F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
F. D'ALESSI
Letteratura latina
Parte III,2: Il periodo imperiale
L'età dei Flavi e di Adriano
Agosto 2002
F. D’Alessi © 2002
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Quadro storico: l'età dei Flavi
RIASSUNTO ANNI dal 69 al 96 d.C. PERIODO DEI FLAVI (Vespasiano, Tito, Domiziano) 69-96 d.C.
* L'IMPERO DI VESPASIANO - LA RIVOLUZIONE GALLICA * IL GOVERNO DI VESPASIANOAMMINISTRAZIONE.* LA GUERRA GIUDAICA - * TITO STERMINA GLI EBREI* MORTE DI VESPASIANO
- TITO IMPERATORE * L'ERUZIONE DEL VESUVIO - * MORTE DI TITO* GOVERNO DI DOMIZIANO - *
AGRICOLA IN BRITANNIA * L'UCCISIONE DI DOMIZIANO
GIULIO CIVILE E LA RIVOLTA DEI BATAVI E DEI GALLI
Morto a Roma VITELLIO l'imperatore nel tragico modo che abbiamo letto nelle pagine precedenti , della
causa vitelliana rimase unico sostenitore il fratello. Tornando a Roma dalla Campania dove era stato
mandato per domarvi la rivolta, incontrò a Boville un corpo di antoniani coi quali ebbe uno scontro in
un'aspra battaglia. Le sorti gli furono avverse: egli perì nel combattimento, i suoi soldati, disarmati e legati
furono condotti a Boma, dove entrarono fra gl'insulti del popolino.
Il 21 dicembre il Senato, anche se non era presente, conferì a Vespasiano tutti i poteri, compreso il
legislativo, lo creò console insieme col figlio maggiore Tito, ad Antonio Primo diede le insegne consolari, e la
pretura e l'imperio proconsolare a Domiziano che rimase a Roma a governare come rappresentante del
padre.
Ma il suo fu più un governo nominale che di fatto: Roma era in mano di ANTONIO PRIMO, che permise alle
soldatesche di saccheggiare molte case di ricchi sotto il pretesto di ricercare e punire i partigiani di Vitellio, e
si impadronì di tutto ciò che di meglio si trovava nel palazzo dei Cesari. Il disordine in Roma durò fino
all'arrivo di Licinio Muciano, che nella Mesia aveva dovuto fermarsi per ricacciare una invasione di Sarmati.
Giunto a Roma, il luogotenente di Vespasiano ricevette gli onori del trionfo e fece cessare i saccheggi.
Rimessò l'ordine, fece arrestare e poi uccidere Calpurnio Galeriano, figlio di Pisone Liciniano, fece mettere a
morte il figlio di Vitellio e il liberto Asiatico, e temendo le troppe simpatie che si era guadagnate Antonio
Primo, allontanò dalla capitale tutte le milizie che gli erano affezionate, indi ricostituì le coorti pretorie con i
soldati di questo corpo che Vitellio aveva licenziatim con elementi tratti dalle sue legioni d'Oriente.
Finalmente l'Italia respirava e tacevano le armi, ma queste non avevano tregua in due punti opposti e lontani
dell'impero, nelle province germaniche e nella Giudea.
Quando Vitellio partì dalla regione del Reno per contrastare l'impero ad Otone, aveva lasciato a guardia del
confine truppe arruolate fra le popolazioni del paese e specialmente fra i Batavi, ramo della tribù dei Chatti
che stanziavano nella parte meridionale degli odierni Paesi Bassi. Appena avuto l'impero, Vitellio, alle prime
notizie giuntegli dall'Oriente aveva ordinato ai Batavi nuove leve di truppe con le quali sperava di poter
fronteggiare Vespasiano. Ma a sconvolgere i disegni dell' imperatore era sorto un uomo di grande tenacia e
di smodata ambizione.
Era questi GIULIO CIVILE. Nato da principesca famiglia Batava, costui era stato condotto in prigione a
Roma per ordine di Nerone che ne aveva fatto uccidere il fratello; rimandato libero da Galba era a stento in
Gallia scampato dalle mani dei legionari che volevano ucciderlo credendolo complice dell'assassinio di
Fonteio Capitone. Spinto dall'odio che nutriva contro le legioni romane della Germania, aveva aderito al
movimento di Antonio Primo ed era riuscito a sollevare in favore di Vespasiano le popolazioni germaniche
del Basso Reno, tra le quali i Canninefati, che, proclamato re Brinnone, si erano alleati coi Frisii e insieme
avevano assalito il campo di due coorti romane. In breve la rivolta s'era propagata tra le schiere ausiliarie
germaniche dell'esercito romano e anche della flotta presente sul Reno.
A ridurre all'obbedienza i ribelli fu Ordeonio Fiacco, comandante della Germania inferiore; aveva mandato
Muoio Luperco con due legioni romane, un forte corpo di cavalleria batavica e numerose milizie ausiliarie,
ma queste, giunte di faccia al nemico, erano fuggite, la cavalleria era passata dalla parte dei ribelli e le due
legioni a stento si erano salvate rifugiandosi nel campo di Castra Vetere (Santen).
I ribelli avevano posto l'assedio al campo e intanto il loro numero veniva ingrossato dalle otto coorti di Batavi,
rimandate indietro da Vitellio dopo la battaglia di Cremona, e dalle tribù dei Bructeri e dei Tencteri. Giulio
Civile aveva invitato i legionari assediati a prestar giuramento di fedeltà a Vespasiano, ma essi si erano
rifiutati ed avevano valorosamente respinto i vigorosi assalti degl'insorti.
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Malgrado il propagarsi della rivolta non tutto era perduto per i Romani e Ordeonio avrebbe potuto con
probabilità di successo marciare contro i ribelli e liberare gli assediati di Castra Vetere se le truppe al suo
comando fossero rimaste disciplinate. Ma queste, che erano rimaste fedeli a Vitellio, erano in aperto dissidio
con parecchi dei loro capi partigiani di Vespasiano. Da qui sospetti e malumori che avevano esautorato
Ordeonio, il quale alla fine era stato sostituito nel comando, per volere dei soldati, da Dellio Vocula.
Giunta la notizia della morte di Vitellio, Vocula aveva fatto giurare ai legionari fedeltà a Vespasiano ed aveva
invitato Giulio Civile a deporre le armi. Ma questi fin dai primi successi aveva pensato di volgere la situazione
in favor suo ed aveva carezzato l'idea di un regno indipendente e alla richiesta di Ordeonio aveva risposto
che lui combatteva per la libertà del suo paese e della sua gente.
VOCULA , malgrado la ribellione delle truppe ausiliarie galliche, aveva iniziato l'offensiva, era riuscito a
battere più di una volta gli insorti ed aveva potuto prender contatto con Castra Vetere. Ma ritorni offensivi del
nemico e il malcontento delle truppe che si ostinavano a non credere alla morte di Vitellio avevano fatto
peggiorare nuovamente la situazione. Il malumore era giunto a tal punto che una notte i soldati, sorpreso nel
letto Ordeonio Fiacco, lo avevano ucciso ed altrettanto avrebbero fatto di Dellio Vocula se questi, fiutato il
pericolo, non fosse fuggito. Più tardi una parte delle truppe era tornata all'obbedienza del suo capo, ma
ormai la ribellione si era estesa nella Gallia, capeggiata dai nobili della Belgica: Giulio Classico e Giulio
Tutore del paese dei Treviri, Giulio Sabino dei Lingoni. Classico, fatto trucidare Vocula, aveva proclamata la
indipendenza" della Gallia, facendo prestare il giuramento alle truppe di Dellio; stesso giuramento erano stati
costretti a fare i presidii di Colonia Agrippina e di Magontiacum. Solo le due legioni di Castra Votere
resistevano ancora, ma erano ormai agli estremi e, mangiati i cavalli, ora si cibavano di radici. Costretti infine
dalla fame, questi valorosi si erano arresi e i ribelli, violando la promessa fatta di conceder loro salva la vita,
li avevano trucidati tutti.
La resa di Castra Voterà aveva guadagnato proseliti alla ribellione, Tungri e Nervii si erano uniti a Civile, e
Giulio Sabino con i suoi Lingoni aveva passato la Saóne per ribellare i Sequani, rimasti fedeli a Soma, ma,
sconfitto, aveva dovuto salvarsi con la fuga.
A questo punto erano le cose nella Gallia e nelle regioni renane quando LICINIO MUCIANO giunse a Roma.
Ridato l'ordine alla città, egli pensò per prima cosa a domare le insurrezioni dei popoli del nord. Chiamò sul
teatro della guerra una legione della Britannia, due altre ve ne mandò dalla Spagna e quattro dall'Italia. Tutte
queste forze erano poste sotto il comando di Petilio Cenale ed Annio Gallo.
Le legioni romane ai scontrarono coi Treviri sulle rive della Nahe e li sconfissero; altra sconfitta i Treviri la
ebbero alla Mosella e il giorno dopo la città di Trer cadde in mano delle truppe di Petilio.
I diversi popoli ribelli, fra i quali dopo i primi successi sorgeranno dissidi per motivi di egemonia,
all'avvicinarsi del nemico avevano abbandonati le loro liti ed ora s'apprestavano a vendicare le due sconfitte.
Civile, Classico e Tutore, alla testa delle loro schiere assalirono improvvisamente l'esercito di Ceriale e
riuscirono in un primo tempo a sbaragliarlo, ma Petilio potè riordinare le sue truppe e lanciarle all'assalto
così vigorosamente che gli eserciti collegati subirono una disfatta sanguinosa.
Colonia cadde in potere dei Romani e la popolazione fece orribile massacro dei Germani che vi si trovavano;
Tungri e Nervii si sottomisero, e questi ultimi presero le armi contro i Canninefati. Furono però battuti, mentre
un altro esito infelice fu l'azione della flotta romana contro i sudditi del re Brinnone. Anche presso Novesio,
alcuni squadroni di cavalieri romani riportarono un insuccesso contro le truppe di Classico.
Ma non erano queste lievi vittorie che potevano rialzare le sorti dei ribelli. Le quali furono decise nelle
vicinanze di Castra Vetere. Qui si era accampato Giulio Civile con il suo esercito e per rendere più forte la
posizione aveva rotta la diga di Druso, poi aveva assalito da due parti l'accampamento. I legionari respinsero
l'attacco, ma gli ausiliari furono battuti ed avrebbero compromessa la giornata se in loro aiuto non fosse
prontamente accorso con la cavalleria Petilio Cenale, che, caricato risolutamente il nemico, lo ricacciò al di là
del fiume.
Civile, inseguito dai vincitori, a stento riuscì a salvarsi nuotando.
Dopo questa sconfitta Giulio Civile comprese che non era più possibile continuare la lotta con speranza' di
successo; si affrettò quindi a intavolare trattative coi Romani, e Petilio Ceriale fu ben lieto di concedergli la
pace, con la quale i Batavi ritornavano rispetto a Roma nelle condizioni di prima, cioè di alleati; ma anche
con l'obbligo di fornire all'impero un certo numero di soldati.
ASSEDIO E DISTRUZIONE DI GERUSALEMME
La guerra giudaica fu ripresa quando ad Alessandria Vespasiano seppe che Vitellio era stato sconfitto ed
ucciso.
Gerusalemme era in balia delle discordie intestine. Tre uomini si contendevano il potere della città, la quale
era divisa in tre fazioni: Simeone figlio di Giora, Giovanni di Giscala, ed Eleazar. Quest'ultimo con i suoi
partigiani occupava il Tempio, il secondo era accampato presso la cinta esterna e ai passi del monte Moriah,
Simeone era padrone della città alta. Ben presto Eleazar fu eliminato. Ricorrendo la Pasqua del 70 egli aprì
ai fedeli le porte del Tempio, ma insieme con essi si introdussero alcuni seguaci di Giovanni i quali diedero
mano alle armi e dopo una lotta sanguinosa si impadronirono del tempio uccidendo Eleazar.
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Stavano così le cose in Gerusalemme quando Tito ricevette dal padre Vespasiano l'ordine di marciare sulla
capitale della Palestina. Egli mosse da Cesarea con cinque legioni, alcune coorti dei presidi dell'Egitto e
numerose schiere di ausiliari. Era l'aprile del 70 e per la ricorrenza della Pasqua molta gente era convenuta
a Gerusalemme da Ogni parte della regione.
Tito credeva di trarre profitto dalle discordie intestine che travagliavano la città, ma all'avvicinarsi del nemico,
le due fazioni si erano messe d'accordo e la conquista di Gerusalemme, anche per il suo sistema di
fortificazioni che si stendeva in un cerchio di una dozzina di chilometri, presentava serie difficoltà.
Il figlio di Vespasiano cinse d'assedio la città e fatti tagliare quasi tutti gli alberi del territorio circostante
ordinò che si costruissero numerose macchine da guerra, poi cominciarono gli assalti.
La prima ad esser assalita fu la città bassa, chiamata Bezetha, cinta da un poderoso muro fornito di settanta
torri. Non era un' impresa facile; le macchine, quotidianamente ostacolate dagli ostinati difensori, dovettero
lavorare circa quaranta giorni per praticare una breccia nella cinta e nove giorni e nove notti i Romani furono
costretti a combattere lungo le vie e nelle case per conquistare il quartiere della Bezetha.
Presa la città bassa, i Romani rivolsero i loro sforzi contro il quartiere di Acra che sorgeva sopra un colle
munitissimo e che gli Ebrei difendevano con accanimento. Anche qui Tito dovette martellare senza tregua
con le macchine le mura e solo dopo otto giorni e sanguinosissime mischie gli fu possibile impadronirsi del
quartiere.
Rimaneva il grande colle sulla cui cima sorgeva il Tempio, custodito dalla fortezza di Sion e dalle torri Moriah
e Antonia. Tito cercò di risparmiare i suoi soldati prendendo per fame gli assediati e nello stesso tempo
ordinò che si costruisse un bastione che rendesse più facile la conquista della torre Antonia. Tre settimane
furono impiegate in questo lavoro e, poiché gli Ebrei, malgrado la fame e le epidemie che tormentavano la
città, rifiutavano di arrendersi, nei primi di luglio fu sferrato l'assalto che che fece cadere la torre nelle mani
dei Romani. Questi iniziarono le operazioni contro il Tempio e, decisi com'erano ad espugnarlo, appiccarono
il fuoco agli edifici vicini. L'incendio sviluppatosi si propagò così al Tempio e questo, quasi completamente
distrutto, cadde l'8 di luglio nelle mani degli assedianti.
I difensori si ridussero nella fortezza di Sion e vi resistettero circa due mesi. Sion fu poi espugnata nei primi
giorni di settembre. La città venne ridotta ad un enorme cumulo di rovine.
Si narra - ma le cifre sono certamente molto esagerate- che l'assedio costò agli Ebrei mezzo milione di morti
e centomila prigionieri. Di questi quelli che non avevano superato il diciassettesimo anno di età furono
venduti come schiavi, gli altri vennero inviati in Egitto a lavorare nelle miniere o mandati nelle varie città dell'
impero per gli spettacoli dei gladiatorii o per le lotte contro le fiere.
Simeone, Giovanni e i più ragguardevoli cittadini furono serbati per farli sfilare nel trionfo, dopo il quale il
primo fu messo a morte e il secondo gettato in carcere.
La presa di Gerusalemme segnò la fine del regno giudaico. Al re Erode Agrippa II vennero lasciati i suoi
possedimenti che, alla sua morte, furono annessi alla Siria. La Giudea fu eretta a provincia e ad Emmaus e
a Cesarea vennero dedotte due colonie di veterani.
A perpetuare il ricordo della vittoria sugli Ebrei, sul Velia, a Roma, fu innalzato un arco marmoreo e nei
bassorilievi vennero raffigurati il trionfo di Tito, le spoglie conquistate e il generale coronato dalla dea Vittoria.
Mentre i tesori del tempio ebraico sottratti alle fiamme vennero assegnate al tempio di Giove Capitolino che
era in via di ricostruzione.
La guerra giudaica e quella contro i Galli e i Germani furono le principali che si combatterono durante
l'impero di Vespasiano, ma non le sole. Un tentativo di rivolta in Africa fu stroncato sul nascere, una
invasione di Daci nella regione alla destra del Danubio venne respinta e, infine, una ribellione provocata nel
Ponto da un liberto del re Polemone di nome Aniceto fu domata dal generale Virdio Gemino e il ribelle, che
si era rifugiato nella Colchide, venne consegnato ai Romani.
GOVERNO DI VESPASIANO
Mentre Tito assediava Gerusalemme (maggio del 70) Vespasiano si imbarcava ad Alessandria. Giunse a
Brindisi il 21 giugno dopo aver toccato Rodi e la Grecia, dove vi trovò Licinio Muciano e i più influenti
senatori recatisi là a riceverlo. Entrò a Roma fra grandi dimostrazioni di gioia, veramente sentita, salvo i
pochi malcontenti, da tutta la cittadinanza, che aveva sete di pace e bisogno di un buon imperatore e sapeva
che finalmente aveva trovato l'una e l'altro.
E imperatore davvero degno di lode fu questo discendente di famiglia plebea, che si vantava della sua
nascita oscura e si burlava di coloro che per adularlo volevano far risalire le sue origini ad Ercole. Egli
doveva tutto alle sue azioni e alla sua carriera di soldato e alla rigidità e disciplina militare improntò sempre i
suoi atti di governo e della sua vita privata.
Spietato in guerra contro i nemici, fu generoso con gli avversari politici: diede una buona dote alla
figlia di Vitellio, dimenticò le ingiurie passate e sopportò anche quelle successive provenienti da uomini
stupidi e arroganti. Creò perfino console Mezio Pompesiano che non gli era rispettoso
e si credeva lui destinato all'impero perchè aveva il seguito di un certo popolino.
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Fu invece inflessibile contro coloro che avversando lui potevano riuscire di pericolo alla pace dell'impero.
Elvidio Prisco, nipote di Trasea Peto, di sentimenti repubblicani, che da pretore ometteva nei suoi editti il
nome dell' imperatore, fu più di una volta diffidato e richiamato, poi mandato in esilio
e infine messo a morte; ma anche lui Vespasiano lo avrebbe volentieri salvato se avesse fatto a tempo a
intervenire.
Eprio Marcello e Alieno Cecina, che tentarono di mettere i pretoriani contro l'imperatore, vennero uccisi e la
medesima sorte ebbero Giulio Sabino e la sua famiglia. Sabino si spacciava per figlio di un bastardo di
Giulio Cesare. Dopo la sconfitta e la sottomissione dei Lingoni si era rifugiato in una caverna dove visse per
nove anni insieme con la fedele moglie Eponina che lo rese padre di due figli. Scoperti, furono tutti e quattro
condotti a Roma poi uccisi.
Al pari di Augusto, ma con risultato negativo, cercò di correggere il lusso e il libertinaggio: a un giovane che
per ringraziarlo di avergli concessa una prefettura si presentò a lui tutto profumato, Vespasiano disse: "Avrei
preferito che tu puzzassi d'aglio" e gli revocò la concessione
Sebbene dentro il Senato come nel patriziato esistesse una corrente che non gli favorevole, Vespasiano sia
all'uno che all'altro rivolse non poche cure. Li rinsanguò con, 11
mèmbri della nobiltà provinciale e purgò l'ordine senatoriale e l'equestre cacciandone gli elementi più
indegni.
Non molti ma abbastanza saggi furono i suoi provvedimenti legislativi e sociali. Fece decretare che fosse
considerata anch'essa schiava la donna che si univa in matrimonio con uno schiavo di altri e che i crediti fatti
dagli usurai non potessero essere riscossi presso i figli in vita e neppure dopo la morte del padre.
Essendosi enormemente accresciuto il numero dei processi, Vespasiano elesse a sorte giudici che in via
straordinaria giudicassero le cause portate davanti ai centumviri. Le entrate dei senatori furono completate;
ai consolari furono dati cinquantamila sesterzi ogni anno; vennero destinati fondi per la tricostruzione di città
distrutte dai terremoti e dagli incendi; furono assegnati diecimila sesterzi annui a coloro che insegnavano
lettere latine e greche; furono dati stipendi e doni ai poeti e agli artisti di valore. E neppure gli attori furono
dimenticati: Apollinare, famoso tragico, ricevette quarantamila sesterzi, ventimila ne ricevettero Terpico e
Diodoro, da dieci a quattromila parecchi altri.
Non lievi danni Roma aveva sofferti dalle vicende politiche: Vespasiano permise che chiunque potesse
fabbricare negli spazi vuoti quando gli stessi proprietari tardassero edificare; fece ricostruire il tempio di
Giove Capitolino; fece rifare tremila tavole di bronzo distrutte dall' incendio, nelle quali erano documenti
antichissimi e di grande importanza (senatoconsulti, plebisciti, trattati d'alleanza e privilegi); innalzò il tempio
della Pace presso il Foro, riparò quello di Claudio sul Celio cominciato da Agrippina e quasi distrutto da
Nerone, e nel centro della città tra l'Esquilino e il Palatino dove era il laghetto della Casa Aurea di Nerone,
fece iniziare la costruzione, che fu compiuta dopo la sua morte: il grandioso anfiteatro (Colosseo) che
doveva esser capace di ottantasettemila spettatori.
Per tutte queste opere occorrevano molti denari e le finanze invece erano in grave i dissesto.
SVETONIO scrive che Vespasiano, salendo all' impero, dicesse che lo stato aveva bisogno di quarantamila
milioni di sesterzi. Per trovar soldi e restaurare l'erario Vespasiano ristabilì le imposte abolite da Galba, altre
e più gravi ne aggiunse, tra cui quella multa che colpiva coloro che sporcavano fuori dei contenitori di rifiuti
posti agli angoli delle vie, tolse l'autonomia a Bisanzio e alle isole di Rodi e Samo, fece una revisione dei
beni demaniali e delle terre dei municipi, ridusse le feste, le pubbliche distribuzioni e le spese della casa
imperiale. Pur di raggiungere il suo scopo non badò ai mezzi, che non sempre furono corretti. Secondo
SVETONIO, egli elevava "alle cariche più alte i più rapaci procuratori per poi condannarli quando si fossero
arricchiti"..."... che si serviva di questi come di spugne: quando erano asciutti li inzuppava, quando erano
bagnati li spremeva".
Ma per merito di Vespasiano le finanze dello Stato furono rimesse in equilibrio.
Oltre che all'erario Vespasiano rivolse attentissime cure all'esercito. Per non sottrarre soldati alle legioni egli
ricostituì il corpo dei pretoriani con elementi arruolati in Italia; le coorti pretorie furono ridotte a nove, a
quattro quelle delle guardie urbane e perché i pretoriani non diventassero strumento pericoloso nelle mani
di comandanti avidi e ambiziosi mise a capo di essi il figlio Tito.
Il numero delle legioni che sotto Augusto era di venticinque fu portato a trenta e radicali mutamenti si ebbero
nell'esercito del Reno che durante la ribellione di Vindice aveva dato prova di indisciplina e di infedeltà:
alcune legioni furono punite altre congedate o soppresse; tre nuove ne vennero formate e di queste due
presero il nome dell'imperatore, la IV Flavia Felice e la XIV Flavia Finna.
Con la ricostituzione dell'esercito Vespasiano curò anche la difesa della frontiera del Danubio, rafforzandone
la flottiglia e creando due campi stabili, uno a Vindobona, l'altro a Carnuntum, ciascuno dei quali presidiò con
una legione.
Anche le province vennero riordinate. La Cilicia fu staccata dalla Siria ed eretta a provincia; una sola
provincia formarono la Licia e la Panfilia, la Siria fu ingrandita con la Commagene e le città di Emesa ed
Aretusa, alla Cappadocia furono unite la Galazia, l'Armenia minore, l'Isauria e la Licaonia; l'Acaia, cui
Nerone aveva concessa la libertà, divenne provincia senatoriale e la Sardegna e la Corsica che erano sotto
l'amministrazione del Senato passarono alla dipendenza dell' imperatore.
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Nel 71 Tito fece ritorno a Roma e celebrò con il padre il trionfo.
Nel 79, trovandosi in Campania, Vespasiano fu colto da una malattia intestinale e si affrettò a tornare a
Roma, dove morì il 23 giugno.
Si dice che, sentendosi alla fine, egli si alzasse dal letto ed esclamasse che un imperatore doveva morire in
piedi.
Aveva regnato dieci anni ed era da poco più di un mese entrato nel settantesimo anno di età.
L' IMPERO DI TITO
A Vespasiano successe il figlio Tito che il padre stesso aveva designato.
TITO Era nato il 29 dicembre del 41, l'anno in cui era morto Caligola, ed era stato educato con Britannico cui
lo legava un'amicizia profonda.
"Aveva -il ritratto è di SVETONIO- un bell'aspetto, pieno di dignità e di grazia; una forza straordinaria
sebbene non fosse molto alto e avesse il ventre grosso; una grande inclinazione a tutte le arti della guerra e
della pace. Una memoria meravigliosa, molta abilità nel maneggio delle armi e dei cavalli, una conoscenza
profonda delle lettere greche e latine, ed una sorprendente facilità nello scrivere poesie in queste lingue e
nell'improvvisare. Si intendeva anche dl musica; cantava e suonava con leggiadria e perizia".
Tribuno militare in Britannia e in Germania, si era acquistata fama di valoroso e| Prudente guerriero; per
breve tempo e con successo si era dedicato al Foro; aveva ricoperto la carica di questore; nominato
comandante di una legione, era stato mandato in Giudea dove aveva espugnato Tarichea e Gamala e
tornato a Roma dopo la guerra giudaica, in cui aveva dato prove magnifiche di valore e di tenacia, era stato
sempre al fianco del padre nel governo dell' impero. Collega del padre era stato infatti nella censura, nella
potestà tribunizia e in sette consolati e in nome di Vespasiano era solito dettare lettere e firmare i decreti.
Ma Tito saliva al potere preceduto da una cattiva fama. Lo si credeva avido di ricchezze perché, imitando il
padre, cercava con tutti i mezzi di restaurare l'erario; crudele perché in guerra non risparmiava i nemici e, in
pace, era spietato con gli avversari di Vespasiano (era stato lui a fare uccidere Cecina); dissoluto perché fino
a tarda ora della notte era avvezzo a gozzovigliare con viziosi compagni; lussurioso perché si circondava di
eunuchi e conviveva con la regina Berenice, sorella di Erode Agrippa.|
Salito all' impero, Tito volle smentire la sua fama e tanto vi riuscì che fu chiamato amore e delizia del genere
umano. Tenne lontani da sé i mimi, i ballerini e gli antichi compagni di crapula, rifiutò i doni com'era
consuetudine si facevano agli imperatori, sebbene innamorato pazzo di Berenice la rimandò in Oriente,
beneficò con le proprie sostanze quanti si rivolgevano a lui e non rimandò mai indietro nessuno senza dargli
una speranza. Soleva dire: "Non è giusto che alcuno vada via scontento dopo una udienza avuta con un
principe" e ricordandosi, una volta nel porsi a tavola di non aver beneficiato nessuno quel giorno, esclamò:
"Ecco una giornata perduta!".
Si acquistò molto il favore del popolo con le elargizioni, gli spettacoli e i suoi modi democratici. Nelle terme
da lui costruite ammise la plebe anche quando vi era lui a prendere il bagno; diede spettacoli gladiatori e
naumachie, terminò la costruzione del Colosseo e lo inaugurò con grandiose feste che durarono cento
giorni: in un solo giorno fece combattere nell'arena cinquemila belve.
Disarmò la diffidenza del Senato abolendo i processi di lesa maestà, ordinando punizioni per i delatori,
confermando le cariche e i privilegi e prescrivendo che in una medesima accusa non fosse lecito valersi di
leggi diverse e che, trascorso un certo numero di anni, non si indagasse più sulla condotta passata dei
defunti. Accettò il pontificato massimo dicendo di voler tenere pulite le mani; e mantenne la parola sebbene
non gli mancassero le occasioni di punire giustamente.
Due patrizi avevano congiurato contro di lui: scoperti e denunciati Vespasiano li rimproverò soltanto dicendo
loro che l'impero è un dono della sorte, poi li invitò a pranzo, li fece sedere ai suoi fianchi in uno spettacolo di
gladiatori e per mostrare che non temeva di essere ucciso mise nelle loro mani due spade perché le
esaminassero; mandò inoltre un corriere alla madre di uno di essi per rassicurarla che il figlio non aveva
nulla da temere.
Suo fratello Domiziano, avido di regnare, più volte tentò di mettergli contro le truppe: Tito non lo punì mai, lo
trattò sempre affettuosamente e lo considerò come collega e suo successore.
Il breve impero di Tito fu funestato da gravissime calamità che contribuirono ad accrescere la fama di
principe buono e generoso che aveva.
TERREMOTO E ERUZIONE DEL VESUVIO
Il 6 febbraio del 63 un terremoto aveva scosso la Campania producendo gravi danni alla città di Pompei; un
altro terremoto nel 76, aveva colpito Ercolano. Erano questi i lontani annunzi del disastro che nel 79 doveva
funestare la regione distruggendo tre città.
II 23 agosto di quell'anno, precisamente due mesi dopo l'avvento di Tito all'im pero, una nube, enorme,
simile ad un immenso pino, squarciata da frequenti lampi; sormontò improvvisamente la sommità del
Vesuvio e l'aria echeggiò di cupi boati, il naturalista Plinio, comandante della flotta, che si trovava a Misene,
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volendo osservare da vicino il fenomeno, ordinò che gli si preparasse un battello, e stava per lasciare la
casa quando gli giunsero richieste di soccorsi. Plinio fece mettere in mare le quadriremi e, imbarcatesi,
accorse verso i luoghi minacciati dall'eruzione mentre fuggivano spaventati gli abitanti. Sulle navi cadeva
una pioggia rovente di cenere e di lapilli; Plinio approdò a Stabia e di là volle ammirare il tremendo
spettacolo; dal cratere del vulcano la lava colava a valle come un immane torrente che tutto distruggeva al
suo passaggio, sanguigno era il ciclo contro cui s'avventavano le infuocate materie violentemente eruttate
mentre la terra tremava. L'aria era irrespirabile a causa dei gas venefici che si sprigionavano dai lapilli del
Vesuvio. Avvicinandosi il pericolo, Plinio tentò di porsi in salvo con la fuga, ma il mare era tempestoso e
l'imbarcazione sulla quale il naturalista era salito fu costretta a ritornare alla riva dove egli morì asfissiato.
Con lui periva Stabia e venivano sepolte Ercolano e Pompei; la prima dalla lava che scendeva a valle dopo
giorni e giorni di pioggia, la seconda da un alto strato di cenere.
Saputa la notizia dell'immane disastro, Tito mandò dei consolari in Campania con viveri e denari e per
soccorrere i danneggiati ordinò che a questi venissero distribuite le sostanze dei cittadini senza eredi periti
nell'eruzione del Vesuvio.
L'anno dopo (80) un terribile incendio scoppiò a Roma distruggendo i teatri di Pompeo e di Balbo, la
Biblioteca di Augusto, le Terme di Agrippa, e sei templi, fra cui il Pantheon e quello di Giove Capitolino di
recente costruzione:
Dopo l'incendio, una peste, che aveva fatta la sua comparsa sotto Vespasiano, tornò ad infuriare in tutta
l'Italia e Tito si prodigò per venire in aiuto dei colpiti, mettendo a disposizione dell'infelice penisola la cassa
dello stato e i suoi beni privati.
Nella villa di Rieti, dove era morto Vespasiano, il 13 settembre dell'81, dopo due anni, due mesi e venti giorni
di regno, nel quarantunesimo anno di età, moriva Tito.
L'annunzio della sua morte piombò nel più grave lutto l'impero e i senatori, accorsi nella Curia prima di
essere convocati, resero al morto imperatore tanti elogi e ringraziamenti quanti non ne ne aveva mai ricevuti
in vita.
DOMIZIANO
Non era ancora, spirato Tito che il fratello Domiziano correva a farsi proclamare imperatore. Questo fatto e
l'odio che il secondogenito di Vespasiano nutriva per il fratello fecero sì che qualche storico attribuisse a
Domiziano la causa della morte di Tito. Ma su ciò non esistono prove.
Sebbene precocemente calvo e di vista debole, Domiziano era un bell'uomo, alto come persona e
rubicondo di viso, ma pare che non riuscisse simpatico. La sua giovinezza era trascorsa tra le dissolutezze
e queste non cessarono. Smoderatamente libidinoso tolse la moglie ad Elio Lamia, disonorò la nipote Giulia,
figlia di Tito e fu causa della sua morte; poi tornò a convivere con la moglie Domizia dopo averla prima
ripudiata di adulterio.
Più grande della libidine era la sua ambizione: dopo la morte di Vitellio si era fatto salutare Cesare; nel 71
aveva voluto prender parte al trionfo del padre e del fratello seguendoli sopra un cavallo bianco; invidioso
della gloria militare di Tito, aveva tentato di acquistarsi fama sollecitando il comando per una spedizione in
Oriente, sebbene non fosse pratico di guerre. Smanioso di regnare, aveva dopo la morte del padre, pensato
di guadagnarsi l'animo dei soldati con l'offrire il doppio della solita gratificazione.
Tenuto a freno prima da Vespasiano poi da Tito, negli ozi forzati si era dato agli studi, ma non era riuscito
che a far pochi e meschini versi. In seguito volle procurarsi fama per mezzo delle cortigiane lodi di poeti e
protesse Stazio e Marziale che di lui fecero bugiardi elogi, e volle rendersi benemerito della coltura facendo
ricostruire con ingenti spese le biblioteche distrutte dagli incendi, facendo cercare esemplari dei libri in ogni
parte e ordinando che fossero copiate in Alessandria le opere perdute.
Al pari di Tito egli cercò di guadagnarsi il favore popolare con elargizioni, banchetti, feste e spettacoli. Per tre
volte distribuì trecento sesterzi ad ogni cittadino povero; diede magnifici conviti nelle feste della sua pretura e
in quelle celebratesi quando si commemorò l'aggiunta di un settimo monte a Roma; celebrò ogni anno le
feste di Minerva, e con grandissima solennità fece celebrare i ludi secolari elevando fino a cento il numero
delle corse giornaliere dei cocchi; istituì in onore di Giove Capitolino una gara quinquennale di musica, di
corse di cavalli e di esercizi ginnastici; diede naumachie in un lago scavato presso il Tevere e nell'anfiteatro,
combattimenti di fanti e cavalieri, giochi gladiatori e cacce notturne al lume delle fiaccole. Ai combattimenti
fece partecipare le donne e delle vergini alle corse nello stadio. Per mantenersi fedele l'esercito, Domiziano
aumentò la paga dei soldati: i pretoriani ebbero mille denari annui, cinquecento le milizie urbane, trecento i
legionari.
Senza dubbio mossi dal desiderio di acquistarsi popolarità furono molti provvedimenti di ordine finanziario.
Sebbene non fossero molto ricche le casse dello Stato a causa delle spese che Tito aveva dovuto
sostenere, Domiziano rifiutò le eredità lasciategli da chi aveva figli, condonò le multe dovute al fisco che
erano state elevate da un quinquennio, lasciò agli antichi proprietari, come acquistate per usucapione, quelle
terre che erano state invase dopo la distribuzione fatta ai veterani e represse le persecuzioni fiscali; ma più
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tardi, preoccupato dalle tristissime condizioni dell'erario, si diede a confiscare con ogni pretesto eredità e usò
estremo rigore nel percepire le imposte dai Giudei.
Verso a Senato Domiziano non seguì la politica del padre e del fratello: l' imperatore prese la censura a vita
e la carica di console ordinario che nel '84 si fece dare per la durata di dieci anni. Con ciò egli rafforzava
maggiormente il potere imperiale; la diarchia anche nelle forme si avviava verso la monarchia assoluta;
difatti a Domiziano veniva dato il titolo di dio e padrone e l'imperatore cominciava ad indossare il manto di
porpora.
L'impero di Domiziano è notevole per la cura con cui venne amministrata la giustizia e vennero governate le
province e per le leggi tendenti a rialzare il sentimento religioso e a frenare il malcostume. "Amministrò la
giustizia — scrive SVETONIO — con zelo e diligenza, tenendo in via straordinaria tribunale anche nel Foro;
annullò le sentenze partigiane dei centumviri; ammonì i giudici a non prestar troppa fede alle parole ambigue
e insultò quelli corrotti e le loro sentenze. Indusse un tribuno della plebe ad accusare di concussione un
sordido edile e a chiedere contro di lui giudici al Senato. E mise tanta cura i nel frenare i magistrati urbani e i
governatori delle province che essi non furono mai più né più moderati né più giusti: molti di questi dopo di
lui li vedemmo accusati di ogni delitto".
Sotto il suo impero, in Italia e nelle province fu ampliata la rete stradale: in Italia fu costruita la via che da
Sinuessa conduce a Pozzuoli, in Oriente la Galazia, il Ponto, la Oappadocia, la Pisidia, la Paflagonia e
l'Armenia Minore furono allacciate da vie.
Per porre un freno alla corruzione dei costumi proibì la diffusione dei libelli calunniatori e comminò pene per
gli autori; radiò dal Senato un ex-questore che soleva fare il mimo e il ballerino; alle meritrici tolse il diritto di
andare in lettiga e di ricevere legati o eredità, cancellò dall'albo dei giudici un cavaliere romano che aveva
sposata di nuovo la propria moglie già ripudiata per adulterio; rigorosissimamente punì le vestali ree
d'incesto, prima con la decapitazione poi facendole seppellire vive secondo l'antica usanza.
Alle sorelle degli Oculati a Varronilla, che avevano commessi incesti, diede facoltà di scegliersi la morte ma
quando la prima delle Vestali, Cornelia, che era già stata assolta, fu accusata nuovamente e risultò
colpevole, le fece seppellire vive. Severe punizioni furono comminate contro i seduttori: questi prima si
ebbero l'esilio poi in pubblico comizio furono battuti a morte con le verghe.
Con un editto proibì che si facessero degli eunuchi e fissò il prezzo di quelli che si trovavano presso i
mercanti di schiavi; proibì agli istrioni di calcare le scene concedendo di esercitare la loro arte nelle case
private; perché si desse incremento alla coltivazione del grano, che riteva trascurata, vietò di piantare in
Italia nuove vigne e ordinò che nelle province si riducessero della metà le piantagioni di viti. Proibì inoltre che
le legioni ponessero il campo le une vicino alle altre e che la plebe assistesse agli spettacoli mescolata coi
cavalieri.
Perché non fosse impunemente offeso il culto degli dei fece demolire il sepolcro che un suo liberto,
servendosi di pietre destinate al tempio di Giove, aveva fatto costruire al figlio e ne fece gettare la salma in
mare.
Quanto egli avesse cura della religione lo dimostrano i templi da lui fatti costruire: ne vennero per ordine suo
innalzati a Iside e a Serapide, quello a Giove Capitolino fu condotto a termine e ornato di colonne di marmo
pentelico, nel Campo Marzio fu edificato un tempio a Minerva Calcidica che venne circondato da portici
(Foro Palladio) e un tempio fece innalzare alla famiglia Flavia. Per avere aderito al Cristianesimo, come
sembra, furono messi a morte Flavio Clemente e il consolare Acilio Glabrione. Scrive Svetonio che
Domiziano nella sua giovinezza aborriva talmente l'effusione di sangue che, nell'assenza del padre,
ricordando il verso di Virgilio "empia gente, che si nutrì degli uccisi giovenchi" voleva proibire per editto che
si immolassero buoi.
Purtroppo egli non perseverò nella clemenza e ben presto diede prova di crudeltà.
Ritornarono in vigore i processi di lesa maestà che Tito aveva abolito. Furono espulsi da
Roma i filosofi, parecchi dei quali ricoprivano i loro sentimenti avversi all' imperatore con le dottrine dello
stoicismo: Erennio Senecione fu ucciso perché aveva scritto la vita di Elvidio Prisco e la stessa sorte ebbe
Giunio Rustico che aveva fatto l'elogio di Trasea Peto. Messo a morte fu anche il figlio di Elvidio Prisco e
perì pure la madre, accusata di aver fornito ad Erennio notizie sulla vita del marito. Fine simile fece
Pomponia, moglie di Rustico. Né questi furono i soli delitti di cui Domiziano si macchiò. Perirono Civico
Ceriale, proconsole in Asia, e il senatore Salvidieno Orfito, Elio Lamia, Salvio Coneiano, Mezio Pompesiano,
Flavio Sabino, Arrecino Clemente, un discepolo del pantomimo Parire, Ermogene da Tarso e parecchi altri.
Pareva che in Domiziano rivivessero Caligola e Nerone. Ma la sua crudeltà doveva avere un termine e
dovevano essere i suoi stessi familiari, spinti dall'odio e dal timore, a liberare Roma dal sanguinario tiranno.
Prima però di narrare la congiura per la quale Domiziano doveva perire parleremo delle guerre che durante il
suo impero furono combattute.
GUERRE E MORTE DI DOMIZIANO
Le guerre sotto l'impero del fratello di Tito, furono due: una contro i Daci e l'altra contro i Britanni. La guerra
germanica di cui nell'84 Domiziano celebrò a Roma il trionfo non fu nemmeno combattuta. I Chatti che
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stavano molestando la frontiera all'avvicinarsi delle legioni romane furono pronti a ritirarsi nei boschi della
loro regione.
I Daci erano un popolo bellicoso stanziato alla sinistra del Danubio. Un principe audace e di larghe vedute di
nome Decebalo aveva fondato un regno vasto e potente che oltre i Daci comprendeva i vicini popoli
dell'ovest. Desideroso di estendere il territorio del suo regno alla destra del Danubio e sicuro che le
popolazioni indigene soggette a Roma gli avrebbero agevolata l'impresa, raccolto un tortissimo esercito,
passò il fiume ed invase la Mesia. Qui non si trovava che una legione al comando di Cajo Oppio Sabino.
Questi non riuscì a opporre una valida resistenza all'invasione; i suoi soldati vennero travolti e lui stesso fu
ucciso.
Al primo annunzio di questi fatti Domiziano affidò il comando della guerra a Cornelio Fusco, prefetto del
pretorio e reputava così grave la situazione che egli stesso volle recarsi sul teatro delle operazioni,
guardandosi però bene, dal prendervi parte (85).
I Daci, sperando di attirare i Romani nel proprio territorio, ripassarono il fiume e Domiziano, visto il pericolo
allontanarsi, fece ritorno in Italia.
L'anno seguente (86) Cornelio Fusco per vendicare la morte di Oppio Sabino e dare un colpo alla potenza
dei Daci, passò il Danubio e si inoltrò nel territorio nemico. La sua imprudenza gli costò la vita. Assalito
improvvisamente dai Daci, l'esercito romano fu sconfitto e il generale ucciso.
Messo il governo della guerra nelle mani di Giuliano, governatore della Mesia superiore, questi passò
audacemente, alla testa delle sue truppe, nella Dacia e, incontrato il nemico presso Sarmizegetusa, gli diede
battaglia sconfiggendoli in una battaglia sanguinosa.
Da questa vittoria i Romani avrebbero potuto trarre non pochi vantaggi, ma Domiziano non volle aderire alle
richieste di pace di Decebalo e la guerra si riaccese più| violenta di prima. Questa volta, oltre i Daci, scesero
in campo alcuni popoli Sarmatici tra cui i Iazigi e alcune popolazioni germaniche contro le quali altre volte i
Germani avevano avuto da fare, come i Suebi, i Marcomanni e i Quadi.
L'irresolutezza di Domiziano, le forze insufficienti mandate a fronteggiare il nemico e la mancanza di un
valente generale furono le principali cause dell' infelice esito della guerra. La quale avrebbe potuto risolversi
in favore dei Romani se l'imperatore, cui piacevano più le guerre immaginarie che le vere, preoccupato dalle
vaste proporzioni ch'essa andava assumendo e prevedendola lunga e dispendiosa, verso la fine dell'89 non
avesse deciso di venire ad un accordo con Decebalo. Il re barbaro si impegnava di non molestare la
frontiera del Danubio, in compenso Domiziano forniva a Decebalo un certo numero di artieri. Non fu certo un
accordo molto onorevole ma neppure vergognoso come certi storici pretendono che se si deve credere a
Svetonio -sebbene la notizia non sia confermata- Decebalo accettò la sovranità nominale dell'impero sulla
Dacia e mandò a Roma il fratello Diegis per ricevere la corona dalle mani di Domiziano.
La guerra britannica ebbe risultati migliori della dacica.
Partito Svetonio Paulino, l'isola di Mona (Anglesey) era stata perduta; in una ribellione il governatore
Trebellio Massimo era stato costretto a fuggire; Giulio Frontino aveva rialzato il prestigio di Roma
sottomettendo i Briganti e i Siluri.
A continuare l'opera di Frontino, Tifo mandò nel 78 il generale Gneo Giulio Agricola, suocero dello storico
Tacito che ne scrisse poi la biografia in un'operetta dal titolo De vita et moribus Julii Agricoloe.
Agricola sottomise gli Adovici, rioccupò l'isola di Mona e spinse le sue legioni fino agli estuari di Clota (Clyde)
e Bodotria (Forth). L'istmo che divide l'Atlantico dal Mar del Nord fu fortificato perché costituisse una valida
barriera contro le incursioni della bellicosa Caledonia. Queste non si fecero aspettare: capitanati da Galeag,
intrepido guerriero, i Caledoni scesero dalle loro montagne e in numero di trentamila assalirono i Romani al
monte Graupio. Agricola mandò contro di essi solo ottomila ausiliari e tremila cavalieri, ma questi furono
tenuti a distanza e tormentati da un efficacissimo lancio di frecce e la vittoria sarebbe stata dei Caledoni se il
generale romano non avesse mandato contro di loro cinque coorti e non avesse incoraggiato i suoi
scendendo da cavallo.
Vano fu il valore dei fieri montanari: respinti, ritornarono alla battaglia tentando di accerchiare i legionari
romani; ributtati una seconda volta tornarono ancora all'assalto, ma dopo parecchie ore di combattimento
dovettero darsi alla fuga. Ventimila Caledoni rimasero morti sul campo; i superstiti, uccisi i figlioletti e le
mogli, si dispersero tra i boschi e sui monti della Scozia che venne poi invasa dai Romani. ,*
Nel frattempo la flotta di Agricola giungeva alla punta settentrionale della Britannia e dava la notizia che
questa era un'isola.
Malgrado i successi di Agricola, Domiziano lo richiamò in Italia. Tacito attribuisce il richiamo del suocero alla
invidia dell' imperatore, non sappiamo noi con qual fondamento. Si potrebbe però pensare che Domiziano
non fosse molto contento dell'opera di Agricola, il quale nei sette anni del suo governo in Britannia aveva
vinto, sì, non pochi popoli, ma non aveva saputo portarvi la pace e la civiltà romana, aveva fatto spreco di
uomini ed aveva causato gravi spese all'erario.
Agricola tornò a Roma e si ebbe le insegne trionfali, poi si ritirò a vita privata e di lì a poco cessò di vivere.
Non mancò chi della morte sospettò autore l'imperatore medesimo.
Domiziano sapeva di essere odiato. Due congiure erano state scoperte avevano dato luogo a severissime
condanne; nel 93 Lucio Antonio Saturnino, governatore della Germania superiore, che si diceva discendente
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del triumviro Marco Antonio, d'accordo col patriziato romano, ribellò all'imperatore le due legioni di cui aveva
il comando e chiamò in suo aiuto i Germani. Ma essendo questi trattenuti sulla destra del Reno dallo sgelo
del fiume, L. Appio Massimo, governatore dell'Aquitania, riuscì a piombare sui ribelli e a farne una strage.
Lucio Antonio fu ucciso.
Dopo questo avvenimento Domiziano era divenuto sospettosissimo. Temendo per la sua vita, aveva
raddoppiata la guardia del palazzo, aveva cambiato sovente il prefetto urbano e il capo dei pretoriani e
aveva prese infinite altre precauzioni. Ma queste non furono sufficienti a salvarlo dall'odio di coloro che
avevano deciso di sopprimerlo per sfuggire alla pena capitale cui Domiziano li riserbava.
Fra costoro la moglie Domizia, i prefetti del pretorio Nerbano e Petronio. Partenio, cameriere dell'imperatore
e il suo liberto Massimo, Claudiano aiutante di un tribuno, Saturìo decurione dei camerieri, parecchi
gladiatori e il liberto STEFANIO procuratore di Domitilla, moglie di Flavio Clemente, la quale, dopo
l'uccisione del marito era stata mandata in esilio a Pandataria.
A quest'ultimo fu commesso di uccidere l'imperatore e si fissò la data del 18 settembre del 96.
Venuto il giorno stabilito, Stefanio, il quale per allontanare i sospetto da qualche tempo portava il braccio
fasciato, chiese di parlare a Domiziano per informarlo di una cosa gravissima. Il principe lo ammise in una
sua stanza, e appena entrato, il liberto gli disse di avere scoperto una congiura e gli porse un foglio dov'era
l'elenco dei presunti congiurati. Mentre l'imperatore era intento a leggere la carta, Stefanio tirò fuori dalla
fasciatura, in cui lo teneva nascosto, un pugnale e vibrò un colpo al ventre del tiranno, producendogli una
lieve ferita. Allora tra l'imperatore e il liberto s'impegnò una violenta colluttazione e questi avrebbe avuto la
peggio se al rumore non fossero accorsi altri congiurati, Claudiano, Massimo, Saturio e alcuni gladiatori, che
trucidarono Domiziano con Sette colpi.
Quando morì, l'imperatore contava quarantaquattro anni ed era nel quindicesimo del suo regno.
La salma fu portata in una bara plebea ed ebbe modestissime esequie in una casa di campagna sulla via
Latina appartenente a Fillide nutrice dell' imperatore, che dopo la cremazione del cadavere portò poi di
nascosto i resti nel tempio della stirpe dei Flavi unendola alle ceneri di Giuba figlia di Tito.
Il popolo alla notizia dell'uccisione, accolse con gioia la morte di Domiziano, un po' meno i pretoriani che
dall'imperatore erano stati favoriti. Tumultuando accorsero nel palazzo, e Stefano non riuscì ad evitare di
essere fatto a pezzi. Volevano continuare dando la caccia anche agli altri congiurati, non rispettando perfino
i loro capi, Norbano e Petronio, che però riuscirono a indurli alla calma, soprattutto quello che -promettendo
loro ricchi donativi- poi divenne imperatore:
cioè COCCEIO NERVA di cui parleremo nel prossimo capitolo riassuntivo, il.... "PERIODO NERVA E
TRAIANO dagli anni 96 al 117 d.C."
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Introduzione
Testi e testimonianze
Hier.,chr., ol. 217-18
Domitianus mathematicos et philosophos Romana urbe pellit.
Domitianus rursum philosophos et mathematicos Roma per edictum extrudit.
La poesia
Silio Italico
Cenni biografici
Silio Italico, il nome completo figura essere Tiberio Cazio Asconio, nacque intorno al 26 d. C..
Fu console nel 68 per volere di Nerone e proconsole d’Asia sotto Vespasiano (ca. 77). In
quest’arco di tempo concluse la sua vita pubblica, macchiata in parte dalle delazioni di cui fu
responsabile al tempo di Nerone, riabilitata in parte sotto Vitellio.
Silio fu buon amministratore delle sue sostanze e dei suoi possedimenti, specie in Campania. Le
testimonianze contemporanee, specie quella di Plinio il Giovane e di Marziale, lo presentano come
un collezionista di cose belle, fossero case, statue o libri, ma anche sincero ammiratore, anzi un
vero cultore della memoria di Cicerone, di cui acquistò il fondo di Tusculum, e di Virgilio, di cui
restaurò il sepolcro.
Ritiratosi a vita privata si diede alla composizione della sua unica opera, di cui spesso dava lettura,
che lo impegnò sino a quando, nel 101, non si lasciò morire di inedia, vinto dall’aggravarsi di un
male incurabile.
Opere
I Punica, in 17 libri, narrano in esametri epici, la seconda guerra punica secondo quanto esposto
da Livio nella terza decade.
Il numero dei libri ha dato luogo a qualche perplessità: per alcuni eccessivo rispetto al modello
virgiliano, per altri,invece, risultato di un accomodamento riduttivo di necessità rispetto a un
progetto più ambizioso che doveva contare 18 o addirittura 24 libri.
La narrazione segue lo schema annalistico.
Punti di riferimento culturali sono Ennio, proprio per questa scelta, ma anche Nevio; Virgilio come
modello di stile, Lucano come poeta di cose “storiche”.
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Osservazioni
Testi e testimonianze
Mart., 7,63
Perpetui numquam moritura volumina Sili
Qui legis et Latia carmina digna toga,
Pierios tantum vati placuisse recessus
Credis et Aoniae Bacchica serta comae?
Sacra coturnati non attigit ante Maronis,
Implevit magni quam Ciceronis opus:
Hunc miratur adhuc centum gravis hasta virorum,
Hunc loquitur grato plurimus ore cliens.
Postquam bis senis ingentem fascibus annum
Rexerat, adserto qui sacer orbe fuit,
Emeritos Musis et Phoebo tradidit annos,
Proque suo celebrat nunc Helicona foro.
O tu che leggi le opere eterne di Silio Italico, destinate a non morire mai, le poesie degne della
toga latina, credi che al poeta piacessero solo i nascondigli delle Muse, solo le corone di pampini
della chioma beotca? aveva compiuto il cammino del grande Cicerone, non celebrò i riti del
sapiente poeta Virgilio: ancora lo ricorda la forte asta del tribunale dei Centumviri, ancora parlano
di lui moltissimi clienti con grate parole. Dopo aver retto con i dodici fasci di console il grande anno
che divenne sacro per la nuova libertà del mondo romano, dedicò i suoi anni di veterano alle Muse
e ad Apollo: invece del suo tribunale, frequenta adesso il monte Elicona.
Mart. 4, 14
Sili, Castalidum decus sororum,
Qui periuria barbari furoris
Ingenti premis ore perfidosque
Astus Hannibalis levisque Poenos
Magnis cedere cogis Africanis:
Paulum seposita severitate,
Dum blanda vagus alea December
Incertis sonat hinc et hinc fritillis
Et ludit tropa nequiore talo,
Nostris otia commoda Camenis,
Nec torva lege fronte, sed remissa
Lascivis madidos iocis libellos.
Sic forsan tener ausus est Catullus
Magno mittere Passerem Maroni.
O Silio Italico, onore delle sorelle della fonte Castalia, tu che con il tuo grande canto sconfiggi gli
spergiuri dell'ira barbara e le perfide astuzie di Annibale, tu che costringi i volubili Cartaginesi a
cedere davanti alla famiglia del grande Scipione l'africano: messa un poco da parte la tua serietà,
mentre dicembre, incerto tra i piaceri delle scommesse, qua e là risuona del rumore che fanno i
dadi incerti nel bossolo, mentre gli astragali pericolosi giocano nella buca, dedica il tuo tempo
libero alle mie poesie: questo libretto, zeppo di scherzi lascivi, non leggerlo con la fronte
corrucciata, ma con animo sereno. Allo stesso modo, forse il dolce Catullo ebbe il coraggio di
mandare la sua poesia del "passero" al grande Virgilio.
Trad. Simone Beta, Milano, Mondadori 1995.
Mart.8., 66. Per la nomina a console del figlio.
Augusto pia tura victimasque
Pro vestro date Silio, Camenae.
Bis senos iubet en redire fasces,
Nato consule, nobilique virga
Vatis Castaliam domum sonare
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Rerum prima salus et una Caesar.
Gaudenti superest adhuc, quod optet,
Felix purpura tertiusque consul.
Pompeio dederit licet senatus
Et Caesar genero sacros honores,
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Quorum pacificus ter ampliavit
Ianus nomina: Silius frequentes
13
Mavult sic numerare consulatus.
Mart., 9,86 Per la morte del figlio Severo
Festinata sui gemeret quod fata Severi
Silius, Ausonio non semel ore potens,
Cum grege Pierio maestus Phoeboque querebar.
'Ipse meum flevi' dixit Apollo 'Linon:'
Respexitque suam quae stabat proxima fratri
Calliopen et ait: 'Tu quoque vulnus habes.
Aspice Tarpeium Palatinumque Tonantem:
Ausa nefas Lachesis laesit utrumque Iovem.
Numina cum videas duris obnoxia fatis,
Invidia possis exonerare deos.'
Mart. 11,48
Silius haec magni celebrat monimenta Maronis,
Iugera facundi qui Ciceronis habet.
Heredem dominumque sui tumulive larisve
Non alium mallet nec Maro nec Cicero.
Silio Italico, che possiede il podere dell’eloquente Cicerone, venera il sepolcro del grande Virgilio
Marone. Né Cicerone né Virgilio, del terreno e della tomba, preferirebbero avere un altro erede o
un altro padrone.
Mart., 11,50
Iam prope desertos cineres et sancta Maronis
Nomina qui coleret, pauper et unus erat.
Silius optatae succurrere censuit umbrae,
Silius et vatem, non minor ipse, colit.
A venerare le ceneri e la santa memoria di Virgilio ormai quasi dimenticate era rimasta una sola
persona, un povero. Silio ha deciso di aiutare l’ombra amata: Silio Italico, anche lui grande poeta,
venera il vate.
Plin.iun., 3,7.
Modo nuntiatus est Silius Italicus in Neapolitano suo inedia finisse uitam. Causa mortis ualetudo. Erat illi
natus insanabilis clauus, cuius taedio ad mortem inreuocabili constantia decucurrit usque ad supremum
diem beatus et felix, nisi quod minorem ex liberis duobus amisit, sed maiorem melioremque florentem atque
etiam consularem reliquit. Laeserat famam suam sub Nerone credebatur sponte accusasse, sed in Vitelli
amicitia sapienter se et comiter gesserat, ex proconsulatu Asiae gloriam reportauerat, maculam ueteris
industriae laudabili otio abluerat. Fuit inter principes ciuitatis sine potentia, sine inuidia: salutabatur colebatur,
multumque in lectulo iacens cubiculo semper, non ex fortuna frequenti, doctissimis sermonibus dies
transigebat, cum a scribendo uacaret. Scribebat carmina maiore cura quam ingenio, non numquam iudicia
hominum recitationibus experiebatur. Nouissime ita suadentibus annis ab urbe secessit, seque in Campania
tenuit, ac ne aduentu quidem noui principis inde commotus est: magna Caesaris laus sub quo hoc liberum
fuit, magna illius qui hac libertate ausus est uti. Erat filÒkalos usque ad emacitatis reprehensionem. Plures
isdem in locis uillas possidebat, adamatisque nouis priores neglegebat. Multum ubique librorum, multum
statuarum, multum imaginum, quas non habebat modo, uerum etiam uenerabatur, Vergili ante omnes, cuius
natalem religiosius quam suum celebrabat, Neapoli maxime, ubi monimentum eius adire ut templum solebat.
In hac tranquillitate annum quintum et septuagensimum excessit, delicato magis corpore quam infirmo;
utque nouissimus a Nerone factus est consul, ita postremus ex omnibus, quos Nero consules fecerat,
decessit.
F. D’Alessi © 2002
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Caro Caninio [Rufo],
è giunta or ora la notizia che Silio Italico si è lasciato morire di fame nella sua dimora presso
Napoli. Causa della morte la malattia. Gli si era manifestato un tumore inguaribile, per insofferenza
del quale egli andò incontro alla morte con incredibile fermezza, avendo vissuto fino all'ultimo
giorno beato e felice, salvo quando perdette il minore dei suoi due figli; ma lasciò il maggiore e
migliore in una situazione fiorente ed ex console. Aveva pregiudicata la propria reputazione ai
tempi di Nerone (si diceva avesse fatto volontariamente il delatore), ma nell'amicizia con Vitellio si
era comportato con saggezza e umanità; era ritornato con gloria dal proconsolato d'Asia e aveva
lavata la macchia della sua precedente attività con un dignitoso ritiro. Appartenne ai personaggi
più cospicui della città senza arroganza o dare ombra: riceveva visite, omaggi, il più sovente
mentre giaceva sul divano da lavoro, in una camera sempre frequentata non per la sua ricchezza;
trascorreva la giornata, quando non era occupato a scrivere, in dottissime conversazioni.
Componeva dei versi con diligenza più che genialità, e sovente sollecitava il giudizio altrui
leggendoli in pubblico. Recentemente gli anni l'avevano consigliato ad abbandonare Roma e si
ritirò in Campania, e non si lasciò smuovere di là neppure dall'arrivo del nuovo Imperatore. Gran
lode per il Cesare, sotto il regno del quale fu possibile prendersi una tale libertà, e gran lode per
Silio che osò valersene. Era amico delle cose belle, fino a essere rimproverato per la mania di
comprare. Possedeva nella stessa regione parecchie ville e innamoratosi delle nuove, negligeva le
vecchie. Gran copia di libri ovunque, molte statue, molti ritratti, che non soltanto possedeva, ma
venerava; soprattutto quello di Virgilio, il cui giorno natale celebrava con devozione maggiore del
proprio, particolarmente a Napoli, ove soleva accostarsi alla tomba di Virgilio come si fosse trattato
di un tempio.
In tale calma varcò i settantacinque anni, essendo più delicato di costituzione che non malaticcio; e
come era stato l'ultimo console creato da Nerone, così morì per ultimo fra tutti quelli che eran stati
fatti da Nerone. Anche questo di notevole: scomparve per ultimo fra gli ex consoli neroniani colui
sotto il cui consolato era morto Nerone.
Traduzione di L. Rasca, Milano, Rizzoli, 1994,20003.
Tac., hist., 3,65
Haudquaquam erecto animo eas voces accipiebat, invalidus senecta; sed erant qui occultis suspicionibus
incesserent, tamquam invidia et aemulatione fortunam fratris moraretur. namque Flavius Sabinus aetate
prior privatis utriusque rebus auctoritate pecuniaque Vespasianum anteibat, et credebatur adfectam eius
fidem parce iuvisse domo agrisque pignori acceptis; unde, quamquam manente in speciem concordia,
offensarum operta metuebantur. melior interpretatio, mitem virum abhorrere a sanguine et caedibus, eoque
crebris cum Vitellio sermonibus de pace ponendisque per condicionem armis agitare. saepe domi congressi,
postremo in aede Apollinis, ut fama fuit, pepigere. verba vocesque duos testis habebant, Cluvium Rufum et
Silium Italicum: vultus procul visentibus notabantur, Vitellii proiectus et degener, Sabinus non insultans et
miseranti propior.
Sabino ascoltava quei consigli con ben poco entusiasmo, indebolito ormai dall'età. Alcuni lo
accusarono di manovre poco chiare, quasi volesse per rancore e emulazione rallentare il successo
di suo fratello. Infatti Flavio Sabino, che era più vecchio, quando erano ancora entrambi semplici
cittadini superava Vespasiano per autorevolezza e mezzi. Pareva che avesse soccorso
Vespasiano con scarsa generosità durante un momento difficile, prendendo ipoteca sulla sua casa
e sulle sue terre. Sicché dietro una facciata di perenne accordo, si temeva l'effetto di segreti
rancori. Più opportuna interpretazione è che quell'uomo mite rifuggisse dal sangue e
dall'assassinio: perciò in frequenti contatti con Vitellio aveva discusso di pace e di resa a
condizione. Gli abboccamenti si svolsero per lo più nelle rispettive abitazioni, poi si incontrarono
nel tempio di Apollo, secondo quanto si narra. Le loro trattative e le loro discussioni ebbero due
testimoni, Cluvio Rufo e Silio Italico, che discosti osservarono i loro volti: Vitellio avvilito e sfatto,
Sabino senza infierire, più incline alla compassione.
Trad. di Carlo Franco, Torino, Einaudi Pléiade, 2003.
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Sil., 3, 477-539. Il passaggio delle Alpi (CD LL d'Anna, con rifer. a Livio)
Sed iam praeteritos ultra meminisse labores
conspectae propius dempsere pauentibus Alpes.
cuncta gelu canaque aeternum grandine tecta
aequaeuam glaciem cohibent: riget ardua montis
aetherii facies surgentique obuia Phoebo
duratas nescit flammis mollire pruinas.
quantum Tartareus regni pallentis hiatus
ad manis imos atque atrae stagna paludis
a supera tellure patet, tam longa per auras
erigitur tellus et caelum intercipit umbra.
nullum uer usquam nullique aestatis honores.
sola iugis habitat diris sedesque tuetur
perpetuas deformis hiemps; illa undique nubes
huc atras agit et mixtos cum grandine nimbos.
iam cuncti flatus uentique furentia regna
Alpina posuere domo. caligat in altis
obtutus saxis, abeuntque in nubila montes.
mixtus Athos Tauro Rhodopeque adiuncta Mimanti
Ossaque cum Pelio cumque Haemo cesserit Othrys.
primus inexpertas adiit Tirynthius arces.
scindentem nubes frangentemque ardua montis
spectarunt superi longisque ab origine saeclis
intemerata gradu magna ui saxa domantem.
At miles dubio tardat uestigia gressu,
impia ceu sacros in finis arma per orbem,
Natura prohibente, ferant diuisque repugnent.
contra quae ductor–non Alpibus ille nec ullo
turbatus terrore loci, sed languida maestis
corda uirum fouet hortando reuocatque uigorem:
'Non pudet obsequio superum fessosque secundis,
post belli decus atque acies, dare terga niuosis
montibus et segnes summittere rupibus arma?
nunc, o nunc, socii, dominantis moenia Romae
credite uos summumque Iouis conscendere culmen.
hic labor Ausoniam et dabit hic in uincula Thybrim.'
nec mora. commotum promissis ditibus agmen
erigit in collem et uestigia linquere nota
Herculis edicit magni crudisque locorum
ferre pedem ac proprio turmas euadere calle.
rumpit inaccessos aditus atque ardua primus
exuperat summaque uocat de rupe cohortes.
tum, qua durati concreto frigore collis
lubrica frustratur canenti semita cliuo,
luctantem ferro glaciem cremat: haurit hiatu
nix resoluta uiros altoque e culmine praeceps
umenti turmas operit delapsa ruina.
interdum aduerso glomeratas turbine Corus
in media ora niues fuscis agit horridus alis,
aut rursum immani stridens auulsa procella
nudatis rapit arma uiris uoluensque per orbem
contorto rotat in nubes sublimia flatu.
quoque magis subiere iugo atque euadere nisi
erexere gradum, crescit labor. ardua supra
sese aperit fessis et nascitur altera moles,
unde nec edomitos exudatosque labores
respexisse libet: tanta formidine plana
exterrent repetita oculis, atque una pruinae
canentis, quocumque datur permittere uisus,
ingeritur facies. medio sic nauita ponto,
cum dulcis liquit terras et inania nullos
inueniunt uentos securo carbasa malo,
immensas prospectat aquas ac uicta profundis
aequoribus fessus renouat sua lumina caelo.
Traduzione Silio Italico
Bibliografia
ed. L.Bauer, Leipzig 1890-92.
ed. Pisa, Giardini, 1985-86
ed. P.Miniconi - G. Devallet -J. Lenthéric- M. Martin, Paris 1979-92.
ed. J. Delz, Stuttgard 1987.
LOEB, ed. J. D. Duff, London 1927-34, 2 voll.
comm. senza testo F. Spaltenstein, Ginevra 1986-90.
Ed. M.A.Vinchesi, Le guerre puniche, , Milano, Rizzoli, 2001.
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Studi
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S. Cecchin, I poeti epici dell’età dei Flavi, in Storia della civiltà letteraria greca e latina, 2, Torino,
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Strumenti
Index verborum Silianus, ed. N.D. Young, Hildesheim 1964.
Concordantia in Silii Italici Punica. Curavit Manfred Wacht. 2 voll., Hildesheim 1989.
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Groesst, Johann, Qua tenus Silius Italicus a Vergilio pendere videatur / Joannes Groesst, Aquis Mattiacis:
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Note Generali: Dissertazine inaugurale tenuta presso la Friedrich-Universitat di Halle.
Nomi: Groesst, Johann
Albrecht, Michael: von, Silius Italicus: Freiheit und Gebundenheit romischer Epik / von Michael von Albrecht,
Amsterdam: Schippers, 1964
Belli, Marco, Magia e pregiudizi nelle puniche di C. Silio Italico / Marco Belli, Napoli: M. D'Auria, 1901
Note Generali: Estr. da: Rivista di Scienze e Lettere.
