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NUVOLARI – EL CONDUCTOR DE LA EMOCION
Non è esistito nessuno come lui. Non ne esisterà mai nessuno. E quasi quasi verrebbe
voglia di chiudere così quest’articolo, perché cos’altro si può dire ancora di Nuvolari,
che non sia già stato detto, scritto, proclamato?
Rimane una domanda, però: perché. Perché Nuvolari è stato così amato, fin dal primo
istante in cui si presentò davanti ad un pubblico, un ometto con due baffetti alla
Charlot, taciturno e concentrato, mingherlino e privo del physique du role, alla
Campari o alla Amedeo Nazzari per intenderci. Perché soltanto a lui sono stati
dedicati fiumi d’inchiostro, canzoni, tavole rotonde, francobolli, orologi, comitati,
libri, trasmissioni televisive, automobili, musei, gran premi, rievocazioni, perché il
suo nome, e soltanto il suo, è passato per antonomasia ad indicare la velocità,
l’ardimento, l’irruenza? Cos’aveva di più di tutti gli altri, da farsi amare anche
quando non vinceva, da farsi osannare sempre, dalla prima all’ultima gara della sua
lunghissima carriera sportiva?
Prendiamo una delle sue tante vittorie automobilistiche, quella conseguita al II
Circuito di Biella del 1935, una affermazione importante ma inferiore a molte altre.
Ecco come ne parlano i giornali, TUTTI i giornali, non solo quelli sportivi. “Il
Littoriale” la definisce “una vittoria conquistata di forza”, e prosegue affermando che
“la vittoria più che uno sprone alla lotta è un suo irresistibile credo” (splendida
sintesi dello spirito nuvolariano). Le parole usate dal redattore sono quelle che
saranno usate centinaia, migliaia di volte da altri giornalisti ed appassionati: “inizio
travolgente”, “serrato duello”, “trionfatore acclamato”, “generosità di lottatore”. Il
compassato “Corriere della Sera” parla di Nuvolari come di un “dominatore
incontrastato”, ”, di un “trionfatore che conferma le sue doti di stile e di ardire”, e
della gara come “superba”. E la “Gazzetta del Popolo”? “Ha vinto trionfalmente
facendo sfoggio di brio e di audacia, e riconfermandosi asso di grande classe”,
“tagliando di prepotenza la curva, a denti digrignanti, tanto era lo sforzo che si
imponeva” e concludeva descrivendo la folla che “aveva rotto ogni argine,
tributandogli una di quelle entusiastiche dimostrazioni che costituiscono il premio
più bello ed ambito per un atleta che abbia prodigato tutto se stesso nella contesa”.
Naturale che la “Gazzetta dello Sport” definisse la gara di Nuvolari “una gara alla
bersagliera”, e lo descrivesse “lanciato in uno dei suoi spettacolosi e fulminanti
inseguimenti che entusiasmano le folle… ardente, combattivo e volitivo come
sempre”. A un certo punto ai giornali mancarono gli aggettivi per descrivere le sue
imprese. In occasione di una sua ennesima, bruciante vittoria, al Gran Premio di
Francia del 1932, il “Guerin Sportivo” titolò: “Telegramma da Reims: niente di
nuovo. 1° Nuvolari, su Alfa Romeo”.
Fu il primo sportivo italiano a cui fu dedicato un libro: quello di Renato Tassinari
(“Nuvolari. Ricordi di vita rapida”, Libreria Omenoni, Milano), uscito nel 1930, a
soli due anni dalla sua prima importante affermazione automobilistica. Non era mai
successo per nessun altro. Nel libro campeggia una foto che ritrae la Libreria Algani
della Galleria Vittorio Emanuele di Milano: un grande cartello che sovrasta la porta
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d’entrata annuncia l’imminente uscita del libro. Com’era stato possibile il così rapido
crearsi di un’epica, di una leggenda a tutt’oggi intramontata?
