i vademecum
del giornale dell’arte
Il Bel Paese
Dal Risorgimento alla Grande Guerra,
dai Macchiaioli ai Futuristi
MAR-Museo d’Arte della Città di Ravenna
22 febbraio-14 giugno 2015
Filippo Palizzi, «Fanciulla sulla roccia a Sorrento», 1871, olio su tela, cm 54,8x79,5, Badia Polesine (Ro), Collezione privata, Fondazione Internazionale Balzan, comodato presso Teatro Sociale E. Balzan
I.P.
Il Bel Paese dal Risorgimento all
raccontato dai maggiori artisti d
Dal 22 febbraio al 14 giugno al MAR-Museo
d’arte della città di Ravenna è allestita la mostra «Il
Bel Paese. Dal Risorgimento alla Grande Guerra,
dai Macchiaioli ai Futuristi», a cura di Claudio
Spadoni e con il sostegno della Fondazione Cassa
di Risparmio di Ravenna, main sponsor delle mostre storiche del MAR. Oltre 150 opere tra dipinti,
sculture, disegni, acquerelli e fotografie, provenienti da musei pubblici e collezioni private, offrono
uno spaccato di circa settant’anni, dalla metà del
XIX secolo alla prima guerra mondiale.
Un periodo di storia davvero cruciale per il nostro
Paese viene così ricostruito attraverso le interpretazioni che i maggiori artisti del tempo ne hanno 1
dato realizzando opere che documentano anche le
diverse stagioni delle vicende artistiche, le scuole, le
tendenze e i movimenti che le hanno scandite. Il
percorso espositivo non è però ordinato con criteri
cronologici bensì tematici, per meglio sottolineare
le bellezze paesaggistiche, le condizioni sociali e i
graduali mutamenti di un Paese agricolo verso la
modernità industriale. Dopo una sezione introduttiva dedicata a temi militareschi dell’epopea risorgi- 3
mentale, con dipinti di Giovanni Fattori, Silvestro 1. Telemaco Signorini, «Il ghetto
Lega, Domenico Induno e Vittorio Guacciman- di Firenze», 1892 ca, olio su tela,
81x56, Milano, Studio d’Arte
ni, seguirà una vasta sezione dedicata al paesaggio: cm
Nicoletta Colombo
vedute alpine, marine, pianure e luoghi celebri che 2. Michele Cammarano, «La
attirarono l’interesse di letterati, artisti, aristocratici presa di Porta Pia», olio su tela,
e protagonisti del Grand Tour. Qui si ritrovano cm 314x228, Collezione privata
artisti di diverse aree e identità linguistiche, come 3. Guglielmo Ciardi, «Barche
a Venezia», olio su
Filippo Palizzi, Antonio Fontanesi, Telemaco Si- chioggiotte
tela, cm 47x57, Parma,
gnorini, Nino Costa, Serafino De Tivoli, il Piccio, Collezioni d’Arte Fondazione
Raffaello Sernesi, Guglielmo Ciardi, Coriolano Cariparma, donazione Renato
Vighi, Filippo Carcano, Emilio Gola, Ippolito Bruson
Caffi, Giacomo Favretto, Vittore Grubicy, Walter Crane, Peter Henry. L’indagine si sposta quindi sull’aspetto socioantropologico
che si legge nelle diverse tematiche del lavoro, con artisti
quali Giuseppe Pellizza da Volpedo, Mosè
Bianchi, Niccolò Cannicci e Giovanni Segantini, oltre ai già citati Fontanesi,
Signorini e Lega. È quindi la volta di
«Costumi e riti» a evidenziare i caratteri anche folcloristici di feste, ricorrenze
e ritrovi, dove sono rimarcate le diversità di classe, le distanze incolmabili fra
l’ufficialità aristocratica e la dimessa, talora miserevole condizione popolare. Documentano questo spaccato opere, fra gli altri,
di Francesco Hayez, Francesco Rosaspina,
Umberto Boccioni, «Costruzione dinamica di un
galoppo», 1914, legno, latta, rame, cartone e biacca,
cm 33,5x41x14,7, Roma, collezione privata
2
Nandor Rakosy, Giuseppe De Nittis, Mosè Bianchi, Adriano Cecioni, Ettore Tito,
Gioacchino Toma, Antonio Mancini, Francesco Paolo Michetti, Gaetano Previati,
Plinio Nomellini, Enrico Lionne e Aroldo Bonzagni. Direttamente legata a questa
sezione la serie dei «ritratti», dove con artisti che già figuravano in precedenti sale
del percorso, si possono ammirare Tranquillo Cremona, Giovanni Boldini, Achille
Beltrame, Anselmo Bucci, Alexander Ivanov, Domenico Baccarini, Alfredo Protti,
