«Li Greci fugiaschi delli luoghi d’Italia» uomini, reti e comunità attraverso i confini politici e confessionali Nel 1720, a Cracovia, i «Deputati plenipotenziari della Compagnia de Greci Nuovi Vassalli della Cattolica Maestà Ιmperador de Romani» diedero alle stampe un volantino in lingua greca con l’intento di promuovere l’insediamento di «altri Nazionali (ομωγενεις) dell’istessa fede» nelle terre asburgiche, aperte, dopo la Pace di Passarowitz (1718), al libero commercio con l’Impero ottomano1. Un’unica denominazione - διεσπαρμενοι ρωμαιοι (Romioi dispersi)2 - sembra unire, nella percezione degli estensori del foglio, questi ultimi ai loro interlocutori, quei cristiani ortodossi (ρωμαιες) «delli luoghi d’Italia, e altrove» in fuga «dall’incursioni de Nemici della fede», chiamati ora a congregarsi per trarre «grazie e benefizij» dalla nuova pax mediterranea. L’unità – evocata nel documento – tra i luoghi dell’immigrazione ortodossa, le interconnessioni tra questi luoghi, i significati, i contorni e le metamorfosi delle identità collettive espresse dai migranti nel secolo che precede l’insorgere dei Nazionalismi, costituiscono l’oggetto del presente studio. La storia dell’Ortodossia post-bizantina è stata interpretata come spazio di civilizzazione unitaria da numerosi storici, primo fra questi Nicholas Iorga3, il quale ne ricostruì i rapporti di continuità e di relazione all’interno dell’oikoumene cristiano orientale4. Nei territori dell’immigrazione ortodossa in Europa occidentale, invece, l’eredità storica e culturale bizantino-ortodossa è stata declinata per lo più nei termini di ‘Ellenismo post-bizantino’ o ‘Ellenismo della diaspora’5: in questa prospettiva gli elementi Archivio storico di Propaganda Fide (ASPF), Scritture riferite nei Congressi. Greci, vol. 2, 1701-1736, c. 243v. Il foglio fu inviato al Vicario Apostolico di Durazzo Filoteo Zassi - ordinante per il rito greco a Roma - e da costui tradotto in lingua italiana e trasmesso con una lettera del 17 gennaio 1721 al protonotario e segretario di Propaganda Fide Domenico Passionei (cc. 237r-237v). 2 Ρωμαιοι/Romani è il termine ufficiale con cui erano designati i sudditi dell’Impero bizantino; tale denominazione si conservò anche dopo la conquista ottomana per indicare l’insieme dei cristiani orientali soggetti alla giurisdizione del Patriarca ecumenico di Costantinopoli. Vedi: R. Beaton, «Antique nation? ‘Hellenes’ on the eve of Greek independence and in twelfth-century Byzantium», Byzantine and Modern Greek Studies, Vol. 31, No. 1 (2007), 76–95; D. Livanios, «The quest for Hellenism: religion, nationalism and colletive identities in Greece (1453-1913)», The Historical Review / La Revue Historique. Institute for Neohellenic Research,Vol. III (2006), pp. 33-70. 3 N. Iorga, Byzance après Byzance. Continuation de l’histoire et de la vie byzantine, Bucharest, Institut d’Études Byzantines, 1935. 4 Tra i lavori successivi si ricordano le raccolte di saggi: Balkan society in the age of Greek independence, edited by Richard Clogg, London, Macmillan - Centre of Contemporary Greek Studies, King's College, University of London, 1981; The Byzantine legacy in Eastern Europe, edited by L. Clucas, New York, Columbia University Press, 1988; Glōssa, koinōnia, historia: ta Valkania. Praktika diethnous synedriou, Thessalonikē, 11-12 Noemvriou 2001 / Language, society, history: the Balkans. Proceedings of an international conference, Thessaloniki, 11-12 November 2001, Thessalonikē, Kentro Hellēnikēs Glōssas, 2007; An Orthodox commonwealth : symbolic legacies and cultural encounters in southeastern Europe, Paschalis M. Kitromilides, Aldershot, Ashgate, c2007; Europe and the historical legacies in the Balkans, edited by Detrez Raymond & Segaert Barbara, Bruxelles-New York, Peter Lang, 2008. 5 Tra gli studi più rappresentativi degli ultimi decenni si citano: G. Prevelakis, Les espaces de la diaspora hellénique et le territoire de l’Etat grec, in Les réseaux des diaspora. The network of diasporas, a cura di G. Prévélakis, Nicosie, Chypre, Kikem, 1996; Α. Μανδυλαρα, «Ελληνική διασπορά και ιστοριογραφική διασπορά. Διαδρομές, αδιέξοδα, 1 1 di omogeneità culturale e di continuità tra passato e moderna nazionalità ellenica sono prevalsi sul riconoscimento della complessità e della pluralità che a lungo hanno caratterizzato la storia e l’identità dei cristiani d’Oriente. Scopo della ricerca in corso è dunque, in generale, quello di tracciare i confini dell’Ortodossia occidentale durante il XVIII secolo, analizzando, in una prospettiva unitaria, le trasformazioni indotte dall’esperienza migratoria e dall’insediamento in contesti sociali e politici diversi da quelli di origine. In particolare si tratterà di comprendere se al di fuori dei territori tradizionali del «Commonwealth ortodosso»6 la religione abbia continuato ad essere il principale fattore di aggregazione e di identificazione all’interno di contesti politico-culturali in cui il confine tra Cattolicesimo