Lorenz, Gudrun, Vergleichende Interpretatione zu Silius Italicus und Statius / Dissertation ... vorgelegt von
Gudrun Lorenz, Kiel: Universitat Bibliothek, 1968
Note Generali: Tesi per il conseguimento del Doktorgrade, tenuta presso la Christian-Albrechts-Universitat di
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Romano, Domenico, 3: Silio Italico, uomo, poeta, artista, attraverso una moderna interpretazione filologica e
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Fa parte di: Poesia e scienza: saggio / Domenico Romano
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Laudizi, Giovanni, Silio Italico: il passato tra mito e restaurazione etica / Giovanni Laudizi, Galatina:
Congedo, 1989, Studi di filologia e letteratura / Universitadi Lecce, Dipartimento di scienzedell'antichita,
Settorefilologico-letterario. Supplementi
Alla vigilia di Canne: commentario al libro 8. dei Punica di Silio Italico / a cura di E. M. Ariemma, Napoli:
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Santini, Carlo, Silius Italicus and his view of the past / by Carlo Santini, Amsterdam: J. C. Gieben, 1991,
London studies in classical philology
Altri titoli collegati: [Altro documento correlato] La cognizione del passato in Silio Italico.
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McGuire, Donald T., Acts of silence: civil war, tyranny, and suicide in the Flavian epics / Donald T. McGuire,
Hildesheim [etc.]: Olms-Weidmann, 1997, Altertumswissenschaftliche Texte und Studien
Spaltenstein, Francois, Commentaire des Punica de Silius Italicus / Francois Spaltenstein, Geneve: Droz,
[1986]-1990
Descrizione fisica: 2 v.; 23 cm., Publications de la Faculte des lettres,Universite de Lausanne
, 32.4: Sprache und Literatur: Literatur der julisch-claudischen und der flavischen Zeit. 4, (Forts.) /
herausgegeben von Wolfgang Haas, Berlin; New York, 1986
Fa parte di: 2: Principat.
Nomi: Haase, Wolfgang
Soggetti: CURZIO RUFO, QUINTO
MARZIALE, MARCO VALERIO
PLINIO SECONDO, CAIO
QUINTILIANO, MARCO FABIO
SILIO ITALICO, TIBERIO CAIO ASCONIO
VALERIO FLACCO, GAIO
Wacht, Manfred, Concordantia in Silii Italici Punica / curavit Manfred Wacht, Hildesheim [etc.]: OlmsWeidmann, 1989, Alpha-omega. Reihe A, Lexika, Indizes,Konkordanzen zur klassischen Philologie
Burck, Erich, Historische und epische Tradition bei Silius Italicus / von Erich Burck, Munchen: C. H. Beck,
1984, Zetemata
Brugnoli, Giorgio, L' Additamentum Aldinum di Silio Italico / Giorgio Brugnoli, Carlo Santini, Roma:
Accademia nazionale dei Lincei, 1995
Note Generali: Suppl. a: Bollettino dei classici, 1995, n. 14.
ICCU per autore
Le Puniche / di C. Silio Italico; traduzione con proemio e annotazioni di Onorato Occioni, Milano: V. Maisner,
1878
Cajo Silio Italico e il suo poema / studi di Onorato Occioni
Edizione: 2. ed, Firenze: Le Monner, 1871
Note Generali: Contiene Le puniche Testo latino a fronte.
Lucain Silius Italicus, Claudien: ouvres completes avec la traduction francais / publiees sous la direction de
M. Nisard, Paris: Firmin Didot, 1871, Collection des auteurs latins avec latraduction en francais
Cajo Silio Italico e il suo poema / studi di Onorato Occioni, Padova: Pietro Prosperini, 1869
Cajo Silio Italico e il suo poema / Silvio Italico; studio di Onorato Occioni, Firenze: Le Monnier, 1861
Caii Silii Italici Punicorum libri 17.; ad optimorum librorum fidem accurate editi
Edizione: ed. stereotypa C. Tauchnitiana; nova imp, Lipsiae: Sumtibus Ottonis Holtze, 1873
Le puniche: Traduzione con proemio e note di Onorato Occioni, con testo a fronte corredato delle principali
varianti del codice casanatense
Edizione: Seconda edizione riveduta e corretta, Torino: Ermanno Loescher Edit., 1889 (Roma, Tip. Forzani e
C.)
Caii Silii Italici Punicorum libri 17 ad optimorum librorum fidem accurate editi
Edizione: editio stereotypata C. Tauchnitiana, Lipsiae: Successores Ottonis Holtze, 1912
Sili Italici Punica / edidit Ludovicus Bauer, Lipsiae: in aedibus B.G. Teubneri, Bibliotheca scriptorum
Graecorum et RomanorumTeubneriana
Comprende: 1: Libros 1.-10. continens / [Silius Italicus]
2: Libros 11.-17. continens / [SiliusItalicus]
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1: Libros 1.-10. continens / [Silius Italicus], Lipsiae: in aedibus B.G. Teubneri, 1890
Fa parte di: Sili Italici Punica / edidit Ludovicus Bauer
Silius Italicus, Gaius
2: Libros 11.-17. continens / [Silius Italicus], Lipsiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1892
Fa parte di: Sili Italici Punica / edidit Ludovicus Bauer
Nomi: Silius Italicus, Gaius
Le Puniche / C. Silio Italico; versione di Antonio Petrucci, La Santa: Societa anonima Notari, Istituto
editoriale italiano
Descrizione fisica: 2 v.; 17 cm., Collezione romana
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Le puniche: Versione di Antonio Petrucci; Vol. 1. e 2, La Santa, Milano
C. Silii Italici punicorum libri; [Versione di Antonio Petrucci], [Milano]: Garzanti, 1947
Punica / Silius Italicus; with an English translation by J. D. Duff, Cambridge Ma.: Harvard University Press,
1968
Descrizione fisica: 2 v.; 17 cm., The Loeb classical library
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Comprende: 1: / Silius Italicus; with an englishtranslation by J. D. Duff
2: / Silius Italicus; with an englishtranslation by J. D. Duff
Punica / with an English translation by J.D. Duff ...
Edizione: 4. ed., London: W. Heinemann, [Mass.]
Descrizione fisica: 2 v.; 16 cm ., The Loeb classical library
Silius Italicus, Gaius
1: Livres 1.-4. / Silius Italicus; texte etabli et traduit par Pierre Miniconi et Georges Devallet, Paris: Les belles
lettres, 1979
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Fa parte di: La guerre punique / Silius Italicus
Miniconi, Pierre
Devallet, Georges
Punicorum / Silius Italicus, Pisa: Giardini, 1985-1986
Descrizione fisica: 2 v. (473 p. compless.); 23 cm, Scriptorum Romanorum quae extant omnia
Comprende: 1: Libri 1.-8
2: Libri 9.-17
Silius Italicus, Pisa: in aedibus Giardini editori e stampatori, 1985-1986
Descrizione fisica: 2 v.; 23 cm.
Comprende: 1: Punicorum libri 1.-8
2: Punicorum libri 9.-17
3: Livres 9.-13. / Silius Italicus; texte etabli et traduit par Josee Volpilhac-Lentheric ... [et al.], Paris: Les
belles lettres, 1984
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Fa parte di: La guerre punique / Silius Italicus
Martin, Michel
Volpilhac-Lentheric, Josee
Ilias Latina
Baebii Italici Ilias Latina / introduzione, edizione critica, traduzione italiana e commento a cura di Marco
Scaffai, Bologna: Patron, 1982, Edizioni e saggi universitari di filologiaclassica
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Nomi: Baebius: Italicus
Silius Italicus, Gaius
Wacht, Manfred
Concordantia in Silii Italici Punica / curavit Manfred Wacht, Hildesheim [etc.]: Olms-Weidmann, 1989
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Descrizione fisica: 2 v.; 30 cm., Alpha-omega. Reihe A, Lexika, Indizes,Konkordanzen zur klassischen
Philologie
Numeri: ISBN - 3487091763
Comprende: 1: A-K
2: L-Z
Sili Italici Punica / edidit Iosephus Delz, Stutgardiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1987, Bibliotheca scriptorum
Graecorum et RomanorumTeubneriana
1: Punicorum libri 1.-8, Pisa: in aedibus Giardini editori e stampatori, 1985, Scriptorum Romanorum quae
extant omnia
2: Punicorum libri 9.-17, Pisa: in aedibus Giardini editori e stampatori, 1986, Scriptorum Romanorum quae
extant omnia
Sili Italici Punica / edidit Iosephus Delz, Stutgardiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1987, Bibliotheca scriptorum
Graecorum et RomanorumTeubneriana
Le guerre puniche / Silio Italico, Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 2001
Descrizione fisica: 2 v.; 18 cm.
Testo orig. a fronte
Comprende: 1: Libri 1.-8. / Silio Italico; introduzione,traduzione e note di Maria Assunta Vinchesi
2: Libri 9.-17. / Silio Italico; traduzionee note di Maria Assunta Vinchesi
1: Libri 1.-8. / Silio Italico; introduzione, traduzione e note di Maria Assunta Vinchesi, Milano: Biblioteca
universale Rizzoli, 2001
Note Generali: Testo orig. a fronte.
2: Libri 9.-17. / Silio Italico; traduzione e note di Maria Assunta Vinchesi, Milano: Biblioteca universale
Rizzoli, 2001
Note Generali: Testo orig. a fronte.
4: Livres 14.-17. / Silius Italicus; texte etabli et traduit par Michel Martin et Georges Devallet, Paris: Les
belles lettres, 1992, Collection des universites de France. Ser.latine
Fa parte di: La guerre punique / Silius Italicus
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Baebii Italici Ilias latina / introduzione, edizione critica, traduzione italiana e commento a cura di Marco
Scaffai
Edizione: 2. ed, Bologna . Patron, 1997, Edizioni e saggi universitari di filologiaclassica
Frohlich, Uwe, Regulus, Archetyp romischer Fides: Das sechste Buch als Schlussel zu den Punica des Silius
Italicus: Interpretation, Kommentar und Ubersetzung / Uwe Frohlich, Tubingen: Stauffenburg, 2000, Ad
Fontes
Punica: das Epos vom zweiten punischen Krieg / Titus Catius Silius Italicus; Lateinischer Text mit Einleitung,
Ubersetzung, kurzen Erlauterungen, Eigennamenverzeichnis und Nachwort von Hermann Rupprecht,
Mitterfels: Druck und Verlag F. Stolz, 1991
"Silio Italico - Castaldi",
Tiberio Cazio Asconio Silio Italico
(Padova?, 25 ca – Campania 101 d.C.)
Vita.
Senatore, cortigiano di Nerone, console nel 68, noto durante i periodi più cupi della tirannide come delatore.
Sotto Vespasiano, fu proconsole d'Asia. Coltivò la poesia nella vecchiaia, ritiratosi a vita privata. Colpito da
un male incurabile, si lasciò morire di fame.
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Opera e considerazioni.
La sua opera maggiore è un lungo poema epico sulla II guerra punica - "Punica" [vers.lat] - in 17 libri,
ricostruzione della guerra di Roma contro Annibale, dalla spedizione di questi in Spagna al trionfo di
Scipione dopo Zama. L'opera, forse originariamente in 18 libri, risulta nell'ultima parte più sintetica e
frettolosa, mentre i primi avvenimenti sono narrati con ampiezza di particolari e ricchezza di pathos; in essa,
inoltre, manca un vero e proprio nucleo narrativo dominante ed unificante: gli episodi si succedono in ordine
cronologico, senza dare vita ad una narrazione, ad es., incentrata su una figura di eroe, che faccia da filo
conduttore e che svolga un ruolo provvidenziale di "fondatore" della patria.
Il tema punico, già trattato da Ennio, e preannunciato in qualche modo dal "Bellum Punicum" di Nevio, viene
questa volta ripresentato in stile virgiliano. S. vuole imitare il grande maestro nello stile, nella lingua, nelle
immagini, nell'apparato mitologico-divino, ma la sua emulazione si limita decisamente all'aspetto formale,
nell'adozione soprattutto dei "topoi" propri della poesia epica. D'altro canto, anche la presenza sensibile
dell'epopea "annalistica" permane: S. non ha saputo liberarsi dai quadri storici, e ciò produce una specie di
miscela di due estetiche, che mette allo scoperto per intero l'apparato del "meraviglioso" di tipo (anche)
"omerico" come un complesso di artifici ormai sorpassati.
Seppure la disposizione è "annalistica", non si può ridurre tuttavia l’opera ad una semplice versificazione del
materiale storico raccolto ed esposto da Livio nella III decade, la sua maggiore fonte storica.
Altre fonti, infatti, furono Marrone, Posidonio, Igino; fra le poetiche Ennio (essenzialmente per la già detta
disposizione "annalistica"), appunto Virgilio (nei termini già accennati) e Lucano (per la scelta di un
argomento di "epica storica" e per le consonanze di taluni "colores" stilistici): e, in effetti, il poema di S. può
idealmente essere inserito in una posizione intermedia proprio tra questi due ultimi autori.
L’opera – che nel suo complesso s'innesta, dunque, senza aggiungere molto di nuovo, nel ricco filone della
letteratura patriottica romana – è stata severamente giudicata dalla critica moderna per la sua
"macchinosità", per l’eccesso di discorsi retorici, per la scarsa poeticità (ma già Plinio il Giovane la disse
scritta "più con scrupolo che non ingegno"): in verità, e in ultima analisi, il suo maggior pregio sembra
consistere nella quantità di informazioni etnografiche, mitologiche, storiche che vi compaiono.
"Silio Italico - Encarta"
Silio Italico (? 25 ca. - Campania 101 d.C.), poeta latino. Una lettera di Plinio il Giovane illustra la sua vita:
delatore sotto il principato di Nerone, fu da questi eletto console nel 68; seppe cancellare questa macchia
con un lodevole proconsolato in Asia (77) sotto Vespasiano. Ritiratosi dalla vita pubblica, si dedicò allo
studio delle lettere e professò un vero e proprio culto per Virgilio, di cui raccolse i più disparati cimeli con
passione antiquaria. E del gusto per la curiosità sono permeati i 17 libri dei Punica, poema epico sulla
seconda guerra punica dall'assedio di Sagunto alla vittoria di Scipione a Zama. Se il metodo annalistico del
racconto propone il parallelo con Ennio, risulta sicura l'utilizzazione sistematica della terza deca di Tito Livio,
mentre l'impianto stilistico vuole riferirsi a Virgilio. Secondo Plinio, componeva i suoi versi "con più cura che
ingegno".
"Silio Italico - Treccani"
Silio Italico (Tiberius Catius Silius Italicus). Poeta latino del I sec. d.C., console sotto Nerone e proconsole in
Asia sotto Vespasiano. Fu autore di un poema storico in 17 libri, Punica, sulla seconda guerra punica di
chiara ispirazione virgiliana e in genere privo di efficacia artistica
A S. Italico venne erroneamente attribuito un compendio dell'Iliade, l'Ilias Latina, molto apprezzato nel
Medioevo.
Riposati
C. Silio Italico
. Vita. - II. L'opera. - 111. Valore poetico dei ' Punica '. - IV. Fortuna.
I. - Vita., Apre la serie degli epici imperiali tradizionalisti
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Tiberio Catio Silio Italico (Ti. Catius Silius Ita llcus), di cui un'epigrafe(t) ci tramanda integralmente il nome;
Marziale e, piú didusamente, Plinio il Giovane, che gli furono amici, ci danno notizie della vita, che si può
collocare approssima tivamente tra il 25 e il 101 d. C. (2). Silio passò attraverso le piú
(t) Nel Corpus Inscriptionum Latinarum (C.l.L.), Vl, 1984. —(2) Ignoto è il luogo di nascita; forse fu campàno.
difficili ' esperienze ' del secolo, che non dovevano non lasciar tracce sull'onorabilità del suo nome. Favorito
di Nerone, trascorse nel corrotto ambiente di corte la prima metà della sua vita, e, secondo la voce
pubblica—come asserisce Plinio—, awilí con la turpe attività del delatore il suo ingegno di cólto e raffinato
awocato Ciò gli valse l'ultimo consolato che concesse Nerone prima della morte. Con Vitellio, in attesa di
tempi migliori, seppe destreggiarsi abilmente; infine sotto Vespasiano, nel 77, ottenne il proconsolato d Asia.
Poi si ritirò a vita privata. Agiato, di gusti raífinatissimi, lasciò Roma per la Campania, dove, nel Napoletano,
possedeva sontuose ville, nel cui variato soggiorno poteva soddisfare la sua volubilità e i suoi capricci di
estèta; philócalos, ' amante del bello ' lo definisce Plinio, che, nel dare notizia della sua morte a Caninio
Rufo, ne descrive il tenore di vita degli ultimi anni, trascorsi in dotti conversari, nell'elaborazione lenta e
studiata del suo poema nell'appassionata raccolta di libri e di oggetti d'arte, nell'ammira, zione quasi
morbosa per la poesia virgiliana, che l'induceva a reli, giosi pellegrinaggi alla tomba del Mantovano.
Annoverò tra i suoi amici anche il filosofo stoico Cornuto, che gli dedicò i suoi 'Commentari ' a Virgilio, e
forse fu questa amicizia ad ispirargli il propo, sito di accettare stoicamente la morte, a cui un tumore maligno
l'aveva ormai condannato senza speranza.
II. - L'opera. - La composizione dei Punicorum libri XVII, noti come Punxca, risale almeno all'88, e forse
anche a prima- in ogni caso Si!io Italico attese al suo poema storico-epico nei iun ghissimi annl del suo otium
partenopèo, libero da ogni impegno pubblico. Se il poema è formalmente concluso, sia la schemati, cità e la
frettolosità dell'ultimo libro, sia l'impostazione per èsadi, d~ cul ci persuaderebbe anche la forma mentis di
questo idolàtra di Virgilio, inducono a pensare che il suo disegno originario fosse di diciotto canti e che
l'autore ne abbia accelerato il corso sulla fine, nel presentimento della morte imminente. Le fonti dei Punlca
sono Nevio, Ennio, Timèo, Catone, Livio: di altre è difficile l'identificazione, per quanto se ne awerta la
presenza. L'argomento abbraccia gli anni dal 219 al 202 a. C.: gli awenimenti della seconda guerra punica,
da Sagunto a Zama, che Livio narra nella terza dècade delle Storie.
I,III., Pròtasi di imitazione virgiliana; le cause della guerra. L'assedio di Sagunto e il ricorso degli infelici
abitanti ai Romani. Anni, bale espugna la città; i Cartaginesi passano i Pirenei e il Rodano, s'affacciano alle
Alpi, le superano fra molte difficoltà e' si accampano nella pianura padana.
IV,VI. - Annibale, vittorioso alla Trebbia e al Ticino, affrónta il passaggio degli Appenini, non meno arduo ed
insidioso del transito alpino. L'attende la dura prova della battaglia del Trasimeno, che occupa quasi
interamente il V libro. Si apre quindi un excursus sulla figura eroica e sublime di Attilio Regolo; segue la
narrazione della situazione angosciosa, creatasi a Roma, mentre Annibale passa con l'esercito in Gm
pania.
VII-IX. - Quinto Fabio Massimo, ricevuta la nomina di dittatore, riesce a ridare fiducia ai legionari, scossa di
nuovo dalla disobbedienza di Minucio, ma8ister equitum, che subisce per l'intempestivitàdell'attacco una
nuova sconfitta; in attesa della battaglia decisiva i due eserciti, romano e cartaginese, si fronteggiano a
lungo. I Romani sono tormen, tati da sinistri presagi, che preludono alla rotta di Gnne; la descrizione della
battaglia infausta occupa tutto il IX libro e prosegue nella prima metà del seguente
X,XII., 11 sacrificio di Emilio Paolo è stato inutile: Annibale, vincitore indiscusso e padrone del campo,
conduce verso Gpua le truppe assetate di bottino e desiderose di rifarsi con ogni mezzo dei rischi e delle
fatiche sostenute; Annibale stesso si abbandona ad ogni mollezza per impulso di Venere, protettrice dei
Romani. Successivamente Annibale riprende la lotta ed è battuto a Nola da M. Claudio Marcello; il Grtaginese intende ora condurre le sue milizie direttamente contro Roma.
XIII-XV., Dopo la descrizione della caduta di Gpua per mano romana, I'azione si sposta in Ispagna, dove
muoiono i due Scipioni; rassegna delle forze romane. Viene introdotta la figura del giovane Publio Cornelio
Scipione, il futuro Africano-: disceso agli Inferi, interroga il padre e lo zio, caduti sul campo ibèrico. Segue la
rassegna dei grandi personaggi romani: Mario e Silla, Cesare e Pompeo, Lucrezia, Virgi, nia e Clelia. La
Sibilla gli predice la disfatta di Annibale. Intanto in Sicilia cade Siracusa, dopo due anni di assedio,
nonostante le ingegnose macchine di Archimède. In Ispagna Asdrubale viene sconfitto e respinto. Passato in
Italia per ricongiungersi col fratello, trova la morte nella battaglia del Metauro.
XVI-XVII., L'azione si sposta in Africa: Massinissa passa ai Romani, dopo la rotta dei Grtaginesi in Ispagna,
e Sifàce ne è impedito da spaventosi prodigi. Scipione sbarca in Africa, mentre a Roma la dea Cíbele è
accolta da Scipione Nasíca. Annibale ritoma in patria, ed un suo tentativo di sbarcare sulla penisola è
frustrato dall'intervento di Nettuno. In cielo intanto gli dèi decidono le sorti della guerra: Giunone accetta il
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volere di Giove, a patto che Annibale eviti diCAusonias perferre catenas; segue lo scontro decisivo di Zama,
il trionfo delle amli romane,
il ritorno del condottiero Scipione e la sua apoteòsi di invictus pater della gens romuleva, novello Quirino,
novello Gmillo.
III. - Valore poetico dei ' Punica '. - 11 modello di Silio ItaIsco è Virgilio. Didone morendo auspicò un suo ex
osstbus ultor (') Annibale e la grande minaccia cartaginese potevano effettiva mente essere feconda materia
di ispirazione per un poeta, che I avesse saputa raccogliere, pur attraverso I eco virgiliana. In Sslio Italico
manca, invece, quella forza di elaborazione poetica, che riesce ad imporsi sui ' fatti ' della storia e ne
consente l'interpretazione trasfigurata in accenti autonomi e personali. La reazione al modo' poetico di
Lucano, che aveva eliminato l'elemento mitologico e trascendente, per sostituirvi la forza nuova, che
attingeva alla coloritura lugubre e drammatica della storia, non par che convinca molto Silio Italico o rimane
tutt'al piú allo stadio intenzionale: egli rappresenta il ritorno ad un classicismo dx maniera, che non riesce
però a piegare alle nuove sensibilità dei tempi né a dominare con intima partecipazione spirituale.
Attraverso i libri dei Puntca questo classicismo dell'età flaviana appare come il naturale sbocco di una
compiuta educazione retorica, a cui è impresa facile la versificazione, impossi bile la poesia. Gli elementi
culturali acquisiti, e talvolta acquisiti anche con finezza e profondità, rimangono spesso allo stato grezzo,
inanimato, e a loro raramente arriva il soffio vitale della poesia Questa non investe neppure i lunghi discorsi
né le tirate morallstiche (ad esempio quella contro le mollezze campane), in cui sI poema si perde con la
rottura di una possibile tensione, alla quale poteva condurre qualche suggestivo particolare di contorno.
Cosi, non convincono gli apporti lucanèi—una delle poche con, cessioni di Silio al poeta ibèrico—circa le
prosopopèe della Virtus, della Discordia e della Voluptas, che in Lucano pure avevano una caratterizzazione
talvolta felice, attraverso la suggestione del pathos. Scipione, combattuto tra Piacere e Virtú, rivela invece le
corde di uno scolastico Ercole al bivio, spogliato, com'è, di ogni tormento umanamente spirituale. Silio Italico
inquadra la matena liviana, da lui svolta con successione cronologica quasi
(I) Aen., 4, 625.
sempre rigorosa, nella cornice virgiliana del divino e del leggen, dario; vi immette i motivi d'obbligo della
poesia omerica, che Virgilio ha incomparabilmente trasfigurati, senza awertire il rischio di una lotta ímpari del
suo poema con 1'Eneile. Il risultato è che il sogno di Annibale non ha neppur da lontano la tempèrie del
sogno d'Agamènnone, la virago Absyrte è una cari, catura della vergine Gmilla, la discesa agli Inferi lascia
inerte anche il lettore meno esigente. Inoltre, anche da un punto di
vlsta tecmco, X moltlsslml emlstlchi vlrgl lam, che dovreb ero sostenere un esametro talvolta fluido, anche a
dispetto della sua studiata elaborazione, ottengono il risultato opposto a quello auspicato dal verseggiatore.
II giudizio sul poema di Silio Italico è qumdl sostanzlalmente negatlvo: opera mancata, se ne possono, se
mai, apprezzare alcuni passi isolati, le rare volte che l'educazione retorica non è rimasta fine a se stessa e la
cura della forma cede alla resa spontanea della immediata impressione, come nella descrizione dell'attònito
stupore dei Cartaginesi, che, al passaggio delle Alpi, per la prima volta vedono la neve (3, 479 sgg.).
IV. - Fortuna. - La lode di Marziale (perpetui numquam moritura volumtna Sili) è indubbiamente insincera ed
interessata: il ' cliente ' ha preso la mano all'uomo di spirito, e gui ricorre ad un complimento convenzionale e
generico, molto lontano da quello per Lucano, di cui ' i librai ben sanno se la Farsàglia si vende '. Plinio
giudica con maggior sincerità: I'opera gli pare elaborata maiore cura quam ingenio. Poi, per secoli, il silenzio:
solo Apollinare Sidonio ricorda, e rapidamente, i Puntca, i quali non pare abbiano avuto alcuna influenza
sulla cultura del Medio Evo; questo invece attribuisce a Silio Italico una Iltwas Latina in 1070 esametri (ne
soprawive la metà), parte traduzione, parte riassunto dell'lliade, in virtú di un acròstico nei primi ed ultimi
versi (Italicus... scripsit); ma il suo autore sarebbe da identificare probabilmente in quel Bebio Italico, che fu
contemporaneo di Manilio. Nella prima metà del 1400, in occasione del concilio di Costanza, il Bracciolini
scoprí i libri dei Puntwca, ma neppure il fervore umanistico riuscí a creare interesse per il plúmbeo poema,
che rimane a documento piú dello spirito che della poesia epica del tempo.
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C. Valerio Flacco
Cenni biografici
Nato forse a Setia, odierna Sezze, in una data sconosciuta, ma comunque nella seconda metà del
I secolo.
Anche la data di morte non è certa, forse il 93 d.C. Quintiliano vi si riferisce nell’Institutio come a un
fatto recente.
Fece parte del collegio quidecemviri sacris faciundis", era quindi preposto all'organizzazione dei
ludi secolari e all'interpretazione dei libri sibillini.
Opere
Unica opera sono gli Argonautica, un poema mitologico in esametri, (quasi 5600) dedicato a
Vespasiano.
Iniziato tra il 70 e l’80 d.C. esso risulta interrotto al VIII libro (v.467). Ulteriore elemento di
datazione è il riferimento interno (III e IV libro) all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
La fonte per il materiale mitologico e il modello di riferimento nella cultura greca è Apollonio Rodio,
autore di un poema dallo stesso titolo. La struttura del poema di Flacco risulta bipartita: nella prima
parte viene descritto il viaggio compiuto dagli Argonauti, cioè da Giasone e dai suoi compagni a
bordo appunto della nave Argo, alla conquista del vello d’oro; nella seconda parte, in autonomia
maggiore rispetto ad Apollonio, si parla della guerra contro Perse.
Polemica antilucanea e ripresa del modello virgiliano; sensibilità all’esperienza del teatro
senecano.
Il mito di Argo era stato trattato da Accio, Ovidio, Lucano e Seneca. Varrone Atacino aveva
composto un libero rifacimento del poema di Apollonio.
Osservazioni
Testi e testimonianze
Controllo Marziale
TEMPORIBVS nostris aetas cum cedat auorum
creuerit et maior cum duce Roma suo,
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ingenium sacri miraris deesse Maronis,
nec quemquam tanta bella sonare tuba.
sint Maecenates, non deerunt, Flacce, Marones,
Vergiliumque tibi uel tua rura dabunt.
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5
Quint., 1,10,85-92
Idem nobis per Romanos quoque auctores ordo ducendus est. Itaque ut apud illos Homerus, sic apud nos
Vergilius auspicatissimum dederit exordium, omnium eius generis poetarum Graecorum nostrorumque haud
dubie proximus. Vtar enim uerbis isdem quae ex Afro Domitio iuuenis excepi, qui mihi interroganti quem
Homero crederet maxime accedere 'secundus' inquit 'est Vergilius, propior tamen primo quam tertio'. Et
hercule ut illi naturae caelesti atque inmortali cesserimus, ita curae et diligentiae uel ideo in hoc plus est,
quod ei fuit magis laborandum, et quantum eminentibus uincimur, fortasse aequalitate pensamus. Ceteri
omnes longe sequentur. Nam Macer et Lucretius legendi quidem, sed non ut phrasin, id est corpus
eloquentiae, faciant, elegantes in sua quisque materia, sed alter humilis, alter difficilis. Atacinus Varro in iis
per quae nomen est adsecutus interpres operis alieni, non spernendus quidem, uerum ad augendam
facultatem dicendi parum locuples. Ennium sicut sacros uetustate lucos adoremus, in quibus grandia et
antiqua robora iam non tantam habent speciem quantam religionem. Propiores alii atque ad hoc de quo
loquimur magis utiles. Lasciuus quidem in herois quoque Ouidius et nimium amator ingenii sui, laudandus
tamen partibus. Cornelius autem Seuerus, etiam si est uersificator quam poeta melior, si tamen ut est dictum
ad exemplar primi libri bellum Siculum perscripsisset, uindicaret sibi iure secundum locum. Serranum
consummari mors inmatura non passa est, puerilia tamen eius opera et maximam indolem ostendunt et
admirabilem praecipue in aetate illa recti generis uoluntatem. Multum in Valerio Flacco nuper amisimus.
Vehemens et poeticum ingenium Salei Bassi fuit, nec ipsum senectute maturuit. Rabirius ac Pedo non
indigni cognitione, si uacet. Lucanus ardens et concitatus et sententiis clarissimus et, ut dicam quod sentio,
magis oratoribus quam poetis imitandus. Hos nominamus quia Germanicum Augustum ab institutis studiis
deflexit cura terrarum, parumque dis uisum est esse eum maximum poetarum. Quid tamen his ipsis eius
operibus in quae donato imperio iuuenis secesserat sublimius, doctius, omnibus denique numeris
praestantius? Quis enim caneret bella melius quam qui sic gerit? Quem praesidentes studiis deae propius
audirent? Cui magis suas artis aperiret familiare numen Minerua? Dicent haec plenius futura saecula, nunc
enim ceterarum fulgore uirtutum laus ista praestringitur. Nos tamen sacra litterarum colentis feres, Caesar, si
non tacitum hoc praeterimus et Vergiliano certe uersu testamur
'inter uictrices hederam tibi serpere laurus.'
85. Dobbiamo seguire lo stesso ordine passando in rassegna anche gli autori romani. Pertanto,
come nella letteratura greca Omero, così nella nostra Virgilio ci darà un inizio sotto i migliori
auspici: tra tutti i poeti greci e latini che coltivarono questo genere egli è senza dubbio quello che
più si avvicina a Omero. 86. Ricorrerò alle stesse parole che da giovane ho udito da Afro Domizio:
gli chiedevo quale poeta pensava che si avvicinasse di più a Omero, disse: «Virgilio è secondo,
ma più vicino al primo che al terzo». E, per Ercole, come dovremo ammettere la superiorità di
quell'essere celeste e immortale, così in Virgilio ci sono più cura e attenzione, proprio per il fatto
che dovette darsi da fare di più; e la sconfitta che subiamo nelle parti eccellenti, forse la
compensiamo con l'uniformità. 87. Tutti gli altri seguiranno a grande distanza. Macro e Lucrezio
sono senz'altro da leggere, ma non per formare lo stile, cioè il corpo dell'eloquenza; ciascuno dei
due è elegante nella sua materia, ma l'uno è basso, l'altro difficile. Varrone Atacino, che conseguì
la fama traducendo l'opera di un altro, non è da disdegnare, ma è poco dotato di mezzi per
ampliare la capacità d'espressione. 88. Dobbiamo venerare Ennio come veneriamo i boschi sacri
per la loro antichità: in essi le querce grandi e antiche non hanno più una bellezza pari al senso di
religiosità che ispirano. Ci sono autori più recenti e più utili per raggiungere lo scopo di cui
parliamo. Ovidio è frivolo, a dire il vero, anche nella poesia esametrica, è troppo amante del
proprio talento, ma merita di essere lodato in alcune parti. 89. Cornelio Severo, poi, pur essendo
migliore come versificatore che come poeta, se tuttavia (come è stato detto) avesse scritto tutto il
Bellum Siculum come il primo libro, reclamerebbe a buon diritto il secondo posto. La morte
precoce non ha consentito a Serrano di raggiungere la perfezione, tuttavia le sue opere giovanili
dimostrano doti grandissime e un'inclinazione a un genere corretto di stile ammirevole soprattutto
in un giovane di quell'età. 90. Abbiamo perso molto con la recente scomparsa di Valerio Flacco.
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Veemente e poetica fu l'indole di Saleio Basso, ma neppure essa ebbe la possibilità di maturare
con la vecchiaia. Rabirio e Pedone meritano di essere conosciuti, se si ha tempo. Lucano- è
ardente, veemente e assai splendido nelle massime, e, per dire quello che penso, merita di essere
imitato più dagli oratori che dai poeti.
91. Citiamo questi autori perché Augusto Germanico fu distolto dagli studi intrapresi dal governo
del mondo e perché agli dèi parve insufficiente il fatto che fosse il più grande dei poeti. Tuttavia
cosa c'è di più elevato, colto, di più eccellente sotto ogni profilo, insomma, di queste stesse sue
opere per dedicarsi alle quali si era ritirato, da giovane, dopo aver deposto il potere? Chi infatti
avrebbe cantato le guerre meglio di chi sa condurle in quel modo? Chi avrebbero ascoltato con
maggior favore le dee protettrici degli studi letterari? A chi avrebbe rivelato maggiormente le sue
arti Minerva, divinità di famiglia? 92. Le generazioni future lo diranno meglio: oggi questo merito è
offuscato dallo splendore delle altre virtù. Ciononostante, Cesare, tollererai che noi, cultori dei riti
delle lettere, non passiamo questo merito sotto silenzio e lo testimoniamo almeno con un verso di
Virgilio:
«L'edera si intreccia all'alloro del trionfo».
Trad. C.M. Calcante, Milano, Rizzoli, 1997, 20012.
Val. Flacc., 1,1-21 Il proemio
Prima deum magnis canimus freta pervia natis
fatidicamque ratem, Scythici quae Phasidis oras
ausa sequi mediosque inter iuga concita cursus
rumpere flammifero tandem consedit Olympo.
Phoebe, mone, si Cumaeae mihi conscia vatis
stat casta cortina domo, si laurea digna
fronte viret, tuque o pelagi cui maior aperti
fama, Caledonius postquam tua carbasa vexit
Oceanus Phrygios prius indignatus Iulos,
eripe me populis et habenti nubila terrae,
sancte pater, veterumque fave veneranda canenti
facta virum: versam proles tua pandit Idumen,
namque potest, Solymo nigrantem pulvere fratrem
spargentemque faces et in omni turre furentem.
ille tibi cultusque deum delubraque genti
instituet, cum iam, genitor, lucebis ab omni
parte poli neque erit Tyriae Cynosura carinae
certior aut Grais Helice servanda magistris.
seu tu signa dabis seu te duce Graecia mittet
et Sidon Nilusque rates: nunc nostra serenus
orsa iuves, haec ut Latias vox impleat urbes.
Val., Arg., 7, 101-52 segg. L'innamoramento di Medea
Talibus attonitos dictis natamque patremque
linquit et infida praeceps prorumpit ab aula.
at trepida et medios inter deserta parentes
virgo silet nec fixa solo servare parumper
lumina nec potuit maestos non flectere vultus
respexitque fores et adhuc invenit euntem.
visus et heu miserae tunc pulchrior hospes amanti
discedens; tales umeros, ea terga relinquit.
illa domum atque ipsos paulum procedere postes
optat, at ardentes tenet intra limina gressus.
qualis ubi extremas Io vaga sentit harenas
fertque refertque pedem, tumido quam cogit
Erinys
ire mari Phariaeque vocant trans aequora matres,
circuit haud aliter foribusque impendet apertis
an melior Minyas revocet pater, oraque quaerens
hospitis aut solo maeret defecta cubili
aut venit in carae gremium refugitque sororis
atque loqui conata silet rursusque recedens
quaerit, ut Aeaeis hospes consederit oris
Phrixus, ut aligeri Circen rapuere dracones.
tum comitum visu fruitur miseranda suarum
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implerique nequit subitoque parentibus haeret
blandior et patriae circumfert oscula dextrae.
sic adsueta toris et mensae dulcis erili
aegra nova iam peste canis rabieque futura
ante fugam totos lustrat queribunda penates.
tandem etiam molli semet sic increpat ira:
'pergis,' ait 'demens, teque illius angit imago
curaque, qui profuga forsan tenet alta carina
quique meum patrias referet nec nomen ad
urbes?
quid me autem sic ille movet, superetne labores
an cadat et tanto turbetur Graecia luctu?
saltem, fata virum si iam suprema ferebant,
iussus ad ignotos potius foret ire tyrannos
o utinam et tandem non hac moreretur in urbe!
namque et sidereo nostri de sanguine Phrixi
dicitur et caram vidi indoluisse sororem
seque ait has iussis actum miser ire per undas.
at redeat quocumque modo meque ista precari
nesciat atque meum non oderit ille parentem.'
dixerat haec stratoque graves proiecerat artus,
si veniat miserata quies, cum saevior ipse
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turbat agitque sopor; supplex hinc sternitur
hospes,
hinc pater. illa nova rumpit formidine somnos
erigiturque toro. famulas carosque penates
agnoscit, modo Thessalicas raptata per urbes:
turbidus ut poenis caecisque pavoribus ensem
corripit et saevae ferit agmina matris Orestes;
ipsum angues, ipsum horrisoni quatit ira flagelli
atque iterum infestae se fervere caede Lacaenae
credit agens falsaque redit de strage dearum
fessus et in miserae conlabitur ora sororis.
Traduzione Valerio Flacco
Bibliografia
ed. E. Courtney, Leipzig 1970.
ed. W. Ehlers, Stuttgard 1980.
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Kriegsthemas in den Argonautica / von Peter Schenk, Munchen: C. H. Beck, c1999, Zetemata
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Barich, Michael Joseph, Aspects of the poetic technique of Valerius Flaccus / Michael Joseph Barich, Ann
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Descrizione fisica: IV, 179 p. ; 22 cm.
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Nomi: Barich, Michael Joseph
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Matthias Korn und Hans Jurgen Tschiedel, Hildesheim [ecc.]: G. Olms, 1991, Spudasmata
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Numeri: ISBN - 340605157X
Korn, Matthias, Valerius Flaccus, Argonautica 4, 1-343: ein Kommentar / Matthias Korn, Hildesheim: G.
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Berti, Francesco, Caio Valerio Flacco Setino Balbo / Francesco Berti, Firenze: Firenze libri, 1988, Piccola
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Nomi: Berti, Francesco
Soggetti: Valerio Flacco, Gaio Setino Balbo
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herausgegeben von Wolfgang Haas, Berlin ; New York, 1986
Fa parte di: 2: Principat.
Nomi: Haase, Wolfgang
Soggetti: CURZIO RUFO, QUINTO
MARZIALE, MARCO VALERIO
PLINIO SECONDO, CAIO
QUINTILIANO, MARCO FABIO
SILIO ITALICO, TIBERIO CAIO ASCONIO
VALERIO FLACCO, GAIO
Korn, Matthias, Concordantia in Valerii Flacci Argonautica / curantibus Matthias Korn, Wolfgang A. Slaby,
Hildesheim ; Zurich ; New York, 1988
Descrizione fisica: 2 v. (1555 p. compless.) ; 29 cm., Alpha-omega. Reihe A, Lexika, Indizes,Konkordanzen
zur klassischen Philologie
Comprende: 1: A-M / curantibus Matthias Korn, Wolfgang A.Slaby
2: N-Z / curantibus Matthias Korn, WolfgangA. Slaby
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Korn, Matthias, Valerius Flaccus, Argonautica 4,1-343: ein Kommentar / Matthias Korn, Hildesheim ; Zurich ;
New York, 1989, Spudasmata
Contino, Salvatore, Lingua e stile in Valerio Flacco / Salvatore Contino, Bologna: Patron, 1973
Contributi a tre poeti latini: Valerio Flacco, Rutilio Namaziano, Pascoli / R. Nordera ... [et al., Bologna: R.
Patron, 1969
Note Generali: In testa al front.: Facolta di magistero della Universita di Padova, Istituto di filologia latina.
Merone, Emilio, Sulla lingua di Valerio Flacco / Emilio Merone, Napoli: Armanni, 1957, Biblioteca del
Giornale italiano di filologia
Ussani, Vincenzo <1922- >, Appunti dalle lezioni di lingua e letteratura latina: anno accademico 1967-68,
Roma: Libreria editrice E. De Santis, [1968]
Note Generali: In testa al front.: Universita degli studi di Roma, Facolta di magistero .
ICCU per autore
Wijsman, Henri J. W., Valerius Flaccus, Argonautica, Book 6.: a commentary / by Henri J. W. Wijsman,
Leiden [etc.]: Brill, 2000, Mnemosyne. Supplementum
Valerius Flaccus, Gaius, Le Argonautiche / Valerio Flacco ; introduzione, traduzione e note di Franco
Caviglia
Edizione: 2. ed, Milano: Biblioteca Universale Rizzoli, 2000
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Titolo uniforme: Argonautica
Valerius Flaccus, Gaius, Argonautica: Die Sendung der Argonauten / C. Valerius Flaccus ; herausgegeben,
ubersetzt und kommentiert von Paul Drager, Frankfurt am Main: P. Lang, 2003, Studien zur klassischen
Philologie
Valerius Flaccus, Gaius, 2: Chants 5.-8. / Valerius Flaccus ; texte etabli et traduit par Gauthier Liberman,
Paris: Les belles lettres, 2002, Collection des universites de France. Ser.latine
Fa parte di: Argonautiques / Valerius Flaccus ; texte etabli et traduit par Gauthier Liberman
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Valerius Flaccus, Gaius, C. Valeri Flacci Argonauticon liber 7. / a cura di Alessandro Perutelli, Firenze: F. Le
Monnier, 1997, Biblioteca nazionale. Serie dei classici grecie latini. Testi con commento filologico. N. S
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Le Argonautiche / Valerio Flacco ; introduzione traduzione e note di Franco Caviglia, Milano: Biblioteca
universale Rizzoli, 1999
Wijsman, Henri J. W., Talis Colchis Erat: Valerius Flaccus Argonautica, book 5: a commentary / door Henri
Jacob Willem Wijsman, Leiden [etc.], 1996
Fucecchi, Marco, La teichoskopia e l'innamoramento di Medea: saggio di commento a Valerio Flacco:
Argonautiche 6,427-760 / Marco Fucecchi, Pisa: ETS, [1997], Testi e studi di cultura classica
Wijsman, Henri J. W., Valerius Flaccus: Argonautica Book 5.: a commentary / by H. J. W. Wijsman, Leiden
[etc.]: E. J. Brill, 1996, Mnemosyne. Supplementum
Valerius Flaccus, Gaius, Argonauticon liber 7. / C. Valeri Flacci ; a cura di Alessandro Pertelli, Firenze: Le
Monnier, 1997, Biblioteca nazionale. Serie dei classici grecie latini. Testi con commento filologico. N. S
Valerius Flaccus, Gaius, The Voyage of the Argo: the Argonautica of Gaius Valerius Flaccus / translated by
David R. Slavitt, Baltimore and London: The Johns Hopkins University press, c1999
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Valerius Flaccus, Gaius, 1: Chants 1.-4. / Valerius Flaccus, Paris: Les belles lettres, 1997, Collection des
universites de France. Ser.latine
Fa parte di: Argonautiques / Valerius Flaccus ; texte etabli et traduit par Gauthier Liberman
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Valerius Flaccus, Gaius, Argonautiche: libro 7. / C. Valerio Flacco ; introduzione, testo e commento a cura di
Annamaria Taliercio, Roma: GEI, c 1992, Scriptores latini
Titolo uniforme: Argonautica
Nomi: Valerius Flaccus, Gaius
Valerius Flaccus, Gaius, Argonautica book 2.: a commentary / C. Valerius Flaccus ; H. M. Poortvliet,
Amsterdam: VU University Press, 1991
Stadler, Hubert, Valerius Flaccus, Argonautica 7.: ein Kommentar / Hubert Stadler, Hildesheim [etc.]: G.
Olms, 1993, Spudasmata
Wacht, Manfred, Juppitters Weltenplan im Epos des Valerius Flaccus / von Manfred Wacht, Mainz:
Akademie der Wissenschaften und der Literatur, c 1991
Fa parte di: Abhandlungen der Geistes-und sozialwissenschaftlichen Klasse / Akademie der Wissenschaften
und der Literatur
Valerius Flaccus, Gaius, C. Valeri Flacci Argonauticon: libri octo / recensuit Edward Courtney, Leipzig:
Teubner, 1970, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
Valerius Flaccus, Gaius, Valerius Flaccus / With an English translation by J.H. Mozley, London: W.
Heinemann, Mass., The Loeb classical library
Note Generali: Testo latino e trad. inglese a front. .
Valerius Flaccus, Gaius, 1: C. Valeri Flacci Setini Balbi argonauticon libri octo / enarravit P. Langen,
Nendeln: Kraus reprint, 975
Fa parte di: Berliner Studien fur classische Philologie und Archaeologie
Valerius Flaccus, Gaius, Giasone e Medea: epos ed eros: dagli Argonauticon libri di Valerio Flacco: testo,
traduzione, osservazioni sulla lingua, note critiche ed esegetiche / [a cura di] Silvana Rocca, Genova:
Tilgher, 1979
Valerius Flaccus, Gaius, Argonauticon libri octo / C. Valeri Flacci ; recensuit Edward Courtney, Leipzig: B. G.
Teubner, 1970, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
Valerius Flaccus, Gaius, Argonauticon libri 8. / C. Valerius Flaccus, Pisa: in aedibus Giardini editori e
stampatori, 1985, Scriptorum Romanorum quae extant omnia
Korn, Matthias, Concordantia in Valerii Flacci Argonautica / curantibus Matthias Korn, Wolfgang A. Slaby,
Hildesheim ; Zurich ; New York, 1988, Alpha-omega. Reihe A, Lexika, Indizes,Konkordanzen zur klassischen
Philologie
Comprende: 1: A-M / curantibus Matthias Korn, Wolfgang A.Slaby
2: N-Z / curantibus Matthias Korn, WolfgangA. Slaby
Nomi: Korn, Matthias
Slaby, Wolfgang A.
Valerius Flaccus, Gaius
Valerius Flaccus, Gaius, Argonautica / Caius Valerius Flaccus Setinus Balbus ; lateinischer Text mit
Einleitung, Ubersetzung, kurzen Erlauterungen, Eigennamenverzeichnis und Nachwort / von Hermann
Rupprecht, Mitterfels: F. Stolz, 1987
C. Valeri Flacci Argonauticon libri octo / recensuit Edward Courtney, Leipzig: Teubner, 1970, Bibliotheca
scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
Antologia dagli Argonautica di Valerio Flacco / cur V. Ussani jr, [Roma]: Edizioni dell'Ateneo, [196.?]
Ussani, Vincenzo <1870-1952>
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Valerius Flaccus, Gaius, Lezioni su Valerio Flacco / [di] Ignazio Cazzaniga, Milano: La goliardica, [1964?]
Note Generali: Contiene il testo degli Argonautica, la trad. italiana di L. Carelli e un commento di I.
Cazzaniga
Litografato .
Argonauticon / Gaius Valerius Flaccus ; with an english translation by J. H. Mozle, London: Heinemann,
1963
Note Generali: Testo originale a fronte
Lucanus, Marcus Annaeus, Farsaglia / Lucano. Argonautiche / Valerio Flacco ; a cura di Libera Care lli,
Torino: UTET, stampa 1954, Classici latini
Nomi: Lucanus, Marcus Annaeus
Valerius Flaccus, Gaius
Altri titoli collegati: [Pubblicato con] Farsaglia / Lucano.
[Pubblicato con] Argonautiche / Valerio Flacco.
Valerius Flaccus, Gaius, Le Argonautiche / C. Valerio Flacco, Torino: UTET, 1954
Nomi: Valerius Flaccus, Gaius
Lucanus, Marcus Annaeus, Lucano: Farsaglia Segue. Flaccus, Caius Valerius Balbus Setinus. Argonautiche
(argonautica). [traduzioni dal latino] a cura di Libera Carelli, Torino: Utet, Unione Tip. Ed. Torinese, 1954,
Tip. Torinese, Classici latini
Valerius Flaccus, Gaius, Valerius Flaccus / with an english translation by J. H. Mozley, London: William
heinemann, Massachusetts, The Loeb classical library
Note Generali: Testo orig. a fronte
C. Valerii Flacci Setini Balbi Argonauticon libri octo / edidit Otto Kramer
Edizione: Editio stereotypa editionis primae (1913), Stuttgardiae: In aedibus B. G. Teubneri, 1967,
Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
Titolo uniforme: Argonautica
Nomi: Valerius Flaccus, Gaius
Kramer, Otto
Valerius Flaccus, Gaius, < Argonautica> / Valerius Flaccus ; with an English translation by J. H. Mozley
Edizione: Rev. and repr, Cambridge, Mass., The Loeb classical library
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Valerius Flaccus, Gaius, Valerius Flaccus / with an english translation by J. H. Mozley, London: Heinemann,
Mass.
Descrizione fisica: PAginazione varia ; 17 cm., The Loeb classical library
Schulte, William H., Index verborum Valerianus / by William H. Schulte, Scottdale, Pennsylvania
Nomi: Schulte, William H.
Valerius Flaccus, Gaius
Paese di pubblicazione: US
C. Valeri Flacci Setini Balbi Argonauticon libri octo / edidit Otto Kramer, Lipsiae: In aedibus Teubneri, 1913,
Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
C. Valeri Flacci Balbi Setini Argonauticon libri octo / recognovit Caesar Giarratano, Mediolani ; Panormi ;
Neapoli, 1904
Nomi: Valerius Flaccus, Gaius
Giarratano, Cesare
Altri titoli collegati: [Variante del titolo] Argonauticon libri octo
[Variante del titolo] Cai Valeri Flacci Balbi Setini Argonauticon libri octo
C. Valeri Flacci argonauticon / ed. J. B. Bury, Londini: Sumptibus Bell, 1900
Bury, John Bagnell
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Valerius Flaccus, Gaius, Argonauticon libri 8. / C. Valerius Flaccus ; edid. Otto Kramer, Lipsiae: Teubner,
1913
Argonauticon libri octo / recognovit C. Giarratano, Milano: Sandron, 1914
Nomi: Valerius Flaccus, Gaius
Giarratano, Cesare
Argonauticon libri Octo: Recognovit Caesar Giarratano, Mediolani: Apud Remum Sandron, 1904 (Neapoli,
Typ. Francisci Giannini Et Filii)
Descrizione fisica: 4. p. LVJ, 82.
L' Argonautica / di C. Valerio Flacco ; volgarizzata dal marchese Marc'Antonio Pindemonte, Venezia: nel
privil. stab. nazionale di G. Antonelli, 1851, Biblioteca degli scrittori latini
C. Valeri Flacci Setini Balbi Argonauticon libri octo / recognovit A. Baehrens, Leipzig: Teubner, 1875,
Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
Lucretius Carus, Titus, Lucrece Virgile Valerius Flaccus: ouvres completes avec la traduction en francais /
publiee sous la direction de M. Nisard, Paris: Firmin Didot, 1880, Collection des auteurs latins avec
latraduction en francais
L' argonautica / C. Valerio Flacco ; volgarizzata da Marc'Antonio Pindemonte, Venezia: Antonelli, 1851,
Biblioteca degli scrittori latini
Lucretius Carus, Titus, Oeuvres completes / Lucrece, Virgile, Valerius Flaccus ; avec la traduction en
francais ; publiees sous la direction de M. Nisard, Paris: chez Firmin Didot, 1864, Collection des auteurs
latins avec latraduction en francais
Valerius Flaccus, Gaius, 1: Continens libros 1.-3, Berolini: apud S. Calvary, 1896
Fa parte di: C. Valeri Flacci Setini Balbi Argonauticon libri octo / enarravit P. Langen
2: Continens libros 4.-8, Berolini: apud S. Calvary & co., 1897
Fa parte di: C. Valeri Flacci Setini Balbi Argonauticon libri octo / enarravit P. Langen
Valerius Flaccus, Gaius, Argonauticon libri octo / edidit C. Schenkl, Berlin: Weidmann, 1871
Schenkl, Karl, Studien zu den Argonautica des Valerius Flaccus, Wien: Gerold in Komm., 1871
Valerius Flaccus, Gaius, C. Valeri Flacci Setini Balbi Argonauticon libri octo / recognovit Aemilius Baehrens,
Lipsiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1875, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
"Valerio Flacco Balbo Gaio - Castaldi",
Caio Valerio Flacco Balbo Setino
(n. Setia?, od. Sezze, nel Lazio - m. 93 ? d.C.)
Vita.
Nulla si sa di lui, tranne che fu dei "quidecemviri sacris faciundis", preposto cioè all'organizzazione dei ludi
secolari e all'interpretazione dei libri sibillini. La sua attività si compie, comunque, sotto l'impero di
Domiziano, secondo la testimonianza di Quintiliano. Non visse abbastanza a lungo per portare a termine il
suo capolavoro.
Opera e considerazioni.
In tacita polemica con Lucano, che aveva trattato un tema d’attualità, F. tornò al mito e scrisse un poema
epico mitologico in esametri, dedicato a Vespasiano: "Argonautica" ("Storie degli Argonauti"), iniziato verso
l’80, ma interrotto bruscamente al libro VIII.
La materia, derivata liberamente dall’omonimo poema di Apollonio Rodio, racconta la conquista del vello
d’oro (e nell’enfasi sul dominio del mare, contenuta soprattutto nel proemio, c’è forse un riferimento
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all’ideologia vespasiana) e la passione di Medea per Giàsone; nella seconda parte del poema, poi, F. distaccandosi dal mito - inserisce una vicenda bellica (guerra contro Perse): la struttura narrativa dell'opera
viene così a riprodurre sostanzialmente quella bipartita dell' "Eneide": alla narrazione del viaggio segue
quella della guerra e delle altre vicende in Colchide.
Proprio questa sottesa "ispirazione" virgiliana spinge il nostro ad una poetica, come dire, "reazionaria",
nell’apparato mitologico e divino e nell’impostazione edificante. Nei punti, invece, in cui egli segue da vicino il
testo greco, la sua rielaborazione appare guidata dalla ricerca dell’effetto, per ottenere il coinvolgimento
emotivo del lettore.
L'elemento romano è rappresentato, se vogliamo, dal tentativo del poeta di comparare l'impresa degli
Argonauti a quella di Vespasiano che esplora i mari intorno alla Bretagna. Più sensibilmente stoica di quanto
non fosse già in Virgilio, è poi la presenza di Giove come provvidenza, aspetto per il quale F. subiva
l'influenza del pensiero contemporaneo. E’ evidente, inoltre, che il poeta ha conosciuto e apprezzato le
tragedie romane, in modo particolare, forse, quelle di Seneca. Come quest'ultimo, si mostra sensibile alla
poesia "cosmica" (le evocazioni del cielo stellato, dei venti, del mare sono introdotte non tanto come forme
spettacolari, quanto come presenze di forze naturali).
Discepolo dei poeti tragici, F. lo è pure nelle sue motivazioni "soggettive" e psicologiche (il che fa pensare
anche a Lucano), e nel dar valore all'eroe (Giàsone, ma anche Medea, ecc.) quale eroe "universale", mentre
nell' "Eneide" esso era collegato maggiormente al suo contesto religioso e sociale.
Questa poesia "riflessa" ed elaborata – talora "manieristica" – rischia a volte di disperdersi sotto tali
molteplici spinte, non sempre armonizzate: ma se F. fallisce spesso nella creazione di strutture narrative
articolate, al contrario riesce elegante e raffinato nel particolare, nel dettaglio descrittivo, nella notazione
appunto psicologica. Da tutto ciò, risulta un testo narrativo assai difficile, spesso oscuro, che si caratterizza
come estremamente dotto anche per quanto riguarda la sua destinazione di pubblico.
"Valerio Flacco Balbo Gaio - Treccani"
Valerio Flacco Balbo Gaio. Poeta epico latino, nativo di Setia (Sezze Romano). Non abbiamo molte notizie
sulla sua vita. Sappiamo che appartenne al collegio dei Quindecemviri sacris faciundis. Il suo poema
Argonautica, iniziato verso il 70 d.C., lo tenne occupato per tutta la vita. Nel III e nel IV libro fece riferimento
all'eruzione del Vesuvio del 79. Secondo una notizia di Quintiliano morì poco dopo il 90.
Sul modello di Virgilio V. elaborò la materia già trattata da Apollonio Rodio. Il personaggio più
importante è Giasone, ma un rilievo particolare ha Medea, che appare una figura viva, con tutti gli urti e le
sfumature psicologiche. L'opera rimase incompiuta alla metà dell'VIII libro.
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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P. Papinio Stazio
Cenni biografici
Nacque a Napoli intorno al 45 d.C. (ma le date oscillano tra il 40 e il 50 e per alcuni 60-61) da un
maestro di retorica, poeta anch’esso, originario della Lucania. Papinio stesso aprì una scuola a
Napoli e partecipò ai concorsi poetici dei ludi Augustales.
Trasferitosi a Roma prima del 69, entrò in contatto con gli ambienti di corte e nelle grazie di
Domiziano.
Vittoria nel concorso dei ludi Albani intorno all’89, 90, con componimento sulle guerre daciche di
Domiziano.
Tra il 90 e il 94 partecipa, senza vincere, ai concorsi dei ludi Capitolini.
A Roma sposò anche una Claudia, vedova di un cantore o citarista, già con una figlia. Da essa S.
non ebbe figli.
Si ritirò a Napoli con il 94, dove verosimilmente morì intorno al 95. Secondo altri Stazio sarebbe
morto a Roma.
Opere
Agave
Pantomimo; vi allude Giovenale; va datato prima dell’83.
Carmen de bello Germanico
Thebais
In dodici libri.
Fu composta tra l’80 e il 92 d.C., secondo altri tra il 78-79 e il 90-91.
Achilleis
Composta a partire dal 94, restò incompiuta.
Silvae
Composte tra l’89 e il 95, furono dedicate all’amico Arrunzio Stella.
Raccolta di 32 componimenti.
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Altro
In Silv. 5,3,195 si ricorda la composizione in versi di un Bellum Vitellianum (controllo)
Osservazioni
Testi e testimonianze
Stat., silv. 5,133 segg. Per primi successi poetici e oratori e aanche per scuola paterna.
Iuv., 7, 79-95
Contentus fama iaceat Lucanus in hortis
marmoreis, at Serrano tenuique Saleiio
gloria quantalibet quid erit, si gloria tantum est?
curritur ad uocem iucundam et carmen amicae
Thebaidos, laetam cum fecit Statius urbem
promisitque diem: tanta dulcedine captos
adficit ille animos tantaque libidine uolgi
auditur. sed cum fregit subsellia uersu
esurit, intactam Paridi nisi uendit Agauen.
ille et militiae multis largitus honorem
semenstri uatum digitos circumligat auro.
quod non dant proceres, dabit histrio. tu Camerinos
et Baream, tu nobilium magna atria curas?
praefectos Pelopea facit, Philomela tribunos.
haut tamen inuideas uati quem pulpita pascunt.
quis tibi Maecenas, quis nunc erit aut Proculeius
aut Fabius, quis Cotta iterum, quis Lentulus alter?
Traduzione Giovenale
Controlla Quint., inst.10,3,17 per possibile allusione negativa a Stazio, non altrimenti nominato, e
considerazioni sul genere silva.
..eorum vitium…levitas.
Stat., Theb., 10, 827-939. Capaneo (Dante)
Hactenus arma, tubae, ferrumque et uulnera: sed
nunc
comminus astrigeros Capaneus tollendus in axes.
non mihi iam solito uatum de more canendum;
maior ab Aoniis poscenda amentia lucis:
mecum omnes audete deae! siue ille profunda
missus nocte furor, Capaneaque signa secutae
arma Iouem contra Stygiae rapuere sorores,
seu uirtus egressa modum, seu gloria praeceps,
seu magnae data fama neci, seu laeta malorum
principia et blandae superum mortalibus irae.
iam sordent terrena uiro taedetque
profundae
caedis, et exhaustis olim Graiumque suisque
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missilibus lassa respexit in aethera dextra.
ardua mox toruo metitur culmina uisu,
innumerosque gradus gemina latus arbore
clausos
aerium sibi portat iter, longeque timendus
multifidam quercum flagranti lumine uibrat;
arma rubent una clipeoque incenditur ignis.
'hac' ait 'in Thebas, hac me iubet ardua uirtus
ire, Menoeceo qua lubrica sanguine turris.
experiar quid sacra iuuent, an falsus Apollo.'
dicit, et alterno captiua in moenia gressu
surgit ouans: quales mediis in nubibus aether
uidit Aloidas, cum cresceret impia tellus
despectura deos nec adhuc inmane ueniret
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
Pelion et trepidum iam tangeret Ossa Tonantem.
tunc uero attoniti fatorum in cardine summo,
ceu suprema lues urbi facibusque cruentis
aequatura solo turres Bellona subiret,
omnibus e tectis certatim ingentia saxa
roboraque et ualidas fundae Balearis habenas,
nam iaculis caeloque uagis spes unde sagittis?–
uerum auidi et tormenta rotant et molibus urguent.
ille nec ingestis nec terga sequentibus umquam
detrahitur telis, uacuoque sub aere pendens
plana uelut terra certus uestigia figat,
tendit et ingenti subit occurrente ruina:
amnis ut incumbens longaeui robora pontis
adsiduis oppugnat aquis; iam saxa fatiscunt
emotaeque trabes: tanto uiolentior ille
sentit enim maiore salo quassatque trahitque
molem aegram, nexus donec celer alueus omnes
abscidit et cursu uictor respirat aperto.
utque petita diu celsus fastigia supra
eminuit trepidamque adsurgens desuper urbem
uidit et ingenti Thebas exterruit umbra,
increpat attonitos: 'humilesne Amphionis arces,
pro pudor, hi faciles, carmenque imbelle secuti,
hi, mentita diu Thebarum fabula, muri?
et quid tam egregium prosternere moenia molli
structa lyra?' simul insultans gressuque manuque
molibus obstantes cuneos tabulataque saeuus
restruit: absiliunt pontes, tectique trementis
saxea frena labant, dissaeptoque aggere rursus
utitur et truncas rupes in templa domosque
praecipitat frangitque suis iam moenibus urbem.
iamque Iouem circa studiis diuersa
fremebant
Argolici Tyriique dei; pater, aequus utrisque,
aspicit ingentes ardentum comminus iras
seque obstare uidet. gemit inseruante nouerca
Liber et obliquo respectans lumine patrem:
'nunc ubi saeua manus, meaque heu cunabula
flammae?
fulmen, io ubi fulmen?' ait. gemit auctor Apollo
quas dedit ipse domos; Lernam Thebasque
rependit
maestus et intento dubitat Tirynthius arcu;
maternos plangit uolucer Danaeius Argos;
flet Venus Harmoniae populos metuensque mariti
stat procul et tacita Gradiuum respicit ira.
increpat Aonios audax Tritonia diuos,
Iunonem tacitam furibunda silentia torquent.
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non tamen haec turbant pacem Iouis, ecce
quierant
iurgia cum mediis Capaneus auditus in astris,
'nullane pro trepidis,' clamabat, 'numina Thebis
statis? ubi infandae segnes telluris alumni,
Bacchus et Alcides? piget instigare minores:
tu potius uenias quis enim concurrere nobis
dignior?; en cineres Semelaeaque busta tenentur!
nunc age, nunc totis in me conitere flammis,
Iuppiter! an pauidas tonitru turbare puellas
fortior et soceri turres excindere Cadmi?'
ingemuit dictis superum dolor; ipse
furentem
risit et incussa sanctarum mole comarum,
'quaenam spes hominum tumidae post proelia
Phlegrae?
tune etiam feriendus?' ait. premit undique lentum
turba deum frendens et tela ultricia poscit,
nec iam audet fatis turbata obsistere coniunx.
ipsa dato nondum caelestis regia signo
sponte tonat, coeunt ipsae sine flamine nubes
accurruntque imbres: Stygias rupisse catenas
Iapetum aut uictam supera ad conuexa leuari
Inarimen Aetnamue putes. pudet ista timere
caelicolas; sed cum in media uertigine mundi
stare uirum insanasque uident deposcere pugnas,
mirantur taciti et dubio pro fulmine pallent.
coeperat Ogygiae supra fastigia turris
arcanum mugire polus caelumque tenebris
auferri: tenet ille tamen, quas non uidet, arces,
fulguraque attritis quotiens micuere procellis,
'his' ait 'in Thebas, his iam decet ignibus uti,
hinc renouare faces lassamque accendere
quercum.'
talia dicentem toto Ioue fulmen adactum
corripuit: primae fugere in nubila cristae,
et clipei niger umbo cadit, iamque omnia lucent
membra uiri. cedunt acies, et terror utrimque,
quo ruat, ardenti feriat quas corpore turmas.
[intra se stridere facem galeamque comasque
quaerit, et urentem thoraca repellere dextra
conatus ferri cinerem sub pectore tractat.]
stat tamen, extremumque in sidera uersus
anhelat,
pectoraque inuisis obicit fumantia muris;
nec caderet, sed membra uirum terrena
relinquunt,
exuiturque animus; paulum si tardius artus
cessissent, potuit fulmen sperare secundum.
Fin qui le armi, le trombe, il ferro e le ferite: ma ora è Capaneo che devo innalzare, a lottare contro
la volta sterata. Non più mi basta il solito canto dei poeti: ispirazione più robusta devo chiedere ai
boschi d'Aonia. Osate con me, dee tutte! sia che quella follia fosse opera del regno delle t enebre
e le sorelle stigie, seguendo le insegne di Capaneo, prendessero le armi contro Giove, sia che
nascesse da valore senza misura o da brama temeraria di gloria o fosse sorte concessa a morte
eroica, o successo che precede sventure e ira degli dèi che blandisce i mortali.
L'eroe sdegna ormai le lotte terrene, è stanco di quell'immensa strage: esauriti da tempo i dardi
propri e quelli dei Greci e col braccio ormai fiacco, volge lo sguardo al cielo. Indi misura col torvo
sguardo l'altezza del bastione e spinge innanzi, per salire in alto, una scala d'innumerevoli gradini,
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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chiusa ai lati da due tronchi, e, da lungi terribile, scuote una torcia accesa di schegge di quercia: le
armi s'arrossano, lo scudo barbaglia di fuoco. "Questa", dice, "è la via per cui il mio ardire
sovrumano m'impone di andare all'assalto di Tebe: questa, dove la torre è bagnata del sangue di
Meneceo. Proverò a che valgano i sacrifici, o se Apollo è menzognero". Così dice e, passo dopo
passo, scala trionfante le mura ormai sue: come il cielo vide gli Aloidi, in mezzo alle nubi, mentre la
terra s'innalzava empia a insultare gli dèi e, prima ancora che il Pelio si sovrapponesse, già l'Ossa
toccava l'atterrito signore del tuono.
