBIIT DIE XI MENSE AUGUSTO ANNO MDCCXXXI Testo dell’iscrizione sulla lapide conservata nell’ex seminario in Sant’Andrea di Conza originariamente posta con il busto di Mons. Francesco Nicolai nella Chiesa di San Michele. Adelfia (BA), Santa Maria della Stella, monumento sepolcrale dell’arcivescovo Giuseppe Nicolai. Adelfia (BA), Santa Maria della Stella, monumento sepolcrale dell’arcivescovo Francesco Nicolai. D.O.M. A Francesco Nicolai, ottimo vescovo prima di Canosa, poi di Capaccio ed infine di Conza, illustre per la conoscenza delle belle lettere e del diritto civile e canonico e per i commentarii di questi, il quale restaurò le chiese di Canosa e di Capaccio e il seminario di Conza, che dotò di 10.000 ducati per ripristinare la disciplina e il decoro del sacerdozio durante il suo vescovado di 43 anni. Giovanni Battista, prelato domestico del papa Clemente XIII e preside generale dei Sabini e suo fratello Francesco Paolo, III marchese di Canneto, al grande e benemerito zio posero. Morì l’anno 1731. D.O.M. A Giuseppe Nicolai, secondo arcivescovo di Conza, munifico mecenate delle lettere, che ricevette la dignità arcivescovile dal pontefice Clemente XII, dopo la rinuncia dello zio, col plauso di tutti. Con tanta generosità si comportò verso i poveri che meritò di essere chiamato “padre dei poveri”. Vescovo esimio per innocenza e ornato di tutte le virtù, investì tutto ciò che era rimasto del patrimonio della ricchissima sede in arredi sacri ed anche in fine di vita, così come da vivo, non risparmiando i beni paterni e familiari, ordinò che fossero investiti per la Chiesa. Giovanni Battista prelato domestico del pontefice Clemente XIII e Preside dei Sabini e suo fratello Paolo III marchese di Canneto, al piissimo zio. Morì l’anno 1758. Ignoto, secolo XVIII, busto dell’arcivescovo Francesco Nicolai, già in Sant’Andrea di Conza, in deposito presso i locali della Soprintendenza in Calitri. Ignoto, 1746, Ritratto dell’arcivescovo Giuseppe Nicolai, Materdomini di Caposele (AV), Museo Gerardino. L’arcivescovo chiamò nella diocesi di Conza i religiosi della Congregazione del SS. Redentore di S. Alfonso dei Liguori. Nel 1748 i Redentoristi fondarono una casa accanto alla chiesa cinquecentesca di S. Maria de Silere, gravemente danneggiata dal terremoto del 1732. La casa redentorista è stata più volte ampliata e rimaneggiata nel corso dei secoli, fino all’ultima ricostruzione seguita al sisma del 1980; nel santuario sono contenute le spoglie di S. Gerardo Maiella. L’altare maggiore presenta agli estremi del paliotto, come nella cattedrale di Conza e nella cappella di Santa Maria della Stella di Adelfia, gli stemmi marmorei della famiglia Nicolai. Ignoto, XVIII secolo, stemma dell’arcivescovo Giuseppe Nicolai, già sulla facciata della cattedrale, ricollocato nel 2005 all’interno della nuova con cattedrale. Il sarcofago di S. Erberto ANGELO COLANTUONO 1. *Sotto l’aspetto artistico il sarcofago che custodisce le spoglie di S. Erberto si rivela un’opera assai notevole, e questo per più di una ragione: per le qualità formali che possiede, per i significati simbolici che si celano nel suo apparato decorativo, per ciò che ci dice sul contesto storico-culturale in cui fu prodotto1. Il sarcofago è intagliato in due blocchi - uno per la vasca, uno per il coperchio - di pietra calcarea locale di colore tendente al grigio ferro. La vasca è un parallelepipedo regolare (cm 216 per 69 per 66 di altezza); il coperchio è del tipo “a capanna” (30 cm di spessore massimo) con quattro antefisse agli spigoli. Abbreviazioni e sigle; MGH Monumenta Germaniae Historica 1 II primo a segnalare {Importanza del monumento fu, all’indomani del terremoto, Paolo Peduto, docente di archeologia medievale all’Università di Salerno (P. PEDUTO, Problemi di ricerca su Conza medievale, in Memorie conzane, Atti dell’incontro-dibattito del 3 maggio 1981 sul tema: “il terremoto del 23 novembre e la rinascita di Conza”, Conza della Campania 2000, pp. 43-48). Qualche anno più tardi Vega De Martini, della Soprintendenza ai BB. AA. AA. AA. SS., di Salerno e Avellino, entrò nel merito dell’interpretazione e della datazione dell’opera in articolo sul “Il Mattino” (V. DE MARTINI, Il sonno inquieto di Erberto, “Il Mattino” 16 febbraio 1984, Cronaca di Avellino, p. 16). Uno studio particolareggiato delle caratteristiche del manufatto fu compiuto nel 1985 dalla storica dell’arte Daniela Mauro (D. MAURO, Nuove tracce della produzione scultorea nella Longobardia Minore, in “Rassegna Storica Salernitana” n. s. II, 2 (1985), pp. 91-108). Naturalmente il sarcofago conzano ha il suo posto nella rassegna dell’arte sacra irpina che don Pasquale di Franzo sta redigendo e pubblicando da diversi anni (P. DI FRONZO, L’arte sacra in Alta Irpinia, IV, Mercogliano 1998, pp. 18-21). Queste forme contengono già un primo elemento simbolico: riproducono l’architettura di un tempio. Solo la parte frontale della vasca e una delle due falde del tetto sono decorate: evidentemente il monumento fu progettato per essere alloggiato in una piccola cappella, contro una parete, a livello del pavimento o quasi2. Il tetto è ornato da un motivo vegetale formato da girali di tralci dai quali si sviluppano grandi foglie lobate. Nell'antica simbologia cristiana le foglie rappresentano l’idea di rinascita3. Le antefisse recano scolpita una palmetta. Una cordonatura di gigli stilizzati che corre sotto la “linea di gronda” raccorda il coperchio alla vasca. La decorazione sulla fronte è più complessa. Qui risalta, in posizione centrale, una costruzione geometrica fatta di formelle disposte su due bande ortogonali fra loro. Questa figura divide il piano in due campi, ciascuno dei quali è riempito dalle volute di un tralcio con il suo corredo di foglie. I percorsi dei tralci sono speculari. Tra le foglie appaiono quattro grandi uccelli intenti a beccare dei frutti. Tutta la rappresentazione ha un senso fortemente allegorico: gli uccelli infatti sono le anime, e i frutti indicano la promessa di una nuova vita4. 