CRISI O MANIPOLAZIONE
FINANZIARIA INTERNAZIONALE ?
1
• Excursus storico del debito
• Debito dei nuclei familiari, delle imprese e degli Stati:
il caso specifico dell’Italia e quello della Grecia
• Vale la pena uscire dall’euro?
• Chi può fallire ? Chi sono i creditori mondiali ?
• Il ruolo ambiguo delle agenzie di rating
• Il debito dal 1945 al 2000 ed i PAS
• Il debito dal 2000 al 2012
• La crisi finanziaria internazionale minaccia l’Africa ed
il franco CFA
• Dalla “Primavera araba” a “Occupy Wall Street”
• I mercati finanziari, strumento efficace di sviluppo ?
2
• Come uscire dalla crisi del debito ?
EXCURSUS STORICO DEL DEBITO
• Le tracce più antiche risalgono al 2400 a.C.
• La crisi del debito di Atene sotto Solone nel
594 a.C.
• Amnistia per i debitori ed i prigionieri nella
stele di Rosetta
• Ebrei, mussulmani e cattolici ed i prestiti
• L’Inghilterra ed i banchieri fiorentini
3
LA STORIA DEL DEBITO (1)
• Il debito non è un derivato della moneta, ma
al centro delle relazioni sociali
• Debito come aiuto reciproco
• Regole religiose e convenzioni sociali
• Comparsa della moneta (VII sec. a.C.) e nuove
forme di indebitamento per soddisfare
mercanti e sovrani
• Impero Romano e Medioevo: la Chiesa
proibisce l’usura
4
LA STORIA DEL DEBITO (2)
• Sviluppo di rotte commerciali in Asia
• Comparsa nel XIII secolo della lettera di
cambio
• Comparsa nel XIV secolo delle prime banche
(Medici)
• Banchieri, Papi e Sovrani: il debito reale è
personale
• Dal debito personale al debito pubblico
5
LA STORIA DEL DEBITO (3)
• Moratorie dell’Inghilterra (1340, 1472) e
insolvenze ripetute di Spagna e Francia
• Dopo il 1815 crescita industrializzazione
(ferrovie, miniere, siderurgia), abbondanza di
capitali e sviluppo delle banche
• Ricorso ad azioni ed obbligazioni
• Le crisi finanziarie del XIX secolo, in media una
per decennio: inflazione da credito,
speculazione;
boom
dell’investimento;
recessione
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LA STORIA DEL DEBITO (4)
• I capitali dell’Europa verso Turchia, Russia ed
America Latina
• Dipendenza dei rimborsi dei Paesi del Sud del
mondo dalle loro esportazioni, condizionate
dalla congiuntura dei Paesi del Nord
• Crisi di indebitamento ed assoggettamento
Stati debitori
• Prima Guerra Mondiale ed abisso nelle finanze
pubbliche europee
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LA STORIA DEL DEBITO (5)
• Consumo di massa ed indebitamento negli
Stati Uniti: il crac del 1929
• Debito degli Stati periferici: nella prima metà
anni 1930 America Latina ed Europa dell’Est
non onorano i loro impegni
• Recessione, politiche di rilancio e Seconda
Guerra Mondiale fanno decollare il debito
pubblico negli USA
• Frammentazione in zone monetarie e sviluppo
protezionismo
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IL DEBITO DEI NUCLEI FAMILIARI (1)
• Fra il 2000 ed il 2008 il debito di 10 economie
sviluppate è cresciuto di 40.700 MDI di $ correnti, di
cui:
1) 9.000 MDI delle imprese non finanziarie;
2) 10.800 MDI dei nuclei familiari (6.800 USA, 1.100
Gran Bretagna, 800 Spagna, …).
• Fra il 2000 ed il 2006 negli USA il portafoglio dei
prestiti immobiliari è passato da 4.800 a 9.800 MDI
di $ (di cui 1.170 per crediti “subprime”)
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IL DEBITO DEI NUCLEI FAMILIARI (2)
• La bolla immobiliare, causa e conseguenza
dell’imballarsi dei debito
• L’aumento dei prezzo degli immobili ha
permesso nuovamente di indebitarsi e negli
Usa anche di aumentare il credito al consumo
• I salari sono cresciuti meno della produttività
• Sono aumentate le diseguaglianze fra ricchi e
poveri
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IL SUPERINDEBITAMENTO DEI NUCLEI
FAMILIARI (1)
• 229.964 pratiche di superindebitamento depositate in
Francia fra settembre 2010 ed agosto 2011 (+5,5%
rispetto un anno prima)
• Nel 2010 l’ammontare medio era di 34.500 euro di
debito pro capite, con 10 debiti per pratica
• I debiti erano essenzialmente verso le banche (83%),
mentre il resto per spese correnti: alloggio, energia,
sanità, alimentazione, …
• L’indebitamento delle famiglie evidenzia problemi di
diseguaglianze e necessità di ridistribuzione degli
introiti
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IL SUPERINDEBITAMENTO DEI NUCLEI
FAMILIARI (2)
• Il debito bancario era principalmente per crediti
al consumo (il 65% dell’indebitamento totale)
• In alcuni casi consumatori irresponsabili ed
accesso facilitato al credito, spesso invece a
causa crisi, disoccupazione, lavori saltuari, …
Profilo tipico: donna fra i 45 ed i 54 anni, separata
o divorziata, disoccupata, che vive sola in alloggi
di cui è affittuaria. In dieci anni sono raddoppiati
coloro che hanno più di 55 anni.
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IL SUPERINDEBITAMENTO DEI NUCLEI
FAMILIARI (3)
• Spesso il superindebitamento deriva da una diminuzione
degli introiti
• Fra i crediti al consumo i “revolving credits” crediti
rinnovabili)(secondo la Banque de France implicati
nell’82% dei dossier esaminati dalle commissioni di
superindebitamento) sono spesso presi di mira:
 il volume di credito si ricostituisce secondo i rimborsi
effettuati;
 i tassi, però, variano fra il 15% ed il 20%, soglie molto vicine ai
tassi d’usura;
 la legge Lagarde in Francia del maggio 2011 sul credito al
consumo ha limitato eccessi ed abusi ed inquadrato la
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pubblicità.
IL DEBITO DELLE IMPRESE
• L’indebitamento è al centro dell’attività delle
imprese: prestiti bancari, azioni ed obbligazioni
• La crisi iniziata nel 2007 ha fatto cessare il
finanziamento facile: i mercati azionari si sono
sgonfiati ed i meccanismi d’indebitamento
inceppati
• Il debito è servito per incrementare dividendi,
ma all’arrivo della crisi la stretta creditizia ha
danneggiato le imprese, minandone la
sopravvivenza
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IL DEBITO DEGLI STATI (1)
• Quando uno Stato è troppo indebitato? Il
Rischio Paese (capacità di rimborso di uno
Stato)
• Elementi oggettivi:
livello di Sostenibilità (livello massimo del debito
che un Paese può rimborsare);
tasso di crescita dell’economia e tasso di interesse
dei prestiti;
ammontare del debito;
eccedenza primaria di bilancio.