e Ortodossia appare il più delle volte mutevole e poroso. Da questo punto di vista, l‘emergere di legami politici e simbolici – visibile nei documenti finora consultati – tra la Russia ortodossa e gran parte delle comunità dell’emigrazione, da nord a sud della Penisola italiana, rappresenta uno dei nodi più interessanti da analizzare. I limiti geografici del presente studio coincidono con quelli del Mediterraneo centrale: mentre è stato possibile ricostruire un quadro unitario delle comunità ortodosse esistenti sulla penisola italiana e sulle isole adiacenti (Corsica, Sardegna, Minorca e Malta) attraverso le lettere e i resoconti conservati nell’Archivio storico di Propaganda Fide, un’indagine più ampia sulle fonti7 è in corso su alcune comunità di rito greco dell’ Italia meridionale8: quella di Napoli, città capitale, e quelle di Barletta, porto pugliese επανεκτιμήσεις», Μνήμων, 22 (2000), pp. 239-246; Ι. Κ. Χασιώτης, Past and present in the history of modern greek diaspora, in Diaspora, identity and religion: new directions in theory and research, edited by W. Kokot, K. Tölölyan, C. Alfonso, London, Routledge, 2004, pp. 93-101.; Ι. Κ. Χασιώτης - ΄Ο. Κατσιαρδή-Hering – Ε. Α. Αμπατζή, Οι Έλληνες στη Διασπορά 15ος-21ός αι., Αθήνα 2006. Un tentativo di superare la visione etnocentrica che continua a informare gli studi sulla diaspora si coglie in: Home-Lands and Diasporas. Greeks, Jews and their Migrations, edited by M. Rozen, London-New York, I. B. Tauris & Co Ltd, 2008. 6 L’idea di ‛Commonwealth bizantino’ come comunità culturale e religiosa, unita - oltre i confini linguistici - dalla comune tradizione bizantina, si deve a Dimitri Obolensky (The Byzantine Commonwealth: Eastern Europe, 500-1453, New York, Praeger Publishers, 1971.). L’espressione è stata poi ripresa da altri studiosi per sottolineare la continuità - nella storia e nell’identità collettiva dei cristiani d’Oriente - tra l’epoca bizantina e quella ottomana. 7 Per il contesto napoletano l’indagine, ancora in corso, è stata condotta sulle seguenti tipologie di fonti: registri parrocchiali, processetti matrimoniali, visite pastorali e lettere arcivescovili, documenti vari rinvenuti in Archivio di Stato, in particolare nel fondo Affari esteri e in quello del Supremo Tribunale di Commercio. Nei prossimi mesi verrà terminato lo spoglio dei processetti, verranno visionati alcuni testamenti nell’Archivio notarile e, previa autorizzazione (non ancora pervenuta), verranno consultati alcuni documenti d’interesse individuati nell’Inventario dell’Archivio della Confraternita greca dei SS. Pietro e Paolo di Napoli. A Barletta le ricerche si sono finora concentrate sui registri parrocchiali e altri documenti ecclesiastici, mentre è tuttora in corso lo spoglio degli atti notarili. Nei prossimi mesi avrà luogo l’esplorazione delle fonti relative alla comunità di Altamura di cui si è finora trovata notizia per il Settecento nell’Archivio di Stato di Trani, nel fondo Sacra Regia Udienza Provinciale di Trani - Processi civili; per quanto riguarda la letteratura secondaria, oltre alle poche informazioni contenute nell’opera di Adrian Fortescue (vedi, cfr. infra, 25n) è noto soltanto il breve studio di Pasquale Corsi, «La comunità greca di Altamura», Nicolaus, 4 (1977), pp. 145-174. L’individuazione di punti di osservazione diversi, a partire dai quali analizzare il fenomeno d’interesse all’interno di una prospettiva quanto più organica, complessa e problematica, è alla base del metodo adottato nella ricerca in corso. 8 Nonostante la maggior parte degli studi sulla ‛diaspora’ si sia concentrata negli ultimi anni sulle grandi comunità mercantili settentrionali, ancora nel Settecento, la maggior parte delle comunità di rito greco era insediata nelle 2 sull’Adriatico, e di Altamura, centro feudale dell’entroterra – entrambe poste alla periferia del Regno9. L’adozione di una prospettiva regionale sottintende la volontà di contrapporre il Mediterraneo come spazio storico e interrelato10 all’orizzonte locale delle singole comunità in cui lo studio della ‛diaspora’ – assunta come topos dell’identità ellenica – si frantuma nei numerosissimi studi prodotti dalla storiografia greca negli ultimi decenni11. Attraverso il ricorso ad uno spettro di fonti più ampio e diversificato rispetto a quello offerto dagli archivi delle singole istituzioni comunitarie si sta cercando di studiare il fenomeno in una prospettiva ampia e plurale: una volta terminato lo spoglio e lo studio dei documenti, sarà dunque possibile verificare, in termini empirici, se tali comunità confessionali, spesso linguisticamente eterogenee, costituissero i nodi di una stessa rete e quali fossero i meccanismi sociali e culturali che sostennero la sua formazione. Si procederà, innanzitutto, ad un’analisi delle relazioni inter-comunitarie attraverso la regione, per capire se sia possibile definire il mondo dell’immigrazione ortodossa come uno spazio integrato e per comprendere secondo quali