Corte Suprema di Cassazione
Ufficio dei Referenti
per la Formazione Decentrata
dott. Maria Acierno
dott. Pietro Curzio
dott. Luigi Scarano
Dipartimento di Giurisprudenza
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE
prof. Antonio Carratta
prof. Giorgio Costantino
prof. Giuseppe Ruffini
Estratto da Foro italiano, 2014, in corso di pubblicazione, messo a disposizione
dall’Autore
NOTE SULLA ESTINZIONE DELLE SOCIETÁ PER AZIONI, PROCESSI
PENDENTI (e impugnazione della sentenza nei confronti della società
estinta)*
1- Vorrei iniziare questo mio intervento (più che una vera e propria relazione)
osservando la notevole difficoltà del tema estinzione delle società e profili
processuali. Si è infatti alla presenza di un tipico argomento a cavallo fra il diritto
sostanziale e processo, ed io non sono un commercialista né uno studioso delle
associazioni giuridiche private o degli enti pubblici.
Consapevole di questi limiti, il mio intervento avrà ad oggetto prevalentemente
l’estinzione delle società per azioni a seguito della approvazione del bilancio finale
di liquidazione cui segna la cancellazione della società dal registro delle imprese.
Mi soffermerò in particolare sulle conseguenze di tale vicenda sui processi
pendenti: a) processi instaurati da terzi contro la società (c.d. residui passivi); b)
processi instaurati dalla società contro terzi (c.d. residui attivi). Sarò però costretto
anche a considerare cosa accade ove, una volta estinta la società, terzi creditori
intendano fare valere i diritti che vantavano nei confronti della società (c.d.
sopravvenienze passive) o soci vogliano far valere crediti o diritti su beni
originariamente facenti capo alla società (c.d. sopravvenienze attive).
2- Per mettere un po’ di ordine sul tema vorrei partire dalla lettera dell’art. 2495
così come riformato dal d. leg. 6/2003. E ciò non tanto perché questa disposizione
prenda in diretto esame le quattro ipotesi or ora richiamate, quanto perché dottrina
e giurisprudenza (si vedano per tutte Cass. sez. un. 4060, 4061, 4062 del 2010, in
Foro it. 2011, I, 1498, e sempre sez. un. 6070/2013 id. 2013, I, 2198 per
indicazioni complete di dottrina si veda il recente contributo di D. LONGO in Riv.
dir. proc. 2013, 912 ss.) e da questa disposizione che prendono avvio per le loro
ricostruzioni del diritto vigente.
Orbene da nuovo testo dell’art. 2495 si ricavano due sole novità rispetto al testo del
corrispondente art. 2456 del c.c. del 1942: a) da un lato l’apertura del secondo
comma con l’espressione “ferma restando l’estinzione delle società”; b) dall’altro
lato la facoltà data ai creditori che dopo l’estinzione della società vogliono fare
valere i loro diritti contro i soci (nei limiti del riscosso) di potere notificare la
domanda presso la sede della società estinta (sempre, preciserei, che tale sede
almeno di fatto esista ancora).
Nella sostanza il nuovo art. 2495, delle quattro ipotesi sopra richiamate, ne esamina
solo una, quella della c.d. sopravvenienza passiva, ed in particolare nulla dice
quanto alle conseguenze della estinzione della società riguardo ai processi
pendenti. Il valore normativo del nuovo art. 2495 è pertanto molto limitato e, mi
azzarderei a dire, si risolve nel portare una ulteriore freccia a favore della soluzione
della estinzione immediata a seguito della cancellazione della società dal registro
delle imprese.
Sotto il vigore della disciplina prevista dal testo originario del c.d. del 1942, ed in
particolare dell’art. 2456 la giurisprudenza, contro l’opinione pressoché unanime
della dottrina, riteneva che la società non si estinguesse con la sua cancellazione
dal registro delle imprese a seguito dell’approvazione del bilancio finale di
liquidazione; ma che la società rimanesse in vita fino alla conclusione dei processi
pendenti instaurati contro la società (residui passivi) o dalla società (residui attivi).