Carlo Corsi e Medardo Rosso. Il confronto fra autori di generazioni, aree e tendenze
espressive diverse fa emergere anche la fisionomia artistica molto composita dell’Ottocento e del passaggio al nuovo secolo, fino all’avvento del Futurismo con la sua carica
dissacratrice e la dichiarata volontà di lasciarsi alle spalle l’eredità ottocentesca in nome
di una modernità tutta votata al progresso scientifico-tecnologico. Il movimento di
Marinetti chiude la mostra con opere di Boccioni, Balla, Carrà, Russolo, Baldessari,
Sironi, Sant’Elia, Prampolini e Depero, ma con la presenza anche di alcuni lavori
che già indicano come altre vie stiano aprendosi per l’arte italiana proprio negli anni
del conflitto: dipinti dello stesso Carrà, ormai rivolto a ripensare alla storia, di Giorgio
de Chirico, nel pieno della sua stagione metafisica, e di figure come Felice Casorati e Arturo Martini. Una ricca sequenza di fotografie d’epoca accompagna le varie
sezioni della mostra. Fra le tante che ripropongono i temi delle opere d’arte quella
dei funerali di Giosuè Carducci, di cui è esposto anche il bozzetto del monumento
eseguito da Leonardo Bistolfi.
Il ruolo fondamentale della donna al focolare, al lavoro, al fronte e in società
Il visitatore, anche se non è stata predisposta nella mostra una sezione specifica, noterà la presenza di molti dipinti raffiguranti figure femminili: signore dell’alta società,
borghesi, oppure donne di più bassa estrazione sociale intente al proprio lavoro. La
mostra riserva una particolare attenzione all’universo femminile nell’Italia postrisorgimentale, alla funzione tradizionale della donna all’interno della famiglia, ma anche
al suo ruolo crescente in società e alla sua più gratificante visibilità nella vita della
migliore borghesia. Negli anni della prima guerra mondiale è inevitabilmente una numerosissima popolazione femminile a sostituire nei luoghi di lavoro mariti, padri e fratelli
partiti per il fronte e dunque assenti per alcuni anni. Nelle sale si ritrovano così la
«Vivandiera» di autore anonimo, la «Veduta di giardino con figure femminili» di Walter
Crane, il «Ritratto di Vittoria Caldoni» di Alexander Ivanov Andreievitch, la «Figura
con ombrellino» di Carlo Corsi, il «ritratto di donna seduta» di Domenico Baccarini, il
«Ritratto di signora con i fiori» e la «Signora che cuce» di Giovanni Boldini. Altri artisti
sottolineano invece la dura realtà del lavoro quotidiano, basti vedere le «Lavandaie» di
Mosè Bianchi, la «Donna al fronte» di Antonio Fontanesi o la «Vecchia nella stalla» di
Pellizza da Volpedo. Il tema femminile si ritrova anche nelle sale conclusive della mostra dedicate all’avvento del Futurismo in cui sono esposti «Donna che cuce» e «Busto
di signora con cappello» di Boccioni e «Donna + luce + ambiente» di Prampolini.
I Vademecum del Giornale dell’Arte n. 349 - gennaio 2015 Il Bel Paese
a Grande Guerra
ell’epoca
5
4. George Housman Thomas, «Garibaldi
all’assedio di Roma», 1854, olio su tela,
cm 154x245, Collezione privata
5. Franz Knebel II, «Forum Romanorum»,
1844, olio su tela, cm 31x44,5, Roma,
Collezione BNL gruppo BNP Paribas
6. Niccolò Cannicci, «Le gramignaie
al fiume», 1896, olio su tela, cm 151x280,
Firenze, Collezione Ente Cassa di
Risparmio di Firenze
7. Petrus Henricus Theodor Tetar Van
Elven, «Veduta fantastica dei principali
Monumenti d’Italia», olio su tela, cm 252
x353, Genova, Galleria d’Arte Moderna 6
4
Le ragioni della mostra
Con «Il Bel Paese. Dal Risorgimento alla Grande Guerra, dai Macchiaioli ai Futuristi» il MAR-Museo d’Arte della Città di Ravenna prosegue nella sua opera di
ricognizione «ragionata» dell’arte antica e recente, condotta attraverso l’indagine di
temi storico-critici non consueti o comunque sempre trattati con un taglio originale.