logiche – religiose, culturali, economiche – questo spazio è strutturato. In un secondo momento l’analisi si focalizzerà sulle relazioni sociali, culturali e confessionali tra gli ortodossi abitanti a Napoli e i regnicoli, cioè i coloni di rito greco, greci e albanesi, sparsi nelle province del Regno, con l’intento di capire in quale misura la natura e l’intensità di queste relazioni risenta della provenienza da ambienti sociali diversi (urbani o rurali) o dell’appartenenza a differenti gruppi linguistici (greco e albanese). La scelta di seguire le vicende degli uomini, delle comunità e delle loro reti attraverso un lungo arco temporale che va dalla Pace di Passarowitz (1718) all’emergere di Napoleone sulla scena europea (179697) risponde alla necessità di ancorare lo studio delle realtà sociali a quello dei processi storici e dei mutamenti che inevitabilmente essi inducono al loro interno12. Negli anni successivi al trattato del 1718 fattori di natura diversa crearono le condizioni favorevoli ad un aumento della mobilità tra le due regioni dell’Italia meridionale; la loro progressiva assimilazione al rito latino e all’ambiente linguistico e sociale autoctoni non sembra essere nel XVIII secolo un processo ovunque compiuto, contrariamente a quanto si afferma nei numerosi studi esistenti. 9 La comparazione tra queste due comunità, la prima inserita in un ambiente mercantile e l’altra in un contesto rurale, mi consentirà di osservare le diverse dinamiche sociali e identitarie in atto in ambienti diversi e di confrontare il modo in cui ciascuna di esse si colloca all’interno di quella rete di relazioni che attraversano e, in parte, sembrano integrare tra loro i luoghi dell’immigrazione ortodossa. 10 Per una riflessione generale sul Mediterraneo come spazio in cui i confini imperiali e statali trascendono nell’orizzonte più ampio delle città e delle loro reti, vedi: Cities of the Mediterranean: from the Ottomans to the present day, edited by Biray Kolluoğlu and Meltem Toksöz, London, I. B. Tauris, 2010; per una interpretazione dello spazio della diaspora greca come «medi-terranean topography […] a world not of boundaries that separate but of routes that connect», vedi: A. Leontis, «Mediterranean Topographies before Balkanization: On Greek Emporion, Revolution, and Diaspora», in Diaspora, Vol. 6; No. 2 (1997), pp. 179-194. 11 Al presente è in fase di compimento un lungo e minuzioso spoglio delle riviste greche, per uno studio approfondito della storiografia greca sull’argomento, dalla prima metà del ’900 fino ad oggi. 12 Per una riflessione teorica sul metodo nella ricerca storica e nelle scienze sociali vedi: J. M. Bryant – J. A. Hall, Towards Integration and Unity in the Human Sciences: the Project of Historical Sociology, in Historical methods and the Social Sciences. Vol. I: Historical Social science: presuppositions and prescriptions, edited by J. A. Hall - J. M. Bryant, London, Sage Publications, 2005, pp. I-XV. 3 sponde dell’Adriatico13 e attraverso l’intera regione. A partire da questo periodo gli zar di Russia assunsero sempre di più il ruolo di protettori dei cristiani ortodossi, in competizione prima con gli Imperatori austriaci e poi, alla fine del secolo, con Napoleone; l’irrompere di quest’ultimo sulla scena europea e mediterranea ha segnato sul piano politico, economico e ideale un’indubbia discontinuità nella storia dei popoli balcanici, di cui possiamo cogliere gli effetti a Est come nei territori occidentali dell’immigrazione ortodossa14. È possibile avere di ciò un breve ma significativo esempio confrontando due documenti rinvenuti nell’Archivio storico di Propaganda Fide: il volantino, citato in apertura, stampato nel 1720 a Cracovia e un discorso pronunciato nel 1797 da un membro della comunità greca di Ancona e trasmesso nel 1802 dall’Arcivescovo di Larissa alla Congregazione di Propaganda Fide15. Nel foglio di Cracovia troviamo, all’interno dello stesso contesto discorsivo, i termini ρωμαιοι ομωγενεις - γραικοί16: mentre i primi due vocaboli rimandano al genos ton Romaion, ovvero all’insieme dei cristiani ortodossi, senza distinzione linguistica o etnica17, la denominazione di γραικοί – con cui i «Vassalli di Sua Maestà» si autodefiniscono in calce al testo - deriva dal greco antico; da qui, attraverso la mediazione del latino graecus, il termine si era poi diffuso anche tra i Greci abitanti fuori dai confini tradizionali dell’Ortodossia18. L’etnonimo ελληνων, che già nel XII secolo a Bisanzio e poi durante il Rinascimento europeo aveva cominciato ad essere utilizzato dalle élite colte in contrapposizione al termine Romioi, compare in un altro documento rinvenuto insieme al volantino in lingua greca: si tratta di una scrittura bilingue, in latino e in greco, pubblicata nello stesso anno a Basilea e redatta Il trattato di commercio e navigazione tra sudditi austriaci e ottomani (1718) e la scomparsa, dovuta alle guerre navali franco-inglesi, dei bastimenti delle grandi potenze