Non era bello: un viso lungo e secco, cinquanta chili di ossa, come ci canta Dalla, una
statura non elevata. Non era nemmeno giovane: inizia a correre in moto nel 1920, e di
anni ne ha già ventotto (per inciso: è nato il 16 novembre 1892, lo stesso giorno e lo
stesso mese della Scuderia Ferrari, trentasette anni più tardi). Quando Jano, direttore
sportivo della Alfa Romeo, la mattina del 1° settembre 1925 lo vede gironzolare per
l’Autodromo di Monza, e gli offre un giro di prova sulla P2, i meccanici hanno il loro
da fare per sistemarlo, magro e segaligno com’era, sul seggiolino della vettura. Non é
un esordio fulminante: tanto per cominciare, quella prova va a finire proprio male,
con Nuvolari sbalzato fuori dalla vettura su un intrico di filo spinato che gli riduce a
pezzi la schiena (e soprattutto il fondo della schiena). Non era neanche un
“personaggio” che si prestasse facilmente ad interviste o ad incontri mondani: era
poco loquace, e quando parlava sembrava scorticasse. Non si curava di andare troppo
d’accordo, né con le case per cui correva, né con i piloti, avversari o compagni di
squadra che fossero. Era rigoroso, certo del proprio valore, e non disposto a cedere di
un millimetro, su nessuna questione. Per esempio alla Bianchi, nel 1928, quando
ancora correva in moto, indirizzò una delle lettere di protesta più incredibili che mai
un pilota sia stato costretto a scrivere alla “sua” casa. Era successo che la Bianchi,
dopo una sua vittoria ottenuta battendo con una “350” anche moto di cilindrata
superiore, aveva deciso di diminuirgli il premio con l’inaudita motivazione che era
andato troppo piano. Nuvolari prese carta e penna, e non esitò a scrivere al Direttore
Generale della Bianchi, commendator Gianfernando Tomaselli: “Formo la presente
per informarla che in occasione di aver avvicinato la regolazione dei conti corse col
sig. Zambrini dallo stesso venivo informato che Lei aveva disposto di trattenermi £
2.000 sul Premio di Monza, e diminuendo la mia nota spese di £ 750 colla
motivazione che sono andato adagio. – ma poteva essere rivolta a Nuvolari un’accusa
così infamante? – “…se io non feci una corsa più veloce non è stata colpa mia ma
bensì del sig. Zambrini che stanto al Bosk di rifornimento con segnali prima
moderati e poi disperati erano sempre quelli che indicavano di rallentare. Io sul
principio credevo nei segnali come discolpa da parte dei dirigenti la corsa dal Bosk
in caso di eventuali guasti, mentre io ero troppo sicuro di come conducevo motore e
macchina in quel momento, ma poi vista l’insistenza di rallentare ho dovuto con più
dispiacere che dal piacere di aver vinto sopportare quella dolorosa decisione”.
Conclude suggerendo di trattenere a Zambrini quello che si era ipotizzato di
trattenere a lui. E dopo una lotta con la Bianchi che gli aveva fatto firmare un
contratto in cui gli era vietata ogni corsa in automobile, decise di assaporare in pieno
la libertà ritrovata, e di costituire egli stesso una sua scuderia (termine nuovo di zecca
per gli sport del motore, appena coniato dal pilota Materassi che aveva costituito
prima ancora di Nuvolari una squadra indipendente con quattro Talbot, così
battezzata perché anche i piloti, come i fantini, guidavano dei cavalli). La scuderia di
Nuvolari era costituita da quattro Bugatti, ed esordì al Gran Premio di Tripoli del