E soluzioni analoghe, pur nell’aumentare delle difficoltà, erano sostenute riguardo
alle sopravvenienze passive o attive (ma su questa ultima, come ho anticipato, non
intendo soffermarmi analiticamente nel corso del mio intervento).
Il motivo di questo fermissimo orientamento giurisprudenziale relativo al c.d.
processi pendenti, derivava:
a) in primo luogo dalla impossibilità, riguardo ai processi pendenti, di applicazione
diretta degli art. 110 o 111 c.p.c.: non dell’art. 110 perché al venir meno della
società non seguiva una successione a titolo universale; -non dell’art. 111 perché
alla successione a titolo particolare non si accompagnava il rimanere in vita
dell’alienante (per semplicità non mi occupo della fattispecie residuale del legato);
b) in questa situazione di successione a titolo particolare dei singoli soci, la
giurisprudenza affermava il rimanere in vita della società: e ciò palesemente allo
scopo di evitare i gravi inconvenienti pratici che sarebbero derivati dalla
interruzione o anche solo riassunzione o prosecuzione del processo nei confronti
degli ex soci.
Ove si rifletta su questo –ripeto fermissimo- orientamento giurisprudenziale, non si
tarda ad accorgersi che si era alla presenza di un vero e proprio escamotage
interpretativo con il quale si cercava di sopperire alla mancanza di una norma la
quale attribuisse ai liquidatori –una volta estinta la società a seguito della
cancellazione- la veste di sostituti processuali o, il che è lo stesso di legittimati
straordinari idonei a proseguire i processi in corso per conto di soci. Nella sostanza
si faceva applicazione dell’art. 111, 1° comma, sostituendo i liquidatori
all’alienante, al dante causa, alla società estinta.
3 – A seguito della riforma del diritto societario del 2003, i problemi pratici posti
dai processi pendenti al momento della cancellazione della società dal registro delle
imprese sono rimasti inalterati: evitare i gravi inconvenienti pratici che derivano
dalla interruzione o anche solo riassunzione o prosecuzione del processo nei
confronti (o da parte) delle persone degli ex soci.
Riflettiamo sul nuovo testo dell’art. 2495, 2° comma: esso non fa altro che
esplicitare la tesi della estinzione della società a seguito della cancellazione dal
registro delle imprese.
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Per il resto, riguardo ai processi pendenti al momento della cancellazione nulla si
dice e nulla sembrerebbe essere cambiato: in particolare l’esigenza dei soci (e delle
loro controparti) di essere sostituiti dalla legittimazione straordinaria dei liquidatori
a continuare il processo per loro conto: legittimazione straordinaria, sostituzione
processuale sopravvenuta che non era prevista da nessuna norma espressa di legge
prima del 2003 così come dopo la riforma del 2003.
Le cose, come è noto, sono andate in altro modo. La giurisprudenza –forse anche
perché non consapevole che il fulcro della vecchia disciplina era la legittimazione
straordinaria dei liquidatori, e non già la mancata estinzione della società cancellata
- non se l’è più sentita di (continuare ad) affermare che, nel caso di processi
pendenti, i liquidatori conservassero la legittimazione (straordinaria) attiva e
passiva per conto dei soci: e ciò sulla base di una interpretazione, si potrebbe dire,
oggi come ieri costituzionalmente adeguatrice dell’art. 111, 1° comma, c.p.c.
nell’interesse dei soci o delle loro controparti.
La vicenda fa riflettere.
In primo luogo perché dimostra la forza delle parole a fronte di una situazione
immutata.
In secondo luogo poiché tutti quegli inconvenienti che la ribellione della
giurisprudenza anteriore aveva cercato di neutralizzare attraverso la sostanziale
attribuzione della legittimazione straordinaria ai liquidatori, sono rimasti intatti e
sono divenuti concreti a seguito della necessaria applicazione degli art. 299 ss.
