Gli ANTICHI MITI,
Elaborati
Dagli alunni della classe IV
Di Polla cap.
Insegnanti coordinatrici:
Leopardi Francesca
Manzione Carmelina
Il racconto mitico è stato uno dei vari tipi di testo analizzati dagli alunni della classe quarta di
Polla Capoluogo; ed, essendo un argomento trasversale anche ad altre discipline, ha dato lo
spunto a noi docenti per sceglierlo come filo conduttore del nostro progetto extracurriculare.
Gli alunni, pertanto, hanno approfondito le loro abilità nell’uso del computer trascrivendo
alcuni miti, dopo averli sintetizzati ed illustrati.
Al giorno d’oggi con il termine “mito” si suole indicare una persona eccezionale, un modello
ideale da seguire. Questa parola, però, come gli alunni hanno potuto scoprire, ha origini molto
lontane. Essa, infatti, deriva dal greco mythos e significa “racconto”. Un mito, quindi, è un
racconto antichissimo che gli uomini inventarono per dare una risposta a tutto ciò che non
riuscivano a spiegare in modo scientifico, come l’origine dell’universo, della natura, degli dei
ed ha come protagonisti dei ed eroi, esseri con poteri straordinari che spesso assumevano
sembianze umane.
I miti, per i popoli antichi, avevano anche un valore sacro, religioso perché erano la
rivelazione della divinità che svelava il mistero della realtà.
Molti di essi presentano stupefacenti somiglianze, anche se le popolazioni che li hanno creati
non sono mai venute in contatto fra loro.
Noi ne abbiamo scelti alcuni che ci sono sembrati più significativi e ve ne proponiamo la
nostra rielaborazione testuale e grafica.
All’inizio dei tempi, c’era solo l’oscurità. Dentro l’uovo dormiva e cresceva il gigante
Panku, che un giorno improvvisamente si svegliò e ruppe il guscio. Il contenuto più
leggero salì in alto e formò il cielo, quello più pesante scese in basso e diventò la
Terra. Per migliaia di anni Panku, temendo che i due elementi potessero riunirsi, li
tenne separati spingendo in su il cielo con la testa e schiacciando la Terra con i piedi.
Quando Panku morì il suo corpo si trasformò:
il respiro divenne vento;
l’ occhio sinistro il sole;
l’ occhio destro la luna;
i suoi capelli le stelle del cielo;
le sue braccia diventarono montagne;
le sue vene sentieri e strade;
la sua carne terreni e campi;
il suo sudore si trasformò in pioggia e rugiada;
la voce in tuono.
Così il gigante Panku creò il mondo.
Mille e mille anni fa il mondo era vuoto. Non c’ era alcun uomo, né un solo animale,
né pietre, né erbe, né alberi, solo il cielo ed il mare esistevano. Tepeu e Gucumatz, il dio
creatore e il dio formatore, decisero di creare la terra e il sole. In un attimo dalla nebbia
scaturirono montagne e boschi.
Tepeu e Gucumatz crearono poi gli animali e ad ognuno di essi assegnarono una casa: chi viveva
tra i cespugli, chi sugli alberi, chi nelle buche del terreno. I due dei si rivolsero agli animali
dicendo:
-Parlate, gridate e cantate i nostri nomi! Gli animali gridavano, ululavano, ma non riuscivano a
pronunciare i loro nomi. -Così non va! dissero Tepeu e Gucumatz. E provarono a creare l’uomo.
Lo fecero di fango, ma subito videro che non andava bene. L’uomo non aveva forza, cadeva giù
molte volte e la testa non stava su. Allora i due dissero: - Proviamo a scolpire l’uomo nel legno. I
fantocci di legno assomigliavano all’uomo, ma non avevano né anima e neppure cervello. Tepeu
e Gucumatz erano sconsolati: la creazione dell’uomo era proprio difficile. Ma ecco avvicinarsi
quattro animali: il gatto, il coyote, il pappagallo e il corvo, che portarono ai due creatori una
pannocchia matura di mais. Tepeu e Gucumatz presero la pannocchia e macinarono i chicchi
con una pietra. Poi impastarono la farina con l’acqua del mare e crearono i muscoli e la forza
dell’uomo. Finalmente la loro opera era perfetta. L’uomo aveva anima e cervello e cantava lodi
a Tepeu e Gucumatz, creatori del cielo e della terra.