2 La vasca poggiava su tre basi alte una trentina di centimetri, lavorate in vista a forma di teste di animali, probabilmente leoni. Sono scomparse alla fine degli anni novanta. Daniela Mauro (MAURO, Nuove tracce, p, 102) le descriveva così: “Le protomi animali del basamento sono fra loro simili, pur evidenziando una diversità di materiali e di dimensioni: due di esse, infatti, sono di calcare bianco, mentre la terza, centrale, è in arenaria; questuiamo inoltre, è più piccola rispetto alle precedenti che, svolgendo funzione di appoggio laterale, hanno un corpo lungo quanto la lunghezza del sarcofago. Le teste sono raffigurate con muso quadrato e schiacciato, leggermente aperto; gli occhi sono grandi, fissi e di forma circolare, mentre le orecchie, allungate, hanno la punta arrotondata”. 3 J. C. COOPER, Dizionario dei simboli, Milano 1988, p. 123. 4 Ibidem,, pp. 125 e 308. Vedi anche MAURO, Nuove tracce, pp. 9596. Ignoto, X secolo, sarcofago di S. Erberto, Conza della Campania, cattedrale di S. Maria Assunta. Le formelle contengono due tipi di disegni alternati fra loro. Uno è costituito da “stelle” di foglie stilizzate (otto foglie inscritte in un quadrato), l’altro è fatto di file di. alveoli romboidali (tre per fila). Forse le stelle sono anch’esse dei simboli, ma questa volta il significato ci sfugge. 1 rombi invece hanno una funzione puramente decorativa, A volte questi incavi venivano riempiti di malte colorate. 2. S. Erberto morì nel 1181, ma il repertorio decorativo del sarcofago e il modo di esecuzione del rilievo -piuttosto piatto, quasi “a due dimensioni” -sono quelli tipici della scultura prodotta nell’ultimo quarto del millennio precedente nelle regioni italiane maggiormente interessate dalla presenza dei Longobardi. Il motivo dei tralci è diffusissimo sia nel nord Italia che al sud. Lo si trova, replicato in molte varianti, in Lombardia, nel Friuli, in Emilia, in Toscana5, ma anche a Capua, a Benevento, a Cimitile, a Salerno6. Altrettanto comune è, in tutta làrea longobarda, l’impiego di forme geometriche e di figure stilizzate. Incavi poligonali sono incisi sulle superfici di diversi capitelli utilizzati nel Bt-X secolo a Capua e a Benevento7» Stelle di. foglie - molto simili a quelle conzane - compongono invece il fregio di stucco che sormonta l’arco d’ingresso del famoso oratorio di S. Maria in Valle a Cividale del Friuli, costruito prima della fine del regno longobardo del nord (che venne abbattuto dai Franchi nel 774). Quanto al tema degli uccelli che mangiano i frutti, se ne vedono degli esempi su un pannello di marmo – conosciuto come il “pluteo di Sigualdo” – a Cividale8, sul cosiddetto sarcofago di Teodote a Pavia9, su una lastra nel Museo del duomo di Modena10, opere anch’esse dell’VIII secolo. 3. Come è noto, Conza fu per quasi 500 anni uno dei centri principali - dopo Benevento e Salerno – della Longobardia meridionale, che ebbe vita più lunga rispetto a quella del nord. La sua importanza era dovuta al fatto di essere una città-fortezza situata in prossimità del valico che mette in comunicazione le valli dell’Ofanto e del Sele, Attraverso queste 5 A. PIERONI, L’arte nell’età longobarda. Una traccia, in Magistra barbaritas, I barbari in Italia, Milano 1984, pp. 229-297; I Longobardi (Catalogo della mostra, Codroipo-Cividale del Friuli 2 giugno-30 settembre 1990), Milano 1990, pp. 302-317. 6 F. ACETO, La scultura, in La cultura artistica nella Longobardia minore, a cura di M. ROTILI, Napoli 1980, pp. 63-69; MAURO, Nuove tracce, pp. 102403. 7 I Longobardi, pp. 318-319. 8 P. DELOGU, I barbari in Italia, “Archeo Dossier” supplemento ad “Archeo” n. 12 (1986), pp. 60-61. 9 1 Longobardi, pp. 302 e 311-312. 10 Ivi, pp. 314-315. valli passavano nel Medioevo i collegamenti tra il Tirreno meridionale e la Puglia11. I conti di Conza amministravano un vasto territorio che comprendeva, oltre all’alto Ofanto, anche una parte del Formicoso e il tratto superiore della valle del Sele12. Le cronache dell’epoca ci informano che più di una volta i Conzani ebbero ruoli non marginali nelle vicende politiche e militari del ducato beneventano prima, e del principato salernitano poi13. Di solito il capoluogo di una contea era anche sede vescovile. Sulla diocesi conzana in età longobarda abbiamo solo notizie frammentarie e incerte. Possiamo tuttavia intuirne l’importanza se consideriamo che all’epoca non esistevano ancora le diocesi di S„ Angelo, Bisaccia., Lacedonia e Monteverde, che furono istituite non prima dell'XI secolo, e in 11 Nel 788 Carlo Magno, per concedere il suo assenso alia sopravvivenza dello stato longobardo dell’Italia meridionale, pretese che venissero abbattute le mura di Salerno, Acerenza e Conza (Chronicon salernitanum, ed. U. WESTERBERGH, Stockholm-Lund 1956, p. 26; ERCHEMPERTO, Historia Langobardorum beneventanorum, in M.G.H., SS. rerr. Lang. et Ital..,Hannover 1878, p. 243). 