che avevano controllato fino ad allora i traffici marittimi nel Mediterraneo orientale favorirono l’attività e l’intensa mobilità dei mercanti balcanici (Storia del Mediterraneo moderno e contemporaneo, a cura di Luigi Mascilli Migliorini, Napoli, Guida, 2009, pp. 193-194). A ciò si aggiungano le iniziative di reclutamento di soldati “macedoni” (greco-albanesi) e i progetti di popolamento delle province agricole del Regno promosse lungo tutto il Settecento dalla Corte di Napoli (Si veda: ASN, Affari esteri, Affari con l’Albania, f. 4253/Nazione greca, f. 4403; Dissertazione istorico-cronologica del Regimento Real Macedone: nella quale si tratta della sua origine, formazione e progressi, e delle vicissitudini, che gli sono accadute fino all' anno 1767, Presso il Volpe, 1768; Leh, A., Cenno storico dei servigi militari prestati nel Regno delle Due Sicilie dai Greci, Epiroti, Albanesi e Macedoni in epoche diverse, Corfu, 1843; Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli. Dispacci. Vol. XVII: 30 giu. 1739- 24 ago. 1751, a cura di E. Tonetti, Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 1994. 14A. Duţu, «Dissemination and Reception of the Ideas of the French Revolution», Balkan Studies/ Etude balkaniques, Vol. 1 (1991), pp. 25-28; K. Galani, «The Napoleonic wars and the disruption of Mediterranean shipping and trade: British, Greek and American merchants in Livorno», The Historical Review / La Revue Historique, Institute for Neohellenic Research,Vol. VII (2010), pp. 179-198. 15 ASPF, Scritture riferite nei Congressi. Italo-greci, vol. 6, 1781-1810, Per poter rispondere ai vari punti della lettera della Sagra Congregazione di Propaganda Fide sopra la Chiesa di S. Anna de’ Greci di Ancona, 29 marzo 1802, Ancona, cc. 384r-388v/cc. 316r-325r (esemplare a stampa del Discorso) 16 ASPF, Scritture riferite nei Congressi. Greci, vol. 2, 1701-1736, c. 243v. 17 Mackridge parla di ambiguità semantica a proposito del termine Romaios/Romiós utilizzato per denotare sia il popolo di lingua romaica (come era chiamata la lingua parlata nei territori corrispondenti all’odierna Grecia) sia i cristiani ortodossi ottomani in generale. P. Mackridge, Language and national identity in Greece, 1766-1976, Oxford, Oxford University Press, 2010, p. 51. 18 Ivi, p. 49. Ancora nel Settecento, generalmente, gli immigrati ortodossi, compresa la componente grecofona, indicavano se stessi con il termine «Romani/Romioi» (M. Mantouvalou, «Romaios-Romios-Romiossyni: La Notion de Romain avant et apres la chute de Constantinople», Epistēmonikē epetēris tēs Philosophikēs Scholēs tou Panepistēmiou Athēnōn, 28 (1979-1985), pp. 169-98). 4 13 probabilmente dagli stessi autori, i quali si definiscono membri dell’ «unanimi societate orthodoxorum, at, atq Catholicorum graicorum/ Σοσιετας τῶν ὀρθοδόξωντε [και] κατοληκῶν ελλήνων»19. Ancora agli inizi del Settecento è evidente, dunque, la difficoltà di proiettare sull’oggetto storico in questione, le comunità ortodosse, un’identità statica e omogenea, sia essa etnica o religiosa. L’ambiguità e la fluidità che ancora in questa fase caratterizzano ogni denominazione collettiva del genos ortodosso, al termine del periodo storico considerato sembra lasciare il posto ad una più chiara definizione, che si esprime ora attraverso un linguaggio e una retorica nuovi. È possibile cogliere un momento di questa transizione, che fu non soltanto semantica, ad Ancona dove, sin dal XVI secolo, la Chiesa e la Confraternita di Sant’Anna dei Greci avevano accolto – non senza annosi e gravi contrasti – slavi e grecofoni20, sia cattolici che scismatici21, e latini anconitani. Qui, nel 1797, Marino Crassan, greco di Cefalonia, «con somma esultanza dei Greci» pronunciò un discorso in onore di Bonaparte, per volontà del quale era stata finalmente concessa loro la libertà di culto; in esso l’avvocato cefaloniotto, accostando il suo nome a quello dei grandi oratori dell’antichità, paragona la vittoria delle armi francesi a quelle di Salamina e di Maratona. Alla celebrazione del passato fanno eco nel testo le speranze e le attese di liberazione della «Patria madre»: «Oh! Notizia ben lieta, e grata, di cui voi sarete apportatori col vostro ritorno alla Patria madre […] Rintracciate al vostro giungere diligentemente dove riposano le gloriose Ceneri di Platone, di Demostene, di Melciade, di Temistocle, e di tanti altri illustri Campioni, e dite loro, che la Libertà và spandendo felicemente le sue Ali, e che non tarderà molto a scuotere anche in quel fortunato Clima li Semi della Virtù, delle Scienze, e della Gloria, che una lunga vergognosa schiavitù tiene imprigionati». L’unità ortodossa e la millenaristica speranza nella liberazione dei cristiani d’Oriente incarnata dalla Russia a partire da Pietro il Grande, negli ultimi anni del secolo avevano cominciato a dissolversi nell’immaginazione di un ordine politico nuovo e rivoluzionario 22. Caduto il governo repubblicano, tuttavia, nel 1799 anche i Russi «e fra gl’imperiali i Croati, che professavano il Rito greco non unito», cominciarono a frequentare la Chiesa greca della città23, dove erano giunti da Napoli insieme a un Scopo dei promotori del foglio era quello di raccogliere presso monasteri e parrocchie sparse in tutta Europa fondi («triginta argeneos») a sostegno della loro organizzazione («ad praefatam unanimem Societatem»). ASPF, Scritture riferite nei Congressi. Greci, vol. 2, 1701-1736, cc. 241v-242r. 20 ASPF, Scritture riferite nei Congressi. Italo-greci, vol. 5, Nota de’ pochi greci professi nell’apparenza almeno, e de’ molti Greci scismatici e non professi nell’apparenza e sostanza, 18 marzo 1774, Ancona, c. 461. 