Zeus, stanco degli uomini, aveva deciso di abbandonarli a sé stessi.
Da allora gli esseri umani vivevano in uno stato di miseria e di infelicità: soffrivano il freddo e
la fame, vagavano nudi sulla Terra cibandosi di erbe e di carne cruda, erano spaventati dal
buio e dalle bestie feroci…Prometeo ne ebbe pietà e decise di portare loro aiuto.
Un giorno rubò dall’officina di Efesto una scintilla di fuoco, che fino a quel momento
rallegrava solo le case degli dei, e la portò agli uomini.
Insegnò loro come usarlo per cuocere il cibo, difendersi dal freddo, dalle bestie feroci e per
lavorare i metalli.
Quando Zeus scoprì che cosa aveva fatto Prometeo, infuriato, chiamò Efesto e gli ordinò di
incatenare il ribelle su una delle cime più alte del Caucaso, esposto al sole e al gelo, per mille
anni.
Per aumentare la sua pena, ogni giorno, un’aquila gli divorava il fegato che poi durante la
notte ricresceva.
Malgrado le sofferenze, Prometeo non si sottomise e continuò a sfidare Zeus e a ricordargli
che stava commettendo una grave ingiustizia, finchè il padre degli dei ebbe pietà di lui, lo
liberò e lo accolse tra gli dei immortali.
VULCANO E PROMETEO
Dopo aver ottenuto il dono del fuoco gli uomini divennero forti e in poco t empo fecero grandi
progressi, ma in loro crebbe anche la superbia e si rifiutarono di compiere sacrifici agli dei.
Solo Deucalione, figlio di Prometeo, e sua moglie Pirra ogni giorno celebravano i sacri riti e
avevano il rispetto e timore delle divinità.
Zeus, stanco di sopportare le offese dei mortali, decise di sterminarli ricoprendo d’ acqua tutta la
Terra, ma accettò di salvare la vita di Deucalione e di sue moglie. Prometeo, allora, insegnò loro a
costruire una barca su cui per nove giorni e nove notti navigarono sopra le acque.
parte 2^
Quando la pioggia cessò, la loro barca si appoggiò sulla cima del monte
Parnaso. Deucalione e la moglie scesero, e per prima cosa, ringraziarono
gli dei per averli salvati.
Affinchè non fossero troppo soli, Zeus mandò da loro Ermes con un
ordine: dovevano raccogliere pietre e gettarle dietro di sé. Dalle pietre
gettate da Deucalione nacquero nuovi uomini, da quelle gettate da Pirra
nacquero donne. Così la Terra fu ripopolata da uomini devoti agli dei.
Nella città di Uruk regnava Gilgamesh, che per due terzi era un dio e per un terzo uomo. La sua forza era
sovraumana, alta e forte la sua persona, bello il suo aspetto.
Al suo fianco, come un fratello, viveva Engidu. Ma un brutto giorno Engidu si ammalò e morì.
Gilgamesh, poiché il pensiero della morte non lo lasciava più, volle recarsi dal suo antenato Utnapistim che era
entrato nella schiera degli dei e aveva raggiunto l’immortalità.
parte II
Gilgamesh s’incamminò attraverso deserti e steppe, su per i pendii delle montagne. La sua
spada, la sua ascia e la sua lancia trafiggevano le belve ed egli continuava il suo cammino.
Finalmente giunse dove il cielo e la Terra si toccavano.
Là si trovava la porta attraverso la quale ogni sera il Sole scompariva. Era custodita da due
uomini dall’aspetto di scorpioni.
Gilgamesh persuase i mostri a lasciarlo passare.
Più difficile era attraversare il mare. Una dea ebbe pietà di lui e gli disse di trovare colui che
aveva traghettato il suo avo.
Il traghettatore condusse il re di là del mare oltre la stagnante acqua della morte, dove
Gilgamesh incontrò il suo avo.
Parte III
Gilgamesh chiese al suo antenato che cosa doveva fare per raggiungere l’immortalità ed egli gli disse che, se
voleva sfuggire alla morte, doveva cercare la pianta dell’ immortalità in fondo al mare e doveva riuscire a fare a
meno del sonno per sei giorni e sei notti.