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IL DEBITO DEGLI STATI (2)
• Elementi soggettivi:
stimare la capacità economica e politica di
un Paese di ridurre il disavanzo ed
aumentare la crescita;
stimare come evolve il consumo ed il
risparmio in funzione della variazione di
introiti e di imposte;
stimare come gli scambi esteri reagiranno
alla variazione dei tassi di cambio.
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IL DEBITO DEGLI STATI (3)
• Nel corso degli anni 1990 il FMI ha calcolato la
parte dei debiti rimborsabile del Sud del
mondo
• Sovrastima delle capacità di rimborso del Sud
per limitare l’annullo dei debiti che i Paesi del
Nord avrebbero dovuto sopportare
• Pareri diversi fra gli economisti ed
impossibilità di trovare una regola universale
per stimare la sostenibilità del debito
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IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO (1)
• Il debito pubblico si forma perché le spese dello Stato
sono maggiori delle sue entrate (il deficit pubblico)
• Nei Paesi industrializzati, a partire dagli anni 1960, la
spesa pubblica è cresciuta
• Se anche le imposte sono cresciute, i debiti sono stati
contenuti
• La spesa pubblica si divide in spesa per Stato minimo
(cioè per polizia, magistratura, esercito, …) e per lo
Stato sociale (istruzione, sanità, …)
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IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO (2)
• La spesa per lo Stato minimo è rimasta circa invariata,
quello per lo Stato sociale è esplosa
• L’Italia ha speso più di quanto incassava fino a prima
dell’ultimo governo Andreotti.
• Attorno al 1990 c’è stato pareggio a livello di saldo
primario (cioè prima di defalcare gli interessi), cioè il
bilancio dello Stato non ha generato un nuovo deficit
• Da allora il saldo primario è stato circa in pareggio e
pertanto il deficit è cresciuto per gli interessi sul debito
accumulato
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IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO (3)
• La crescita economica (variazione del PIL) è sempre
stata abbastanza limitata ed il rapporto debito/PIL
abbastanza costante
• Nel biennio 2008-2009 il rapporto è cresciuto perché il
PIL è crollato
• Il debito pubblico totale è come l’acqua di una vasca da
bagno che viene alimentata dal flusso di un rubinetto
• Se guardiamo i debiti pubblici staticamente (solo la
vasca da bagno), l’Italia è in condizioni pessime
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IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO (4)
• Se giudichiamo i debiti pubblici dinamicamente
(la velocità di crescita dell’acqua, ossia il flusso
del rubinetto), la situazione italiana risulta
invece migliore di quella di altri Paesi
• Gli allarmi sulla situazione italiana di solito
guardano solo al debito staticamente
• Il debito italiano è vulnerabile:
per mancanza di una moneta propria;
per investimenti di operatori passivi (fra cui fondi
comuni, fondi pensione, assicurazioni).
21
IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO (5)
• I danni provocati al debito della Gran Bretagna
(che ha una propria moneta), rispetto a quello
italiano, sono stati inferiori:
la Banca Centrale Inglese può comprare il debito;
la liquidità resta imbottigliata nel mercato
britannico, il debito in sterline non cambia di entità
e non si contrae la liquidità britannica.
• Gli euro del debito italiano, invece, non restano
necessariamente in Italia e per trattenere la liquidità il
nostro Paese ha dovuto offrire rendimenti sempre
maggiori (lo spread)
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IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO (6)
• Il differenziale di rendimento (spread) dipende:
dalla nostra liquidità (che evapora se la politica
economica è considerata poco efficace);
dai minori acquisti degli investitori passivi, se
andiamo bene.
• Fino alla primavera del 2011 il debito italiano
non era considerato a rischio, rispetto a quanto
si é verificato nella seconda metà dell’anno
• Dal momento che il debito pubblico della zona
euro non è in comune, la caduta di credibilità
dell’Italia ha avuto effetti devastanti
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IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO (7)
• Gli investitori passivi comprano il debito della
zona euro in indici (cioè secondo i pesi dei
debiti di ciascun Paese)
• Il debito italiano è cresciuto meno di quello
degli altri Paesi dell’area euro (perché i nostri
deficit sono stati contenuti) e pertanto è stato
comprato meno dagli investitori passivi
• Il nostro bilancio pubblico è sanabile, ma è in
discussione chi dovrà sopportarne gli oneri
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IL CASO GRECIA (1)
• Alcune tappe della sua storia recente:
alla fina della 2° Guerra Mondiale il piano Marshall
e la ricostruzione offrirono al Paese alcuni decenni
di espansione economica;
nel 1952 entrò nella NATO, vivendo nell’orbita di
Washington; la sua sovranità era solo formale e la
vita democratica, dominata dalle famiglie
Caramanlis e Papandreu, restò caotica e violenta;
in aprile 1967 i militari di Papadopulos presero il
potere ed abolirono la Costituzione;
nel 1974 ritornò la democrazia;
25
IL CASO GRECIA (2)
il 1° gennaio 1981 (nonostante la Grecia fosse
disorganizzata, la sua democrazia non consolidata e
non avesse frontiere con gli altri Stati membri) entrò
nella CEE, una decisione politica di portata simbolica;
dal 1982 i vari governi della Grecia hanno avuto una
gestione demagogica, l’aiuto europeo (che ha fatto
vivere il Paese nell’illusione di finanziamenti
inesauribili e consumi a credito) è stato molto
generoso e, per ragioni elettorali, la spesa pubblica è
aumentata molto più della crescita;
nel 1992 la Grecia firmava il trattato di Maastricht
che prevedeva l’adozione di una moneta unica;
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IL CASO GRECIA (3)
anche se la Grecia non rispettava nessuno dei criteri
di convergenza stabiliti nel trattato ed il suo debito
pubblico nel 2001 era 107% del PIL (lontano dal 60%
autorizzato!), fu ammessa nella zona euro.
• A causa del drammatico degrado della
situazione economica e sociale in Grecia e del
suo debito (ereditato dalla dittatura, legato ai
Giochi Olimpici del 2004 ed a massicci acquisti di
materiale militare) le sono state imposte misure
che ricordano i “Piani di Aggiustamento
Strutturale” (PAS) imposti ai Paesi africani negli
anni 1980
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29
30
31
VALE LA PENA USCIRE DALL’EURO ? (1)
• Cosa succederebbe se l’Italia tornasse alla lira?
gli investitori (esteri, ma anche italiani) sarebbero
obbligati a sopportare almeno una parte della
riduzione del debito, senza caricarla tutta sulle
spalle dei contribuenti;
con il risparmio (derivante da minori interessi da
pagare) si potrebbero fare gli investimenti necessari
per il nostro Paese;
l’Italia sarebbe nuovamente libera di svalutare la
propria moneta ed aiutare le imprese ad esportare.