Dopo il nucleo di mostre dedicate allo sguardo e al pensiero di grandi storici dell’arte
italiani (Roberto Longhi, Francesco Arcangeli, Corrado Ricci e Giovani Testori),
dopo «I Preraffaelliti e il sogno del ’400 italiano», «Borderline», indagine sul rapporto tra arte e malattia mentale nella quale entravano in gioco l’Art brut e l’arte degli
alienati, e, da ultimo, «L’incanto dell’affresco», rassegna bellissima e singolare sulle
pitture murali distaccate, il Mar si riconnette ora alla sua mostra del 2011 dedicata
all’arte italiana del secondo dopoguerra, «L’Italia s’è desta», e arretra agli anni cruciali che corrono tra le lotte risorgimentali e la tragedia della Grande Guerra, l’evento
terribile che in Italia portò a compimento quella stagione eroica e in tutt’Europa di
fatto chiuse la civiltà dell’Ottocento. Intitolata «Il Bel Paese» come il fortunato libro
(un vero «best seller» dell’Italia risorgimentale) dell’abate, scienziato e patriota Antonio Stoppani, la nuova mostra è stata ideata e curata da Claudio Spadoni, a cui
chiediamo di spiegare ragioni e contenuti.
Professor Spadoni, quale taglio ha scelto per esplorare l’arte del secondo
Ottocento e del primissimo Novecento, oggetto negli ultimi anni di un buon
numero di rassegne?
«Vorrei innanzitutto chiarire che non ho inteso accodarmi alle innumerevoli celebrazioni di
quell’immane tragedia che fu la prima guerra mondiale. In realtà si tratta di un’indagine che avevo
in mente da anni e che andava a ricollegarsi alla precedente mostra sull’arte italiana della seconda
metà del Novecento. Desideravo poi lavorare su questo periodo della nostra arte anche per liberarlo
dal cono d’ombra, spesso immeritato, in cui era caduto, per effetto soprattutto della critica di Roberto Longhi (ben riassunta nelle sue esclamazioni “buonanotte signor Fattori” e “bonjour monsieur
Courbet”) e della sua scuola che, eccettuato Arcangeli, considerava la nostra arte del XIX secolo
gregaria e provinciale rispetto alla contemporanea arte francese. Volevo quindi ricostruire un tassello a lungo trascurato della nostra arte (sebbene di recente si sia assistito a un obiettivo risveglio
dell’interesse degli studiosi) ma al tempo stesso volevo ricomporre un momento cruciale della storia
d’Italia. Perché il taglio della mostra è storico-antropologico più ancora che squisitamente artistico
e l’ordinamento segue sì le vicende dell’arte dai Macchiaioli ai Futuristi e poco oltre, ma è sempre
organizzato per accostamenti tematici».
Dunque non è solo per ragioni cronologiche se l’incipit è affidato ai grandi
dipinti risorgimentali.
«Con quelle tele grandiose ho inteso dare conto dell’immagine identitaria dell’Italia che si andava
allora formando. Non a caso il primo dipinto in mostra è la gigantesca “Veduta fantastica dei
principali Monumenti d’Italia”, 1858, del poco noto Petrus H.Th. Tetar van Elven: un’opera
visionaria e magniloquente che è una sorta di mega-capriccio (o di parco dei divertimenti tipo “Italia in miniatura”) in cui figurano tutti i maggiori monumenti italiani: quelli che identificavano il
“Bel Paese” agli occhi degli italiani e degli stranieri. Ma subito si susseguono i quadroni militareschi di famosi pittori patrioti, come Cammarano, Induno, Lega, Fattori e del ravennate Vittorio
Guaccimanni oltre al “Garibaldi” di G.H. Thomas. Dopo questa introduzione entra in gioco
il paesaggio italiano, affidato al pennello di innumerevoli artisti, dalle immagini montane o agresti
del Piccio e di Carcano, Fattori, Signorini, De Tivoli, Fontanesi, Previati, Bertelli alle vedute
d’acqua di Nomellini, Sernesi, Fragiacomo, Ciardi, Grubicy, fino alle vedute urbane (di fatto
7
un “paesaggio antropizzato”) di nostre città-simbolo, dalla Venezia di Caffi e Favretto, dalla
Bologna di Boldini (c’è in mostra una sua rara carta che raffigura la “Fontana di Nettuno”) alla
Firenze di Signorini, alla Roma di Walter Crane, alla Napoli di Pratella…»
L’Italia era però rinomata anche per gli aspetti «pittoreschi», folklorici.