L’eroe si immerse, raccolse la pianta per portarla al suo popolo e ritornò in superficie, ma mentre si riposava,
vinto dalla fatica , vicino ad un pozzo, si avvicinò un serpente che gli rubò la pianta e la mangiò.
Gilgamesh dovette tornare indietro sconfitto, ma quando arrivò nei pressi della sua città, capì che le magnifiche
mura, i templi e le torri di Uruk erano la sua immortalità.
Nel tempo più lontano che ci sia, quando ancora non erano apparsi né il Sole, né le
stelle, né la Terra, esisteva solo Luonnotar, la bella dea della Natura.
Un giorno scese dal cielo, incominciò a vagare sul mare, poi si adagiò sulle onde e si
addormentò.
Arrivò in volo un’ aquila, vide il ginocchio della dea emergere dall’acqua e credette che
quella sporgenza fosse un’ isola; vi si posò e fece il nido.
L’uccello depose sei uova d’oro e uno di ferro ma, quando la dea, inavvertitamente, si
mosse, le uova caddero in mare e si ruppero.
Accadde allora una cosa meravigliosa: metà di un guscio si ingrandì, si distese e formò
il cielo, l’altra metà diventò la Terra.
I rossi tuorli formarono il Sole e le stelle, il bianco diventò la Luna e i neri pezzetti
dell’uovo di ferro diventarono nuvole del cielo.
Luonnotar allora toccò con le dita la terra molle e formò i monti e le valli.
Infine si adagiò al sole ad asciugare i capelli grondanti d’acqua e da essi nacquero laghi,
fiumi e cascate argentee.
La dea Luonnotar
Minosse, sovrano di Creta, aveva fatto costruire dal grande architetto Dedalo
un edificio detto “labirinto”, così pieno di corridoi e passaggi intricati che chi ci
entrava vi si perdeva e non riusciva più a uscirne. Qui il re aveva fatto rinchiudere il
Minotauro, un mostro dalla testa di toro e dal corpo umano. Ogni anno gli venivano
offerti in pasto sette fanciulli e sette fanciulle della città greca di Atene, sconfitta e
sottomessa da Minosse.
Il Minotauro
Teseo, figlio del re Atene, chiese di essere mandato a Creta, per
uccidere il Minotauro. Arrivato sull’ isola, il giovane conobbe Arianna, la
figlia di Minosse, che si innamorò di lui e decise di aiutarlo nell’
impresa. La ragazza diede a Teseo un gomitolo di filo, che egli avrebbe
dovuto srotolare a mano a mano che penetrava nel labirinto. Dopo aver
raggiunto e ucciso il Minotauro, per uscire gli sarebbe bastato rifare il
percorso tracciato dal filo.
Teseo e il
Minotauro
Il re Polidette odiava Perseo, un bel giovane forte e coraggioso, e aspettava
l’occasione per sbarazzarsene.
Un giorno, mentre tutti recavano doni al re, Perseo gli chiese:- Che dono vuoi
da me, o re?
-Voglio la testa di Medusa!- rispose Polidette.
Medusa era un terribile mostro che abitava in un antro nelle Terre della Notte.
Aveva serpi velenose al posto dei capelli e chi la guardava negli occhi
diventava di pietra.
Ma Perseo disse:- Ebbene, cercherò Medusa e ti porterò la sua testa!
Il giorno dopo, mentre Perseo si preparava a partire, gli apparve il dio
Mercurio, il messaggero degli dei.
- Fatti coraggio Perseo, la dea Minerva e io ti aiuteremo!
Prendi questo elmo: ti renderà invisibile.
Metti questi calzari: potrai volare come me.
Prendi questo scudo, che brilla come uno specchio: guarda Medusa riflessa
qui dentro, e non resterai pietrificato.
Eccoti una spada che t’ invia Minerva.
Perseo e Mercurio
Perseo e Medusa
parte 2^
Così i due volarono fino alle Terre della Notte e scesero dove s’apriva
l’antro del mostro.
Medusa e le sue sorelle sonnecchiavano, ma la serpi velenose erano ben
deste.
Perseo si fece coraggio ed entrò nell’antro camminando all’indietro e
guardando Medusa riflessa nello scudo lucente.
Con un solo colpo le mozzò la testa, la raccolse e la mise in una bisaccia.
Le altre due sorelle si destarono e cercarono d’agguantare Perseo.
Ma questi indossò elmo e calzari e, invisibile, volò via.