12 V. ACOCELLA, Storia di Conza. I II gastaldato e la contea fino alla caduta della monarchia sveva, Benevento 1927, p. 14; G. FORTUNATO, L’alta valle dell’Ofanto, Roma 1896, p. 24. 13 Nell’812 il conte Ranfone fu l’eroe della resistenza della Longobardia del sud contro i Franchi (Chronicon salernitanurn pp. 41-42). Nell’ 817 il conte Radelchi partecipò all’assassinio del duca di Benevento, terminando poi la sua vita nel monastero di Montecassino (per propria scelta, riferisce l’autore del Chronìcon salernìtanum, p. 56; spintovi a forza, ritiene invece Leone Marsicano, Cfr. LEONE MARSICANO e PIETRO DIACONO, Chronika monasterii S. Benedicti Casinensis, in MGH., SS.,, VII, Hannover 1846, p. 595), Nell’839 Conza fu la base dalla quale Siconolfo e i suoi sostenitori organizzarono la ribellione contro i Beneventani, che portò poi alla formazione del principato autonomo di Salerno (ERCHEMPERTO, Historia, p. 246). Alcuni anni più tardi, tra l’ 865 e l’866, i Conzani tennero testa con successo ai Saraceni del temutissimo Seodan (il Sultano), che assediarono la città per 40 giorni (LEONE MARSICANO e PIETRO DIACONO, Chronika, p. 477). ogni caso vennero mantenute all’interno di una “provincia ecclesiastica” di cui il vescovo di Conza era il metropolita14. 4. Vega de Martini stima che il sarcofago di S. Erberto sia “databile tra il IX e il X secolo”15. Verosimilmente in origine esso era destinato a qualche personaggio importante dell’aristocrazia conzana di questo periodo, un nobile o un vescovo. L’assenza, nella decorazione, di simboli che facciano riferimento alla forza e al valore guerriero fa pensare piuttosto ad un uomo di chiesa. E molto probabile che il monumento sia stato realizzato da scultori che facevano parte di una “bottega itinerante”. Nel Medioevo,, così come esistevano le compagnie di “mastri comacini”- le imprese di costruzioni dell’epoca -cerano anche squadre di scalpellini, decoratori., pittori, che si muovevano tra monasteri e città, dove li chiamava la committenza16. Si deve soprattutto a loro la presenza di linguaggi figurativi affini nelle diverse regioni dell’Italia longobarda. Nei bassorilievi del sarcofago conzano si distingue la mano di due differenti artefici. Uno è quello che ha scolpito le formelle sulla vasca» Doveva trattarsi di una persona che non aveva una perfetta padronanza del mestiere. Infatti ha commesso un errore: la banda orizzontale del fregio presenta un difetto di simmetria» Làltro scultore, quello che ha eseguito i tralci e le foglie, aveva invece una buona tecnica e non era privo di inventiva. Lo dimostra labilità con cui ha inserito all’interno dei girali le sagome degli uccelli, riuscendo perfino a creare una sensazione 14 G. GARGANO, Ricerche storiche su Coma antica [1935], r.a. Conza 1957, pp. 58 ss. 15 DE MARTINI, // sonno inquieto. Propende per il X secolo Daniela Mauro (MAURO, Nuove tracce, p, 103). 16 A. HAUSER, Storia sociale dell’arte. I Preistoria, Antichità, Medioevo, 3a ed, Torino 1987, pp. 180-181; F. ABBATE, Storia dell’arte nell’Italia meridionale. Dai Longobardi agli Svevi, Roma 1997, p. 60. di movimento. Rispetto alle analoghe figure che si vedono sul sarcofago di Pavia o sulle lastre di Cividale e di Modena, queste di Conza appaiono meno “lavorate” meno “eleganti” ma sono anche molto meno convenzionali, e posseggono una forza espressiva che le altre non hanno, 5. Si discute se esista realmente una scultura che possa essere definita “longobarda” o non sia invece più giusto parlare di scultura “di epoca”, “d’ambito” longobardo17. Il problema nasce dal fatto che nella produzione plastica in questione convivono e si sommano elementi “romani” e “barbarici”. Sono da attribuire alla persistenza della tradizione romana tardoantica, paleocristiana, bizantina -i temi naturalistici e il simbolismo, nonché le tecniche stesse della scultura su pietra, che i Longobardi, popolo delle foreste, conobbero solo in Italia, Sono invece riconducibili ad un gusto più tipicamente “barbarico” i motivi geometrici e il diverso modo di strutturare lo spazio: accentrato e simmetrico nella tradizione classica, sezionato e trattato “per parti” nella interpretazione degli artisti barbarici." Entrambe queste culture figurative sono rappresentate nelle decorazioni del sarcofago di S. Erberto. Il quale anche per questo va considerato come uno dei prodotti più significativi dell’arte della Longobardia del sud. 17 A. PIERONI, L’arte nell’età longobardaca,cit. pp. 230-223; M. RIGHETTI TOSTI - CROCE, La scultura, in I Longobardi, pp. 300-302; A. M. ROMANINI, Scultura nella “Longobardia maior” questioni storiografiche, in Arte Medievale; II s., V (1991), 1, pp. -30. Ignoto, VIII secolo, Lastra del sarcofago di Teodote, Pavia, Santa Maria alla Pusterla. Ignoto, VIII secolo, decorazioni a stucco, Cividale del Friuli, oratorio di S. Maria in Valle. APPENDICE Si ringraziano tutti coloro che hanno fornito foto e materiali e in particolare: Maria Raffaela Pessolano (Università degli Studi “Federico II”, Napoli), Mauro Galligani (“Epoca”), Arturo Mari (“L’osservatore Romano”), Concetta Cerracchio, Roberto Esposito, Vito Farese, Rocco Garofalo, Gerardo Garofalo, Luigi Gallucci, Vincenzo Lariccia, Luigi Lariccia. Elaborazioni delle immagini e delle foto a cura di Clemente Farese Custodito per secoli all’interno dell’antica cattedrale metropolitana, il sarcofago contenente le venerate spoglie