21 Il termine scismatico era utilizzato nei territori della Cristianità occidentale per indicare i cristiani orientali non uniti alla Chiesa romana, bensì dipendenti dall’autorità del Patriarca ecumenico di Costantinopoli. 22 Di fronte all’insorgere della lotta per l’indipendenza greca, la Russia, a capo di un impero multietnico, avrebbe assunto una posizione di neutralità (Theophilus C. Prousis, Russian society and the Greek Revolution, Northern Illinois University Press, 1994). 23 ASPF, Scritture riferite nei Congressi. Italo-greci, vol. 6, 1781-1810, Per poter rispondere […] sopra la Chiesa di S. Anna de’ Greci di Ancona, cit., cc. 386v. 5 19 contingente di militari greci di stanza nel porto partenopeo24. La solidarietà e il senso di appartenenza religiosa convissero, anche dopo lo scoppio della rivoluzione greca, con la consapevolezza e la difesa della propria specificità linguistica e culturale: durante il Settecento nelle comunità dell’immigrazione ciò avvenne talvolta a scapito delle altre componenti linguistiche dell’Ortodossia, soggette in alcuni casi ad una progressiva acculturazione da parte della maggioranza grecofona. In generale, le fonti sembrano mostrare il carattere non lineare e talvolta contradditorio che contraddistinse i processi di costruzione comunitaria nei territori di frontiera tra l’Europa e l’Oriente ortodosso. A questo proposito, alcuni dei nodi e degli aspetti più interessanti del problema che si intende analizzare – di cui si tenterà di fornire qualche cenno nelle pagine seguenti – sono: a) l’esistenza di relazioni e di canali di comunicazione – commerciali ed ecclesiastici – tra gruppi grecofoni residenti in centri e Stati distanti fra loro e il loro significato nel processo di ridefinizione delle identità collettive da un orizzonte di senso confessionale ad un orizzonte di senso secolare; b) il mantenimento dei confini linguistici all’interno di una stessa comunità confessionale (di rito uniate, latino o scismatico) e le sue conseguenze sul piano sociale; c) l’attraversamento dei confini confessionali tra cattolicesimo e ortodossia e il suo effetto sulla percezione della “grecità” tra gli immigrati di prima e seconda generazione o di più antico insediamento. 1. Oltre i confini storici e culturali di Bisanzio: le comunità di rito greco nei territori della Cristianità romana nei documenti dell’Archivio storico di Propaganda Fide Nel 1923 Adrian Fortescue pubblicò una storia delle Chiese uniate25, in cui ricostruiva all’interno di un continuum storico e geografico l’eredità bizantina e post-bizantina nella penisola italiana: le comunità di rito greco d’Italia e delle isole adiacenti, da quelle meridionali fino a quelle di Venezia e Livorno, erano considerate come espressioni di un universo cattolico multiforme, per la varietà dei riti e delle lingue che esso storicamente aveva inglobato al suo interno. Secondo l’autore, le continue ondate migratorie di scismatici dal Levante e la progressiva assimilazione al rito latino che nel tempo occorse in alcune di esse avrebbero nel tempo modificato i confini di questo spazio di civilizzazione unitaria, rompendone l’unità interna e l’armonia con la Chiesa romana. Questo spazio che Fortescue dipinge come unitario – sebbene attraversato da conflitti e trasformazioni – era in realtà formato da zone interstiziali, in cui il confine tra cattolicesimo e cristianesimo orientale era spesso reso ambiguo da diffusi atteggiamenti dissimulatori. La storiografia più recente sull’immigrazione ortodossa, al contrario, ha assunto Sulla presenza russa nel Mediterraneo e nel Regno di Napoli alla fine del XVIII secolo, vedi: N. C. Pappas, Greeks in Russian military service in the late eighteenth and early nineteenth centuries, Thessaloniki, Institute for Balkan Studies, 1991; N. E. Saul, Russia and the Mediterranean, 1797-1807, Chicago, University of Chicago Press, 1970. 25 A. Fortescue, The uniate Eastern churches. The Byzantine rite in Italy, Sicily, Syria and Egypt, Adrian Fortescue, edited by George D. Smith, London [etc.], Burns, Oates & Washbourne, 1923. 