1928. Un’altra occasione in cui Nuvolari dimostrò tutta la sua irremovibile rocciosità.
Il regolamento prevedeva che qualora a bordo non vi fosse il meccanico, fosse
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obbligatoria una zavorra di 70 kg. di sabbia. Materassi, che preferì non portarsi dietro
il meccanico anche per non incorrere in eventuali beghe assicurative, trovò
scomodissima nelle prove questa faccenda della zavorra: scivolava, non stava al suo
posto, la sabbia si spargeva per l’abitacolo. Finì che chiese agli organizzatori di poter
partire senza zavorra, e in questo modo si presentò alla linea di partenza. I
commissari tergiversarono, discussero, cercarono una via d’uscita: e l’unica risultava
ottenere il consenso di tutti gli altri piloti. Se fosse stato accordato, Materassi avrebbe
potuto partire come voleva. Furono tutti d’accordo. Tranne uno. Nuvolari,
ovviamente. Che non volle sentire ragioni: “Io porto il meccanico, lo porti anche lui,
se non vuole la zavorra. Il regolamento da’ ragione a me”. Fine della faccenda. E
Materassi non partì.
Memorabile anche un’altra delle sue fulminanti repliche, stavolta alla Bugatti che
sempre in quello stesso memorabile anno 1928 gli annunciò di averlo sostituito per la
Targa Florio. Di risposta Nuvolari telegrafò a Bartolomeo Costantini, direttore
sportivo della casa francese: “Lei ha solo cambiato corridore. Ma con questo non mi
ha sostituito”.
Non era un tipo facile, non c’era ragione perché dovesse esserlo. Nel 1932, all’Alfa
Romeo gli avevano affiancato il tedesco Caracciola come compagno di squadra. E
volevano anche farlo vincere, per motivi di immagine (dimostrare che era l’Alfa P3
ad essere imbattibile, non Nuvolari) e di opportunità commerciale (favorire le vendite
in Francia e soprattutto in Germania). Al Gran Premio di Francia cercarono di
convincere Nuvolari a dargli la precedenza, gli esposero persino la bandiera rossa,
quella che significa “rallenta” o “dai strada”. Al traguardo, Nuvolari ebbe persino la
faccia di stupirsi: “Bandiera rossa? Io l’avevo presa per verde, saranno stati gli
occhiali verdi che indossavo! E comunque, poteva passarmi Caracciola, se era in
grado…”. Al successivo Gran Premio di Germania far vincere Caracciola divenne
una ragion di stato: era casa sua, un secondo posto sarebbe stato preso come un
affronto! Si trovò una soluzione: far durare il rifornimento di Nuvolari di metà gara
più del dovuto, in modo da ritardarlo. Funzionò, Nuvolari arrivò secondo. Ma non
prima di aver lanciato maledizioni al cielo e manciate di candele ai meccanici
neghittosi.
E con Ferrari? Ciascuno dei due fu condizionato e legato alla vita dell’altro, in
un’altalena di litigi e riappacificazioni, con il sottofondo di una grandissima stima e
rispetto reciproci, se non una vera e propria amicizia. Lasciamo parlare direttamente
Ferrari: “Nuvolari, a differenza di quasi tutti i piloti di ieri e di oggi, non ha mai
sofferto per l’inferiorità del mezzo, non è mai partito battuto, ha sempre lottato
leoninamente con qualsiasi tipo di vettura, anche per il settimo, il decimo posto in
classifica. Certe sue vittorie, come quella al Gran Premio di Germania del 1935,
sono rimaste imprese indimenticabili della storia automobilistica sportiva. Faceva
notizia, faceva clamore anche quando non vinceva…Probabilmente nessuno
accoppiava come lui una così elevata sensibilità della macchina a un coraggio quasi
disumano…La sua tecnica rimase fino all’ultimo un prodigio dell’istinto ai limiti
delle possibilità umane e delle leggi fisiche”.
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Forse comincia a delinearsi, il fascino di Nuvolari. E’ in quel suo essere tutto d’un
pezzo. E’ in quel suo lottare sempre, per amore della lotta, in una nazione
strenuamente competitiva come l’Italia che non si diverte se non può schierarsi, Varzi
o Nuvolari, Binda o Guerra, Coppi o Bartali, tutti contro tutti. E’ in quel suo non
avere altro motivo, altro motore, se non il pensiero di arrivare primo, fosse anche una
corsa nei sacchi alla fiera del paese.