del presule S, Erberto all’indomani del terremoto del 23 novembre 1980 è stato al centro di una serie di vicende che vai la pena ricordare. Sepolto sotto le macerie della volta absidale crollata quella terribile sera, rimase esposto alle intemperie alcuni anni, protetto solamente da una precaria copertura in legno e tele di plastica. In questo periodo purtroppo si registrò il grave furto delle protomi leonine che lo sorreggevano e delle quali si è persa ogni traccia. Solo nell’anno 1987, dopo un serrato confronto con i dirigenti dell’allora Soprintendenza B.A.A.A.S. di Salerno ed Avellino, si riuscì a far trasferire il prezioso manufatto nella chiesa prefabbricata della comunità conzana in contrada Cavallerizza, Fu un momento di forte impatto emotivo per tutti, soprattutto perché, rileggendolo oggi, segnò per la comunità conzana l’inizio concreto del cammino di riappropriazione della propria identità spirituale e civica. La presenza, il 20 agosto di quell’anno, assieme all’arcivescovo Nuzzi, dei sacerdoti dei paesi vicini, fu un’ulteriore occasione per ricordare la dignità della Chiesa conzana e dei canonici che nel corso dei secoli avevano curato la liturgia ed alimentato la devozione verso il santo vescovo Erberto, Questi idealmente aveva seguito il suo popolo e lo stesso avvenne quando, agli inizi di agosto del 1993, la comunità si trasferì al paese nuovo sorto al Piano delle Briglie, Anche questa volta il sarcofago fu traslato nell’edificio provvisoriamente adibito per il culto dove è rimasto fino al 2 dicembre 2003, quando è stato definitivamente sistemato nella nuova concattedrale, solennemente dedicata da S. E. mons. Salvatore Nunnari il 7 dicembre 2003. Qui, sottoposto ad un restauro che ha cercato di riparare in parte i danni subiti a causa del sisma del 1980, attende un secondo radicale intervento che preveda anche una nuova ricognizione delle reliquie in esso contenute, soprattutto per verificarne lo stato di conservazione dopo tutte le vicissitudini di questi ultimi anni. TARCISIO LUIGI GAMBALONGA Sarcofago nella ricognizione del 20.07.1969. L’Arcivescovo Gastone Mojaisky Perrelli, Don Luigi Venezia e Mons. Donato Cassese. In alto a destra è visibile la lapide su cui è erroneamente scolpita la data di morte del Santo, nella sua collocazione originaria. Apertura del sarcofago contenente le spoglie di Sant’Erberto, nella seconda ricognizione del 20.07.1969. L’Arcivescovo Gastone Mojaisky Perrelli, assistito da Mons. Giuseppe Chiusano, notaio ad hoc, apre la teca con l’atto rinvenuto consunto della prima ricognizione dell’Arcivescovo Gaetano Caracciolo. Lettura degli atti della seconda ricognizione – 20.07.1969. Don Luigi Venezia e devoti conzani osservano le spoglie del Santo. Interno del sarcofago, con le spoglie del Santo, come apparve al momento dell’apertura il 20.07.1969. I resti ricomposti del Santo, nell’imminenza della chiusura definitiva del sarcofago (30.08.1970). Tra i devoti conzani, le “Suore di Montanaro”: Santina ed Angela. Chiusura del sarcofago. Fedeli in una foto ricordo della seconda ricognizione, con S.E. Mons. Gastone Mojaisky Perrelli, Don Luigi Venezia e S.E. Mons. Angelo Criscito, conzano. Altare maggiore: realizzato il 23.03.1684 per contenere le spoglie del Santo, in occasione della prima ricognizione voluta dall’Arciv. Gaetano Caracciolo. Il sarcofago, trasferito da una piccola cappella del lato destro dell’ingresso della Cattedrale, fu rimesso alla luce nel 1969 dall’Arciv. ed Amministratore Apostolico di Conza, Mons. Gastone Mojaisky Perrelli. Sarcofago dopo la rimozione delle macerie nella Cattedrale, fra l’altare postconciliare spezzato (senza le lastre marmoree delle tre virtù cardinali, asportate per il restauro) ed il coro ligneo (privo di colonnine, capitelli e fregi oltre allo stemma centrale dell’Arciv. Giuseppe Nicolai, trafugati dopo il sisma). Sarcofago di S. Erberto protetto dopo la rimozione delle macerie dell’abside crollata - 1981. In corrispondenza dei 3 mazzi di fiori, sono visibili le protomi, successivamente trafugate. Fase dello rimozione del sarcofago mentre percorre la navata Dx della Cattedrale con l’assistenza dei responsabili della Soprintendenza e dell’Ufficio BB.CC. Curiale (1985). Oltre alle due ricognizioni la tomba in pietra del Santo è stata forzata nel 1573 da un soldato spagnolo il quale, ferito durante l’apertura, guarì per intercessione del Santo. Fase del trasferimento del sarcofago mentre valica definitivamente le mura perimetrali della Cattedrale, attraversando la Cappella della Madonna della Gaggia sospeso al braccio meccanico della gru – ( 1985). Arrivo del sarcofago nella chiesetta prefabbricata dell’insediamento provvisorio in C.da Cavallerizza. Terzo trasferimento dai prefabbricati alla nuova Conza. Don Mario Malanga e volontari sistemano temporaneamente il sarcofago nella palestra, adibita a chiesa provvisoria - 199 . Quarto ed ultimo trasferimento del sarcofago dalla chiesa provvisoria alla Concattedrale. In primo piano la campana rifusa nel 1939 con l’effigie di Sant’Erberto – 2.11.2003. Fase del trasporto del sarcofago dalla chiesa provvisoria alla Concattedrale – 2.11.2003. Arrivo del sarcofago sul sagrato della nuova Concattedrale; sullo sfondo la chiesa provvisoria – 2.11.2003. Conzani in una foto ricordo durante la sistemazione definitiva del sarcofago nella nuova Concattedrale - 2.11.2003. Definitiva collocazione del sarcofago di S. Erberto