«A questo versante, non meno importante anche perché strettamente connesso all’indagine sociologica e antropologica che mi proponevo sin dall’inizio di condurre, sono dedicate le sezioni della
mostra relative ai ritratti delle classi elevate da un lato, dall’altro alle scene popolaresche, “di genere”, in cui si manifestano i riti dell’alta società e quelli del popolo, mettendo in evidenza lo scarto
vistoso che separa quei due mondi. Così si va dal “Gavroche”, il monello di strada di Medardo
Rosso, alle dame di Boldini (del Boldini italiano, però) passando attraverso Hayez, Mosè Bianchi, Cremona, Lega, Previati, Michetti, Tito, Morbelli, De Nittis, fino al singolare banchetto
de “I grassi e i magri” di Enrico Lionne, della Gnam di Roma: si tratta di maestri, comprimari e
figure meno note, scelti proprio per offrire lo spettro più vasto possibile sia dei linguaggi espressivi
che dello sguardo sulla società. C’è infatti una sezione dedicata specificamente al lavoro più duro,
con opere di Segantini, Pellizza, Signorini, Lega, Fontanesi e altri ancora».
In mostra c’è solo pittura?
«Ovviamente prevale la pittura ma ci sono alcune significative sculture, come il “Bambino con
gallo” di Cecioni e, in una galleria che chiude il percorso dell’Ottocento, il “Bozzetto per il monumento di Giosuè Carducci” (figura più che mai identitaria per l’Italia del tempo), realizzato da
Leonardo Bistolfi a Bologna. Tutt’intorno sono esposte fotografie (dello Csac di Parma) attinenti
ai temi trattati in mostra, che al tempo stesso documentano il ruolo sempre più centrale che questo
medium andava assumendo in quegli anni».
I testimoni più entusiasti del passaggio dall’Italia agricola all’Italia proto-industriale furono i Futuristi. Come avete testimoniato il loro impegno?
«Quella transizione si coglie pienamente in Boccioni, di cui esponiamo anche opere prefuturiste, come i pastelli “Donna che cuce”, 1907, e “Donna in giardino”, 1910, e un lavoro
già pienamente futurista. Ma insieme a lui sono presenti Balla, Carrà, Russolo, Sant’Elia, Depero, Baldessari. E Sironi, nella sua breve tangenza con il Futurismo. La mostra
tuttavia non si ferma qui, ma apre uno spiraglio sulla fase del distacco dall’avanguardia che
contrassegnò il percorso di alcuni di loro, come Carrà (è in mostra l’“Acrobata” del 1914)
o Arturo Martini, una volta uscito dalla stagione espressionista (c’è “Fiaba”, un gesso policromo del 1918) o, ancora, un grande isolato come Casorati e naturalmente De Chirico,
presente in mostra con la “Piazza metafisica” della Fondazione Magnani-Rocca».
q Ada Masoero
Il Bel Paese I Vademecum del Giornale dell’Arte n. 349 - gennaio 2015
i vademecum
del giornale dell’arte
Il Bel Paese
Dal Risorgimento alla Grande
Guerra, dai Macchiaioli ai Futuristi
MAR-Museo d’Arte
della Città di Ravenna
Scheda tecnica
La mostra offre una sequenza di documenti
pittorici delle straordinarie bellezze
paesaggistiche italiane e insieme spaccati
di vita quotidiana come specchio di diverse
condizioni sociali, in un tempo di grandi
trasformazioni politiche, economiche e
culturali, rappresentate dai maggiori artisti
italiani, ma anche nella prospettiva eccentrica
degli artisti stranieri calati nel nostro Paese
per ammirarne e dipingerne le bellezze.
Sede
MAR, via di Roma 13, Ravenna
Periodo
22 febbraio-14 giugno 2015
Vernice riservata alla stampa
sabato 21 febbraio 2015 dalle 11.00 alle 15.30
Conferenza stampa
sabato 21 febbraio 2015 ore 12.30
Inaugurazione
sabato 21 febbraio 2015 ore 18.00
8
9
8. Ettore Tito,
«La mia rossa», 1888,
olio su tela, cm 25,7x40,
Badia Polesine
(Ro), Collezione
privata, Fondazione
Internazionale Balzan,
comodato presso Teatro
Sociale E. Balzan
9. Mosè Bianchi,
«Invito alla danza»,
1870, olio su tela, cm
75,3x51,5, Milano,
Museo Nazionale della
Scienza e della Tecnica
10. Ippolito Caffi,
«Benedizione
di Pio IX al Quirinale»,
olio su tela, cm.