Anche Ferrari si era chiesto “ma che cosa aveva di speciale lo stile di guida di
Nuvolari, cos’aveva di diverso?” ed ecco la sua risposta. “Anch’io, dopo le prime
gare combattute con lui, cominciai a domandarmi cosa avesse di speciale lo stile di
quell’ometto smilzo e serio, il cui valore si rivelava di regola tanto più alto quanto
maggiore era il numero delle curve…Così un giorno, alle prove del Circuito delle
Tre Provincie nel 1931 gli chiesi di portarmi per un tratto sull’Alfa 1750 che la mia
scuderia gli aveva dato…Alla prima curva ebbi la sensazione precisa che Tazio
l’avesse presa sbagliata e che saremmo finiti nel fosso. Mi irrigidii in attesa
dell’urto. Invece ci ritrovammo all’imbocco del rettilineo successivo con la macchina
in linea. Lo guardai: il suo volto scabro era sereno, normale, non di chi è
fortunosamente scampato ad un testacoda. Alla seconda e alla terza curva
l’impressione si ripeté. Alla quarta o alla quinta cominciai a capire: intanto, con
l’occhio di traverso, avevo notato che Tazio per tutta la parabola non sollevava il
piede dall’acceleratore, e che anzi lo teneva a tavoletta. E di curva in curva scoprii il
suo segreto. Nuvolari abbordava la curva alquanto prima di quello che l’istinto di
pilota avrebbe dettato a me. Ma l’abbordava in un modo inconsueto, puntando cioè,
d’un colpo, il muso della macchina contro il margine interno, proprio nel punto dove
la curva aveva inizio. A piede schiacciato – naturalmente con la giusta marcia
ingranata prima di quella sua spaventevole “puntata” – faceva così partire la
macchina in dérapage sulle quattro ruote, sfruttando la spinta della forza centrifuga,
tenendola con la forza traente delle ruote motrici. Per l’intero arco, il muso della
macchina sbarbava la cordonatura interna, e quando la curva terminava e si apriva
il rettifilo, la macchina si trovava già in posizione normale per proseguire diritta la
corsa, senza necessità di correzioni”.
A questo coro di voci, che dal passato riemergono per farci correre almeno una volta
accanto a Nuvolari, aggiungiamo quella del grande giornalista Canestrini, anch’egli
una volta costretto a fare un giro con lui. “Superammo i tornanti sopra Trafoi
regolarmente, ma appena entrati nel tratto veloce, cominciai a pensare che Tazio
prendeva troppa confidenza con il muretto di protezione che divide la strada dal
precipizio, e che io vedevo sfiorare a pochi centimetri. Per farmi coraggio pensavo
che, alla fine, una morte a fianco di un così grande campione, sarebbe stata ad ogni
modo una bella morte. Puntato con le mani contro il bordo della carrozzeria, per non
essere sbalzato fuori dalla macchina, superata la seconda serie di tornanti, mi
accorsi che all’imbocco dell’undicesimo Nuvolari non accennava a frenare. Ebbi
appena il tempo di pensare “ma che diavolo fa?” che Tazio dette un energico colpo
di freno, cacciò dentro la seconda e poi prima ancora di completare la curva
voltandosi verso di me gridò: “Accidenti, questa non me la ricordavo!” “Ce ne sono
ancora 34” gli urlai all’orecchio”. E’ in questo “coraggio disumano”, come lo definì
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Ferrari, che sta racchiuso il segreto della sua immensa popolarità? Innumerevoli gli
aneddoti sorti intorno alla sua guida. Si racconta che in un punto della discesa tra
Montenero e Livorno, vi era una curva con un piccolo distributore, collocato appena
al di la’ della carreggiata. Nuvolari, per guadagnare qualche centimetro e perciò
qualche decimo di secondo, non esitava ad infilare la curva passando all’interno del
ridottissimo spazio tra la pompa di benzina e la casa retrostante, un passaggio che dei