nella nuova Concattedrale – 2.12.2003. Sarcofago (reimpiego collocabile al IX o al X secolo) prima del restauro, poggiato sui nuovi elementi lapidei, sostitutivi delle protomi trafugate 23.11.2004. Sarcofago ed antica balaustra con lo stemma di F. Nicolai durante il restauro - 23.11.2004. Lavori di restauro della balaustra collocata intorno al sarcofago – 15.12.2004. Lato Dx del Sarcofago privo dei due acroteri, spezzati con il crollo della Cattedrale il 23.11.1080, in seguito recuperati e custoditi da Mons. Tarcisio per il restauro - 23.11.2004. Restauro dei 2 acroteri - 23.12.2004. Sarcofago nella nuova Concattedrale prima del restauro - 23.11.2004. L’insieme dopo il restauro. In alto: distico senza data, scolpito su un antico marmo, reimpiegato e murato nel pilastro dell’arco maggiore in “Cornu Evangelii”, come si presentava il 24.11.1980. Successivamente rimosso e conservato, è stato definitivamente riposizionato nella nuova Concattedrale, nei pressi del sarcofago, unitamente all’altra lapide (in basso) , anch’essa originariamente inglobata nel pilastro maggiore, in “Cornu Epistolae” con la data (1.118) di morte del Santo erroneamente scolpita, comunemente individuata nell’anno 1.181. Teca metallica contenente la reliquia di S. Erberto - 6.12.2003. Sigillo sul retro della teca riproducente l’effigie dell’Assunta e la scritta “METRAPOLITANUM CAPITULUM COMPSANUM” – 6.12.2003. La solenne dedicazione della chiesa concattedrale di S. Maria Assunta di Conza il 7 dicembre 2003 è stato certamente un avvenimento di portata storica non solo per la comunità conzana, ma per un’intera arcidiocesi, che riconosce in essa la “Chiesa madre” di tutta la comunità altirpina. La presenza di tanti sacerdoti;, ma anche di tanti sindaci dei paesi vicini, e di una folla festante di fedeli ha sottolineato in maniera eloquente tutto ciò. D’altronde l’edificio si pone in continuazione con il luogo sacro presente da oltre un millennio sul colle dell’antica Conza. Questa continuità è evidenziata anche dalla presenza allinterao del. nuovo edificio di reperti dell’antica cattedrale. Come sempre è avvenuto nel corso dei secoli queste preziose reliquie hanno seguito il popolo credente laddove esso si trasferiva. Ecco allora, la scelta di ricollocare il fonte battesimale del cardinale Alfonso Gesualdo (1563-1572), il sarcofago di S. Erberto circondato dalla balaustra in pietra rossa di mons. Francesco Nicolai (1716-1731), l’altare in marmo di Carrara del SS. Sacramento recante le insegne vescovili di mons. Giulio Tommasi (vescovo di S. Angelo dei Lombardi e Bisaccia dal 1897 al 1921, arcivescovo di Conza dal 1921 al 1936). Un segno piccolo ma significativo di questa continuità è anche la fenestella confessionis"posta al centro del paliotto del nuovo altare per la celebrazione. La preziosa grata in ferro battuto e bronzo faceva parte dell’altare maggiore voluto da mons* Giuseppe Nicolai (17314758) e smantellato nel 1969 in occasione della seconda ricognizione delle spoglie mortali di S„ Erberto, allorquando fu rimesso in luce l’antico sarcofago e adeguato il presbiterio alle nuove norme liturgiche emanate a seguito del Concilio Vaticano II. Oggi permette di venerare la piccola urna contenente l’insigne reliquia del glorioso S. Erberto, prelevata in occasione della prima ricognizione da mons. Caracciolo e conservata nel passato in un reliquiario nello stipone dell’antica chiesa. Segni di un passato che si spera di poter ulteriormente arricchire con altri manufatti attualmente in deposito, perché bisognosi di restauro, in. modo da fare di questo nuovo tempio una custodia di memorie conzane. TARCISIO LUIGI GAMBALONGA Conza della Campania: nuova chiesa Concattedrale 7.12.2003. Reliquia di S. Erberto (6.12.2003) deposta nell’urna in pietra locale, collocata all’interno della “fenestrella confessionis” dell’altare della nuova Concattedrale il 7.12.2003, giorno della Dedicazione. La Statua del Santo muove verso la nuova Concattedrale per la Dedicazione 7.12.2003. Il Vescovo S.E. Padre Salvatore Nunnari riceve dal Sindaco Raffaele Vito Farese e dal progettista arch. Michele Carluccio le chiavi della Concattedrale ricostruita - 7.12.2003. Padre Pierangelo Pirotta apre la porta della nuova Chiesa Concattedrale per l’inizio della cerimonia di Dedicazione - 7.12.2003. Ingresso della Statua di S.Erberto nella nuova Concattedrale ricostruita – 7.12.2003. Liturgia di Dedicazione 7.12.2003. Diaconi e Sacerdoti concelebranti: (da sx a dx) - Diacono Gesuita (?) ____________ Don Pasquale Rosamilia, Padre Piergiorgio Piras, Padre Erberto Cerracchio, Don Antonio Tenore, Mons. Donato Cassese, S.E. Padre Salvatore Nunnari, Padre Alfredo Marranzini s.j., Padre Pierangelo Pirotta, Fr. Wilfried Krieger, Pade Luigi Martella c.ss.r., Fr. Pietro Saffirio, Don Angelo Colicchio, Diacono Michele Iula, Diacono Giuseppe Iannece - 7.12.2003. P. Pierangelo Pirotta consegna al Vescovo S. Nunnari l’urna di S. Erberto per la deposizione nel sepolcro e la consacrazione del nuovo altare della Concattedrale ricostruita 7.12.2003. S.E. Padre S. Nunnari e Mons. Tarcisio G. danno inizio alla rito della deposizione dell’urna. Deposizione dell’urna. – 7.12.2003. Unzione dell’altare – 7.12.2003. Unzione delle 12 croci – 7.12.2003. Aspersione e benedizione del nuovo altare – 7.12.2003 Incensazione dell’altare all’interno del quale è stata deposta l’urna. Sullo sfondo il busto argenteo del Santo – 7.12.2003. Concattedrale