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VALE LA PENA USCIRE DALL’EURO ? (2)
• I trattati non prevedono un’uscita dall’euro e
secondo l’art. 50 del “Trattato di Lisbona”, “ogni
Stato membro può decidere, conformemente
alle proprie norme costituzionali, di recedere
dall’Unione”
• Nessuna menzione viene fatta della possibilità
di uscire dall’euro ma non dall’Unione Europea
• Non ci sono precedenti storici a cui aggrapparsi,
anche se c’è stata la dissoluzione dell’area del
rublo (dopo la caduta URSS) o la crisi argentina
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VALE LA PENA USCIRE DALL’EURO ? (3)
• Tra il 1999 ed il 2002 l’Argentina (la cui sovranità
monetaria era limitata e legata alla politica monetaria
USA), oberata dai debiti e da una bilancia dei
pagamenti negativa, decise di rompere la parità di
cambio fisso del peso con il dollaro e lasciar svalutare
il peso
• Vantaggi di uscire dall’unione monetaria:
iniziale bancarotta sul debito, anche ridenominandolo nella
nuova valuta il suo peso diventerebbe insostenibile, ma poi
riacquisto credibilità internazionale, libertà di spesa, …;
merci esportate più competitive;
recupero sovranità monetaria.
34
VALE LA PENA USCIRE DALL’EURO ? (4)
• Ma ci sarebbero anche notevoli svantaggi, fra i quali:
costo della bancarotta (più alta è la % di debito non ripagato,
più alto è lo spread): in Italia colpirebbe i detentori del debito
pubblico (banche nazionali e piccoli risparmiatori);
corsa alle banche: i depositanti, per proteggere il potere
d’acquisto dei loro risparmi, si affretterebbero a ritirarli e
portarli all’estero, danneggiando la liquidità delle banche con
possibilità di bancarotta;
contagio degli altri Stati europei, in particolare i PIGS;
maggiore competitività? L’Italia è fortemente dipendente
dall’estero per la fornitura di materie prime (che
diventerebbero più care), si richiederebbe aumento salari con
rialzo dei prezzi dei prodotti esportati, oltre a ritorsione di
altri Paesi euro, considerando sleale la nostra svalutazione
35
36
CHI PUO’ FALLIRE ? (1)
• Un’impresa può essere insolvente, una
persona super indebitata, ma uno Stato non
può essere messo in liquidazione
• Il fallimento dell’impresa: sua scomparsa e
sanzioni verso dirigenti e soci
• Per gli individui non c’è fallimento, ma per
esempio in Francia ai super indebitati si può
dare una seconda possibilità
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CHI PUO’ FALLIRE ? (2)
• Uno Stato può cessare i pagamenti, non
rimborsare i debiti, ma non può scomparire
come un’impresa
• Nel XIX secolo, quando uno Stato era
insolvente, si ricorreva alla tecnica della
cannoniera, invadendo il Paese per proteggere
i propri interessi (
 clamoroso fu nel 1903 il caso del Venezuela di Cipriano
Castro, Paese insolvente contro il quale Germania e Gran
Bretagna (ed anche l’Italia che si accodò) inviarono le loro
corazzate, imponendo un blocco navale.
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39
CHI PUO’ FALLIRE ? (3)
• Fino a metà degli anni 1980 i creditori non
pagati da uno Stato si rivolgevano a tribunali,
spesso sostenuti dai loro governi
• Dal 2000, se un Paese ha gravi difficoltà e non
riesce a far fronte ai propri impegni, Stato e
creditori
trattano per rinegoziare o
ristrutturare il suo debito
• I creditori si devono accordare secondo
“clausole d’azione collettiva”, che dal 2013
saranno operative per tutti i Paesi dell’area
euro
40
CHI SONO I CREDITORI MONDIALI ? (1)
• 270.000 MDI di $ costituiscono (Crédit Suisse) la
ricchezza globale detenuta nel mondo
• La ricchezza è sempre più concentrata nelle mani di
pochi, sempre più numerosi nei Paesi emergenti
• Nel 2011, 30 ML di individui (molti in Cina ed India)
possedevano patrimoni maggiori di 1 ML di $
• Per l’80% i milionari provengono comunque dal Nord
America, dall’Europa e dal Giappone, le regioni più
indebitate del mondo
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CHI SONO I CREDITORI MONDIALI ? (2)
• Il debito privato dei Paesi più ricchi rappresenta
l’88% del loro PIL, mentre quello dei Paesi
meno agiati non raggiunge il 20%: più si è
ricchi, più ci si indebita!
• Il forte sviluppo dei Paesi emergenti ha favorito
la nascita di una classe media, il cui risparmio
finanzia il debito dei Paesi del Nord
• Meno della metà della ricchezza mondiale è
immobiliare, il resto si ripartisce equamente fra
depositi, titoli ed assicurazioni (patrimonio
mobiliare)
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CHI SONO I CREDITORI MONDIALI ? (3)
• Le obbligazioni internazionali sono principalmente di
Stati Uniti e Paesi europei, detenute totalmente da
investitori istituzionali: Fondi Pensione, Fondi di
Investimento, Assicurazioni
• Tali investitori istituzionali nel 2010 possedevano
80.000 MDI di $ di attivi
• Più della metà di debiti della zona euro è detenuta da
non residenti
• Fra i primi dieci creditori degli Stati Uniti, ben otto
sono economie emergenti (Cina in testa)
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• Excursus storico del debito
• Debito dei nuclei familiari, delle imprese e degli Stati:
il caso specifico dell’Italia
• Vale la pena uscire dall’euro?
• Chi può fallire ? Chi sono i creditori mondiali ?
• Il ruolo ambiguo delle agenzie di rating
• Il debito dal 1945 al 2000 ed i PAS
• Il debito dal 2000 al 2012
• La crisi finanziaria internazionale minaccia l’Africa
• Dalla “Primavera araba” a “Occupy Wall Street”
• I mercati finanziari, strumento efficace di sviluppo ?
• Come uscire dalla crisi del debito ?