meccanici di Ferrari, increduli, vollero misurare. Era di qualche centimetro più ampio
della larghezza della macchina di Tazio: una cosa da brivido. Aveva una abilità
sovrumana nello sfiorare ogni volta il limite, ma non in senso figurato: per
guadagnare un metro sugli avversari, riteneva che il sistema più semplice fosse
sfiorare il più possibile, a rischio di urtare, il marciapiede, le balle di sabbia, la
cordonatura, pennellando la curva, e abbreviando ogni volta il tracciato. Ci voleva
però non soltanto coraggio: bensì anche una magistrale capacità di calcolo e di
padronanza della vettura. Ciò sfata una delle leggende, una delle tante, su Nuvolari:
che il suo fosse un modo di guidare alla scavezzacollo, istintivo, improvvisato, tutto
cuore e niente ragionamento, in piena contrapposizione con lo stile di Varzi, tutto
calcolo e fredda passione. E’ una leggenda che fa torto ad entrambi: perché Varzi fu
in realtà uomo di passione e passioni devastanti, tanto da distruggersi per una donna
come uno degli eroi più romantici e tenebrosi del suo tempo; e Nuvolari fu un attento
e sicuro gestore di se stesso e del suo immenso talento. Cambiò ripetutamente colori,
e un paio di volte in modo clamoroso: nel 1933, quando ritenne di poter guadagnare
molto di più mettendosi in proprio e lasciò la Scuderia Ferrari, e nel 1938, quando a
46 anni iniziò una seconda carriera passando alla Auto Union. La vicenda del
“divorzio” da Enzo Ferrari sfiorò le soglie dei tribunali: pare che il pilota avesse
addirittura chiesto di cambiare il nome della Scuderia Ferrari in Scuderia Ferrari –
Nuvolari. Per Ferrari una richiesta inconcepibile, ed inaccettabile; per Nuvolari,
nient’altro che il riconoscimento del suo ruolo all’interno della squadra. Egli non si
sentiva soltanto pilota ma, come già nel 1928 quando aveva creato la propria
personale scuderia (e ancora tutti si ricordavano i camion con il suo nome scritto a
caratteri cubitali sulle fiancate) un protagonista a tutto tondo.
Un attento manager di se stesso, un’innata capacità di darsi alla folla e incatenarla
allo spettacolo della sua guida: due doti che è raro trovare appaiate. Quando il suo
rapporto con Ferrari si interruppe per la prima volta, nel 1933, si disse che erano stati
gli esigui guadagni a spingerlo a correre per conto suo. Ferrari non replicò subito ma
l’anno seguente fece un po’ i conti in tasca a Nuvolari, a Varzi e ad altri sulle pagine
della rivista che la sua scuderia faceva uscire periodicamente. “In cinque anni –
scrisse - la Scuderia ha erogato a piloti italiani oltre 2.300.000 per il reparto auto e
quasi £ 50.000 in due anni per il reparto moto… Un corridore italiano che fece parte
della nostra organizzazione ha guadagnato in una stagione sportiva di sette mesi £.
600.000; i guadagni degli altri piloti furono individualmente e annualmente inferiori,
ma sempre hanno costituito un massimo rispetto a quanto essi avrebbero potuto
guadagnare correndo isolatamente o alle dipendenze di una casa costruttrice…Se
questo corridore ci ha abbandonato gli è che iperboliche debbono essere state le
offerte ricevute. Aggiungiamo che un altro, il quale abbandonò pure la nostra
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organizzazione per andare all’estero, aveva guadagnato £ 140.000 in meno di tre
mesi di attività e ci lasciò unicamente perché di solo stipendio ottenne £ 500.000,
cifra di cui non potevamo logicamente disporre; e che un altro ancora in soli quattro
mesi percepì £ 300.000”. Quelle seicentomila lire del 1934 corrispondono oggi a
circa 500.000 euro: non male.