in costruzione – P. Pierangelo Pirotta “Giornata della pace” 18 maggio 2002. La speranza riposta (?) nelle nuove generazioni. Estate Junior – 17.08.2004 D.O.M. L’Anno del Signore 2003, il giorno 7 del mese di dicembre sotto il pontificato del Papa GIOVANNI PAOLO II, presenti Presbiterio e Popolo di Dio festanti, SALVATORE NUNNARI Arcivescovo di Sant’Angelo dei Lombardi–Conza–Nusco–Bisaccia solennemente dedicò a gloria di Dio e in onore della Beata Vergine Maria Assunta in cielo questa Chiesa Concattedrale, erede della fulgida storia di fede della metropolitana sede episcopale di Conza, interamente ricostruita, unitamente al centro abitato, in questo nuovo sito dopo il disastroso sisma del 23 novembre 1980, con il nuovo altare ponendo in esso una reliquia insigne del patrono Sant’Erberto. AD MAIOREM DEI GLORIAM Firmato: Salvatore Nunnari - Arcivescovo di Sant’Angelo dei Lombardi – Conza – Nusco -Bisaccia Padre Pierangelo Pirotta – Parroco Architetto Michele Carluccio – progettista Mons. Donato Cassese – Vicario Generale Clemente Farese – Presidente Pro Loco “COMPSA” Suor Maria Donata Grassi – Piccole Suore Sacra Famiglia Raffaele Vito Farese – Sindaco di Conza Don Antonio Tenore Mons. Tarcisio Luigi Gambalonga – Cancelliere arcivescovile Bolla della dedicazione. D.O.M. L’ANNO DEL SIGNORE 2003 IL GIORNO 7 DEL MESE DI DICEMBRE SOTTO II. PONTIFICATO DEL PAPA GIOVANNI PAOLO II PRESENTI PADRE PIERANGELO PLROTTA PARROCO PRESBITERIO E POPOLO DI DIO FESTANTI SALVATORE NUNNARI ARCIVESCOVO DI SANTANGELO DEI LOMBARDI - CONZA - NUSCO - BISACCIA SOLENNEMENTE DEDICÒ A GLORIA DI DLO E IN ONORE DELLA BEATA VERGINE M ARIA ASSUNTA IN CIELO QUESTA CHIESA CONCATTEDRALE EREDE DELIA FULGIDA STORIA DI FEDE DELLA METROPOLITANA SEDE EPISCOPALE DI CONZA INTERAMENTE RICOSTRUITA UNITAMENTE AL CENTRO ABITATO IN QUESTO NUOVO SITO DOPO IL DISASTROSO SISMA DEL 23 NOVEMBRE 1980 CON IL NUOVO ALTARE PONENDO IN ESSO UNA RELIQUIA INSIGNE DEL PATRONO S. ERBERTO TARCISIO LUIGI GAMBALONGA CANCELLIERE ARCIVESCOVILE A PERPETUA MEMORIA POSE Lapide commemorativa della dedicazione. IMMAGINI DI CONZA E DELLA SUA CATTEDRALE D.O.M. VETUSTISSIMAM HANC ET INSIGNEM BASILICAM HIRPINORUM METROPOLIM DEIPARAE ÌN COELUM ASSUMPTAE DICATAM TOT TERRAE CONCUSSIONIBUS PLURIES EVERSAM POSTREMO DE ANNO MDCCXXXII HOMINIBUS FERE QUINQUAGINTA MISERE OPPRESSIS FUNDITUS CONVULSAM AC SOLO AEQUATAM JOSEPH NICOLAI ARCHIEPISCOPUS COMPSANUS NE SPONSAE SOLATIO DESTITUERETUR MAGNO SUMPTU, MAIORI CURA FIRMIUS ET ELEGANTIUS E FUNDAMENTIS RESTITUENDAM CURAVIT A.D. MDCCXXXVI A DIO OTTIMO MASSIMO QUESTA ANTICHISSIMA E INSIGNE BASILICA METROPOLI DEGLI IRPINI DEDICATA ALLA MADRE DI DIO ASSUNTA IN CIELO PIÙ VOLTE SCONVOLTA DA TERREMOTI INFINE NELLANNO 1732 QUANDO PERIRONO MISERAMENTE QUASI CINQUANTA PERSONE RADICALMENTE SCOSSA E RASA AL SUOLO LARCIVESCOVO GIUSEPPE NICOLAI AFFINCHÉ NON FOSSE PRIVATO DEL CONFORTO DELLA SPOSA CON SPESA GRANDE, CON CURA MAGGIORE CURO'CHE FOSSE RICOSTRUITA DALLE FONDAMENTA IN MANIERA PIÙ SOLIDA ED ELEGANTE NELLANNO DEL SIGNORE 1736. D.O.M. TEMPLUM HOC METROPOLITICAE SEDIS CAPUT EX INGENTI TERREMOTI! JOSEPH NICOLAI ARCHIEPISCOPUS COMPSANUS ASSISTENTIBUS OMNIBUS DIOCESIS ARCHIPRESBYTERIS PER NICOLAUM DE AMATO EPISCOPUM LAQUEDONIENSEM CUM LEGITIMA INDULGENTIARUM CONCESSIONE SE PRAESENTE CONSECRANDUM CURAVIT DIE XVI MENSIS MAH A.D. MDCCLI A DIO OTTIMO MASSIMO DI QUESTO TEMPIO PRINCIPALE DELLA SEDE METROPOLITICA A SEGUITO DI UN DISASTROSO TERREMOTO GIUSEPPE NICOLAI ARCIVESCOVO DI CONZA CON LASSISTENZA DI TUTTI GLI ARCIPRETI DELLA DIOCESI CON LA. SUA PERSONALE PARTECIPAZIONE PER MEZZO DI NICOLA DE AMATO VESCOVO DI LACEDONIA NE CURÒ LA CONSACRAZIONE II. GIORNO 16 MAGGIO 1751. Conza della Campania – Via Dante Alighieri: Il 25.11.1980 il Presidente della Repubblica – Sandro Pertini visita il paese devastato dal terremoto del 23.11.1980. “Al silenzio, si addice il silenzio”: la sua riflessione nell’immediatezza dell’evento calamitoso. Al duro messaggio televisivo alla Nazione ed al Parlamento del giorno seguente del Presidente ed agli interventi di Papa Giovanni Paolo II, sono seguiti spontanei ed in elencabili atti di generosità ed abnegazione di volontari civili, religiosi e militari di ogni ordine e grado. Rimane indelebile l’impagabile contributo di solidarietà offerto. Il senso di gratitudine, indistinto, Conza lo esprime ancora una volta con il suo forte desiderio di rinascita. A Sandro Pertini è dedicata la piazza centrale antistante la Concattedrale nel nuovo centro urbano ricostruito. Potenza – Ospedale “San Carlo”: Il Papa durante la visita si sofferma a dare conforto ad Emilio Olindo Ciccone, gravemente ferito nel sisma. Roma - Città del Vaticano: Il Papa riceve nella Cappella Paolina Clemente Farese con Don Eugenio Fizzotti (Salesiano fra i primi accorso a Conza il 24.11.1980) ed i dirigenti dell’U.N.I.T.A.L.S.I. Calabrese (fra i tantissimi volontari intervenuti per aiuti e soccorsi). L’incontro ha voluto significare un gesto di ringraziamento ed un invito a non dimenticare le popolazioni colpite dal sisma del 23.11.1980. - 7.02.1981. ERBERTO, arcivescovo di Conza (Avellino), Santo, Visse nella seconda metà del sec» XII, come appare da un documento pergamenaceo del 1169 conservato nell’archivio arcivescovile di Conza, in cui concede a Roberto, Vescovo di Muro Lucano, la facoltà di consacrare una chiesa in onore di SB Martino. Interviene al III Concilio Lateranense del 1180 