Allora sì che, sgomenti, i Tebani, in quell'ultíma stretta fatale, come se l'estrema sventura
incombesse sulla città e Bellona avanzasse con torce sanguigne per abbattere al suolo le torri, da
tutti i tetti scagliano a gara enormi macigni e travi e pesanti proiettili di fionde baleari (quale
speranza possono riporre nei giavellotti e nei dardi che scorrono il cielo?); non solo, ma con furia
fanno rotolare le macchine da guerra e lo tempestano di massi. Ma né i colpi ricevuti sul petto né
quelli che lo raggiungono alle spalle lo traggono giù: sospeso nel vuoto, avanza come se posasse i
piedi saldamente a terra; si spinge in mezzo a quella massa di rovine che gli piomba addosso:
come un fiume che attacca incessantemente, con la furia delle sue acque, le strutture di un ponte
antico; si sgretolano le pietre e le travi diverte, ed egli più violentemente (poiché ne ha coscienza)
e con più ampia massa scuote e trascina quella mole che vacilla, finché col suo impeto spezza
tutte le compagini e vincitore si spande in libero corso. Appena, dopo lunghi sforzi, si erse
immenso al sommo delle mura e drizzandosi vide dau'alto la città tremante e l'atterrì con la sua
ombra smisurata, così insulta i Tebani sbigottíti: "Sono dunque così insignificanti le rocche di
Anfione? Vergogna! Sono queste le docili mura che obbedirono a un canto effeminato, queste, per
tanto tempo oggetto d'una favola bugiarda di Tebe? Che vanto può esservi nell'abbattere mura
costruite al suono gentile d'una lira? E balzando, con mani e piedi, sulle muraglie, svelle le pietre
angolari che gli stanno contro e sfascia con violenza gli impiantiti; crollano i ponti, cedono le
giunture di pietra del tetto sovrastante. Egli dà di piglio, per farne nuovo uso, a questa massa
abbattuta: lancia i frammenti di roccia sui templi e sulle case e distrugge la città con le sue stesse
mura.
Già intorno a Giove fremevano, con sentimenti diversi, gli dèi di Argo e dì Tebe. Il padre,
imparziale verso tutti, li vede ardenti di sdegno, faccia a faccia, frenati solo dalla sua presenza.
Geme Bacco, mentre la matrigna sta a osservarlo, e, guardando bieco il padre, prorompe: "Dov'è
ora il tuo braccio terribile e la mia culla di fuoco? E il fulmine, ahimè, dov'è il fulmine?" Apollo
piange le case costruite per sua volontà; il dio di Tirinto, addolorato, ondeggia tra Lerna e Tebe ed
esita, con l'arco teso. L'alato figlio di Danae piange Argo, la città della madre. Venere commisera la
gente di Armonia ma, temendo il marito, si tiene lontana e guarda Marte incollerita, in silenzio.
L'audace Tritonia disapprova gli dèi di Tebe; Giunone tace, ma l'ira repressa la tormenta. Tuttavia
nulla di ciò turba la serenità di Giove; e già erano smessi glì alterchi, quando nel mezzo del cielo si
ode la voce di Capaneo. <x Dunque", gridava, "Tebe è in pericolo, dèi, e nessuno di voi si muove
in sua difesa? Dove sono i vili figli di questa terra maledetta, Bacco e Alcide? Ma ho vergogna di
provocare gli dèi minori. Vieni tu stesso (chi è più degno di scontrarsi con me? Vedi, le ceneri e la
tomba di Semele sono in mio potere), vieni dunque, Giove, e lancia contro me tutti i tuoi fulmini! 0
hai forza soltanto per atterrire col tuono le fanciulle paurose e per abbattere le torri di Cadmo tuo
suocero?"
A queste parole, gli dèi, sdegnati, gemettero; Giove rise di quella follia e, scuotendo la massa delle
sante chiome, disse: "Quali speranze nutrono ancora gli uomini, dopo il temerario assalto di
Flegra? Anche te devo colpire?" D'ogni parte lo incalzano in folla gli dèi; deplorano la sua calma,
reclamano i dardi che castigano; pure la sposa, turbata, non osa più opporsi al destino. Già da sola
la reggia celeste, senza aspettare il segnale, comincia a tuonare; le nubi si addensano senza
vento, i nembi si radunano. Si direbbe che Giapeto abbia infranto le catene stigie o che Inarime
vinta o l'Etna si sollevino fino alle volte del cielo. Gli dèi hanno vergogna di provare simili paure;
ma nel vedere quell'eroe, dritto in mezzo alla rovina del mondo, provocarli a lotta insensata,
stupiscono in cuore e impallidiscono, dubitando del potere del fulmine. Il cielo cominciava a
brontolare sordamente, sopra la cima della torre Ogigia, la volta a oscurarsi; quello s'attacca
ancora alle rocche, senza vederle e, ogni volta che balena la folgore, per il cozzare dei iiembi:
"Queste", grida, "sono le fiamme che bisogna lanciare contro Tebe, con cui bisogna ravvivare le
torce e riaccendere la quercia morente". Così diceva, e un fulmine l'investì in pieno, scagliato da
Giove con tutta la sua forza. Prima il cimiero volò verso il cielo, poi l'umbone dello scudo cade
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bruciato, e già avvampailo tutte le sue membra. Indietreggiano i due eserciti, guardano con terrore
dove vada a cadere, quali schiere colpisca col corpo ardente. [Egli sente il fuoco che gli brucia il
petto, l'elmo, i capelli; con la mano cerca di strapparsi la corazza ardente, ma non trova, sotto il
petto, che la cenere del ferro]. Tuttavia sta in piedi; esala verso il cielo l'ultimo respiro e appoggia,
per non cadere, il petto fumante alle odiate mura; ma le membra mortali abbandonano l'eroe,
l'anima resta spoglia. Se il corpo avesse ancora un po' resistito, avrebbe potuto sperare in un
secondo fulmine.
Traduzione di A.Traglia, Torino, Utet, 1980 (al Canova)
Stat., Theb., 11,524-79 Duello finale
haec pugnae facies. coeunt sine more, sine arte,
tantum animis iraque, atque ignescentia cernunt
per galeas odia et uultus rimantur acerbo
lumine: nil adeo mediae telluris, et enses
impliciti innexaeque manus, alternaque saeui
murmura ceu lituos rapiunt aut signa tubarum.
fulmineos ueluti praeceps cum comminus egit
ira sues strictisque erexit tergora saetis:
igne tremunt oculi, lunataque dentibus uncis
ora sonant; spectat pugnas de rupe propinqua
uenator pallens canibusque silentia suadet:
sic auidi incurrunt; necdum letalia miscent
uulnera, sed coeptus sanguis, facinusque
peractum est.
nec iam opus est Furiis; tantum mirantur et astant
laudantes, hominumque dolent plus posse
furores.
fratris uterque furens cupit adfectatque cruorem
et nescit manare suum; tandem inruit exul,
hortatusque manum, cui fortior ira nefasque
iustius, alte ensem germani in corpore pressit,
qua male iam plumis imus tegit inguina thorax.
ille dolens nondum, sed ferri frigore primo
territus, in clipeum turbatos colligit artus;
mox intellecto magis ac magis aeger anhelat
uulnere. nec parcit cedenti atque increpat hostis:
'quo retrahis, germane, gradus? hoc languida
somno,
hoc regnis effeta quies, hoc longa sub umbra
imperia! exilio rebusque exercita egenis
membra uides; disce arma pati nec fidere laetis.'
sic pugnant miseri; restabat lassa nefando
uita duci summusque cruor, poterantque
parumper
stare gradus; sed sponte ruit fraudemque
supremam
in media iam morte parat. clamore Cithaeron
erigitur, fraterque ratus uicisse leuauit
ad caelum palmas: 'bene habet! non inrita uoui,
cerno graues oculos atque ora natantia leto.
huc aliquis propere sceptrum atque insigne
comarum,
dum uidet.' haec dicens gressus admouit et arma,
ceu templis decus et patriae laturus ouanti,
arma etiam spoliare cupit; nondum ille peractis
manibus ultrices animam seruabat in iras.
utque superstantem pronumque in pectora sensit,
erigit occulte ferrum uitaeque labantis
reliquias tenues odio suppleuit, et ensem
iam laetus fati fraterno in corde reliquit.
ille autem: 'uiuisne an adhuc manet ira superstes,
perfide, nec sedes umquam meriture quietas?
huc mecum ad manes! illic quoque pacta
reposcam,
si modo Agenorei stat Cnosia iudicis urna,
qua reges punire datur.' nec plura locutus
concidit et totis fratrem grauis obruit armis.
ite truces animae funestaque Tartara leto
polluite et cunctas Erebi consumite poenas!
uosque malis hominum, Stygiae, iam parcite,
diuae:
omnibus in terris scelus hoc omnique sub aeuo
uiderit una dies, monstrumque infame futuris
excidat, et soli memorent haec proelia reges.
11, 472-634
E si lanciò dal cielo, e lasciò dietro di sé, benché addolorata, un solco luminoso sotto le nere nubi.
Era appena giunta sul campo che le schiere furono invase da un improvviso desiderio di pace e
avvertirono l'enormità del crimine; i visi e i petti si bagnano di lacrime, pure ai fratelli s'insinua nel
cuore un senso d'orrore. Indossando armi fittizie e abito virile grida ora agli uni ora agli altri:
"Andate, suvvia, fate ostacolo, quanti avete in casa figli e fratelli, tanto cari pegni d'affetto! Pure
qui... Non è evidente che gli dèi si muovono da soli a pietà? Le armi cadono a terra, i cavalli
esitano, la sorte stessa si oppone".
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Avrebbe scosso in qualche modo gli animi indecisi se la torva Tisifone, accortasi dell'inganno, non
fosse piombata lì in mezzo, più veloce del fulmine, gridando: "Perché ti prendi pensiero delle
imprese di guerra, tu, un nume imbelle e fatto per la pace? Vai indietro, sfrontata: nostro è questo
campo, nostro questo giorno; troppo tardi intervieni in aiuto di Tebe colpevole. Dov'eri, quando
Bacco suscitava la guerra e le orge rendevano folli madri armate? 0 dove te ne stavi pigramente,
mentre il serpente di Marte si dissetava alla fonte maledetta, mentre Cadmo arava, mentre la
Sfinge cadeva vinta, mentre il padre scongiurava Edipo, mentre Giocasta entrava nel talamo alla
luce della nostra torcia?" Così la tormenta, incalzandola coi serpi sibilanti e assalendola colla
fiaccola, mentre quella cerca di evitarne persino lo sguardo e tira indietro il volto pudico; la dea
abbassa A mantello a coprire gli occhi e fugge a lagnarsi col grande Tonante.
Allora sì l'ira si risveglia, obbedendo a stimoli più pungenti: piacciono le armi, e le schiere, mutato
parere, bramano stare a vedere. Rinnovano il crimine orrendo; l'empio re appresta il tiro e tenta
per primo la sorte dell'asta funesta. Questa si cerca un varco in mezzo allo scudo, ma non porta a
segno il colpo, rintuzzata dallo spesso strato di oro. Ora è la volta deh'esule; a chiara voce innalza
una funesta preghiera: "Dèi, che Edipo non invocò invano, col suo viso spento, quando chiese di
far divampare 2 crimine orrendo, non sono ingiuste le preghiere che vi rivolgo: espierò la colpa
delle mie mani e collo stesso ferro mi squarcerò
il petto, purché veda costui lasciarmi, morendo, signore dello scettro e portare questa pena con sé,
ombra a me inferiore". L'asta s'introduce veloce tra la coscia del cavaliere e il fianco del cavallo,
bramando portare morte a entrambi; ma il cavaliere evita il colpo, piegando il ginocchio, e tuttavia il
ferro, pur fallendo la sua mira, ferisce di striscio il cavallo alle costole. Questo si getta a capofitto,
insensibile alla mano che tira le redini, e descrive sul campo una rossa voluta di sangue. L'altro
esulta, credendo che sia il sangue del fratello; lui stesso lo crede, atterrito; e già l'esule si lancia a
briglia sciolti, spingendosi ciecamente, in corsa ansiosa, contro il cavallo ferito. Si confondono le
redini, le mani, le armi; entrambi, perduto l'equilibrio, piombano a terra. Come di notte due navi,
avvolte dall'Austro piovoso, vedono infranti i loro remi e le gomene a pezzi e, dopo lunga lotta colle
tenebre e colla tempesta e con se stesse, così come sono, sprofondano insieme nell'abisso: tale è
l'aspetto della lotta. Si scontrano senza regola, senz'arte, obbedendo soltanto al furore dell'animo;
vedono, traverso le visiere, avvampare i loro odii, si cercano i visi con sguardo feroce: nessuno
spazio fra loro; intersecando le spade, avvinghiando le braccia, stanno attenti a cogliere, nella loro
furia bestiale, i reciproci mormorii, come se fossero squilli di corni o se-nali di trombe. Come
quando due cinghiali, spinti da un'ira infrenabile, si scontrano fulminei, rizzando sul dorso le setole
irte: gli occhi fiammeggiano, le fauci lunate rintronano, nel cozzo delle zanne adunche; il cacciatore
segue la lotta da una rupe vicina, smorto, e raccomanda il silenzio ai suoi cani: così quelli si
assalgono con avida rabbia, né ancora si assestano colpi mortali., e tuttavia il sangue già scorre, il
crimine è compiuto. Non c'è più bisogno delle Furie; stanno solo a guardare, lì vicino, e
manifestano la loro approvazione, dispiaciute soltanto di vedersi superate dal furore mortale.
Ciascuno dei due non brama, nella sua follia, che il sangue del fratellonon sentono il proprio che
scorre; infine l'esule si avventa e' esortata la sua mano, la cui ira è più intensa e più giustificato il
delitto, immerge la spada nel corpo del fratello, fino in fondo, là dove l'estremità della corazza
copre appena l'inguine colle scaglie. Quello non sente subito il dolore ma, atterrito dal freddo
improvviso della lama, ripara il corpo tremante dietro lo scudo; poi, avvertita la ferita, vacilla,
sempre più respirando a fatica. Indietreggia, ma il nemico non lo risparmia, anzi incalza: "Dove
fuggi, fratello? Ecco l'effetto d'un ozio illanguidito dal sonno, svigorito dal regno, ecco l'effetto d'un
lungo governo ben protetto! Ma davanti ti sta un corpo rafforzato dall'esilio e dal bisogno; apprendi
a usare le armi e a confidare meno nella buona sorte".
Così combattono, gli scellerati; al perverso sovrano restava ancora un po' di vita, e qualche stilla di
sangue; ancora era in grado di mantenersi in piedi; ma a bella posta si getta a terra, e già sul
punto di morte appresta un ultimo inganno. Il Citerone è scosso dalle grida. Il fratello, credendosi
ormai vincitore, leva al cielo le mani: "Finalmente! Non furono vane le mie preghiere: vedo i suoi
occhi pesanti, lo sguardo errante nella morte. Presto, mi si porti qui lo scettro e il diadema, finché
vede". Così diceva, e si mosse verso di lui, bramando pure di spogliarlo delle armi, come se
volesse portarle, come trofeo, ai templi e alla patria giubilante: ma quello non era ancora morto,
tratteneva la vita per la vendetta della sua ira. Appena avverte che l'altro gli sta sopra e si china sul
suo petto, solleva di nascosto la spada e, compensando coll'odio la vita che manca, ormai
contento del suo fato immerge il ferro nel cuore del fratello. E l'altro: "Sei vivo, o è la tua rabbia che
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ancora ti sopravvive, perfido e indegno per sempre d'una dimora tranquilla? Vieni con me fra le
ombre! Anche là pretenderò il rispetto dei patti, se pur c'è l'urna cretese del giudice della stirpe di
Agenore, con cui è concesso punire i re". E null'altro disse, e cadde, e seppellì il fratello col peso di
tutte le sue armi.
Andate, anime feroci, contaminate con la vostra morte il Tartaro funesto, esaurite tutte le pene
dell'Erebo! E voi, dee dello Stige, abbiate ormai riguardo per le sventure degli uomini: su tutta la
terra e per ogni tempo questo solo giorno possa essere stato spettatore d'un tale delitto; cada
presso i posteri il ricordo del mostruoso misfatto e solo i re rammentino questa lotta.
Ma il padre, appreso il compimento del crimine, eruppe dal suo tenebroso recesso; porta sulla
soglia spaventosa la sua morte imperfetta: sordida d'antico marciume si rizza la duplice canizie, il
capo maledetto scompare dietro i crini induriti di sangue raggrumato; il volto incavato, le gote
rientranti, sozze le orbite infossate prive ormai della luce. Con la sinistra si sostiene appoggiandosi
alla giovane figlia, la destra fa forza su un bastone. Come se il nocclúero del pigro Averno, stanco
delle ombre, lasciasse la sua barca e uscisse alla luce del mondo e turbasse il sole e gli astri
facendoli impallidire, lui stesso incapace di resistere a lungo alla nostra atmosfera, e intanto, per la
lunga assenza del pilota, il lavoro crescesse e su tutta la riva le anime stessero ad aspettare: tale
egli avanza sul campo e così dice alla sua compagna che piange disperata: "Portami dai miei figli;
getta, ti prego, il padre sui recenti cadaveri!" La fanciulla esita, non sapendo cosa egli voglia fare;
procedono a stento, intralciati da un groviglio di armi, di uomini, di carri; fra i corpi ammucchiati il
vecchio non riesce ad avanzare, e per la sua guida sventurata non è facile aiutarlo. Appena, dopo
lungo cercare, le grida della giovane gli indicarono i cadaveri, si getta con tutto il corpo sulle salme
ormai fredde. La voce gli manca: giace singhiozzando su quelle ferite sanguinanti, né riesce, pur
con ogni sforzo, a parlare. Alla fine, mentre palpa gli elmi e cerca i visi nascosti, dà sfogo, il padre,
ai gemiti a lungo muti: "Così tardi, Pietà, e dopo tanto tempo tocchi il mio animo? C'è clemenza nel
cuore di quest'uomo? Ahimè, tu hai vittoria, Natura, su questo padre sciagurato. Ecco, io piango, le
lacrime scorrono lungo le piaghe ormai disseccate e l'empia mano tien dietro con percosse non
degne d'un uomo. Ricevete gli onori funebri che si convengono alla vostra orribile morte, figli
crudeli, fin troppo miei figli! Né m'è concesso distinguerli e rivolgere a ciascuno le parole adatte;
dimmi, figlia, ti prego, chi stringo tra le braccia? Quali onori ora io, così disumano, tributerò alle
vostre esequie? Oh se avessi di nuovo gli occhi da poter estirpare, se potessi infierire contro il mio
volto come già una volta! 0 dolore, o suppliche e maledizioni del padre, esaudite più del giusto!
Quale fu, degli dèi, che mi stette vicino mentre pregavo e mi strappò le parole e le dettò ai Fati? Fu
la follia a ispirarmele, e l'Erinni, e il padre, e la madre, e il regno, e gli occhi cadenti; non è mia la
colpa: lo giuro per Dite e per le tenebre a me care e per questa innocente mia guida; così io
scenda nel Tartaro con una morte de-na di me e non mi fugga sdegnata l'ombra di Laio. Ahimè,
quali abbracci fraterni, quali ferite io tocco! Separate le vostre mani, vi prego, spezzate una buona
volta le strette funeste e almeno ora accogliete il padre in mezzo a voi". Con questi lamenti aveva
gradualmente conquistato l'ebbrezza della morte e di nascosto cercava un ferro; ma glielo vietava
Antigone, che cautamente aveva sottratto le spade. Il vecchio allora infuria: "Dove sono le armi
scellerate? O Furie! Dunque il ferro è tutto scomparso nei loro corpi?" Così diceva, e la sventurata
compagna lo solleva da terra, soffocando nel cuore la propria pena, lieta del pianto del padre
disumano.
Traduzione di A.Traglia, Torino, Utet, 1980 (al Canova)
Theb., 12, 810-19. Il commiato.
Durabisne procul dominoque legere superstes,
o mihi bissenos multum uigilata per annos
Thebai? iam certe praesens tibi Fama benignum
strauit iter coepitque nouam monstrare futuris.
iam te magnanimus dignatur noscere Caesar,
Itala iam studio discit memoratque iuuentus.
uiue, precor; nec tu diuinam Aeneida tempta,
sed longe sequere et uestigia semper adora.
mox, tibi si quis adhuc praetendit nubila liuor,
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occidet, et meriti post me referentur honores.
Ma tu, mia Tebaide, avrai lunga vita e sarai ancora letta dopo la morte del tuo signore, tu che mi
sei costata dodici lunghi anni di veglie? Certo la fama presente t'ha aperto un'agevole via,
mostrandoti, giovane ancora, ai secoli futuri. Già Cesare magnanimo si degna di conoscerti, la
gioventù italica studia con ardore e ripete i tuoi versi. Possa la tua vita essere lunga! Non cercare
però di gareggiare con l'Eneide divina, ma seguila da lontano, e venera sempre le sue orme. Se
ancora l'invidia ti offusca col suo velo, presto avrà fine, e dopo la mia morte ti saranno resi gli onori
che meriti.
Traduzione di A.Traglia, Torino, Utet, 1980 (al Canova)
Stat., Silv., 5,5. Epicedio per il figlio
EPICEDION IN PVERVM SVVM
Me
miserum!
neque
enim
verbis
sollemnibus ulla
incipiam nec Castaliae vocalibus undis,
invisus Phoeboque gravis. quae vestra, sorores,
orgia, Pieriae, quas incestavimus aras?
dicite, post poenam liceat commissa fateri.
numquid inaccesso posui vestigia luco?
num vetito de fonte bibi? quae culpa, quis error
quem luimus tantis? morientibus ecce lacertis
viscera nostra tenens animaque avellitur infans,
non de stirpe quidem nec qui mea nomina ferret
oraque; non fueram genitor, sed cernite fletus
liventesque genas et credite planctibus orbi.
orbus ego. huc patres et aperto pectore matres
conveniant; cineremque oculis et crimina ferte,
si qua sub uberibus plenis ad funera natos
ipsa gradu labente tulit madidumque cecidit
pectus et ardentes restinxit lacte papillas,
quisquis adhuc tenerae signatum flore iuventae
immersit cineri iuvenem primaque iacentis
serpere crudelis vidit lanugine flammas,
adsit et alterno mecum clamore fatiscat:
vincetur lacrimis, et te, Natura, pudebit.
tanta mihi feritas, tanta est insania luctus.
hoc quoque cum ni<tor>, ter dena luce peracta,
adclinis tumul<o en pla>nctus in carmina verto,
discordesque modos et singultantia verba
molior orsa ly<ra: vis> est, atque ira tacendi
impatiens. sed nec solitae mihi vertice laurus
nec fronti vittatus honos. en taxea marcet
silva comis, hilaresque hederas plorata cupressus
excludit ramis; nec eburno pollice chordas
pulso, sed incertam digitis errantibus amens
scindo chelyn. iuvat heu, iuvat inlaudabile carmen
fundere et incompte miserum laudare dolorem.
sic merui, sic me cantuque habituque nefastum
aspiciant superi. pudeat Thebasque novumque
Aeaciden: nil iam placidum manabit ab ore.
ille ego qui quotiens! blande matrumque
patrumque
vulnera, qui vivos potui mulcere dolores,
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ille ego lugentum mitis solator, acerbis
auditus tumulis et descendentibus umbris,
deficio medicasque manus fomentaque quaero
vulneribus, sed summa, meis. nunc tempus,
amici,
quorum ego manantes oculos et saucia tersi
pectora: reddite opem, saevas exsolvite gratis.
nimirum cum vestra domus ego funera maestus
increpitans: 'qui damna doles aliena, repone
infelix lacrimas et tristia carmina serva.'
verum erat: absumptae vires et copia fandi
nulla mihi, dignumque nihil mens fulmine tanto
repperit: inferior vox omnis et omnia sordent
verba. ignosce, puer: tu me caligine maestum
obruis. a! durus, viso si vulnere carae
coniugis invenit caneret quod Thracius Orpheus
dulce sibi, si busta Lini complexus Apollo
non tacuit. nimius fortasse avidusque doloris
dicar et in lacrimis iustum excessisse pudorem?
quisnam autem gemitus lamentaque nostra
rependis?
o nimium felix, nimium crudelis et expers
imperii, Fortuna, tui qui dicere legem
fletibus aut fines audet censere dolendi!
incitat heu! planctus; potius fugientia ripas
flumina detineas rapidis aut ignibus obstes,
quam miseros lugere vetes. tamen ille severus,
quisquis is est, nostrae cognoscat vulnera
causae.
Non ego mercatus Pharia de puppe
loquaces
delicias doctumque sui convicia Nili
infantem lingua nimium salibusque protervum
dilexi: meus ille, meus. tellure cadentem
aspexi atque unctum genitali carmine fovi,
poscentemque novas tremulis ululatibus auras
inserui vitae. quid plus tribuere parentes?
quin alios ortus libertatemque sub ipsis
uberibus tibi, parve, dedi; heu! munera nostra
rideres ingratus adhuc. properaverit ille,
sed merito properabat, amor, ne perderet
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libertas tam parva diem. nonne horridus
invidia superos iniustaque Tartara pulsem?
nonne gemam te, care puer? quo sospite natos
non cupii, primo gemitum qui protinus ortu
implicuit fixitque mihi, cui verba sonosque
monstravi questusque et vulnera caeca resolvens,
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reptantemque solo demissus ad oscula dextra
erexi, blandoque sinu iam iamque
excepere genas dulcesque accersere somnos.
cui nomen vox prima meum ludusque tenello
risus, et a nostro veniebant gaudia vultu.
Oh, misero me! Io non comincerò, infatti, con la rituale formula sacra, né con le armoniose onde di
Castalia, inviso e odioso a Febo come sono. Quali vostri misteri, o sorelle Pierie, quali vostri altari
io ho profanato? Ditemelo e mi sia così permesso, dopo avere scontato la pena, confessare la
colpa. Ho forse io posto il piede in qualche bosco sacro, in cui era vietato l'accesso? Ho bevuto a
qualche fonte proibita? Qual è la colpa, qual è l'errore che io espio a così caro prezzo? Ecco che
mi è rapito un fanciullo che con le sue braccia morenti si teneva aggrappato alle mie viscere e alla
mia vita. Non era, invero, uno del mio sangue, né portava il mio nome, né aveva le mie fattezze;
non ero suo padre, ma guardate il pianto e le guance livide e vogliate credere al pianto di un uomo
che ha perduto uno dei suoi figli: io ho perduto un figlio. Qua si diano convegno i padri, qua le
madri col seno nudo: portate nei vostri occhi la visione delle ceneri del rogo e tutte le vostre
recriminazioni! Qualsiasi madre abbia essa stessa accompagnato al funerale con passo vacillante
un bimbo che ancora succhiava alle sue mammelle gonfie e abbia colpito il suo petto tutto bagnato
e abbia così dovuto spegnere l'infiammazione del seno prodotta dal latte; chiunque abbia lasciato
immerso in un cumulo di ceneri un giovane contrassegnato ancora dal fiore di una tenera
giovinezza e abbia visto le fiamme crudelmente serpeggiare attraverso la prima lanugine del suo
cadavere, qua venga e si strugga con me in grida di pianto alternate: le loro lacrime saranno
superate dalle mie e tu, o Natura, ne proverai vergogna. Tanto selvaggio è il mio dolore, tanto
disperato è il mio pianto. Anche mentre cerco di comporre questo carme nel trigesimo della sua
morte, chinato sul tumulo, e tento di tradurre in versi i miei lamenti, riuscendo solo a buttar giù ritmi
contrastanti fra loro e parole singhiozzanti, è solo forza usuale della lira che li ha messi insieme e
l'ira che non riesce a rimanere zitta, ma né il solito alloro io porto sul capo né ho sulla fronte l'onore
delle bende. Ecco che le fronde del tasso appassiscono sulle mie chiome e il funebre cipresso
scaccia coi suoi rami la gioiosa edera, né io tocco le corde della lira col plettro d'avorio, ma fuori di
me con le dita che corrono qua e là spacco l'incerta lira. Mi piace, oh!, mi piace comporre un
carme che nessuno loderà e lodare con un canto senz'arte l'oggetto del mio straziante dolore.
Questo io ho meritato? Così potranno vedermi gli dèi, malaugurato nel canto e nell'aspetto? Ne
abbiano vergogna Tebe e il mio Eacide or ora venuto al mondo: nessun accenno rasserenatore
uscirà più dalla mia bocca. lo che - oh, quante volte! con dolci parole ho potuto lenire le ferite di
madri e di padri, lenire dolori vedovili, io dolce consolatore di anime afflitte, che sapevo farmi udire
da tombe precocemente aperte e da ombre che scendevano sottoterra, io ora vengo meno a me
stesso e vado in cerca di mani medicatrici e di rimedi (ma se pur ve ne sono!) per le mie ferite. Ora
è venuto il momento, o amici, di cui ho asciugato gli occhi in lacrime e il sangue delle ferite:
ricambiatemi l'aiuto che v'ho dato, pagate il triste prezzo della vostra gratitudine. Naturalmente,
quando io mesto piangevo i lutti delle vostre case c'era qualcuno che andava gridando contro di
me: "Tu che piangi i dolori degli altri, metti via, infelice, le lacrime e conserva i tuoi tristi carmi per
te". Era vero: ho consumato tutte le mie forze e non son più capace di parlare, la mia mente non
sa trovar nulla di adeguato a un così grave colpo di folgore: ogni espressione è al di sotto del
necessario, tutte le mie parole sono senza valore. Perdonami, piccolo mio: tu mi tralvolgi, per il
dolore, nelle tenebre. Oh, è cosa dura, questa, se è vero che vedendo la ferita della sua cara
sposa, il tracio Orfeo trovò per sé un dolce canto; se Apollo stringendo i resti di Lino non rimase in
silenzio. Forse vengo giudicato eccessivo e avido di pianto e si pensa che io abbia superato con le
mie lacrime il senso di un giusto ritegno. Ma chi sei tu che contrappesi i miei gemiti e i miei
lamenti? O troppo fortunato, troppo crudele e inesperto del tuo potere, o Fortuna, colui che osa
imporre una legge al pianto e determinare i limiti del dolore! Ohimè, egli spinge ancor più ai
lamenti; più facilmente potresti trattenere fiumi dilaganti dalle loro rive o bloccare incendi che
rapidamente si propagano, che vietare il pianto agli infelici. Tuttavia codesto severo censore,
chiunque egli sia, conosca le ferite di cui qui si ragiona.
Non ho io comprato da una nave di Faro un chiacchierino fanciullo per mio divertimento e non ho
amato un servetto esperto dei frizzi del natio Nilo, dalla lingua lunga e dalle battute sfacciate: mio
era lui, mio era. Io lo raccolsi nel nascere e dopo che fu lavato e unto io lo scaldai cantandogli un
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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canto d'auguri per la sua nascita, e mentre coi suoi tre muli vagiti e-li chiedeva alle aure, per lui
nuove, di essere immerso nella vita, fui io a inserirvelo. Cosa di più gli dettero i suoi genitori? Che
anzi una seconda nascita io ti detti, o piccolo, quella nella libertà, fin da quando tu eri ancora
lattante: ohimè, tu te ne ridevi ancora, senza averne riconoscenza, dei miei doni. Ammettiamo pure
che il mio amore abbia avuto troppa fretta, ma ha avuto fretta a giusta ragione, proprio per timore
che una libertà di così breve durata potesse perdere anche un solo giorno. Non dovrei io infierire
contro gli stessi dèi e contro l'ingiusto Tartaro per la loro invidia contro di me? Non dovrei io
gemere, o bimbo caro, sulla tua sorte? Finché fu in vita lui, io non ebbi il desiderio di figli: fin dalla
sua nascita egli ha subito interessato me coi suoi pianti, configgendoli nel mio cuore; io ho
insegnato a lui le prime parole e i primi suoni, risolvendo i suoi lamenti e i suoi segretì dolori; e
mentre strisciava per terra, abbassandomi lo sollevavo sino all'altezza dei miei baci e con quel
caldo abbraccio addormentavo il suo visino che già stava per cader giù e gli conciliavo dolci sonni.
La sua prima parola è stato il nome mio e il mio sorriso è stato il primo gioco della sua tenera età:
ogni gioia gli veniva dal mio viso...
Manca il resto
Traduzione Stazio
Traduzione di A.Traglia, Torino, Utet, 1980 (al Canova)
Bibliografia
Thebais et Achilleis, ed. H.W. Garrod, Oxford 1906
ed. R. Lesueur, 3 voll., 1990-94
Thébaïde, ed. R. Lesueur. T. I: Livres I-IV. 1990.
Achilléide, ed. J. Méheust., Paris 1971.
ed. A.Marastoni, Leipzig 1974.
ed. O.A.W. Dilke, Cambridge 1954 (con comm.)
Silvae
ed. A.Marastoni, Leipzig 1961, 19702, 19743
ed. I.S. Phillimore, Oxford 19051, 19172 19493
ed. E. Courtney, Oxford 1990
ed. F. Vollmer, Leipzig 1898 (con comm.).
ed. H. Frère et H.-J. Izaac. T. I: Livres I-III. Paris (1944) riv. Cl. Moussy 19923.
ed. H. Frère et H.-J. Izaac. T. II: Livres IV-V. Paris (1944) riv. 19612.
LOEB
Volume I. Silvae. Thebaid, Books 1-4
Volume II. Thebaid, Books 5-12. Achilleid
Opere complete con tr.
Traglia - Aricò, Torino, UTET 1980.
Canova
Achilleide, ?, Milano, Rizzoli BUR, ?
Tebaide (Cof. 2 voll.) ?, Milano, Rizzoli BUR, ?
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Frammenti dal De bello Germanico in Fragmenta poetarum Latinorum, edd. Jürgen Blänsdorf, W.
Morel, K. Büchner, Teubner,1995. pp. 333-34
Strumenti
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Concordantia in Statium Curavit Manfred Wacht, Hildesheim ( In preparation!)
Studi
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ICCU per soggetto
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Klodt, Claudia, Bescheidene Grosze: die Herrschergestalt, der Kaiserpalast und die Stadt Rom: literarische
Reflexionen monarchischer Selbstdarstellung / Claudia Klodt, Gottingen: Vandenhoeck & Ruprecht, c2001,
Hypomnemata
Soggetti: Ammiano Marcellino. Rerum gestarum libri; Stazio, Publio Papinio . Silvae; Virgilio Marone, Publio .
Eneide
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Franchet d'Esperey, Paris: Les belles lettres, 1999, Collection d'etudes anciennes. Ser. latine
Messerli, Sylviane, OEdipe entenebre: legendes d'OEdipe au 12. siecle / Sylviane Messerli, Paris:
Champion, 2002, Nouvelle bibliotheque du Moyen Age
Soggetti: Letterature - Europa - Medioevo - Tema di Edipo; Stazio, Publio Papinio - Thebais - Fortuna
Delarue, Fernand, Stace, poete epique: originalite et coherence / Fernand Delarue, Louvain; Paris, 2000,
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Hoffmann, Manfred, Statius, Thebais 12, 312-463: Einleitung, Ubersetzung, Kommentar / Manfred
Hoffmann, Gottingen: Duehrkohp & Radicke, 1999, Gottinger Forum fur altertumswissenschaft
Broken columns: two roman epic fragments: the Achilleid of Publius Papinius Statius and the rape of
Proserpine of Claudius Claudianus / translated by David R. Slavitt; afterword by David Konstan,
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Soggetti: Claudiano, Claudio. De raptu Proserpinae Traduzioni
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Traduzioni
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Fa parte di: La licorne
Dominik, William J., The mythic voice of Statius: power and politics in the Thebaid / by William J. Dominik,
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Punzi, Arianna, Oedipodae confusa domus: la materia tebana nel Medioevo latino e romanzo / Arianna
Punzi, [Roma]: Bagatto libri, 1995, Testi, studi e manuali / Dipartimento di studiromanzi, Universita di Roma
La Sapienza
Soggetti: Edipo - Miti - Fortuna - Sec. 12.-14.
Stazio, Publio Papinio . Tebaide - Fortuna - Sec. 12.-14.
McGuire, Donald T., Acts of silence: civil war, tyranny, and suicide in the Flavian epics / Donald T. McGuire,
Hildesheim [etc.]: Olms-Weidmann, 1997, Altertumswissenschaftliche Texte und Studien
Soggetti: Silio Italico - Punica - Elementi politici
Stazio, Publio Papinio - Thebais - Elementi politici Valerio Flacco, Gaio Setino Balbo - Argonautica Elementi politici
Taisne, Anne Marie, L' esthetique de Stace: la peinture des correspondances / par Anne-Marie Taisne,
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Pederzani, Ombretta, Il talamo, l'albero e lo specchio: saggio di commento a Stat. Silv. 1. 2, 2. 3, 3. 4 /
Ombretta Pederzani, Bari: Edipuglia, 1995, Scrinia
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Dominik, William J., Speech and rhetoric in Statius' Thebaid / William J. Dominik, Hildesheim [etc.]: OlmsWeidmann, 1994, Altertumswissenschaftliche Texte und Studien
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Fa parte di: 2: Principat.
Nomi: Haase, Wolfgang
Soggetti: DOMIZIANO, TITO FLAVIO SCRITTORI LATINI STAZIO, PUBLIO PAPINIO STOICISMO
ROMANO VESPASIANO, TITO FLAVIO
Klecka, Joseph, Concordantia in Publium Papinium Statium / ed. Joseph Klecka, Hildesheim [etc.]: Georg
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Traglia, Antonio, Lezioni su Stazio e la Tebaide / Antonio Traglia, Roma: Bulzoni, c1974
Note Generali: In testa al front.: Universita degli studi di Roma, Facolta di lettere e filosofia.
Arico, Giuseppe, Introduzione a Stazio: problemi e interpretazioni, Palermo: Libreria editrice Gino, 1973
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Arico, Giuseppe, Un inedito Compendium Achilleidos in un codice vaticano, Palermo: [s.n.], 1974 (Palermo:
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Note Generali: Con il testo .
Arico, Giuseppe, Ricerche staziane / Giuseppe Arico, Palermo: Grafiche Cappugi, 1972
Note Generali: Scritti gia pubbl.
Arico, Giuseppe, Ricerche staziane, Palermo: Cappugi, 1970
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Speranza, Feliciano, Stazio, l'Achilleide: (per il vol. 4., de Tibere a Domitien - della Histoire de la Litterature
latine curata da H. Bardon nella collana Roma aeterna diretta da R. Verdiere / Feliciano Speranza, Messina:
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Lorenz, Gudrun, Vergleichende Interpretatione zu Silius Italicus und Statius / Dissertation ... vorgelegt von
Gudrun Lorenz, Kiel: Universitat Bibliothek, 1968
Note Generali: Tesi per il conseguimento del Doktorgrade, tenuta presso la Christian-Albrechts-Universitat di
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Argenio, Raffaele, Stazio poeta degli affetti, [Modica]: Gugnali, 1966
Traglia, Antonio, Le Selve di Stazio: anno accademico 1963-64, Roma: Edizioni dell'Ateneo, 1964
Note Generali: In testa al front.: Facolta di lettere e filosofia, Universita degli studi di Roma
Litografato .
Speranza, Feliciano, Neologismi nelle "Selve" di Publio Papinio Stazio / Feliciano Speranza, Napoli: F.
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Note Generali: Estr. da: Atti dell'Accademia Pontaniana, n. s., v. 6.
Speranza, Feliciano, Note sulla cronologia di P. Papinio Stazio / Feliciano Speranza, [Napoli]: Istituto
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Illuminati, Luigi, Stazio e la poesia / Luigi Illuminati, Milano [etc.]: Societa editrice Dante Alighieri (Albrighi,
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Argenio, Raffaele, Stazio poeta degli affetti / Raffaele Argenio, Avellino: tip. Pergola, 1933
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TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Calcaterra, Carlo <1884-1952>, Il traduttore della Tebaide di Stazio: ricerche intorno alle relazioni del card.
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Abbamondi, Alfonso, Le selve di P. Papinio Stazio ed un commento inedito di Giano Aulo Parrasio:
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ICCU per autore
Titolo: 1: Silvae / Statius; edited and translated by D. R. Shackleton Bailey, Cambridge, Mass., The Loeb
classical library
Fa parte di: Statius
Selve = Silvae / Publio Papinio Stazio; a cura di Luca Canali; collaborazione e note di Maria Pellegrini,
Locarno: Armando Dado editore, c2000, I classici
Note Generali: Traduzione italiana seguita dal testo originale latino
Bentivoglio, Cornelio <1668-1732>, La Tebaide di Stazio / Cornelio Bentivoglio d'Aragona; a cura di Renzo
Rabboni, Roma: Salerno, [2000], I diamanti Broken columns: two roman epic fragments: the Achilleid of
Publius Papinius Statius and the rape of Proserpine of Claudius Claudianus / translated by David R. Slavitt;
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1: Libri 1.-6. / Publio Papinio Stazio, [Milano]: Biblioteca universale Rizzoli, 1998
Fa parte di: Tebaide / Publio Papinio Stazio; introduzione di William J. Dominik; traduzione e note di
Giovanna Faranda Villa
2: Libri 7.-12. / Publio Papinio Stazio, [Milano]: Biblioteca universale Rizzoli, 1998
Fa parte di: Tebaide / Publio Papinio Stazio; introduzione di William J. Dominik; traduzione e note di
Giovanna Faranda Villa Epicedion: hommage a P. Papinius Statius 96-1996 / edite par Fernand Delarue ...
[et al.]; avant-propos de Fernand Delarue, Poitiers: UFR langues litteratures Poitiers, dep. leg. 1996
Fa parte di: La licorne
Tebaide / Publio Papinio Stazio; introduzione di William J. Dominik; traduzione e note di Giovanna Faranda
Villa, [Milano]: Biblioteca universale Rizzoli, 1998
Comprende: 1: Libri 1.-6. / Publio Papinio Stazio
2: Libri 7.-12. / Publio Papinio Stazio
Pederzani, Ombretta, Il talamo, l'albero e lo specchio: saggio di commento a Stat. Silv. 1. 2, 2. 3, 3. 4 /
Ombretta Pederzani, Bari: Edipuglia, 1995, Scrinia
Silvae 4. / Statius; edited with an english translation, commentary and bibliography by K. M. Coleman,
London: Bristol classical press, 1998, Classic commentaries on latin and greek texts
Der Kampf um Theben / Publius Papinius Statius; Einleitung, Ubersetzung und Anmerkungen von Otto
Schonberger, Wurzburg: Konigshausen & Neumann, 1998
P. Papini Stati Thebaidos libri 12. / recensuit et cum apparatu critico et exegetico instruxit D. E. Hill
Edizione: Editio secunda emendata, Leiden [etc.]: E. J. Brill, c1996, Mnemosyne. Supplementum
Geyssen, John W., Imperial panegyric in Statius: a literary commentary on Silvae 1.1 / John W. Geyssen,
New York [etc.]: P. Lang, c1996, Studies on themes and motifs in literature
Hoffmann, Manfred, Statius, Thebais 12, 312-463: Einleitung, Ubersetzung, Kommentar / Manfred
Hoffmann, Gottingen: Duehrkohp & Radicke, 1999, Gottinger Forum fur altertumswissenschaft
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Achilleide / Publio Papinio Stazio; introduzioni, traduzione e note diGianpiero Rosati, Milano: Biblioteca
Universale Rizzoli, 1994
Pederzani, Ombretta, Il talamo, l'albero e lo specchio: saggio di commento a Stat. Silv. 1. 2, 2. 3, 3. 4 /
Ombretta Pederzani, Bari: Edipuglia, 1995, Scrinia
Achilleide / Stazio; introduzione, traduzione e note di Gianpiero Rosati, [Milano]: Biblioteca universale
Rizzoli, 1994
3: Livres 9.-12. / Stace; texte etabli et traduit par Roger Lesueur, Paris: Les belles lettres, 1994, Collection
des universites de France. Ser.latine
Smolenaars, Johannes Jacobus Louis, Statius Thebaid 7.: a commentary / by J. J. L. Smolenaars, Leiden
[etc.]: E. J. Brill, 1994, Mnemosyne. Supplementum
Thebaid 7.: a commentary / Statius; by J. J. L. Smolenaars, Leiden [etc.]: Brill, 1994
Fivaida / Publij Papinij Stacij; izdanie podgotovili S. V. Servinskij, Ju. A. Sicalin, E. F. Sicalina, Moskva:
Nauka, 1991, Literaturnye pamjatniki
1: Livres 1.-4. / Stace, Paris: Les Belles Lettres, 1990
Note Generali: Testo orig. a fronte.
P. Papini Stati Silvae / recognovit brevique adnotatione critica instruxit E. Courtney, Oxonii: e Typographeo
Clarendoniano, 1990, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
2: Livres 5-8 / Stace; texte etlabi et traduit par Roger Lesueur, Paris: Les belles lettres, 1991
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Fa parte di: Thebaide / Stace; texte etabli et traduit par Roger Lesueur
1: Livres 1.-4. / Stace; texte etabli et traduit par Roger Lesueur, Paris: Les belles lettres, 1990
Note Generali: Testo orig. a fronte.
2: Livres 5.-8. / Stace; texte etabli et traduit par Roger Lesueur, Paris: Les belles lettres, 1991, Collection des
universites de France. Ser.latine
Note Generali: Testo orig. fronte.
Estacio, Silvas 3.: introduccion, edicion critica, traduccion y comentario / Gabriel Laguna, Sevilla:
Universidad de Sevilla, 1992
Descrizione fisica: XI, 426 p.; 24 cm.
Thebaide / Stace, Paris: Les Belles Lettres, 1990-, Collection des universites de France
Note Generali: Testo originale a fronte
Comprende: @T.1@: Livres 1-4 / texte etabli et traduit parRoger Lesueur
Thebaid 9. / Statius; edited with an English translation and commentary by Michael Dewar, Oxford:
Clarendon, 1991, Oxford classical monographs
Note Generali: Testo latino con trad. inglese a fronte.
Estacio, Silvas 3. / introduccion, edicion critica, traduccion y comentario [de] Gabriel Laguna, Madrid:
Fundacion Pastor de estudios clasicos, 1992
Thebaid / Statius; translated by A. D. Melville; with an introduction and notes by D. W. T. Vessey, Oxford:
Clarendon press, 1992
P. Papini Stati Silvae / recognovit brevique adnotatione critica instruxit E. Courtney
Edizione: [Reprinted with corrections], Oxonii: e typographeo Claredoniano, 1992, Scriptorum classicorum
bibliotheca Oxoniensis
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Index nominum / P. Papinius statius, Pisa: Giardini, 1985, Scriptorum Romanorum quae extant omnia
Opere / Publio Papinio Stazio; a cura di Antonio Traglia e Giuseppe Arico
Edizione: Rist, Torino: UTET, 1987, Classici latini
1: Thebaidos libri 1.-7, Pisa: in aedibus Giardini editori e stampatori, 1985, Scriptorum Romanorum quae
extant omnia
2: Thebaidos libri 8.-12, Pisa: in aedibus Giardini editori e stampatori, 1985, Scriptorum Romanorum quae
extant omnia
3: Achilleis; Fragmentum, Pisa: in aedibus Giardini editori e stampatori, 1985, Scriptorum Romanorum quae
extant omnia
4: Silvae, Pisa: in aedibus Giardini editori e stampatori, 1985, Scriptorum Romanorum quae extant omnia
5: Index nominum, Pisa: in aedibus Giardini editori e stampatori, 1985, Scriptorum Romanorum quae extant
omnia
Silvae 4. / Statius; edited with an English translation and commentary by K. M. Coleman, Oxford: Clarendon
Press, 1988
1: Thebaidos libri 1.-7, Pisa: in aedibus Giardini editori e stampatori, 1985, Scriptorum Romanorum quae
extant omnia
2: Thebaidos libri 8.-12, Pisa: in aedibus Giardini editori e stampatori, 1985, Scriptorum Romanorum quae
extant omnia
3: Achilleis, Fragmentum, Pisa: in aedibus Giardini editori e stampatori, 1985, Scriptorum Romanorum quae
extant omnia
4: Silvae, Pisa: in aedibus Giardini editori e stampatori, 1985, Scriptorum Romanorum quae extant omnia
5: Index nominum, Pisa: in aedibus Giardini editori e stampatori, 1985, Scriptorum Romanorum quae extant
omnia
Dam, Harm-Jan: van, Silvae book 2. / P. Papinius Statius; a commentary by Harm-Jan Van Dam, Leiden: E.
J. Brill, 1984, Mnemosyne. Supplementum
P. Papini Stati Thebaidos libri 12 / recensuit et cum apparatu critico et exegetico instruxit D. E. Hill, Lugduni
Batavorum: E. J. Brill, 1983, Mnemosyne. Supplementum
P. Papini Stati Thebaidos: Libri 12 / recensuit et cum apparatu critico et exegetico instruxit D. E. Hill, Lugduni
Batavorum: E. J. Brill, 1983, Mnemosyne. Supplementum
Klecka, Joseph Anthony, A concordance to Statius / by Joseph Anthony Klecka, Ann Arbor, Michigan
Note Generali: Thesis ... University of Illinois at Urbana-Champaign, 1977.
Opere di Publio Papinio Stazio / a cura di Antonio Traglia e Giuseppe Arico, Torino: UTET, c1980, Classici
latini
Klecka, Joseph, Concordantia in Publium Papinium Statium / ed. Joseph Klecka, Hildesheim [etc.]: Georg
Olms Verlag, 1983, Alpha-omega. Reihe A, Lexika, Indizes,Konkordanzen zur klassischen Philologie
Opere di Publio Papinio Stazio / a cura di Antonio Traglia e Giuseppe Arico, Torino: Unione tipograficoeditrice torinese, 1980, Classici latini
Achilleid / Publius P. Statius; Oswald A. Dilke, New York: Arno Pr., 1979, Latin texts and commentaries
P. Papini Stati Silvae / recensuit Antonius Traglia, Aug[usta] Taurinorum: In aedibus Io. Bapt. Paraviae,
1978, Corpus scriptorum Latinorum Paravianum
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P. Papini Stati Silvae / recensuit Antonius Traglia, Aug. Taurinorum: in aedibus Io. Bapt. Paraviae, 1978,
Corpus scriptorum Latinorum Paravianum
La Tebaide / Publius Papinius Statius; a cura di Giuseppe Arico, Torino: Litet, 1979
Silvae / P. Papini Stati; recensuit Antonius Traglia, Aug. Taurinorum [etc.]: in aedibus Io. Bapt. Paraviae et
sociorum, 1978, Corpus scriptorum Latinorum Paravianum
P. Papini Stati Achilleis / recensuit Aldo Marastoni, Leipzig: B. G. Teubner, 1974, Bibliotheca scriptorum
Graecorum et RomanorumTeubneriana
P. Papini Stati Thebais / edidit Alfredus Klotz
Edizione: Editionem correctiorem / curavit Thomas C. Klinnert, Leipzig: B. G. Teubner, 1973, Bibliotheca
scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
P. Papini Stati Thebaidos: Liber Decimus / edited with a commentary by R. D. Williams, Lugduni Batavorum:
E. J. Brill, 1972, Mnemosyne. Supplementum
Arico, Giuseppe, Introduzione a Stazio: problemi e interpretazioni, Palermo: Libreria editrice Gino, 1973
Note Generali: In appendice: Antologia di pagine staziane .
Thebaidos liber decimus / ed. with a commentary by R. D. Williams, Lugduni Batavorum: E. J. Brill, 1972
Fa parte di: Mnemosyne: Bibliotheca Classica Batava .
Thebais / P.Papini Stati; edidit Alfredus Klotz; editionem correctiorem curavit Thomas C. Klinnert
Edizione: 2. Aufl., Leipzig: Teubner, 1973, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
La Tebaide: libro 1. / P. Papinio Stazio; introduzione, testo, traduzione e note a cura di Franco Caviglia,
Roma: Edizioni dell'Ateneo, 1973, Scriptores Latini
P. Papini Stati Thebaidos liber undecimus / introduzione, testo critico, commento e traduzione a cura di
Paola Venini, Firenze: La nuova Italia, 1970, Biblioteca di studi superiori
P. Papini Stati Silvae / recensuit Aldus Marastoni
Edizione: Editio stereotypa correctior adiecto fragmento carminis De bello germanico, Leipzig: B. G.
Teubner, 1970, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
La Tebaide, libro primo: anno accademico 1971-1972 / dispense per il corso di letteratura latina a cura del
prof. Franco Caviglia, Lecce: Edizioni universitarie Milella, 1971
Achilleide / Stace; texte etabli et traduit par Jean Meheust, Paris: Les belles lettres, 1971, Collection des
universites de France
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Luipold, Hans-A., Die Bruder-Gleichnisse in der Thebais des Statius: Dissertation .., Bamberg: <s.n.>, 1970
Nomi: Luipold, Hans-A.
Le selve: con antologia di traduzioni e note / testo e apparato critico a cura di Francesco Sbordon, Napoli:
Libreria scientifica editrice, 1970
Note Generali: In testa al front.: Stazio . P. Papini Stati Thebaidos liber undecimus / introduzione, testo
critico, commento e traduzione a cura di Paola Venini, Firenze: La nuova Italia, 1970, Biblioteca di studi
superiori
P. Papini Stati Silvae / recognovit brevique adnotatione critica instruxit Ioannes S. Phillimore
Edizione: Editio altera correctior / in indice nominum componendo operam dederunt Ioannes Clarke, Iacobus
I. Robertson, Ioannes H. Young, Oxonii: e Typographeo Clarendoniano, 1967, Scriptorum classicorum
bibliotheca Oxoniensis
Note Generali: Ristampa dell'ed. del 1905.
Thebaid: a commentary on book 3. / P. Papinius Statius; with text and introd. by H. Snijder, Amsterdam:
Hakkert, 1968
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Deferrari, Roy Joseph, A concordance of Statius / Roy J. Deferrari, M. Clement Eagan, [Rist. anast.], 1966
Note Generali: Ripr. facs. dell'ed.: Brookland, 1943
P. Papini Stati Thebais et Achilleis / recognovit brevique adnotatione critica instruxit H. W. Garrod
Edizione: Rist, Oxonii: e Typographeo Clarendoniano, 1965, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
Note Generali: Ripr. litogr. corr. della 1. ed. 1906.
Thebais et Achilleis / recognovit brevique adnotatione critica instruxit H. W. Garrod, Oxonii: e Tipographeo
Clarendoniano, 1965, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis The medieval Achilleid of Statius / ed.
with introd., variant readings and glosses by Paul M. Clogan
Le Selve: dai libri 3. e 4. / Stazio; a cura di F. Sbordone; con appendice di traduzioni, Napoli: L. Loffredo,
1964
2: Thebaid 5.-12.; Achilleid, London: W. Heinemann, Mass., The Loeb classical library
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Fa parte di: Statius / with an English translation by J. H. Mozley
Silvae; Recensuit Aldus Marastoni, Lipsiae: Teubneri, 1961, Bibliotheca scriptorum Graecorum et
RomanorumTeubneriana
Le selve / versione italiana di Mario Villa, Roma: M. Bulzoni, [1964], Classici latini e graci tradotti
Note Generali: In testa al front.: Publio Papinio Stazio
Litografato .
1: Livres 1-3 / Stace; texte etabli par Henri Frere et traduit par H. J. Izaac
Edizione: 2. ed. revue et corrigee, Paris: Les belles lettres, 1961
Fa parte di: Silves / Stace; texte etabli par Henri Frere et traduit par H. J. Izaac
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2: Livres 4-5 / Stace; texte etabli par Henri Frere et traduit par H. J. Izaac
Edizione: 2. ed. revue et corrigee, Paris: Les belles lettres, 1961
Fa parte di: Silves / Stace; texte etabli par Henri Frere et traduit par H. J. Izaac
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Toffanin, Giuseppe <1891-1980>, Dal mio taccuino dantesco: Virgilio e Stazio / Giuseppe Toffanin, Firenze:
L.S. Olschki, 1961
Note Generali: Estr. da: Atti del Congresso di Studi danteschi, 1., Caserta, 1961.
Nomi: Toffanin, Giuseppe <1891-1980>
1: Silvae; Thebaid 1.-4, London: W. Heinemann, Mass., The Loeb classical library
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Fa parte di: Statius / with an English translation by J. H. Mozley
P. Papini Stati Silvae / recensuit Aldus Marastoni, Lipsiae: In aedibus B. G. Teubneri, 1961
Descrizione fisica: XCVII, 186 p.; 21 cm., Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
L' Achilleide: (P. Pap. Statii Achilleidos libri duo) / testo critico e commento di Silvia Jannaccone, Firenze: G.
Barbera, 1950 (Pisa, Tip. A. Vallerini)
P. Papini Stati Thebais et Achilleis / recognovit brevique adnotatione critica instruxit H. W. Garrod, Oxonii: e
Typographeo Clarendoniano, stampa 1950, c1906, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
Silvae / Recognovit brevique adnotatione critica instruxit Ioannes S. Phillimore; In indice nominum
componendo operam dederunt Ioannes Clarke, Iacobus I. Robertson, Ioannes H. Young
Edizione: 2. ed. correctior Reprinted, Oxonii: E typ. Clarendoniano, 1958, Scriptorum classicorum bibliotheca
Oxoniensis
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Thebais et Achilleis / Recognovit brevique adnotatione critica instruxit H. W. Garrod, Oxonii: E typ.
Clarendoniano, 1953, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
Achilleid / Ed. with introd., apparatus criticus and notes by O. A. W. Dilke, Cambridge: University Press, 1954
Dilke, Oswald Ashton Wentworth
2: Thebaid 5.-12.; Achilleid / Statius; with an english translation by J. H. Mozley, London: William
Heinemann, Massachusetts
Note Generali: Testo orig. a fronte
Fa parte di: Statius / with an English translation by J. H. Mozley
P. Papini Stati Thebais et Achilleis / recognovit brevique adnotatione critica instruxit H. W. Garrod
Edizione: Reprinted lithographically from corrected sheets of the first edition, Oxonii: e typographeo
clarendoniano, 1954, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
P. Papini Stati Silvae / recognovit brevique adnotatione critica instruxit Ioannes S. Phillimore; in indice
nominum componendo operam dederunt Ioannes Clarke, Iacobus I. Robertson, Ioannes H. Young
Edizione: Editio altera correctior, Oxonii: e typographeo clarendoniano, 1958 Publii Papinii Statii Thebaidos
liber secundus commentario exegetico aestheticoque instructus / specimen litterarum inaugurale ... Heine
Melle Mulder, Groningae: De Waal, 1954
Silvae: Libro I. Testo, traduzione e note di Luigi Illuminati, Messina: G. D'anna, 1941, Tip. D'amico 1: Livre
1.-3. / Stace; texte etabli par Henri Frere et traduit par H.J. Izaac, Paris: Les Belles Lettres, 1944
Fa parte di: Silves / Stace; texte etabli par Henri Frere et traduit par H.J. Izaac
2: Livre 4.-5. / Stace; texte etabli par Henri Frere et traduit par H.J. Izaac, Paris: Les Belles Lettres, 1944
Fa parte di: Silves / Stace; texte etabli par Henri Frere et traduit par H.J. Izaac
1: Livres 1.-3. / Stace; texte etabli par Henri Frere; et traduit par H. J. Izaac, Paris: Les belles lettres, 1944
Fa parte di: Silves / Stace; texte etabli par Henri Frere et traduit par H. J. Izaac
Deferrari, Roy Joseph, A concordance of Statius / by Roy J. Deferrari, sister M. Clement Eagan, Ann Arbor,
Michigan
Statii silvarum libri, [Milano]: Garzanti, 1947, Collezione romana
2: Livres 4.-5. / Stace; texte etabli par Henri Frere; et traduit par H. J. Izaac, Paris: Les belles lettres, 1944
Fa parte di: Silves / Stace; texte etabli par Henri Frere et traduit par H. J. Izaac
Silvae / recognovit brevique adnotatione critica instruxit J. S. Phillimore; in indice componendo operam
dederunt J. Clarke, J. I. Robertson, J. H. Young
Edizione: 2. ed. correctior, Oxford: Clarendon press, 1949, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
Silves / Stace; traduction nouvelle avec introduction et notes par Henri Clouard, Paris: Garnier freres, 1935,
Classiques Garnier 1: Silvae; Thebaid: 1
Edizione: 4. / Statius, Cambridge, Mass., The Loeb classical library
Numeri: ISBN - 0674992261
Fa parte di: Statius / with an English translation by J. H. Mozley
2: Thebaid: 5
Edizione: 12.; Achilleid / Statius, Cambridge, Mass., The Loeb classical library
Fa parte di: Statius / with an English translation by J. H. Mozley
Le selve / Stazio; versione di Giuseppe Sozzi, La Santa: Societa anonima Notari, Istituto editoriale italiano,
Collezione romana
1: Achilleis / P. Papinius Statius; iterum edidit Alfredus Klotz, Lipsiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1926
P. Papinii Statii De opheltis funere carmen epicum, Thebaidos liber 6. 1-295, versione Batava
commentarioque exegetico instructum / specimen litterarium inaugurale ... H. W. Fortgens, Zutphaniae: in
officina typographica Nauta & Co., 1934
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L' epitalamio di Stazio: Introduzione e commento di Jole Lauro, Portici: Tip. Bellavista, 1938
Le selve / Stazio; versione di Giuseppe Sozzi, Milano: Istituto Editoriale Italiano, 1929, Collezione romana
L' Epicedion in patrem suum / tradotto in versi italiani da Ignazio Calandrino, Reggio Emilia: Tip. F.lli Rossi,
1927
Le selve: Versione di Giuseppe Sozzi, La Santa, Milano, Collezione romana
Silvae: Scelta di poesie tradotte in versi italiani, con commento ed introduzione di Giuseppe Sozzi, Catania:
Studio Edit. Moderno, 1927, E. Giandolfo e C.
2.1: P. Papinius Statius Achilleis / iterum edidit Alfredus Klotz, Lipsiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1926
Silvae: scelta di poesie / P. Papinio Stazio; trad. in versi italiani, con commento ed introduzione di G. Sozz,
Catania: Studio editoriale moderno, 1927
La Tebaide di Stazio / Cornelio Bentivoglio; introduzione e note di Carlo Calcaterra, Torino: UTET, 1928
Descrizione fisica: 2 v. (XCII, 266; 294 p.), [7] c. di tav.: fot.; 18 cm, Classici italiani
Silvae / P. Papini Stati; recognovit brevique adnotatione critica instruxit Ioannes S. Phillimore; in indice
nominum componendo operam dederunt Ioannes Clarke, Iacobus I. Robertson, Ioannes H. Young, Oxonii: e
typogrepheo claredoniano, [pref. 1917], Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
P. Papini Stati Silvae / recognovit brevique adnotatione critica instruxit Ioannes S. Phillimore; in indice
nominum componendo operam dederunt Ioannes Clarke ... [et al.]
Edizione: 2. ed. correctior, Oxonii: e typographeo Clarendoniano, pref. 1917
Achilleis / interpretatus est M. R. J. Brinkgreve, Rotterdam: W.L. et J. Brusse, 1913
Descrizione fisica: 1 v. (paginazione varia); 8.
Nomi: Statius, Publius Papinius; Brinkgreve, M. R. J.
Statii Achilleis, Rotterdam: W. L. et J. Brusse, 1913
P. Papini Stati Silvae / recognovit brevique adnotatione critica instruxit S. Phillimore, Oxonii: e typographeo
clarendoniano, <praef. 1917>, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
Due selve / tradotte in versi [da] Carlo Landi, Padova: Tip. Fratelli Gallina, 1914
P. Papini Stati Silvae / Krohni copiis usus iterum edidit Alfredus Klotz, Lipsiae: In aedibus B. G. Teubneri,
1911, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
Thebais et Achilleis / P. Papini Stati; recognovit brevique adnotazione critica instruxit H. W. Garrod, Oxonii: e
typographeo claredoniano, [pref. 1906], Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis 2.2: P. Papini Stati
Thebais / cum Ottonis Muller tum aliis copiis usus edidit Alfredus Klotz; accedit index nominum ad Stati
Achilleidem et Thebaidem, Lipsiae: In aed. Teubneri, 1908, Bibliotheca scriptorum Graecorum et
RomanorumTeubneriana
P. Papini Stati Thebais et Achilleis / recognovit brevique adnotatione critica instruxit H. W. Garrod, Oxonii: e
typographeo Clarendoniano, [1906], Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
P. Papinii Stati Silvae / recognovit brevique adnotatione critica instruxit Ioannes S. Phillimore
Edizione: Ed. 2. correctior, Oxonii: e typographeo Clarendoniano, 1905, Scriptorum classicorum bibliotheca
Oxoniensis
Tre carmi: volti in italiano / di Papinio Stazio, Benedetto Maresca, Napoli: Tip. A. Natale, 1905
Epistola a Vittorio Marcello: Silv. IV, 4: recata in italiano / P. Papinio Stazi, Napoli: stab. tip. Gennaro Salvati,
1906
Tre carmi di P. Papinio Stazio / volti in italiano da Benedetto Maresca, Napoli: pei tipi di Antonio Natale, 1905
Note Generali: Contiene: La villa sorrentina di Pollio Felice, L'Ercole sorrentino, L'albero di Atedio Meliore. .
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Propempticon Maecio Celeri P. Papinii Statii: Silv. III, 2 / recato in italiano, Napoli: stab. tip. Gennaro Salvati,
1907
Altri titoli collegati: [Variante del titolo] Propempticon Maecio Celeri Publii Papinii Statii
Abbamondi, Alfonso, Le selve di P. Papinio Stazio ed un commento inedito di Giano Aulo Parrasio:
contributo alla critica staziana / Alfonso Abbamondi, Napoli: Libreria Detken & Rocholl, 1906
Nomi: Abbamondi, Alfonso
Parrasio, Aulo Giano <1470-1534>
2.2: P. Papini Stati Thebais / cum Ottonis Muller tum aliis copiis usus edidit Alfredus Klotz; accedit index
nominum ad Stati Achilleidem et Thebaiem, Lipsiae: in aedibus B.G. Teubneri, 1908
Fa parte di: P. Papini Stati Operum
P. Papini Stati Silvae / recognovit brevique adnotatione critica instruxit Ioannes S. Phillimore, Oxonii: e
typographeo clarendoniano, pref. 1904, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
Titolo uniforme: Silvarum libri
Nomi: Statius, Publius Papinius
Phillimore, John Swinnerton
2.1.: Achilleis / edidit Alfredus Klotz, Lipsiae: Teubner, 1902
Fa parte di: P. Papini Stati Operum
P. Papini Stati Silvae / Krohni copiis usus edidit Alfredus Klotz, Lipsiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1900,
Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
P. Papini Stati Achilleis / edidit Alfredus Klotz, Lipsiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1902, Bibliotheca
scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
L' Ecloga alla moglie; e la Gratulazione a Menecrate / P. Papinio Stazio; recate in italiano da Benedetto
Maresca, Napoli: tipi Salvati, [dopo il 1904]
Saggio di traduzione di un carme del primo libro delle selve di Stazio: nota / letta all'Accademia Pontaniana
dal socio Benedetto Maresca, Napoli: stab. tip. della R. Universita, 1901
Note Generali: Estr. da: Atti dell'Accademia Pontaniana, v. XXXI .
Silvarum libri / P. Papinii Statii; hrsg. und erklart von Friedrich Vollmer, Leipzig: Teubner, 1898
P. Papinii Statii Silvarum libri / herausgegeben und erklart von Friedrich Vollmer, Leipzig: B. G. Teubner,
1898 Oeuvres completes / Stace ... [et al.]; avec la traduction en francais; publiees sous la direction de M.
Nisard, Paris: Firmin-Didot et Cie, 1884, Collection des auteurs latins avec latraduction en francais
Altri titoli collegati: [Variante del titolo] Stace, Martial, Manilius, Lucilius Junior, Rutilius, Gratius Faliscus,
Nemesianus et Calpurnius.
2: Thebais: cum indice nominum / P. Papinii Statii, Lipsiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1884
Fa parte di: 2: P. Papinii Statii Achilleis et Thebais / recensuit Philippus Kohlmann
Opleo e dimante: Traduzione di Umberto Sailer, Venezia: Tip. Dell'ancora, 1886
1: P. Papinii Statii Silvae / recensuit Aemilius Baehrens, Lipsiae: in aedibus B.G. Teubneri, 1876
Baehrens, Emil
2.1: P. Papinii Statii Achilleis / recensuit Philippus Kohlmann, Lipsiae: in, 1879
Fa parte di: P. Papini Stati Operum
2.1: Achilleis / P. Papinius Statius, Lipsiae: in aedibus G. B. Teubneri, 1879
Fa parte di: 2: P. Papinii Statii Achilleis et Thebais / recensuit Philippus Kohlmann
Nomi: Statius, Publius Papinius
1: P. Papinii Statii Silvae / recensuit Aemilius Baehrens, Lipsiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1876
1: Thebaidos libri 1-6. / recensuit O. Mueller, Leipzig: B. G. Teubner, 1870
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Fa parte di: P. Papini Stati Thebais et Achilleis cum scholiis
L' achilleide posta in versi italiani da Giovanni Pirani / P. Papinio Stazio, Modena: dalla Societa tipografica,
1875 Oeuvres completes / Stace ... [et al.]; avec la traduction en francais publiees sous la direction de M.
Nisard, Paris: Firmin-Didot et C.ie, 1878
Descrizione fisica: III, 836 p.; 27 cm., Collection des auteurs latins avec latraduction en francais
Note Generali: Con testo orig.