Nella seconda metà del 1933 e nel 1934 Nuvolari è quindi un pilota indipendente:
corre su vetture Maserati, battendo in più occasioni le Alfa Romeo della Scuderia
Ferrari. Fu contattato dalla Auto Union che gli fece guidare un paio di volte in prova
una delle sue monoposto ma non si arrivò all’ingaggio, a causa di una fiera
opposizione all’interno della stessa squadra Auto Union, e segnatamente, pare, da
parte di Hans Stuck: troppo scomodo un “collega” come Tazio, troppo grande il
rischio di venirne completamente oscurati. Si arrivò dunque, a fine 1934, alla “pace”
con Enzo Ferrari. Nuvolari tornò a correre con le Alfa Romeo della scuderia
modenese e nel biennio 1935 – 1936 conquistò alcuni dei suoi più sensazionali
successi. Ma dopo l’annata del 1937, in cui le Mercedes conquistano sette gare su
tredici, cinque vengono vinte dalla Auto Union e una soltanto dall’Alfa Romeo, la
situazione ridiventa molto difficile. Nuvolari non può continuare a correre su vetture
così inferiori alla concorrenza. “La trovata di Tazio Nuvolari”, commenta Auto
Italiana del 30 agosto 1937, all’indomani del rinnovato contatto tra il pilota italiano e
la casa tedesca, sfociato nella partecipazione al Gran Premio di Berna al volante di
una Auto Union. “Il G.P. di Berna non offrirebbe altra materia di commento se non
fosse per il caso Nuvolari, che ha un po’ commosso l’opinione pubblica italiana…La
faccenda ha destato parecchio rumore, tanto che non sono mancate le voci secondo
le quali l’asso mantovano avrebbe abbandonato l’Alfa Romeo per passare sotto i
colori della marca germanica…Il gesto si è prestato a discussioni, e se può essere
compreso da quanti conoscono bene l’irrequieto mantovano, da’ modo tuttavia a
molti di pensare che dopo tutto poteva anche essere risparmiato”. Insomma, è
opinione della rivista, “un increscioso episodio nella sua luminosa carriera”. Per ora
è soltanto un episodio. Ma nel 1938 l’ulteriore perdita di competitività delle Alfa
Romeo peggiora la situazione. Nuvolari si ferisce in un incidente a Pau e annuncia
addirittura di voler rinunciare alle corse. Poi si rimette, fa un viaggio ad
Indianmapolis, dove non trova una vettura passabile e quindi non gareggia. Infine
torna e tratta con Auto Union (in difficoltà perché deve sostituire Rosemeyer,
uccisosi in gennaio in un tentativo di record). Il contratto non è firmato subito, perché
Nuvolari deve attendere il nulla osta della FASI (Federazione Automobilistica
Sportiva Italiana) per gareggiare con vetture di marca estera. Nulla osta che gli viene
concesso il 15 luglio 1938: l’inizio di una nuova, ennesima, carriera, per un pilota che
secondo la stampa, impietosa anche con gli idoli, “cominciava ad accusare il peso
degli anni”. Se ne accorsero, gli altri piloti, di quanto Nuvolari accusasse il peso degli
anni! La sua carriera non soltanto non era finita (lo attendevano i trionfi di Monza,
Donington, Belgrado), ma sembrò non finire mai, neanche nel dopoguerra, quando
ancora sbalordì con due straordinarie partecipazioni alle Mille Miglia del 1947 e
1948. Nuvolari smise di correre soltanto nel 1950, a cinquantotto anni: un altro
record.