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RUOLO AMBIGUO DELLE AGENZIE DI RATING (1)
• La crisi dei “subprime” e soprattutto quella dei debiti
pubblici europei hanno messo in primo piano le
agenzie di rating
• Create all’inizio del XX secolo negli Stati Uniti,
(Standard & Poor’s, Moody’s, Fitch, …) hanno un
ruolo chiave per stabilire la credibilità di chi chiede
prestiti
• Dagli anni 1970 chi chiedeva prestiti (ed anche le
banche d’affari) si rivolgeva a loro per rafforzare la
propria reputazione
45
RUOLO AMBIGUO DELLE AGENZIE DI RATING (2)
• Dall’inizio anni 1980 (governo Reagan) gli USA hanno
aperto le porte al risparmio estero per finanziare i loro
deficit pubblici, seguiti da altri Paesi, e le agenzie di
rating hanno aumentato ulteriormente il loro potere
• Spesso le agenzie di rating sono state criticate, perché:
coinvolte in conflitti di interessi, essendo pagate da chi
chiede prestiti;
negli anni 2000 hanno avallato prodotti finanziari tossici (il
caso della società Enron, fallita nel 2001);
hanno grossi poteri, ma nessuna responsabilità;
invece di lanciare segnali d’allarme, creano il panico.
46
IL DEBITO DAL 1945 AL 2000 (1)
• Alla fine della Seconda Guerra Mondiale il
debito internazionale cambiò di taglia e di
natura
• Accordi di Bretton Woods (1944): Banca
Mondiale e Fondo Monetario Internazionale
• Dal “Gold Standard” al “Dollar Standard”
• Agli inizi degli anni 1960 i Paesi in via di sviluppo
(PVS) erano finanziati da flussi pubblici
• 1971: inconvertibilità dei dollari in oro
47
IL DEBITO DAL 1945 AL 2000 (2)
• Inizi anni 1980: il FMI si trasforma per
sostenere Paesi indebitati
• Choc petrolifero 1973-1974 e 1979: la manna
finanziaria dei petrodollari
• Prestiti in massa ai PVS e crescita debiti esteri:
dai 70 MDI di $ nel 1970 ai 537 MDI di $ nel
1980
• Per imbrigliare inflazione, stretta creditizia
Banca Centrale e tassi interesse alle stelle
48
IL DEBITO DAL 1945 AL 2000 (3)
• Recessione al Nord e influsso negativo sulle
esportazioni del Sud
• Arrivo al potere di dirigenti liberali (Thatcher e
Reagan), deregulation e cessazione interventi
degli Stati nell’economia
• 1980 -1982 numerosi Paesi latino- americani
ed africani impossibilitati a rimborsare i debiti
• Negoziazioni e piani di aggiustamento
strutturale del FMI: svalutazioni, tagli spesa
pubblica, privatizzazioni
49
IL DEBITO DAL 1945 AL 2000 (4)
Le trasformazioni dei debiti dei Paesi del Sud del mondo
Flussi annui lordi di entrate di capitali, in MDI di dollari correnti
50
IL DEBITO DAL 1945 AL 2000 (5)
• Sempre più flussi privati per finanziare il debito a lungo
termine dei Paesi del Sud
• Cambiano i rapporti fra creditori e debitori e si
privilegiano rendimenti rapidi
• Se cresce il rischio, i titoli di credito vengono ceduti
• Crisi asiatica del 1997 a causa infatuazione suscitata
presso gli investitori e deregulation non controllata
• Uno sguardo ai Piani di Aggiustamento Strutturali
imposti dal FMI è opportuno
51
I PIANI DI AGGIUSTAMENTO STRUTTURALE (1)
• Negli anni 1970, con la crisi del petrolio, ci fu un notevole
afflusso di petrodollari. Alla ricerca di sbocchi di mercato,
furono prestati in modo molto liberale soprattutto ai
Paesi africani
• Il loro debito (pubblico e privato) crebbe enormemente,
finanziando tanto l’economia reale quanto “cattedrali nel
deserto” e spese pubbliche fuori controllo
• La svolta nei tassi di interesse a metà anni 1970 fece
esplodere il servizio del debito, il quale divenne la prima
posta nelle spese dello Stato. Con la crisi finanziaria del
Messico (1994-1995) si rischiò il fallimento del sistema
finanziario internazionale
52
I PIANI DI AGGIUSTAMENTO STRUTTURALE (2)
• Nonostante l’ammontare dei loro debiti (quasi
essenzialmente pubblici) fosse irrisorio (in valori
assoluti), i Paesi africani furono obbligati a ridurre
drasticamente i loro deficit, altrimenti in futuro
non avrebbero più ottenuto prestiti
• I PAS degli anni 1980 furono la pozione amara
inflitta al paziente:
taglio della spesa pubblica;
licenziamenti nella funzione pubblica;
riduzione dei salari;
soppressione delle sovvenzioni;
…..
53
I PIANI DI AGGIUSTAMENTO STRUTTURALE (3)
• Per completare il quadro si impose anche:
una liberalizzazione selvaggia, come obbligava il dogma
neoliberale, sottoponendo economie fragili alla concorrenza
internazionale;
la proibizione di dazi all’importazione, misura protezionista
che finanziava una buona parte della spesa pubblica.
• Gli effetti di tale strategia sono oggi ben noti:
le entrate dello Stato affondarono e quindi anche la capacità
di rimborsare;
i salari o non vennero pagati o furono onorati soltanto con
forti ritardi;
la funzione pubblica si indebolì per riduzione degli organici;
numerose imprese furono obbligate a chiudere, minando
alla base lo sviluppo dell’industrializzazione e causando
un’esplosione del settore informale e della povertà.
54
I PIANI DI AGGIUSTAMENTO STRUTTURALE (4)
• Va anche aggiunto che:
la sanità divenne a pagamento, escludendo una
parte crescente della popolazione;
l’educazione
affondò,
con
conseguenze
drammatiche e cumulative: i giovani di oggi hanno
spesso avuto insegnanti scarsamente preparati
formati in quel periodo;
i PAS, invece di rilanciare l’economia, l’hanno
strutturalmente indebolita:
riducendo la domanda interna;
favorendo l’invasione di prodotti stranieri.
55
I PIANI DI AGGIUSTAMENTO STRUTTURALE (5)
• Le élite locali, immobilizzate fra movimenti sociali
(scioperi a ripetizione, nella funzione pubblica e
nell’insegnamento) ed il diktat delle istituzioni
internazionali per ottenere prestiti:
furono obbligate a rinunciare ad ogni progetto politico;
si posizionarono come beneficiari degli aiuti.
• Essendo i budget convalidati da Washington:
si indebolirono élite politiche e ruolo dei Parlamenti,
condizionando scelte politiche e dibattito democratico;
esplose la corruzione, tanto quella minuta (per ritardi nel
pagamento dei salari) quanto quella più consistente.