Nomi: Statius, Publius Papinius
Nisard, Desire
Altri titoli collegati: [Variante del titolo] Stace, Martial, Manilius, Lucilius Junior, Rutilius, Gratius Faliscus,
Nemesianus et Calpurnius.
1: Silvae; Achilleis / Publius Papinius Statius; recognovit Gustavus Queck, Lipsiae: sumptibus et typis B. G.
Teubneri, 1854
Fa parte di: Publius Papinius Statius / recognovit Gustavus Queck
Queck, Gustav Adolph
2: Thebais / Publius Papinius Statius; recognovit Gustavus Queck, Lipsiae:
sumptibus et typis B. G. Teubneri, 1854
Fa parte di: Publius Papinius Statius / recognovit Gustavus Queck
Vergilius Maro, Publius, Opere di P. Virgilio Marone. [Le opere di Publio Papinio Stazio: con la traduzione e
note di varii: variorum notis illustrata: con la traduzione e note di varii: cum variorum notis] = =Quae extant P.
Virgilii Maronis opera = =Publii Papinii Statii opera quae extant, Venezia: dalla tip. di Giuseppe Antonelli ed.,
1839, Biblioteca degli scrittori latini: *con traduzione e note
Vergilius Maro, Publius, Opere di P. Virgilio Marone. [Le opere di Publio Papinio Stazio: con la traduzione e
note di varii: variorum notis illustrata: con la traduzione e note di varii: cum variorum notis] = =Quae extant P.
Virgilii Maronis opera = =Publii Papini Statii opera quae extant, Venezia: dalla tip. di Giuseppe Antonelli ed.
..., 1839, Biblioteca degli scrittori latini: *contraduzione e note
Le opere di Publio Papinio Stazio / con la traduzione e note di varii, Venezia: dalla tip. di Giuseppe Antonelli,
1840, Biblioteca degli scrittori latini
Testo orig. a fronte.
Nomi: Statius, Publius Papinius
2: OEuvres completes de Stace le livre 5. des Silves et le livres 1. a 4. de la Thebaide traduits par M.
Achaintre .., Paris: C.L.F. Panckoucke ... editeur, rue des Poitevins, n. 14, 1830 (Paris: imprimerie de C. L. F.
Panckoucke, rue des Poitevins, n. 14)
Descrizione fisica: [4], 434 p.
Fa parte di: Oeuvres completes de Stace traduites les livres 1. et 2. des Silves par M. Rinn ... Les livres 3. et
4. par M. Achaintre ... Tome premier (-quatrieme)
Achaintre, Nicolas Louis
[Editore] Panckoucke, Charles Louis Fleury
4: In opera P. Papinii Statii cum testimoniis recensu codicum et notitia litteraria index universus rerorum,
nominum et vocabulorum quem plane confecit et disposuit N.E. Lemaire .., Parisiis: colligebat Nicolaus
Eligius Lemaire poeseos latinae professor, 1830 ([Parigi]: excudebat A. Pihan Delaforest, SS. Delphini et
supremi judicum ordinis typographus)
Descrizione fisica: [6], 667, [1] p.
Fa parte di: P. Papini Statii quae exstant omnia opera
Nomi: Statius, Publius Papinius
[Editore] Pihan Delaforest, Ange AugustinThomas
"Stazio¸ Publio Papinio - Castaldi"
Publio Papinio Stazio
(Napoli 45 ca – 96 d.C.)
Vita.
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Figlio di un maestro di retorica (elemento non trascurabile, questo, nella sua formazione poetica), S. incarna
- forse più di altri - la figura del poeta "professionista". Si trasferì a Roma per tentare la fortuna durante
l'impero di Domiziano e, in breve tempo, effettivamente si guadagnò – nelle recitazioni pubbliche e nelle gare
poetiche - il favore del pubblico e dei grandi signori, che divennero suoi protettori.
D'ingegno duttile e versatile, in questo primo periodo compose libretti per mimi e, oltre al suo primo poema
epico, la "Tebaide", alcune "Silvae", componimenti lirici di circostanza in uno stile facile ed elegante. Ma,
dopo alcuni rovesci, nonostante le preghiere insistenti della moglie Claudia, una musicista, decise di
abbandonare la città per far ritorno in Campania. Vi condusse lo stesso genere di esistenza di poeta
mondano al servizio dei nobili romani, che in quella regione approdavano in massa per i loro soggiorni
primaverili ed estivi.
In questo periodo della sua attività, scrisse altre "Silvae" e una seconda epopea, l' "Achilleide", che non gli fu
però possibile portare a termine.
Opere e considerazioni.
"Tebaide" (pubbl. nel 92). E’ in 12 libri e narra la lotta fra i due fratelli Eteocle e Polinice per la successione in
Tebe al trono di Edipo (ma anche se il tema è mitologico, dotato di un complesso apparato divino, la vera
sostanza del contenuto riporta irresistibilmente verso la "Farsaglia" di Lucano).
In un insolito epilogo programmatico, S. dichiara poi di avere un modello altissimo, anche se preso coi dovuti
rispetti: l "Eneide", di cui le due esadi riproducono fedelmente la metà iliadica di preparazione e quella
odisseica.
In verità, i modelli poetici sono legione: S. dimostra una buona conoscenza della tragedia greca (Antimaco
di Colofone e Eschilo) e forse anche di alcuni poemi ciclici o di loro riassunti. Talora (oltre che l’Omero
mediato da Virgilio) appaiono anche modelli più insoliti: Euripide, Apollonio Rodio, persino Callimaco (e gli
alessandrini in genere); infine, lo stile narrativo e la metrica risentono della lezione tecnica di Ovidio, mentre
la sua immagine del mondo dell’influsso di Seneca, da cui mutua anche, volendo, il gusto dell'orrido e la
tendenza al patetico (caratteristiche comunque comuni alla letteratura del tempo).
Insomma, proprio qui - ovvero nel contrasto tra fedeltà alla tradizione virgiliana e le inquietudini
modernizzanti - sta il vero centro dell’ispirazione epica di S. . Tuttavia, nonostante tale costellazione di
influssi, e nonostante l'abbondanza di episodi minuti e di "miniature" sentimentali o pittoresche, l’opera non
manca affatto di unità: anzi, il difetto tipico sono piuttosto gli ossessivi "corsi e ricorsi" a motivi e atmosfere:
tutta la storia risulta, ad es., dominata da una ferrea "necessità universale" (la cui funzione è enfatizzata in
un apparato divino come detto tipicamente virgiliano), che appiattisce le cose, gli uomini e le stesse divinità
(è qui che S. si avvicina invece più a Lucano).
"Achilleide" (interrotta all'inizio del II libro per la morte del poeta). Poema epico sull’educazione e le vicende
della vita di Achille: ma la narrazione giunge fino alla partenza dell'eroe per Troia. Il tono è più disteso ed
idillico che nella barocca "Tebaide", benché nell'opera tutta si evidenzi una forte accentuazione della
componente etica.
"Silvae" ("schizzi", ovvero materiale grezzo necessitante di rifinitura; ma in realtà l'opera risulta, a suo modo,
già elaborata e perfetta: dunque, il titolo va forse più propriamente riferito al carattere "occasionale",
estemporaneo, dei componimenti). E' una raccolta di 32 poesie, scritte tra l'85 e il 95 d.C., in 5 libri di metro
vario (dall’esametro ai versi lirici), di temi appunto occasionali (epitalami, descrizioni di ville e di terme, di
statue e di altri oggetti artistici, epicedi, epistole poetiche, invocazioni…) e di tono molto spigliato e
spontaneo, nonostante la ricchezza di "topoi" retorici. Esse ci hanno conservato preziose immagini dell’alta
società romana del tempo (della sua "mentalità") e dell’ambiente di corte: il poeta si propone quasi quale
"supervisore" sistematico dei pubblici sentimenti o si atteggia a cantore orfico integrato nella comunità
(deriva da ciò la patina cortigiana e conformistica di tutto l’insieme).
E' forse proprio qui, quindi, che S. dà prova d'essere veramente un poeta erudito, un cantore della poesia
sentimentale e preziosa, addirittura "estetizzante" (a suo riguardo, qualche critico ha parlato di "retorica della
dolcezza").
"Stazio¸ Publio Papinio - Encarta",
Stazio, Publio Papinio
Stazio, Publio Papinio (Napoli 45 ca. - 96 d.C.), poeta latino. Figlio di un maestro di retorica, si trasferì a
Roma dove la sua abilità nel comporre versi fu presto notata da Domiziano, che gli accordò il suo favore. Fu
autore della Tebaide, poema epico in 12 libri (quanti ne ha l'Eneide di Virgilio), che gli costò dodici anni di
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lavoro, dall'80 al 92. Narrava la lotta fratricida tra Eteocle e Polinice, attestando una buona conoscenza del
cosiddetto ciclo tebano. Se l'impronta virgiliana dell'opera risulta ormai ridotta a un vuoto espediente, la
scelta del tema non è priva di riferimento alla realtà contemporanea e in particolare all'incubo della guerra
civile. Dopo essersi ritirato a Napoli nel 94, iniziò a comporre l'Achilleide, poema epico sulla vita di Achille
rimasto incompiuto per la morte del poeta. La fortuna della Tebaide fu grande nell'antichità come durante
tutto il Medioevo, sino alla scoperta nel 1417 da parte di Poggio Bracciolini delle Silvae, l'opera su cui si è
concentrata l'attenzione della critica moderna. In cinque libri sono raccolte le liriche d'occasione, 32
componimenti in tutto, composte tra l'89 e il 95, di vari argomenti suggeriti dalle circostanze, che
testimoniano il gusto dell'epoca e il virtuosismo di uno dei suoi massimi interpreti.
"Stazio¸ Publio Papinio - Treccani",
Stazio Publio Papinio. Poeta latino, nato a Napoli verso il 45 d.C. Ebbe la sua prima educazione nella scuola
del padre, poeta anche lui e cittadino di Velia in Lucania. Vinse alcuni premi poetici, quindi si trasferì a
Roma, ma non vi ebbe vita facile, anche se si umiliò ad adulare Domiziano. Preso da nostalgia per la città
natale, vi ritornò nel 95, morendovi forse l'anno dopo. S. scrisse molto, ma parecchio è andato perduto. Ci
resta tuttavia la parte più importante della sua opera, costituita dalla Tebaide, dall'Achilleide e dalle Selve. La
Tebaide e un poema epico in 12 libri, ispirato alla vicenda leggendaria dei Sette a Tebe. Il poema piacque
più tardi e destò l'ammirazione dello stesso Dante. L'Achilleide, rimasta incompiuta al II libro, pure
d'ispirazione mitologica, rivela maggiore vivezza. Maggiore importanza hanno però le Selve. Si tratta di 32
componimenti distribuiti in 5 libri che ci presentano un genere letterario nuovo. Lo stesso poeta, nella dedica
all'amico Arrunzio Stella, cerca di precisarne la natura e dichiara che argomenti e impostazione sono
scaturiti da improvvisa ispirazione. Quando non si lascia andare all'adulazione, S. qui sa essere poeta:
notevoli sono l'epicedio per la morte del padre, l'esortazione alla moglie Claudia perché lo segua nell'incanio
di Napoli e il ricordo di Lucano già morto.
Riposati
1. Vita. - II. L-opera; a) ' Agàve-; b) ' Carmen de bello Cerman;co-; c) ' Tebaide '; d) ' Achilleide '; valore epico
di Stazio; e) ' Silvae '; valore lirico di Stazio. - 111. Conclusione e fortuna.
Publio Papinio Stazio (P. Papintus Stattus) è tra i maggiori poeti lirici ed epici di questo periodo.
I. - vita. Nacque a Napoli, circa il 54 d. C. (t), quando la sua famiglia anelava a rifarsi da una serie di dissesti
economici, che le avevano causato la decadenza dall'ordine equestre. II padre era maestro di retorica ed
intercalava all'insegnamento la partecipazione a gare poetiche. Nel 69 Domiziano sedò a Roma uno dei più
violenti tumulti, che si erano verificati nella difficile situazione politica, creatasi dopo la morte di Nerone.
Stazio padre venne a Roma, recitò in Senato un carme celebrativo dell'Imperatore; ebbe successo brillante,
ma nulla piú.
Forse quell anno segna la data d'inizio dell'attività romana de! nostro poeta. Fu a fianco del padre
nell'insegnamento, e con lul progettò la prima stesura della Tebaile. Arrotondava il modesto bilancio
scrivendo copioni per il teatro. Rimasto orfano di padre (la madre era morta da tempo), sposò, nell'80,
Claudia unattrice romana, già vedova d'un musicista e madre d'una bimba La donna non abbandonò le
scene né ridusse le sue aspirazionl mondane; il che incise non poco sulle condizioni morali e finanziarie del
poeta, che fu persino costretto a vendere al mimo Pàride il copione inedito d'una sua fabt71a salttca,
1'Agàve. Nel frattempo otteneva eflímeri successi, recitando brani della Tebàile. Nell'86 vinse la corona ai
ludi Albani, cantando le discutibili vittorie germaniche di Domiziano. Finalmente, tra il 91 e il-92, pubblicò la
Tebaile, dedicata allo stesso Domiziano. Ebbe giudizi lusinghieri, ma anche cntiche aspre. Gli anni
immediatamente successivi videro comparire i primi quattro libri delle Silvae. Stazio cercava ancora
affermazioni nelle gare poetiche e fortuna presso l'Imperatore; ma non ebbe che un diritto d'acqua per il
SUQ poderetto d Alba ed un inuto a cena. Alla fine del~94, o all'inizio del 95, Stazio minato nella salute,
amareggiato dalle critiche alla sua opera-vi fa cenno nella prefazione al IV libro delle Silvae-, contrariato da
discordie familiari, si ritira a Napoli, dove concepisce il disegno dell Achtllèile. Seguono due anni di attività
discontinua e di salute malferma. II poeta alterna Napoli con Roma ed il soggiorno nella casetta albana.
All'anno % pare debba assegnarsi la fine della sua vita. Gli amici pubblicarono postumi alcuni carmi delle
Silvae ed i primi episodi dell'interrotta Achillèile.
II. - L'opera., Vengono ricordati in ordine cronologico:
a) Agave: b) Carmen le bello GermantJco ; c) Thebais; d) Achilleis; e) Silvae.
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a) Agàve. Non possediamo quest'opera; ce ne dà notizia Giovenale(l), precisando che Stazio la vendette al
mimo Pàride intactam, cioè ((prima di pubblicarla)). Vi si celebrava il mito di Agàve, sorella di Sèmele e di lei
invidiosa, che, per punizione di Diòniso, impazzí durante un'orgia e sbranò il proprio figlio, Pènteo. Fuggita
poi in Illiria, sposò il re Licotèrse, che però in seguito avrebbe ucciso.
b) ' Carmen ' sulla campagna gennanica., Ne conosciamo solo un frammento di quattro versi, giuntici in uno
scolio di Giovenale (4, 98). Vi si elogiano Vibio Gispo, Fabio Veientóne e Aalio Glabrióne, funzionari della
corte di Domiziano, nei confronti dei quali Giovenale non si mostra altrettanto indulgente. Se, come è ovvio
congetturare, il Cannen le bello Germantco è la stessa composizione, con cui Stazio vinse, nell'86, la corona
Albana, esso cantava solo la guerra di Domiziano contro i Catti, dell'anno 83, né poteva riferirsi alle
successive imprese contro Decèbalo degli anni 88-89.
c) Tebàide., Stazio distribuí la materia del poema in 12 libri, secondo il classico esempio virgiliano. Sempre
in chiave virgiliana, si possono raggruppare i libri del poema in due èsadi.
Ne è argomento la mitica lotta tra Etèocle e Poliníce, figli di Edipo, che dovevano per mutuo accordo regnare
su Tebe ad anni alterni. Etèocle però non sta ai patti, e Poliníce, costretto a prolungare il suo esilio, trova
aiuto e amicizia nell'eroe errante Tídeo, protetto da Minerva, e nel re di Atgo, Adràsto, che concede in ispose
ai due eroi le proprie figlie: Argía a Poliníce, Deífile ad Adràsto. Dopo una vana ambasceria di Tídeo presso
Etèocle, che gli tende addirittura un agguato sulla via del ritorno, Poliníce raccoglie un esercito e si procura
alleanze per muover guerra al fratello. Con lui saranno, oltre ad Adràsto e Tídeo, altri quattro re: I'indovino
Anfiarào, il prode Ippomedonte, I'ateo Capanèo e l'adolescente Partenopèo (1,111). L'esercito marcia verso
Tebe, ma è sorpreso dalla siccità. In cerca d'acqua, i soldati giungono alla fonte Langia, dove la fuggiasca
regina di Lesbo, Ipsífile, custodisce il piccolo Ofèlte, figlio del re Licurgo. Mentre Ipsífile narra la sua tragica
vicenda, un mostruoso serpente uccide Ofèlte. In suo onore saranno celebrati solenni funerali e giochi
funebri, che avrebbero dato inizio alla serie dei ludi Nemèi (IV,VI). Termina cosí la prima èsade del poema,
dedi cata esclusivamente alla preparazione della guerra.
Ripresa la marcia, I'esercito raggiunge Tebe ed ottiene un primo parziale successo in battaglia Ma, secondo
i fati, Anfiarào precipita in una voragine, che s'apre Improwisamente davanti al suo cocchio. II giorno
successivo, Tideo, dopo aver fatta grande strage di nemici, viene colpito a tradimento da Melanippo. Pur
morente, ottiene la sua vendetta, e, fattosi portare il capo di Melanippo, sfoga la propria ferocia rodendolo.
Attorno alla salma di Tideo s'accende una furiosa lotta, che terminerà con la morte del valoroso
Ippomedonte e dell'immaturo Partenopèo. Infine Gpanèo, riuscito già a scalare le mura di Tebe, lancia a
Giove un'empia sfida e viene colpito dal fulmine. Rimasti perciò in campo i due fratelli interessati alla lotta,
Etèocle e Poliníce, essi s'impegnano in un duello sleale e si trafiggono reciprocamente (VII-XI) Ad Argo
tornerà il solo Adràsto, coi resti di sette eserciti, mentre sui trono di Tebe siede il crudele Creònte, che vieta
la sepoltura dei caduti argivi. Una delegazione di donne argive ottiene però l'intervento del giusto re d'Atene,
Tèseo, che uccide in combattimento Creònte. Nella mesta sequenza delle sepolture e dei pianti si chiude
l'azione del poema (Xll).
d) Achilllide. Stazio intendeva cantare per esteso la ' vita d'Achille'. A noi è giunto il primo libro completo e
l'inizio del secondo, per un totale di circa llOO esametri.
Teti, vedendo le navi di Paride che trasportano Elena a Troia, comprende che e ormai imminente la guerra,
in cui Achille perderà la vita Chiede pertanto a Giove di poter sommergere quelle navi con una tem pesta,
ma non ne ottiene il permesso. Si reca allora in Tessaglia, dove Achille è stato affidato a Chiròne. Rapito il
figlio durante la notte, lo porta a Sciro e lo induce ad accettare vesti femminili e ad unirsi al gruppo delle figlie
del re Licomède. Frattanto i principi greci preparano la guerra e cercano di scoprire il nascondiglio dell'eroe
adolescente. Ulisse e Diomede, seguendo una divinazione di Calcante, si recano a Sciro! dove Achille ha
intrecciato un idillio con Deidamía Col noto artificlo, essi costringono il nascosto eroe a rivelare la propria
identità. La descrizione della partenza d'Achille da Sciro è l'argomento dei pochi versi, che il poeta poté
dettare del secondo libro.
Valore epico di Stazio. - 11 giudizio sul valore epico di Stazio Sl ricava soprattutto dalla Tebàile, per la cui
composizione il poeta tenne presente non solo Antímaco di Colofone ma anche le fonti mitogràfiche e
tragiche greche e latine, particoiarmente Virgilio, del quale si dichiara fedele imitatore ed emulo rispettoso
(1). Né può negarsi che, oltre ai facili raffronti strutturali, la Tebàide presenti frequenti punti di contatto con
1'Eneide: il libro Vl, che canta i glochi in onore di Ofèlte, è modellato sul V di Virgilio; nel X libro I episodio di
Dimante ed Opleo è apertamente dichiarato parallelo all'episodio d'Euríalo e Niso; la figura di Partenopèo nel
IX è contaminazione da Lauso e Pallante; il libro Xl richiama frequentemente il XII libro dell'Eneide, con la
descrizione della battaglia finale e del duello tra i protagonisti della guerra.
Ma ciò non basta a stabilire un contatto diretto tra due spiritualità, che, se pur si toccano nella personale
sensibilità delle cose e nella comune tendenza all'introspezione, nonché nella tecnica formale del verso,
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risalgono sempre a due esperienze poetiche troppo diverse, perché troppo lontane nell'anima,
nell'educazione, nell'arte e nel tempo. Tra le due opere corre un secolo di poesia e di critica, e c'è di mezzo
Lucano, che Stazio ammirava particolarmente (1).
Troppo evidente è nella Tebàile l'ordíto scolastico e retorico, ed in primo luogo l'eccesso di erudizione o,
addirittura, di filologismo. Lo studio accurato dei particolari e la minuziosa e documentata fedeltà al dato
mitologico obbligarono il poeta al virtuosismo e tolsero il respiro alla poesia. Le parti discorsive, i monòloghi
soprattutto, risentono continuamente della precettistica neoplatonica, che spostava le strutture del discorso
dagli schemi dialettici, propri della scuola aristotelica, alla ostinata ricerca di quanto potesse immediatamente
colpire la fantasia o il sentimento. Stazio vuole stupire, non esporre: e sacrifica abitualmente l'uomo al
personaggio ed il personaggio alla scena. Si sentono perciò convivere in lui l'impegno del poeta e l'habxtus
dell'uomo di teatro. Nel suo canto entrano elementi che richiamano la tragediografia senecana che lo porta a
ricostruire 1 momenti patològici delle azioni e dei comportamenti (2). Nemmeno le donne sfuggono alla
contaminazione epico-teatrale: Ipsífile (5, 28-498), che ha assistito alla tragedia di Lesbo-tutte le donne
hanno ucciso nel sonno i mariti-, fa stranamente rivivere la pazzia di Didone, ma non la tragica femminilità,
non l'amore e nemmeno la pietà verso il proprio dolore. Solo nell'ultimo libro, Argía ed Antígone, paion
riportare nel poema note di sensibilità femminile nel dolore che le accomuna (12, 310-408). Ma è pietà in
funzione catàrtica, cui fa eco la comune pietà di tutte le vedove e madri argive. Un finale da tragedia classica
dunque, piú vero, misurato ed umano, ma troppo legato all'intervento di Tèseo, detls ex machtnas per far
dimenticare l'ispirazione teatrale. II poema, infine, reca chiari i segni della pubblica recitazione
Nell'Achillèile l'autonomia artistica strutturale dei singoli brani è tale, che permise ai copisti medioevali di
tentare suddivisioni dei circa 1100 versi in tre, quattro e addirittura sei libri. Nella Tebàile ogni libro è
completo in sé, autonomo e separabile dall'insieme del poema. La seconda èsade soprattutto, ove ad ogni
libro corrisponde I epopea d un eroe, autorizza a pensare che il poeta abbia destinato i singoli libri ad
altrettante pubbliche recitazioni.
Nonostante tutti questi appesantimenti, Stazio rimane vivo per la fine abilità, con cui cesellò i singoli brani,
per la immediata partecipazione alla scena e alla vicenda dolorosa ed eroica delle sue creature per
laccorgimento nell'aprire ed esaurire l'episodio come entita autonoma. Se è debole l'architettura d'insieme, le
singole parti del poema ben ne giustificarono la fortuna.
e) Le 'Selve'., Costituiscono l'opera ' lirica ' di Stazio, dove piú impegnata appare la sua personalità di uomo
e di poeta. Sono 32 componimenti, che rivelano già nel titolo la loro natura: carmi per lo piú brevi, d
improwisa ispirazione, vari di argomento e dl metro ('), che va dall'esametro al falècio, alla strofa saffica ed
alcaica. Sono distribuiti in cinque libri, di cui i primi quattro furono pubblicati dal poeta, I'ultimo forse uscI
pòstumo, ma sul materiale già ordinato dall'Autore. Ogni libro, tranne l'ultimo, ha una praefatio in prosa, ed è
dedicato ad un personaggio storico: rispettivamente il l° ad Arrunzio Stella, uomo d'alta rinomanza nella vita
pubblica ed anche poeta (2), cantore prima e marito poi della nobile vedova napoletana Violentilla; il 2° ad
Atèdio Meliore, il 3° a Pollione Felice, nobile di Pozzuoli, il 4° a Vitorio Marcello, il dedicatario dell'opera di
Quintiliano, il 5° ad Abascanto, segretario di Domiziano.
In quasi tutti i carmi (t) si può riconoscere il motivo ' occa, sionale' determinante la composizione. La varietà
delle occasioni determina generalmente la natura, la struttura e l'estensione stessa dei singoli carmi: di qui la
vasta gamma degli argomenti: descri, zioni di vario genere, carmi consolatorii, gratulatorii, augurali, e d'altro
genere.
Tra i carmi descrittivi piú noti sono quelli della statua equestre di Domiziano nel Foro (1, 1) e della villa di
Pollione Felice a Sorrento (2, 2), dove piú che mai si sente il peso dell'erudizione e la compiacenza della
levigatura del particolare; spiccano anche lunghi carmi consolatorii ed epicèdi: per la morte di fanciulli
(Glàucia 2, l; Filèto, 2, 6) o di congiunti (di un padre 3, 3; di una moglie 5, 1) o di animali, come il pappagallo
di Meliore (2, 4) e persino di un leone degli allevamenti imperiali (2, 7). Anche qui troppo visibili sono i segni
della tòpica 'consolatoria' tradizionale. Di tono piú confiden, ziale sono le Epistulae: felicitazioni per la nascita
di un figlio (4, 8), divagazioni sulle feriae (4, 4) a Vitorio Marcello e alla moglie (3, 5), che invita a lasciare
Roma per Napoli, dove la figlia potrà prowedere lo stesso, se vorrà, al suo matrimonio. Qualche
composizione si eleva a toni solenni, come l'epitalamio per Stella e Violentilla (1, 2) o il commosso epicèdio
per il padre (5, 3), e per il figliuolo adottivo O 5). Altri carmi sfuggono ad una individuazione di argomento: tali
e tanti sono i motivi in essi cumulati. Cosí quello per la Via Domitta (4, 3), nel quale all'elogio dell'lmperatore
succede la descrizione elaboratissima della nuova strada, quindi un lungo intervento profetico ed
encomiastico della Sibilla.
Valore lirico di Stazio. - Anche in questa poesia lirica si sente, in genere, lo stesso Stazio della Tebàide:
troppa eredità scolastica e retorica egli portava con sé, troppo peso erudito, con tutte le sue inseparabili
nostalgie del mondo degli eroi e del mito; ma, soprattutto, troppa propensione ad una visione indul, gente,
riservata, ottimistica della realtà e della vita.
Però, anche le Silvae contengono qua e là vere gemme di poesia, dove sincerità, immediatezza e
sentimento si compongono in ritmi armoniosi e in visioni piú plastiche e raccolte della natura e della vita; lo
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stesso linguaggio acquista tono piú trasparente e semplice, meno turgido e piú lineare. Non si legge senza
commozione la prima parte dell'epicèdio del padre oppure la bella epistola al!a moglie, dove il poeta rievoca i
giorni beati del passato, pieni dx luce e dx amore, o si abbandona al canto bucolico delle bellezze della terra
partenopèa. Su questa linea si ritrova anche il carme 5, 4: pochi esametri, che il poeta, malato d'insonnia,
dedica al giovane dlo del sonno, invocando da lui quiete e ristoro: un tócco rapido del silenzioso paesaggio
notturno, una delicata testimonianza di distacco dello spirito dagli allettamenti, che la vita par moltiplicare per
i piú, e, infine, un'immagine del giovane dio, agile e lieve, che sembra ispirata alla lineare efficaciaUdella
pittura vascolare.
I Conclusione e fortuna., Nonostante i limiti indicati, Stazio ha una sua fisionomia personale, che bisognapur
tener presente nella valutazione complessiva della sua produzione poetica. Pesantezze dottrinali,
affastellamenti di miti, luccichli di retorica glòchi dx virtuosismo espressivo, ed altro ancora, nuocciono senza
dubbio alla spontaneità, alla semplicità e alla freschezza dell'ispirazione e rendono uggioso e monotono il
canto; piú ancor nell'epica che netla lirica, dove, pur tra i consueti impacci, il poeta rivela uno splrito libero e
pronto a immedesimarsi nei momenti poetici, a rivelare i1 suo mondo affettivo, le sue innate sensibilità, il suo
nobi!e animo, la sua delicatezza spirituale. Spesso, anzi qui la dottrlna e la retorica, immancabile ossequio
alla ' poetica' dei tempo, sono poste a servizio della poesia, e convertite in ' polpa saporosa'; la tecnica del
verso tocca il suo àpice
Comunque, è certo che Stazio ebbe nei tempi passati una [fama non comune, soprattutto di poeta epico. II
Medio Evo lo pose accanto a Virgilio e ne fece un ' convertito ', un Cristiano, dietro la guida profètica della
IVa ègloga di Virgilio. Cosí lo trovò Dante nel Purgatorio ZXI e sgg.) e lo introdusse nel cammino dei secoli.
Le età moderne, pur negandogli il dono della poesia, gli riconobbero i meriti eccezionali dell'arte, della
versificazione, della sana dottrina; in questo senso Stazio rimane un documento prezioso della cultura
dell'epoca sua.
"Stazio¸ Publio Papinio - Castaldi"
Publio Papinio Stazio
(Napoli 45 ca – 96 d.C.)
Vita.
Figlio di un maestro di retorica (elemento non trascurabile, questo, nella sua formazione poetica), S. incarna
- forse più di altri - la figura del poeta "professionista". Si trasferì a Roma per tentare la fortuna durante
l'impero di Domiziano e, in breve tempo, effettivamente si guadagnò – nelle recitazioni pubbliche e nelle gare
poetiche - il favore del pubblico e dei grandi signori, che divennero suoi protettori.
D'ingegno duttile e versatile, in questo primo periodo compose libretti per mimi e, oltre al suo primo poema
epico, la "Tebaide", alcune "Silvae", componimenti lirici di circostanza in uno stile facile ed elegante. Ma,
dopo alcuni rovesci, nonostante le preghiere insistenti della moglie Claudia, una musicista, decise di
abbandonare la città per far ritorno in Campania. Vi condusse lo stesso genere di esistenza di poeta
mondano al servizio dei nobili romani, che in quella regione approdavano in massa per i loro soggiorni
primaverili ed estivi.
In questo periodo della sua attività, scrisse altre "Silvae" e una seconda epopea, l' "Achilleide", che non gli fu
però possibile portare a termine.
Opere e considerazioni.
"Tebaide" (pubbl. nel 92). E’ in 12 libri e narra la lotta fra i due fratelli Eteocle e Polinice per la successione in
Tebe al trono di Edipo (ma anche se il tema è mitologico, dotato di un complesso apparato divino, la vera
sostanza del contenuto riporta irresistibilmente verso la "Farsaglia" di Lucano).
In un insolito epilogo programmatico, S. dichiara poi di avere un modello altissimo, anche se preso coi dovuti
rispetti: l "Eneide", di cui le due esadi riproducono fedelmente la metà iliadica di preparazione e quella
odisseica.
In verità, i modelli poetici sono legione: S. dimostra una buona conoscenza della tragedia greca (Antimaco
di Colofone e Eschilo) e forse anche di alcuni poemi ciclici o di loro riassunti. Talora (oltre che l’Omero
mediato da Virgilio) appaiono anche modelli più insoliti: Euripide, Apollonio Rodio, persino Callimaco (e gli
alessandrini in genere); infine, lo stile narrativo e la metrica risentono della lezione tecnica di Ovidio, mentre
la sua immagine del mondo dell’influsso di Seneca, da cui mutua anche, volendo, il gusto dell'orrido e la
tendenza al patetico (caratteristiche comunque comuni alla letteratura del tempo).
F. D’Alessi © 2002
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Insomma, proprio qui - ovvero nel contrasto tra fedeltà alla tradizione virgiliana e le inquietudini
modernizzanti - sta il vero centro dell’ispirazione epica di S. . Tuttavia, nonostante tale costellazione di
influssi, e nonostante l'abbondanza di episodi minuti e di "miniature" sentimentali o pittoresche, l’opera non
manca affatto di unità: anzi, il difetto tipico sono piuttosto gli ossessivi "corsi e ricorsi" a motivi e atmosfere:
tutta la storia risulta, ad es., dominata da una ferrea "necessità universale" (la cui funzione è enfatizzata in
un apparato divino come detto tipicamente virgiliano), che appiattisce le cose, gli uomini e le stesse divinità
(è qui che S. si avvicina invece più a Lucano).
"Achilleide" (interrotta all'inizio del II libro per la morte del poeta). Poema epico sull’educazione e le vicende
della vita di Achille: ma la narrazione giunge fino alla partenza dell'eroe per Troia. Il tono è più disteso ed
idillico che nella barocca "Tebaide", benché nell'opera tutta si evidenzi una forte accentuazione della
componente etica.
"Silvae" ("schizzi", ovvero materiale grezzo necessitante di rifinitura; ma in realtà l'opera risulta, a suo modo,
già elaborata e perfetta: dunque, il titolo va forse più propriamente riferito al carattere "occasionale",
estemporaneo, dei componimenti). E' una raccolta di 32 poesie, scritte tra l'85 e il 95 d.C., in 5 libri di metro
vario (dall’esametro ai versi lirici), di temi appunto occasionali (epitalami, descrizioni di ville e di terme, di
statue e di altri oggetti artistici, epicedi, epistole poetiche, invocazioni…) e di tono molto spigliato e
spontaneo, nonostante la ricchezza di "topoi" retorici. Esse ci hanno conservato preziose immagini dell’alta
società romana del tempo (della sua "mentalità") e dell’ambiente di corte: il poeta si propone quasi quale
"supervisore" sistematico dei pubblici sentimenti o si atteggia a cantore orfico integrato nella comunità
(deriva da ciò la patina cortigiana e conformistica di tutto l’insieme).
E' forse proprio qui, quindi, che S. dà prova d'essere veramente un poeta erudito, un cantore della poesia
sentimentale e preziosa, addirittura "estetizzante" (a suo riguardo, qualche critico ha parlato di "retorica della
dolcezza").
"Stazio¸ Publio Papinio - Encarta",
Stazio, Publio Papinio
Stazio, Publio Papinio (Napoli 45 ca. - 96 d.C.), poeta latino. Figlio di un maestro di retorica, si trasferì a
Roma dove la sua abilità nel comporre versi fu presto notata da Domiziano, che gli accordò il suo favore. Fu
autore della Tebaide, poema epico in 12 libri (quanti ne ha l'Eneide di Virgilio), che gli costò dodici anni di
lavoro, dall'80 al 92. Narrava la lotta fratricida tra Eteocle e Polinice, attestando una buona conoscenza del
cosiddetto ciclo tebano. Se l'impronta virgiliana dell'opera risulta ormai ridotta a un vuoto espediente, la
scelta del tema non è priva di riferimento alla realtà contemporanea e in particolare all'incubo della guerra
civile. Dopo essersi ritirato a Napoli nel 94, iniziò a comporre l'Achilleide, poema epico sulla vita di Achille
rimasto incompiuto per la morte del poeta. La fortuna della Tebaide fu grande nell'antichità come durante
tutto il Medioevo, sino alla scoperta nel 1417 da parte di Poggio Bracciolini delle Silvae, l'opera su cui si è
concentrata l'attenzione della critica moderna. In cinque libri sono raccolte le liriche d'occasione, 32
componimenti in tutto, composte tra l'89 e il 95, di vari argomenti suggeriti dalle circostanze, che
testimoniano il gusto dell'epoca e il virtuosismo di uno dei suoi massimi interpreti.
"Stazio¸ Publio Papinio - Treccani",
Stazio Publio Papinio. Poeta latino, nato a Napoli verso il 45 d.C. Ebbe la sua prima educazione nella scuola
del padre, poeta anche lui e cittadino di Velia in Lucania. Vinse alcuni premi poetici, quindi si trasferì a
Roma, ma non vi ebbe vita facile, anche se si umiliò ad adulare Domiziano. Preso da nostalgia per la città
natale, vi ritornò nel 95, morendovi forse l'anno dopo. S. scrisse molto, ma parecchio è andato perduto. Ci
resta tuttavia la parte più importante della sua opera, costituita dalla Tebaide, dall'Achilleide e dalle Selve. La
Tebaide e un poema epico in 12 libri, ispirato alla vicenda leggendaria dei Sette a Tebe. Il poema piacque
più tardi e destò l'ammirazione dello stesso Dante. L'Achilleide, rimasta incompiuta al II libro, pure
d'ispirazione mitologica, rivela maggiore vivezza. Maggiore importanza hanno però le Selve. Si tratta di 32
componimenti distribuiti in 5 libri che ci presentano un genere letterario nuovo. Lo stesso poeta, nella dedica
all'amico Arrunzio Stella, cerca di precisarne la natura e dichiara che argomenti e impostazione sono
scaturiti da improvvisa ispirazione. Quando non si lascia andare all'adulazione, S. qui sa essere poeta:
notevoli sono l'epicedio per la morte del padre, l'esortazione alla moglie Claudia perché lo segua nell'incanio
di Napoli e il ricordo di Lucano già morto.
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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M. Valerio Marziale
Cenni biografici
Nato nella Hispania Tarraconensis, a Bilbilis, in un anno compreso tra il 38 e il 41 d.C., Marziale si
stabilì a Roma nel 64, trovando almeno inizialmente appoggio nella famiglia degli Annei; entrò così
in contatto con la cerchia che fin dagli inizi del secolo Seneca il Vecchio aveva creato attorno a sé,
in un momento peraltro cruciale per molti dei suoi appartenenti, quello della congiura ordita dai
Pisoni. La repressione neroniana non toccò Marziale, ma certò lo privò di qualche potenziale
sostegno.
Un’occasione migliore toccò a Marziale con l’inaugurazione dell’Anfiteatro Flavio nell’80 e la
composizione di una serie di componimenti ad hoc, probabilmente commissionatigli da ambienti di
corte, e che oggi leggiamo nel così detto Liber de spectaculis; fu l’inizio di un certo successo,
almeno a giudicare dalla regolarità con cui poi, a partire dall’84 con le due brevi raccolte degli
Xenia (brevissimi componimenti per accompagnare i piccoli doni che i Romani si scambiavano in
occasioni dei Saturnalia) e degli Apophoreta (dovevano accommpagnare i modesti “regali per gli
ospiti” che si scambiavano a cena) , pubblicò i suoi libri di epigrammi: una serie più o meno
continua dall’85 al 98.
Questo non si tradusse automaticamente in un miglioramento sensibile della sua condizione
economica, nonostante qualche riconoscimento formale (gli venne assegnato lo ius trium
liberorum, un privilegio fiscale e legale che almeno nominalmente non gli sarebbe toccato visto il
suo stato civile di celibe; fu nominato “tribuno militare”, anche in questo caso in modo da
riconoscergli il rango equestre), l’assegnazione di un piccolo fondo rurale e il sostegno di qualche
personaggio importante (Lucio Arrunzio Stella e Mario Aquilio Regolo) e di altri scrittori tra cui Silio
Italico, Giovenale, Quintiliano e Plinio il Giovane.
A Roma Marziale continua a vivere fino nel 98, tranne che per un breve periodo trascorso a Imola
(Forum Corneli) e in altri piccoli centri emiliani tra l’87 e l’88.
Nel 98, appunto, Plinio il Giovane lo aiuta a rientrare in Spagna, dove si ristabilisce a Bilbilis, grazie
anche all’aiuto di una conterranea. In patria, diviso tra la tranquillità ritrovata e la ristrettezza
dell’ambiente stesso, muore intorno al 104.
Opere
La raccolta di epigrammi di Marziale che si legge oggi inizia con il liber de spectaculis ( o liber
spectaculorum), prosegue con dodici libri di epigrammi e si chiude con gli Xenia e gli Apophoreta
come libri XIII e XIV.
Il numero di epigrammi per libro varia da 82 a 118.
Per quanto attiene al metro, predomina il distico elegiaco.
Utilizzato l’endecasillabo falecio e il trimetro giambico scazonte.
Osservazioni
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L’epigramma letterario latino può considerarsi nato con Q. Lutazio Catulo (fine II a.C.), ma oltre ad
altri poetae novi è Catullo il modello di riferimento per noi più significativo, anche perché mancano
del tutto o a sufficienza testi per autori latini come Marso, Pedone e Getulico.
In età imperiale non mancavano neppure modelli in lingua greca come Lucillio e Stratone
(approfondimenti).
Testi e testimonianze
Plin.iun., 3,21
Audio Valerium Martialem decessisse et moleste fero. Erat homo ingeniosus acutus acer, et qui plurimum in
scribendo et salis haberet et fellis, nec candoris minus. Prosecutus eram uiatico secedentem; dederam hoc
amicitiae, dederam etiam uersiculis quos de me composuit. Fuit moris antiqui, eos qui uel singulorum laudes
uel urbium scripserant, aut honoribus aut pecunia ornare; nostris uero temporibus ut alia speciosa et
egregia, ita hoc in primis exoleuit. Nam postquam desimus facere laudanda, laudari quoque ineptum
putamus. Quaeris, qui sint uersiculi quibus gratiam rettuli? Remitterem te ad ipsum uolumen, nisi quosdam
tenerem; tu, si placuerint hi, ceteros in libro requires. Adloquitur Musam, mandat ut domum meam Esquilis
quaerat, adeat reuerenter:
Sed ne tempore non tuo disertam
pulses ebria ianuam, uideto.
Totos dat tetricae dies Mineruae,
dum centum studet auribus uirorum
hoc, quod saecula posterique possint
Arpinis quoque comparare chartis.
Seras tutior ibis ad lucernas:
haec hora est tua, cum furit Lyaeus,
cum regnat rosa, cum madent capilli.
Tunc me uel rigidi legant Catones.
Meritone eum qui haec de me scripsit et tunc dimisi amicis-sime et nunc ut amicissimum defunctum esse
doleo? Dedit enim mihi quantum maximum potuit, daturus amplius si potuisset. Tametsi quid homini potest
dari maius, quam gloria et laus et aeternitas? At non erunt aeterna quae scripsit: non erunt fortasse, ille
tamen scripsit tamquam essent futura. Vale.
Caro [Cornelio] Prisco,
vengo a sapere che è morto Valerio Marziale e ne sono rattristato. Era scrittore pieno d'ingegno,
acuto, pungente, nei cui scritti si riunivano molto sale, molto pepe, ma non minor schiettezza.
Quando partì da Roma l'avevo aiutato fornendogli il denaro per il viaggio; lo dovevo all'amicizia e
lo dovevo anche per quei versetti che mi consacrò. In altri tempi vi era l'abitudine, quando
qualcuno aveva tessuto le lodi di una persona o di una città, di ricompensarlo con degli onori o del
denaro; ma ai nostri giorni fra le altre belle e nobili usanze anche questa, e fra le prime, è caduta in
disuso. Giacché avendo cessato di compiere cose degne di lode riteniamo anche inutile esser
lodati.
Tu vuoi sapere quali siano i versetti che hanno suscitato la mia gratitudine. Ti rimanderei al volume
stesso se non ne sapessi alcuni a memoria: tu, se ti piaceranno questi, potrai cercare gli altri nel
libro. Egli si rivolge alla Musa e la invita a cercar la mia casa sull'Esquilino, ad accostarsi con
rispetto:
Bada, non battere fuor del tuo tempo,
ebbra, alla porta di quell'uomo dotto:
gl'interi giorni dà a Minerva austera,
mentre alle orecchie dei centumviri prepara
detti che potran paragonare a quei di Tullio i posteri lontani.
Andrai più sicura alle lucerne tarde:
è l'ora tua, quando folleggia Bacco,
regna la rosa, olezzano i capelli.
Oh allor mi leggano i Catoni arcigni!
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Chi scrisse di me tali cose, non meritava che io allora mi accommiatassi da lui col maggior affetto e
oggi col maggior affetto lo pianga morto? Egli mi diede ciò che poteva di meglio; mi avrebbe dato
di più, se avesse potuto. E del resto, che cosa si può dare a un uomo di più della gloria, della lode
e dell'immortalità? Non saranno eterni i versi che scrisse? Non lo saranno forse, ma egli li scrisse
come se avessero a esser tali. Addio.
Traduzione di L. Rusca, Milano, Rizzoli, 1994,20003.
Mart., praef.
Spero me secutum in libellis meis tale temperamentum, ut de illis queri non possit quisquis de se bene
senserit, cum salva infimarum quoque personarum reverentia ludant; quae adeo antiquis auctoribus defuit,
ut nominibus non tantum veris abusi sint, sed et magnis. Mihi fama vilius constet et probetur in me
novissimum ingenium. Absit a iocorum nostrorum simplicitate malignus interpres nec epigrammata mea
scribat: inprobe facit qui in alieno libro ingeniosus est. Lascivam verborum veritatem, id est epigrammaton
linguam, excusarem, si meum esset exemplum: sic scribit Catullus, sic Marsus, sic Pedo, sic Gaetulicus, sic
quicumque perlegitur. Si quis tamen tam ambitiose tristis est, ut apud illum in nulla pagina latine loqui fas sit,
potest epistula vel potius titulo contentus esse. Epigrammata illis scribuntur, qui solent spectare Florales.
Non intret Cato theatrum meum, aut si intraverit, spectet.
Spero di aver seguito nei miei libretti una misura tale che nessuna persona di buon senso possa
lamentarsene, dal momento che essi, pur negli scherzi, rispettano le persone, anche quelle di
basso rango. Questo rispetto mancò agli autori antichi, tanto che abusarono non solo di veri
personaggi, ma anche di personaggi importanti. Spero che la mia fama non abbia un prezzo così
alto e che possa dar prova di uno spirito del tutto nuovo. I commentatori maligni stiano lontani
dalla semplicità dei miei scherzi e non riscrivano i miei epigrammi: si comporta in modo scorretto
chi fa l'originale nel libro scritto da un'altra persona. Se fossi stato io il primo a usarla, chiederei
scusa per la sincera oscenità delle parole, che è poi la lingua degli epigrammi: ma così scrive
Catullo, così Marso, così Pedone, così Getulico e tutti gli altri poeti che vengono letti alla gente.
Se però c'è chi è così rigorosamente severo da pensare che non debba essere mai permesso
scrivere in latino, si accontenti di questa prefazione o, meglio ancora, del titolo del libro. Gli
epigrammi vengono scritti per coloro che vanno a vedere i giochi i Flora. Un Catone non
dovrebbe entrare nel mio teatro - o, se avesse entrarci, che si fermi a guardare.
Tr. Simone Beta
Mart., 2,18
Capto tuam, pudet heu, sed capto, Maxime, cenam,
Tu captas aliam: iam sumus ergo pares.
Mane salutatum venio, tu diceris isse
Ante salutatum: iam sumus ergo pares.
Sum comes ipse tuus tumidique anteambulo regis,
Tu comes alterius: iam sumus ergo pares.
Esse sat est servum, iam nolo vicarius esse.
Qui rex est, regem, Maxime, non habeat.
O Massimo, io vado a caccia di un tuo invito a pranzo; mi vergogno a dirlo, ahimè, ma vado a
caccia di quest'invito; tu però vai a caccia di un altro invito a pranzo: siamo quindi pari. Io al
mattino vengo a portarti il mio saluto, ma mi dicono che tu sei andato a salutare qualcuno prima di
me: siamo quindi pari. Io ti faccio da scorta e sono il battistrada di un altezzoso signore; tu fai da
scorta a un altro: siamo quindi pari. Ne ho abbastanza di essere uno schiavo, non voglio essere
schiavo di uno schiavo. Il re, o Massimo, sia libero da padroni!
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Mart., 5,13
Sum, fateor, semperque fui, Callistrate, pauper,
Sed non obscurus nec male notus eques,
Sed toto legor orbe frequens et dicitur 'Hic est',
Quodque cinis paucis, hoc mihi vita dedit.
At tua centenis incumbunt tecta columnis
Et libertinas arca flagellat opes,
Magnaque Niliacae servit tibi glaeba Syenes,
Tondet et innumeros Gallica Parma greges.
Hoc ego tuque sumus: sed quod sum, non potes esse:
Tu quod es, e populo quilibet esse potest.
O Callistrato, io sono e sono stato sempre povero, lo confesso: sono però un noto e onesto
cavaliere, sono letto in tutto il mondo e vengo spesso indicato con queste parole: "Ecco, è lui!". Ciò
che la morte ha dato a pochi a me l'ha dato la vita. Il tuo tetto poggia su cento colonne, il tuo
forziere tiene chiuse le ricchezze degne di un liberto, sei padrone di vasti terreni nell'egiziana
Siene, e nella gallica Parma vengono tosate per te innumerevoli greggi. Ecco ciò che siamo io e tu:
tu non puoi essere ciò che sono io, mentre uno qualunque del popolo può essere ciò che sei tu.
Mart., 5,34. Epitafio per Erozio
Hanc tibi, Fronto pater, genetrix Flaccilla, puellam
Oscula commendo deliciasque meas,
Parvola ne nigras horrescat Erotion umbras
Oraque Tartarei prodigiosa canis.
Inpletura fuit sextae modo frigora brumae,
Vixisset totidem ni minus illa dies.
Inter tam veteres ludat lasciva patronos
Et nomen blaeso garriat ore meum.
Mollia non rigidus caespes tegat ossa, nec illi,
Terra, gravis fueris: non fuit illa tibi.
O padre Frontone, o madre Flaccilla, vi raccomando questa bambina, mia boccuccia e mia delizia,
affinché la piccola Erotion non tremi di terrore davanti alle nere ombre e alle mostruose fauci del
cane tartareo. Avrebbe appena compiuto il sesto inverno, se fosse vissuta almeno altri sei giorni.
In compagnia di così vecchi protettori, giuochi spensierata e pronunzi il mio nome con la sua bocca
balbettante. Non copra le sue delicate ossa una dura zolla, e non esserle pesante, o terra: lei infatti
non lo fu per te.
Traduzione di G.Norcio, Torino, Utet, 1980
Mart., 8, 55(56)
Temporibus nostris aetas cum cedat avorum
Creverit et maior cum duce Roma suo,
Ingenium sacri miraris deesse Maronis,
Nec quemquam tanta bella sonare tuba.
Sint Maecenates, non deerunt, Flacce, Marones
Vergiliumque tibi vel tua rura dabunt.
Iugera perdiderat miserae vicina Cremonae
Flebat et abductas Tityrus aeger oves:
Risit Tuscus eques, paupertatemque malignam
Reppulit et celeri iussit abire fuga.
F. D’Alessi © 2002
'Accipe divitias et vatum maximus esto;
Tu licet et nostrum' dixit 'Alexin ames.'
Adstabat domini mensis pulcherrimus ille
Marmorea fundens nigra Falerna manu,
Et libata dabat roseis carchesia labris,
Quae poterant ipsum sollicitare Iovem.
Excidit attonito pinguis Galatea poetae
Thestylis et rubras messibus usta genas;
Protinus Italiam concepit et arma virumque,
Qui modo vix Culicem fleverat ore rudi.
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
Quid Varios Marsosque loquar ditataque vatum
Nomina, magnus erit quos numerare labor?
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Ergo ero Vergilius, si munera Maecenatis
Des mihi? Vergilius non ero, Marsus ero.
Ti meravigli se, quantunque la nostra generazione superi quelle dei nostri avi e Roma sia diventata
più grande insieme al suo sovrano, manchi il genio del divino Virgilio, e non vi sia un poeta che
sappia celebrare le guerre con versi cosi squillanti? Se vi saranno dei Mecenati, non
mancheranno, o Flacco, i Virgilii; anche le tue campagne ti potranno dare un Virgilio. Titiro aveva
perduto i suoi campi vicini all'infelice Cremona e piangeva, afflitto, la perdita delle sue pecore: il
cavaliere originario dall'Etruria sorrise e cacciò la maligna povertà, ordinan dole di fuggire con
rapido piede. "Accetta queste ricchezze" gli disse "e sii il più grande dei poeti; ti è anche concesso
di amare il mio Alessi". Il bellissimo fanciullo stava diritto presso la mensa del signore, versando
con la sua bianchissima mano il nero falerno, e porgendo le coppe libate dalle sue labbra rosate,
che avrebbero potuto eccitare il desiderio dello stesso Giove. Caddero di mente al poeta stupito la
grassa Galatea e Testili dalle rosse guance bruciate dal forte sole estivo; e colui che poco prima
aveva a stento pianto la Zanzara con rozzi versi concepì subito il disegno di scrivere un poema
sull'Italia e quello che inizia con ARMA VIRUMQUE. E che dire dei Varii, dei Marsì e di tutti quei
poeti arricchiti dai loro protettori, che sarebbe assai faticoso ricordare? Dunque sarò un Virgilio, se
mi darai i doni di Mecenate? Un Virgilio no di certo, ma un Marso sì.
Traduzione di G.Norcio, Torino, Utet, 1980
Mart., 9,68. Contro un maestro che strilla
Quid tibi nobiscum est, ludi scelerate magister,
Invisum pueris virginibusque caput?
Nondum cristati rupere silentia galli:
Murmure iam saevo verberibusque tonas.
Tam grave percussis incudibus aera resultant,
Causidicum medio cum faber aptat equo;
Mitior in magno clamor furit amphitheatro,
Vincenti parmae cum sua turba favet.
Vicini somnum–non tota nocte–rogamus:
Nam vigilare leve est, pervigilare grave est.
Discipulos dimitte tuos. Vis, garrule, quantum
Accipis ut clames, accipere ut taceas?
Cosa abbiamo da spartire con te, o maledetto maestro di scuola, uomo odiato da fanciulli e
fanciulle? I crestati galli non hanno ancora rotto il silenzio e tu tuoni coi tuoi terribili urli e frustate.
Così forte rumoreggia il bronzo sull'incudiiie, quando l'artefice foggia la statua dell'avvocato da
mettere in groppa al cavallo; il clamore che si alza nel vasto anfiteatro, quando la folla applaude il
gladiatore armato del piccolo scudo suo favorito, è più leggero. Noi, tuoi vicini, vogliamo dormire sia pure non per tutta la notte -: infatti vegliare qualche volta non è molto duro, ma passare
continuamente le notti senza dormire è intollerabile. Licenzia i tuoi allievi: vuoi, o chiacchierone,
ricevere come compenso del tuo silenzio ciò che guadagni coi tuoi urli?
Traduzione di G.Norcio, Torino, Utet, 1980
Mart., 9,93. Crepi pure chiunque è roso dall'invidia.
Rumpitur invidia quidam, carissime Iuli,
Quod me Roma legit, rumpitur invidia.
Rumpitur invidia, quod turba semper in omni
Monstramur digito, rumpitur invidia.
Rumpitur invidia, tribuit quod Caesar uterque
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Ius mihi natorum, rumpitur invidia.
Rumpitur invidia, quod rus mihi dulce sub urbe est
Parvaque in urbe domus, rumpitur invidia.
Rumpitur invidia, quod sum iucundus amicis,
Quod conviva frequens, rumpitur invidia.
Rumpitur invidia, quod amamur quodque probamur:
Rumpatur, quisquis rumpitur invidia.
O carissimo Giulio, c'è un tale che si rode dall'invidia, perché tutta Roma mi legge: si rode
dall'invidia, veramente, erché in ogni assembramento di gente sono mostrato a dito; si rode
dall'invidia, veramente, perché l'uno e l'altro Cesare mi ha concesso il diritto dei tre figli; si rode
dall'invidia, veramente, perché alle porte di Roma ho un bel podere e in Roma una piccola casa; si
rode dall'invidia, veramente, perché riesco simpatico agli amici e molti m'invitano a pranzo; si rode
dall'invidia, veramente, perché tutti mi amano e mi stimano. Crepi pure chiunque è roso dall'invidia.
Traduzione di G.Norcio, Torino, Utet, 1980
Mart., 10,4. La nostra pagina sa d'uomo.
Qui legis Oedipoden caligantemque Thyesten,
Colchidas et Scyllas, quid nisi monstra legis?
Quid tibi raptus Hylas, quid Parthenopaeus et Attis,
Quid tibi dormitor proderit Endymion?
Exutusve puer pinnis labentibus? aut qui
Odit amatrices Hermaphroditus aquas?
Quid te vana iuvant miserae ludibria chartae?
Hoc lege, quod possit dicere vita 'Meum est.'
Non hic Centauros, non Gorgonas Harpyiasque
Invenies: hominem pagina nostra sapit.
Sed non vis, Mamurra, tuos cognoscere mores
Nec te scire: legas Aetia Callimachi.
Tu che leggi un Edipo e un tenebroso Tieste e Colchidi e Scille, che altro leggi se non racconti di
mostruosi miti? Che interesse puoi trovare nel rapito Ila o in Partenopeo o in Attis? Che
giovamento puoi trarre da un Endimione che dorme, o da un fanciullo che ha perduto le ali che gli
si sono staccate, o da un Ermafrodito che odia le acque che lo amano? A che ti servono i frivoli
virtuosismi di una misera carta? Leggi i carmi, di cui la vita possa dire: "Questo è mio". Qui non
troverai né Centauri, né Gorgoni, né Arpie: la nostra pagina ha il sapore dell'uomo. Ma tu, o
Mamurra, non vuoi conoscere i tuoi costumi, né te stesso: leggi allora gli Aitia di Callimaco.
Traduzione di G.Norcio, Torino, Utet, 1980
Mart., 10, 47
Vitam quae faciant beatiorem,
Iucundissime Martialis, haec sunt:
Res non parta labore, sed relicta;
Non ingratus ager, focus perennis;
Lis numquam, toga rara, mens quieta;
Vires ingenuae, salubre corpus;
Prudens simplicitas, pares amici;
Convictus facilis, sine arte mensa;
Nox non ebria, sed soluta curis;
Non tristis torus, et tamen pudicus;
Somnus, qui faciat breves tenebras:
Quod sis, esse velis nihilque malis;
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Summum nec metuas diem nec optes.
O amabilissimo Marziale, ecco le cose che rendono felice la vita: un patrimonio non acquistato con
la fatica, ma ottenuto per eredità; un podere fertile, un focolare sempre acceso; niente processi,
pochi impegni di cliente, una mente tranquilla; il vigore di un uomo libero, un corpo sano; un animo
schietto ma accorto, amici del tuo stesso grado; commensali cordiali cibi non troppo complicati;
notti prive di ebbrezza, ma libere da affanni; una donna che sappia consolarti, ma non sguaiata; un
sonno che renda brevi le tenebre notturne: essere contento del proprio stato e non preferirne un
altro; non temere né desiderare la morte.
Traduzione di G.Norcio, Torino, Utet, 1980
Mart., 10,74
Iam parce lasso, Roma, gratulatori,
Lasso clienti. Quamdiu salutator
Anteambulones et togatulos inter
Centum merebor plumbeos die toto,
Cum Scorpus una quindecim graves hora
Ferventis auri victor auferat saccos?
Non ego meorum praemium libellorum
–Quid enim merentur?–Apulos velim campos:
Non Hybla, non me spicifer capit Nilus,
Nec quae paludes delicata Pomptinas
Ex arce clivi spectat uva Setini.
Quid concupiscam quaeris ergo? dormire.
Abbi pietà finalmente, o Roma, di un uomo stanco di portare i suoi saluti ai signori, di un cliente
sfiníto. Per quanto tempo ancora dovrò sudare tutta la giornata in mezzo a battistrada e servitorelli,
per guadagnarmi cento misere monete di piombo, mentre Scorpo vincitore nella corsa si porta via
in un'ora quindici sacchi di luccicante oro? Come premio dei miei libretti - ben poco essi valgono non chiedo poderi in Puglia, non mi attirano le terre sicule, né l'Egitto ricco di biade, né i vigneti
dalla dolce uva, che dalle alture di Sezze guardano verso le paludi Pontine. Mi chiedi allora cosa
desidero? Dormire.
Traduzione di G.Norcio, Torino, Utet, 1980
Mart., 12, 18
Dum tu forsitan inquietus erras
Clamosa, Iuvenalis, in Subura,
Aut collem dominae teris Dianae;
Dum per limina te potentiorum
Sudatrix toga ventilat vagumque
Maior Caelius et minor fatigant:
Me multos repetita post Decembres
Accepit mea rusticumque fecit
Auro Bilbilis et superba ferro.
Hic pigri colimus labore dulci
Boterdum Plateamque–Celtiberis
Haec sunt nomina crassiora terris–:
Ingenti fruor inproboque somno,
Quem nec tertia saepe rumpit hora,
Et totum mihi nunc repono, quidquid
Ter denos vigilaveram per annos.
Ignota est toga, sed datur petenti
Rupta proxima vestis a cathedra.
Surgentem focus excipit superba
Vicini strue cultus iliceti,
Multa vilica quem coronat olla.
Venator sequitur, sed ille quem tu
Secreta cupias habere silva;
Dispensat pueris rogatque longos
Levis ponere vilicus capillos.
Sic me vivere, sic iuvat perire.
Mentre tu, o Giovenale, forse ti aggiri indaffarato per la rumorosa Subura o consumi la strada del
colle di Diana, mentre varchi le soglie dei palazzi dei signori, ventilato dalla toga, che ti fa sudare, e
ti affatichi correndo per il Celio maggiore e minore, io vivo la mia vita campagnola nella mia Bilbili,
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superba di oro e di ferro, ove sono tornato dopo molti anni. Passo qui le mie giornate in pigrizia e
tra piacevoli lavori a Boterdo e a Platea - nella Celtiberia s'incontrano questi rustici nomi - mi godo
le mie profonde e accanite dormite, che spesso non rompe neppure l'ora terza e mi rifaccio ora di
tutto quel sonno che ho perduto in trenta anni d'insonnia. Qui la toga è sconosciuta: mi viene dato,
quando lo richiedo, quel vestito che mi sta vicino sulla sedia sgangherata. Quando mi alzo, mi
accoglie il focolare ben guarnito di grossi ciocchi portati dal vicino querceto, su cui pendono tutto
all'intorno le molte pentole della fattoressa. Poi arriva il cacciatore, un giovane che tu vorresti avere
con te nel segreto del bosco; e il fattore sbarbato assegna il lavoro agli schiavi e mi chiede il
permesso di far tagliare i loro lunghi capelli. Così mi piace vivere, così mi piace morire.
Traduzione di G.Norcio, Torino, Utet, 1980
Mart., 3,49 La campagna di Marziale
Baiana nostri villa, Basse, Faustini
Non otiosis ordinata myrtetis
Viduaque platano tonsilique buxeto
Ingrata lati spatia detinet campi,
Sed rure vero barbaroque laetatur.
Hic farta premitur angulo Ceres omni
Et multa fragrat testa senibus autumnis;
Hic post Novembres imminente iam bruma
Seras putator horridus refert uvas.
Truces in alta valle mugiunt tauri
Vitulusque inermi fronte prurit in pugnam.
Vagatur omnis turba sordidae chortis,
Argutus anser gemmeique pavones
Nomenque debet quae rubentibus pinnis
Et picta perdix Numidicaeque guttatae
Et impiorum phasiana Colchorum;
Rhodias superbi feminas premunt galli;
Sonantque turres plausibus columbarum,
Gemit hinc palumbus, inde cereus turtur.
Avidi secuntur vilicae sinum porci
Matremque plenam mollis agnus expectat.
Cingunt serenum lactei focum vernae
Et larga festos lucet ad lares silva.
Non segnis albo pallet otio caupo,
Nec perdit oleum lubricus palaestrita,
Sed tendit avidis rete subdolum turdis
Tremulave captum linea trahit piscem
Aut inpeditam cassibus refert dammam;
Exercet hilares facilis hortus urbanos,
Et paedagogo non iubente lascivi
Parere gaudent vilico capillati,
Et delicatus opere fruitur eunuchus.
Nec venit inanis rusticus salutator:
Fert ille ceris cana cum suis mella
Metamque lactis Sassinate de silva;
Somniculosos ille porrigit glires,
Hic vagientem matris hispidae fetum,
Alius coactos non amare capones.
Et dona matrum vimine offerunt texto
Grandes proborum virgines colonorum.
Facto vocatur laetus opere vicinus;
Nec avara servat crastinas dapes mensa,
Vescuntur omnes ebrioque non novit
Satur minister invidere convivae.
At tu sub urbe possides famem mundam
Et turre ab alta prospicis meras laurus,
Furem Priapo non timente securus;
Et vinitorem farre pascis urbano
Pictamque portas otiosus ad villam
Holus, ova, pullos, poma, caseum, mustum.
Rus hoc vocari debet, an domus longe?
La villa di Baia del nostro Faustino, o Basso, non domina l'arido terreno di una vasta pianura
cosparsa da sterili mirti, da platani solitari e da bossi potati,ma gode di una campagna vera,
selvaggia. Qui, da ogni parte, si ammassa il grano e le numerose giare profumano di antichi
autunni; qui, dopo novembre, all'arrivo del freddo, il rude vignaiolo coglie l'uva tardíva.
Nella valle profonda muggiscono i tori minacciosi, mentre i vitelli privi di corna desiderano la
battaglia. La folla del cortile polveroso cammina qua e là, l'oca canterina e i pavoni luccicanti,
il fenicottero che deve il suo nome alle penne rosso fuoco, la pernice screziata e le faraone
chiazzate, i fagiani che provengono dalla Colchide selvaggia; i galli superbi montano le galline di
Rodi; le torri risuonano delle ali dei piccioni, qui piange un colombo, là una tortora color della
cera. Gli ingordi maiali seguono il grembiule della fattoressa, il tenero agnellino aspetta le gonfie
mammelle della madre. I giovani schiavi circondano il tranquillo focolare,
la legna brilla in gran quantità sull'altare in festa.
Non ci sono né l'oste pallido per la pigrizia del far niente né il gladiatore scivolo so che spreca
l'olio, ma il cacciatore che tende la subdola rete per i tordi golosi, che trascina con la canna
tremolante il pesce catturato o che riporta la cerbiatta imprigionata dai laccioli.Un orto facile da
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coltivare addestra i lieti schiavi di città che hanno i capelli lunghi e son felici di obbedire al fattore
e non agli ordini del maestro, e l'eunuco delicato lavora volentieri con loro.
Il contadino non viene a mani vuote a salutare il suo padrone: porta il miele bianco nella sua
cera, la forma di latte che viene dalla foresta di Sarsina; chi porta i ghiri sonnolenti,
chi il cucciolo piangente della capra ispida, chi i capponi, costretti a non amare.
Le figlie robuste degli onesti contadini portano i doni delle madri nei canestri di vimini. Finito il
lavoro, si invita il vicino allegro; il tavolo avido non conserva il cibo per il giorno dopo, tutti
mangiano, e il cameriere sazio non guarda male il convitato ubriaco. Ma tu hai la tua fame
elegante in città e dall'alto di una torre osservi i lauri isolati, tranquillo, senza che il tuo Priapo
abbia paura dei ladri; nutri il vignaiolo con il grano della città e, pigro, porti nella tua casa
affrescata di campagna verdure, uova, polli, frutta, formaggio, mosto. Campagna?
O forse la si deve chiamare una casa un po' lontana dalla città?
Tr. Simone Beta, Milano 995
Bibliografia
ed. W.M. Lindsay, Oxford 1903,19292.
ed. W. Heraeus, Leipzig 1925, riv. I. Borovskij 1974.
ed. C. Giarratano, Torino 1919-21, 19513.
ed. D.R. Shackleton Bailey, Stuttgard 1990.
Épigrammes. Par H.-J. Izaac.
Paris 1933, 19733.
Epigrams, 3 voll. Ed. e tr. D. R. Shackleton Bailey, London - Cambridge Mass. 1993
Testo e tr. a cura di G.Norcio, Torino UTET 1980.
Epigrammi, tr. G. Ceronetti, Torino, Einaudi, 19642.
Gli epigrammi, Zanichelli, Poeti e Prosatori latini (50). A cura di Giuseppe Lipparini, 1979.
Epigrammi erotici, Rizzoli, SB, 2000, Intr., note e trad. di Angelo Maria Pellegrino.
Epigrammaton liber, ?, Cadmo,1981.
Strumenti
Martial Koncordanz, ed. E. Siedschlag, Hildesheim 1979.