6 24 l’esistenza del nesso ortodossia ed ellenismo alla base dei processi di costruzione comunitaria nei territori dell’immigrazione, finendo così per trascurare lo studio delle comunità italo-greche e italoalbanesi dell’Italia meridionale (con la sola eccezione dell’area culturale di origine bizantina, nota sotto il nome di Grecia salentina). Le lettere e le memorie inviate alla Congregazione di Propaganda Fide dai preti e dai missionari che operavano al servizio del dicastero romano nelle comunità di rito greco presenti nelle diocesi latine, possono aiutare a districare una realtà che rimane complessa oltre ogni tentativo di semplificazione. La rete dei chierici costruita da e attorno alla Sacra Congregazione si estendeva attraverso l’intero Mediterraneo centrale: Roma, e in particolare il Collegio greco di Sant’Atanasio, costituiva il centro di una vasta rete con ramificazioni a est nei domini veneti e ottomani26 e a nord-est nelle terre della monarchia asburgica27. Questa rete era formata non solo da giovani originari delle colonie italo-greche dell’Italia meridionale – da cui era prevalentemente frequentato il Collegio romano – ma numerosi erano anche i chierici provenienti dal Levante, dove molti avevano già ricevuto l’ordinazione da Vescovi ortodossi. Gli accoliti della Congregazione romana non sempre agivano come un corpo antagonista rispetto a quello dei scismatici, ma in molti casi si confondevano con essi all’interno delle singole comunità – nodi di una stessa rete che si estendeva attraverso i confini politici e confessionali. A questo proposito è esemplificativa la vicenda esistenziale di un giovane chierico greco, Andrea Vido, figlio di un nobile di Candia, che nel 1728 aveva chiesto di essere ordinato al sacerdozio a Roma per poter servire nella Chiesa greca di Malta. La sua ordinazione fu messa in discussione a causa di una serie di accuse mosse contro di lui da alcuni «greci invidiosi», e ricusate in alcune lettere e memorie apologetiche inviate da Vido alla Sacra Congregazione28 tra il 1729 e il 1730. In esse il chierico racconta che nel 1715, dopo la perdita dei genitori nella guerra di Morea, fu portato schiavo in Costantinopoli e da lì trasferito a Belgrado, dove nell’assedio di quella piazza da parte delle armi imperiali, fu con la forza circonciso affinché fosse considerato un turco. Subito dopo la vittoria delle forze austriache, abiurata la fede maomettana, fu tenuto per paggio dal Marchese Filippo Davia e in seguito mandato a Venezia da suo fratello, per recuperare presso i mercanti greci lì residenti alcuni effetti spettanti a suo padre. Dopo esser stato ordinato chierico, «per esser egli ben pratico di diversi linguaggi», in qualità d’interprete accompagnò a Vienna Monsignor Sofronio Crassà, Vescovo di Corone (Morea)29, ignorando – a suo dire – che questo fosse scismatico. Al suo ritorno trascorse tre anni a Roma – come attestato dai Vedi: C. A. Frazee, Catholics and Sultans: the Church and the Ottoman Empire, 1453-1923, London, Cambridge University Press,1983. 27 Confessional Identity in East–Central Europe, edited by M. Crăciun, O. Ghitta, G. Murdock, Aldershot, Ashgate, 2002. 28 ASPF, Acta, 6 ottobre 1729, cc. 438r-440r/21 agosto 1730, cc. 136r-140v; Scritture originali riferite nelle Congregazioni generali (SOCG), vol. 665, 6 ottobre 1729, cc. 373v-374r/ v. 668, 21 agosto 1730, cc. 79r-101v. 29 Dal 1703 al 1713 il prelato fu parroco in Lecce nella Chiesa greca di S. Nicolò; dopo essere tornato a Cefalonia, sua Patria, andò a Venezia, dove fu eletto dal Consiglio dei Dieci cappellano della Chiesa greca di S. Giorgio (ASPF, Acta, 1728, 6 luglio, cc. 277r-283r). 7 26 mercanti greci dimoranti in quella città originari come lui di Napoli di Romania – e in seguito si stabilì a Malta: qui sposò Cassandra Gadineo e ricevette «il titolo di custode e serviente» della Chiesa greca, «per poter servire con pienezza» la quale fece ritorno dopo qualche tempo a Roma con l’intento di farsi ordinare. Tra le insinuazioni mosse contro Vido per impedire che la sua richiesta trovasse accoglimento, la più grave era quella di simonia: secondo i suoi accusatori il suo reale obiettivo sarebbe stato la Chiesa greca di Napoli, da cui avrebbe cercato di mandar via con «l’esborso di 100 scudi» il parroco cattolico, Dionisio Cigala, accusato in quegli anni di «ateismo e altre scelleratezze» da una parte consistente della comunità greca napoletana. Secondo Cigala, infatti, il sopra citato Vescovo di Corone e i Governatori della Confraternita greca di Napoli – suoi «scismatici persecutori» – avevano concepito il piano di insediare il giovane Andrea Vido come cappellano in quella parrocchia30. Il confronto tra la fazione cattolica e quella scismatica avrebbe segnato la storia della comunità greca di Napoli per tutto il Settecento, raggiungendo la sua acme nel secolo successivo. A quest’epoca risalgono alcune memorie legali riguardanti la disputa sulla contestata ‛grecità’ dei regnicoli (i greci e albanesi uniati del Regno), che i ‘veri ’Greci orientali di Napoli si ostinavano a non voler accogliere all’interno della loro comunità. La Congregazione di Propaganda Fide si era sempre servita del clero uniate