Nonché, e forse è quello che più conta, sono stati ritenuti inconvenienti
tranquillamente sopportabili non solo della giurisprudenza ordinaria ma anche da
quella costituzionale (v. la incomprensibile dichiarazione di inammissibilità,
pronunciata da Corte cost. 17 luglio 2013, n. 198, in Corr. Giur. 2013, 1265 ss.).
Ne segue che –se non vi è stata dichiarazione in udienza della estinzione della
società- l’impugnazione notificata contro la società oramai estinta (o dalla società
estinta) contro dei soci non può sfuggire alla dichiarazione di inammissibilità. Ove
si continui a seguire il pur non condivisibile orientamento secondo cui la
controparte della parte defunta la cui morte non è stata dichiarata, deve proporre a
pena di inammissibilità l’impugnazione contro gli eredi veri e unici legittimati. 1
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La situazione per le parti (controparti dei soci attori o convenuti) non cambia radicalmente ove si
neghi l’applicazione degli art. 299 ss. ad ipotesi diverse della morte o della perdita di capacità di
stare in giudizio della parte persona fisica, e si ritenga invece che in ipotesi di estinzione di enti
privati o pubblici l’art. 110 trovi diretta applicazione senza il tramite della riassunzione o
prosecuzione.
Questa tesi è stata sostenuta brillantemente da Domenico Dalfino, ma non mi convince: in primo
luogo perché gli art. 299 ss. sono o dovrebbero essere disposizioni poste nell’interesse del
successore della parte e dei suoi controinteressati, e quindi la loro non applicazione determina
inevitabilmente una riduzione della garanzia; in secondo luogo perché questa tesi non aiuta in
modo alcuno a risolvere più agevolmente, nell’interesse della parte interessata, i problemi
determinati della successione durante la pendenza del processo che vede come parte la società
estinta.
Quanto poi alla tesi (sostenuta da Glendi e da Tedioli) secondo cui in ipotesi di residui
passivi non si avrebbe successione nei confronti dei soci, e questi potrebbero rispondere
solo per arricchimento senza causa, questa tesi mi sembra contrasti sia con l’esigenza di
conservare oltre alle garanzie personali gli effetti sostanziali della originaria domanda
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4 – Quanto infine ad un cenno sulle sopravvenienze passive ed attive, mi sembra
sia da dire che (oltre all’essere del tutto fuori dal fenomeno della legittimazione
straordinaria giacché il processo è instaurato dopo l’estinzione della società):
a) per la sopravvenienza c. d. passiva trova la loro disciplina esplicita nell’art.
2495, 2° comma;
b) in caso di sopravvenienza attiva l’unico modo (o almeno il più semplice) per far
valere in giudizio il credito (o il diritto al bene) è quello di chiedere ed ottenere ad
oltranza la revoca della cancellazione e la nomina di nuovi liquidatori (liquidatori
che –come è stato acutamente osservato da Salafia- richiamano molto il curatore
dell’eredità giacente ex art. 528 c.c).
Si può sperare in un ripensamento della giurisprudenza? Lo escluderei.
Per evitare di fare giocare tutta la partita delle garanzie sul terreno della rimessione
in termini ex art. 153, 2° comma, c.p.c., personalmente mi batterei perché la morte
della parte come l’estinzione della società costituita tramite difensore producano
effetti sul processo anche di impugnazione solo dopo la dichiarazione del
difensore.
La strada è lunga ma la garanzia del giusto processo, mi sembra, la impone.
5 – Questo intervento era già stato scritto quando ho avuto notizia della ordinanza
interlocutoria Cass. 30 aprile 2013, n. 10216, la quale, proprio sulla base delle
conclusioni di Cass. 6070/2013, ha rimesso alle sezioni unite il tema della
notificazione alla parte defunta dell’impugnazione in caso di mancata dichiarazione
dell’evento morte durante lo svolgimento del processo conclusosi con la sentenza
impugnata.
A. PROTO PISANI
* Relazione tenuta il 29 novembre a Lecce in un incontro di studio organizzato dal
locale Consiglio dell’Ordine.
proposta contro la società, sia con l’esigenza di evitare che si debba iniziare un nuovo
processo.
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Note del 26 febbraio 2014