D. Estefanìa, M. Val. Martialis Epigrammaton Concordantia, Santiago de Compostela 1979-85.
Marco Valerio Marziale, Epigrammi, BUR, 1996, 2 voll.
M.Citroni, Marziale e la letteratura per i Saturnali (poetica dell'intrattenimento e cronologia della
pubblicazione dei libri), in "Illinois Classical Studies" 14, pp. 201-226.
M. Citroni, Epigrammaton liber I, a cura di M. Citroni, Firenze, 1975.
F. Della Corte, Gli Spettacoli di Marziale, Genova 1986.
Studi
M. Citroni, s.v. Marziale, in Dizionario degli scrittori greci e latini, 2, Milano, Marzorati, 1987, pp.
1297-1312.
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ICCU Soggetto
Scherf, Johannes, Untersuchungen zur Buchgestaltung Martials / von Johannes Scherf, Munchen; Leipzig,
2001, Beitrage zur Altertumskunde
Soggetti: Marziale, Marco Valerio - Opere - Analisi strutturale
Lorenz, Sven, Erotik und Panegyrik: Martials epigrammatische Kaiser / Sven Lorenz, Tubingen: Narr, c2002,
Classica Monacensia
Soggetti: Imperatori romani - Fonti letterarie
Galan Vioque, Guillermo, Martial, book 7.: a commentary / by Guillermo Galan Vioque; translated by J. J.
Zoltowski, Leiden [etc.]: Brill, 2002, Mnemosyne. Supplementum
Note Generali: Con il testo.
Schoffel, Christian, Martial, Buch 8: Einleitung, Text, Ubersetzung, Kommentar / Christian Schoffel, Stuttgart:
F. Steiner, 2002, Palingenesia
Marziale in siciliano / [a cura di] Salvatore Puglisi; prefazione di Salvatore Riolo, Catania: V. Cavallotto,
[1995], Siciliana
Note Generali: In appendice: Trentadue epigrammi in italiano.
Swann, Bruce W., Martial's Catullus: the reception of an epigrammatic rival / Bruce W. Swann, Hildesheim
<etc.>: G. Olms, 1994, Spudasmata
SULLIVAN, J. P., Martial and English poetry / J. P. Sullivan, [S. l.: s. n., 1990?]
Note Generali: Estr. da Classical antiquity, 1990
Colton, Robert E., Juvenals use of Martials epigrams: a study of literary influence / by Robert E. Colton,
Amsterdam: Hakkert, 1991, Classical and Byzantine monographs
Fearnley, Hannah Louise, Reading Martials Rome / by Hannah Louise Fearnley, Ann Arbor: UMI disserattion
services, c1999, stampa 2002
Dissertazione accademica, University of Southern California 1998
Grewing, Farouk, Martial, Buch 6.: ein Kommentar / Farouk Grewing, Gottingen: Vandenhoeck und
Ruprecht, c1997, Hypomnemata
Landes, Richard, Naissance d'apotre: la Vie de saint Martial de Limoges / Richard Landes, Cathrine Paupert,
[Turnhout]: Brepols, c1991, Memoires premieres
Sullivan, John Patrick, Martial: the unexpected classic: a literary and historical study / J. P. Sullivan,
Cambridge [etc.]: Cambridge University Press, c1991
SULLIVAN, J. P., Martial / edited by J. P. Sullivan, New York; London, 1993, Garland reference library of the
humanities
Swann, Bruce W., Martials Catullus: the reception of an epigrammatic rival / Bruce W. Swann, Hildesheim
[etc.]: G. Olms, 1994, Spudasmata
Maaz, Wolfgang, Lateinische Epigrammatik im hohen Mittelalter: literarhistorische Untersuchungen zur
Martial-Rezeption / Wolfgang Maaz, Hildesheim [etc.]: Weidmann, c1992, Spolia Berolinensia
Toto notus in orbe: Perspektiven der Martial-Interpretation / Farouk Grewing Hg, Stuttgart: F. Steiner, 1998,
Palingenesia
Nomi: Grewing, Farouk
Soggetti: Marziale, Marco Valerio - Opere - Interpretazione
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"Gli spettacoli" di Marziale / tradotti e commentati (da) Francesco Della Corte, Genova: Istituto di Filologia
classica e medievale, 1986, Pubblicazioni dell'Istituto di filologiaclassica e medievale dell'UniversitW1A0a di
Genova
Sinatra, Francesco, M. Valerius Martialis / Francesco Sinatra, Catania: Edigraf, 1981
32.4: Sprache und Literatur: Literatur der julisch-claudischen und der flavischen Zeit. 4, (Forts.) /
herausgegeben von Wolfgang Haase, Berlin; New York, 1986
Fa parte di: 2: Principat.
Nomi: Haase, Wolfgang
Soggetti: CURZIO RUFO, QUINTO
MARZIALE, MARCO VALERIO
PLINIO SECONDO, CAIO
QUINTILIANO, MARCO FABIO
SILIO ITALICO, TIBERIO CAIO ASCONIO
VALERIO FLACCO, GAIO
Pazzaglia, Riccardo, Marziale scriveva epigrammi, Napoli: Poligrafica e cartevalori, 1962
Note Generali: Seguono alcuni epigrammi di Marziale con traduzione italiana .
Bruno, Lidia, Le donne nella poesia di Marziale, Salerno: Di Giacomo, 1965
Corsaro, Francesco, Il Mondo del mito negli epigrammaton libri di Marziale / Francesco Corsaro, Catania:
Universita di Catania, Facolta di Lettere e Filosofia, 1973
Note Generali: Estratto da: Siculorum Gymnasium N.S. a. 26. n.2, Catania Luglio-Dicembre 1973
Siedschlag, Edgar, Martial-Konkordanz / von Edgar Siedschlag, Hildesheim; New York, 1979, Alpha-omega.
Reihe A, Lexika, Indizes,Konkordanzen zur klassischen Philologie
Salemme, Carmelo, Marziale e la poetica degli oggetti: struttura dell'epigramma di Marziale / Carmelo
Salemme, Napoli: Societa editrice napoletana, 1976, Studi e testi dell'antichita
Parrella, Pietro, La vita letteraria di Roma negli Epigrammi di Marziale: corso di latino per il R. Istituto
universitario orientale di Napoli, anno scolastico 1945-1946 / Pietro Parrella, Napoli: A. Morano, s. a. [194.]
Bellissima, Giambattista, Marziale: saggi critici, Torino: Paravia & C., 1931
Nomi: Bellissima, Giambattista
Soggetti: Marziale, Marco Valerio
Timpanaro, Sebastiano <1923-2000>, Atlas cum compare gibbo / Sebastiano Timpanaro jr, [S. l.]: Istituto
Nazionale di Studi sul Rinascimento, 1951
Note Generali: Estr. da: Rinascimento, nn. 3-4, 1951.
Spallicci, Aldo, I medici e la medicina in Marziale / Aldo Spallicci, Milano: La "siringa", a cura della S. A.
Giovanni Scalcerle, 1934
Numeri: Bibliografia Nazionale - 1935 1318
Marchesi, Concetto, Valerio Marziale / Concetto Marchesi
Edizione: 2. ed, Milano: Bietti, stampa 1940, Profili
Marchesi, Concetto, Valerio Marziale / Concetto Marchesi, Genova: Formiggini, 1914
Descrizione fisica: 70 p.; 18 cm., Profili
De Filippis, Gennaro, Gli epigrammi letterarii di M. Valerio Marziale / scelti ed annotati [da] Gennaro De
Filippis, Cava dei Tirreni, 1905
Soggetti: MARZIALE, MARCO VALERIO - Opere - Antologia
Boissier, Gaston, Tacite / Gaston Boissier, de l'Academie francaise
Edizione: 5. ed, Paris: Librairie Hachette, [dopo il 1912], Bibliotheque d'histoire
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ICC per Autore
Titolo: Select epigrams / Martial; edited by Lindsay and Patricia Watson, Cambridge: Cambridge, 2003,
Cambridge Greek and Latin classics
Galan Vioque, Guillermo, Martial, book 7.: a commentary / by Guillermo Galan Vioque; translated by J. J.
Zoltowski, Leiden [etc.]: Brill, 2002, Mnemosyne. Supplementum
Note Generali: Con il testo.
Martial Book 13.: the Xenia / text with introduction and commentary by T. J. Leary, London: Duckworth, 2001
Epigrammi erotici: i piaceri, i giochi, le follie amorose nella Roma dei Flavi: la raccolta completa dei versi
erotici / Marco Valerio Marziale; introduzione, traduzione e note di Angelo Maria Pellegrino, Milano: BUR,
2000, Superbur. Classici
Canobbio, Alberto, La Lex Roscia Theatralis e Marziale: il ciclo del libro V: introduzione, edizione critica,
traduzione e commento / Alberto Canobbio, Como: New press, 2002, Biblioteca di Athenaeum
1: Libro degli spettacoli, libri 1-7 / Marco Valerio Marziale; saggio introduttivo e introduzione di Mario Citroni;
traduzione di Mario Scandola; note di Elena Merli
Edizione: 2. ed, [Milano]: Biblioteca universale Rizzoli, [2000]
Note Generali: Testo latino a fronte.
Fa parte di: Epigrammi / Marco Valerio Marziale; [Milano]: Biblioteca universale Rizzoli, 2000
Nomi: Martialis, Marcus Valerius
2: Libri 8-14 / Marco Valerio Marziale; traduzione di Mario Scandola; note di Elena Merli, [Milano]: Biblioteca
universale Rizzoli, [2000], BUR
Note Generali: Testo latino a fronte.
Fa parte di: Epigrammi / Marco Valerio Marziale; [Milano]: Biblioteca universale Rizzoli, 2000
Epigrammi / Marco Valerio Marziale; saggio introduttivo e introduzione di Mario Citroni; traduzione di Mario
Scandola; note di Elena Merli, [Milano]: Biblioteca universale Rizzoli, 1996
Descrizione fisica: 2 v. (1213 p. compless.); 18 cm.
Comprende: 1: Libro degli spettacoli, libri 1.-7. 2: Libri 8.-14.
Epigrammi / Marco Valerio Marziale; a cura di Giuliana Boirivant, Milano]: Fabbri, 1997], I grandi classici
della poesia
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Epigramme / M. Valerius Martialis; ausgewahlt, eingeleitet und kommentiert von Uwe Walter, Paderborn
[etc.]: F. Schoningh, c1996, UTB fur Wissenschaft
Martial Book 14.: the Apophoreta / text with introduction and commentary by T. J. Leary, London: Duckworth,
1996
Titolo uniforme: Epigrammata
Epigramme / M. Valerius Martialis; ausgewahlt, eingeleitet und kommentiert von Uwe Walter, Paderborn
[etc.]: F. Schoningh, c1996, Uni taschenbucher
Epigrammi / Marco Valerio Marziale; a cura di Giuliana Boirivant, Milano: Fabbri, stampa 1995, I grandi
classici latini e greci
Note Generali: Testo latino a fronte.
Epigrammi / di Marco Valerio Marziale; a cura di Giuseppe Norcio
Edizione: Rist, Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1995, Classici latini
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Epigrammi / Marziale; a cura di Simone Beta, Milano: A. Mondadori, 1995
Descrizione fisica: 2 v.; 20 cm., Classici greci e latini
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
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Gli Epigrammi / M. Valerio Marziale; testo latino e versione poetica di Giuseppe Lipparini, Bologna:
Zanichelli, stampa 1995, Poeti di Roma
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Lipparini, Giuseppe <1877-1951>
Epigrammi / Marco Valerio Marziale; a cura di Giuliana Boirivant
Edizione: 2. ed, [Milano]: Tascabili Bompiani, 1995
Descrizione fisica: XL, 342 p.; 19 cm., Tascabili Bompiani. I delfini classici
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Epigrams 5. / Martial; edited with an introduction, translation and commentary by Peter Howell, Warminster,
England
Titolo uniforme: Epigrammata
Epigrams / Martial; ed. and trans. by D.R.Shackleton Bailey, Cambridge: Harvard University Press, 1993
Descrizione fisica: 3 v.; 17 cm
Titolo uniforme: Epigrammaton libri
Epigrammi / di Marco Valerio Marziale; a cura di Giuseppe Norcio
Edizione: Rist. riv, Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1991
Descrizione fisica: 947 p., [8] c. di tav.: ill.; 24 cm., Classici latini
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
I cento epigrammi proibiti / Marco Valerio Marziale; a cura di Franco Zagato, Roma: Newton Compton, 1992,
Tascabili economici Newton.Centopaginemillelire
Note Generali: Testo latino a fronte
Lapidi e amori: 111 epigrammi / Marco Valerio Marziale; traduzione Luciano Parinetto; disegni Salvatore
Carbone, Roma: Stampa alternativa, 1991, Millelire
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Gli epigrammi / Marco Valerio Marziale; a cura di Cesare Vivaldi, [Roma]: Grandi tascabili economici
Newton, 1993, Grandi tascabili economici
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
I cento epigrammi proibiti / Marco Valerio Marziale; a cura di Franco Zagato
Edizione: 3. ed, Roma: TEN, 1993, Centopaginemillelire
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Martialis, Marcus Valerius, I cento epigrammi proibiti / Marco Valerio Marziale; a cura di Franco Zagato,
Roma: TEN, 1992, Centopaginemillelire
Note Generali: Testo latino a fronte.
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Lapidi e amore: 111 epigrammi / Marco Valerio Marziale; traduzione [di] Luciano Parinetto; disegni [di]
Salvatore Carbone, [Roma]: Stampa Alternativa, 1991
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Lapidi e amori: 111 epigrammi / Marco Valerio Marziale; traduzione di Luciano Parinetto; disegni Salvatore
Carbone, Roma: Stampa Alternativa, [1992], Millelire
Note Generali: testo latino a fronte
Epigrammi / Marco Valerio Marziale; introduzione, traduzione e note di Arturo Carbonetto
Edizione: 4. ed, Milano: Garzanti, 1993, I grandi libri Garzanti
Note Generali: Testo latino e italiano a fronte.
Lapidi e amori: Centoundici epigrammi / Marco Valerio Marziale; Traduzione di Luciano Parinetto; disegni di
Salvatore Carbone, Viterbo: Union Printing, 1990, Millelire
Note Generali: Testo italiano a fronte.
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Epigrammi / di Marco Valerio Marziale; a cura di Giuseppe Norcio
Edizione: Rist. riv, Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1991, Classici latini
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Gli epigrammi proibiti di Marziale / tradotti e interpretati da Gianfranco Lotti, Milano: Armenia, c1989,
Cornucopia
Note Generali: Testo orig. a fronte.
M. Valerii Martialis Epigrammata / post W. Heraeum edidit D. R. Shackleton Bailey, Stutgardiae: in aedibus
B. G. Teubneri, 1990, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
Titolo uniforme: Epigrammata
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Lapidi e amori: 111 epigrammi / Marco Valerio Marziale; traduzione Luciano Parinetto; disegni Salvatore
Carbone, Roma: Stampa alternativa, 1991, Millelire
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Gli epigrammi proibiti / Marziale; tradotti e interpretati da Gianfranco Lotti, [Trezzano sul Naviglio]: Euroclub,
1990
Note Generali: Testo orig. a fronte.
"Gli spettacoli" di Marziale / tradotti e commentati (da) Francesco Della Corte, Genova: Istituto di Filologia
classica e medievale, 1986, Pubblicazioni dell'Istituto di filologiaclassica e medievale dell'Università di
Genova
Della Corte, Francesco <1913-1991>
Gli Epigrammi / M. Valerio Marziale; testo latino e versione poetica di Giuseppe Lipparini, Bologna:
Zanichelli, stampa 1987, Poeti di Roma
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Epigrammi / Marco Valerio Marziale; a cura di Arturo Carbonetto
Edizione: 3. ed, Milano: Garzanti, 1988, I grandi libri Garzanti
Note Generali: Con testo a fronte
Epigrammi / Marcus Valerio Marziale; A cura di Giuliana Boirivant, Milano: Bompiani, 1988, Tascabili
Bompiani. C
Note Generali: Testo latino a fronte
Epigrammi / Marco Valerio Marziale; a cura di Giuliana Boirivant, Milano: Gruppo editoriale Fabbri-BompianiSonzogno-ETAS, 1988, Tascabili Bompiani. C
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Gli epigrammi / Marco Valerio Marziale; testo latino e versione poetica di Giuseppe Lipparini, Bologna:
Zanichelli, 1987, Prosatori di Roma
Catilina daghe un tajo: epigrammi di Marziale liberamente tradotti da Dino Durante, Abano Terme: Piovan,
1983, Biblioteca veneta Piovan
Note Generali: Con il testo orig. [[I
Epigrammi / Marco Valerio Marziale; a cura di Arturo Carbonetto
Edizione: 2. ed, MIlano: Garzanti, 1984, I grandi libri Garzanti
Note Generali: Testo orig. a fronte
2: Einleitung und erlauterungen / Marcus Valerius Martialis, Frauenfeld: verlag Huber & Co., c1983
Fa parte di: Epigrammata selecta / Marcus Valerius Martialis; ediderunt et commentario indicibusque
instruxerunt Annemarie et Peter Schurch-Schar
1: Volumen prius textum indicesque continens / Marcus Valerius Martialis, Frauenfeldae: in aedibus Huber &
Co., c1983
Fa parte di: Epigrammata selecta / Marcus Valerius Martialis; ediderunt et commentario indicibusque
instruxerunt Annemarie et Peter Schurch-Schar
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Epigrammi / Marco Valerio Marziale; A cura di Arturo Carbonetto
Edizione: 2. ed, Milano: Garzanti, 1984, I grandi libri Garzanti
Note Generali: Testo latino a fronte / Tit. orig.: Epigrammata
Testo orig. a fronte
M. Valerii Martialis Epigrammaton libri / recognovit W. Heraeus; editionem correctiorem curavit Iacobus
Borovskij
Edizione: 3. Aufl, Leipzig: B. G. Teubner, 1982, Bibliotheca scriptorum Graecorum et
RomanorumTeubneriana
Garrido-Hory, Marguerite, Martial: index thematique des references a l'esclavage et a la dependance / par
Marguerite Garrido-Hory, Paris: Les belles lettres, 1984
Descrizione fisica: 563 p., 1 c. di tav. ripieg.; 21 cm., Annales litteraires de l'Universite deBesancon
M. Val. Martialis Epigrammata / recognovit brevique adnotatione critica instruxit W. M. Lindsay
Edizione: Editio altera, Oxonii: e Typographeo Clarendoniano, 1981
Gli Epigrammi / M. Valerio Marziale; Testo latino e versione poetica di Giuseppe Lipparini, Bologna:
Zanichelli, 1981, Poeti di Roma
Note Generali: Testo latino a fronte
Epigrammaton liber / M. Valerii Martialis; introduzione e testo critico di Ugo Carratello, Roma: Cadmo, copyr.
1981, Biblioteca del Giornale italiano di filologia
M. Valerius Martialis, Pisa: in aedibus Giardini editori e stampatori, 1980- .
Comprende: 6: Textus, indices
4: Epigrammaton libri 9.-11. / M. ValeriusMartialis
5: Epigrammaton libri 12., 13., 14. / M.Valerius Martialis
1: Liber de spectaculis; Epigrammaton libri1.-2. / M. Valerius Martialis
2: Epigrammaton libri 3.-5. / M. ValeriusMartialis
3: Epigrammaton libri 6.-8 / M. ValeriusMartialis
6: Textus; Indices / M. Valerius Martialis
Martialis, Marcus Valerius, M. Valerii Martialis Epigrammaton liber / introduzione e testo critico di Ugo
Carratello, Roma: Cadmo, 1981, Biblioteca del Giornale italiano di filologia
Epigrammi / di Marco Valerio Marziale; a cura di Giuseppe Norcio, [Torino]: Unione tipografico-editrice
torinese, 1980, Classici latini
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Martialis, Marcus Valerius, 4: Epigrammaton libri 9.-11. / M. Valerius Martialis, Pisa: Giardini, 1980,
Scriptorum Romanorum quae extant omnia
5: Epigrammaton libri 12., 13., 14. / M. Valerius Martialis, Pisa: In aedibus Girdini, 1980, Scriptorum
Romanorum quae extant omnia
M. Valerii Martialis Epigrammaton liber / introduzione e testo critico di Ugo Carratello, Genova: Istituto di
filologia classica e medievale, 1980, Pubblicazioni dell'Istituto di filologiaclassica e medievale
dell'UniversitW1A0a diGenova
Note Generali: In testa al front.: Universita di Genova, Facolta di lettere.
1: Liber de spectaculis; Epigrammaton libri 1.-2. / M. Valerius Martialis, Pisa: In aedibus Giardini, 1980,
Scriptorum Romanorum quae extant omnia
2: Epigrammaton libri 3.-5. / M. Valerius Martialis, Pisa: Giardini, 1980, Scriptorum Romanorum quae extant
omnia
3: Epigrammaton libri 6.-8 / M. Valerius Martialis, Pisa: In aedibus Giardini, 1980, Scriptorum Romanorum
quae extant omnia
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6: Textus; Indices / M. Valerius Martialis, Pisa: in aedibus Giardini, 1980, Scriptorum Romanorum quae
extant omnia
Martialis, Marcus Valerius, 1: / Martial; with an english translation by Walter C. A. Ker, Cambridge, Mass.,
The Loeb classical library
Fa parte di: Epigrams / Martial; with an english translation by Walter C. A. Ker
Martialis, Marcus Valerius, Epigrammi / Marco Valerio Marziale; saggio e versione di Guido Ceronetti,
Torino: Einaudi, 1979, Gli struzzi
Martialis, Marcus Valerius, Epigrammi / Marco Valerio Marziale; a cura di Arturo Carbonetto, Milano:
Garzanti, stampa 1979, I grandi libri Garzanti
Note Generali: Trad. italiana a fronte .
Siedschlag, Edgar, Martial-Konkordanz / von Edgar Siedschlag, Hildesheim; New York, 1979, Alpha-omega.
Reihe A, Lexika, Indizes,Konkordanzen zur klassischen Philologie
Martialis, Marcus Valerius, Gli epigrammi / M. Valerio Marziale, testo latino e versione poetica di Giuseppe
Lipparini, Bologna: Zanichelli, stampa 1979, Poeti di Roma
Note Generali: Tit. orig. a fronte.
Epigrammaton: Liber 1. / M. Valerii Martialis; introduzione, testo, apparato critico e commento a cura di Mario
Citroni, Firenze: La Nuova Italia, 1975, Biblioteca di studi superiori
Epigrammi / Marco Valerio Marziale; tradotti e interpreteti da Nicola Vaccaro, [Padova]: Rebellato, 1975,
Epigrammi
Note Generali: Da: Epigrammata .
Epigrammi / Marco Valerio Marziale; versione di Guido Ceronetti; con un saggio di Concetto Marchesi; testo
latino a fronte
Edizione: 4. ed, Torino: G. Einaudi, c1964, stampa 1977, I millenni
M. Valerii Martialis Epigrammaton liber primus / Introduzione, testo, apparato critico e commento a cura di
Mario Citroni, Firenze: La nuova Italia, 1975, Biblioteca di studi superiori
Martialis, Marcus Valerius, M. Valerii Martialis Epigrammaton libri / recognovit W. Heraeus; editionem
correctiorem curavit Iacobus Borovskij
Edizione: 2. Aufl, Leipzig: Teubner, 1976, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
Martialis, Marcus Valerius, Lettura di Marziale / [a cura di] A. Portolano, Napoli: Federico & Ardia, stampa
1975
Note Generali: Con un'antologia di testi.
Martialis, Marcus Valerius, Epigrammi / Marco Valerio Marziale; Versione di Guido Ceronetti; con saggio di
Concetto Marchesi; testo latino a fronte
Edizione: 4. ed, Torino: Einaudi, 1977, I millenni
La vanita e le rose / Marco Valerio Marziale . Epigrammi scelti e tradotti da Geda Jacolutti / acqueforti
originali di Moreno Zoppi, Verona: Fiorini, 1977
Note Generali: Testo orig. a fronte - Ed. di 259 esempl. num. f.c. .
Epigrammi: testo latino a fronte / M. V. Marziale; versione, prefazione e note di Cesare Vivaldi
Edizione: 4. ed. riv. e corr., [Parma]: Guanda, 1975, Fenice
M. Val. Martialis Epigrammata / recognovit brevique adnotatione critica instruxit W. M. Lindsay
Edizione: Editio altera, Oxonii: e typographeo Clarendoniano, repr. 1977, Scriptorum classicorum bibliotheca
Oxoniensis
Catilina daghe un tajo: epigrammi di Marziale liberamente tradotti da Dino Durante junior
Edizione: 4. ed, Abano Terme: Il Gerione, [1971]
Nomi: Martialis, Marcus Valerius - Durante, Dino <1923- >
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Martialis, Marcus Valerius, Gli epigrammi / M. Valerio Marziale; testo latino e versione poetica di Giuseppe
Lipparini, Bologna: Zanichelli, stampa 1970, Poeti di Roma
Epigrammi / testo e traduzione di A. Presta, Roma: Elia, 1970
Note Generali: In testa al front.: Marziale .
Gli epigrammi / M. Valerio Marziale; testo latino e versione poetica di Giuseppe Lipparini, Bologna:
Zanichelli, 1974
Nomi: Martialis, Marcus Valerius
The epigrams of Martial / selected and translated by James Michie, London: Hart-Davis, MacGibbon Ltd,
1973
Catullus, Gaius Valerius, Versioni da Catullo e Marziale: con testo a fronte / Alberto Buda, Imola: Grafiche
Galeati, stampa 1974
Martialis, Marcus Valerius, Epigrammi / Marco Valerio Marziale; versione di G. Ceronetti; con un saggio di C.
Marchesi; testo latino a fronte, Torino: G. Einaudi, 1973, I millenni
Completato dal 2004 al 1970
ICCU per Autore completare 1969-1850
"Marziale¸ Marco Valerio",
"Marziale¸ Marco Valerio - Castaldi",
Marco Valerio Marziale
(Bilbilis, Spagna Terragonese 40 d.C. ca – 104 ca)
Vita.
L'esperienza di Roma e la vita disagiata. Dopo essere stato educato in patria, M. giunse a Roma nel 64, e lì fino a quando non uscirono di scena in seguito alla congiura dei Pisoni - godette dell'appoggio e dell'amicizia
di Seneca e Lucano, suoi compatrioti. Si dedicò all'attività forense, sperando di trarne rapidi e consistenti
vantaggi economici: le cose, però, andarono in ben altro modo, e il nostro poeta si ritrovò a percorrere la
difficile strada del "cliens". I suoi patroni furono certo poco munifici: M., a corto di soldi, visse a lungo in una
brutta e alta dimora. L'attività poetica gli consentì, comunque, sotto Tito (80 d.C.), di ottenere da parte
dell'imperatore il titolo onorario di "tribuno militare", il rango equestre e benefici economici di varia natura, in
cambio di una raccolta di epigrammi (il "Liber de spectaculis") volta a celebrare l'inaugurazione in quell'anno
del Colosseo.
Il successo letterario. Ma il vero, tanto sospirato, successo letterario (senza tuttavia - almeno per quanto egli
stesso lamenta - l'altrettanto sospirato miglioramento economico) venne a M. solo dopo l'84-85, con la
pubblicazione ininterrotta dei suoi epigrammi; essa durò fino al 98: <<se per gli altri l'epigramma era stato un
gioco letterario, per lui divenne ragione della sua vita, moneta spicciola di ogni giorno, mestiere, mezzo
infallibile per procacciarsi il cibo>> [F. Della Corte].
Il ritorno in patria e la morte. Sotto l'imperatore Nerva, lasciò Roma per ritornare in patria (le spese del
viaggio gli furono pagate Plinio il Giovane). In Spagna, nella sua Bilbilis, si godette un podere donatogli da
una ricca vedova e devota ammiratrice, Marcella. Il poeta si attendeva di trovare, al suo ritorno, il mondo e
gli amici della giovinezza, ma, senza più questi, e dopo anni trascorsi nella turbolenta, ma vivace vita
romana, Bilbilis e il suo meschino ambiente di provincia finirono ben presto per stancarlo. Pubblicò nel 101 il
suo ultimo libro di epigrammi, ma continuò a rimpiangere Roma, fino alla morte.
Opere.
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Di M. ci resta una raccolta di "Epigrammi" [vers.lat] [trad.it], distribuiti in 12 libri composti e via via pubblicati
fra l'86 e il 102. Tale corpo centrale è preceduto da un altro libro a sé di una trentina di epigrammi, il "Liber
Spectaculorum", e seguito da altri 2 libri (84 – 85 d.C.) anch'essi autonomi, lo "Xenia" (distici destinati ad
accompagnare i "doni per amici e parenti" nelle feste dei Saturnali) e gli "Apophoreta" (coppie di distici di
accompagnamento agli omaggi offerti nei banchetti e "portati via" dai convitati). Nell’ordinare gli epigrammi
(più di 1500, per un totale di 10000 versi ca), l'autore li ha distribuiti in modo equilibrato, secondo il metro e
l’estensione, seguendo il topos della "varietas". Comunque, la disposizione attuale dell’intera raccolta
riproduce probabilmente quella di un’edizione antica postuma. torna all'inizio
Considerazioni sugli epigrammi: antecedenti, contenuti, caratteri, struttura.
Le origini del genere. In realtà, nell'ambito della poesia latina, prima di M., non abbiamo una vera "tradizione"
che riguardi gli epigrammi: praticamente, solo Catullo svolse una funzione importante di mediazione fra
cultura greca e latina nella storia di questo genere letterario, piegandolo ad espressione di sentimenti, gusti,
passioni (cioè a temi della vita individuale) nonché a strumento di vivace aggressione polemica; quasi nulla,
invece, sappiamo di quei poeti che M. indica come suoi "auctores", tranne forse di Lucillio, epigrammatista
dell'età di Nerone: dal primo, il nostro poeta mutuerà sostanzialmente l'aggressiva vivacità, dal secondo la
rappresentazione comica di difetti fisici, di tipi e caratteri sociali, nonché la tecnica della "trovata finale";
caratteri - questi - che egli svilupperà in senso fortemente comico-satirico a sfondo sociale (allineandosi, in
tal modo, anche alla tradizione satirica tipicamente romana).
La nascita dell'epigramma risale, quindi, come il nome stesso ("epigramma", lett. "scritto sopra"),
propriamente all'età greca arcaica, dove la sua funzione era essenzialmente commemorativa (era inciso, ad
es., su pietre tombali o su offerte votive): il padre di questo genere, nella sua forma artistica più evoluta, fu
leggendariamente indicato in Omero, ma prime vere testimonianze ne abbiamo solo con Archiloco (VII sec.
a.C.), con Anacreonte di Ceo e soprattutto Simonide di Ceo (VI sec.); in età ellenistica, però, esso - pur
conservando la sua caratteristica brevità - mostra di essersi emancipato dalla forma epigrafica e dalla
destinazione pratica, presentandosi come un tipo di componimento adatto alla poesia d'occasione, a fissare
- nel giro di pochi versi - l'impressione di un momento: un componimento cui non si sottrassero nemmeno
Callimaco e Teocrito. I temi erano di tipo leggero: erotico, satirico, parodistico, accanto a quelli più
tradizionali, ad es. di carattere funebre. M. ne mutuerà, accanto agli stessi temi, decisamente l'arguzia e la
fine ironia.
Il "testimone" di M. M. fa, dunque, dell'epigramma il suo genere esclusivo, l'unica forma della propria poesia,
apprezzandone soprattutto la duttilità, la facilità ad aderire ai molteplici aspetti del reale. Questi sono i pregi
che egli contrappone ai generi più illustri, ovvero all'epos e alla tragedia (i preferiti nel clima di restaurazione
morale tipico dell'età flavia), coi loro toni seriosi e i loro contenuti abusati, quelle trite vicende mitologiche
tanto lontane dalla viva e palpitante quotidianità. Invece, è proprio il realismo (anche se volentieri generico e
di "maniera"), l'aderenza alla vita concreta (<<con particolare riferimento ai bisogni e alle attività più
elementari e con voluta insistenza sui particolari più corposamente concreti e sui dati più crudamente fisici>>
[Cecchin]) che M. rivendica come tratti caratteristici della propria poesia ("Hominem pagina nostra sapit": "La
nostra pagina ha sapore di uomo"), una poesia che coniuga fruibilità pratica e divertimento letterario,
tratteggiando un quadro variegato e incisivo della realtà quotidiana di Roma, con le sue contraddizioni e i
suoi paradossi.
Schema dei motivi, dei caratteri e dei contenuti. Di questo "esito" dell'epigramma in M., dato il carattere
magmatico dei contenuti e delle espressioni, è utile e possibile, schematizzando, enucleare le seguenti
caratteristiche [ovviamente, lo schema immiserisce, e chiedo scusa per questo]:
1. i temi sono vari: accanto a quelli più radicati nella tradizione, altri riguardano più da vicino le vicende
personali del poeta o - come detto - il costume della società del tempo. <<Costretto a chiedere sovvenzioni
ai suoi patroni, [… M.] evitò d'infamare i signori e, con nomi finti e inventati, colpì i miserabili della società,
miserabili anche se affogavano nel denaro>> [F. Della Corte]. Il nostro autore li aggredisce e li irride con
<<spirito impietoso, disumano e crudele […] che non risparmia neppure la malattia, la vecchiaia e la
miseria>> [Perelli]: ma il poeta si limita alla presa in giro, senza mai analizzare veramente e profondamente il
vizio, e senza mai definitivamente condannarlo: <<egli si giustifica dell'immoralità della sua poesia dicendo
"Lasciva est nobis pagina, vita proba": ma ciò non toglie che egli si mostri indifferente di fronte al vizio>>
[Perelli]. Eppure, in lui <<coesistono quasi due volti diversi: accanto al poeta mordace, scanzonato, talvolta
volgare e disumano, che è il volto più diffuso e più noto, vi è un M. più intimo, che lascia parlare il cuore; in
questi carmi più schietti, che sono dispersi nella grande massa degli epigrammi convenzionali, egli
raggiunge la vera poesia>> [Perelli]: questo, soprattutto, negli epicedi, spesso per la morte di bambini e
ragazzi (M. s'intenerisce molto, e sinceramente, quando parla della gioventù violata o infranta); torna
all'inizio
2. il poeta spesso si rivolge alla vittima dell'epigramma (di regola persona fittizia o comunque non
individuabile) o a una terza persona (che può essere reale o fittizia), cui addita la figura o il comportamento
del personaggio colpito;
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3. si riscontrano sempre le stesse, generiche, tipologie di personaggi: i parassiti, i ladri, gli spilorci, gli
imbroglioni, i medici pericolosi, gli odiatissimi plagiari (tanto più numerosi quanto più aumentava il suo
successo letterario), e così via; tali deformazioni grottesche sono frutto di una tecnica di rappresentazione
molto ravvicinata, un effetto ottico che focalizza singoli personaggi negando loro uno sfondo, un contorno,
come se, per meglio mostrarli, fossero strappati al contesto e sospesi quasi nel vuoto (l'atteggiamento del
poeta è perciò, come visto, volentieri quello di un osservatore attento ma per lo più distaccato);
4. l'epigramma è solitamente breve: molto raramente di un solo verso, solitamente da 2 a 10 versi (ma vi
sono anche numerosi epigrammi di più di 20 versi, fino ad un massimo di 51 versi);
5. i metri utilizzati sono vari: accanto al distico elegiaco, sono frequenti anche falecio e scazonte, ma non ne
mancano di altri diversi;
6. compaiono quasi sempre apostrofi, interrogazioni, movimenti di dialogo che devono dare l'impressione di
un intervento diretto del poeta in una certa situazione, davanti a un interlocutore; il tono, molto spesso, è
quello di un umorismo, come dire, "commerciale", che per certi versi ricorda molto da vicino la nostra
"barzelletta": insomma, M. scriveva innanzitutto per farsi apprezzare e (soprattutto) acquistare dal pubblico,
e molti dei suoi versi rispondevano quasi esclusivamente all'utilitaristica legge della domanda-offerta;
7. nonostante le forme composite siano svariate, è possibile tuttavia individuare uno "schema-tipo", già
rilevato e analizzato a suo tempo dal Lessing: uno schema bipartito nei due momenti di
"attesa"/"spiegazione conclusiva": nella prima parte, il poeta - attraverso la rappresentazione di una
situazione o la descrizione di un personaggio - crea nel lettore un'aspettativa, la quale viene soddisfatta dalla
battuta conclusiva;
8. la sinteticità caratterizza l'iniziale delineazione della situazione o del tipo. Altre volte ci sono quadri più
ampi, di notevole impegno e complessità, in cui M. dà - tra l'altro - prova di grandi capacità di
rappresentazione realistica (ma coi limiti, spesso, del suddetto realismo "letterario");
9. M. ottiene effetti particolarmente felici nel finale, ch'è poi l'essenza di tutto l'epigramma, l' "aculeus", l'
"aliquid luminis" (oggi diremmo: la "freddura"); finale che a volte riassume i termini di una situazione in una
formulazione estremamente incisiva e pregnante, altre volte li porta a una comica iperbole, altre volte li
costringe a un esito assurdo o a un paradosso, altre volte li pone all'improvviso sotto una luce diversa e
rivelatrice (è l' "effetto-sorpresa"); ovviamente, la battuta conclusiva risulterà tanto più efficace quanto più
lontana dalla previsione del lettore;
10. il pubblico, infine, da parte sua, ritrovava negli epigrammi la propria esperienza quotidiana filtrata e
nobilitata da una forma artistica dotata appunto di agilità e pregnanza espressiva ("brevitas"), aperta alla
vivacità dei modo colloquiali e alla ricchezza del lessico quotidiano (a volte degenerante, come visto, in un
vero e proprio "realismo osceno"), ma capace anche - all’occorrenza - di limpida sobrietà, raffinata ed
essenziale. Fu questo, in ultima analisi, a ben vedere, il vero segreto del successo di M. .
"Marziale¸ Marco Valerio - Encarta"
Marziale, Marco Valerio (Bilbilis, Spagna 40 ca. - 104 ca. d.C.), poeta latino, uno dei maggiori epigrammisti
del mondo antico. Dalla natia Spagna si trasferì a Roma in cerca di fortuna intorno al 64; qui tuttavia
condusse una vita precaria e assillata dalle necessità economiche, nonostante le amicizie influenti e il favore
degli imperatori Tito e Domiziano. Il cosiddetto Liber de spectaculis celebra e descrive con dovizia di
particolari realistici le manifestazioni organizzate da Tito per l'inaugurazione del Colosseo nell'anno 80.
La fama di Marziale si deve principalmente ai dodici libri di Epigrammi (pubblicati tra l'86 e il 102), contenenti
oltre 1500 brevi composizioni dalle svariate forme metriche. Essi attaccano con ironia e crudezza la
debolezza della natura umana, rivelando una visione cinica e sostanzialmente disperata del mondo. Alcuni
epigrammi esprimono disappunto per l'avarizia dei protettori, altri chiedono pubblicamente prestiti o doni,
quelli rivolti a Domiziano appaiono insinceri e adulatori. Ma non mancano sentimenti delicati e profondi,
come l'affetto per gli amici, l'amore per l'infanzia e per la natura. Di grande efficacia realistica sono i rapidi
ritratti, talvolta convenzionali, ma più spesso estrosi e vivacemente caricaturali, dei tipi umani più disparati:
poeti e filosofi da strapazzo, spilorci, ciarlatani, arrivisti, donne corrotte e viziosi di ogni genere che
affollavano la città. Il linguaggio, apparentemente semplice e immediato, è invece raffinato e studiatissimo,
sia nel lessico che nella struttura sintattica. I suoi versi offrono un affresco estremamente vivido della Roma
imperiale della seconda metà del I secolo e costituirono un modello fortemente innovativo per
l'epigrammatica successiva.
"Marziale¸ Marco Valerio - Treccani"
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Marziale Marco Valerio. Poeta epigrammatico della letteratura latina. Nacque a Bilbili nella Spagna
Tarraconese verso il 40 d.C. I suoi ne volevano fare un oratore, ma M., completati gli studi di retorica, sentì il
richiamo di Roma e nel 64 vi si avventurò, sperando di essere aiutato dai connazionali, che in quell'epoca
erano numerosi nella capitale. Ma proprio nel 65 fallì la congiura antineroniana e fra le vittime caddero gli
spagnoli più in vista, Seneca e Lucano. M. ebbe vita difficile e probabilmente si rassegnò alla condizione di
"cliente". E forse fu proprio in questo periodo di miseria, durante il quale visse in stretto contatto con i poveri,
che divenne acuto osservatore di tante piccole cose destinate a riempire il suo mondo poetico. Nell'80, in
occasione dell'inaugurazione dell'anfiteatro Flavio, compose un libro di epigrammi, intitolato De spectaculis.
Ottenne da Tito il jus trium liberorum (diritto di chi ha tre figli), che riservava qualche privilegio, ma le sue
condizioni non migliorarono per nulla. Finalmente dopo l'85 divenne proprietario di un piccolo podere sulla
via Nomentana e di un piccolo appartamento sul Quirinale. A tale epoca è da assegnare la composizione di
Xenia (per doni offerti in occasione dei Saturnali) e Apophoreta (per doni che gli invitati portavano via dalla
casa degli ospiti). Non si comportò con molta dignità nei riguardi di Domiziano, che adulò senza risparmio.
Dopo la morte dell'imperatore (96 d.C.) cercò invano di ottenere il favore di Nerva prima e di Traiano poi.
Stanco infine della vita della capitale, ritornò a Bilbili, dove visse in serena agiatezza insieme con una ricca
gentildonna spagnola, chiamata Marcella. Morì nel 104 ca.
M. scrisse 15 libri di epigrammi. Nell'ordinamento tradizionale De spectaculis va considerato come il I libro,
Xenia il XIII e Apophoreta il XIV. Negli altri libri si rispecchia tutta la vita dell'epoca, non la vita con le sue
passioni politichè e letterarie, ma la vita meschina di ogni giorno, con le sue miserie, i suoi lati giocosi e i suoi
aspetti comici. Non è che il poeta disdegni l'argomento che possa essere gradito a un intellettuale, ma si
avverte subito che il terreno più adatto alla sua musa scanzonata e spesso duramente satirica è quello in cui
si muove la plebe, con tutte le sue carenze e i suoi vizi: ladri, parassiti, ubriaconi, cacciatori di testamenti.
Vi sono inoltre nell'opera di M. altri elementi, a volte minori, nati da un'ispirazione altamente poetica, talvolta
idillica. Basta pensare al tocco felice con cui il poeta ci presenta la casetta di Giulio Marziale che da un clivo
del Gianicolo vede giù passare i carri senza sentirne il rumore, alla descrizione del ricco podere di Faustino a
Baia, della splendida villa di Apollinare a Formia e dei monti di Spagna bianchi di neve.
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D. Iunio Giovenale
Cenni biografici
I codici manoscritti delle Satire sono accompagnati da diverse Vite. Una, in particolare, sembra
piuttosto antica e ci è stata trasmessa in più redazioni. Ciascuna di queste Vite aggiunge a quanto
fin qui osservato sulla biografia del poeta particolari difficilmente controllabili nella loro veridicità.
Pochi i cenni biografici sicuri su Giovenale, a partire dalla data di nascita, che oscilla tra il 50 e il
67. Sicuro il luogo, Aquino, nel Lazio meridionale e il fatto che la famiglia fosse relativamente
benestante, in grado di procurare al giovane una buona educazione retorica e di avviarlo alla
carriera forense, peraltro senza guadagni apprezzabili. Una delle Vite di Giovenale avanza l’ipotesi
che Giovenale fosse figlio di un liberto e che dopo aver frequentato scuole di grammatica e retorica
abbia esercitato la professione di declamatore.
Tardiva o comunque non apertamente dichiarata la passione per la poesia e l’attività poetica, che
ha inizio solo dopo la morte di Domiziano (96).
Alcuni riferimenti interni all’opera per l’anno 127 forniscono il termine post quem più valido anche
per la sua morte.
Una Vita parla di un esilio di Giovenale in Egitto, in età avanzata e motivata dal rancore provocato
da alcuni versi in Paride, celebre pantomimo protetto di Domiziano: Giovenale sarebbe appunto
morto in esilio più che ottuagenario.
Opere
Le 16 satire, più di 3800 esametri complessivi, sono raccolte in 5 libri: I, satire 1-5; II, satira 6; III,
satire 7-9; IV, satire 10-12, V, satire 13-16.
Satira I
171 versi. Composta tra il 100 e il 102.
Contro le declamazioni e la loro vacuità, contro la corruzione.
Giovenale rivendica per sé il diritto di scrivere satire rifacendosi al modello di Lucilio.
La satira contro il genere delle declamazioni vuole essere anche satura di un costume ormai
immorale, rappresentato da clienti, liberti arricchiti, cacciatori di testamenti, magistrati corrotti,
matrone adultere.
Satira II
170 versi. Composta tra il 90 e il 93.
Virtù pubbliche e vizi nascosti. La tesi sostenuta è che una immoralità scoperta e dichiarata sia
preferibile a un atteggiamento esteriore di ossequio alla moralità.
Particolarmente bersagliate le tendenze omosessuali di personaggi pubblici.
Satira III
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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322 versi. Composta tra il 98 e il 100.
Contro i peggiori caratteri metropolitani di Roma.
Prima di partire da Roma, Umbricio, caro amico di Giovenale, spiega al poeta perché la capitale è
diventata un posto invivibile. Responsabili del declino sembrano essere Greci e Orientali in genere:
essi hanno reso Roma una città insicura e caotica.
Satira IV
154 versi. Composta nel 99-100.
Consiglio di Stato riunito da Domiziano per deliberare sulla cottura di un gigantesco rombo pescato
nelle acque di Ancona.
La satira potrebbe essere una parodia del De bello Germanico di Stazio.
Satira V
173 versi. Composta nel 100-101.
La descrizione della cena offerta dal ricco Virrione, diventa pretesto per parlare nuovamente della
vita degradante del cliente.
Satira VI
Composta tra il 105 e il 107.
Satira contro le donne. E’ la più lunga (661 versi).
Prese di mira dapprima le adultere, che si concedono ad attori e gladiatori; poi le donne che
approfittano della loro bellezza o della loro famiglia di origine per sottomettere il marito.
Le donne sapute.
Le donne sportive.
Altre donne viziose
Le donne avvelenatrici o assassine di figli e mariti.
Satira VII
243 versi. Composta tra il 111 e il 113.
Sulla decadenza delle arti e in genere sul destino mediocre dei letterati contemporanei e in genere
degli uomini di cultura (poeti, storici, avvocati, retori, grammatici)..
Rimpianto della letteratura di epoca augustea.
Satira VIII
Assieme alla IX e X composta tra il 113 e il 118.
Sulla nobiltà di nascita e quella che deriva da ingegno e sentimenti.
Cinque esempi di nobili degeneri accompagnati da cinque uomini che hanno fondato sui propri
meriti la loro fama.
Chiusa amara: tutti i Romani discendono comunque da rozzi burini o vagabondi avanzi di galera a
cui Romolo ha dato ospitalità.
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Satira IX
150 versi. In forma di dialogo. Le proteste dell’omosessuale Nèvolo per essere stato male
ricompensato di alcune prestazioni.
Satira X
366 versi. Contro l’insensatezza dei desideri umani.
Cf. la seconda satira di Persio.
Una sola preghiera agli dei risulta essere sensata “ut sit mens sana in corpore sano”.
Satira XI
Composta tra il117 e il 118.
La cena di Giovenale a un amico.
Satira XII
130 versi. Composta tra il 118 e il 120.
Contro i cacciatori di eredità.
Satira XIII
249 versi. Composta tra il 127 e il 128.
Contro gli imbroglioni e i frodatori.
Satira XIV
331 versi. Composta tra il 128 e il 129.
Educazione dei figli. I precetti devono essere accompagnati dagli esempi.
Satira XV
174 versi. Composta, assieme alla XVI, nel 129-130.
Episodio di cannabalismo provocato dal fanatismo religioso in Egitto.
Satira XVI
Privilegi offerti dalla vita militare, in particolar modo ai pretoriani.
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E’ incompleta (60 versi) e sono stati avanzati non pochi dubbi sulla sua autenticità.
Osservazioni
Testi e testimonianze
PHI 5.3
VITA IVVENALIS
D. Iunius Iuuenalis, libertini locupletis incertum est filius an alumnus, ad mediam fere aetatem
declamauit animi magis causa quam quod se scholae aut foro praepararet. deinde paucorum uersuum
satura non absurde composita in Paridem pantomimum poetamque eius semenstribus militiolis tumentem
genus scripturae industriose excoluit; et tamen diu ne modico quidem auditorio quicquam committere ausus
est. mox magna frequentia tantoque successu bis ac ter auditus est, ut ea quoque quae prima fecerat
inferciret nouis scriptis:
quod non dant proceres, dabit histrio. tu Camerinos
et Bareas, tu nobilium magna atria curas?
praefectos Pelopea facit, Philomela tribunos.
erat tum in deliciis aulae histrio multique fautorum eius cottidie prouehebantur. uenit ergo Iuuenalis in
suspicionem, quasi tempora figurate notasset, ac statim per honorem militiae quamquam octogenarius urbe
summotus est missusque ad praefecturam cohortis in extremam partem Aegypti tendentis. id supplicii genus
placuit, ut leui atque ioculari delicto par esset. uerum intra breuissimum tempus angore et taedio periit.
Iuv., 1,
Semper ego auditor tantum? numquamne
reponam
uexatus totiens rauci Theseide Cordi?
inpune ergo mihi recitauerit ille togatas,
hic elegos? inpune diem consumpserit ingens
Telephus aut summi plena iam margine libri
scriptus et in tergo necdum finitus Orestes?
nota magis nulli domus est sua quam mihi lucus
Martis et Aeoliis uicinum rupibus antrum
Vulcani; quid agant uenti, quas torqueat umbras
Aeacus, unde alius furtiuae deuehat aurum
pelliculae, quantas iaculetur Monychus ornos,
Frontonis platani conuolsaque marmora clamant
semper et adsiduo ruptae lectore columnae.
expectes eadem a summo minimoque poeta.
et nos ergo manum ferulae subduximus, et nos
consilium dedimus Sullae, priuatus ut altum
dormiret. stulta est clementia, cum tot ubique
uatibus occurras, periturae parcere chartae.
cur tamen hoc potius libeat decurrere campo,
per quem magnus equos Auruncae flexit alumnus,
si uacat ac placidi rationem admittitis, edam.
cum tener uxorem ducat spado, Meuia
Tuscum
figat aprum et nuda teneat uenabula mamma,
F. D’Alessi © 2002
patricios omnis opibus cum prouocet unus
quo tondente grauis iuueni mihi barba sonabat,
cum pars Niliacae plebis, cum uerna Canopi
Crispinus Tyrias umero reuocante lacernas
uentilet aestiuum digitis sudantibus aurum
nec sufferre queat maioris pondera gemmae,
difficile est saturam non scribere. nam quis
iniquae
tam patiens urbis, tam ferreus, ut teneat se,
causidici noua cum ueniat lectica Mathonis
plena ipso, post hunc magni delator amici
et cito rapturus de nobilitate comesa
quod superest, quem Massa timet, quem munere
palpat
Carus et a trepido Thymele summissa Latino;
cum te summoueant qui testamenta merentur
noctibus, in caelum quos euehit optima summi
nunc uia processus, uetulae uesica beatae?
unciolam Proculeius habet, sed Gillo deuncem,
partes quisque suas ad mensuram inguinis heres.
accipiat sane mercedem sanguinis et sic
palleat ut nudis pressit qui calcibus anguem
aut Lugudunensem rhetor dicturus ad aram.
quid referam quanta siccum iecur ardeat ira,
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
cum populum gregibus comitum premit hic
spoliator
pupilli prostantis et hic damnatus inani
iudicio? quid enim saluis infamia nummis?
exul ab octaua Marius bibit et fruitur dis
iratis, at tu uictrix, prouincia, ploras.
haec ego non credam Venusina digna lucerna?
haec ego non agitem? sed quid magis? Heracleas
aut Diomedeas aut mugitum labyrinthi
et mare percussum puero fabrumque uolantem,
cum leno accipiat moechi bona, si capiendi
ius nullum uxori, doctus spectare lacunar,
doctus et ad calicem uigilanti stertere naso;
cum fas esse putet curam sperare cohortis
qui bona donauit praesepibus et caret omni
maiorum censu, dum peruolat axe citato
Flaminiam puer Automedon? nam lora tenebat
ipse, lacernatae cum se iactaret amicae.
nonne libet medio ceras inplere capaces
quadriuio, cum iam sexta ceruice feratur
hinc atque inde patens ac nuda paene cathedra
et multum referens de Maecenate supino
signator falsi, qui se lautum atque beatum
exiguis tabulis et gemma fecerit uda?
occurrit matrona potens, quae molle Calenum
porrectura uiro miscet sitiente rubetam
instituitque rudes melior Lucusta propinquas
per famam et populum nigros efferre maritos.
aude aliquid breuibus Gyaris et carcere dignum,
si uis esse aliquid. probitas laudatur et alget;
criminibus debent hortos, praetoria, mensas,
argentum uetus et stantem extra pocula caprum.
quem patitur dormire nurus corruptor auarae,
quem sponsae turpes et praetextatus adulter?
si natura negat, facit indignatio uersum
qualemcumque potest, quales ego uel Cluuienus.
ex quo Deucalion nimbis tollentibus aequor
nauigio montem ascendit sortesque poposcit
paulatimque anima caluerunt mollia saxa
et maribus nudas ostendit Pyrrha puellas,
quidquid agunt homines, uotum, timor, ira,
uoluptas,
gaudia, discursus, nostri farrago libelli est.
et quando uberior uitiorum copia? quando
maior auaritiae patuit sinus? alea quando
hos animos? neque enim loculis comitantibus itur
ad casum tabulae, posita sed luditur arca.
proelia quanta illic dispensatore uidebis
armigero! simplexne furor sestertia centum
perdere et horrenti tunicam non reddere seruo?
quis totidem erexit uillas, quis fercula septem
secreto cenauit auus? nunc sportula primo
limine parua sedet turbae rapienda togatae.
ille tamen faciem prius inspicit et trepidat ne
suppositus uenias ac falso nomine poscas:
agnitus accipies. iubet a praecone uocari
ipsos Troiugenas, nam uexant limen et ipsi
nobiscum. 'da praetori, da deinde tribuno.'
sed libertinus prior est. 'prior' inquit 'ego adsum.
cur timeam dubitemue locum defendere, quamuis
natus ad Euphraten, molles quod in aure
fenestrae
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arguerint, licet ipse negem? sed quinque tabernae
quadringenta parant. quid confert purpura maior
optandum, si Laurenti custodit in agro
conductas Coruinus ouis, ego possideo plus
Pallante et Licinis?' expectent ergo tribuni,
uincant diuitiae, sacro ne cedat honori
nuper in hanc urbem pedibus qui uenerat albis,
quandoquidem inter nos sanctissima diuitiarum
maiestas, etsi funesta Pecunia templo
nondum habitat, nullas nummorum ereximus aras,
ut colitur Pax atque Fides, Victoria, Virtus
quaeque salutato crepitat Concordia nido.
sed cum summus honor finito conputet anno,
sportula quid referat, quantum rationibus addat,
quid facient comites quibus hinc toga, calceus
hinc est
et panis fumusque domi? densissima centum
quadrantes lectica petit, sequiturque maritum
languida uel praegnas et circumducitur uxor.
hic petit absenti nota iam callidus arte
ostendens uacuam et clausam pro coniuge
sellam.
'Galla mea est' inquit, 'citius dimitte. moraris?
profer, Galla, caput. noli uexare, quiescet.'
ipse dies pulchro distinguitur ordine rerum:
sportula, deinde forum iurisque peritus Apollo
atque triumphales, inter quas ausus habere
nescio quis titulos Aegyptius atque Arabarches,
cuius ad effigiem non tantum meiiere fas est.
uestibulis abeunt ueteres lassique clientes
uotaque deponunt, quamquam longissima cenae
spes homini; caulis miseris atque ignis emendus.
optima siluarum interea pelagique uorabit
rex horum uacuisque toris tantum ipse iacebit.
nam de tot pulchris et latis orbibus et tam
antiquis una comedunt patrimonia mensa.
nullus iam parasitus erit. sed quis ferat istas
luxuriae sordes? quanta est gula quae sibi totos
ponit apros, animal propter conuiuia natum!
poena tamen praesens, cum tu deponis amictus
turgidus et crudum pauonem in balnea portas.
hinc subitae mortes atque intestata senectus.
it noua nec tristis per cunctas fabula cenas;
ducitur iratis plaudendum funus amicis.
nil erit ulterius quod nostris moribus addat
posteritas, eadem facient cupientque minores,
omne in praecipiti uitium stetit. utere uelis,
totos pande sinus. dices hic forsitan 'unde
ingenium par materiae? unde illa priorum
scribendi quodcumque animo flagrante liberet
simplicitas? "cuius non audeo dicere nomen?
quid refert dictis ignoscat Mucius an non?"
pone Tigillinum, taeda lucebis in illa
qua stantes ardent qui fixo gutture fumant,
et latum media sulcum deducit harena.'
qui dedit ergo tribus patruis aconita, uehatur
pensilibus plumis atque illinc despiciat nos?
'cum ueniet contra, digito compesce labellum:
accusator erit qui uerbum dixerit "hic est."
securus licet Aenean Rutulumque ferocem
committas, nulli grauis est percussus Achilles
aut multum quaesitus Hylas urnamque secutus:
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ense uelut stricto quotiens Lucilius ardens
infremuit, rubet auditor cui frigida mens est
criminibus, tacita sudant praecordia culpa.
inde ira et lacrimae. tecum prius ergo uoluta
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haec animo ante tubas: galeatum sero duelli
paenitet.' experiar quid concedatur in illos
quorum Flaminia tegitur cinis atque Latina.
Dovrò io essere sempre soltanto ascoltatore? Non mi prenderò mai la rivincita, io tante volte tormentato dalla
Teseide dello sfiatato Cordo? Impunemente, dunque, uno mi avrà recitato le sue togate e un altro le sue
elegie? Impunemente un interminabile Telefo mi avrà sciupato una giornata, oppure un Oreste scritto già su
tutto il margine del volume fino al sommo della pagina e a tergo e non ancora finito? A nessuno è così nota
la propria casa quanto a me il bosco sacro di Marte e l'antro di Vulcano prossimo alle rupi Eolie. Che cosa
facciano i venti, quali ombre tormenti Eaco, da quale parte del mondo quest'altro si porti via l'oro del vello
rubato e quali frassini scagli Monico declamano continuamente i platani e i marmi divelti di Frontone e le
colonne fiaccate senza tregua da incessanti letture: aspettati sempre lo stesso ritornello sia dai sommi che
dagli infimi poeti. E io pure, in fin dei conti, ho ritratto le mani sotto la verga del maestro, io pure ho
consigliato a Sifia di ritirarsi a vita privata a dormire saporitamente; sarebbe perciò sciocca clemenza
risparmiare della carta destinata a perire, quando ovunque ti imbatti in tanti vati. Se avete tempo e volete
ascoltare in calma le mie ragioni, vi dirò perché io abbia deciso di giostrare in questo campo ove il grande
figlio di Aurunca piegò in corsa i cavalli.
Quando un rammollito eunuco arriva a prender moglie, quando Mevia trafigge nel circo il cinghiale toscano e
a seno ignudo imbraccia lo spiedo, [e tutti i patrizi sfida con le sue ricchezze un tale sotto il cui rasoio,
quand'ero giovane, la mia folta barba strideva] e un plebeo del Nilo, uno schiavo di Canopo, Crispino,
racconciandosi sulle spalle un mantello di porpora tiria, agita al vento con le dita sudate un anellino da estate
e non può sopportare il peso di una gemma più pesante, è difficile non scrivere satire. Chi infatti può
tollerare una Roma così perversa, chi è così insensibile da sapersi frenare quando vede avanzarsi la lettiga
nuova dell'avvocato Matone, tutta piena del padrone, e dietro a lui il delatore di un potente amico, pronto a
far man bassa sui resti del patrimonio della nobiltà rovinata, colui che Massa teme e Caro adesca con doni e
a cui Latino per paura manda di soppiatto Timele? Quando ti privano dei tuoi diritti individui che si
guadagnano i testamenti con le notti, individui che solleva al cielo la via oggi più sicura di una rapida ascesa,
la vescica di una vecchia danarosa? Proculeio ottiene un dodicesimo, ma Gillone undici volte tanto: ogni
crede la sua parte a seconda della vigoria mascolina. Ciascuno riceva pure il prezzo del suo sangue e si
faccia livido come chi ha calpestato un serpe a piedi nudi o come un declamatore che si accinga a parlare
davanti all'altare di Lione. C'è bisogno che vi dica quanta ira mi brucia il fegato riarso quando costui,
spogliatore di un pupillo ridotto a far mercato di sé, schiaccia la gente con le masnade dei suoi bravi e con lui
quest'altro, condannato in processo senza risultato? Che cosa è mai l'infamia quando il denaro è al sicuro?
Mario si ubriaca in esilio a cominciare dall'ora ottava e gode dell'ira divina: e tu provincia, che in giudizio hai
vinto, piangi! Tutte queste scelleratezze, dunque, non devo crederle degne della lucerna del poeta di
Venosa? Non dovrei trattarne? E quali soggetti dovrei preferire a questi? Forse delle Eracleidi, delle
Diomedee, il muggito del labirinto e il mare in cui s'affonda il fanciullo e il fabbro aereo, mentre qui un
lenone, abile a guardare il soffitto e a russare da sveglio, si prende i beni del drudo se la moglie non ha
diritto all'eredità? Mentre v'è qualcuno che stima lecito aspirare al comando di una coorte dopo aver
sperperato tutto il patrimonio in scuderie ed essere rimasto privo di tutto il censo degli antenati trasvolando
sul rapido cocchio per la via Flaminia, come un giovane Automedonte? Infatti teneva egli stesso le briglie
facendovi bello agli occhi dell'amica col mantello. Non è forse piacevole riempire larghe tavolette di cera
anche in mezzo alla strada dal momento che si fa trasportare su sei spalle, visibile tutto attorno nella lettiga
quasi scoperta e con molti atteggiamenti di un Mecenate a pancia in aria, un falsario che si è fatto ricco e
satollo a mezzo di brevi postille e di un anello inumidito? Arriva una gran dama che, all'atto di porgere al
marito assetato l'amabile vino di Cales, vi mescola veleno di rana e, più abile di Locusta, insegna alle
inesperte cognate a seppellire i mariti illividiti tra le chiacchiere della gente. Se vuoi essere qualcuno, devi
osare un misfatto degno della piccola Giaro o del carcere. L'onestà vien lodata, ma muore di freddo: è ai
delitti che si devono i giardini, i palazzi, le mense, le stoviglie di argento antico e questo caprone che si
stacca in rilievo sulla coppa. A chi non tolgono il sonno il seduttore di un'avida nuora, le fidanzate già corrotte
e un adultero ancora in pretesta? Se la natura non lo concede, l'indignazione detta i versi come può: come
posso farli io o un Cluvieno qualsiasi.
Da quando Deucalione, allorché la tempesta sollevava le acque, ascese col suo naviglio sul monte e
interrogò le sorti e le pietre divennero a poco a poco molli e calde per il soffio della vita e Pirra offrì ai maschi
le ignude fanciulle, tutto ciò che fanno gli uomini, i desideri, i timori, le ire, i piaceri, le gioie e gli errori, tutto è
impasto del mio piccolo libro. Quando mai vi fu più grande abbondanza di vizi? Quando mai l'avarizia allargò
maggiormente la sua tasca? Quando mai il gioco prese tale audacia? Infatti non si va più all'alea della tavola
da gioco con semplici borse. ma si gioca con la cassaforte medesima per posta! Che grandiose battaglie
vedrai scatenarsi colà, mentre il biscazziere dispensa le armi! E' soltanto pazzia perdere centomila sesterzi e
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negare la tunica al servo che trema di freddo? Chi fra gli avi edificò altrettante ville, chi cenò in privato con
sette portate? Ora è piccola la sportula che viene posta sulla soglia di casa perché sia contesa da una folla
in toga. Ma il padrone prima scruta i volti temendo che tu vada al posto di un altro e la richieda sotto falso
nome. Se ti riconosce, l'avrai. Egli comanda al banditore di fare l'appello dei nobili discendenti dei Troiani
(poiché anch'essi fanno ressa alla soglia con noi). "Tocca al pretore: poi al tribuno! " Ma il liberto ha la
precedenza: " Eccomi ", dice, "sono il primo. Perché dovrei temere o esitare a difendere il mio posto
sebbene io sia nato sulle rive dell'Eufrate, cosa che, anche se volessi negare, svelerebbero i femminei fori
nelle orecchie? Ma ho cinque botteghe che mi procurano i quattrocentomila sesterzi.
Che vantaggi procura il laticlavio senatorio se un Corvino conduce al pascolo nei campi di Laurento un
gregge preso in affitto, ed io sono più ricco di Pallante e dei Licini? ". Aspettino, quindi, i tribuni; abbiano la
precedenza le ricchezze, non ceda il passo a chi è insignito di una carica sacra colui che recentemente
giungeva a Roma con i piedi imbiancati, dato che fra noi è sacra la maestà della ricchezza: anche se tu, o
funesto denaro, non hai ancora la tua sede in un tempio e non abbiamo ancora eretto un altare alle monete,
così come si venerano la Pace, la Fede, la Vittoria, la Virtù e la Concordia il cui tempio risuona di strida
quando le cicogne salutano il loro nido. Ma se ogni alto magistrato alla fine dell'anno fa il conto di quanto
rende la sportula e quanto aggiunge ai guadagni, che faranno i clienti che traggono di lì la toga, i sandali, il
pane e il fuoco per la casa? Una fitta schiera di lettighe viene a chiedere i cento quadranti e tiene dietro al
marito, nel suo giro, anche la moglie malata o incinta. Costui, esperto ormai nello stratagemma famigliare, fa
la questua per l'assente mostrando, in luogo della sposa, la lettiga vuota e chiusa: " Sbrigami presto ", dice, "
c'è qui la mia Galla. Che aspetti? Sporgi la testa, Galla! Non la disturbare: dorme ".
Tutta la giornata è divisa in bell'ordine di faccende: anzitutto la sportula, poi il Foro e Apollo giureconsulto e
le statue trionfali in mezzo a cui ha osato mettere anche la sua iscrizione non so quale Egizio e governatore
di Arabia, contro la cui statua si può orinare e far di peggio [... ] alla fine i vecchi e stanchi clienti vuotano le
anticamere e depongono ogni speranza, quantunque quella di cenare sia nell'uomo la più tenace: dovranno
comprarsi, poveretti, un cavolo e la legna. Intanto il loro regale patrono divorerà i migliori prodotti dei boschi
e del mare e si sdraierà, lui solo, sui divani vuoti. Infatti questa gente, fra tante mense belle e spaziose e
antiche, si mangia dei patrimoni interi su una tavola solitaria! "Non ci saranno più parassiti! " Ma chi potrebbe
tollerare questi lussi meschini? Quanto è grande la gola che imbandisce per sé sola interi cinghiali,
selvaggina nata per i grandi conviti? Ma ecco la punizione, quando tu così gonfio deponi i panni e porti nel
bagno un pavone non digerito. Di qui le morti improvvise di vecchi intestati. La notizia inaspettata e allegra fa
il giro di tutti i conviti: si celebra il funerale a cui gli amici, pur nel disappunto, plaudiranno.
Non c'è più niente ormai che la posterità possa rincarare a questa depravazione di costume: i nostri
discendenti ripeteranno e desidereranno le stesse cose. Ogni vizio è giunto all'estremo. Poni mano alle vele,
distendine tutte le pieghe! Ora, forse, dirai: " Donde troverai tu l'ingegno pari all'argomento? Donde quella
franchezza degli antichi di scrivere tutto ciò che piacesse al loro animo ardente? " Di chi non oso fare il
nome? Che importa che un Muzio perdoni o no alle mie parole? " Descrivi Tigellino e risplenderai su quella
torcia dove bruciano impalati coloro che mandano fuoco dal petto trafitto [... ] e scava un ampio solco proprio
in mezzo all'arena ". Colui, dunque, che ha propinato il veleno ai tre zii se ne deve andare in giro in lettiga di
piume e guardarci di lì dall'alto in basso? " Se lo incontri, premiti il dito sul labbro; sarà considerato un
accusatore chi avrà detto solamente " eccolo! " Se vuoi vivere tranquillo puoi fare azzuffare Enea col feroce
Rutulo: non fa male a nessuno la morte di Achille o la lunga ricerca di Ila che ha seguito la sua anfora. Ma
ogni volta che Lucilio, come a spada sguainata, freme nel suo sdegno, si fa rosso l'ascoltatore a cui si
ghiaccia l'anima per la consapevolezza dei delitti e il cuore trasuda della colpa segreta. Di qui vendette e
lacrime. Perciò, prima di dar fiato alle trombe, medita bene fra te e te queste parole: quando uno si è messo
l'elmo, è troppo tardi per pentirsi della battaglia ". Voglio provare allora che cosa è lecito dire contro coloro la
cui cenere è sepolta lungo la via Flaminia e la via Latina.