delle colonie meridionali come strumento di «disciplinamento» delle altre comunità pullulanti di «Greci orientali (scismatici); questo fu possibile perché, in contrasto con i vescovi diocesani, il dicastero romano non ebbe mai tra i suoi obiettivi la scomparsa del rito greco, ma anzi cercò di preservarne la lingua e le tradizioni liturgiche, rispettando anche l’autonomia amministrativa di cui godevano molte terre e casali italo-albanesi31: Nel tempo, tuttavia, l’originaria connotazione religiosa dello scontro sarebbe sfumata in un’esplicita rivendicazione – da parte dei Greci orientali – del carattere nazionale (in senso moderno) su cui, sin dalle sue origini (XVI secolo) si sarebbe fondata la Confraternita32. È significativo, tuttavia, che già nella metà del Settecento, dinanzi all’arrivo delle sempre più numerose reclute albanesi del Reggimento Real Macedone e dei sudditi di rito greco provenienti dalle province meridionali, la componente grecofona avesse cominciato a prendere provvedimenti in difesa della propria egemonia religiosa e culturale all’interno della Chiesa e della sua Confraternita: con una lettera ASPF, SOCG, vol. 661, 6 luglio 1728, cc. 69r-70r. In una minuta inviata nel 1726 dalla Congregazione de Vescovi e Regolari agli «Ord.ri d’Italia nelle cui diocesi vi sono Greci» si distingue tra gli Albanesi di rito greco di Calabria e Sicilia, che dopo «crudelissima et interrotta guerra sostenuta contro la potenza ottomana […] si sono ricoverati sotto il patrocinio della S.a Sede in luoghi abbadiali» e i «Greci orientali commoranti nelle Chiese di Napoli, Venezia, Livorno […] persone riche, o figli di Mercanti», affatto diversi dai primi «di Nazione, di lingua e di fede» (ASPF, Scritture riferite nei Congressi. Italogreci, v. 3, 1716-1740, Riflessioni sopra la lettera circolare per gli Ord.ri d’Italia nelle cui diocesi vi sono Greci, cc. 363r-366v). Gli Albanesi di rito greco dell’Italia meridionale, pur utilizzando la lingua greca nella liturgia, parlavano un dialetto albanese o italiano. 32 L’essenza antistorica di questa rivendicazione non sfuggì all’avvocato della fazione cattolica, Francesco Paolo Ruggiero, il quale nel suo Ragionamento intorno alla nazionalità della Chiesa dei Greci di Napoli (Napoli, 1870, pp. 105106), contestò il tentativo di questi ultimi di «andare in busca delle parole nazionali greci, e nazione greca che si rinvengono nei documenti esibiti» nel tentativo di fondare «sulle medesime l’edificio della nazionalità e dominio greco della Chiesa dei SS. Pietro e Paolo di Napoli, che va quanto fondarlo sull’arena». 8 30 31 del 1745 i Governatori presentarono alla collettività un’istanza affinché il cappellano continuasse ad essere «uno della loro Nazione ad esclusione degli altri, che sono di diversi paesi, e di altro linguaggio, benché del medesimo rito greco»33. Nel corso del XVIII secolo, infatti, la comunità greca di Napoli fu al centro di una vasta rete che collegava i territori veneti e ottomani del Levante a diversi luoghi dell’immigrazione ortodossa nel Mediterraneo (Corsica, Livorno, Trieste, Abruzzo, Puglia, Sicilia e Malta). Nella maggior parte dei casi, se si eccettuano le reclute albanesi e i pochissimi montenegrini e «schiavoni» di cui si trova traccia nei registri parrocchiali, i migranti erano originari delle aree grecofone del Levante. Coloro che frequentavano la Chiesa e la sua Confraternita non sempre erano scismatici, come nel caso dei Greci di Corsica, originari del Mani (Peloponneso): questi, come gli italo-albanesi del Regno, passarono progressivamente all’uniatismo o al rito latino, mantenendo però nel tempo, a differenza di quelli, l’uso della lingua greca volgare. Non pochi, inoltre, erano quelli che dichiaravano mendacemente di essere «figli della Chiesa romana», come Nicolò Plastarà, commerciante greco di Giannina (Epiro), che nel 1764 lasciò Napoli per Trieste, dove sarebbe diventato uno dei principali esponenti della fazione greca in conflitto con quella slava per il controllo della Confraternita. In questo “spazio di integrazione” le relazioni di natura religiosa si sovrapponevano a quelle di natura commerciale, come si è già visto nel caso di Andrea Vido. I Governatori della Confraternita napoletana nel 1683 si erano rivolti alla Congregazione romana per chiedere che la Chiesa greca di Barletta «si mantenghi nel rito greca con l’occasione, che vengono mercanti; et altre persone Greci in quelli luoghi, li quali passano in essa città di Napoli per loro affari, et l’hanno fatto istanza che l’avessero mandati in quella Chiesa di Barletta un Prete Greco, e perché quella stà occupata da/ detti preti latini»34: solo qualche decennio più tardi la capitale e il porto adriatico sarebbero diventati rispettivamente sedi di un console e di un vice-console della Nazione greca. Le reti della mobilità ortodossa – che questa ricerca si propone di individuare all’interno del Mediterraneo centrale – si estendevano anche oltre il mare nostrum. Alcune