25,5x39,5, Collezione
privata
Curatore
Claudio Spadoni
Enti organizzatori
Comune di Ravenna-Assessorato
alla Cultura, MAR Ravenna
Sponsor ufficiale
Fondazione Cassa di Risparmio
di Ravenna
Media partner
QN - Il Resto del Carlino
Partner per i servizi di audioguida
e radioguida
Antenna International
Orari
Fino al 31 marzo: martedì-venerdì 9-18,
sabato e domenica 9-19, chiuso lunedì
Dal 1 aprile: martedì-giovedì 9-18;
venerdì 9-21; sabato e domenica 9-19,
chiuso lunedì
Aperture festive: Pasqua,
Lunedì dell’Angelo, 25 Aprile,
1° Maggio, 1° e 2 Giugno
La biglietteria chiude un’ora prima
Ingresso
Intero: 9 euro
Ridotto: 7 euro
Studenti Accademia e Università,
insegnanti: 4 euro
Prenotazioni visite guidate
Tel. 0544 482487
Catalogo
Sagep Editori S.r.l.
MAR - Ufficio relazioni esterne
e promozione
Nada Mamish - Francesca Boschetti
Tel. +39.0544.482017 / 482775
Fax +39.0544.212092
[email protected]
mar.ra.it
Ufficio stampa
Studio Esseci di Sergio Campagnolo
Tel. +39.049.663499 - fax +39.049.655098
[email protected]
studioesseci.net
10
La Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna per il MAR
Il Museo d’Arte della Città di Ravenna da anni propone meritoriamente progetti espositivi di alta qualità e grande rilevanza
culturale, eventi che hanno riscosso il consenso della critica e
suscitato vasta eco nel mondo degli appassionati delle arti figurative, attraendo anche interessanti flussi turistici di qualità.
La Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna concorre a promuovere da anni percorsi di approfondimento e valorizzazione
dei tanti artisti che rappresentano un volto inedito, ma fortemente caratterizzante a livello storico e culturale del nostro
enorme patrimonio artistico.
La Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna nella sua attività ha
da sempre considerato che la «Ravenna Città d’arte e di cultura»
costituisca un elemento di grande rilievo per una politica di promozione del territorio e possa essere fattore di sviluppo non solo
culturale, ma anche economico e sociale della nostra comunità.
In questa ottica, da oltre dodici anni sosteniamo con rilevanti
contributi la realizzazione degli importanti eventi espositivi, riconosciuti anche internazionalmente, che si sono succeduti presso il
Museo d’Arte della Città di Ravenna. Dopo le mostre «Da Renoir a
De Staël - Roberto Longhi e il moderno», «Turner, Monet, Pollock.
Dal Romanticismo all’Informale. Omaggio a Francesco Arcangeli»,
«La cura del bello. Musei, storie e paesaggi per Corrado Ricci»,
«L’Artista viaggiatore», «I Preraffaelliti e il sogno italiano. Da Beato
Angelico a Perugino, da Rossetti a Burne-Jones», «Italia s’è desta
1945-1953. Arte in Italia nel secondo dopoguerra da De Chirico
a Guttuso, da Fontana a Burri» e «Miseria e splendore della car-
I Vademecum del Giornale dell’Arte n. 349 - gennaio 2015 Il Bel Paese
ne. Caravaggio, Courbet, Giacometti, Bacon… Testori e la grande pittura europea», «Borderline. Artisti tra normalità e follia. Da
Bosch a Dalí, dall’Art brut a Basquiat», «L’incanto dell’affresco.
Capolavori strappati da Pompei a Giotto, da Correggio a Tiepolo»,
la Fondazione ha ritenuto, ancora una volta, di confermare, con
convinzione, un determinante contributo anche per la realizzazione
della mostra «Il Bel Paese. L’Italia dal Risorgimento alla Grande
Guerra, dai Macchiaioli ai Futuristi», ora ospitata a Ravenna.
Amore per il nostro territorio, consapevolezza delle radici,
testimonianza e rappresentazione della nostra intensa realtà
paesaggistica, un insieme di opere di grande qualità che costituiscono una traccia straordinaria della bellezza del nostro
Paese, ancora un’iniziativa di rilievo che si inserisce nell’ideale
itinerario artistico delineato in questi anni.
Siamo certi che il valore artistico delle opere esposte, provenienti dai principali musei italiani, offrirà ai visitatori una notevole esperienza culturale; nel contempo, desideriamo, ancora
una volta, sottolineare la professionalità e la sensibilità dell’Istituzione Museo d’Arte Città di Ravenna che da anni promuove
la conoscenza dell’arte moderna e contemporanea con positive
ricadute anche per una migliore promozione turistica; questa
importante esposizione non mancherà di ottenere un meritato
successo di pubblico e di critica, apportando una nuova, ulteriore, opportunità di crescita per il nostro territorio.
q Lanfranco Gualtieri
Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna
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