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Tip. L. Camba, 1935
Ercole, Pietro, Studi giovenaliani / Pietro Ercole, Lanciano: G. Carabba, stampa 1935, Biblioteca di cultura
classica
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Marchesi, Concetto, Giovenale / Concetto Marchesi, Roma: A. F. Formiggini, 1921, Profili
Marmorale, Enzo V., Giovenale / Enzo V. Marmorale, Napoli: R. Ricciardi, 1938
Labriolle, Pierre: de, Les Satires de Juvenal / etude et analyse par Pierre de Labriolle, Paris: Mellottee,
[193.], Les Chefs d'oeuvre de la litterature expliques
Bisoni, Giovanni, Giovenale e le sue satire: studio critico / Giovanni Bisoni, Milano ; Roma, 1909
Nomi: Bisoni, Giovanni
Codara, Antonio, I costumi romani nelle Satire di Giovenale: commento storico-filosofico / del prof. Antonio
Codara, Pavia: Successori Marelli, 1901
Bergamino, Antonino, Cenni su Giovenale / Antonino Bergamino, Napoli: tip. Melfi e Joele, 1899
Per Autore (dal 2004 al 1970)
ICCU Completare dal 1969 al 1850
Satire / Decimo Giunio Giovenale; introduzione di Luca Canali; premessa al testo, traduzione e note di Ettore
Barelli, [Milano]: Fabbri, 2001, I grandi classici latini e greci
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Contro le donne: satira 6. / Giovenale; a cura di Franco Bellandi, Venezia: Marsilio, [1998?], Il convivio
Satire / Giovenale; testo, traduzione, commento e note di Giovanni Viansino, Milano: A. Mondadori, 1997,
Classici greci e latini
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Contro le donne: satira 6. / Giovenale; a cura di Franco Bellandi, Venezia: Marsilio, 1995, Il convivio
Note Generali: Nell'occhietto: Letteratura universale Marsilio.
Trad. italiana a fronte di F. Bellandi
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Luisi, Aldo, Il rombo e la vestale: Giovenale, satira 4.: introduzione, traduzione e commento / Aldo Luisi, Bari:
Edipuglia, 1998, Quaderni di Invigilata lucernis
Note Generali: Testo orig. a fronte.
D. Iunii Iuvenalis Saturae sedecim / edidit Iacobus Willis, Stutgardiae; Lipsiae, 1997, Bibliotheca scriptorum
Graecorum et RomanorumTeubneriana
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Le satire / [scritti di] Persio, Giovenale; a cura di Luciano Paolicchi; introduzione di Paolo Fedeli, Roma:
Salerno, [1996], I diamanti
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Satires. Book 1. / Juvenal; edited by Susanna Morton Braund, Cambridge: Cambridge University Press,
1996, Cambridge Greek and Latin classics
Satires / Juvenal: texte etabli et traduit par Pierre Labriolle et Francois Villeneuve
Edizione: 14. tir, Paris: Les belles lettres, 1996, Collection des universites de France
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Contro le donne (satira 6) / Giovenale; a cura di Franco Bellandi, Venezia: Marsilio, c1995, Il convivio
Note Generali: Con testo a fronte
Iuvenalis, Decimus Iunius
F. D’Alessi © 2002
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La decadence: satires / Juvenal; choix et version francaise d'Alain Golomb, [Paris]: Arlea, [1996], Arlea
D. Iunii Iuvenalis Saturae sedecim / edidit Iacobus Willis, Stutgardiae; Lipsiae, 1997, Bibliotheca scriptorum
Graecorum et RomanorumTeubneriana
Satire / Decimo Giunio Giovenale; introduzione, traduzione e note di Mario Ramous, Milano: Garzanti, 1996,
I grandi libri Garzanti
Testo orig. a fronte
Vier Juvenal-Kommentare aus dem 12. Jh. / herausgegeben von Bengt Lofstedt, Amsterdam: J. C. Gieben,
1995
Lofstedt, Bengt
Satire / Decimo Giunio Giovenale; introduzione di Luca Canali; premessa al testo, traduzione e note di Ettore
Barelli
Edizione: 6. ed, Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1998
Note Generali: Testo latino a fronte.
Contro le donne / Decimo Giunio Giovenale; versione integrale e cura di Cesare Vivaldi, Roma: TEN, 1993,
Centopaginemillelire
Note Generali: Testo latino a fronte.
Satiren: lateinisch - deutsch / Juvenal; herausgegeben, ubersetzt und mit Anmerkungen versehen von
Joachim Adamietz, Munchen; Zurich, c1993, Sammlung Tusculum
Note Generali: Con il testo orig. a fronte
Satire / Decimo Giunio Giovenale; a cura di Giovanni Viansino, Milano: Mondadori, 1990
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Persius Flaccus, Aulus
A. Persi Flacci et D. Iuni Iuvenalis saturae / edidit brevique adnotatione critica denuo instruxit W. V. Clausen
Edizione: Revised ed, Oxonii: e Typographeo clarendoniano, 1992, Scriptorum classicorum bibliotheca
Oxoniensis
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
The satires / Juvenal; translated by Niall Rudd; introduction and notes by William Barr, Oxford; New York,
1992, The worlds classics
Satire / Decimo Giunio Giovenale; introduzione di Luca Canali; premessa al testo, traduzione e note di Ettore
Barelli
Edizione: 5. ed, Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1992
Note Generali: Testo orig. a fronte
Satire / Giovenale; a cura di Nicola Flocchini e Giuliana Boirivant; presentazione di Francesco Maspero,
Milano: Gruppo editoriale Fabbri, Bompiani, Sonzogno, Etas, 1991, Tascabili Bompiani. C
Note Generali: Con il testo orig.
The satires / Juvenal; translated by Niall Rudd; with an introduction and notes by William Barr, Oxford:
Clarendon, 1991
Satire / Decimo Giunio Giovenale; a cura di Giovanni Viansino, Milano: A. Mondadori, 1990, Oscar classici
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Satire / Decimo Giunio Giovenale; introduzione di Luca Canali; premessa al testo, traduzione e note di Ettore
Barelli
Edizione: 4. ed, [Milano]: Biblioteca universale Rizzoli, 1989
Note Generali: Testo latino a fronte
Satira 5. / Decimo Giunio Giovenale; traduzione e commento a cura di Rita Cuccioli Melloni, Bologna:
CLUEB, [1988]
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D. Iuni Iuvenalis Saturae / edidit J. R. C. Martyn, Amsterdam: Hakkert, 1987
Lowery, Michael
Study of mythology in the Satires of Juvenal / Michael Lowery, Ann Arbor: University Microfilms International,
1985
Le donne: satira sesta / Giovenale; nella versione di Guido Ceronetti, riveduta rispetto alle edizioni
precedenti, Alpignano: Tallone, 1987
Note Generali: Ed. di 300 esempl.
Segue il testo orig
Giovenale / traduzione di Sergio Marchesin; due scritti di Eleonora Cavallini e di Francesco Loperfido; tavole
di Tono Zancanaro, Roma: G. Corbo, 1985, Per incantamento
Giovenale: Il poeta di Aquino che frusto Roma / Giovenale; Costantino Jadecola, [s.n.t.], 1987 (Cassino:
Pontone)
Persius Flaccus, Aulus
Satire / di Aulo Persio Flacco e Decimo Giunio Giovenale; a cura di Paolo Frassinetti e Lucia Di Salvo
Edizione: Rist, Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1987, Classici latini
Note Generali: Testo latino a fronte.
Satire / Decimo Giunio Giovenale; Introduzione di Luca Canali; Premessa al testo di Ettore Barelli, Milano:
Rizzoli, 1989, BUR. L
Persius Flaccus, Aulus
Satire / di Aulo Persio Flacco e Decimo Giunio Giovenale; a cura di Paolo Frassinetti e Lucia Di Salvo,
Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1987, Classici latini
Note Generali: Testo latino a fronte.
Iuvenalis, Decimus Iunius
A prosopographical commentary on Juvenal, book one / Richard A. La Fleur, Ann Arbor, Mich.
Note Generali: Ripr. facs. dell'ed. Durham, NJ, Duke Univ., Diss., 1973.
vol. 2 / Decimo Giunio Giovenale; testo latino e versione poetica di Guido Vitali, Bologna: Zanichelli, stampa
1988
Fa parte di: Le satire / Decimo Giunio Giovenale; testo latino e versione poetica di Guido Vitali
Satire / Decimo Giunio Giovenale; introduzione di Luca Canali; premessa al testo, traduzione e note di Ettore
Barelli, Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1976
Note Generali: Testo orig. a fronte
Le satire / Decimo Giunio Giovenale; a cura di Guido Ceronetti, Torino: Einaudi, 1983, Gli struzzi. Societa
Le satire / Decimo Giunio Giovenale; testo latino e versione poetica di Guido Vitali, Bologna: Zanichelli,
1984, 2 voll. Poeti di Roma
Satires / Juvenal; texte etabli et traduit par Pierre de Labriolle et Francois Villeneuve
Edizione: 12. tirage / revu, corrige et augmente par J. Gerard, Paris: Les belles lettres, 1983, Collection des
universites de France
Note Generali: Testo latino a fronte
Il frammento Winstedt / D. Giunio Giovenale, Lecce: Adriatica editrice salentina, [1983?], Studi e testi. Serie
latina
Juvenal: the Satires: a text with brief critical notes / [a cura di] E. Courtney, Roma: Edizioni dell'Ateneo,
1984, Instrumentum litterarum
Note Generali: Testo in latino. [[I
Le satire / Decimo Giunio Giovenale; a cura di Guido Ceronetti, Torino: Einaudi, 1983, Gli struzzi
Note Generali: Trad. italiana a fronte. SCH 3976
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Le satire / Decimo Giunio Giovenale; a cura di Guido Ceronetti, Torino: Einaudi, 1983, Gli struzzi. Societa
Satire / Trad. e note di E. Barelli, Milano: Rizzoli, 1982
Descrizione fisica: 421p; 18cm, I classici della BUR
D. Iunius Iuvenalis, Pisa: in aedibus Giardini editori e stampatori, 1981, Scriptorum Romanorum quae extant
omnia
Satire / Decimo Giunio Giovenale; introd. di Luca Canali; premessa al testo, traduzione e note di Ettore
Barelli
Edizione: 2. ed, Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1980
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Satire / Decimo Giunio Giovenale; introduzione di Luca Canali; premessa al testo, traduzione e note di Ettore
Barelli
Edizione: 3. ed. con nuova introd, Milano: Rizzoli, 1982, BUR. L
Note Generali: Testo latino a fronte.
Il frammento Winstedt / D. Giunio Giovenale; introduzione, testo, traduzione e commento a cura di Giovanni
Laudizi, Lecce: Adriatica Ed. Salentina, c1982, Studi e testi. Serie latina
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Juvenal and Persius / with an English traslation by G.G. Ramsay ..., Cambridge [Mass.]: Harvard university
press, 1979, The Loeb classical library
Note Generali: Testo latino e traduz. inglese a fronte .
D. Iunii Iuvenalis Saturae 14. / edited by J. D. Duff; with a new introduction by Michael Coffey, Cambridge
[etc.]: Cambridge University Press, stampa 1975, Pitt press series
Index verborum Juvenalis / (a cura di) L. Kelling, A. Suskin, Hildesheim, etc.
Persius Flaccus, Aulus
Satire / di Aulo Persio Flacco e Decimo Giunio Giovenale; a cura di Paolo Frassinetti e Lucia Di Salvo,
[Torino]: Unione tipografico-editrice torinese, 1979, Classici latini
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Satire / Decimo Giunio Giovenale; introduzione di Luca Canali; premessa al tetso, traduzione e note di Ettore
Barelli, Milano: Rizzoli, 1975, BUR. L
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Satires 1, 3, 10 / Juvenal; text, with introduction and notes by Niall Rudd and Edward Courtney, Bristol:
Bristol classical press, c1977
Satire / Decimo Giunio Giovenale; introduzione di Luca Canali; premessa al testo, traduzione e note di Ettore
Barelli, Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1975, BUR. L
Note Generali: Testo latino a fronte.
Satiren / Juvenal; ubers., einf. und anh. von Harry C. Schnur, Stuttgart: Reclam, 1978
Descrizione fisica: 1 v.
Satire / Decimo Giunio Giovenale; introduzione di Luca Canali; premessa al testo, traduzione e note di Ettore
Barelli, Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1976, BUR. L
Note Generali: Testo latino a front.
Dubrocard, Michel
Juvenal-Satires: index verborum, releves statistiques / Michel Dubrocard; avec la collaboration du
Laboratoire d'analyse stastique des langues anciennes de l'Universite de Liege (professeur Delatte),
Hildesheim; New York, 1976, Alpha-omega. Reihe A, Lexika, Indizes,Konkordanzen zur klassischen
Philologie
Persius Flaccus, Aulus
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A. Persi Flacci et D. Iuni Iuvenalis saturae / edidit brevique adnotatione critica instruxit W. V. Clausen,
Oxonii: e Typographeo Clarendoniano, 1977, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
The Satires / Juvenal; edited with introduction and commentary by John Ferguson, New York: St Martin's
Press, copyr. 1979, Classical Series
Satire / Decimo Giunio Giovenale; introduzione di Luca Canali; premessa al testo, traduzione e note a cura
di Ettore Barelli, Milano: Rizzoli, 1975, BUR
Satire / Decimo Giunio Giovenale; introduzione di Luca Canali; premessa al testo, traduzione e note a cura
di Ettore Barelli, Milano: Rizzoli, 1975, BUR
Kelling, Lucile
Index verborum Iuvenalis / Lucile Kelling, Albert Suskin
Edizione: Rist.anast, Hildesheim; New York, 1977
Note Generali: Rist. anast. dell'ed. Chapel Hill 1951
Le Satire / Decimus Iunius Iuvenalis; introduzione e versione di Guido Ceronetti, Torino: Einaudi, 1971, I
millenni
Fourtheen Satires of Juvenal / ed. by J. D. Duff; with an introd. by Michael Coffey ..., Cambridge: Cambridge
University Press, 1970, Pitt press series
Note Generali: La seconda e sesta satira, alcuni paragrafi della sesta, e qualche riga in altre satire, non sono
incluse in questa edizione .
Satires / Juvenal; texte etabli et traduit par Pierre de Labriolle et Francois Villeneuve, Paris: Les Belles
Lettres, 1974, Collection des universites de France
D. Ivnii Ivvenalis satvrae XIV: Fourteen satires of Juvenal / edited by J.D. Duff, London: Cambridge
University Press, 1970, Pitt press series
D. Iunii Iuvenalis Satirae: corso accademico dell'anno 1971-72 / antologia a cura di Ettore Paratore, Roma:
Edizioni dell'Ateneo, 1971
Note Generali: In testa al front.: Universita degli studi di Roma, Facolta di lettere e filosofia .
Satires / Juvenal; texte etabli et traduit par Pierre De Labriolle et Francois Villeneuve
Edizione: 10. tirage revu et corrige, Paris: Les belles lettres, 1971, Collection des universites de France
The sixteen satires / Juvenal; translated with an introduction and notes by Peter Green
Edizione: Rev. ed, London: Penguin Books, 1974, Penguin classics
Le satire / Decimo Giunio Giovenale; introduzione e versione di Guido Ceronetti, Torino: G. Einaudi, 1971, I
millenni
Note Generali: Testo orig. a fronte.
D. Iunii Iuvenalis Saturae 14. / edited by J. D. Duff; with a new introduction by Michael Coffey
Edizione: Reset and reprinted with new introduction, Cambridge: at the University Press, 1970, Pitt press
series
Duff, James Duff <1860-1940>
Coffey, Michael
Satire / Decimo Giunio Giovenale; introduzione e versione di Guido Ceronetti, Torino: Einaudi, 1971, I
millenni
Note Generali: testo latino a fronte
1 / Decimo Giunio Giovenale, Bologna: Zanichelli, stampa 1971
Fa parte di: Le satire / Decimo Giunio Giovenale; testo latino e versione poetica di Guido Vitali
2 / Decimo Giunio Giovenale, Bologna: Zanichelli, stampa 1971
Fa parte di: Le satire / Decimo Giunio Giovenale; testo latino e versione poetica di Guido Vitali
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Le satire / Iunius Iuvenalis; introduzione e versione di Guido Ceronetti, Torino: Einaudi, 1974, I millenni
Note Generali: Testo orig. a fronte
Completato dal 2004 al 1970
"Giovenale¸ Decimo Giunio - Castaldi",
Decimo Giunio Giovenale
(Aquino, 50/65 – 140 ca d.C.)
Vita.
Biografia incerta. Della biografia di G. ignoriamo quasi tutto: ciò che è possibile ricostruirne non può che
reggere su ipotesi, le quali del resto si possono dedurre dalla sua stessa opera (a meno che non si tratti, nei
brani dove si pensa di cogliere un'allusione, di semplici finzioni letterarie).
Così, adottato da un ricco liberto, G. fu probabilmente soldato e poi maestro di scuola, prima di redigere, a
Roma e già in età avanzata (forse quarantenne), le 16 "Satire" che compongono la sua opera. Forse esercitò
l’avvocatura, ma probabilmente con scarso successo. Non mostra amare, invece, la filosofia.
La triste condizione di "cliens" e l'esilio. Il nostro poeta visse nella disagiata condizione di "cliens", come il
suo amico Marziale (ha contatti anche con Stazio e Quintiliano): ma forse questa condizione <<non si
identifica necessariamente con uno stato di vera indigenza, anche al di là delle lamentele spesso esagerate
(per gioco o per patetismo) […]; in realtà, il disagio espresso dal "cliens" giovenaliano nasce dal trovarsi egli
stretto, in una condizione imbarazzante, fra l'ambiente del "patronus" ricco e gli strati inferiori della società,
che egli considera feccia>> [Bellandi]. G. conobbe anche rovesci di carriera, o per lo meno si creò delle
inimicizie (forse proprio a causa delle allusioni più o meno esplicite contenute nella sua opera): per questo
motivo, a 80 anni, sarebbe stato fatto governatore dell'Egitto dall'imperatore Adriano (in realtà, si sarebbe
trattato di un esilio). E lì sarebbe morto, di sicuro dopo il 127 (ultimo accenno cronologico rinvenibile nelle
sue satire).
Opera.
La raccolta. G. scrisse "Satire" [vers.lat] [trad.it] (100-127 d.C.?), in esametri, in numero di 16 (l’ultima è
incompleta) e per un totale di 3870 versi ca., pubblicate – forse da lui stesso – in 5 libri, che uscirono dopo la
morte di Domiziano, quando cioè il clima politico lo permise; le satire sono disposte nella raccolta in ordine
cronologico: 5 nel I libro, 1 nel II, 3 nel III e nel IV, 4 nel V.
I contenuti. Eccone brevemente i contenuti:
- nella I satira, proemio programmatico, il poeta critica le inutili pubbliche declamazioni e afferma che
piuttosto il disgusto per la corruzione morale dilagante lo spinge a scrivere, e che però, per evitare le più che
certe reazioni violente degli uomini del suo tempo, parlerà dell’immoralità dei tempi passati (l'ambientazione
abbraccia principalmente l'età giulio-claudia e l'età dei Flavi);
- la II bersaglia l’ipocrisia in generale, l’omosessualità in particolare (come la IX): sono chiamati in causa
anche gl'imperatori Ottone e Domiziano;
- la III parla di Umbricio, amico di G., costretto ad allontanarsi da Roma e a preferire la provincia perché non
resiste al caos e allo spettacolo dei vizi che la inquinano (di cui causa non minore sono gl'immigrati greci);
- la IV, sferzante, è contro la cortigianeria e lo stupido uso del potere (in particolare, vi si narra la famosa
storia di un grosso rombo che si fa pescare per essere offerto a Domiziano, il quale convoca un consiglio di
militari per decidere in che modo cuocerlo);
- la V descrive l’umile condizione dei "clienti" (cui è preferibile addirittura l'accattonaggio) e l’arroganza dei
padroni durante i banchetti (cui contrappone il proprio, frugale, nell’ XI);
- la VI, la più lunga (661 vv.) e certamente la più famosa, costituisce un attacco veemente contro i vizi delle
donne, tutte corrotte, nobili o di umili origini che siano (è la satira che, tra l'altro, ha fatto passare alla storia la
moglie dell’Imperatore Claudio, la famigerata Messalina, come esempio di donna dissoluta e depravata);
- la VII depreca la triste condizione dei letterati e degli intellettuali, in tempo di assente mecenatismo (solo il
principe può porvi rimedio);
- l’ VIII afferma che l’unica vera nobiltà è quella dell’anima, che agisce secondo virtù e che è lontana dagli
eccessi (com’è ribadito nella X, in cui - in particolare - G. ironizza sui falsi beni che gli uomini son soliti
chiedere agli dei);
- la XII esprime la gioia del poeta perché il suo amico Catullo è scampato da un naufragio; ma oggi in roma,
infestata com'è dai cacciatori d'eredità, nessuno può capire ed apprezzare la sua felicità disinteressata;
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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- la XIII consola l’amico di G., Calvino che, fiducioso, ha prestato denaro che poi non gli è stato restituito: è
un fatto normale oggigiorno, e la punizione arriva sempre tardi;
- la XIV tratta della responsabilità dei genitori nell’educazione dei figli, da attuarsi non con l’imposizione, ma
soprattutto tramite l’esempio; al cattivo esempio dei contemporanei, poi, è decisamente preferibile la
moderazione dei buoni tempi antichi;
- la XV prende spunto da un episodio di cannibalismo verificatosi in Egitto nel 127 per attaccare
superstizione e fanatismo religiosi;
- la XVI, come detto frammentaria, elenca infine i privilegi della carriera militare.
Considerazioni.
Satira "necessaria" di un provinciale contro il "sistema". G. non crede che la sua poesia possa influire sul
comportamento degli uomini, giudicati prede irrimediabili della corruzione: la sua satira - ispirata in
particolare a Lucilio ed Orazio, ma non aliena dalle suggestioni della diàtriba cinico-stoica - si limiterà a
denunciare, a gridare la sua protesta rancorosa ed astiosa ("indignatio", placata - apparentemente? - solo
verso la fine, a partire dalla satira X, e soprattutto nelle XV e XVI), senza coltivare illusioni di riscatto,
rifiutando in toto la connotazione consolatoria del pensiero moralistico tradizionale romano.
L’invettiva e il sarcasmo di G., allora, sono rivolti contro tutto il "sistema" (soprattutto nei suoi gangli
rappresentativi), quel sistema che lo ha emarginato (il "democraticismo" del poeta è così solo apparente) e
che gli fa rimpiangere, ed idealizzare, la tradizione nazionale e repubblicana, coi suoi valori morali e politici,
oramai mortificati. La scelta programmatica del genere satirico è, quindi, per il poeta una necessità, dettata
dall'ipocrisia e dai vizi che lo circondano (ai suoi tempi, egli dice francamente, "difficile est saturam non
scribere"), anche se - come già detto - ambienti personaggi e soggetti sono scelti, con molta cautela, dal
periodo precedente.
Nella civiltà che gli sta intorno, G. ha - ad es. - in orrore tutto ciò che non è "romano", nella buona tradizione
del termine: detesta gli orientali, l'ellenismo, i liberti arricchiti, tutto ciò che, a suo giudizio, sottrae ai romani le
proprie conquiste. Ma non detesta meno i senatori che non hanno il coraggio di opporsi al tiranno, o le
donne che si fanno beffe della fedeltà coniugale e rendono la vita del proprio marito un lungo martirio. In
ogni modo, combatte con pari vigore tanto i vizi (di cui talora pur sembra avvertire il pericoloso fascino) e le
semplici forme di ridicolaggine, la donna che pratica aborti come la pedante.
Il ruolo "scioccante" della retorica. Per cui ci si può chiedere fino a che punto queste satire non siano
anzitutto delle "amplificazioni", espressioni volontarie di estremismo, che non meritano di essere confuse con
delle testimonianze obiettive (anche se, indubbiamente, ci propongono un grande affresco dell'epoca). Le
"Satire" recano difatti, e in modo forte, l'impronta della retorica: declamatore, G. lo è per i temi che affronta
("luoghi comuni" sui costumi del tempo, la povertà, la ricchezza, ecc, topoi in cui più evidente è l'influsso
della diàtriba), e più ancora per il tono che lo distingue, fatto di una virulenza appassionata che si propone di
"aggredire" e "scioccare" il lettore e di un'eloquenza che hanno contribuito a modificare fortemente
l'evoluzione del genere satirico. E alla violenza dell’ "indignatio" (e alla mostruosità del mondo che ne è
oggetto) s’addice - quasi per contrasto - un’altezza di tono e una grandiosità di stile che accostano la satira rivoluzionariamente - alla tragedia, analogamente "sublime".
G. vero poeta? G., dunque, <<sceglie un tema da trattare, e si fa trascinare da esso; il flusso talvolta
tumultuoso delle idee non gli fa badare al loro svolgimento e gli impedisce di seguire un filo di rigoroso
ragionamento, giacché questo si spezza per seguire concetti diversi, sicché si perde di vista il punto di
partenza […]. Perciò [egli] non è, forse, un grande poeta; eppure l'opera sua non manca di grandezza. Gli
manca invece la levigatezza e la morbidità del verso, l'arte dei passaggi, che favorisce il nesso dei pensieri; i
suoi stimoli vengono sempre dal di fuori, costringendolo a seguire con l'immaginazione le cose brutte di
questo basso mondo, senza mai un respiro di aria fresca e pura, senza il riflesso di qualche cosa di più
elevato, che rassereni l'animo del poeta e dei suoi lettori>> [Terzaghi].
Massime famose. Infine, di G. sono i celeberrimi detti - passati oramai nel comune odierno buon senso - che
vanno dall’ottimistica "mens sana in corpore sano" agli amari "quis custodiet ipsos custodes?" e "panem et
circences" di cui si accontenterebbero tanti uomini non desiderosi d’altro, secondo lui, appunto che di
mangiare e divertirsi.
"Giovenale¸ Decimo Giunio - Encarta"
Giovenale (Aquino 60 ca. - ? 140 ca.), poeta satirico latino. Visse a Roma dove, prima di dedicarsi alla
poesia, fu professore di retorica e avvocato. La cronologia della sua attività non va oltre l'anno 127. Scrisse
sedici satire in esametri, che offrono una minuziosa e vivace descrizione della società romana del suo
tempo, di cui Giovenale deplorava, con aristocratico sdegno, la disgregazione e il degrado morale.
L'aristocrazia era priva del potere politico, mentre i liberti erano sempre più ricchi e potenti; le famiglie nobili,
che un tempo proteggevano gli artisti, erano ormai immiserite o scomparse, mentre i nuovi ricchi, avari e
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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incolti, causavano l'indigenza dei letterati e la decadenza della cultura. Anche l'emancipazione femminile fu
sottoposta a una spietata requisitoria, in quanto causa di immoralità e corruzione.
Spesso la critica ha sottolineato l'incapacità di Giovenale di liberarsi dagli schemi di una cultura aristocratica
individualista, e l'intonazione eccessivamente retorica e declamatoria delle sue satire. Tuttavia, i suoi versi
violenti e indignati, il suo stile realistico e vigoroso hanno prodotto una delle opere più vitali della letteratura
latina, opera che divenne il modello di molti satirici del Rinascimento e che nel Seicento e Settecento suscitò
grande ammirazione.
"Giovenale¸ Decimo Giunio - Treccani"
Giovenale Decimo Giunio. Poeta latino. Poche e incerte le notizie relative alla vita di G., che nacque ad
Aquino, forse verso il 55 d.C., fu adottato da un ricco liberto e ricoprì anche qualche carica pubblica nel
territorio di Aquino, almeno stando alle indicazioni contenute in una iscrizione votiva in onore della dea
Cerere Elvina, scoperta nel 1800. L'attività di scrittore di G. deve considerarsi iniziata posteriormente al 98,
poiché in un epigramma di Marziale, pubblicato in quell'anno, è indicato con l'appellativo di facundus
(eloquente), senza alcun riferimento a versi di sorta. Una notizia poco attendibile parla di un allontanamento
di G. da Roma, all'età di 80 anni, col pretesto di una missione a carattere militare, ma in realtà per punirlo di
aver colpito nei suoi versi un favorito dell'imperatore. Morì probabilmente fra il 135 e il 140 d.C.
Di G. ci restano 16 Satire, scritte in esametri, di cui la prima fa da proemio generale e l'ultima è incompleta.
Nella I G. afferma che la corruzione dilagante lo spinge a scrivere e che per evitare le reazioni degli uomini
del suo tempo parlerà della immoralità dei tempi passati, che comunque di quelli attuali rappresentano lo
specchio. Nella II si scaglia contro gli effeminati. Nella III parla Umbricio, amico di G., che si allontana da
Roma poiché non resiste più allo spettacolo dei vizi che la inquinano. La IV racconta la paradossale storia di
un rombo colossale, che si è fatto spontaneamente pescare per essere offerto a Domiziano, il quale convoca
un consiglio di dignitari per deciderne la cottura. Nella V è attaccato il fenomeno del parassitismo. Nella VI,
meritatamente famosa, G. colpisce i vizi delle donne, che tutte, umili e nobili, sono coinvolte in una furibonda
invettiva. La VII depreca la triste condizione dei letterati. La VIII afferma il concetto che l'unica vera nobiltà è
quella dell'animo. La IX presenta la figura di Nevola che si lagna di ricavare scarsi guadagni dall'uomo che
sfrutta. Nella X è sottolineata la stoltezza di alcune preghiere umane. La XI è un invito all'amico Persio per
una sobria cena. Nella XII, prendendo spunto dal fatto che l'amico Pacuvio è scampato ad un naufragio, G.
si scaglia contro i cacciatori di testamenti. La XIII è una specie di consolatio per l'amico Calvino al quale non
è stata più restituita una somma di denaro. La XIV svolge il tema della responsabilità dei genitori
nell'educazione dei figli, da attuarsi anche attraverso l'esempio. Nella XV è narrato un episodio di fanatismo
religioso, prendendone spunto per sferzare le superstizioni. La XVI infine, incompiuta, parla dei vantaggi
della vita militare.
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Altri poeti
Arrunzio Stella
Cenni biografici
Nativo di Padova. Fu poeta lirico.
Stazio gli dedica il primo libro delle Silvae. Sostenitore di Marziale.
Opere
Lirica di tipo catulliano ed elegia.
Cantò la moglie Violentilla.
Testi e testimonianze
Stat., silv. 1, 1 proem.
STATIVS STELLAE SVO SALVTEM
Diu multumque dubitavi, Stella iuvenis optime et in studiis nostris eminentissime, qua parte evolvisti,
an hos libellos, qui mihi subito calore et quadam festinandi voluptate fluxerunt, cum singuli de sinu meo pro [
. . . . ] conregatos ipse dimitterem.
….
Primus libellus sacrosanctum habet testem: sumendum enim erat 'a Iove principium.' centum hos versus,
quos in ecum maximum feci, indulgentissimo imperatori postero die quam dedicaverat opus, tradere est
iussum. 'potuisti illud'–dicet aliquis–'et ante vidisse.' respondebis illi tu, Stella carissime, qui epithalamium
tuum, quod mihi iniunxeras, scis biduo scriptum. audacter mehercles, sed tantum tamen hexametros habet
et fortasse tu pro collega mentieris. Manilius certe Vopiscus, vir eruditissimus et qui praecipue vindicat a situ
litteras iam paene fugientes, solet ultro quoque nomine meo gloriari villam Tiburtinam suam descriptam a
nobis uno die. sequitur libellus Rutilio Gallico convalescenti dedicatus, de quo nihil dico, ne videar defuncti
testis occasione mentiri. nam Claudi Etrusci testimonium est, qui balneolum a me suum intra moram cenae
recepit. in fine sunt kalendae Decembres, quibus utique creditur: noctem enim illam felicissimam et
voluptatibus publicis inexpertam. . . .
Bibliografia
Da non confondere con Lucio Arrunzio, storico, imitatore di Sallustio di cui parla Seneca (v. p. )
Niente Conte. Bettini 3, 407; Riposati 495 no PHI
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Passenno Paolo
Cenni biografici
Dalla testimonianza di Plinio il Giovane visse nel I secolo d.C. e fu conterraneo, anzi discendente
di Properzio (cf. ILS 2925).
Qualcuno lo ha voluto anche autore del IV libro di elegie di Properzio.
Opere
Testi e testimonianze
Plin., 6,15
Mirificae rei non interfuisti; ne ego quidem, sed me recens fabula excepit. Passennus Paulus, splendidus
eques Romanus et in primis eruditus, scribit elegos. Gentilicium hoc illi: est enim municeps Properti atque
etiam inter maiores suos Propertium numerat. Is cum recitaret, ita coepit dicere: 'Prisce, iubes . . .'. Ad hoc
Iauolenus Priscus aderat enim ut Paulo amicissimus: 'Ego uero non iubeo.' Cogita qui risus hominum, qui
ioci. Est omnino Priscus dubiae sanitatis, interest tamen officiis, adhibetur consiliis atque etiam ius ciuile
publice respondet: quo magis quod tunc fecit et ridiculum et notabile fuit. Interim Paulo aliena deliratio aliquantum frigoris attulit. Tam sollicite recitaturis prouidendum est, non solum ut sint ipsi sani uerum etiam ut
sanos adhibeant. Vale.
Plin., 9, 22
Magna me sollicitudine adfecit Passenni Pauli ualetudo, et quidem plurimis iustissimisque de causis. Vir est
optimus honestissimus, nostri amantissimus; praeterea in litteris ueteres aemulatur exprimit reddit,
Propertium in primis, a quo genus ducit, uera suboles eoque simillima illi in quo ille praecipuus. Si elegos
eius in manus sumpseris, leges opus tersum molle iucundum, et plane in Properti domo scriptum. Nuper ad
lyrica deflexit, in quibus ita Horatium ut in illis illum alterum effingit: putes si quid in studiis cognatio ualet, et
huius propinquum. Magna uarietas magna mobilitas: amat ut qui uerissime, dolet ut qui impatientissime,
laudat ut qui benignissime, ludit ut qui facetissime, omnia denique tamquam singula absoluit. Pro hoc ego
amico, pro hoc ingenio non minus aeger animo quam corpore ille, tandem illum tandem me recepi. Gratulare
mihi, gratulare etiam litteris ipsis, quae ex periculo eius tantum discrimen adierunt, quantum ex salute gloriae
consequentur. Vale.
Caro Severo,
sono stato in gran pena per la malattia di Passenno Paolo e per molte e ben più legittime ragioni.
E' una ottima persona, onestissima, molto amico mio. Poi nella attività letteraria gareggia con gli
antichi, li imita, li fa rivivere, Properzio per primo, da cui la sua famiglia discende: ne è degno
rampollo e gli assomiglia soprattutto dove quegli eccelle. Se prendi in mano le sue elegie, leggerai
un'opera squisita, delicata, graziosa e che sembra sia stata scritta nella casa di Properzio.
Recentemente si è volto alla lirica, nella quale cerca di imitare Orazio, così come nelle elegie ha
imitato Properzio. Si direbbe, se la parentela conta qualcosa in letteratura, che sia parente anche
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di Orazio. Una grande varietà, una grande agilità: esprime l'amore con la maggior verità, il dolore
con la maggior sensibilità, la lode con la maggior cortesia, il riso con la maggior giocondità,
insomma è compiuto in ogni cosa, come se curasse solo quella.
Per tale amico, per tale ingegno io soffrii nell'animo come nel corpo; ma infine è guarito lui, son
guarito io. Felicitati con me e anche con le belle lettere, che dalla sua malattia furori poste in
rischio grande quanta è la gloria che la sua guarigione assicurerà loro. Addio.
Traduzione di L. Rusca, Milano, Rizzoli, 1994, 20003.
[già riportato sotto Properzio]
Bibliografia
K. Ziegler, RE XVIII 2.2, 1949, 2094.
Il frammento riportato da Plinio in Supplementum Morelianum a cura di A.Traina e M.Bini, Bologna
19902.
FPL Blansdorf 1995, p. 340.
niente Bettini, né Conte. Riposati 604.
Arrio Antonino
Cenni biografici
Arrio Antonino era nonno materno dell’imperatore Antonino Pio. Fu console nel 69 e nel 97.
Tra i personaggi di rilievo del regno di Nerva.
Opere
Plinio fa riferimento a una produzione di versi in greco, segnatamentente epigrammi e mimiambi, in
parte imitati, in parte tradotti da Plinio.
Testi e testimonianze
Plin., 4,3,2
Id tu cum incredibili quadam suauitate sermonum, tum uel praecipue stilo adsequeris. Nam et loquenti tibi illa
Homerici senis mella profluere et, quae scribis, complere apes floribus et innectere uidentur. Ita certe sum
adfectus ipse, cum Graeca epigrammata tua, cum mimiambos proxime legerem. Quantum ibi humanitatis
uenustatis, quam dulcia illa quam amantia quam arguta quam recta! Callimachum me uel Heroden, uel si
quid his melius, tenere credebam; quorum tamen neuter utrumque aut absoluit aut attigit. Homi-nemne
Romanum tam Graece loqui? Non medius fidius ipsas Athenas tam Atticas dixerim. Quid multa? inuideo
Graecis quod illorum lingua scribere maluisti. Neque enim coniectura eget, quid sermone patrio exprimere
possis, cum hoc insiticio et inducto tam praeclara opera perfeceris. Vale.
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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E tu vi sei riuscito con una soavità davvero incredibile, nel parlare e ancor più nello scrivere. Infatti quando
parli par che ti scorra quel miele del vecchio di Omero e ciò che scrivi sembra che dalle api sia stato
ricolmato e cinto di fiori. Tal fu certo la mia impressione, quando pochi giorni fa lessi i tuoi epigrammi in
lingua greca e i tuoi mimiambi. Quale dolcezza vi si trova, quale grazia, come son piacevoli, come teneri,
come arguti, come impeccabili Io credevo di aver fra le mani Callimaco, Eroda o qualcosa ancor di meglio;
benché nessuno di quei due si sia provato o sia riuscito in ambedue i generi. E un romano può esprimersi in
tal modo in greco? In fede mia la stessa Atene la direi meno attica. Che più? Invidio i Greci, perché tu hai
preferito scrivere nella loro lingua. E non è difficile indovinare che cosa tu potresti darci nella lingua patria,
avendo saputo realizzare opere così belle in una straniera ed esotica.
Plin., 4,18
Quemadmodum magis adprobare tibi possum, quanto opere mirer epigrammata tua Graeca, quam quod
quaedam Latine aemulari et exprimere temptaui? in deterius tamen. Accidit hoc primum imbecillitate ingenii
mei, deinde inopia ac potius, ut Lucretius ait, egestate patrii sermonis. Quodsi haec, quae sunt et Latina et
mea, habere tibi aliquid uenustatis uidebuntur, quantum putas inesse iis gratiae, quae et a te et Graece
proferuntur! Vale.
Come posso meglio dimostrarti quanto io ammiri i tuoi epigrammi greci che dicendoti di aver
tentato di imitarne e tradurne taluni in lingua latina? Certo in peggio. E ciò è da imputare anzitutto
alla pochezza del mio ingegno, e poi alla povertà o meglio, come dice Lucrezio, alla «penuria del
nostro linguaggio». Che se poi questi versi, che sono latini e miei, ti parrà abbiano qualche garbo,
puoi ben pensare quanta grazia abbiano quelli che mi vengono da te e in lingua greca! Addio.
Plin., 5,15
Cum uersus tuos aemulor, tum maxime quam sint boni experior. Vt enim pictores pulchram absolutamque
faciem raro nisi in peius effingunt, ita ego ab hoc archetypo labor et decido. Quo magis hortor, ut quam
plurima proferas, quae imitari omnes concupiscant, nemo aut paucissimi possint. Vale.
Quando io mi sforzo di emulare i tuoi versi, allora soprattutto mi rendo conto di come siano
eccellenti. Come i pittori ritraendo una figura bella e perfetta è raro non la peggiorino, così io in
presenza di un tal modello fatico e soccombo. Per ciò vie più ti esorto a produrre sempre più di tali
opere, che tutti desiderino imitare, ma nessuno o pochissimi vi riescano. Addio.
Bibliografia
Riposati 604.
Pompeo Saturnino
Cenni biografici
Contemporaneo di Plinio il Giovane che ne fornisce un entusiasta ritratto (2,16) di poeta e di
storiografo, oltre che di oratore.
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Testi e testimonianze
Plin., 1,16
C. PLINIVS ERVCIO SVO S.
Amabam Pompeium Saturninum hunc dico nostrum laudabamque eius ingenium, etiam antequam scirem,
quam uarium quam flexibile quam multiplex esset; nunc uero totum me tenet habet possidet. Audiui causas
agentem acriter et ardenter, nec minus polite et ornate, siue meditata siue subita proferret. Adsunt aptae
crebraeque sententiae, grauis et decora constructio, sonantia uerba et antiqua. Omnia haec mire placent
cum impetu quodam et flumine peruehuntur, placent si retractentur. Senties quod ego, cum orationes eius in
manus sumpseris, quas facile cuilibet ueterum, quorum est aemulus, comparabis. Idem tamen in historia
magis satisfaciet uel breuitate uel luce uel suauitate uel splendore etiam et sublimitate narrandi. Nam in
contionibus eadem quae in orationibus uis est, pressior tantum et circumscriptior et adductior. Praeterea facit
uersus, quales Catullus meus aut Caluus, re uera quales Catullus aut Caluus. Quantum illis leporis
dulcedinis amaritudinis amoris! inserit sane, sed data opera, mollibus leuibusque duriusculos quosdam; et
hoc quasi Catullus aut Caluus. Legit mihi nuper epistulas; uxoris esse dicebat. Plautum uel Terentium metro
solutum legi credidi. Quae siue uxoris sunt ut adfirmat, siue ipsius ut negat, pari gloria dignus, qui aut illa
componat, aut uxorem quam uirginem accepit, tam doctam politamque reddiderit. Est ergo mecum per diem
totum; eundem antequam scribam, eundem cum scripsi, eundem etiam cum remittor, non tamquam eundem
lego. Quod te quoque ut facias et hortor et moneo; neque enim debet operibus eius obesse quod uiuit. An si
inter eos quos numquam uidimus floruisset, non solum libros eius uerum etiam imagines conquireremus,
eiusdem nunc honor praesentis et gratia quasi satietate languescit? At hoc prauum malignumque est, non
admirari hominem admiratione dignissimum, quia uidere adloqui audire complecti, nec laudare tantum uerum
etiam amare contingit. Vale.
Caro Erucio,
ero affezionato a Pompeo Saturnino (intendi quello che è nostro amico) e ne ammiravo
l'ingegno, anche prima di sapere quanto vario, duttile e versatile esso fosse: ma ora son tutto
suo, materialmente, di fatto e di diritto.
L'ho ascoltato trattare una causa con veemenza e ardore ma non minor perfezione ed
eloquenza, sia che si fosse preparato, sia che improvvisasse. Le «sentenze» ben appropriate e
a getto continuo, maestoso e pieno di grazia il periodare, armoniosi e classici i vocaboli.
Qualità tutte queste che piacciono grandemente quando con eccezionale impetuosità, come un
fiume, giungono alle nostre orecchie; piacciono ancora, quando si rileggono. Sarai del mio
avviso, quando avrai preso in mano le sue orazioni e ti sarà agevole paragonarle a qualsivoglia
di quegli antichi di cui è l'emulo. Eppure è nella storia che egli particolarmente piace, vuoi per la
concisione, la chiarezza, la grazia o anche lo splendore e l'elevatezza della esposizione.
Perché nei discorsi inseriti nella narrazione non è da meno di quando pronuncia i suoi, ma
ancora più breve, più conciso, più serrato.
Egli compone anche dei versi degni di Catullo e di Calvo, dico proprio degni di Catullo e
Calvo. Quanto garbo in essi, delicatezza, mordacità, passione! Frammischia anche, ma a
bella posta, a versi molli e facili altri aspretti e anche ciò quasi al modo di Catullo e Calvo.
Mi ha letto or è qualche giorno delle lettere: le diceva di sua moglie, credetti di leggere
Plauto o Terenzio in prosa. Che sian di sua moglie, come afferma, o di lui stesso, come
nega, è degno di ugual lode perché o le ha composte lui, o ha reso talmente colta e raffina ta
la moglie, che aveva sposata giovinetta.
Egli è con me durante tutte le ore del giorno; leggo lui prima di scrivere, lui quando ho scritto,
lui anche quando mi riposo, e non mi par mai di leggere la stessa cosa. Ti esorto, ti consiglio
a far lo stesso anche tu. Non deve infatti far torto alle sue opere che egli sia vivente. E che?
se fosse fiorito ai tempi di coloro che non abbiam mai veduto, noi andremmo in cerca non
solo dei suoi libri, ma anche dei suoi ritratti; e poiché costui è vivente la sua fama e la sua
reputazione dovrebbero languire come ci fosse venuto a noia? Ma è da malevoli e da
ingenerosi non ammirare un uomo degnissimo di ammirazione, solo perché si ha la
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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possibilità di vederlo, di parlargli, di udirlo, di stringerlo fra le braccia, e non lodarlo soltanto,
ma anche amarlo. Addio.
Traduzione di L. Rusca, Milano, Rizzoli, 1994,20003.
Bibliografia
Riposati 604; Bettini 3,407; niente Conte.
Caninio Rufo
Cenni biografici
Conterraneo di Plinio il Giovane.
Testi e testimonianze
Plin., 9, 38
C. PLINIVS SATVRNINO SVO S.
Ego uero Rufum nostrum laudo, non quia tu ut ita facerem petisti sed quia est ille dignissimus. Legi enim
librum omnibus numeris absolutum, cui multum apud me gratiae amor ipsius adiecit. Iudicaui tamen; neque
enim soli iudicant qui maligne legunt. Vale.
Plin., 8,4
C. PLINIVS CANINIO SVO S.
Optime facis, quod bellum Dacicum scribere paras. Nam quae tam recens tam copiosa tam elata,
quae denique tam poetica et quamquam in uerissimis rebus tam fabulosa materia? Dices immissa terris
noua flumina, nouos pontes fluminibus iniectos, insessa castris montium abrupta, pulsum regia pulsum etiam
uita regem nihil desperantem; super haec actos bis triumphos, quorum alter ex inuicta gente primus, alter
nouissimus fuit. Vna sed maxima difficultas, quod haec aequare dicendo arduum immensum, etiam tuo
ingenio, quamquam altissime adsurgat et amplissimis operibus increscat. Non nullus et in illo labor, ut
barbara et fera nomina, in primis regis ipsius, Graecis uersibus non resultent. Sed nihil est quod non arte
curaque, si non potest uinci, mitigetur. Praeterea, si datur Homero et mollia uocabula et Graeca ad leuitatem
uersus contrahere extendere inflectere, cur tibi similis audentia praesertim non delicata sed necessaria non
detur? Proinde iure uatum inuocatis dis, et inter deos ipso, cuius res opera consilia dicturus es, immitte
rudentes, pande uela ac, si quando alias, toto ingenio uehere. Cur enim non ego quoque poetice cum
poeta? Illud iam nunc paciscor: prima quaeque ut absolueris mittito, immo etiam ante quam absoluas, sicut
erunt recentia et rudia et adhuc similia nascentibus. Respondebis non posse perinde carptim ut contexta,
perinde incohata placere ut effecta. Scio. Itaque et a me aestimabuntur ut coepta, spectabuntur ut membra,
extremamque limam tuam opperientur in scrinio nostro. Patere hoc me super cetera habere amoris tui
pignus, ut ea quoque norim quae nosse neminem uelles. In summa potero fortasse scripta tua magis
probare laudare, quanto illa tardius cautiusque, sed ipsum te magis amabo magisque laudabo, quanto
celerius et incautius miseris. Vale.
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Bibliografia
Riposati 604.
Sulpicia
Cenni biografici
Controlla e raccorda con la Sulpicia in parte 2c, cioè con la figlia di Sulpicio Rufo e nipote di
Messalla Corvino, autrice sei brevi elegie
Blansdorf parla di età domizianea e riporta le testim. elencate Mart. 10,35; 10,38; Auson.,
cent.nupt. 4; Sidon., carm. 9, 260
Opere
Resta un solo frammento di 2 versi riportato da un Probo di Valla.
Testi e testimonianze
Mart. 10,35;
Omnes Sulpiciam legant puellae,
Uni quae cupiunt viro placere;
Omnes Sulpiciam legant mariti,
Uni qui cupiunt placere nuptae.
Non haec Colchidos adserit furorem
Diri prandia nec refert Thyestae;
Scyllam, Byblida nec fuisse credit:
Sed castos docet et probos amores,
Lusus, delicias facetiasque.
Cuius carmina qui bene aestimarit,
Nullam dixerit esse nequiorem,
Nullam dixerit esse sanctiorem.
Tales Egeriae iocos fuisse
Udo crediderim Numae sub antro.
Hac condiscipula vel hac magistra
Esses doctior et pudica, Sappho:
Sed tecum pariter simulque visam
Durus Sulpiciam Phaon amaret.
Frustra: namque ea nec Tonantis uxor
Nec Bacchi nec Apollinis puella
Erepto sibi viveret Caleno.
Mart., 10,38;
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
O molles tibi quindecim, Calene,
Quos cum Sulpicia tua iugales
Indulsit deus et peregit annos!
O nox omnis et hora, quae notata est
Caris litoris Indici lapillis!
O quae proelia, quas utrimque pugnas
Felix lectulus et lucerna vidit
Nimbis ebria Nicerotianis!
Vixisti tribus, o Calene, lustris:
Aetas haec tibi tota conputatur
Et solos numeras dies mariti.
Ex illis tibi si diu rogatam
Lucem redderet Atropos vel unam,
Malles, quam Pyliam quater senectam.
Auson.,cent.nupt. 4;
meminerint autem…caperare.
Sidon., carm. 9, 260
Non Gaetulicus…suo Caleno.
Bibliografia
FPL Blansdorf 1995, pp. 334-35.
Turno
Cenni biografici
Poeta satirico di età domizianea.
Opere
Due frammenti in FPL Blansdorf 1995
Testi e testimonianze
Mart. 7,97
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Nosti si bene Caesium, libelle,
Montanae decus Umbriae Sabinum,
Auli municipem mei Pudentis,
Illi tu dabis haec vel occupato:
Instent mille licet premantque curae,
Nostris carminibus tamen vacabit:
Nam me diligit ille proximumque
Turni nobilibus legit libellis.
O quantum tibi nominis paratur!
O quae gloria! quam frequens amator!
Te convivia, te forum sonabit,
Aedes, compita, porticus, tabernae.
Uni mitteris, omnibus legeris.
Mart. 11,10
Contulit ad saturas ingentia pectora Turnus.
Cur non ad Memoris carmina? Frater erat.
Rutil.Namaz., 1,603
Huius vulnificis…Iuvenalis erit.
Sidon., carm. 9, 266.
Non Turnus…
Bibliografia
FPL Blansdorf 1995, pp. 335-336.
Virginio Rufo
Cenni biografici
14-97
Opere
Un frammento riportato da Plinio il G.
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Testi e testimonianze
Plinio il Giovane, controllo indice
Bibliografia
FPL Blansdorf 1995, pp. 336-337
R. Hanslik – M. Schuster, RE VIII A 2, 1958, 1536-1543.
Senzio Augurino
Cenni biografici
Visse in età traianea
Opere
Testi e testimonianze
Plin. Iun., 4,27
Tertius dies est quod audiui recitantem Sentium Augurinum cum summa mea uoluptate, immo etiam
admiratione. Poematia adpellat. Multa tenuiter multa sublimiter, multa uenuste multa tenere, multa dulciter
multa cum bile. Aliquot annis puto nihil generis eiusdem absolutius scriptum, nisi forte me fallit aut amor eius
aut quod ipsum me laudibus uexit. Nam lemma sibi sumpsit, quod ego interdum uersibus ludo. Atque adeo
iudicii mei te iudicem faciam, si mihi ex hoc ipso lemmate secundus uersus occurrerit; nam ceteros teneo et
iam explicui.
Canto carmina uersibus minutis,
his olim quibus et meus Catullus
et Caluus ueteresque. Sed quid ad me?
Vnus Plinius est mihi priores:
mauolt uersiculos foro relicto
et quaerit quod amet, putatque amari.
Ille o Plinius, ille quot Catones!
I nunc, quisquis amas, amare noli.
Vides quam acuta omnia quam apta quam expressa. Ad hunc gustum totum librum repromitto, quem tibi ut
primum publicauerit exhibebo.
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
Bibliografia
FPL Blansdorf 1995, pp. 337
A.Klotz, RE II A 2, 1923, 1511
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Gli storici
Cornelio Tacito
Cenni biografici
Il praenomen più accolto, secondo il codice più autorevole degli Annales, è Publius.
Sidonio Apollinare usa invece Gaius e qualche proposta è stata fatta anche per Sextus.
La data di nascita va collocata nel 55 d.C. circa.
Incerte le origini della famiglia, di sicuro in vista, considerata la rapida carriera politica; il cognomen
Tacitus riporta alla Gallia Transpadana o a quella Narbonese.
Plinio il Vecchio nomina un Cornelio Tacito procuratore della Gallia Belgica, forse il padre o uno
zio.
Tacito iniziò la propria carriera politica sotto Vespasiano. Fu pretore e XVvir . Consul suffectus nel
97; proconsole d'Asia nel 112/113.
Il fidanzamento con la figlia di Giulio Agricola è del 77.
Soggiornò all'estero tra il 90 e il 93; verosimile che nel 93 fosse propretore in una provincia e che
per questo motivo non abbia potuto partecipare al funerale di Agricola.
Del 100 è la causa per estorsione contro Mario Prisco, ex governatore dell'Africa, sostenuto con
Plinio il Giovane, con cui ebbe un rapporto di amicizia di non pochi anni.
Il termine post-quem per la morte è il 116 o 117.
Opere
L’imperatore Tacito diede ordine di copiare e conservare in tutte le biblioteche le opere dello zio.
Dialogus de oratoribus
Trasmesso dalla tradizione assieme alla Germania e all’Agricola, ma ritenuto non tacitiano fin
dall’umanesimo per il suo stile ciceroniano poco consono a quello delle altre opere.
Anche oggi non mancano coloro che sostengono la non autenticità, ma sono minoranza.
Probabilmente posteriore al 100. Il dialogo è ambientato ai tempi di Vespasiano, quindi tra il 75 e il
77, ma è dedicato a Fabio Giusto, console nel 102. Potrebbe quindi essere stata composta in anni
precedenti alla pubblicazione.
Lacuna di una certa ampiezza.
Un modello di riferimento potrebbe essere il quintilianeo De causis corruptae eloquentiae, perduto.
Protagonista del Dialogus è Curiazio Materno, nella cui casa Tacito immagina di aver ascoltato da
giovane una discussione sul declino dell’oratoria.
Altri personaggi sono Vipstano Messalla, …
Il punto di vista di Tacito è riflesso da Curiazio.
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Agricola
De vita Iulii Agricolae.
Del 98? Iniziata dopo la morte di Domiziano, nel 97, sotto Nerva, e terminata nel gennaio del 98,
visto che Traiano è definito princeps.
Si mescolano elementi dei generi della monografia storica, della biografia e dell’elogio funebre.
Racconto delle imprese militari di Agricola ai capp. 18-38.
Digressione su usi e costumi dei Britanni capp. 10-13.
Germania
Il De origine et situ Germanorum è composto nel 98 d.C.
La maggior parte della documentazione è tratta dai Bella Germaniae di Plinio il Vecchio.
Forse l’opera nasce come digressione etnografica apprestata per le Historiae.
Frutto di ricerche, è opera di erudizione.
I modelli saranno da identificare nel De bello Gallico di Cesare, ma anche in verosimili digressioni
etnografiche di Sallustio (III libro Historiae) e Livio (campagne di Druso oltre il Reno), in sezioni
perdute delle loro opere.
Da non dimenticare i De situ et sacris Aegyptiorum e De situ Indiae di Seneca.
“Raffinatezza compositiva e descrittiva” e “compartecipazione umana” (Oniga)
Si segue un preciso criterio geografico secondo il corso del Reno e del Danubio..
Historiae
Composte tra il 100 e il 110 ca.
Si sono conservati solo i primi quattro libri e l’inizio del quinto (capp. 1-26), relativi al periodo 69-70
Organizzate secondo alcuni in 12, secondo altri in 14 libri
Il problema del numero dei libri e della loro organizzazione in gruppi rimane aperto.
Annales
Annales ab excessu Divi Augusti. Organizzati secondo alcuni in 16 libri secondo altri in 18 libri.
Composti posteriormente alle Historiae e in fase di rieleborazione ancora nel 116.
Possediamo i libri 1-4 e una parte del quinto, il sesto, parzialmente i libri 11, 12, 15, 16.
Osservazioni
Testi e testimonianze
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Plin., nat.., 7, 76 per un Cornelio Tacito padre o zio di Tacito.
Invenimus in monumentis Salamine Euth<y>menis filium in tria cubita triennio adcrevisse, incessu tardum,
sensu hebetem, puberem etiam factum, voce robusta, absumptum contractione membrorum subita triennio
circumacto. ipsi non pridem vidimus eadem ferme omnia praeter pubertatem in filio Corneli Taciti, equitis
Romani Belgicae Galliae rationes procurantis. ™ktrapšlous Graeci vocant eos; in Latio non habent nomen.
Tac., ann. 11, 11, 1: Tacito ricorda di essere stato pretore nell’anno 88.
Isdem consulibus ludi saeculares octingentesimo post Romam conditam, quarto et sexagesimo quam
Augustus ediderat, spectati sunt. utriusque principis rationes praetermitto, satis narratas libris quibus res
imperatoris Domitiani composui. nam is quoque edidit ludos saecularis iisque intentius adfui sacerdotio
quindecimvirali praeditus ac tunc praetor; quod non iactantia refero sed quia collegio quindecimvirum
antiquitus ea cura et magistratus potissimum exequebantur officia caerimoniarum.
Tac., hist., 1, 1,13: Tacito ricorda che la propria carriera politica ebbe inizio sotto Vespasiano.
Mihi Galba Otho Vitellius nec beneficio nec iniuria cogniti. dignitatem nostram a Vespasiano inchoatam,
a Tito auctam, a Domitiano longius provectam non abnuerim: sed incorruptam fidem professis neque amore
quisquam et sine odio dicendus est.
Tac., Agr. 45, 5: Tacito non può partecipare ai funerali di Agricola perché occupato all’estero.
Noster hic dolor, nostrum vulnus, nobis tam longae absentiae condicione ante quadriennium amissus est.
Plin. 2,1,6 Ricordando in mortem Virginio Rufo, accenna all'orazione funebre pronunciata da
Tacito nel 97 e lo giudica laudator eloquentissimus.
Huius uiri exsequiae magnum ornamentum principi magnum saeculo magnum etiam foro et rostris attulerunt.
Laudatus est a consule Cornelio Tacito; nam hic supremus felicitati eius cumulus accessit, laudator
eloquentissimus.
Hier., comm. Ad Zach., 3,14: Historia ed Annales coprivano assieme 30 libri.
Tacito è il destinatario del maggior numero di lettere dell'epistolario pliniano. Scambio reciproco di
scritti documentato in Plin. 7,22 e 8,7
In 1,20 Plinio spiega a Tacito come preferisca orazioni lunghe e gli chiede, come a persona
autorevole, un giudizio.
Plinio e Tacito conducono assieme il processo contro Prisco.
Plin., 2,11,2
Marius Priscus accusantibus Afris quibus pro consule praefuit, omissa defensione iudices petiit. Ego et
Cornelius Tacitus, adesse prouincialibus iussi, existimauimus fidei nostrae conuenire notum senatui facere
excessisse Priscum immanitate et saeuitia crimina quibus dari iudices possent, cum ob innocentes condemnandos, interficiendos etiam, pecunias accepisset. ECC.
Plin., 2,11,7
Postero die dixit pro Mario Saluius Liberalis, uir subtilis dispositus acer disertus; in illa uero causa omnes
artes suas protulit. Respondit Cornelius Tacitus eloquentissime et, quod eximium orationi eius inest, semnîs.
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Plin. iun., 9,23
C. PLINIVS MAXIMO SVO S.
Frequenter agenti mihi euenit, ut centumuiri cum diu se intra iudicum auctoritatem grauitatemque tenuissent,
omnes repente quasi uicti coactique consurgerent laudarentque; frequenter e senatu famam qualem maxime
optaueram rettuli: numquam tamen maiorem cepi uoluptatem, quam nuper ex sermone Corneli Taciti.
Narrabat sedisse secum circensibus proximis equitem Romanum. Hunc post uarios eruditosque sermones
requisisse: 'Italicus es an prouincialis?' Se respondisse: 'Nosti me, et quidem ex studiis.' Ad hoc illum:
'Tacitus es an Plinius?' Exprimere non possum, quam sit iucundum mihi quod nomina nostra quasi litterarum
propria, non hominum, litteris redduntur, quod uterque nostrum his etiam ex studiis notus, quibus aliter
ignotus est.
Caro Massimo,
sovente mi è capitato, mentre tenevo un'arringa, che i Centumviri, dopo aver a lungo conservato
un'autorità e una serietà degna di giudici, d'un tratto, quasi vinti e costretti, si sian levati tutti in
piedi ad applaudirmi; di frequente io riportai in Senato un tal favore quale non avrei potuto
desiderar maggiore: eppure non ho mai provato gioia maggiore di quella che mi procurò
recentemente un fatto narratomi da Cornelio Tacito. Raccontava di essersi trovato a sedere,
durante gli ultimi giochi del circo, accanto a un cavaliere romano. Costui, dopo vari e dotti discorsi,
gli aveva chiesto: «Sei d'Italia o delle province?». E Tacito rispose: «Mi devi conoscere, grazie
proprio agli scritti». E quello: «Sei Tacito o Plinio?». Non so dire quanto mi torni gradito che i nostri
nomi, quasi designassero degli scritti più che delle persone, siano divenuti talmente congeniali a
questi, da far sì che l’uno e l’altro di noi sia noto per i propri scritti anche a coloro per i quali
sarebbe altrimenti ignoto.
Plin.iun., 7,20
Librum tuum legi et, quam diligentissime potui, adnotaui quae commutanda, quae eximenda arbitrarer. Nam
et ego uerum dicere adsueui, et tu libenter audire. Neque enim ulli patientius reprehenduntur, quam qui
maxime laudari merentur. Nunc a te librum meum cum adnotationibus tuis exspecto. O iucundas, o pulchras
uices! Quam me delectat quod, si qua posteris cura nostri, usquequaque narrabitur, qua concordia
simplicitate fide uixerimus! Erit rarum et insigne, duos homines aetate dignitate propemodum aequales, non
nullius in litteris nominis cogor enim de te quoque parcius dicere, quia de me simul dico, alterum alterius
studia fouisse. Equidem adulescentulus, cum iam tu fama gloriaque floreres, te sequi, tibi 'longo sed
proximus interuallo' et esse et haberi concupiscebam. Et erant multa clarissima ingenia; sed tu mihi ita
similitudo naturae ferebat maxime imitabilis, maxime imitandus uidebaris. Quo magis gaudeo, quod si quis
de studiis sermo, una nominamur, quod de te loquentibus statim occurro. Nec desunt qui utrique nostrum
praeferantur. Sed nos, nihil interest mea quo loco, iungimur; nam mihi primus, qui a te proximus. Quin etiam
in testamentis debes adnotasse: nisi quis forte alterutri nostrum amicissimus, eadem legata et quidem pariter
accipimus. Quae omnia huc spectant, ut inuicem ardentius diligamus, cum tot uinculis nos studia mores
fama, suprema denique hominum iudicia constringant. Vale.
Caro Tacito,
ho letto il tuo libro, e con la maggior diligenza possibile ho indicato ciò che mi sembrerebbe da
mutare o da togliere. Infatti io sono solito dire ciò che penso, e tu con piacere l'ascolti. E del resto
nessuno sopporta con maggior pazienza le correzioni di chi maggiormente merita la lode.
Ora io aspetto il mio libro con le tue osservazioni. Oh caro e bello scambio! Come gioisco al
pensare che, se i posteri si interesseranno di noi, si racconterà dappertutto in quale concordia di
animi, in quale franchezza, in quale lealtà siamo vissuti! Si reputerà cosa rara e degna di
attenzione che due persone quasi uguali per l'età e la situazione, di un certo nome nel campo delle
lettere (sono obbligato a dir di te modestamente, poiché contemporaneamente parlo di me) si
siano a vicenda aiutati nei lavori letterari.
Ancor giovinetto, mentre tu già brillavi per la fama e la gloria, ti seguii
prossimo a te, ma prossimo d'un tratto molto lontano,
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e desideravo esserlo davvero e apparir tale. Eppure ve n'erano di ingegni famosi; ma tu (così lo
voleva la simiglianza delle nostre indoli) mi sembravi colui che soprattutto potevo, dovevo imitare.
Perciò maggiormente godo che se il discorso cade sulle attività letterarie, noi siamo assieme
ricordati, e a coloro che parlan di te io venga subito alla mente. Non ne mancano che possano
esser preferiti a noi due. Ma non mi importa a qual posto ci mettano, purché uniti: giacché per me
primo è colui che ti è più vicino. Devi aver fatto questa osservazione anche a proposito dei
testamenti: a meno che non si tratti di persona legatissima a uno di noi due, ci assegnano lo
stesso genere di lasciti e di ugual valore.
Tutto ciò tende a far sì che ci amiamo più ardentemente ancora, avendoci stretti con tanti vincoli gli
studi, i modi di vivere, la fama, e infine le ultime volontà degli uomini. Addio.
Traduzione di L. Rusca, 1994,20003.
Plin. 7,33
C. PLINIVS TACITO SVO S.
Auguror nec me fallit augurium, historias tuas immortales futuras; quo magis illis ingenue fatebor inseri
cupio. Nam si esse nobis curae solet ut facies nostra ab optimo quoque artifice exprimatur, nonne debemus
optare, ut operibus no-stris similis tui scriptor praedicatorque contingat? Demonstro ergo quamquam
diligentiam tuam fugere non possit, cum sit in publicis actis, demonstro tamen quo magis credas, iucundum
mihi futurum si factum meum, cuius gratia periculo creuit, tuo ingenio tuo testimonio ornaueris.
C. PLINIVS TACITO SVO S.
Neque ut magistro magister neque ut discipulo discipulus sic enim scribis, sed ut discipulo magister
nam tu magister, ego contra; atque adeo tu in scholam reuocas, ego adhuc Saturnalia extendo librum
misisti. Num potui longius hyperbaton facere, atque hoc ipso probare eum esse me qui non modo magister
tuus, sed ne discipulus quidem debeam dici? Sumam tamen personam magistri, exseramque in librum tuum
ius quod dedisti, eo liberius quod nihil ex meis interim missurus sum tibi in quo te ulciscaris. Vale.
Tertul., hist.Rom., 5
mendaciorum eloquentissimus.
Tac., hist., 1-4. Il prologo delle Historiae
Initium mihi operis Servius Galba iterum Titus Vinius consules erunt. nam post conditam urbem octingentos
et viginti prioris aevi annos multi auctores rettulerunt, dum res populi Romani memorabantur pari eloquentia
ac libertate: postquam bellatum apud Actium atque omnem potentiam ad unum conferri pacis interfuit,
magna illa ingenia cessere; simul veritas pluribus modis infracta, primum inscitia rei publicae ut alienae, mox
libidine adsentandi aut rursus odio adversus dominantis: ita neutris cura posteritatis inter infensos vel
obnoxios. sed ambitionem scriptoris facile averseris, obtrectatio et livor pronis auribus accipiuntur; quippe
adulationi foedum crimen servitutis, malignitati falsa species libertatis inest. mihi Galba Otho Vitellius nec
beneficio nec iniuria cogniti. dignitatem nostram a Vespasiano inchoatam, a Tito auctam, a Domitiano
longius provectam non abnuerim: sed incorruptam fidem professis neque amore quisquam et sine odio
dicendus est. quod si vita suppeditet, principatum divi Nervae et imperium Traiani, uberiorem securioremque
materiam, senectuti seposui, rara temporum felicitate ubi sentire quae velis et quae sentias dicere licet.