56
I PIANI DI AGGIUSTAMENTO STRUTTURALE (6)
• Dieci anni dopo (anni 1990), riscontrando gli effetti
disastrosi dei PAS in campo sociale, si tentò un
”aggiustamento strutturale dal volto umano”,
sovvenzionando dall’estero un minimo di servizi sociali
• Vent’anni dopo (anni 2000), restando il servizio del
debito sempre molto consistente, si dovette optare per
la cancellazione dei debiti
• Il servizio del debito, naturalmente, diminuì, ma
restarono presenti gli effetti dei PAS: diseguaglianze,
povertà e voglia di emigrare dei giovani
• Il tasso di crescita di un 6%-7% dell’Africa (considerato
quello di decollo) è derivato esclusivamente
dall’impennata del prezzo delle materie prime
esportate, senza effetti indotti in termini di
redistribuzione, di salari e di riduzione della povertà
57
I PIANI DI AGGIUSTAMENTO STRUTTURALE (7)
• Il contesto è oggi molto diverso e diverse sono anche le
cause dell’indebitamento
• I Paesi africani hanno una forte crescita demografica,
mentre il livello d’industrializzazione resta molto scarso
• Le responsabilità dei Paesi occidentali verso la situazione
dell’Africa sono notevoli, ma anche le élite locali hanno
fatto la loro parte: clientelismo e neopatrimonialismo
sono tutt’altro che secondari nel debito africano!
• I conti pubblici della Grecia sono stati truccati, ma cause
similari a quelle dei Paesi africani hanno prodotto gli
stessi effetti. Le politiche di austerità imposte per sanare
il bilancio non potrebbero uccidere il paziente?
58
59
IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (1)
• Quattro episodi dello stesso romanzo:
1)2007: la crisi del credito immobiliare
statunitense, i “subprime”
2)Settembre 2008: crisi bancaria e fallimento
Lehman Brothers
3)Crisi economica, recessione e massicci interventi
pubblici
4)2009-2011: dal debito privato verso il debito
pubblico
60
IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (2)
Due interrogativi:
1) Come la crisi si è spostata da un mercato e
da un continente all’altro?
2) Per quale motivo ci sono così tanti debiti che
non si riesce ad assorbire?
61
IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (3)
• Tutto è iniziato (negli Stati Uniti ed in Europa)
con l’esplosione dei prezzi degli alloggi nel
decennio precedente la crisi
• L’indebitamento
dei
nuclei
familiari
(influenzato dalla crescita di valore degli
immobili) è salito alle stelle
• Condizioni monetarie e finanziarie favorevoli
(credito a buon mercato in USA ed Europa e
bassi tassi di interesse) ed il caso della “bolla
Internet”
62
IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (4)
• Lo sviluppo del credito al consumo negli USA
per evitare la recessione
• Paesi emergenti (in particolare Cina) si sono
inseriti nel commercio mondiale, inondando i
mercati con prodotti a bassi prezzi
• Non c’è stata inflazione ed i tassi a lungo
termine non sono cresciuti
63
IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (5)
• Per ancorare le varie monete al dollaro e per la
possibilità di investimenti liquidi e senza rischi,
soprattutto verso gli Stati Uniti converge il
risparmio di:
Germania e Giappone, tradizionalmente esportatori
di risparmio;
Paesi petroliferi, che usufruiscono dell’impennata
dei corsi del petrolio;
Paesi del sud-est asiatico (fra cui la Cina), che dopo
la crisi del 1997 perseguono uno sviluppo trainato
dalle esportazioni.
64
IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (6)
La cartolarizzazione
I prestiti accordati dalle banche a nuclei
familiari in situazione finanziaria precaria:
1)vengono trasformati in titoli di credito (come le
obbligazioni degli Stati più solidi);
2)vengono ceduti ad una società ad hoc che li
acquista emettendo titoli sui mercati;
3)escono dal bilancio della banca ed il rischio viene
trasferito a vari investitori.
65
IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (7)
• Alla vigilia della crisi, nel 2006, i crediti
immobiliari “subprime” costituivano circa 1/3
dei crediti cartolarizzati
• Con la cartolarizzazione il mestiere delle
banche è cambiato: non accompagnano i
mutuatari ma cedono il rischio
• Alla nascita dell’euro c’era stata un’unione
monetaria, ma non politica
66
IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (8)
• Nell’area euro si è tentato di far convergere
tassi di interesse a lungo termine in Paesi con
diversi ritmi di crescita dei prezzi
• Tassi di inflazione diversi nei Paesi della zona
euro
• Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna (i PIGS)
per anni hanno beneficiato di tassi di interesse
reali negativi (inferiori all’inflazione) che li
hanno invogliati ad indebitarsi
67
IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (9)
• Il deficit estero dei PIGS (non in valore
assoluto ma in proporzione) è aumentato
molto più di quello degli USA
• Il bisogno di finanziamento è stato coperto da
altri Paesi della zona euro (principalmente
Germania): la zona euro era in equilibrio
• Essendo i vari attori collegati fra loro, la crisi
immobiliare USA del 2006 è arrivata alle
banche europee, paralizzando il sistema
68
IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (10)
• Crisi di liquidità, razionamento del credito e
recessione economica mondiale
• Per fronteggiare le inadempienze degli attori
privati, i poteri pubblici si sono mobilitati
• Le banche centrali hanno fornito liquidità alle
banche in modo quasi illimitato
• Le finanze pubbliche hanno salvato le banche ed i
debiti pubblici sono andati alle stelle: nel 2011
quelli dei Paesi avanzati hanno raggiunto il 100%
del PIL, 30 punti in più rispetto a 4 anni prima!
69
IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (11)
• I poteri pubblici hanno preso su di sé una
parte dei debiti privati eccessivi ereditati dagli
anni prima della crisi, ma era necessario che:
i bilanci bancari fossero effettivamente ripuliti dai
crediti dubbi (titoli tossici);
lo Stato ispirasse fiducia ai suoi creditori
(l’indicazione dello spread).
• In caso contrario il contagio si sarebbe diffuso,
come nel 2009, quando la Grecia dichiarò il
disastro delle sue finanze
70
IL DEBITO DAL 2000 AL 2012 (12)
• Come si stanno comportando i vari Stati da due anni?
 rifilano i titoli tossici ad altri Stati, ma ogni Stato è
responsabile dei propri debiti:
 fanno riacquistare il debito dalla Banca Centrale (Stati Uniti e
Gran Bretagna);
 default dello Stato, ma con mercati finanziari integrati le
conseguenze sono disastrose.
• Invece di calmare la febbre, i piani di salvataggio
proposti la attizzano, propagando il contagio
• La crescita dell’indebitamento dovrebbe stimolare la
messa in discussione del modello di crescita e degli
effetti disastrosi provocati sull’occupazione
71
LA CRISI FINANZIARIA MINACCIA L’AFRICA (1)
• La crisi finanziaria mondiale sta minacciando di
far precipitare, a breve scadenza, milioni di
africani nella miseria ed attizzare i conflitti nel
continente
• La recessione in atto si sta ripercuotendo
sull’Africa attraverso:
caduta degli scambi commerciali;
diminuzione delle rimesse degli emigranti (-6,3% a
livello mondiale);
contrazione degli investimenti stranieri;
diminuzione degli aiuti.