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Nessuno potrà mai spiegare completamente la malia di Nuvolari, che qualcosa di
magico l’aveva fin nel nome, così perfetto per il pilota dell’inosabile. Uno degli
episodi, tra leggenda e realtà, che meglio lo ritraggono, è quello che lo vede
protagonista del Gran Premio di Sitges, il 28 ottobre 1923. La pista ha una strana
forma a fagiolo, con due curve paurosamente sopraelevate, raccordate ai rettifili da
tratti troppo brevi e dunque pericolosa. Anche ad anni di distanza di una sola cosa si
ricordavano gli organizzatori: della sua prestazione su una Chiribiri. Era arrivato
quinto, battendosi come un leone. Ma era un episodio avvenuto durante le prove ad
essere entrato nella leggenda. Nuvolari aveva convinto a salire sulla sua macchina la
figlia del proprietario dell’Albergo Miramar, dove era alloggiato, scommettendo con
gli amici che al culmine di una delle curve l’avrebbe baciata. E così fece, quasi
sospeso nel vuoto su quella parete verticale (la ragazza peraltro era talmente
paralizzata dal terrore da non opporre certo resistenza). Ritornata al box, la giovane
donna svenne, tra le grida di acclamazione del giovane temerario.
Quello che le cronache non dicono, è che quando rinvenne, al conductor de la
emociòn, come fu definito il giorno dopo dai quotidiani spagnoli, venne mollata una
sonora sberla.
RIEPILOGO RISULTATI CORSE IN MOTO
125 corse, 78 vittorie di cui 39 assolute, 39 di classe, 41 giri più veloci, 4 record di
velocità, 2 volte Campione d’Italia
RIEPILOGO RISULTATI CORSE IN AUTO
229 corse, 104 vittorie di cui 66 assolute e 38 di classe, 59 giri più veloci, 71 ritiri
MARCHE MOTOCICLISTICHE CON CUI CORSE NUVOLARI
Della Ferrera, Saroléa, Harley Davidson, Fongri, Norton, Garelli, Indian, BSA,
Borgo, Bianchi
MARCHE AUTOMOBILISTICHE CON CUI CORSE NUVOLARI
Scat*, Ansaldo, Chiribiri, Bianchi, Bugatti, Talbot, Alfa Romeo, MG, Maserati, Auto
Union, Fiat, Cisitalia, Ferrari, Abarth
LA PRIMA GARA: al IV Circuito Internazionale di Cremona, il 20 giugno 1920,
sulla moto Della Ferrera.
L’ULTIMA GARA: alla X Salita al Monte Pellegrino, il 10 aprile 1950, sulla vettura
Cisitalia Abarth
BIBLIOGRAFIA SU NUVOLARI
“Nuvolari. Ricordi di vita rapida”, di Renato Tassinari, Libreria Editrice degli
Omenoni, Milano, 1930
8
“Il romanzo di Nuvolari”, di Luigi Marinatto, Edisport, Milano, 1957
“Nuvolari”, di Giovanni Lurani, Cassell & Co., London, 1959
“Nuvolari”, di Sergio Busi, Cappelli Editore, Bologna, 1965
“Nuvolari”, di Rico Steinemann, Moderne Verlag GmbH, Munchen, 1967
“L’antileggenda di Nuvolari”, di Cesare De Agostini”, Sperling & Kupfer, Milano,
1972
“Nuvolari. Il mantovano volante”, di Aldo Santini, Rizzoli Editore, Milano, 1983
“Tazio vivo”, di Cesare De Agostini e Gianni Cancellieri, Conti Editore, San Lazzaro
di Savena, 1987
“Nuvolari”, di Filippo e Fabio Raffaelli, Alfredo Cazzola Editore, Bologna 1991
“Tazio Nuvolari” di Franco Zagari, Automobilia, Milano, 1992
“Quando corre Nuvolari”, di Valerio Moretti, Edizioni di Autocritica, Roma, 1992
”Nivola vola”, di Pablo Echaurren, Maurizio Corraini Editore, Mantova, 1992
“Tazio Nuvolari Antologia”, autori vari, Edizioni Legenda, Milano 2003
“Nuvolari. La leggenda rivive”, di Cesare De Agostini, Giorgio Nada Editore,
Vimodrone, 2003
*una foto del 1915 ritrae Nuvolari al volante di una vettura Scat con numero di gara,
però non risulta che vi abbia mai corso
L’autrice ringrazia Gianni Cancellieri per la preziosa
consulenza
Donatella Biffignandi
Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino
Scarica

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