Opus adgredior opimum casibus, atrox proeliis, discors seditionibus, ipsa etiam pace saevum. quattuor
principes ferro interempti: trina bella civilia, plura externa ac plerumque permixta: prosperae in Oriente,
adversae in Occidente res: turbatum Illyricum, Galliae nutantes, perdomita Britannia et statim omissa:
coortae in nos Sarmatarum ac Sueborum gentes, nobilitatus cladibus mutuis Dacus, mota prope etiam
Parthorum arma falsi Neronis ludibrio. iam vero Italia novis cladibus vel post longam saeculorum seriem
repetitis adflicta. haustae aut obrutae urbes, fecundissima Campaniae ora; et urbs incendiis vastata,
consumptis antiquissimis delubris, ipso Capitolio civium manibus incenso. pollutae caerimoniae, magna
adulteria: plenum exiliis mare, infecti caedibus scopuli. atrocius in urbe saevitum: nobilitas, opes, omissi
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gestique honores pro crimine et ob virtutes certissimum exitium. nec minus praemia delatorum invisa quam
scelera, cum alii sacerdotia et consulatus ut spolia adepti, procurationes alii et interiorem potentiam, agerent
verterent cuncta odio et terrore. corrupti in dominos servi, in patronos liberti; et quibus deerat inimicus per
amicos oppressi.
Non tamen adeo virtutum sterile saeculum ut non et bona exempla prodiderit. comitatae profugos liberos
matres, secutae maritos in exilia coniuges: propinqui audentes, constantes generi, contumax etiam adversus
tormenta servorum fides; supremae clarorum virorum necessitates fortiter toleratae et laudatis antiquorum
mortibus pares exitus. praeter multiplicis rerum humanarum casus caelo terraque prodigia et fulminum
monitus et futurorum praesagia, laeta tristia, ambigua manifesta; nec enim umquam atrocioribus populi
Romani cladibus magisve iustis indiciis adprobatum est non esse curae deis securitatem nostram, esse
ultionem. Ceterum antequam destinata componam, repetendum videtur qualis status urbis, quae mens
exercituum, quis habitus provinciarum, quid in toto terrarum orbe validum, quid aegrum fuerit, ut non modo
casus eventusque rerum, qui plerumque fortuiti sunt, sed ratio etiam causaeque noscantur. finis Neronis ut
laetus primo gaudentium impetu fuerat, ita varios motus animorum non modo in urbe apud patres aut
populum aut urbanum militem, sed omnis legiones ducesque conciverat, evulgato imperii arcano posse
principem alibi quam Romae fieri. sed patres laeti, usurpata statim libertate licentius ut erga principem
novum et absentem; primores equitum proximi gaudio patrum; pars populi integra et magnis domibus
adnexa, clientes libertique damnatorum et exulum in spem erecti: plebs sordida et circo ac theatris sueta,
simul deterrimi servorum, aut qui adesis bonis per dedecus Neronis alebantur, maesti et rumorum avidi.
1. [1] La mia opera avrà inizio dal secondo consolato di Servio Galba, primo di Tito Vinio. I fatti
degli ottocentoventi anni precedenti, a partire dalla fondazione di Roma, già molti scrittori li hanno
narrati, nel tempo in cui la storia del popolo romano veniva trattata con eloquenza pari alla
franchezza: dopo la battaglia di Azio, e da quando nell'interesse della pace si dovette affidare il
potere ad uno solo, quei grandi ingegni vennero meno; e la verità fu in più modi offesa, prima per
ignoranza della politica come di cosa spettante ormai ad altri, in séguito per adulatoria
condiscendenza o, al contrario, per odio contro i dominatori: così, tra ostili e servili, nessuno si è
dato pensiero della posterità. [2] Ma la cortigianeria di uno scrittore è facile che sia condannata,
mentre il denigratore e il maligno si ascoltano con avido orecchio: l'adulazione infatti fa nascere
l'ignobile sospetto del servilismo, mentre la malevolenza ha un ingannevole sembiante
d'indipendenza. [3] A me Galba, Otone e Vitellio non sono noti né per benefici né per offese. Non
potrei negare che la mia carriera politica abbia avuto inizio ad opera di Vespasiano, si sia svolta
con Tito e abbia progredito ancora sotto Domiziano: ma chi ha fatto professione di veracità
incorrotta deve dire di ciascuno senza amore né odio. [4] Ché, se mi basterà la vita, io mi soli
riservato di narrare l'impero di Nerva e di Traiano; materia più ricca e meno pericolosa, grazie alla
rara felicità di un tempo in cui si può pensare quello che si vuole e dire quello che si pensa.
2. [1] Affronto un'epoca densa di eventi, atroce per guerre, discordie e sedizioni, crudele anche
nella pace. Quattro prìncipi troncati dal ferro, tre guerre civili, più numerose le esterne e quasi
sempre confuse insieme, prospere le condizioni in Oriente, avverse in Occidente; sconvolto
l'Illirico, malsicure le Gallie, domata e sùbito abbandonata la Britannia; insorte contro di noi le
popolazioni dei Sarmati e degli Svevi, salita in fama la Dacia per le sconfitte loro e le nostre,
arrivati quasi ad armarsi anche i Parti, causa la beffa del falso Nerone. [2] Fu inoltre colpita l'Italia
da catastrofi non mai viste, o non più accadute da secoli. Inghiottite o sepolte le feconde rive della
Campania, devastata Roma da incendi, onde antichissimi templi furono divorati; arso il
Campidoglio stesso, per mano di cittadini. Profanati i riti sacri, clamorosi gli scandali; pieno di esilii
il mare, macchiati di sangue gli scogli. [3] Più atrocemente s'infierì in Roma; la nobiltà, le
ricchezze, e così il rifiuto come l'esercizio di cariche onorevoli erano imputati a delitto; alle virtù era
premio certissimo la morte. E non meno delle scelleratezze erano odiose a vedersi le ricompense
dei delatori: ché, impadronitisi alcuni di cariche sacerdotali e consolari come di un bottino, altri di
amministrazioni provinciali e di influenza alla corte, agitavano e travolgevano ogni cosa nell'odio e
nel terrore. Corrotti i servi contro i loro signori, i liberti contro i loro patroni; rovinato dagli amici chi
non aveva nemici.
3. [1] Non fu tuttavia così sterile di virtù questo periodo, da non aver dato anche nobili esempi. Vi
furono madri che accompagnarono i figli profughi, mogli che seguirono in esilio i mariti; parenti
coraggiosi, generi di fermo carattere, servi di fede incrollabile persino contro le torture; miserie
estreme imposte a uomini illustri, e la prova stessa tollerata con fortezza, e morti degne di quelle
gloriose degli antichi. [2] A parte le molteplici sciagure umane, vi furono prodigi in cielo e in terra e
fulmini ammonitori e presagi di casi futuri, lieti e tristi, ambigui e manifesti; non mai infatti da più
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atroci calamità del popolo romano o da più certi indizi fu provato che non della nostra sicurezza,
ma del nostro castigo si dànno pensiero gli dèi.
4. [1] Però, prima di esporre la materia prefissa, mi par bene rifarmi a ricordare quale fosse la
condizione di Roma, quale l'animo degli eserciti, quale l'atteggiamento delle province, quanto vi
fosse di valido e quanto di corrotto nel mondo intero; affinché si conoscano non solo i fatti e il loro
svolgimento, che per lo più sono fortuiti, ma anche la connessione e le cause dei fatti. [2] La fine di
Nerone, pur festeggiata nel primo impeto della pubblica esultanza, aveva però suscitato sentimenti
diversi, non solo in Roma, nei senatori o nel popolo o nelle milizie cittadine, ma in tutte le legioni e
in tutti i comandanti, poiché era stato reso pubblico un segreto di Stato: potersi creare un
imperatore fuori di Roma. [3] Ma i senatori si rallegravano, avendo immediatamente ricuperato la
libertà, e più sfrenata, conte è naturale quando il principe è nuovo e lontano. Poco diversa da
quella dei senatori era la gioia dei cavalieri di più alto rango; nella parte del popolo integra e legata
a case illustri, nel clienti e nei liberti dei condannati e degli esuli rinasceva la speranza, mentre la
plebaglia avvezza al circo e ai teatri, e con essa i peggiori tra i servi e quelli che - consumate le
proprie sostanze - campavano sui vizi di Nerone, erano afflitti e in avido ascolto di ogni diceria.
Traduzione di A. Arici, Torino, Utet, 1959, 19702.
Tac., Ann., 1-4. Il prologo.
Vrbem Romam a principio reges habuere; libertatem et consulatum L. Brutus instituit. dictaturae ad tempus
sumebantur; neque decemviralis potestas ultra biennium, neque tribunorum militum consulare ius diu valuit.
non Cinnae, non Sullae longa dominatio; et Pompei Crassique potentia cito in Caesarem, Lepidi atque
Antonii arma in Augustum cessere, qui cuncta discordiis civilibus fessa nomine principis sub imperium
accepit. sed veteris populi Romani prospera vel adversa claris scriptoribus memorata sunt; temporibusque
Augusti dicendis non defuere decora ingenia, donec gliscente adulatione deterrerentur. Tiberii Gaique et
Claudii ac Neronis res florentibus ipsis ob metum falsae, postquam occiderant recentibus odiis compositae
sunt. inde consilium mihi pauca de Augusto et extrema tradere, mox Tiberii principatum et cetera, sine ira et
studio, quorum causas procul habeo.
Postquam Bruto et Cassio caesis nulla iam publica arma, Pompeius apud Siciliam oppressus exutoque
Lepido, interfecto Antonio ne Iulianis quidem partibus nisi Caesar dux reliquus, posito triumviri nomine
consulem se ferens et ad tuendam plebem tribunicio iure contentum, ubi militem donis, populum annona,
cunctos dulcedine otii pellexit, insurgere paulatim, munia senatus magistratuum legum in se trahere, nullo
adversante, cum ferocissimi per acies aut proscriptione cecidissent, ceteri nobilium, quanto quis servitio
promptior, opibus et honoribus extollerentur ac novis ex rebus aucti tuta et praesentia quam vetera et
periculosa mallent. neque provinciae illum rerum statum abnuebant, suspecto senatus populique imperio ob
certamina potentium et avaritiam magistratuum, invalido legum auxilio quae vi ambitu postremo pecunia
turbabantur.
Ceterum Augustus subsidia dominationi Claudium Marcellum sororis filium admodum adulescentem
pontificatu et curuli aedilitate, M. Agrippam, ignobilem loco, bonum militia et victoriae socium, geminatis
consulatibus extulit, mox defuncto Marcello generum sumpsit; Tiberium Neronem et Claudium Drusum
privignos imperatoriis nominibus auxit, integra etiam tum domo sua. nam genitos Agrippa Gaium ac Lucium
in familiam Caesarum induxerat, necdum posita puerili praetexta principes iuventutis appellari, destinari
consules specie recusantis flagrantissime cupiverat. ut Agrippa vita concessit, Lucium Caesarem euntem ad
Hispaniensis exercitus, Gaium remeantem Armenia et vulnere invalidum mors fato propera vel novercae
Liviae dolus abstulit, Drusoque pridem extincto Nero solus e privignis erat, illuc cuncta vergere: filius, collega
imperii, consors tribuniciae potestatis adsumitur omnisque per exercitus ostentatur, non obscuris, ut antea,
matris artibus, sed palam hortatu. nam senem Augustum devinxerat adeo, uti nepotem unicum, Agrippam
Postumum, in insulam Planasiam proiecerit, rudem sane bonarum artium et robore corporis stolide ferocem,
nullius tamen flagitii conpertum. at hercule Germanicum Druso ortum octo apud Rhenum legionibus inposuit
adscirique per adoptionem a Tiberio iussit, quamquam esset in domo Tiberii filius iuvenis, sed quo pluribus
munimentis insisteret. bellum ea tempestate nullum nisi adversus Germanos supererat, abolendae magis
infamiae ob amissum cum Quintilio Varo exercitum quam cupidine proferendi imperii aut dignum ob
praemium. domi res tranquillae, eadem magistratuum vocabula; iuniores post Actiacam victoriam, etiam
senes plerique inter bella civium nati: quotus quisque reliquus qui rem publicam vidisset?
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Igitur verso civitatis statu nihil usquam prisci et integri moris: omnes exuta aequalitate iussa principis
aspectare, nulla in praesens formidine, dum Augustus aetate validus seque et domum et pacem sustentavit.
postquam provecta iam senectus aegro et corpore fatigabatur aderatque finis et spes novae, pauci bona
libertatis in cassum disserere, plures bellum pavescere, alii cupere. pars multo maxima inminentis dominos
variis rumoribus differebant: trucem Agrippam et ignominia accensum non aetate neque rerum experientia
tantae moli parem, Tiberium Neronem maturum annis, spectatum bello, sed vetere atque insita Claudiae
familiae superbia, multaque indicia saevitiae, quamquam premantur, erumpere. hunc et prima ab infantia
eductum in domo regnatrice; congestos iuveni consulatus, triumphos; ne iis quidem annis quibus Rhodi
specie secessus exul egerit aliud quam iram et simulationem et secretas libidines meditatum. accedere
matrem muliebri inpotentia: serviendum feminae duobusque insuper adulescentibus qui rem publicam
interim premant quandoque distrahant.
1. [1] Da principio, la città di Roma fu possesso di re; L. Bruto vi introdusse, col consolato, la
libertà. Le dittature si assumevano temporaneamente; il potere dei decemviri durò non oltre un
biennio, e nemmeno i tribuni militari mantennero a lungo l'autorità consolare. Non fu durevole il
dispotismo di Cinna né di Silla, e la potenza di Pompeo e di Crasso passò presto nelle mani di
Cesare, le armi di Lepido e di Antonio in quelle di Augusto; il quale, col titolo di principe, ridusse in
suo potere lo Stato, stanco delle lotte civili. [2] Ma le vicende, liete o tristi, del popolo romano
antico sono state tramandate alla memoria da chiari scrittori; e non sono mancati alti ingegni per
narrare gli avvenimenti del tempo d'Augusto, finché da ciò non li distolse il crescere
dell'adulazione. I fatti di Tiberio e di Gaio, di Claudio e di Nerone furono alterati per paura, quando
essi erano vivi e forti; dopo la loro scomparsa, furono scritti sotto l'influenza degli odii recenti. [3] Di
qui il mio proposito, di riferire nei riguardi di Augusto poche vicende soltanto, le ultime della sua
vita; per trattare poi l'impero di Tiberio e di quelli che seguirono, senza animosità come senza
appassionato favore: clié i motivi dell'uno e dell'altra sono lontani dal mio spirito.
2. [1] Dopoché, disfatti Bruto e Cassio, non vi furono più armi a tutela della comune libertà; dopo
che Pompeo fu sconfitto nelle acque della Sicilia e - spogliato d'ogni potere Lepido, uccisosi
Antonio - neppure al partito cesariano rimaneva altro capo che Augusto, questi, deposto il titolo di
triumviro, agendo da console e dichiarandosi pago, per proteggere la plebe, dell'autorità tribunizia,
come si fu guadagnato i soldati coi donativi, il popolo con le provvidenze annonarie, tutti quanti con
la dolcezza del vivere in pace, prese ad innalzarsi a poco a poco, traendo a sé le funzioni del
senato, dei magistrati e delle leggi; e nessuno gli si oppose, perché i più fieri eran caduti sul campo
o a causa delle prescrizioni, e i rimanenti dei nobili venivano elevati in ricchezza e in onore tanto
più, quanto più prontamente si disponevano a servire; e, favoriti dal nuovo ordinamento,
preferivano la condizione attuale, ch'era tranquilla, alla precedente, piena di pericoli e di
incertezze. [2] Neppure le province si mostravano contrarie al nuovo stato di cose, dato che il
governo del senato e del popolo era divenuto sospetto, per le contese tra i potenti e per l'avidità
dei governatori. Né sufficiente era la tutela delle leggi, sconvolte dalla violenza, dal broglio, infine
dall'onnipotenza del denaro.
3. [1] D'altra parte, a rafforzare il proprio potere, Augusto elevò Claudio Marcello, figlio della
sorella, col conferirgli, in giovanissima età, la carica di pontefice e l'edilità curule; e M. Agrippa, di
oscuri natali, ma buon soldato e compagno della sua vittoria, facendolo eleggere console per due
volte consecutive. Più tardi, morto Marcello, lo volle suo genero; nobilitò col titolo imperatorio i
figliastri Tiberio Nerone e Claudio Druso, benché allora non mancassero continuatori alla sua casa.
[2] Egli aveva infatti introdotto nella famiglia dei Cesari Gaio e Lucio, figliuoli di Agrippa; ed aveva
ardentemente desiderato - pur fingendo riluttanza - che fossero chiamati prìncipi della gioventù
prima ancora di prendere la toga virile, e che venissero designati al consolato. [3] Quando Agrippa
uscì di vita, ed una morte fatalmente immatura o forse una macchinazione della matrigna Livia
ebbe tolto di mezzo L. Cesare mentre andava a raggiungere gli eserciti di Spagna, e Gaio mentre
ritornava ferito dall'Armenia, cosicché dei figliastri rimaneva il solo Nerone, ché Druso si era spento
da tempo, tutto convergeva in lui: fu adottato per figliuolo, assunto a collega nell'impero e chiamato
a parte della potestà tribunizia; venne infine presentato ovunque agli eserciti, non più, come prima,
attraverso segreti maneggi della madre, ma ufficialmente, con aperte raccomandazioni. [4] Poiché
Livia aveva talmente irretito Augusto, già vecchio, che egli relegò nell'isola di Pianosa l'unico
nipote, Agrippa Postumo, uomo incolto sì, e stoltamente orgoglioso della sua gagliardia fisica, ma
non riconosciuto colpevole di alcuna azione vergognosa. [5] In verità a Germanico, figlio di Druso,
Augusto affidò il comando delle otto legioni sul Reno e volle che fosse adottato da Tiberio, benché
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nella casa di questo vi fosse un figlio in giovane età; ma il suo scopo era di puntellare con più di un
sostegno il proprio casato.
[6] In quel momento non v'erano più guerre, se non quella contro i Germani, intrapresa piuttosto
per cancellare il disonore seguìto alla perdita dell'esercito con Ouintilio Varo che per ambizione di
allargare i confini dell'impero, o per un vantaggio adeguato. [7] All'interno tutto era tranquillo; i nomi
delle magistrature erano rimasti i medesimi; i giovani erano nati dopo la battaglia d'Azio, ed anche
gli anziani, per la maggior parte, nel periodo delle guerre civili. Quanti sopravvivevano, ormai, di
quelli che avevano visto la repubblica?
4. [1] Mutato dunque del tutto l'ordinamento politico, nulla rimaneva dell'antico e puro spirito
repubblicano; tutti, rinunciando all'uguagIianza, aspettavano gli ordini del principe, senza timori per
il momento, finché Augusto, nel vigore degli anni, ebbe forza di reggere sé stesso e la sua casa e
la pace. [2] Ma quando la vecchiezza e le infermità lo travagliarono, e l'avvicinarsi della sua fine
dava luogo a nuove speranze, alcuni pochi dissertavano a vuoto sui benefìci del vivere libero, altri,
più numerosi, avevano paura della guerra; altri la desideravano. La grande maggioranza trovava a
ridire in vario modo sui futuri padroni: [3] si diceva che Agrippa era d'indole feroce e acceso d'odio
per l'offesa patita, impari per età ed inesperienza ad un tanto carico di governo; che Tiberio
Nerone era sì maturo d'anni e provato nelle guerre, ma non immune da quella superbia che nella
famiglia dei Claudii era difetto innato ed antico, e che molti indizi di crudeltà già si manifestavano in
lui, sebbene si sforzasse di frenarli. [4] Che egli era stato allevato, fin dalla prima infanzia, in casa
di despoti; che era stato colmato da giovane di onori e di trionfi, che in quegli anni stessi, nei quali
era vissuto escile a Rodi, sotto parvenza di segregazione volontaria, non aveva pensato ad altro
che a risentimenti e a simulazioni e ad inconfessabili piaceri.
[5] E v'era I'aggravante della madre, di una prepotenza tutta femminile: si sarebbe dovuto ubbidire
a una donna, e per di più a due giovinetti, che intanto avrebbero oppresso lo Stato, per
smembrarlo in avvenire.
Traduzione di A. Arici, Torino, Utet, 1952, 19692.
1. Furono i re, all'inizio, a governare la città di Roma; la libertà e il consolato li istituí Lucio
Bruto ; la dittatura veniva assunta temporaneamente; il potere decemvirale non durò più di un
biennio, né durò a lungo il diritto consolare dei tribuni militari e neppure il potere assoluto di
Cinna o di Silla. Anche il potere personale di Pompeo e di Crasso presto passo a Cesare e le
forze di Lepido e di Antonio passarono nelle mani di Augusto, che con il titolo di primo cittadino
pose sotto il suo dominio una situazione logorata dalle discordie civili. Ma le vicende favorevoli
o avverse del popolo romano antico già furono narrate da scrittori illustri, e anche per
descrivere i tempi di Augusto non mancarono lucidi ingegni, finché non ne furono distolti dalla
crescente adulazione. La storia di Tiberio e di Caligola, di Claudio e di Nerone, fu composta
sotto il segno della falsità: per paura, mentre erano al potere, per l'odio recente, quando furono
morti. Di qui il mio proposito di illustrare pochi tratti relativi ad Augusto, gli ultimi della sua vita,
e poi il principato di Tiberio e tutto il resto, senza avvrersione e senza simpatia, sentimenti le
cui motivazioni mi sono lontane.
2. Quando, uccisi Bruto e Cassio, non ci fu piú nessun esercito dello Stato e Sesto Pompeo fu
vinto nel mare di Sicilia, al partito cesariano, spogliato Lepido di ogni potere e ucciso Antonio,
restò come unico capo Cesare Ottaviano: egli allora, deposto il titolo di triumviro e
presentandosi come console e come uno che per difendere la plebe si accontentava del diritto
tribunizio, si conquistava via via i soldati con le gratifiche, il popolo con i donativi di grano e
tutti con la dolcezza della pace, attuando una progressiva scalata al potere che si fondava
sull'attribuzione a se stesso delle prerogative del senato, dei magistrati, delle leggi: e nessuno
faceva opposizione, poiché i più determinati erano caduti nelle battaglie o in seguito a
proscrizioni e gli altri appartenenti alle famiglie nobili, in continua ascesa grazie alle ricchezze
e agli onori, tanto piú quanto piú disponibili a lasciarsi asservire, e gratificati dal recente
rivolgimento, preferivano la sicurezza del presente ai pericoli del passato. Neppure le province
rifiutavano il nuovo assetto dello Stato, per la sfiducia nell'autorità del senato e del popolo
romano dopo tante lotte di potere e tanta avidità dei magistrati, senza un v alido intervento delle
leggi, sconvolte da violenza, intrighi e infine dalla corruzione.
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3. D'altronde Augusto aveva predisposto una serie di sostegni alla sua posizione di potere.
Aveva dato prestigio a Claudio Marcello, figlio della sorella, con la nomina a pontefice ed edile
curule, e ad Agrippa, uomo di origini oscure ma ottimo soldato e suo compagno di vittorie, con
due successivi consolati e più tardi, morto Marcello, scegliendolo come genero. Conferí ai
figliastri, Tiberio Nerone e Claudio Druso, l'ambito titolo di “generale vittorioso”, e questo
quando la sua famiglia non era ancora stata toccata dai lutti.
Aveva infatti adottato ì figli di Agrippa, Gaio e Lucio, facendoli entrare nella famiglia dei Cesari,
e prima ancora che deponessero la pretesta degli adolescenti aveva desiderato ardentemente,
pur fingendo il contrario, che ricevessero il titolo di principi della gioventú e fossero destinati al
consolato. Ma Agrippa mori e Lucio Cesare fu rapito da morte prematura o dal veleno di Livia,
la matrigna, mentre stava raggiungendo le truppe in Spagna. La stessa sorte ebbe Gaio
Cesare che tornava ferito dall'Armenia. Poiché Druso era già morto, unico figliastro rimase
Tiberio Nerone, che si trovò al centro di tutti gli onori, adottato come tiglio, nominat o collega
nel governo e nella potestà tribunizia, presente in immagine presso tutti i reparti dell'esercito, e
non piú come prima per gli occulti maneggi della madre che ormai interveniva scopertamente
in suo favore. Aveva infatti reso succube Augusto a un punto tale da fargli relegare a Pianosa
l'unico nipote, Agrippa Postumo, privo, è vero, di qualsiasi istruzione e stupidamente
orgoglioso della sua forza fisica, ma non colpevole di nulla.
E tuttavia Augusto aveva scelto
Germanico, figlio di Druso, come comandante delle otto legioni sul Reno e aveva imposto che
Tiberio lo adottasse, pur avendo un figlio suo ancora giovane, sempre allo scopo di
moltiplicare i suoi punti di forza.
Non vi era nessuna guerra in atto, in quel periodo, tranne le operazioni contr o i Germani,
condotte piú per cancellare l'onta dell'esercito andato perduto con Quintilio Varo che per
allargare il territorio dell'impero o perché ne valesse la pena. In Italia regnava la tranquillità, le
cariche dello Stato non avevano cambiato nome; i piú giovani erano nati dopo la vittoria di Azio
e gli anziani per lo piú durante le guerre civili: dei cittadini che avevano conosciuto la
repubblica, quanti ne erano rimasti ?
4. Rovesciata la struttura dello Stato non rimaneva piú traccia delle antiche t radizioni di
moralità. L'uguaglianza era scomparsa, tutto dipendeva dalla volontà del principe, senza motivi
di preoccupazione per tutto il periodo in cui Augusto, nel pieno delle sue forze fu in grado di
governare la sua esistenza personale la sua famiglia e la pace. Ma in età piú avanzata
cominciò a risentire del declino fisico e quando si avvicinò la fine si rinnovarono le speranze.
Alcuni, una minoranza, parlavano a vanvera di repubblica, molti temevano un conflitto, altri lo
desideravano, la maggioranza diffondeva le voci piú diverse sui prossimi padroni. Agrippa
Postumo era un animale, furioso per l'oltraggio subito, e del resto non era all'altezza di una
cosí enorme responsabilità, né come età né come esperienza della vita; Tiberio Nerone era un
uomo maturo, già visto all'opera come militare, ma in lui era innata l'antica superbia dei Claudii
e, benché repressi, cominciavano a manifestarsi dei sintomi di crudeltà. Allevato a corte fin dai
primi anni, ancora giovane era stato colmato di consolati e di trionfi, e anche negli anni che
aveva fatto l'esule a Rodi, simulando di essersi ritirato a vita privata, era vissuto di risentimenti,
di ipocrisia e di perversioni nascoste. In piú c'era la madre, femminilmente imperiosa:
sarebbero stati schiavi di una donna e di due ragazzetti che intanto avrebbero pesato sullo
Stato e un giorno l'avrebbero dilaniato.
Trad. di L. Lenaz, Torino, Einaudi Plèiade, 2003.
Tac., Ann., 4, 1-3. Ritratto di Seiano (per cf. con ritratto Sall. Catilina 5)
Initium et causa penes Aelium Seianum cohortibus praetoriis praefectum cuius de potentia supra memoravi:
nunc originem, mores, et quo facinore dominationem raptum ierit expediam. genitus Vulsiniis patre Seio
Strabone equite Romano, et prima iuventa Gaium Caesarem divi Augusti nepotem sectatus, non sine
rumore Apicio diviti et prodigo stuprum veno dedisse, mox Tiberium variis artibus devinxit adeo ut obscurum
adversum alios sibi uni incautum intectumque efficeret, non tam sollertia quippe isdem artibus victus est
quam deum ira in rem Romanam, cuius pari exitio viguit ceciditque. corpus illi laborum tolerans, animus
audax; sui obtegens, in alios criminator; iuxta adulatio et superbia; palam compositus pudor, intus summa
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apiscendi libido, eiusque causa modo largitio et luxus, saepius in dustria ac vigilantia, haud minus noxiae
quotiens parando regno finguntur.
Vim praefecturae modicam antea intendit, dispersas per urbem cohortis una in castra conducendo, ut simul
imperia acciperent numeroque et robore et visu inter se fiducia ipsis, in ceteros metus oreretur. praetendebat
lascivire militem diductum; si quid subitum ingruat, maiore auxilio pariter subveniri; et severius acturos si
vallum statuatur procul urbis inlecebris. ut perfecta sunt castra, inrepere paulatim militaris animos adeundo,
appellando; simul centuriones ac tribunos ipse deligere. neque senatorio ambitu abstinebat clientes suos
honoribus aut provinciis ornandi, facili Tiberio atque ita prono ut socium laborum non modo in sermonibus,
sed apud patres et populum celebraret colique per theatra et fora effigies eius interque principia legionum
sineret.
Ceterum plena Caesarum domus, iuvenis filius, nepotes adulti moram cupitis adferebant; et quia vi tot simul
corripere intutum dolus intervalla scelerum poscebat. placuit tamen occultior via et a Druso incipere, in quem
recenti ira ferebatur. nam Drusus impatiens aemuli et animo commotior orto forte iurgio intenderat Seiano
manus et contra tendentis os verberaverat. igitur cuncta temptanti promptissimum visum ad uxorem eius
Liviam convertere, quae soror Germanici, formae initio aetatis indecorae, mox pulchritudine praecellebat.
hanc ut amore incensus adulterio pellexit, et postquam primi flagitii potitus est neque femina amissa pudicitia
alia abnuerit, ad coniugii spem, consortium regni et necem mariti impulit. atque illa, cui avunculus Augustus,
socer Tiberius, ex Druso liberi, seque ac maiores et posteros municipali adultero foedabat ut pro honestis et
praesentibus flagitiosa et incerta expectaret. sumitur in conscientiam Eudemus, amicus ac medicus Liviae,
specie artis frequens secretis. pellit domo Seianus uxorem Apicatam, ex qua tres liberos genuerat, ne paelici
suspectaretur. sed magnitudo facinoris metum, prolationes, diversa interdum consilia adferebat.
4. 1. Sotto il consolato di Caio Asinio e Caio Antistio, trascorreva per Tiberio il nono anno di
pubblica quiete e di prosperità della sua famiglia, poiché anche la morte di Germanico egli metteva
nel numero delle circostanze favorevoli, quando improvvisamente la fortuna parve oscurarsi e
Tiberio stesso cominciò ad incrudelire e ad incoraggiare le crudeltà degli altri. Causa prima di tutto
ciò fu Elio Seiano, prefetto delle coorti pretorie, della potenza del quale ho già parlato, mentre ora
darò notizia dell'origine e dei costumi di lui, e dirò da quale delitto egli prese le mosse per usurpare
il potere. Era nato a Volsinio ed ebbe come padre Seio Strabone, cavaliere romano; nella prima
gioventù aveva seguito le parti di Caio Cesare, nipote del divo Augusto, e, secondo quanto si
mormorava, si era prostituito per denaro ad un ricco scialacquatore di nome Apicio; più tardi aveva
attratto a sé Tiberio con tanta scaltrezza, che quello, impenetrabile per gli altri, divenne per lui solo
confidente ed aperto, il che accadde non tanto per l'accortezza di Seiano, che fu poi sopraffatto
dalle medesime arti, quanto per l'ira degli dei contro l'impero di Roma, alla quale egli fu
egualmente nefasto sia nel pieno della potenza sia nel precipizio della rovina. Sopportava
facilmente le fatiche fisiche, era di animo audace, sapeva nascondere le cose sue, mentre si
levava accusatore degli altri; adulatore e parimenti pieno d'orgoglio; esteriormente teneva un
contegno di composta riservatezza, mentre dentro di sé ardeva di cupidigia di conquista, e a
questo fine volgeva ora la prodigalità e il fasto, più spesso la solerzia e la vigilanza, qualità queste
non meno pericolose di quelle, ogni qual volta si creano ad arte allo scopo di impadronirsi del
potere.
2. Accrebbe l'importanza della carica di prefetto, che prima era modesta, riunendo in un solo
alloggiamento le coorti disperse per la città, perché ricevessero in un sol tempo i comandi, e
perché dal numero, dalla forza, e dal vedersi reciprocamente venisse sicurezza a loro e paura agli
altri. Giustificava la cosa dicendo che i soldati, quando sono isolati, tendono a svincolarsi dalla
disciplina e che, se all'improvviso fosse piombato addosso qualche pericolo, maggior aiuto
sarebbe venuto se tutti insieme fossero corsi al riparo. I soldati, poi, avrebbero tenuto un più
severo regime di vita, se si fossero posti i campi lontano dagli allettamenti delle città. Quando gli
alloggiamenti furono pronti, a poco a poco Seiano cominciò ad insinuarsi nell'animo dei soldati,
avvicinandosi a loro e chiamandoli per nome; nello stesso tempo andava scegliendo egli stesso i
centurioni e i tribuni. Non si tratteneva nemmeno dal brigare l'appoggio dei senatori, per
provvedere ai suoi clienti onori o provincie; Tiberio, infatti, era così arrendevole e così ben disposto
verso di lui, che non solo nei suoi discorsi lo elogiava come collega delle sue fatiche, ma lo lodava
presso i senatori e presso il popolo e permetteva che le imagini di lui fossero onorate nei teatri
nelle piazze, e fra le insegne stesse delle legioni.
3. La casa dei Cesari, d'altra parte, era ricca di gente, il figlio giovane e i nipoti adolescenti
costituivano un freno al soddisfacimento delle brame di Seiano e, poiché era pericoloso
sopprimere con la violenza tante persone contemporaneamente, la frode imponeva intervalli di
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tempo fra un delitto e l'altro. Decise, perciò, di intraprendere una via più occulta e di incominciare
da Druso, contro il quale lo animava una causa recente di rancore. Druso, infatti, intollerante di
rivali e di indole un po' troppo impulsiva, sorto per caso un litigio, aveva mostrato i pugni a Seiano,
e gli aveva dato un ceffone mentre reagiva. Dopo aver, dunque, misurato tutte le possibilità, parve
a Seiano mezzo più facile volgere i suoi tentativi verso Livia, moglie di Druso e sorella di
Germanico, che, per quanto non bella nella fanciullezza, più tardi, invece, superò tutti
nell'avvenenza del corpo. Seiano, fingendosene fortemente innamorato, trasse costei all'adulterio,
e, dopo che l'ebbe compromessa con la prima scelleratezza, poiché una donna, quando ha
perduto il suo onore, non sa rifiutare più nulla, la spinse all'assassinio del marito con la speranza di
una unione nel matrimonio e nel regno. E costei, nipote di Augusto, nuora di Tiberio, madre dei figli
di Druso, contaminava sé e i suoi antenati e i suoi discendenti con un amante venuto da un
municipio, nella brama di mutare la chiara dignità della sua presente situazione, con l'oscura
atmosfera del delitto. Fu sollecitata la confidenza di Eudemo, amico e medico di Livia,
assiduo con lei in segreti colloqui col pretesto di esercitare l'arte sua, mentre Seiano
ripudiava la moglie Apicata dalla quale aveva avuto tre figli, perché non incorresse nel
sospetto dell'amante. Nonostante ciò, la stessa gravità del delitto portava con sé paura,
dilazioni e talvolta anche contrastanti disegni.
Trad. di B. Ceva, Milano, Rizzoli, 1981, 1985 2.
Tac., Ann., 4, 32-33. Tacito e la sua opera rispetto agli storici che l'hanno preceduto
Pleraque eorum quae rettuli quaeque referam parva forsitan et levia memoratu videri non nescius sum: sed
nemo annalis nostros cum scriptura eorum contenderit qui veteres populi Romani res composuere. ingentia
illi bella, expugnationes urbium, fusos captosque reges, aut si quando ad interna praeverterent, discordias
consulum adversum tribunos, agrarias frumentariasque leges, plebis et optimatium certamina libero egressu
memorabant: nobis in arto et inglorius labor; immota quippe aut modice lacessita pax, maestae urbis res et
princeps proferendi imperi incuriosus erat. non tamen sine usu fuerit introspicere illa primo aspectu levia ex
quis magnarum saepe rerum motus oriuntur.
Nam cunctas nationes et urbes populus aut primores aut singuli regunt: delecta ex iis et consociata rei
publicae forma laudari facilius quam evenire, vel si evenit, haud diuturna esse potest. igitur ut olim plebe
valida, vel cum patres pollerent, noscenda vulgi natura et quibus modis temperanter haberetur, senatusque
et optimatium ingenia qui maxime perdidicerant, callidi temporum et sapientes credebantur, sic converso
statu neque alia re Romana quam si unus imperitet, haec conquiri tradique in rem fuerit, quia pauci prudentia
honesta ab deterioribus, utilia ab noxiis discernunt, plures aliorum eventis docentur. ceterum ut profutura, ita
minimum oblectationis adferunt. nam situs gentium, varietates proeliorum, clari ducum exitus retinent ac
redintegrant legentium animum: nos saeva iussa, continuas accusationes, fallaces amicitias, perniciem
innocentium et easdem exitii causas coniungimus, obvia rerum similitudine et satietate. tum quod antiquis
scriptoribus rarus obtrectator, neque refert cuiusquam Punicas Romanasne acies laetius extuleris: at
multorum qui Tiberio regente poenam vel infamias subiere posteri manent. utque familiae ipsae iam
extinctae sint, reperies qui ob similitudinem morum aliena malefacta sibi obiectari putent. etiam gloria ac
virtus infensos habet, ut nimis ex propinquo diversa arguens. sed ad inceptum redeo.
32. [1] Non ignoro che la maggior parte degli avvenimenti da me narrati e di quelli che mi accingo a
narrare sembreranno forse poco importanti e indegni di memoria: ma nessuno vorrà paragonare i
miei annali colle opere degli scrittori che hanno raccolto gli antichi fasti del popolo romano. Quelli,
spaziando liberamente, ricordavano guerre grandiose, conquiste di città, uccisioni e catture di re,
oppure, all'interno, discussioni tra consoli e tribuni, leggi agrarie e frumentarie, lotte della plebe
contro il patriziato. [2] Il mio è un campo limitato, faticoso e senza gloria: una pace immutabile o
appena turbata fatti dolorosi in Roma e un principe noncurante di estendere i confini dell'impero.
Tuttavia non sarà stato inutile indagare quei casi, a prima vista insignificanti, dai quali spesso
hanno origine grandi avvenimenti.
33. [1] Tutte le nazioni e le città sono rette o dal popolo o dagli ottimati o da un solo: una forma di
governo composta di elementi scelti tra quelli ed insieme contemperati è più facile lodarla che
attuarla: o, se pure si realizza, non può essere durevole. [2] In passato allorché la forza era nelle
mani del popolo, o quando predominava il senato, era necessario conoscere bene l'indole della
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moltitudine e i modi per tenerla a freno; e coloro che meglio avevano studiato l'indole dei senatori e
dei grandi erano stimati abili politici e uomini pieni di saggezza. Ora che le condizioni sono mutate
e il governo di Roma non è molto diverso da una monarchia, vale la pena di raccogliere e di
tramandare questi fatti particolari, perché pochi distinguono colla propria intelligenza l'onesto dal
disonesto, l'utile dal dannoso; molti invece vengono ammaestrati dai casi altrui. [3] D'altra parte, se
questa narrazione porterà giovamento, certo non riuscirà dilettevole. Infatti le descrizioni di paesi,
le varie vicende delle battaglie, le morti gloriose dei capi avvincono gli animi dei lettori e li
ravvivano; mentre questo succedersi di ordini crudeli, di denunzie continue, di amicizie
menzognere, di innocenti tratti alla rovina sempre dalle medesime cause, non offre a me altra
possibilità che quella di un'esposizione monotona e tediosa. [4] Inoltre, gli scrittori dei fatti antichi
trovano raramente detrattorí, e non importa ad alcuno se tu abbia celebrato con più ardore
l'esercito cartaginese oppure il romano. Di molti invece, che sotto il governo di Tiberio patirono
supplizi o disonore, vivono ancora i discendenti: e, ammesso pure che le famiglie siano estinte, vi
sarà sempre qualcuno che, similmente corrotto, crederà si sia voluto colpire lui colla narrazione
degli altrui misfatti. Anche la gloria e la virtù hanno dei nemici, come se, quando sono vicine nel
tempo, facessero risaltare troppo i loro contrari. Ma ritorno al mio argomento.
Traduzione di A. Arici, Torino, Utet, 1952, 19692.
32. Non mi nascondo che molte delle vicende che ho narrato e che andrò narrando possono forse
sembrare insignificanti e non meritevoli di essere riferite. Nessuno però dovrebbe paragonare
questi miei annali con gli scritti di coloro che esposero le antiche vicende del popolo romano.
Quegli scrittori potevano con piena libertà descrivere scene di guerra, città espugnate, re sconfitti e
catturati, e se passavano alla politca interna, contrasti tra consoli e tribuni, leggi agrarie e
frumentarie, lotte tra la nobiltà e la plebe. La mia fatica invece è limitata da una visuale ristretta e
senza gloria: un periodo di pace stagnante o appena turbata, cupa l'atmosfera della capitale, un
imperatore non interessato a ingrandire l'impero. E tuttavia non sarà inutile conoscere a fondo
vicende a prima vista insignificanti da cui hanno spesso origine le spinte che portano a grandi
eventi.
33. Tutte le nazioni, infatti, e le città sono governate o dal popolo o dalla aristocrazia o da un
monarca. Una forma di governo risultante dalla fusione di questi elementi è piú facile esaltarla che
vederla realizzata, oppure, se si realizza, non può durare a lungo. Di conseguenza, quando la
plebe disponeva di forza politica era indispensabile conoscere la psicologia popolare e i metodi per
controllarla, quando viceversa prevaleva il senato, colui che conosceva a fondo la mentalità
delI’assemblea e dei singoli senatori era considerato un politico esperto nel valutare le diverse
circostanze. Ora che la situazione è cambiata, con una forma di governo che non è lontana da una
monarchia, anche l'indagine su questa cronaca minuta potrà avere una sua utilità. Sono pochi
coloro che riescono a distinguere in modo intelligente il bene dal male, l'utile da ciò che nuoce: i
piú imparano dall'esperienza altrui. E’ vero, però che un'opera del genere, senza dubbio destinata
ad essere proficua, offre pochissimo che possa avvincere il lettore. Le descrizioni dei paesaggi,
delle diverse fasi delle battaglie, della fine eroica dei capitani affascinano i lettori e non li stancano
mai: io invece devo allineare, come in un catalogo, ordini spietati, accuse incessanti, amicizie
bugiarde, innocenti rovinati, catastrofi. Le cause: sempre le stesse, e monotonia e uniformità
diventano inevitabili. Non basta: gli storici del passato vanno raramente incontro a censure, e a
nessuno importa se uno di essi abbia esaltato con piú simpatia la potenza militare di Roma o
quella di Cartagine. Ma molte persone che subirono condanna o infamia sotto Tiberio hanno i loro
discendenti ancora vivi, e anche ammesso che le famiglie siano estinte, si può sempre trovare
qualcuno pronto a riconoscersi in quei ritratti morali, pronto a pensare che parlando delle colpe
altrui si voglia colpire lui. Anche chi esalta la virtú si procura inimicizie quando sembra che voglia
dare addosso troppo da vicino a chi vive in modo opposto. Ma è tempo di ritornare alla mia storia.
Trad. di L. Lenaz, Torino, Einaudi Plèiade, 2003.
Tac., Ann., 6, 22. Destino e caso nelle vicende umane.
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Sed mihi haec ac talia audienti in incerto iudicium est fatone res mortalium et necessitate immutabili an forte
volvantur. quippe sapientissimos veterum quique sectam eorum aemulantur diversos reperies, ac multis
insitam opinionem non initia nostri, non finem, non denique homines dis curae; ideo creberrime tristia in
bonos, laeta apud deteriores esse. contra alii fatum quidem congruere rebus putant, sed non e vagis stellis,
verum apud principia et nexus naturalium causarum; ac tamen electionem vitae nobis relinquunt, quam ubi
elegeris, certum imminentium ordinem. neque mala vel bona quae vulgus putet: multos qui conflictari
adversis videantur beatos, at plerosque quamquam magnas per opes miserrimos, si illi gravem fortunam
constanter tolerent, hi prospera inconsulte utantur. ceterum plurimis mortalium non eximitur quin primo
cuiusque ortu ventura destinentur, sed quaedam secus quam dicta sint cadere fallaciis ignara dicentium: ita
corrumpi fidem artis cuius clara documenta et antiqua aetas et nostra tulerit.
Quando sento discorsi del genere mi riesce arduo decidere se le vicende umane siano regolate dal destino,
ossia da una legge immutabile, o dal caso. Le opinioni dei filosofi antichi e dei loro seguaci sono
contraddittorie: molti sono convinti che gli dei non si curino della nostra nascita, della morte, dell'umanità
insomma, e questo spiegherebbe che cosí spesso ai buoni tocchi l'infelicità, ai peggiori il successo. Altri
invece ritengono che esista un nesso tra il destino e gli eventi, non però per l'influenza dei moti delle stelle,
ma per una spinta iniziale cui si lega una concatenazione di fattori naturali. Siamo noi a scegliere il genere di
vita, ma, una volta avvenuta la scelta, la serie delle conseguenze è prefissata. Il volgo, dicono, non sa
valutare la felicità e la sventura: molti, travagliati dalle avversità, sono felici se riescono a sopportare con
fermezza il destino avverso, i più sono infelicissimi anche tra le ricchezze, se vivono da stolidi in mezzo alla
loro fortuna. La maggioranza pensa comunque che rutto il futuro sia stabilito al momento della nascita e che
se la realtà è poi diversa da quanto viene predetto la colpa è di chi predice cose che ignora. Così si scredita
un'arte di cui abbiamo testimonianze insigni antiche e contemporanee.
Trad. L. Lenaz, Einaudi Pléiade, 2003.
A. Michel, Tacito e gli dei, Tacito e il destino dell’impero, Torino, PBE, 1973 (orig. 1966) (BCTV)
L'amore della bellezza che è nell'animo di Tacito lo porta ad unire il rispetto platonico per una nobiltà ideale e
il realismo attivo dei costumi romani. Questo equilibrio, o questa tensione, dovrebbe comparire anche nelle
sue concezioni religiose. Perché non è facile unire in tal modo il sublime e la lucidità - i due aspetti tanto
spesso contraddittori della condizione umana.
Ora, a leggere Tacito, sembra dapprima ch'egli abbia disperato 12. Il mondo che descrive sembra sia privo
di dei, maledetto dagli dei. Poiché infine questi ultimi non intervengono per combattere i delitti; assistono
placidamente agli scandali della storia e non vengono a recare alcun conforto al fervore umano. Che cosa
dice Tacito nella prefazione delle Storie? «Era sempre la collera degli dei, unita alla follia degli uomini». Che
cosa dice proprio prima che Agrippina sia uccisa dal figlio? «Gli dei prepararono una notte splendente di
stelle... quasi per provare il delitto ». Ironia? Disperazione? Altrove l'autore sottolinea l'equanimità
(«aequalitas», Ann. XVI 33) di cui gli dei fanno prova di fronte alle disgrazie della gente dabbene. Tutto ciò
sembra attestare sia lo scetticismo sia, più tragicamente, la disperazione che si accorderebbe agevolmente
con l'altera tristezza che conosciamo al nostro autore.
Tuttavia recenti ricerche hanno dimostrato che questo atteggiamento meritava un'interpretazione piú
sfumata. Infatti, anche qui Tacito è l'uomo d'una cultura, d'una tradizione filosofica: è al suo seguito che il
suo carattere si forma e si esprime. Bisogna dunque studiarlo in primo luogo per capire esattamente quel
che vuol dire lo storico.
Prima di Tacito i romani si sono posti delle domande sul significato della loro religione. Cicerone ha scritto un
trattato sulla natura degli dei, e Varrone, nelle Antichità romane, ha cercato di spiegare la teologia della sua
patria. Il libro di Cicerone ci è pervenuto e conosciamo attraverso alcuni scritti di sant'Agostino la sostanza
del pensiero varroniano. Tacito aveva certamente studiato queste opere fondamentali. D'altra parte doveva
essere al corrente delle speculazioni della filosofia del tempo, di cui conosciamo diversi aspetti grazie alle
opere di Plutarco che, per l'appunto, s'ispirava alla filosofia platonica come fa il nostro autore, specialmente
nel Dialogo. In particolare Plutarco aveva composto un trattato Sul carattere tardivo delle punizioni inflitte
dagli dei; gli si attribuisce anche un'opera sul destino 13 . È dunque verosimile che il pensiero religioso di
Tacito si riferisca, senza che ciò sia espressamente indicato, a delle dottrine coerenti se non sistematiche.
Questa ipotesi risulta almeno in parte provata se si esamina la concezione del destino nello storico. Tacito
l'espone in un testo celebre (Ann. VI 28): Tiberio consultava gli astrologi (che a volte gettava in mare dopo
aver sentito i loro consigli; uno di loro, Trasillo, sfuggí a questa sorte perché aveva saputo predire il pericolo
in cui sarebbe incorso). A proposito di questi aneddoti, Tacito si pone il problema della fede che bisogna
avere nelle elucubrazioni degli astrologi. Sottolinea in primo luogo che in proposito tutto è incerto: non
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sarebbe possibile avere alcuna certezza. In queste condizioni, si può, con gli epicurei, negare risolutamente
l'esistenza d'un destino predeterminato e, perciò, delle predizioni astrologiche (perché non possono esistere,
se l'avvenire resta indeterminato). Ma gli stoici hanno un diverso atteggiamento: credono ad una
concatenazione necessaria delle cause; ritengono quindi che l'avvenire sia determinato in anticipo, che l'oggi
è gravido del domani; ammettono in tal modo la realtà del destino che si confonde precisamente con questa
concatenazione di fatti, la cui rigorosa necessità è legata alla natura delle cose. Senza dubbio la maggior
parte degli uomini sono incapaci di cogliere il senso di questa necessità, ma ciò avviene perché non sanno
discernere la vera connessione che esiste tra gli avvenimenti. In effetti, essi analizzano male questi ultimi: le
passioni o l'ignoranza turbano il loro giudizio; se fossero piú lucidi, vedrebbero che tutte le cose sono
connesse tra loro 14 .
Tacito non dà per certa questa dottrina; ma indica che la trova verosimile e fondata su una certa esperienza.
E tutta la sua opera storica ci lascia intravvedere qual è questa esperienza.
È per questo che ci sono dei prodigi; è per questo che sotto il regno di Nerone si seccano degli alberi o che
dopo il matricidio egli sente delle trombe misteriose che annunziano forse la sua condanna 15. Certo, Tacito
non dà questi fatti per certi e i prodigi possono ricevere anche delle spiegazioni naturali; Tacito prende
sempre la precauzione di considerare una spiegazione razionale e non religiosa: ma si sente che questo non
lo soddisfa del tutto.
D'altra parte, basta tener presente un fatto: in Tacito i cattivi sono sempre puniti; gli uni rimangono presi nei
loro stessi intrighi e ne muoiono: cosí Messalina; gli altri sono abbattuti dalla rivolta delle loro vittime: cosí
Nerone. Qualcuno, come Tiberio, sembra esser morto di morte naturale; ma ricordiamo con quale
compiacenza ci vengono descritti gli incredibili dolori causati loro dalla coscienza. No, i cattivi non sono felici.
La loro sorte è tragica: Seneca ci aveva già pensato nel comporre l'opera teatrale che li descriveva sotto i
nomi di Atreo e di Tieste, di Eteocle e di Polinice, i fratelli nemici.
Il fatto è che la concezione stoica del destino, alla quale Tacito sembra aderire sia pure con qualche
precauzione intellettuale, giunge a sottolineare la completa responsabilità degli uomini in tutto quel che
accade loro. Potrebbe riassumersi nella formula ben nota: i nostri atti ci perseguitano. Non sfuggiamo mai, in
effetti, alla concatenazione rigorosa delle loro conseguenze, e in tal modo forgiamo noi stessi il nostro
avvenire. Capita a volte che le circostanze, uscite dalla lenta maturazione del passato, ci lascino un certo
margine di libertà: Nerone avrebbe potuto scegliere tra il crimíne e la saggezza. Ha optato per il crimine e
forgiato in tal modo il proprio destino, che le porterà all'uccisione di Seneca e al disastro. Il nostro destino,
sono i nostri atti. Gli dei non hanno nulla a che fare in tutto ciò, se non dare la luce. II cielo puro e cosparso
di stelle che sovrasta l'assassinio di Agrippina è là per attestare che Nerone sta preparando la sua rovina.
Ciò spiega quella serenità che alcuni rimproverano agli dei e che in realtà costituisce a volte una forma della
loro collera, e la piú temibile delle punizioni. Non è che siano indífferenti, come pensava Epicuro, ma non
hanno bisogno di intervenire: lo sguardo degli dei resta tranquillo, e sono i cattivi che prima o poi gridano di
paura, d'inquietudine, d'odio; di sofferenza.
Sicché tutta l'opera di Tacito è dominata da questa terribile serenità degli dei. Sono gli uomini e soprattutto i
cattivi che si mostrano pessimisti. I giusti, dal canto loro, attendono la morte coronati di fiori, come dice.
Materno nel Dialogo ( 13): qualunque cosa accada; credono a quella invincibile purezza che le brutture
terrestri non possono contaminare. Disperano a volte degli altri uomini, e soffrono per questo; ma non
disperano né di se stessi né degli dei.
Ma allora chi sono gli dei? È difficile trovare una risposta. Cicerone e Varrone s'erano già posti il problema
della loro esistenza reale. Gli stoici o gli scettici avevano pensato, in modi diversi, ch'essi non sono forse
altro che delle allegorie della natura e delle sue grandi forze - il fuoco, la terra, il mare, gli astri - od anche a
volte delle immagini degradate dalla superstizione umana. Tacito non è abbastanza esplicito su questo
punto perché si possa giungere a delle conclusioni precise. Tuttavia si nota che l'autore della Germania
insiste sulla coincidenza di certi culti barbari con la teologia romana. Sottolinea anche che i germani sono
vicini alla natura, ammira il fatto che alcuni di loro adorino la terra o facciano a meno dei templi per andare a
pregare gli dei nelle foreste. Altre volte e in altro luogo, rievoca il culto del sole` o di Venere. È precisamente
Tito, che piú tardi sarà reso celebre da Berenice, che s'interessa a Venere (Hist. II, 2 sgg.). E a questo punto
si è tentati di chiedersi se Tacito non si lasci andare a qualche ironia. Una sfumatura analoga appare in un
altro passo: si tratta dell'oracolo di Alessandria, consultato da Vespasiano, cui predice l'Impero: chi può
essere il grande dio che cosí si esprime in quel santuario egiziano? Ogni popolo gli dà un nome diverso. Per
gli egiziani è Osiride, per i greci Zeus o Esculapio. Si nota d'altra parte che mostra un particolare favore per
gli iniziati ai misteri eleusini e non ci si stupisce di questa notazione, dal momento che i nomi stessi di queste
divinità evocano i culti misterici e le religioni di salvezza. Tacito finisce (Hist. IV 83) con l'identificarlo con
l'antico dio romano Dispater che rappresenta in particolare la fecondità della terra. In un testo del genere si
può vedere in primo luogo la preoccupazione di fondare una sorta di sincretismo servendosi delle tecniche
della mitologia comparata. Non ci facciamo beffe di questo metodo: è pressappoco quello che utilizzano i
sociologi moderni quando vogliono accostare i culti dei diversi popoli per trarne delle conclusioni sulle
strutture del pensiero religioso 17.
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Ma se si è letto Cicerone (De natura deorum II 66), ci si accorge che per questo autore, che s'ispirava a
considerazioni etimologiche, Dispater era per eccellenza il dio ricco (dives). Questa concezione forse
scandalizzava Tacito, cosí come talune osservazioni analoghe dovevano piú tardi suscitare l'indignazione di
sant'Agostino, anch'egli amante della povertà. E qui basta pensare all'avarizia di Vespasiano, questo devoto
di Dispater 18 ...
Gli dei a volte giocano agli uomini tiri di questo genere: li lusingano nelle loro passioni senza per questo
approvarli. E da parte loro gli uomini barano con i messaggi divini. E’ cosí che, all'incirca nello stesso
momento, Vespasiano non ha esitato a compiere un miracolo 19 che ha reso grandi servigi alla sua
propaganda: ha guarito, toccandoli, un cieco e un paralitico. Tacito non nega il fatto: dice soltanto che dei
medici avevano senza dubbio suggerito all'imperatore un metodo naturale d'intervento. Indica che
Vespasiano ha esitato e che è rimasto come sorpreso dal successo del suo intervento. Questo esempio
bizzarro, che il nostro autore trae dalla storiografia flaviana, porta alla seguente conclusione principale:
quando gli dei vogliono dare la loro investitura ad un uomo, gli dànno a volte i mezzi per compiere dei
miracoli; ma lui non sa molto bene come questo accada: è lo strumento del destino, non il suo padrone;
peggio ancora, lo « trucca » perché lo utilizza per il suo uso personale, perché presenta come miracolo
quello che non era altro che un effetto naturale voluto dagli dei. Le cose vanno spesso cosí nella vita dei
principi: essi si assimilano agli dei, simulano di governare non solo gli uomini ma anche gli stessi elementi.
Tacito non sembra aderire a questa sorta di idolatria: per lui i principi sono gli agenti del destino; ma sono
umani, troppo umani e proprio questo impedisce loro di governarlo.
Sí, gli dei lusingano a volte i potenti; ma li puniscono sempre. Come segnalava Plutarco nel libro che scrisse
su questo argomento, essi hanno ad ogni modo una fine assicurata: la condanna agli Inferi. Perché, a stare
a quanto sostenevano i platonici, le anime sono immortali. E Trasea forse lo pensava, poiché nelle ultime
righe degli Annali quali ci sono pervenuti, sul punto di morire, parlava con Demetrio del Fedane di Platone, il
piú bel libro che sia stato scritto sull'immortalità.
Sottolineamo tuttavia che Tacito, per quanto platonico sia talvolta, non va mai sino al misticismo. Questa
riserva nei confronti delle piú alte affermazioni della religione si spiega senza dubbio mene col suo
positivismo che con la preoccupazione di restare fedele alla religio tradizionale della sua patria. Il misticismo
era estraneo ai vecchi romani; si sviluppò, insieme all'inquietudine religiosa e morale, in certi ambienti dal
tempo di Nerone, influenzati specialmente dai «misteri » orientali. Come hanno mostrato recenti ricerche 20 ,
sono verosimilmente pratiche del genere che spiegano il matrimonio di Messalina con Silio ovvero certi
disordini attribuiti a Nerone. Si trattava forse di «nozze mistiche» che per i loro adepti restavano pure o si
situavano al di là del bene e del male. Ma Tacito finge di ignorare il significato di questi tentativi religiosi, e li
dipinge come puri e semplici effetti della lubrícità. Giovenale procede allo stesso modo descrivendo nella
sua satira II il « matrimonio mistico » - e omosessuale - d'un certo Gracco. Anche qui, un autore
tradizionalista ostenta uno stato d'animo positivista di fronte alle audacie della «società neroniana».
Ammettiamo che, se non l'onestà intellettuale, la ragione, cara ai vecchi giuristi romani, forse se ne
avvantaggia.
D'altra parte dobbiamo comprendere che questo atteggiamento ostile al misticismo è ispirato all'autore da
delle ragioni storiche e non esclude una certa credenza nel divíno, piuttosto che negli dei. Tacito, a giudicare
da quel che sappiamo in genere del suo pensiero, è diviso tra 1'ínflusso di Cicerone e quello degli stoici.
Questi ultimi riconoscono negli dei delle grandi forze naturali. Cicerone, nel De natura deorum 21 precisa
tuttavia che la loro esistenza individuale, anche se in una certa misura resta verosimile, non è certa. Ma
insiste al tempo stesso con fermezza - come tutti gli autori romani, compreso Lucrezio - sulla esistenza e il
valore del divino, sul primato del sacro.
Che cosa importa dunque il nome che ogni setta dà al sacro. Basta che esista, basta che esista la purezza.
E su questo punto Tacito non ha dubbi. La purezza la trova in due categorie di esseri umani. In certe donne,
in primo luogo: già Seneca, nel suo trattato andato perduto Sul matrimonio, celebrava nelle migliori tra loro
questa insostituibile virtú: il pudore, la castità. Si sa quale pregio Tacito attribuisca a questi valori 22 . E poi
trova la purezza anche presso quei poeti che, come Virgilio o Materno, si rifugiano nella solitudine, in luoghi
puri e innocenti, per ritrovarvi il contatto diretto con la verità, con la dignità.
Ma questa stessa purezza può avere il suo rovescio. Può portare al fanatismo. E a questo punto dobbiamo
rievocare quella che costítuí forse una prova nella vita di Tacito. Si tratta del dramma degli ebrei. Tacito era
magistrato romano quando questi si rivoltarono contro i Flavi. Lungo tutto il corso della sua vita, egli ha
seguito dappresso la lotta disperata di questa nazione per salvare il suo dio, i suoi riti, il suo tempio. E senza
dubbio ne è stato commosso.
Tacito non approva la crudeltà. Il testo famoso (Ann. XV 44) in cui descrive la persecuzione degli ebrei di
Roma (e in particolare dei cristiani) da parte di Nerone che, nel 64, li accusò di aver incendiato Roma e li
trasformò in torce viventi nei giardini del Vaticano, attesta 1'indignazione dello storico. Questi si trova cosí
d'accordo con Plinio che, proconsole in Bitinia, consigliava la moderazione in una celebre lettera (X 96), cui il
principe dette seguito 23.
Ma già nelle Storie, all'inizio del libro V 2-9, Tacito aveva parlato degli ebrei. Aveva dato una descrizione
etnologica della loro nazione, immediatamente prima della grande guerra che Tito condusse contro di lei.
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Notiamo in primo luogo che è ben informato. È stato dimostrato che s'ispirava da una parte a scritti
neoplatonici, nello spirito di Plutarco, e dall'altra a certi autori ebrei come Flavio Giuseppe, che aveva
appassionatamente sostenuto la necessità di un avvicinamento tra i romani e gli ebrei 24 . Che cosa
rimprovera lo storico a questi ultimi? Il loro «odio del genere umano »: hanno rifiutato ogni accordo, ogni
compromesso col resto del mondo, ne hanno respinto gli dei, si sono rinchiusi in una orgogliosa solitudine.
Il nostro autore riprende qui una propaganda tradizionale che Giuseppe (o Filone d'Alessandria) avevano
combattuto invano. Ma al tempo stesso si accorge che gli ebrei possiedono al massimo grado un certo
austero rigore. Credono nell'immortalità, non si offendono mai gli uni con gli altri, dànno facilmente la loro
vita, non costruiscono né templi né immagini degli dei, disprezzano le raffigurazioni animalesche di cui si
compiacciono gli egiziani. Si pensa all'austerità delle piú dure popolazioni germaniche, e si sente su questo
punto l'ammirazione di Tacito 25.
Si può dunque misurare tutta l'estensione dell'errore di Nietzsche, che vedeva nel nostro autore un
precursore del razzismo. Di fatto Tacito è forse affascinato da questa rivolta della purezza. Perché lui stesso
è sceso a patti, ha accettato il destino, ha subito l'Impero. Ma si sente che entro di sé si pone la seguente
questione: dov'è la vera purezza? In questa rassegnazione dei saggi o nella fierezza dei martiri? La risposta
è crudele per gli ebrei, ma ponendo la questione, Tacito aveva saputo mostrarsi severo nei confronti dei
romani 26 .
__________________________
Note
12 Cfr. in particolare J. BEAUJEU, La religion de Pline le Jeune et de Tacite, in « Information littéraire », vm,
1956, pp. r49-55.
13 Su quest'ultimo trattato, cfr. D. AMAND, Fatalisme et liberté dans l'antiquité grecque, Louvain 1945
(anche se si tratta d'uno Pseudo-Plutarco, si può ritenere che quest'opera è stata pubblicata nell'epoca che
ci interessa).
14 Cfr. in proposito, A. MICHEL, La causalité historique chex Tacite, in « Revue des Etudes anciennes »,
LXI, z-z, gennaio-giugno 1959, pp. 9G-roG; Le Dialogue des orateurs de Tacite et la philosophie de Cicéron
cit., pp. zGo sgg. e bibliografia; si veda soprattutto w. THEILER, Tacitus und die antike Schicksalslehre, in
Phyllobolia fiir P. von der Múhll, Bàle 1946, pp. 35 sgg., e P. GRENADE, Le pseudo-épicurisme de Tacite, in
« Revue des Etudes anciennes », Lv, 1953, pp. 3G-57. Il celebre articolo di PH. FABIA, L'irréligion de Tacite,
in « Journal des Savants », XII, 1914, pp. 261 sgg., ci sembra giungere a dei risultati erronei precisamente
perché trascura di comparare il pensiero di Tacito (peraltro analizzato in se stesso con precisione) con
l'ideologia del suo tempo. P. Beguin, insistendo in diversi articoli (« Antiquité classique », 1951, 1954, 1955)
sul «positivismo» di Tacito mette giustamente l'accento sul carattere scientifico del pensiero tacitiano, ma
bisogna anche sottolineare l'influenza che ebbe sullo storico l'inquietudine religiosa provata dai suoi
contemporanei. Da parte sua Paratore utilizza a ragione l'articolo di Theiler per mostrare il posto del
pessimismo religioso negli Annali (pp. 524 sgg.). D'altro canto egli mette in luce l'importanza dell'ira deorum
e di conseguenza della giustizia divina nelle Storie (pp. 403 sgg.). Ma se è vero, come mostra Paratore, che
Tacito evolve alla fine della sua vita verso un crescente pessimismo, bisogna rendersi ben conto che lo fa
all'interno d'una stessa dottrina: la sua concezione della « collera degli dei » è filosofica e negli Annali (come
nelle Storie) si accorda con la sua concezione del destino (come sottolineano gli articoli citati all'inizio di
questa nota e in particolare quello di Grenade).
15 Il fico Ruminale si secca prima che appaiano nuovi germogli (Ann. XIII 58). È la conclusione del libro:
questo luogo è significativo. I rimorsi di Nerone, che secondo alcuni crede di udire delle trombe celesti, sono
evocati in Ann. XIV rr (cfr. cap. ix, nota r5). Un testo vicino è citato di solito come prova dello scetticismo di
Tacito. Si tratta dei prodigi che accompagnarono il parricidio e che non bastarono ad abbreviare il regno del
cattivo principe: « Adeo sine cura deum eveniebant » (« Tante cose avvenivano senza che gli dei se ne
curassero»). Non si tratta certo qui d'un epicureismo risoluto, perché Tacito allora eviterebbe di parlare di «
prodigi » che vanno contro questa dottrina dell'indifferenza divina. Per di piú, sarebbe in diretta
contraddizione con Ann. VI 28 (che, accordandosi con la dottrina d'un Plutarco, postula la possibilità d'una
«punizione tardiva» venuta dagli dei). È meglio quindi intendere: «Glí uomini che vedevano questi
avvenimenti si preoccupavano cosí poco degli dei» che non hanno compreso l'avvertimento e il regno ha
potuto continuare.
16 Gli dei dei germani: Germ. 9 sgg.; i boschi sacri e la terra madre: 39 sgg. Tacito tuttavia s'indigna per i
sacrifici umani; ammira manifestamente il fatto che i germani non accettino la pace e il riposo che quando si
raccolgono, per qualche giorno ogni anno, attorno alla dea; ma qualifica superstitio l'uso di rappresentare la
dea con dei simboli animaleschi (45), Sulla divinità del sole cfr. Hist. III 24 (le truppe di Antonio prima di
combattere salutano il sol levante: si tratta qui d'una allusione alle religioni orientali).
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17 Naturalmente secondo un metodo piú scientifico ed elaborato. Nondimeno la filosofia antica cercava a
suo modo di fondare una riflessione scientifica sulle somiglianze tra le varie religioni (cfr. per esempio
PLUTARCO, De Iside et Osiride). Aggiungiamo che Tacito si accontenta di applicare questo metodo in modo
alquanto sommario, come aveva potuto fare lo stesso Cesare (De bello gallico VI 16 sgg., 2r). Non si può
quindi essere sicuri di trovare nella sua opera tracce di quel sincretismo metodico che si svilupperà piú tardi
nella religione romana. Ricordiamo tuttavia che una delle fonti della Germania è l'opera del filosofo stoico
Posidonio, specialista dei problemi religiosi. Cfr. in proposito l'ed. rExxLr, pp. 82 sgg.