72
LA CRISI FINANZIARIA MINACCIA L’AFRICA (2)
• Negli anni scorsi l’Africa era rimasta al riparo dalle
follie finanziarie occidentali, perché le banche
africane (autoctone o filiali di grandi reti):
non avevano comprato o venduto titoli finanziari
tossici alla base dei subprime USA;
non erano nemmeno esposte, come quelle
statunitensi, all’impossibilità di rimborsi di prestiti
(soprattutto immobiliari).
• Il continente africano era riuscito a resistere allo
shock finanziario, ma i prestiti erano diventati più
rari e più cari
73
LA CRISI FINANZIARIA MINACCIA L’AFRICA (3)
• Il flagello può invece ora colpire la crescita delle
economie africane, ipotecando il futuro, poiché:
nei Paesi occidentali la domanda di manufatti da parte
del Sud del mondo sta diminuendo;
i Paesi occidentali stanno importando meno materie
prime (in particolare petrolio) a causa della recessione.
• I prezzi delle materie prime agricole, invece, non
dovrebbero subire grosse variazioni, ma l’Africa in
particolare è sottoposta a:
accaparramento di terre fertili (da parte di cittadini
nazionali e soprattutto imprese straniere) per:
 produrre alimenti destinati all’esportazione (riso per Arabia
Saudita, ortaggi per il Qatar, …);
 produzioni agricole per ottenere agro carburanti.
74
LA CRISI FINANZIARIA MINACCIA L’AFRICA (4)
• Salvo per alcuni Paesi sconvolti da conflitti, le
economie africane da circa un decennio hanno
continuato a crescere, guardando con un po’ di
commiserazione un’Europa che si sta dibattendo in
preda alla crisi dei debiti sovrani e che tante volte ha
voluto darle lezioni di buona gouvernance
• Oggi è l’Europa che deve passare sotto le forche
caudine del FMI, sottostando a piani di austerità
sempre più severi
• I mercati e gli investitori non hanno fiducia nella Zona
euro e potrebbe avvicinarsi il tempo nel quale saranno
esperti africani ad insegnare all’Europa come non
sprecare denaro
75
LA CRISI FINANZIARIA MINACCIA L’AFRICA (5)
• Purtroppo l’Africa attuale non è immune dalle
conseguenze della crisi internazionale:
la Banca Africana dello Sviluppo (BAD) ha stimato
che una riduzione di un punto di crescita del PIL
europeo si tradurrebbe:
 nella riduzione del 10% degli introiti da
esportazione per l’Africa;
in una riduzione di mezzo punto di crescita del PIL
africano.
76
LA CRISI FINANZIARIA MINACCIA L’AFRICA (6)
• La crisi europea può contaminare l’Africa attraverso tre
canali:
il calo delle esportazioni potrebbe asfissiare i Paesi africani
che dipendono dalle economie sviluppate per la vendita di
minerali (Zambia, Zimbabwe, Mauritania, Guinea), di
idrocarburi (Nigeria, Angola, Algeria, Libia, Sudan) o per il
turismo (Tunisia, Isola Maurizio, Marocco, Senegal);
una stretta creditizia sui mercati finanziari del Nord si
tradurrebbe automaticamente in uno shock del credito in
Africa, la cui rete bancaria in buona parte appartiene ad
istituti europei;
le strette di bilancio ed il rallentamento delle economie
sviluppate renderebbero più rare le fonti di finanziamento
per l’Africa: aiuti pubblici, investimenti esteri e rimesse degli
emigranti.
77
LA CRISI FINANZIARIA MINACCIA L’AFRICA (7)
• Per contrastare queste disgrazie è necessario che
l’Africa:
si sforzi di diversificare le sue esportazioni, per non
dipendere soltanto da alcune materie prime;
diversifichi i mercati, giocando la carta degli scambi
regionali (come si verifica già in Africa orientale);
si affidi maggiormente ai Paesi emergenti (Cina, India,
Brasile, …)(che oggi coprono circa il 40% del
commercio africano), la cui crescita resterà più elevata
di quella dei Paesi industrializzati.
78
LA CRISI FINANZIARIA MINACCIA L’AFRICA (8)
• Agli inizi del 2012 la Banca Mondiale ha rivisto al ribasso la
prospettiva di crescita nel 2012 dell’economia mondiale
(2,5%)
• In un contesto difficile, solo l’Africa sub-sahariana resiste
(PIL previsto del 5,3%, contro 4,9% nel 2011), mentre il
Nord Africa ed il Medio Oriente sono ancora influenzati
dagli effetti della “Primavera araba”
• Dall’agosto 2011 la crisi dell’Europa sta contagiando i Paesi
emergenti, la cui crescita sta anche rallentando per effetto
delle politiche anti-inflazionistiche che hanno adottato,
accrescendo i potenziali danni per gli altri Paesi del Sud del
mondo
• Uno sguardo alla zona africana del franco CFA è opportuna
79
IL FRANCO CFA (1)
• Il franco CFA è la moneta utilizzata in due Unioni
Monetarie da 14 paesi africani, ex colonie francesi
(eccetto Guinea Equatoriale, ex-colonia spagnola e
Guinea-Bissau, ex-colonia portoghese)
• Benin, Burkina Faso, Costa d'Avorio, Guinea-Bissau, Mali,
Niger, Senegal e Togo, sono riuniti in “Unione Economica
e Monetaria dell’Africa Occidentale” (UEMOA),
• Camerun, Repubblica Centroafricana, Repubblica del
Congo, Gabon, Guinea Equatoriale e Ciad, sono riuniti
nella “Comunità Economica e Monetaria dell'Africa
Centrale” (CEMAC).
80
81
IL FRANCO CFA (2)
• Il Franco CFA fu creato come il Franco CFP il 26 dicembre
del 1945, al momento della ratifica da parte della Francia
degli accordi di Bretton Woods, con un cambio fisso
rispetto al Franco Francese (oggi all’euro). A quei tempi la
sigla indicava il franco delle Colonie Francesi Africane
• Esistono oggi due nomi distinti per il franco CFA, ad
evidenziare la divisione della zona in due aree monetarie:
la prima ha come istituto di emissione il “Banco
Centrale degli Stati dell’Africa Occidentale” (BCEAO);
 la seconda il “Banco degli Stati dell’Africa
Centrale”(BEAC);
 le rispettive valute non sono intercambiabili.