Polidette, dopo che Perseo gli ebbe riferito i fatti, gridò pieno di rabbia:
-Tu menti, Perseo! Non puoi avere ucciso Medusa! Sei un bugiardo.
Vattene!
-Se non mi credi, guarda! -replicò allora il giovane, e trasse dalla bisaccia
la testa di Medusa, che aveva gli occhi un po’ socchiusi.
Polidette la guardò… e divenne una statua di pietra!
Perseo taglia la testa a Medusa
C’erano una volta, in India, tre principi che avevano deciso di cercare il regno del cielo.
Yudistira, il maggiore, poi venivano Nakula il bello e Bhima il gioioso.Yudistira prese con sé il
suo cana Svana.
Dopo molti giorni e molte notti, arrivarono in un posto dove c’ era una grande festa. Alcuni
giovani videro Bhima il gioioso e lo invitarono. E Bhima disse:- Per oggi resterò qui, e domani
andrò in cerca del regno celeste.
Così i suoi fratelli continuarono, finchè arrivarono vicino a un giardino, dove passeggiava una
bellissima principessa. Quando la principessa vide Nakula il bello, subito si innamorò. Anche
Nakula si innamorò e disse:- Per oggi starò con la principessa, e domani andrò in cerca del regno
celeste.
Così suo fratello Yudistira, con il cane Svana, proseguì.
Finalmente Yudistira arrivò al monte Meru, che è la porta del cielo. Là gli apparve Indra, il
Signore del Passato e del Presente, che lo invitò a salire.
Yudistira si inchinò e disse:- Verrò molto volentieri, ma solo se potrò portare con me il mio cane.
- In cielo non c’è posto per i cani- disse Indra.- Mandalo via ed entra nella felicità eterna.
- Non desidero la felicità – disse Yudistira se per averla devo cacciare via un compagno prezioso.
Ma hai lasciato i tuoi fratelli…- disse Indra.
- Mio signore- rispose Yudistira –i miei fratelli hanno seguito i desideri del loro cuore. Ma Svana
il suo cuore lo ha dato a me. Preferisco rinunciare alla felicità che a lui.
- Hai detto una cosa giusta- disse Indra. – Vieni e porta il tuo cane con te.
Così Yudistira e Svana salirono in cielo, e Indra creò la costellazione del Cane.
Dafne, figlia di Gea e del fiume Peneo (o secondo altri del fiume
Lacone), era una giovane e deliziosa ninfa che viveva serena passando il
suo tempo a deliziarsi della quiete dei boschi e del piacere della caccia,
quando la sua vita fu stravolta dal capriccio di due divinità: Apollo ed
Eros.
Racconta la leggenda che Apollo, fiero di avere ucciso un mostruoso
serpente: Pitone, incontrato Eros ,mentre era intento a forgiare un
nuovo arco, si burlò di lui e del fatto che non avesse mai compiuto delle
azioni degne di gloria.
Il dio dell’ amore, profondamente ferito dalle parole di Apollo, volò in cima
al monte Parnaso e lì preparò la sua vendetta: prese due frecce, una ben
acuminata e dorata, destinata a far nascere la passione, che scagliò con
violenza nel cuore di Apollo ed un’ altra, spuntata e di piombo, destinata a
respingere l’ amore, che lanciò nel cuore di Dafne.
Da quel giorno Apollo iniziò a vagare disperatamente per i boschi alla ricerca della
ninfa, fino a quando non riuscì a trovarla. Alla sua vista, Dafne scappò, impaurita, e a
nulla valsero le suppliche del dio che gridava il suo amore e le sue origini divine per
cercare di impressionare la giovane fanciulla. Dafne, terrorizzata, scappava tra i
boschi…Accortasi, però, che la sua corsa era vana, in quanto Apollo la stava per
raggiungere, invocò la madre Gea, pregandola di mutare il suo aspetto, perché tanto
dolore e paura le stava procurando. La madre Gea, ascoltò la sua preghiera e così iniziò
a rallentare la corsa della figlia fino a fermarla e contemporaneamente a trasformare il
suo corpo: i suoi capelli si mutarono in fronde leggere; le sue braccia si levarono alte
verso il cielo diventando flessibili rami; il suo corpo aggraziato si coprì di corteccia; i
suoi delicati piedi si tramutarono in robuste radici ed il suo volto, rigato di lacrime,
svaniva nella cima dell’ albero.