e il 1181. Un’antica iscrizione, tuttora conservata su un pilastro dell’arco maggiore della vecchia cattedrale, riporta la data di morte al 1118, ma è chiaro che l’incisore dovette fare una materiale trasposizione dei due ultimi numeri. Il 23 marzo 1684 l’arciv. Gaetano Caracciolo, teatino, compì la ricognizione canonica delle reliquie, che da un altare laterale, dove giacevano, furono collocate in un’urna sotto l’altare maggiore della cattedrale. In questa occasione arcivescovo prelevò l’anello episcopale, che ogni anno, nella vigilia della festa viene immerso, al canto dell’inno dei santi confessori, nell’acqua, distribuita poi per devozione ai fedeli, E tuttora veneratissimo come protettore della città e diocesi con festa liturgica al 20 ag. In esecuzione della pia volontà dell’arciv, Giuseppe Nicolai (m. 1758) fu eretta in onore del Santo una preziosa statua di argento, ed alla fine del sec. XIX, un altro arciv. di Conza, Antonio Buglione, gli intitolò una Cassa rurale. Bibl.: FERRARI, Cat. Gen., pp. 330-31; UGHELLI, VI, col. 799: Acta SS. Augusti, IV, Venezia 1752, p.100; MANSI, XXII. Coli. 215,462; M. A. LUPOLI, Synodus Compsana, Napoli 1827, pp. 295-299; CHEVALIER, Répertoire, I, col.2110; G. GARGANO, Ricerche storiche su Coma antica, Avellino 1935, pp. 58-64; P.F. KEFIR, Italia Pontificia, IX, Berlino 1962, p. 508. QUELLEN UND FORSCHUNGEN AUS ITALIENENISCHEN ARCHIVEN UND BIBLIOTHEKEN HERAUSGEGEBEN VOM DEUTSCHEN HISTORISCHEN INSTITUT IN ROM BAND XXXVIII MAX NIEMEYER VERLAG TÜBINGEN 1958 AUSLIEFERUNG FÜR ITALIEN DURCH W. REGENBERG, ROM (715) KANONISTISCHE ERGÄNZUNGEN ZUR ITALIA PONTIFICIA von WALTHER HOLTZMANN Band V: Aemilia sive provincia Ravennas 204. Idem (Alexander III.) Consano electo. a. De muliere, quam infra etatem cuidam in diocesi tua nupsisse et ab eo infra X. annum carnaliter cognitam fuisse audivimus, sed nunc in anno XI. constitutam divorcium querere, licet contra naturam hoc esse noscatur, prudentie tue significatione presentium intimamus, quatenus, utrum post carnalem commixtionem in X. anno vel in principio XImi vir mulieri placuisse seu consensisse videatur et cuius discretionis mulier sit, scilicet an etatem malicia suppleat, diligenter et studiose inquiras, et si ista vel maior pars horum concurrant, licet mulier in anno XI. vel etiam XII. reclamare dicatur, ipsos propter hoc ab invicem separari nulla ratione permittas, sed eos potius, sicut virum et uxorem decet, compellas districte cohabitare. Quod si virum mulierem per violentiam oppressisse nec eam sibi tunc consessisse constiterit, sed potius in anno XI constitutam instantius reclamare, tu inter illos divortii sententiam non differas promulgare. b. Sacerdotes autem illos, qui infra tuam diocesim post interdictum tuum in eos canonice promulgatum excommunicati divina etiam celebrare presumunt, ad tempus secundum discretionem tibi a Deo datam suspendas et unum illorum, qui gravius deliquerit, ad terrorem aliorum aliquam religionem disctrictam intrare compellas et eum ibidem peccata suas facias penitentia condigna deflere aut ipsum perpetuo deponas. Cott. II 20 (Idem Consano). Pet. I 23 (Idem [Con]sano electo). JL.- In Cott. sehr stark zerstört. Der Erzbischof Herbert von Conza, der ein Engländer gewesen sein soll und 1179 am 3. Laterankonzil teilnahm, begegnet 1169 in einer Inschrift bei Ughelli, It. Sacr. 26, 844, als Elekt. Vielleicht darf man dann auch dieses bisher unbekannte Stück zu (cr.1169) datieren. 205. Alexander ep. serv. Dei. Venerabili frati Her(berto) Consano archiepiscopo. a. Intelleximus ex litteris tuis, quot Rogerus de Laviano parrochianus tuus – districtione compellas. b. Adiecisti insuper in litteris ipsis, quod, cum in terra predicti Rogeri pro eo, quod decimam tibi dare nolebat, divina prohibuisses officia celebrari, capellani eiusdem Rog(eri) contra prohibitionem tuam divina ibi celebraverunt officia. Quos pro tante presumptionis excessu vinculo fecisti excommunicationis astringi, sed ipsi per tres menses, sicut asseris, in excommunicatione perstiterunt et prefatus R. eis in mensa et cibo et potu communicavit. Preterea idem R. ad quandam ecclesiam tuam suos bailivos direxit, qui claves ecclesie violenter ceperunt et res ecclesie de ecclesia et de domo ecclesie violenter asportaverunt. Cum autem per canonicos tuos ipsum ad emendationem sollicite monuisse, ipse duos eorum tota die usque ad vesperam in sua detinuit captione. Quoniam igitur ex generali decreto sententiam excommunicationis incurrunt, qui in clericos manus iniciunt violentas, fraternitati tue per apostolica scripta precipiendo mandamus, quatenus, si prefatus R. in tantam audaciam sue presumptionis prorupit, eum contradictione et appellatione cessante pubblice accensis candelis excommunicatum denunties et facias sicut excommunicatum vitari, donec passis iniuriam congrue satisfaciat et tibi subtractam decimam solvat et res prescripte ecclesie cum integritate restituat et cum litteris tuis ad apostolicam sedem satisfacturus accedat. Flor. = F. Claud. = C. – 6 Rog.] R. F decimas C 8 celebrarunt C tanto C 11 mensa] et om. C 13 et de] de om.C violenter om.C asportarunt F 16 raptione F 19 tantam om.FC, supplevi sue] tue F prerupit F, prorumpit C 23 predicte C. Vollständig: Flor.40.Claud.112 (Uiana arch.). – Nur Teil a: Bridl. 130 (h. Cosano arch.). Cl. 76 (s. inscr.). Chelt. 