,82
IL FRANCO CFA (3)
• Gli accordi vincolanti i due istituti centrali con le
autorità francesi sono identici e prevedono le seguenti
clausole:
 un tipo di cambio fissato alla divisa europea (al 18.1.2009 ,
100 CFA = 0,15 euro);
 piena convertibilità delle monete con l'euro garantita dal
Tesoro francese (e non dalla Banca Centrale Europea);
 fondo comune di riserva di moneta estera a cui partecipano
tutti i paesi del CFA (almeno il 65% delle posizioni in riserva
depositate presso il Tesoro francese, che si fa garante del
cambio monetario);
 in contropartita alla convertibilità era prevista la
partecipazione delle autorità francesi nella definizione della
politica monetaria della zona CFA.
83
IL FRANCO CFA (4)
• Malgrado due banche centrali, la politica monetaria
della zona CFA si gioca comunque a Francoforte. Quali
conseguenze e quali opportunità nella crisi del debito
sovrano nella zona euro?
• Tre canali di trasmissione inquietano a breve termine:
 il commercio estero. Le esportazioni della zona verso l’Europa
sono più di 1/3 del totale e la contrazione della domanda
europea sta incidendo sugli introiti africani;
 le rimesse dei migranti, influenzate dai consumi e dalla
disoccupazione record (specialmente in Spagna, 23% alla fine
2011);
 la restrizione ed il rincaro del credito da parte delle banche
francesi, molto presenti nella zona, che compromettono lo
sviluppo del settore privato.
84
IL FRANCO CFA (5)
• Deprezzamento dell’euro ed elevato ammontare delle
importazioni di materie prime complicano l’equilibrio
macroeconomico dei Paesi della zona CFA
• L’euro ha acquisito nuovo vigore ad ogni accordo sulla
Grecia fra aprile 2011 e marzo 2012, ma si è deprezzato
di circa il 15% rispetto al dollaro
• L’ancoraggio del franco CFA all’euro ed il deposito
obbligatorio dell’80% delle riserve di cambio dell’area
CFA presso un conto gestito dal Tesoro francese
determinano un suo deprezzamento in concomitanza
con quello dell’euro
85
IL FRANCO CFA (6)
• Il deprezzamento dell’euro aumenta l’entità del debito estero dei
Paesi della zona CFA qualora sia in monete diverse dall’euro
(dollaro, yen, yuan), appesantendo il servizio del debito
• Nonostante il rallentamento economico mondiale, i prezzi delle
materie prime restano elevati, in particolare quelli di prodotti per
i quali l’area è importatrice netta, come il petrolio ed i cereali (per
Senegal)
• La crescita dei prezzi dei prodotti alimentari nel 2007-2008 ha
avuto conseguenze disastrose
• In considerazione della contrazione della domanda europea e del
deprezzamento dell’euro, i Paesi CFA potrebbero rilanciare la
propria competitività, integrandosi maggiormente a livello
regionale
86
DALLA “PRIMAVERA ARABA” A “OCCUPY WALL
STREET” (1)
• In Tunisia ed Egitto le condizioni di vita delle
popolazioni in questi ultimi anni si sono aggravate,
portando a proteste sociali represse molto duramente
• In Tunisia una reazione massiccia ha rapidamente
assunto una dimensione politica, il popolo ha riempito
le piazze, affrontando la repressione e chiedendo la
partenza del dittatore Ben Alì, che ha dovuto andarsene
il 14 gennaio 2011
• A partire dal 25 gennaio 2011, il movimento si è esteso
all’Egitto
87
DALLA “PRIMAVERA ARABA” A “OCCUPY WALL STREET”
(2)
• La popolazione dell’Egitto da decenni era stata
sottoposta alle contro-riforme neoliberali dettate dalla
Banca Mondiale e dal FMI, combinate con il regime
dittatoriale di Mubarak, alleato, come quello tunisino,
con le potenze occidentali e totalmente compromesso
in un’alleanza con Israele.
• L’11 febbraio 2011 (un mese dopo Ben Alì) Mubarak fu
obbligato ad andarsene
• Altri Paesi della regione si sono mossi (Libia, Marocco,
Siria, Yemen, …), la repressione è stata molto pesante
ed il processo in alcuni Paesi è tuttora in corso
• In Tunisia ed Egitto le attuali classi al potere stanno
cercando di controllare la situazione, per evitare che
sfoci in una rivoluzione sociale
88
DALLA “PRIMAVERA ARABA” A “OCCUPY WALL STREET”
(3)
• Il vento della ribellione ha attraversato il
Mediterraneo e dal Nord Africa ha raggiunto il sud
dell’Europa
• In Portogallo il 12 marzo 2011 il movimento dei
precari ha manifestato: centinaia di migliaia di
persone sono scese in strada
• Il 15 maggio 2011 la protesta raggiungeva la
Spagna e rimbalzava a livello mondiale fino alla
manifestazione mondiale del 15 ottobre 2011
• Dal 24 maggio 2011 il movimento colpiva la Grecia
89
DALLA “PRIMAVERA ARABA” A “OCCUPY WALL STREET”
(4)
• In luglio-agosto 2011 la protesta sociale ha scosso
anche Israele (ma senza alcun collegamento con
la causa palestinese)
• In settembre 2011 il movimento ha attraversato
l’Atlantico e si è esteso negli Stati Uniti
• Il 15 ottobre 2011 (data definita in Spagna dal
movimento degli indignati), più di un milione di
persone hanno manifestato nel mondo: Spagna,
Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia, Giappone, Gran
Bretagna (Londra) Stati Uniti (Wall Street), …
90
DALLA “PRIMAVERA ARABA” A “OCCUPY WALL STREET”
(5)
• 80 Paesi diversi e circa un migliaio di città hanno
assistito alle sfilate di centinaia di migliaia di giovani ed
adulti che protestavano contro la gestione della crisi
economica internazionale
• Venivano criticati i governi, che correvano in soccorso
delle istituzioni private responsabili del disastro,
approfittandone per rafforzare politiche neoliberali:
licenziamenti,
taglio
delle
spese
pubbliche,
privatizzazioni, attentati ai meccanismi di solidarietà
• Dappertutto il rimborso del debito pubblico era il
pretesto utilizzato dagli Stati per rafforzare l’austerità e
sul banco degli accusati c’erano le banche
91
92
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94
95
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97
I MERCATI FINANZIARI STRUMENTO
EFFICACE PER LO SVILUPPO ? (1)
• Le società primitive scambiavano con il sistema del
baratto
• La creazione degli strumenti di credito ha consentito lo
sviluppo di maggiori commerci
• Le prime monete, ci ricorda Max Weber, erano senza
capacità di scambio ma per regolare debiti sociali
(tributi, regali ai capi, doti, ammende, sanzioni,…)
• Gli Stati, acquisita legittimità dalla propria popolazione
e sovranità riconosciuta dagli altri Stati, hanno
mobilitato risparmio nazionale ed aiuti internazionali
98
I MERCATI FINANZIARI STRUMENTO
EFFICACE PER LO SVILUPPO ? (2)
• Soltanto dal XX secolo le banche dei Paesi ricchi sono
istituzioni di credito professionali, prima erano
influenzate dai legami personali fra banchieri e
dirigenti politici
• È stato questo anche il caso del Giappone e dei Paesi
emergenti asiatici:
1)dapprima un intervento diretto sul settore bancario;
2)facilitazioni per l’esportazione;
3)creazione di poli di finanziamento pubblici.