delle lettere inviate alla Congregazione di Propaganda Fide sono state redatte da Greci residenti in Inghilterra; da qui, dopo un lungo peregrinare che lo aveva condotto fino in India, il greco Teodoro Foresti giunse a Napoli dove nel 1748 nella parrocchia dei SS. Pietro e Paolo della nazione greca sposò Maria Coddarì, dell’isola di Antiparisi35. In generale, l’integrazione tra i luoghi dell’immigrazione ortodossa sembra essere determinata più dall’appartenenza linguistica che confessionale. Tale unità culturale, tuttavia, non deve essere intesa in termini identitari come uno spazio di omogeneità e coerenza: il grado di acculturazione all’ambiente ASPF, SOCG, vol. 682, 16 maggio 1735, cc. 187rv/190r. ASPF, Scritture riferite nei Congressi, Italo-greci, vol. 2, 1681-1715, 23 aprile 1683, c. 66rv. 35 Archivio diocesano di Napoli, Parrocchia dei SS. Pietro e Paolo dei Greci, Libro de’ Matrimoni, 1735-1777, 1 feb. 1748. 9 33 34 linguistico locale e la diversa sovranità – veneta e ottomana – a cui i migranti erano soggetti nei territori di provenienza introdussero, in alcuni casi, elementi di conflitto e di separazione. Appendice 1. Comunità di rito greco d’Italia e isole adiacenti, XVIII secolo (dall’Archivio storico di Propaganda Fide) Antichi Stati italiani e isole adiacenti Trieste (Litorale austriaco) Repubblica di Venezia: Venezia Repubblica di Genova: Genova Corsica** Gran Ducato di Toscana: Livorno Soana Stato Pontificio: Roma Ancona Senigallia Sardegna (dal 1720 possedimento sabaudo) Minorca*** Malta (Sotto il dominio dei Cavalieri di Malta dal 1530 al 1798) La Valletta Città Vittoriosa Regno di Napoli * Campania Molise Puglia Napoli Diocesi di Larino: Campomarin o Chieuti (oggi in Puglia) Barletta Terra d’Otranto: Castro e altri 14 paesi Lecce Calabria Basilicata Diocesi di Bisignano: S. Benedetto Ullano Diocesi di Cassano: Acquaformosa Civita Firmo S. Basilio Frascineto Porcile Plataci Lungro Diocesi di Rossano: S. Demetrio S. Giorgio S. Cosmo Macchia Baccarizzo Castroreggio Diocesi di Anglona: non specificato Sicilia Messina Diocesi di Palermo: Palermo Mezzojuso Diocesi di Monreale: Piana degli Albanesi Pianiano Diocesi di Girgenti (ora Agrigento): Palazzo Adriano Contessa Fonte: ASPF, Scritture riferite nei Congressi. Italo-greci, voll. 2-6; SOCG (voll. XVIII secolo); Acta (voll. XVIII secolo) * Vicereame austriaco insieme alla Sicilia dal 1720 al 1734; successivamente i due regni passarono sotto la corona borbonica ** Dopo la Parentesi di Pasquale Paoli (1755-1768), l’isola divenne dominio francese. *** Dal 1708 l’isola fu un protettorato britannico fino al 1756 quando fu assediata dai francesi; nel 1763 fu ristabilita la sovranità inglese fino al 1782, quando l’isola fu occupata dalle forze franco-spagnole. Nel 1798 gli inglesi riconquistarono Minorca 10 2. Mappa delle comunità di rito greco d’Italia e isole adiacenti menzionate nei documenti dell’Archivio storico di Propaganda Fide (XVIII secolo) 11 Indice provvisorio della tesi: INTRODUZIONE: 1. Per una storia regionale dell’Ortodossia: il Mediterraneo centrale nel XVIII secolo 1.1 Terre e comunità di frontiera tra Europa e Oriente ortodosso 2. Dalla pace di Passarowitz (1718) alle Guerre napoleoniche: un approccio di longue durée PARTE I: ERMENEUTICA E METODO STORICO 1. I topoi dell’identità: ellenismo e diaspora nella storiografia greca 2. Mobilità e relazioni intercomunitarie: definire lo spazio dell’immigrazione ortodossa attraverso lo studio delle reti 3. Le fonti: 3.1 La Congregazione di Propaganda Fide 3.2 Registri parrocchiali e altre fonti ecclesiastiche 3.3 Atti notarili e documenti commerciali PARTE II: TOPONIMIE MEDITERRANEE 1. Imperi e Sovranità politiche 2. Universalis ecclesiae 2.1 I confini storici e culturali del “Commonwealth ortodosso” 2.2 Il Papato: mantenimento dei confini e controllo confessionale all’interno dell’oikoumene cattolico 3. Le comunità di rito greco nei territori della Cristianità romana PARTE III: GLI UOMINI, LE RETI 1. La longa manus di Propaganda Fide: missionari e clerici vagantes tra le due sponde dell’Adriatico 2. I mercanti e le loro reti 12 PARTE IV: LE COMUNITÀ 1. Comunità e società 1. 1 Porti e città mediterranee 1. 2 Casali e centri rurali 2. Modelli di organizzazione comunitaria: 2.1 Erraticità e autarchia 2.2 Sedentarietà e centralizzazione amministrativa 2.2.1 Le istituzioni comunitarie: la Chiesa e la Confraternita 3. Le traiettorie dell’identità: incontri, dicotomie e sovrapposizioni 3.1 Attraverso i confini politici 3.1.1 Sudditi veneti e ottomani: identità in conflitto? 3.1.2 Spazi di integrazione: la comunità ortodossa di Napoli e le sue relazioni con i luoghi dell’immigrazione greca nel Mediterraneo occidentale 3.2 Attraverso i confini confessionali 3.2.1 Italo-greci e Orientali 3.2.2 «Benché fossero talvolta de’ scismatici»: obbedienza e dissimulazione tra i migranti di rito greco nei territori della Cristianità occidentale 3.3 Attraverso i confini linguistici e culturali 13