4,7 (Corsano arch.). Cott. IV 6 (s. inscr.). App. 4,1 (Id. Cusano arch.). Bamb. 24,4 (Idem Cons. arch.). = Cpd. 24,4 (p. 43). Erl. 24,6 (Id. Cons. ep.). Lips. 22,7 (Id. A. Cosano ep.) = Cass. 34,4 = Tann. III 13,4. Sang. IV 9,4 (p.198: Id. Cusat. ep.). Brug. 4,8 (Alex. Susanen. arch.). Frcf. 20,24 (Alex. Consan. ep.). A III 26,5 (Idem Cons. arch.). JL. 13862. – Der erste Teil lehnt einen von Roger von Laviano vorgeschlagenen Tausch eines Kirchenzehnten gegen andere Einkünfte ab. Dieser Roger ist bekannt aus einer Urkunde des Erzbischofs Gervasius von Conza, die bei Ughelli 26,812 erwähnt wird; im Catalogus baronum n.469 (Del Re 1,584) kommt ein Wilhelm von Laviano vor. Ob die in Nr. 204 b geschilderten Unregelmäßigkeiten mit den hier im Teil b dargestellten zusammenhängen, scheint mir nicht sicher, so daß ich das Stück doch eher auf (1169-81) datieren möchte. Die volle Adresse nur in Flor. DECRETUM Anno Domini 1169 B. Herbertus Antistes Compsanus, Confessor, refertur ut Archiepiscopus electus. Jure meritoque pro certo habendum est ut codem anno ipsum consecrationi episcopali insignitum fuisse. Vertente proinde octavo anno centenario eiusdem electionis et consecrationis, statuimus ac decernimus recognitionem canonicam perficere exuviarum Beati Decessoris nostri, repositarum in area ex lapide exculpta, sub Ara majori Ecclesiae Metropolitanae Compsanae. Novissima recognitio facta est ab Archiepiscopo Compsano Caietano Caracciolo, die 23 martii A.D. 1684. Servatis de jure servandis. Datum Compsam, die XX Julii MCMLXVIIII Archiepiscopus – Administrator Apostolicus + Gastone Mojaisky Perrelli Mons. Giuseppe Chiusano Not. ad hoc CONZA DELLA CAMPANIA Cronotassi 1980 -20 agosto -2005 Pontefici: 16 ottobre 1978 -2 aprile. 2005 19 aprile 2005 - ad multos annos Giovanni Paolo II Benedetto XVI Arcivescovi: 18 novembre 1978 -21 febbraio 1981 21 febbraio 1981 -31 dicembre 1988 14 dicembre 1989 -28 febbraio 1998 30 gennaio 1999 48 dicembre 2004 14 maggio 2005 - ad multos annos Mario Maglietta Antonio Nuzzi Mario Milano Salvatore Nunnari Francesco Alfano Parroci: 4 novembre 1965 4° novembre 1982 2 novembre 1982 44 settembre 1986 14 settembre 1986 4° settembre 1990 1° settembre 1990 43 ottobre 1996 13 ottobre 1996 -6 giugno 2000 1° agosto 2000 -31 dicembre 2000 1° gennaio 2001 - ad multos annos Luigi Venezia Dino Tisato Tarcisio Luigi Gambalonga Mario Malanga Franco Celetta José Ramon Penìa Morales Pierangelo Pirotta Sindaci: 1980 – 1990 1990 – 1993 1993 – 1998 1998 – 1998 1998 – 2003 2003 – Felice Imbriani Giuseppe Rosa Luigi Ciccone Ines Giannini (Commissario) Raffaele Vito Turri Raffaele Vito Farese Dopo il sisma del 1980, a causa delle gravi condizioni di salute dell'arcivescovo Miglietta, la Santa Sede nominò amministratore apostolico sede plena prima raons, Nicola Agnozzi (29 novembre -29 dicembre 1980), vescovo di Ariano Irpino e Lacedonia, poi mons. Angelo Criscito (conzano), vescovo di Lucera e San Severo, fino allàrrivo di mons. Nuzzi. IL VESCOVO BENEDETTO Servo dei Servi di Dio al diletto figlio FRANCESCO ALFANO del Clero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno dove è Vicario episcopale per il Clero, Arcivescovo eletto di S. Angelo dei Lombardi-Conza-NuscoBisaccia, salute e apostolica benedizione. Appena chiamato a succedere al Beato Apostolo Pietro, ho saputo che i fedeli della Comunità ecclesiale di S. Angelo dei Lombardi-Conza-NuscoBisaccia aspettavano un nuovo Pastore, dopo il trasferimento del venerato fratello Salvatore Nunnari alla Sede Metropolitana di Cosenza-Bisignano. Ho pensato allora a te, diletto figlio, ricco di salda fede e buoni costumi, dotato di devozione, zelo pastorale, prudenza e dottrina, per affidarli la guida di questo gregge. Dopo aver, dunque, ascoltato il parere della Congregazione per i Vescovi, con la mia autorità apostolica, ti costituisco Arcivescovo della Chiesa Cattedrale di S. Angelo dei Lombardi-ConzaNusco-Bisaccia, con i diritti che ti sono dovuti e le annesse responsabilità. Per quanto concerne la tua ordinazione episcopale, consento che tu la riceva fuori Roma da un qualsiasi Vescovo cattolico, secondo le norme liturgiche. Ma prima dovrai emettere la tua professione di fede ed il giuramento di fedeltà verso di me ed i miei successori, secondo le leggi e le norme della Chiesa. Ti preoccuperai che in modo conveniente questa tua elezione si annunziata al Clero e al popolo a te affidato: è opportuno, infatti, che essi conoscano il proprio Pastore e lo accolgano con il dovuto rispetto. Infine, diletto figlio, che per volontà dello Spirito Santo e mia sei chiamato ad assumere un onere così grave, voglio esortarti con le parole dell’Apostolo a pascere volentieri il gregge di Dio, provvedendo ad esso spontaneamente secondo Dio, facendoti modello del gregge (cf 1Pt 5, 2-3). La presente Bolla di nomina è stata data a Roma, presso San Pietro, il 14 maggio dell’anno del Signore 2005, primo anno del mio Pontificato. Il Padre dei Padri Benedetto XVI Marcello Rossetti Protonotario apostolico INDICE PRESENTAZIONE ............. pag» SAGGI 9 GERARDO CIOFFARI OP Erberto il santo patrono di Conza. ...... . pag. 13 EMILIO RICCIARDI La cattedrale di Conza............pag. 49 CLEMENTE FARESE La cappella di S. Maria della Stella ........ pag. ANGELO COLANTUONO Il sarcofago di S. Erberto ............ pag. 93 APPENDICE 1. Fotografie.............. pag. 2. Documenti.............. pag. 106 181 FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI AGOSTO 2005 PRESSO GRAFICHE PANNISCO S.N.C. C.DA ISCA - CALITRI (AV) 75