99
I MERCATI FINANZIARI STRUMENTO
EFFICACE PER LO SVILUPPO ? (3)
• Convertendosi ad una liberalizzazione finanziaria i
Paesi asiatici hanno preparato la crisi del 1997-1998:
1)i settori bancari erano stati autorizzati ad aprirsi verso
l’estero, con scarso controllo dei rischi;
2)gli investitori stranieri massicciamente hanno prestato alle
banche locali (in $);
3)investimenti poco produttivi e speculativi sono stati
finanziati;
4)tutto è crollato quando i capitali stranieri si sono ritirati alla
fine degli anni 1990.
100
I MERCATI FINANZIARI STRUMENTO
EFFICACE PER LO SVILUPPO ? (4)
• Fra il 2002 ed il 2007 i capitali destinati ai PVS sono passati da
154,4 MDI di $ a 1.100 MDI (al netto dei rimborsi), per ritornare
a 600 MDI nel 2009
• Le Borse dei Paesi emergenti sono passate da uscite nette di
capitali nel 2008 ad entrate di più di 100 MDI di $ negli anni
successivi
• Alcuni Paesi (Brasile, Corea del Sud, Thailandia, …) hanno
introdotto controlli per limitare il va e vieni di capitali esteri
• Lo sviluppo può ricorrere all’indebitamento, ma urge una
regolamentazione, per evitare conseguenze economiche e
sociali disastrose
101
COME USCIRE DALLA CRISI DEI DEBITI ? (1)
• Gli Stati della zona euro devono ridurre i loro deficit
per controllare i debiti, ma possono farlo senza
ostacolare la crescita?
• Sprofondare nella crisi e non riuscire a controllare il
debito pubblico, ricorrere a piani di austerità inquieta
e nutre la spirale della sfiducia dei mercati
• Lasciar aumentare i deficit (anche per sostenere
attività depresse) significa pagare sempre più
interessi sui prestiti, rischiare crisi di liquidità e
solvibilità e dover fare riforme strutturali a lungo
differite
102
COME USCIRE DALLA CRISI DEI DEBITI ? (2)
• È possibile conciliare sostegno all’attività, controllo
della spesa pubblica e riforme strutturali per una
crescita durevole?
• I Paesi del Nord Europa, in avanzo verso l’estero e
con finanze pubbliche quasi in equilibrio, potrebbero
trascinare la crescita (effetto locomotiva)
• Se il controllo delle finanze pubbliche è una priorità
per i Paesi del Sud dell’Europa con deficit strutturali
insostenibili, i Paesi del Nord hanno invece maggiori
margini di manovra
103
COME USCIRE DALLA CRISI DEI DEBITI ? (3)
• Disindebitamento e crescita possono andare di pari
passo?
1)A sinistra, visti i guai prodotti dall’indebitamento
privato, si desidera una crescita che non si appoggi
sul lassismo finanziario;
2)A destra la riduzione dell’indebitamento pubblico
viene considerata indispensabile per rilanciare la
crescita
• È invece molto probabile che i prossimi anni siano
caratterizzati da disindebitamento e stagnazione
104
COME USCIRE DALLA CRISI DEI DEBITI ? (4)
• È illusorio pensare che la messa in ordine delle
finanze pubbliche faccia ripartire la crescita
• Se i privati non spendono più, è lo Stato che deve
farlo se vuole rilanciare la crescita
• La Cina, che alla fine degli anni 2000 ha fortemente
sostenuto la sua economia, si propone oggi di
aumentare la domanda interna
• Anche nei Paesi del Medio Oriente le spese
pubbliche sono aumentate, come risposta alle
tensioni sociali e politiche nate dalla ”primavera
araba”
105
COME USCIRE DALLA CRISI DEI DEBITI ? (5)
I dirigenti europei si sono proposti di ridurre
rapidamente i loro deficit di bilancio, ma:
i vari Paesi si trovano in situazioni diverse;
le politiche di austerità adottate in alcuni Paesi possono
avere effetti cumulativi recessivi in altri fortemente collegati
da scambi commerciali;
l’austerità (come per la Grecia) può far crollare l’attività e gli
introiti fiscali, appesantendo il debito.
• Sembrerebbe più razionale riformare la tassazione,
facendo ricadere il costo dell’aggiustamento su coloro
che hanno approfittato degli eccessi della finanza
106
COME USCIRE DALLA CRISI DEI DEBITI ? (6)
• Non si tratta semplicemente di considerazioni etiche,
ma coerenti con le cause dell’impennata del debito
prima della crisi
• L’uscita dalla crisi non dipende da un ipotetico
ritorno della crescita, ma da un cambiamento nella
ripartizione dei redditi
• È necessario riparare i danni sociali e porre le basi
per una crescita più compatibile con la sfida
ambientale
• Preliminare è trovare un’autonomia nei confronti dei
mercati e regolamentare le agenzie di rating
107
COME USCIRE DALLA CRISI DEI DEBITI ? (7)
• Il debito non è la questione principale da risolvere, la
sua forte crescita è legata alla crisi
• In caso di recessione si ha disoccupazione, ma anche
degrado dei conti pubblici per aumento spese (sussidi
alla disoccupazione, …) e diminuzione introiti fiscali
• Il peso reale del debito non dipende soltanto dal suo
ammontare globale, ma anche dai tassi di interesse
• Per ridurre i tassi basterebbe che la BCE garantisse i
debiti della zona euro e s’impegnasse a comprarli nel
caso di tassi elevati
108
COME USCIRE DALLA CRISI DEI DEBITI ? (8)
• La zona euro si trova sotto la scure dei mercati ed i
neoliberali, in nome del debito, stanno imponendo
programmi di austerità
• Diventa allora indispensabile rompere con l’attuale
modello neoliberista che propone l’austerità come
unica soluzione , appoggiandosi su:
 finanza liberalizzata;
 libero scambio;
 austerità salariale;
 fiscalità favorevole ai più ricchi.
109
Grazie per l’attenzione.
110
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CRISI O MANIPOLAZIONE FINANZIARIA INTERNAZIONALE ?