Geb, il dio della terra, e Nut, la dea del cielo, avevano due figli, Osiride e Seth, a cui diedero il compito
di governare il mondo. Osiride, diventato re, insegnò agli uomini l’ agricoltura e li educò con le leggi e
la religione, portando benessere e felicità nel suo regno. Questo però provocò la gelosia di Seth che
uccise il fratello e gettò nel Nilo il suo corpo fatto a pezzi. Iside, la sposa di Osiride, percorse tutto l’
Egitto per ricomporre il corpo del marito. Dopo averne ritrovato tutti i pezzi li affidò al dio Anubi, che li
avvolse in bende e ridiede ad Osiride il corpo integro. Allora Iside si trasformò in falco e agitò le ali
sopra lo sposo, finchè egli riprese a respirare. Osiride, però,
non poteva vivere sulla terra, e Ra, il dio del sole, lo fece re del mondo dei morti.
Iside, dea della Natura, e Osiride, dio del mondo sotterraneo, avevano messo al mondo il
dio Horus. La dea era stata molto felice di avere avuto quel figlio, perché sperava avrebbe
vendicato la morte di suo padre, ucciso dal malvagio dio Seth.
Iside tenne il bambino nascosto per paura che Seth potesse trovarlo e fargli del male.
Un giorno, però, dovette lasciarlo a lungo da solo e, quando tornò, lo trovò disteso a terra.
Dagli occhi gli sgorgava acqua a fiumi e dalla bocca gli usciva saliva in abbondanza, perché
era stato avvelenato
parte 2^
Iside, disperata, si abbandonò a un canto di dolore, poi decise di ricorrere all’ aiuto degli
abitatori delle paludi: i pescatori, che accorsero subito, ma nessuno di loro era in grado di
guarire suo figlio.
Sopraggiunse allora Thot il dio della Giustizia divina e umana, per aiutare la dea.
Egli eseguì una lunga e complicata cerimonia contro gli spiriti maligni, finchè la febbre cessò,
dopodiché raccomandò a tutti gli abitanti del luogo di proteggere il fanciullo.
Da allora il dio del Sole, Ra, suo padre Osiride e sua madre Iside vegliarono su di lui e l’ amore
per il dio Horus si diffuse fra tutto il genere umano.
Inserisci la risposta esatta.
1)Nel mito di Panku il mondo era un gigantesco…
2) Quando Panku morì, il suo respiro in che cosa si trasformò?
3) Dopo il mito del diluvio, da che cosa nascevano le persone?
4) Di chi si innamorò Apollo?
5) Chi diede il gomitolo a Teseo?
6) Chi doveva uccidere Teseo?
7) Che cosa macinarono Tepeu e Gucumatz nel mito dei Maya?
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Rispondi in modo corretto alle seguenti definizioni e, nelle caselle evidenziate con il colore
giallo, comparirà il nome di un personaggio che cercava l’immortalità.
Definizioni.
1) Come si chiamava l’amico di Gilgamesh ?
2) Come si chiamava il dio del regno dei morti nella religione degli Egizi?
3) Cosa originò il bianco delle uova nel mito “La dea Luonnotar”?
4) E dai suoi capelli che cosa nacquero?
5) Iside era la dea della ……………..
6) Come si chiamava l’orribile mostro con i serpenti al posto dei capelli?
7) Quale personaggio mitologico gli tagliò la testa?
8) Come si chiamava la mamma del dio Horus?
9) Chi salvò Horus dal malvagio Seth?
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Hanno partecipato al progetto i seguenti alunni:
CAFARO MARIAGRAZIA
CAGGIANO MIRIAM
CALABRO’ ROSSELLA
CEGLIA AURORA
CRISCITO NICOLO’
D’AMICO FELICE
D’ASCOLI ANTONIO
DEL BAGNO FEDERICA
DEL BAGNO FEDERICO GRAZIANO
GUZZETTA MAICOL
LEOPARDI SIMONA
MAGLIANO SILVIA
MALTEMPO GIANLUCA
MALTEMPO TANIA
PAGANO ANGELO
PAGANO LUIGI
PANZA FRANCESCO
PEPE CARMEN
PUCCIARELLI MONICA
SABBATELLA ALESSANDRA
VILLARI GERARDO
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