18 Sull'avaritia di Vespasiano (che non è mal vista), cfr. Ann. III 55; essa è presentata in modo meno
favorevole in Hist. II 5.
19 Miracoli di Vespasiano: Hist. IV 81 sgg. I medici hanno fatto davanti all'imperatore un sapiente
ragionamento: gli dei vorranno senza dubbio aiutare il principe che hanno eletto; allora il a miracolo » (che
egli compirà per altro con mezzi naturali e medici) servirà moltissimo alla sua causa. Se per caso fallisce
(l'ipotesi è presa in considerazione) saranno gli infermi - questi « infelici » - ad essere presi in giro. Come si
vede l'ironia di Tacito si esprime sempre allo stesso modo: gli dei agiscono mediante cause naturali che la
superstizione e le passioni degli uomini interpretano male. Di fatto Vespasiano aveva profittato del suo
soggiorno ad Alessandria per condurre un'intensa campagna di propaganda religiosa; cfr. FrLOSTxnTO, Vita
di Apollonio di Tiana V 30; J. cncF, La propagande sérapiste et la lutte des empereurs Flaviens avec les
philosophes (stoiciens et cyniques), in «Revue philosophique », gennaio 1959, pp. 73-100
20 Cfr. J. COLIN, Juvénal et le mariage mystique de Gracchus, in «Atti dell'Accademia di Torino», i955-56,
pp. t sgg.; m., Les vendanges dionysiaques et la légende de Messaline, in « Les Erodes classiques», xxm,
1956, pp. 25-39; W. nLt.rN jr, Nero's excentricities before the fire (Tac., XV, 37), in «Numen», rx, 1962, pp.
99-to9. cRnvtnL, in L'amour à Rome cit., ha precisato a proposito di Messalina che le nozze con Silio nella
loro presentazione mistica, riprendevano la tradizione della «vita inimitabile» istituita da Antonio, dal quale
l'imperatrice discendeva, nel tentativo di superare i valori comuni in una sorta d'imitazione di Bacco. Quando
si conosce il carattere di Tacito, si capisce com'egli si sia adombrato e non abbia nemmeno voluto
comprendere il senso d'un simile tentativo.
21 Cfr. da ultimo n. J. KLEYWEGT, Ciceros Arbeitsweise im zweiten und dritten Buch der Schrift De Natura
Deorum, Groningen 1961.
22 Cfr. P. FRASSINETTI, in «Rivista dell'Istituto Lombardo», 1955, pp, r5r-88. Sulle donne in Tacito, cfr. cap.
vtm. Sui poeti, cfr. Dial. zz. La stessa purezza, unita al rifiuto di vivere nelle città compare a volte presso i
germani.
23 A proposito di questa persecuzione, cfr. il recente studio di J. Beaujeu; cfr. anche tt. sticxHEx, Humanitas
romana, Heidelberg 1957, pp. 229 sgg.; ). s. BAUER, Tacitus und die Christen, in «Gymnasium», 1957, pp.
497-503= RONCONI, Tacito, Plinio e i Cristiani, in «Studi in onore di U. E. Paoli», Firenze 1955, pp. 615 sgg.
Per la restante bibliografia, cfr. QUESTA, Studi sulle fonti cit., pp. 163 sgg., ed anche x. xntvsLix, in « Wiener
Studien», 1963> PP. 92-IO8.
24 Consultare soprattutto n. M. HOSPERS-JANSEN, Tacitus over de Joden, Groníngen 1949 (cfr. le
osservazioni di rnxnTOxE, pp. 653 sgg., che attenua, senza respingerle interamente, le tesi di questo autore
relative alla pluralità delle fonti).
25 Certo, Tacito condanna risolutamente le istituzioni degli ebrei («mos absurdus sordidusque», IV 5). È
sufficientemente ben informato per respingere la credenza (che permise a volte ai primi cristiani di passare
inosservati) secondo la quale la religione giudaica è un aspetto dei culti bacchici resi a Liber Pater.
Quest'ultimo ha istituito dei riti gioiosi dai quali essi erano ben lontani. In breve, gli ebrei sono superstiziosi,
non religiosi (Hist. V r3).
Detto questo bisogna però mettere all'attivo degli ebrei questa frase: (poiché bandiscono le statue dai templi
e dalle città) « non dànno ai loro re questo segno d'adulazione, non rendono quest'onore ai Cesari ». Come
a proposito dei germani, Tacito descrive qui un caso estremo di libertà: per la sua stessa esagerazione
questo comportamento gli sembra da condannarsi e votato allo scacco. Ma sicuramente preferisce l'estrema
libertà all'estrema servitú e tutta l'evoluzione della sua opera sta a dimostrare che non si sente a suo agio
nelle forme intermedie di servitú.
26 È cosí che molto spesso lo storico pur accettando i suoi tempi, li condanna. Prende partito per Tito,
giunge persino a dire che la sconfitta degli ebrei è annunziata da degli oracoli divini, male interpretati. Le
profezie degli ebrei predicevano la vittoria dell'Oriente sull'Occidente: in realtà volevano parlare degli eserciti
di Vespasiano e di Tito (V z3). Ma aggiunge che la bassezza dei romani è superiore a quella delle loro
vittime. È lo stesso per quel che concerne i germani (cfr. Germ. 33). Aggiungiamo che tra i Flavi, Tiro è il
solo che sembra aver ottenuto l'ammirazione di Tacito. Questi, senza dubbio, riprende qui in parte la
propaganda di questo principe. Si può apprezzare il carattere sfumato di questa ideologia, che cercava
ancora di vedere quali fossero gli errori della colonizzazione.
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A. Michel, Tacito e gli dei, Tacito e il destino dell’impero, Torino, PBE, 1973 (orig. 1966) (BCTV)
Tac., Germ., 16-20. L'interesse etnografico
Nullas Germanorum populis urbes habitari satis notum est, ne pati quidem inter se iunctas sedes. colunt
discreti ac diversi, ut fons, ut campus, ut nemus placuit. vicos locant non in nostrum morem conexis et
cohaerentibus aedificiis: suam quisque domum spatio circumdat, sive adversus casus ignis remedium sive
inscitia aedificandi. ne caementorum quidem apud illos aut tegularum usus: materia ad omnia utuntur informi
et citra speciem aut delectationem. quaedam loca diligentius inlinunt terra ita pura ac splendente ut picturam
ac lineamenta colorum imitetur. solent et subterraneos specus aperire eosque multo insuper fimo onerant,
suffugium hiemis et receptaculum frugibus, quia rigorem frigorum eius modi loci molliunt, et si quando hostis
advenit, aperta populatur, abdita autem et defossa aut ignorantur aut eo ipso fallunt quod quaerenda sunt.
Tegumen omnibus sagum fibula aut, si desit, spina consertum: cetera intecti totos dies iuxta focum atque
ignem agunt. locupletissimi veste distinguuntur non fluitante, sicut Sarmatae ac Parthi, sed stricta et singulos
artus exprimente. gerunt et ferarum pelles, proximi ripae neglegenter, ulteriores exquisitius, ut quibus nullus
per commercia cultus. eligunt feras et detracta velamina spargunt maculis pellibusque beluarum, quas
exterior Oceanus atque ignotum mare gignit. nec alius feminis quam viris habitus, nisi quod feminae saepius
lineis amictibus velantur eosque purpura variant, partemque vestitus superioris in manicas non extendunt,
nudae brachia ac lacertos; sed et proxima pars pectoris patet.
Quamquam severa illic matrimonia, nec ullam morum partem magis laudaveris. nam prope soli barbarorum
singulis uxoribus contenti sunt, exceptis admodum paucis, qui non libidine sed ob nobilitatem plurimis nuptiis
ambiuntur. dotem non uxor marito, sed uxori maritus offert. intersunt parentes et propinqui ac munera
probant, munera non ad delicias muliebres quaesita nec quibus nova nupta comatur, sed boves et frenatum
equum et scutum cum framea gladioque. in haec munera uxor accipitur, atque in vicem ipsa armorum aliquid
viro adfert: hoc maximum vinculum, haec arcana sacra, hos coniugales deos arbitrantur. ne se mulier extra
virtutum cogitationes extraque bellorum casus putet, ipsis incipientis matrimonii auspiciis admonetur venire
se laborum periculorumque sociam, idem in pace, idem in proelio passuram ausuramque: hoc iuncti boves,
hoc paratus equus, hoc data arma denuntiant. sic vivendum, sic pariendum: accipere se quae liberis
inviolata ac digna reddat, quae nurus accipiant rursusque ad nepotes referantur. Ergo saepta pudicitia agunt,
nullis spectaculorum illecebris, nullis conviviorum irritationibus corruptae. litterarum secreta viri pariter ac
feminae ignorant. paucissima in tam numerosa gente adulteria, quorum poena praesens et maritis permissa:
abscisis crinibus nudatam coram propinquis expellit domo maritus ac per omnem vicum verbere agit;
publicatae enim pudicitiae nulla venia: non forma, non aetate, non opibus maritum invenerit. nemo enim illic
vitia ridet, nec corrumpere et corrumpi saeculum vocatur. melius quidem adhuc eae civitates, in quibus
tantum virgines nubunt et cum spe votoque uxoris semel transigitur. sic unum accipiunt maritum quo modo
unum corpus unamque vitam, ne ulla cogitatio ultra, ne longior cupiditas, ne tamquam maritum sed tamquam
matrimonium ament. numerum liberorum finire aut quemquam ex agnatis necare flagitium habetur, plusque
ibi boni mores valent quam alibi bonae leges.
In omni domo nudi ac sordidi in hos artus, in haec corpora, quae miramur, excrescunt. sua quemque mater
uberibus alit, nec ancillis ac nutricibus delegantur. dominum ac servum nullis educationis deliciis dignoscas:
inter eadem pecora, in eadem humo degunt, donec aetas separet ingenuos, virtus agnoscat. sera iuvenum
venus, eoque inexhausta pubertas. nec virgines festinantur; eadem iuventa, similis proceritas: pares
validaeque miscentur, ac robora parentum liberi referunt. sororum filiis idem apud avunculum qui apud
patrem honor. quidam sanctiorem artioremque hunc nexum sanguinis arbitrantur et in accipiendis obsidibus
magis exigunt, tamquam et animum firmius et domum latius teneant. heredes tamen successoresque sui
cuique liberi, et nullum testamentum. si liberi non sunt, proximus gradus in possessione fratres, patrui,
avunculi. quanto plus propinquorum, quanto maior adfinium numerus, tanto gratiosior senectus; nec ulla
orbitatis pretia.
16. [1] E' noto che i popoli germanici non abitano alcuna città e non sopportano nemmeno case riunite fra
loro. Vivono in dimore isolate e sparse qua e là, a seconda che una fonte o una pianura o un bosco li ha
attirati I. Fondano villaggi non di edilizi insieme connessi, all'uso nostro: ciascuno lascia uno spazio libero
intorno alla propria casa, o contro il pericolo d'incendio o per imperizia del costruire. [2] Non adoperano
neppure pietre squadrate né tegole: per tutto si servono di legname greggio, senza preoccuparsi di renderne
piacevole l'aspetto. Rivestono però accuratamente certe parti di una terra così fine e lucida, da imitare la
pittura e i disegni colorati. [3] Son soliti anche scavare dei sotterranei, e li caricano al di sopra di abbondante
letame, per rifugio contro l'inverno e per depositarvi le biade, perché in tal modo mitigano il rigore del freddo;
inoltre, se mai viene un nemico, saccheggia le località in vista, ma ciò che è nascosto sotto terra o rimane
ignorato, o sfugge per il fatto stesso che bisogna farne ricerca.
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17. [1] Per abito portano tutti un saio trattenuto da una fibbia o - mancando questa - da una spina; altrimenti,
stanno nudi e passano intere giornate accanto al focolare. I più ricchi si distinguono per una sottoveste non
fluttuante, come i Sarmati e i Parti, ma serrata e aderente alle membra. Portano anche pelli di fiera, senza
raffinatezze quelli più vicini alla riva, con maggiore eleganza quelli dell'interno, dove non arriva il commercio
a portare alcun lusso. Scelgono gli animali e, dopo averli scuoiati, screziano i velli con pezzi di pelle dei
mostri che vivono nel più remoto Oceano e nel mare sconosciuto. [2] Le donne vestono in maniera non
diversa dagli uomini; senonché si coprono per lo più con tessuti di lino guerniti di porpora, e non prolungano
la parte superiore del vestito a formare maniche. Le braccia sono nude fino alla spalla, e anche il sommo del
petto rimane scoperto.
18. [1] I matrimoni però sono severamente regolati, e non vi è nei loro costumi nulla che meriti maggior lode.
Infatti, quasi soli tra i barbari, si accontentano d'una moglie per ciascuno, eccettuati pochissimi, non per
avidità sensuale, ma perché la nobiltà del loro sangue fa sì che molte famiglie ne ambiscano il connubio. [2]
Non la moglie al marito, ma il marito alla moglie porta la dote. Assistono alla cerimonia i genitori e i parenti e
valutano i doni, scelti non per appagare il gusto femminile né per fornire ornamenti alla sposa: sono buoi, e
un cavallo imbrigliato e uno scudo con framea e spada. In cambio di tali doni si riceve la moglie, ed essa per
parte sua porta qualche arma al marito: essi considerano questo il vincolo più forte, questo l'arcano rito,
queste le divinità coniugali. [3] Perché la donna non si creda estranea ai nobili pensieri e alle vicende della
guerra, dagli auspici stessi, all'inizio del matrimonio, è avvertita ch'essa viene associata alle fatiche ed ai
pericoli, che in pace come in guerra soffrirà e oserà tanto quanto il marito. Questo è il significato dei buoi
aggiogati, del cavallo bardato, delle armi donate. Così deve vivere e morire: quanto essa riceve, dovrà
consegnarlo inviolato e sacro ai figli, dai quali lo riceveranno le nuore e a loro volta lo trasmetteranno ai
nipoti.
19. [1] Vivono dunque ben difese nel loro pudore, non corrotte da attrattive di spettacoli né da eccitamento di
conviti. Uomini e donne ignorano ugualmente i segreti della scrittura. Rarissimi, tra gente così numerosa, gli
adulterii, dei quali il castigo è immediato. Ne è esecutore il marito, che scaccia di casa la donna, dopo averla
denudata e averle reciso le chiome, e sotto gli occhi dei parenti la insegue a sferzate per tutto il villaggio.
Non c'è infatti perdono per colei che si è prostituita:né bellezza, né gioventù, né ricchezza le farebbero
trovare uno sposo. Perché là i vizi non destano riso, e non si dà il nome di moda al corrompere e all'essere
corrotti.
[2] Più sagge ancora sono quelle tribù, dove vanno a nozze soltanto le vergini, e la speranza e i voti della
sposa non si appagano che una volta; esse prendono un solo marito, così come hanno un solo corpo e una
sola vita, perché il loro pensiero e il loro desiderio non vadano oltre e perché non il marito, ma il matrimonio
sia da loro amato. Limitare il numero dei figli o uccidere qualcuno di quelli nati in soprannumero è ritenuto
colpa infamante, e là i buoni costumi valgono più che le buone leggi in altri paesi.
20. [1] I bambini crescono in ogni casa nudi e sudici, eppure acquistano quelle membra, quelle corporature
che noi guardiamo con meraviglia. Tutti vengono allattati dalla propria madre; non si affidano mai ad ancelle
o a nutrici. Nessuna raffinatezza di educazione distingue il padrone dal servo: trascorrono la vita tra i
medesimi animali domestici e sul medesimo terreno, finché l'età viene a distinguere dagli altri i nati liberi e il
coraggio a rivelarli. [2] I giovani conoscono tardi il godimento sessuale, il che assicura loro una inesauribile
forza virile. Né vi è fretta di maritare le fanciulle, che uguagliano gli uomini nel vigor giovanile e nella statura;
anno a nozze quando sono forti al pari di loro, e i figli rinnovano la gagliardia dei genitori. [3] I figli delle
sorelle sono tenuti dallo zio nello stesso conto che dal padre. Alcuni ritenruno anzi ancora più sacro e più
stretto quel legame di sangue, e quando ricevono ostaggi lo preferiscono, come se vincolasse più
saldamente li animi e più largamente il parentado. Eredi però e successori sono a ciascuno i figli, e non si
fanno testamenti. In mancanza di prole, subentrano nella successione i fratelli, gli zii paterni, gli zii materni.
Quanto più numerosi sono i parenti, sia dello stesso sangue, sia acquistati per via di matrimoni, tanto più
onorata è la vecchiaia; e non c'è alcun vantaggio a non avere discendenti.
Traduzione di A. Arici, Torino, Utet, 1959, 19702.
16. Risulta sufficientemente appurato che i popoli germanici non abitano nessuna città e non sopportano
neppure case attaccate le une alle altre. Risiedono separati e sparsi, laddove li abbia attratti una fonte, un
campo o un bosco. Organizzano i loro villaggi non secondo la nostra norma, che prevede edifici adiacenti e
congiunti tra loro: ognuno circonda la propria casa con uno spazio vuoto, o come precauzione contro il
pericolo d'incendio, o per incapacità di costruire. Non usano nemmeno pietre da costruzione o laterizi: per
ogni necessità impiegano legname grezzo, senza grazia o eleganza. Alcune facciate vengono rivestite con
una certa cura per mezzo di una terra tanto fine e brillante, da somigliare a una pittura e a strisce colorate.
Sono soliti anche scavare caverne sotterranee, ricoprendole con uno spesso strato di letame, come rifugio
per l'inverno e deposito per il raccolto, perché luoghi di tal genere mitigano il rigore del freddo, e inoltre, se
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per caso arriva il nemico, saccheggia i luoghi scoperti, ma quelli nascosti e scavati non vengono riconosciuti
o sfuggono proprio perché dovrebbero essere cercati.
17. L'abbigliamento è per tutti un mantello fermato da una fibbia, o in mancanza di questa, da una spina: per
il resto del corpo sono nudi e passano intere giornate presso il focolare acceso. I piú ricchi si distinguono per
la veste, che non è ondeggiante, come quella dei Sarmati e dei Parti, ma stretta e tale da mettere in
evidenza le singole membra. Portano anche pellicce di animali selvatici: i più vicini alla riva del Reno senza
buon gusto, quelli più nell'interno con maggiore eleganza, perché non possono procurarsi altro ornamento
con il commercio. Scelgono attentamente gli animali, tolgono loro la pelliccia e la ricamano con inserti e pelli
di fiere che nascono nell'Oceano esterno e nel mare ignoto. Le donne non hanno un vestito diverso da
quello degli uomini, se non che le donne si avvolgono piú spesso in abiti di lino e li ornano di porpora, e non
allungano la parte superiore della veste fino alle maniche, ma lasciano nudi gli avambracci e le braccia: e
rimane scoperta anche la scollatura sul petto.
18. Eppure lassú i matrimoni sono una cosa seria, e nessun altro aspetto dei loro costumi merita un elogio
cosí grande. Perché, quasi unici tra i barbari, si accontentano di una sola moglie, tranne molto pochi, che
sono sollecitati a contrarre piú legami nuziali non per piacere, ma per obbligo di nobiltà. Non è la moglie a
portare la dote al marito, ma il marito alla moglie. Intervengono i genitori e i parenti, e vagliano i doni: doni
non destinati alla civetteria femminile o dei quali la sposa novella possa ornarsi, ma una coppia di buoi, un
cavallo bardato e uno scudo con framea e spada. In considcrazione di questi doni si riceve la moglie, e lei, a
sua volta, porta qualche arma al marito: questo è considerato il vincolo piú saldo, questo il sacro mistero,
queste le divinità coniugali. Proprio all'inizio della cerimonia nuziale, perché la moglie non pensi di essere
esente dall'aspirare al valore e immune dai rischi della guerra, le viene ricordato che ella diviene compagna
di fatiche e di pericoli, che dovrà sopportare e osare ogni cosa allo stesso modo, in pace e in guerra: questo
significano i buoi aggiogati, il cavallo bardato e le armi donate. Cosí dovrà vivere, cosí morire: ella riceve le
armi da consegnare inviolate e degne ai figli, che poi di nuovo le nuore dovranno ricevere e trasmettere ai
nipoti.
19. Perciò le donne hanno un forte senso del pudore e non sono corrotte né da lusinghe di spettacoli, né da
eccitazioni di feste. Uomini e donne ignorano ugualmente i segreti delle lettere d'amore. Pochissimi, pur tra
gente cosí numerosa, sono gli adultèri, la cui punizione è immediata e rimessa ai mariti. Alla presenza dei
parenti, il marito taglia i capelli all'adultera, la denuda, la caccia di casa e la trascina a frustate per tutto il
villaggio. E per colei che prostituisce l'onestà non c'è nessun perdono: non potrà piú trovare marito, a nulla le
serviranno la bellezza, la gioventú o le ricchezze. Perché lassù nessuno ride dei vizi, né il corrompere o
l'essere corrotti sono considerati un fatto di moda. Meglio ancora si comportano quelle popolazioni in cui si
sposano solo le vergini e si indulge una sola volta alla speranza e al desiderio del matrimonio. Cosí le donne
ricevono un solo marito, come hanno un solo corpo e una sola vita, perché al di là non vi sia nessun
pensiero, nessun desiderio piú esteso, e non amino il marito in quanto tale, ma come simbolo del
matrimonio. Limitare il numero dei figli o uccidere i nati dopo il primogenito è considerato un delitto: e là i
buoni costumi valgono piú che altrove le buone leggi.
20. I figli, nudi e sporchi in tutte le case, crescono fino a raggiungere quelle membra e quei corpi che noi
ammiriamo. La madre li allatta al seno e non li affida ad ancelle o nutrici. Non si potrebbe distinguere il
padrone dal servo per alcuna finezza di educazione: vivono tra lo stesso bestiame, sulla stessa terra, fino a
che l'età non separi i liberi dagli schiavi e il valore li faccia conoscere. L'amore si risveglia tardi nei giovani, e
da ciò deriva una virilità inesauribile. Anche le ragazze non hanno fretta: con lo stesso vigore giovanile e la
stessa altezza, si sposano pari di età e di forze, e i figli riproducono la robustezaa dei genitori. Lo zio
materno riserva ai figli delle sorelle la stessa considerazione di un padre. Alcune popolazioni considerano
questo legame di sangue più stretto e piú sacro, e insistono maggiormente su di esso quando prendono
ostaggi, come se in tal modo riuscissero a impegnare più fermamente gli affetti e più largamente la famiglia.
Tuttavia, gli eredi e i successori sono per ciascuno i propri figli, e non sì usa il testamento. Se non ci sono
figli, i successivi gradi di parentela ai fini della successione sono i fratelli, gli zii paterni e gli zii materni. La
vecchiaia è tanto piú onorata, quanto maggiore è il numero dei consanguineì e degli affini, mentre non deriva
nessun vantaggio dall'esserne privi.
Trad. di R. Oniga, Torino, Einaudi Plèiade, 2003.
Tac., Agr., 1-3. Perché scrivere di Agricola
Clarorum virorum facta moresque posteris tradere, antiquitus usitatum, ne nostris quidem temporibus
quamquam incuriosa suorum aetas omisit, quotiens magna aliqua ac nobilis virtus vicit ac supergressa est
vitium parvis magnisque civitatibus commune, ignorantiam recti et invidiam. sed apud priores ut agere digna
memoratu pronum magisque in aperto erat, ita celeberrimus quisque ingenio ad prodendam virtutis
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memoriam sine gratia aut ambitione bonae tantum conscientiae pretio ducebatur. ac plerique suam ipsi
vitam narrare fiduciam potius morum quam adrogantiam arbitrati sunt, nec id Rutilio et Scauro citra fidem aut
obtrectationi fuit: adeo virtutes isdem temporibus optime aestimantur, quibus facillime gignuntur. at nunc
narraturo mihi vitam defuncti hominis venia opus fuit, quam non petissem incusaturus: tam saeva et infesta
virtutibus tempora.
Legimus, cum Aruleno Rustico Paetus Thrasea, Herennio Senecioni Priscus Helvidius laudati essent,
capitale fuisse, neque in ipsos modo auctores, sed in libros quoque eorum saevitum, delegato triumviris
ministerio ut monumenta clarissimorum ingeniorum in comitio ac foro urerentur. scilicet illo igne vocem populi
Romani et libertatem senatus et conscientiam generis humani aboleri arbitrabantur, expulsis insuper
sapientiae professoribus atque omni bona arte in exilium acta, ne quid usquam honestum occurreret.
dedimus profecto grande patientiae documentum; et sicut vetus aetas vidit quid ultimum in libertate esset, ita
nos quid in servitute, adempto per inquisitiones etiam loquendi audiendique commercio. memoriam quoque
ipsam cum voce perdidissemus, si tam in nostra potestate esset oblivisci quam tacere.
Nunc demum redit animus; et quamquam primo statim beatissimi saeculi ortu Nerva Caesar res olim
dissociabilis miscuerit, principatum ac libertatem, augeatque cotidie felicitatem temporum Nerva Traianus,
nec spem modo ac votum securitas publica, sed ipsius voti fiduciam ac robur adsumpserit, natura tamen
infirmitatis humanae tardiora sunt remedia quam mala; et ut corpora nostra lente augescunt, cito
extinguuntur, sic ingenia studiaque oppresseris facilius quam revocaveris: subit quippe etiam ipsius inertiae
dulcedo, et invisa primo desidia postremo amatur. quid, si per quindecim annos, grande mortalis aevi
spatium, multi fortuitis casibus, promptissimus quisque saevitia principis interciderunt, pauci et, ut ita dixerim,
non modo aliorum sed etiam nostri superstites sumus, exemptis e media vita tot annis, quibus iuvenes ad
senectutem, senes prope ad ipsos exactae aetatis terminos per silentium venimus? non tamen pigebit vel
incondita ac rudi voce memoriam prioris servitutis ac testimonium praesentium bonorum composuisse. hic
interim liber honori Agricolae soceri mei destinatus, professione pietatis aut laudatus erit aut excusatus.
1. [1] Sebbene l'età nostra poco s'interessi dei suoi, tuttavia neppure essa ha tralasciato l'usanza, praticata
spesso in antico, di tramandare ai posteri le azioni e la vita degli uomini illustri, ogni volta che qualche
grande e nobile virtù ha vinto e superato il vizio comune ai piccoli e ai grandi Stati: l'ignoranza del bene e
l'invidia. [2] Ma presso gli antichi, come era più frequente l'inclinazione a compiere atti degni di memoria e a
tutti ne era aperta la via, così i maggiori ingegni erano indotti non da spirito di parte o da ambizione
personale a celebrare la virtù, ma solo dal compenso della buona coscienza. [3] Anzi, moltissimi hanno
giudicato non vanità, ma fiducia in sé il narrare la vita propria, e questo non tolse fede né procurò biasimo a
Rutilio e a Scauro: così bene si sanno apprezzare le azioni meritevoli in quei tempi medesimi, in cui
fioriscono più facilmente. [4] Ora invece io, nell'accingermi a narrare la vita di un defunto, provo il bisogno di
chiedere indulgenza, il che non mi occorrerebbe ove mi accingessi ad un'accusa: tanto duri e ostili alle virtù
sono i tempi attuali.
2. [1] Abbiamo letto che Aruleno Rustico ed Erennio Senecione furono incriminati di colpa capitale, il primo
per aver lodato Peto Trasea, il secondo Prisco Elvidio; e che s'infierì non solo contro le loro persone, ma
anche contro i loro scritti, sino ad affidare ai triumviri la cura di far bruciare pubblicamente nel foro le opere di
quei chiarissimi ingegni [2] Davvero essi credevano che la voce del popolo romano e la libertà del senato e
la coscienza di tutti gli uomini si potessero spegnere con quelle fiamme! E per di più cacciarono in bando i
maestri di sapienza ed esiliarono ogni nobile arte, perché più nulla di onorevole si potesse in alcun luogo
incontrare. [3] Certo abbiamo dato una grande prova di pazienza; e come l'età antica giunse all'estremo
limite della libertà, cosi noi a quello della servitù, quando ci era tolta mediante lo spionaggio persino la
facoltà di parlarci e di ascoltarci a vicenda. Anche la memoria stessa avremmo perduto, insieme con la voce,
se, come il tacere, così fosse in poter nostro il dimenticare.
3. [1] Ora finalmente ci ritorna il coraggio; ma benché sùbito, all'inizio del suo felicissimo regno, Nerva
Cesare abbia conciliato insieme due cose un tempo incompatibili, il principato e la libertà, e benché Nerva
Traiano accresca di giorno in giorno la felicità presente, e la sicurezza dei cittadini non sia soltanto speranza
e desiderio, ma valida fiducia nel realizzarsi di questo, tuttavia per la naturale debolezza umana i rimedi
operano meno prontamente dei mali; e come i nostri corpi crescono con lentezza, si estinguono a un tratto,
così riesce più facile soffocare l'attività degli ingegni e l'emulazione che richiamarle in vita: subentra infatti la
dolcezza dell'ignavia stessa, e l'inerzia, dapprima odiosa, alla fine si ama. [2] In verità, se per quindici anni
grande spazio della vita mortale, molti sono scomparsi per casi fortuiti, e i più animosi per la ferocia
dell'imperatore, pochi siamo sopravvissuti - per così dire - non solo ad altri, ma a noi stessi, essendoci stati
tolti proprio nel mezzo della vita tanti anni, per cui i giovani sono passati alla vecchiezza, i vecchi quasi ai
confini stessi dell'esistenza, gli uni e gli altri in silenzio. [3] Tuttavia non mi rincrescerà di aver messo a
paragone tra loro, sia pure con parola disadorna e rozza, il ricordo della servitù passata e la testimonianza
del bene presente. Per ora questo libro, destinato a onorare il mio suocero Agricola, per la devozione
dell'intento o incontrerà lode o almeno indulgenza.
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Traduzione di A. Arici, Torino, Utet, 1959, 19702.
1. Tramandare ai posteri le azioni e il carattere degli uomini illustri è una consuetudine antica, non trascurata
nemmeno ai giorni nostri da una generazione peraltro poco attenta ai contemporanei, ma si rinnova ogni
volta che un grande e nobile esempio di valore riesce a vincere e superare un vizio comune alle piccole
come alle grandi città: l'invidioso rifiuto di riconoscere il bene. In passato, però, era piú facile e agevole
compiere azioni degne di memoria, e cosí i talenti piú famosi erano spinti a produrre un ricordo del loro
valore non da parzialità o ambizione, ma dalla sola consapevolezza di avere agito rettamente. Anzi, i più
ritennero che narrare la loro stessa vita significasse fiducia nelle loro azioni, piuttosto che presunzione: e
l'averlo fatto non tolse credibilità o fu causa di biasimo per Rutilio e Scauro. A tal punto le buone qualità sono
tenute nella piú alta considerazione negli stessi tempi in cui piú facilmente hanno occasione di manifestarsi.
Adesso, invece, io che mi accingo a rendere illustre la vita di un uomo scomparso ho bisogno di
scusarmi: cosa che non avrei dovuto fare se avessi voluto formulare un atto d'accusa. Tanto crudeli e ostili ai
meriti sono i tempi!
2. Abbiamo letto che, quando Trasea Peto venne lodato da Aruleno Rustico, ed Elvidio Prisco da Erennio
Senecione, questo fu considerato un delitto capitale. E non si infierí solo contro la persona degli autori, ma
anche contro i loro libri: fu affidato ai triumviri il compito di bruciare nel Comizio e nel Foro le opere di quei
famosissimi talenti. Evidentemente, con quel fuoco pensavano di eliminare la voce del popolo romano, la
libertà del senato e la coscienza dell'umanità, quando furono espulsi anche i maestri di pensiero e fu
cacciata in esilio ogni qualità morale, perché non rirnanesse in nessun luogo una traccia di onestà.
Abbiamo dato certamente una straordinaria prova di sottomissione, e come il tempo antico vide qual
è il limite estremo della libertà, cosí noi abbiamo visto quello della schiavitú, quando per mezzo dello
spionaggio ci fu tolta anche la possibilità di parlare e di ascoltare. E con la voce avremmo perso anche la
memoria, se solo dipendesse da noi il dimenticare, come il tacere.
3. Ora finalmente si risveglia la coscienza. Già dal primo inizio di questa età davvero felice, Nerva Cesare è
riuscito a conciliare due cose una volta incompatibili: il principato e la libertà. Nerva Traiano accresce poi
ogni giorno la felicità dei tempi, e ormai la sicurezza pubblica non è piú solo una speranza o una preghiera,
ma è la forte certezza che la preghiera sarà esaudita. E nonostante ciò, per la fragilità della natura umana, i
rimedi sono più lenti ad agire dei mali, e come il nostro corpo cresce lentamente ma si estingue in fretta, cosí
il talento e la cultura sono pili facili da sopprimere che da riportare in vita. Perché si insinua anche il piacere
del dolce far niente, e la pigrizia, dapprima invisa, alla fine fine desiderata. E cos'altro poteva accadere, se
per quindici anni, un enorme spazio di tempo per la vita umana, molti sono morti per circostanze accidentali,
ma i migliori per la crudeltà del principe ? Siamo rimasti in pochi, e per cosí dire, superstiti non solo agli altri,
ma anche a noi stessi, dopo che ci sono stati tolti dal fiore della vita tanti anni, nei quali attraverso il silenzio
siamo divenuti da giovani Vecchi, e da vecchi siamo giunti ormai agli estremi limiti della vita. Non ci
dispiacerà pertanto, anche se con voce ingenua e rozza, lasciare un ricordo della schiavitù passata e una
testimonianza del bene presente. Nel frattempo questo libro, dedicato alla memoria di mio suocero Agricola,
potrà essere apprezzato o almeno scusato, come testimonianza di affetto familiare.
Trad. di R. Oniga, Torino, Einaudi Plèiade, 2003.
Agr. 30-32. Il discorso di Calgaco.
'Liberos cuique ac propinquos suos natura carissimos esse voluit: hi per dilectus alibi servituri auferuntur;
coniuges sororesque etiam si hostilem libidinem effugerunt, nomine amicorum atque hospitum polluuntur.
bona fortunaeque in tributum, ager atque annus in frumentum, corpora ipsa ac manus silvis ac paludibus
emuniendis inter verbera et contumelias conteruntur. nata servituti mancipia semel veneunt, atque ultro a
dominis aluntur: Britannia servitutem suam cotidie emit, cotidie pascit. ac sicut in familia recentissimus
quisque servorum etiam conservis ludibrio est, sic in hoc orbis terrarum vetere famulatu novi nos et viles in
excidium petimur; neque enim arva nobis aut metalla aut portus sunt, quibus exercendis reservemur. virtus
porro ac ferocia subiectorum ingrata imperantibus; et longinquitas ac secretum ipsum quo tutius, eo
suspectius. ita sublata spe veniae tandem sumite animum, tam quibus salus quam quibus gloria carissima
est. Brigantes femina duce exurere coloniam, expugnare castra, ac nisi felicitas in socordiam vertisset,
exuere iugum potuere: nos integri et indomiti et in libertatem, non in paenitentiam <bel>laturi; primo statim
congressu ostendamus, quos sibi Caledonia viros seposuerit.
'An eandem Romanis in bello virtutem quam in pace lasciviam adesse creditis? nostris illi dissensionibus ac
discordiis clari vitia hostium in gloriam exercitus sui vertunt; quem contractum ex diversissimis gentibus ut
secundae res tenent, ita adversae dissolvent: nisi si Gallos et Germanos et pudet dictu Britannorum
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plerosque, licet dominationi alienae sanguinem commodent, diutius tamen hostis quam servos, fide et
adfectu teneri putatis. metus ac terror sunt infirma vincla caritatis; quae ubi removeris, qui timere desierint,
odisse incipient. omnia victoriae incitamenta pro nobis sunt: nullae Romanos coniuges accendunt, nulli
parentes fugam exprobraturi sunt; aut nulla plerisque patria aut alia est. paucos numero, trepidos ignorantia,
caelum ipsum ac mare et silvas, ignota omnia circumspectantis, clausos quodam modo ac vinctos di nobis
tradiderunt. ne terreat vanus aspectus et auri fulgor atque argenti, quod neque tegit neque vulnerat. in ipsa
hostium acie inveniemus nostras manus: adgnoscent Britanni suam causam, recordabuntur Galli priorem
libertatem, tam deserent illos ceteri Germani quam nuper Usipi reliquerunt. nec quicquam ultra formidinis:
vacua castella, senum coloniae, inter male parentis et iniuste imperantis aegra municipia et discordantia. hic
dux, hic exercitus: ibi tributa et metalla et ceterae servientium poenae, quas in aeternum perferre aut statim
ulcisci in hoc campo est. proinde ituri in aciem et maiores vestros et posteros cogitate.'
30. « Quando ripenso alle cause della guerra e alla terribile situazione in cui siamo, nutro la grande
speranza che questo giorno, che vi vede concordi, segni per tutta la Britannia l'inizio della libertà. Sì, perché
per voi tutti qui uniti, che non sapete cosa significa servitù, non c'è altra terra oltre questa e neanche il mare
è sicuro, da quando abbiamo addosso la flotta romana. Perciò combattere con le armi in pugno, scelta
gloriosa dei forti, è sicura difesa anche per i meno coraggiosi. I nostri compagni che si sono battuti prima
d'ora con varia fortuna contro i romani, avevano nelle nostre braccia una speranza e un aiuto, perché noi, i
più nobili di tutta la Britannia, che perciò vi abitiamo proprio nel cuore, senza neanche vedere le coste dove
sta chi ha accettato la servitù, noi avevamo perfino gli occhi non contaminati dalla dominazione romana. Noi,
limite estremo del mondo e della libertà, ci ha fino ad oggi protetto l'essere lontani e mal noti. Ora si aprono i
confini ultimi della Britannia e l'ignoto è un fascino: ma dopo di noi non ci sono più popoli ma solo scogli e
onde e il flagello peggiore, i romani alla cui prepotenza non fa difesa la sottomissione e l'umiltà. Predatori del
mondo intero, adesso che mancano terre alla loro sete di devastazione, vanno a frugare anche il mare: avidi
se il nemico è ricco, arroganti se povero, gente che né l'oriente né l'occidente possono saziare; loro soli
bramano possedere con pari smania ricchezze e miseria. Rubano, massacrano, rapinano e, falsi, lo
chiamano impero; infine, dove fanno il deserto, dicono che è la pace.
31. « È legge di natura che ciascuno ami i figli e i congiunti come le cose più care: i primi ce li portano via
con le leve e li mandano a servire in paesi lontani; quanto alle nostre mogli e alle nostre sorelle, se pure
sfuggono alle voglie del nemico, sono violentate da quelli che si fanno passare per amici e ospiti. I nostri
beni se ne vanno in tasse, il lavoro di un anno nei campi è il frumento che bisogna consegnare e anche il
nostro corpo e le nostre braccia si logorano, tra bastonate e insulti, a costruire strade per loro in mezzo a
paludi e a foreste. Chi nasce schiavo lo si vende una sola volta e poi pensa il padrone a nutrirlo; la Britannia
compra ogni giorno la sua servitù e ogni giorno la nutre. E come nel gruppo degli schiavi l'ultimo arrivato
subisce lo scherno anche dei compagni, così in questo vecchio covo di schiavi che è il mondo, noi, ultimi e
disprezzati, ci cercano per mandarci a morire; e non abbiamo campi, miniere o porti, per far produrre i quali
valga la pena di lasciarci vivere. D'altra parte il valore e la fierezza dei sudditi spiace ai padroni; perfino
l'isolamento e la lontananza, se ci rendono più sicuri, tanto più son ragione di sospetto. Grazia non possiamo
sperarla; e allora mostrate finalmente coraggio, se tenete alla salvezza e avete cara la gloria. I Briganti,
condotti da una donna hanno saputo dar fuoco a una colonia ed espugnare un campo e, se il successo non
li avesse accecati, potevano scuotere il giogo. Noi, integri di forze, non domati e decisi a combattere per
garantire la nostra libertà e non perché stanchi di subire la servitìi, noi dobbiamo mostrare subito al primo
scontro quali uomini ha pronti la Caledonia per la sua difesa.
32. « Voi credete che i romani hanno in guerra un valore pari all'arroganza che mostrano in tempo di pace?
Sono le nostre divisioni, le nostre discordie che li hanno resi famosi, e loro trasformano le colpe nemiche in
gloria del proprio, esercito. Ma questo esercito, accozzaglia di genti di tipo, se ora è unito per le vittorie,
verrà dissolto dalla sconfitta; perché non è possibile credere che ai romani siano legati da vero attaccamento
i galli, i germani e - fa vergogna dirlo, anche quei molti britanni che, se pur offrono il sangue alla
dominazione straniera, sono stati tuttavia più a lungo nemici che servi. Paura e terrore sono vincoli d'affetto
deboli: spezzateli e dove cessa il timore comincia l'odio. Tutti gli stimoli alla vittoria sono per noi: i romani
non hanno spose a incitarli, non genitori a condannarli se fuggono; i più non hanno patria, per gli altri è
diversa da questa. Pochi, insicuri dei luoghi, tesi a scrutare il cielo, il mare, le selve, loro ignoti, gli dei ce li
hanno dati in mano come in trappola e già prigionieri.
« Non vi spaventi l'apparente splendore dell'oro e dell'argento, perché non difende e non colpisce. Nelle
stesse file nemiche troveremo aiuti per noi: i britanni riconosceranno la loro stessa causa, ai galli tornerà alla
mente la passata libertà, e gli altri germani li abbandoneranno come non da molto li hanno abbandonati gli
Usipi. Per il futuro nessuna paura: vuote le fortezze, colonie di soli vecchi, città indebolite dalle discordie tra
chi male obbedisce e chi ingiustamente comanda. Qui c'è un capitano e qui un esercito; là tributi, lavori
forzati in miniera e le altre pene che toccano ai servi: se subirle in eterno o vendicarsi subito, lo dirà questo
campo. Ed ora nell'andare in battaglia abbiate alla mente i vostri avi e i posteri. »
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Trad. di M. Stefanoni, Milano, Garzanti, 1974, 19834.
P. Grimal, La gloria degli altri, da Tacito, Milano, Garzanti, 113 segg.
Questa tentazione di trasformare la biografia in Storia, Tacito l'ha sentita, e vi ha ceduto, non
nella concezione generale della sua laudatio ma nel modo di esporre taluni episodi. Per
esempio l'inserimento di discorsi prima della battaglia, 55 come quelli di Calgaco o quello dello
stesso Agricola, appartiene, lo abbiamo detto, 56 al genere storico tradizionale. Un discorso
posto in bocca a un personaggio del quale si riferiscono le azioni, consente di
«caratterizzarlo», di mostrarlo nella sua intima natura, come fa un poeta tragico o comico con i
suoi personaggi. Il discorso di Calgaco è solo un'illustrazione del modo in cui Tacito
concepisce la psicologia di un barbaro; non ci dice nulla su ciò che poteva sentire o pensare
un Bretone di fronte alle armate romane. E ciò induce a interrogarsi sul contenuto di questo
discorso, senza dimenticare che è Tacito a parlare, il Tacito allievo dei rétori, abile nel
presentare il pro e il contro e nel dare un «colore» di verità alle controversie immaginate.
Così si ritrovano in questo discorso luoghi comuni già ben affermati presso i poeti e i moralisti.
Seneca, per esempio, chiama l'avidità «il più terribile flagello del genere umano», 57 e vede in
essa il movente che spinge gli uomini a violare la natura. 58 All'incirca nello stesso periodo
Petronio, nel poemetto sulla Guerra civile, non esita ad affermare che è stato il desiderio di
ricchezze a incitare gli uomini, e in particolare i Romani, a conquistare il mondo; 5 9 e un
linguaggio analogo teneva già Sallustio in una Lettera attribuita a Mitridate: «Poiché, scrive, i
Romani hanno sempre avuto, per fare la guerra ai popoli, agli Stati, ai re, solo e sempre lo
stesso movente, un desiderio smisurato di ricchezze». 60
E poco probabile che questa lettera riproduca effettivamente quella scritta dal re ad Arsace per
chiedergli la sua alleanza. Il tema, in realtà, era di quelli adatti a ispirare una suasoria, un
«discorso per persuadere», che poteva essere suggestivo in bocca a un barbaro.
Così sarebbe pericoloso pensare che Tacito esprima qui la sua vera opinione condannando la
politica di conquista. Numerosi passi della Vita di Agricola suggeriscono il contrario: prima di
tutto gli elogi tributati al suo eroe per aver annesso nuovi territori all'Impero, poi i rimproveri
rivolti ai governatori di un tempo che si sono limitati a conservare le regio ni già acquisite,
senza spingersi oltre. 61 Tacito evidentemente non ritiene che questo espansionismo, da lui
approvato, abbia come movente la cupidigia. La giustificazione della conquista sta altrove;
risiede, a quanto pare, nel dinamismo caratteristico di Roma, l'attrazione della gloria. Vi è in
questo un elemento di irrazionalità, che si spiega, in definitiva, solo con la fede nel Destino di
Roma, con la sua vocazione al dominio del mondo.
Calgaco dice inoltre ai suoi soldati che l'Impero di Roma, che in quel momento lo minaccia,
non è che un coacervo di nazioni diverse, tenute insieme solo dalla paura e che esso si
disgregherà se i Romani subiranno dei rovesci. (Questi popoli) «se pur offrono il sangue alla
dominazione straniera, sono stati tuttavia più a lungo nemici che servi. Paura e terrore sono
vincoli di affetto deboli: spezzateli e dove cessa il timore comincia l'odio». 62
Argomentazione tendenziosa, della quale Tacito conosce bene la falsità. Non è il terrore che
induce le popolazioni sottomesse a obbedire, ma piuttosto la comprensione del loro vero
interesse. Le legioni non sono presenti dappertutto nell'Impero, non sono esse che cementano
l'unità. Tale è il significato del discorso che, nelle Storie, Tacito attribuisce a Petilio Ceriale,
quando si rivolge ai Treviri e ai Lingoni: «i generali e gli imperatori romani», dirà Ceriale, «non
sono entrati nella vostra terra, o in quella degli altri Galli, per un loro desiderio personale, ma
perché invocati dai vostri antenati, che le discordie continue avevano spinto all'estremo, e
perché i Germani, da loro chiamati in aiuto, avevano imposto la stessa schiavitù agli alleat i e ai
nemici. Non ci siamo insediati sul Reno per difendere l'Italia, ma per impedire che un altro
Ariovisto si impadronisca del regno delle Gallie». 63 «La fortuna e la disciplina di ottocento
anni», continuava Ceriale, «hanno reso salda questa compagine, che non può essere distrutta
senza la rovina di chi la distrugge». 64
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Anche su questo punto il discorso di Ceriale risponde alla perorazione di Calgaco, discolpando
Roma dall'accusa di cupidigia ma, ancor più, affermando che solo l'Impero romano può ev itare
che tutto l'Occidente, se non il mondo intero, sprofondi nell'anarchia. Calgaco aveva detto, in
una formula famosa: «Rubano, massacrano, rapinano e, falsi, lo chiama no Impero; infine dove
fanno il deserto, dicono che è la pace». 65
Ora, se il discorso di Calgaco è, con ogni probabilità, inventato da Tacito col criterio della
verosimiglianza, non è escluso che quello di Ceriale sia autentico, almeno nel suo significato
generale. Abbiamo visto infatti che, dopo la sua campagna in Germania, Ceriale fu inviato in
Bretagna, dove ebbe Agricola come collaboratore. Anche qui è da credere che Tacito venne a
conoscenza, tramite il suocero, di fatti e di discorsi riferiti direttamente dal loro autore. Non
che, nei racconti delle Storie, tutto quanto si riferisce alla campagna di Ceriale abbia questa
provenienza. L'intermezzo amoroso, la notte trascorsa da Ceriale tra le braccia di una donna
ubia, non era un episodio di cui menare vanto. 66 Ciò non significa che si debba mettere in
dubbio il contenuto del suo discorso ai Treviri. Le verità che vi si trovano, il richiamo a fatti ben
documentati, come la richiesta di aiuto inviata a Cesare dagli Edui, le ambizioni di Ariovisto, i
dissensi fra le nazioni della Gallia, sono altrettanti sostegni alla tesi di Ceriale. La sua
dimostrazione è convincente. Può darsi che Ceriale abbia rievocato tutta questa storia, vecchia
di oltre un secolo, alle città galliche direttamente minacciate dalla ribellione dei Bàtavi e dei
loro alleati. Quanto a Tacito, sicuramente approvava un tale discorso, 67 e quello di Calgaco
deve essere giudicato alla stregua di un esercizio retorico.
Tuttavia lo stesso Tacito, per definire la situazione dei Bretoni, non esita a impiegare la parola
«asservimento», quando spiega come Agricola si sforzava di «civilizzarli». 68 I gusti e i bisogni
creati da questa politica «asservivano» quelle nazioni un tempo «libere». Ciò che Agricola
diffondeva fra i Bretoni era, dice Tacito nella stessa frase, «il fascino dei vizi», delenimenta
vitiorum: cioè «le raffinatezze dei portici, dei bagni, dei conviti». 69 II suo pensiero corre
dunque a ciò che sono divenuti gli «svaghi» per i Romani: le conversazioni e gli incontri sotto i
portici, attorno al Foro (ogni città suddita ne aveva uno, a immagine di Roma) o nelle basiliche,
e poi il bagno, che occupava la fine di ogni giornata, prima della cena, il pasto consumato in
compagnia di amici e abbellito da ognuno secondo la sua fantasia. Queste raffinatezze non
erano, di per se stesse, dei «vizi», ma ne fornivano l'occasione: erano all'origine della pigrizia,
della gola e di altri piaceri nei quali l'anima perde il suo vigore. Perfino la so cievolezza, spinta
oltre un certo limite, è pericolosa per l'uomo, esponendolo a mille tentazioni. L'altrui esempio è
spesso pernicioso.
In molti luoghi Seneca mostra come l'anima sottoposta a simili influenze, perda a poco a poco
la sua libertà e divenga schiava. Egli conduce Lucilio, per esempio, a riconoscere che la vita
sociale è una gradevole «servitù». 70 Si tratta di un tema antichissimo, che tutti i filosofi antichi
hanno integrato nel loro sistema, tanto gli epicurei quanto gli stoici: era l'idea che la vera
libertà non sia possibile se non in una vita condotta «secondo natura». Già Platone, nelle
Leggi; 71 aveva evocato l'esistenza degli uomini che, sfuggiti a un diluvio universale,
sperimentavano la felicità propria dell'età dell'oro.
In questo momento Tacito non parla da storico né da politico, ma da «moralista», sedotto dal
vecchio mito, tante volte ripreso e vagheggiato in Grecia e ancor più a Roma, dove le «virtù»
degli Antichi erano così spesso lodate e i «vizi» dei moderni così spesso condannati. Ma
Tacito giocava così sul significato della parola «libertà». Sedotti dai vantaggi della civiltà, i
Bretoni si accalcavano nelle città, luoghi di piacere per eccellenza, e rinunciavano alla
semplice esistenza che avevano sempre condotto sparsi per le campagne e le foreste. In
questo senso non erano più «liberi», ma la loro schiavitù non era da attribuire tanto ai lor o
conquistatori quanto alla loro assunzione di un nuovo modo di vita.
Una tradizione profondamente radicata nella mentalità romana voleva che la causa essenziale
della corruzione dei costumi (dunque di quella schiavitù morale della quale parlava Seneca
quando Tacito era giovane) fosse l'eccesso delle ricchezze. Il problema fu sollevato, al tempo
di Tiberio, dagli edili e dai senatori che proponevano di rafforzare le leggi suntuarie, intese a
limitare le spese dei privati. Tacito si sofferma a lungo sul dibattito che si aprì a questo
proposito, e riporta (certamente con delle varianti che ci sfuggono) la lettera che il principe
indirizzo al Senato sul problema. 72 Tiberio giudica che questa evoluzione dei costumi è un
male contro il quale l'autorità del principe è impotente.
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Tacito ha fatto seguire a questa lettera un commento piuttosto strano. Crede di poter affermare
che il gusto del lusso sia diminuito dal regno di Vespasiano in poi e ne cerca i motivi. Tra
questi pone in primo luogo il pericolo che vi era per i nobili, sotto i Giulio-Claudii, nell'innalzarsi
troppo al di sopra di una fortuna media; una seconda e più importante ragione era l'ingresso in
Senato di uomini provenienti dai municipi e dalle province, che si portavano dietro le loro virtù
ancestrali, fra le quali un senso molto spiccato dell'economia, spinto fino alla «parsimonia»;
anche quando erano divenuti ricchi nel corso della loro carriera, continuavano nondimeno a
rifiutare le spese eccessive. Poi vi era l'austerità ostentata dallo stes so Vespasiano, che i
«grandi» volevano imitare. Questo movimento di ritorno a una relativa semplicità sarebbe
iniziato con Galba, anch'egli uomo di austeri costumi, si sarebbe rafforzato sotto il regno di
Vespasiano e sarebbe continuato sotto Domiziano, quando non era prudente ostentare la
propria ricchezza. Tacito conclude che in ogni cosa esistono dei cicli, nei costumi come nella
natura, e che il secolo presente è meno cattivo di quello che lo ha preceduto, dato che non
mancano i buoni esempi di una condotta di vita degna di ispirare la posterità. 73
Tacito sembra dunque aver cambiato opinione: nella Vita di Agricola si presenta come un
moralista austero o, se si preferisce, come un rétore che svolge un tema tradizionale e non sa
resistere alla tentazione di concludere il suo discorso con una sententia, una formula tanto
brillante quanto inattesa, giocando sui molteplici significati della parola «libertà»; venti anni più
tardi, invece, dimostra un maggior senso della realtà. Senza dubbio un eccesso di lusso
comporta, per i Romani come per tutti i popoli che adottano il loro stile di vita, una sorta di
schiavitù, ma non si tratta di una fatalità ineluttabile. Vi è un «buon uso» delle dolcezze della
vita e più in generale dell'humanitas; e sotto il nuovo regime i Romani non portano al mondo
servitù e corruzione. Non vi è dubbio che la pagina degli Annali alla quale facciamo riferimento
si spieghi con la politica dei due primi Antonini. Ne abbiamo la prova nel Panegirico di Traiano
in cui Plinio dimostra che i principi, a differenza dei loro predecessori (in particolare di
Domiziano, ma anche di Nerone) conducono una vita molto frugale: così Traiano come Nerva
74 dedicano una parte dei loro redditi al bene dello Stato e non a usi personali. 75 Perfino
l'altro argomento addotto da Tacito, il pericolo che comportava, sotto principi avidi, il possesso
di grandi ricchezze, figura anche nel Panegirico. Con Traiano questo pericolo 76 è
scomparso.
Dobbiamo pensare che Tacito, la cui «dimostrazione» concorda così bene con le iperboli di
Plinio, abbia voluto commentare il discorso di Tiberlo solo per adulare, per contrasto,
l'imperatore Traiano? Ma non era finzione la politica seguita dal 97 in poi, la preferenza data
alle spese di pubblica utilità, la sistematica riduzione dei beni privati dell'imperatore a
vantaggio di costruzioni come il grande Foro (i «Mercati di Traiano» ) o le terme innalzate
nell'area della Domus Aurea (nel punto in cui Tito, in vista di una destinazione analoga, aveva
cominciato a smantellare il «patrimonio» di Nerone). Sembrava legittimo credere che fosse
ormai passato il tempo delle grandi fortune private, con tutti i relativi eccessi, nei quali
facevano a gara nobili e privati cittadini. Un secolo nuovo era cominciato. Pessimista quando si
tratta dei tempi anteriori all'avvento di Nerva, Tacito è risolutamente ottimista quando pensa
all'avvenire di Roma.
Per questo le opinioni espresse nella Vita di Agricola, l'apparente deplorazione della civiltà che
la conquista arreca ai popoli rimasti liberi sino a quel momento, e che segna l'inizio della loro
schiavitù, non riflettono una convinzione profonda. Tacito non appartiene alla setta dei cinici,
che rifiutano qualsiasi forma di humanttas, e non soltanto gli eccessi cui essa può condu rre.
Tra le novità che si diffondono tra i Bretoni, ve n'è almeno una che non può non incontrare la
sua approvazione: il gusto delle attività intellettuali, degli studia, e in particolare dell'eloquenza.
Ciò non significa che sia del tutto fittizio il suo rammarico nel veder conculcata la libertà dei
popoli in quella lontana provincia, all'estremità del mondo. Se così fosse Tacito non avrebbe
potuto concepire e scrivere con tanta efficacia il discorso di Calgaco, né dare dell'eroe
caledoniano un'immagine così eroica, o insistere, come ha fatto, sulla «nobiltà» del capo e dei
suoi compagni, sulla loro fierezza, sul loro indomito coraggio, e anche sull'affetto che li unisce
ai figli e alle mogli, sulle loro virtù, che sono quelle proprie della natura incorrot ta. Forse che la
romanizzazione non rischia di distruggere tutto ciò?
Agricola, conquistando la Caledonia, sarà lo strumento di questa distruzione. Non per questo
Tacito condanna la sua impresa. I rimpianti che può nutrire il biografo non offuscano la glo ria
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del conquistatore, che resta intera. Conquistare il mondo è la missione principale di Roma; e il
dovere di un capo romano è di contribuire al suo compimento. Ci troviamo di fronte a una
situazione moralmente ambigua. I due avversari in questione hanno entrambi ragione. Ciò che
è al di fuori di Roma non è in sé cattivo, così come la civiltà romana non è di per sé
condannabile, nella misura in cui esalta le virtù proprie dell'umanità. Tacito è sensibile a
questa ambiguità. Sa che quel mondo barbaro, sperduto nelle foreste della Caledonia, è
destinato a sparire davanti all'ineluttabile trionfo del1'humanitas romana, ma sa pure che quel
mondo barbaro ha in serbo per i suoi vincitori delle lezioni preziose. Non sono vani i sogni che
può ispirare lo spettacolo dell'umanità nella sua primitiva purezza.
Tacito resta fedele alla lunga tradizione dei poeti che prima di lui, quando volevano criticare
una realtà che li opprimeva e auspicarne il superamento, proiettavano le loro fantasticherie su
un universo che sapevano e volevano immaginario; questi miti, queste utopie avrebbero forse,
un giorno, contribuito a rendere gli uomini più saggi, più consapevoli di sé e del loro destino.
La Vita di Agricola è prima di tutto l'elogio di un grand'uomo, il primo servitore di un regime che
non ha avuto il bene di vedere ma che ha «presentito», il protagonista di imprese pari a quelle
dei fondatori dell'Impero; ma è anche un mito, nel quale si vede figurato il confronto di Roma e
della barbarie. Ciò spiega forse perché, poco dopo aver elogiato il suocero ed esaltato la sua
gloria, conquistata contro i popoli bretoni, Tacito dedicherà una seconda opera, di dimensioni
analoghe, ai barbari della Germania.
Note
1 R. Syme, op. cit., p. 121.
2 Plinio il Giovane, n, 1, 10. Tacito, Vita di Agricola, 46, 1
3 Ai quali R. Syme, loc. cit., aggiunge Vita di Agricola, 3, 1 e Plinio il Giovane, vtu, 14,9.
4 Vita di Agricola., 3, 1.
5 Ibid., 44, 6.
5 Cfr. sopra, p. 69.
6 Seneca, De clementia., 1, 4.
7 Cfr. sopra, pp. 25-26.
8 Donat, Vie de Virgile, 120, e Macrobio, Saturnales, 1, 24, 11.
9 Annali, iv, 34. 35. Cfr. oltre, pp. 265-266.
10 Ad Marciam, 22, 4.
11 Annali, IV, 34, 5.
12 Plinio il Giovane, Epist., IX, 19, 5.
13 Vita di Agricola, 6, 2.
14 Ibid., 6, 4-5.
15 Ibid., 6, 4.
16 Annali ' XVI 1, 14.
17 Ibid., XVI, 24 e sgg.
18 Annali ' XV, 45. Plinio. Stor. nat., 34,84. Le opere d'arte così trafugate erano servite, in particolare, a ornare la
Domus Aurea di Nerone.
19 Vita di Agricola, 6, 6.
20 Ibid., 7, 1.
21 E.P. Nicolas, De Néron à L'espasion,1, pp. 654 e sgg.
22 Vita di Agricola, 8, 5.
23 Ibidd., 5, 1.
24 Annali XIV, 29, 2.
25 Ibid., cap. 30.
26 Ibid., xm , 37, Cfr. XIV, 34, 4.
27 Germania, 7 e 8. Cfr. oltre, p. 135.
28 Annali, zm, 34.
29 Dione Cassio, LXII, 8 e sgg.
30 Su questo episodio cfr. D.R. Dudlev e G. Webster, The Rebellion of Boudicca, London 1962.
31 Tacito, .Storie, III, 45.
32 Ibid., 111 , 44.
33 Annali, XIV, 32.
34 Storie, III, 59.
35 Ibid., IV, 71 e sgg.
36 Vita di Agricola, 8, 2.
37 Ibid., 8, 3.
38 Cfr. sopra, p. 57.
39 Vita di Agricola, 12, 7: «adfirmant...».
40 Ibid., 10, 5 e sgg.; 24, 1.
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41 Ibid., 17, 4.
42 Plutarco, Vita di Cesare, 51. Svetonio, Cesare (Divus Julius), 6. Cfr. J. Carcopino, Ju les César, 5a
ed., p. 133.
43 Tuscolane, t, 116 e sgg.
44 Seneca, Ad Marciam, 20, 4 e sgg.
45 De oratore, II, 8; Brutus, 4 (citati da R. Syme, op. cit., p. 198).
46 Vita di Agricola, 46, 1.
47 De republica, VI, 13.
48 V. J. Bayet, L'immortalité astrale d’Auguste, in Mélanges de Littéralurc Latine, Roma 1967, pp. 371 408.
49 Cornelio Nepote, Pelopida, 1.
50 Plutarco, Vita di Alessandro, 1, 1-2.
51 Storie, I, 2, 1.
52 Annali ' I, 2-5; VI, 51; XII, 69.
53 Ibid., III, 26-28.
,
54 Ibid., III , 5-6.
55 Vita di Agricola, 30-32; 33.
56 Cfr. sopra, p. 65.
57 Ad Helviam, 13, 2.
58 Naturales quaestiones, 1, 15.
59 Petronio, Satyricon, 119, v. 1 e sgg.
60 Storie, IV, 69, 5.
61Vita di Agricola, 14, 3; 16, 4 e 7.
62 Ibid., 32, 1 e 2.
63 Storie, tv, 73, 3; 5.
64 Iidd, IV, 74, 8-9.
65 Vita di Agricola, 30, 7.
66 Storie, v, 22, 7 e sgg.
67 A. Michel, Tacite et le destine de l Empire, Paris 1966, p. 29.
68 Vita di Agricola, 21, 3. Cfr. sopra, p. 132.
69 Vita di Agricola, ibid.; « porticus et balnea et conviviorum elegantiam. .
70 Ad Luciliurn, 22, 11.
71 Platone, Leggi, 678 e sgg.
72 Annali ' III, 52-54.
73 Ibid, cap. 55.
73 Plinio il Giovane, Paneg., 51, 2. Cfr. anche Dione Cassio. 68, 15, 2.
74 Ibid., 50, 1 e sgg.
76 Ibid, 50, 6.
Tac., dial., 36-41. L'eloquenza trae materia dal confronto politico e civile.
36. . . . rem cogitant; nihil humile, nihil abiectum eloqui poterat. Magna eloquentia, sicut flamma, materia
alitur et motibus excitatur et urendo clarescit. Eadem ratio in nostra quoque civitate antiquorum eloquentiam
provexit. Nam etsi horum quoque temporum oratores ea consecuti sunt, quae composita et quieta et beata
re publica tribui fas erat, tamen illa perturbatione ac licentia plura sibi adsequi videbantur, cum mixtis
omnibus et moderatore uno carentibus tantum quisque orator saperet, quantum erranti populo persuaderi
poterat. Hinc leges assiduae et populare nomen, hinc contiones magistratuum paene pernoctantium in
rostris, hinc accusationes potentium reorum et adsignatae etiam domibus inimicitiae, hinc procerum
factiones et assidua senatus adversus plebem certamina. Quae singula etsi distrahebant rem publicam,
exercebant tamen illorum temporum eloquentiam et magnis cumulare praemiis videbantur, quia quanto
quisque plus dicendo poterat, tanto facilius honores adsequebatur, tanto magis in ipsis honoribus collegas
suos anteibat, tanto plus apud principes gratiae, plus auctoritatis apud patres, plus notitiae ac nominis apud
plebem parabat. Hi clientelis etiam exterarum nationum redundabant, hos ituri in provincias magistratus
reverebantur, hos reversi colebant, hos et praeturae et consulatus vocare ultro videbantur, hi ne privati
quidem sine potestate erant, cum et populum et senatum consilio et auctoritate regerent. Quin immo sibi ipsi
persuaserant neminem sine eloquentia aut adsequi posse in civitate aut tueri conspicuum et eminentem
locum. Nec mirum, cum etiam inviti ad populum producerentur, cum parum esset in senatu breviter censere,
nisi qui ingenio et eloquentia sententiam suam tueretur, cum in aliquam invidiam aut crimen vocati sua voce
respondendum haberent, cum testimonia quoque in publicis [iudiciis] non absentes nec per tabellam dare,
sed coram et praesentes dicere cogerentur. Ita ad summa eloquentiae praemia magna etiam necessitas
accedebat, et quo modo disertum haberi pulchrum et gloriosum, sic contra mutum et elinguem videri
deforme habebatur.
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37. Ergo non minus rubore quam praemiis stimulabantur, ne clientulorum loco potius quam patronorum
numerarentur, ne traditae a maioribus necessitudines ad alios transirent, ne tamquam inertes et non
suffecturi honoribus aut non impetrarent aut impetratos male tuerentur. Nescio an venerint in manus vestras
haec vetera, quae et in antiquariorum bibliothecis adhuc manent et cum maxime a Muciano contrahuntur, ac
iam undecim, ut opinor, Actorum libris et tribus Epistularum composita et edita sunt. Ex his intellegi potest
Cn. Pompeium et M. Crassum non viribus modo et armis, sed ingenio quoque et oratione valuisse; Lentulos
et Metellos et Lucullos et Curiones et ceteram procerum manum multum in his studiis operae curaeque
posuisse, nec quemquam illis temporibus magnam potentiam sine aliqua eloquentia consecutum. His
accedebat splendor reorum et magnitudo causarum, quae et ipsa plurimum eloquentiae praestant. Nam
multum interest, utrumne de furto aut formula et interdicto dicendum habeas, an de ambitu comitiorum,
expilatis sociis et civibus trucidatis. Quae mala sicut non accidere melius est isque optimus civitatis status
habendus est, in quo nihil tale patimur, ita cum acciderent, ingentem eloquentiae materiam subministrabant.
Crescit enim cum amplitudine rerum vis ingenii, nec quisquam claram et inlustrem orationem efficere potest
nisi qui causam parem invenit. Non, opinor, Demosthenem orationes inlustrant, quas adversus tutores suos
composuit, nec Ciceronem magnum oratorem P. Quintius defensus aut Licinius Archias faciunt: Catilina et
Milo et Verres et Antonius hanc illi famam circumdederunt, non quia tanti fuerit rei publicae malos ferre cives,
ut uberem ad dicendum materiam oratores haberent, sed, ut subinde admoneo, quaestionis meminerimus
sciamusque nos de ea re loqui, quae facilius turbidis et inquietis temporibus existit. Quis ignorat utilius ac
melius esse frui pace quam bello vexari? Pluris tamen bonos proeliatores bella quam pax ferunt. Similis
eloquentiae condicio. Nam quo saepius steterit tamquam in acie quoque pluris et intulerit ictus et exceperit
quoque maiores adversarios acrioresque pugnas sibi ipsa desumpserit, tanto altior et excelsior et illis
nobilitata discriminibus in ore hominum agit, quorum ea natura est, ut secura velint, [periculosa mirentur].
38. Transeo ad formam et consuetudinem veterum iudiciorum. Quae etsi nunc aptior est [ita erit],
eloquentiam tamen illud forum magis exercebat, in quo nemo intra paucissimas horas perorare cogebatur et
liberae comperendinationes erant et modum in dicendo sibi quisque sumebat et numerus neque dierum
neque patronorum finiebatur. primus haec tertio consulatu Cn. Pompeius adstrinxit imposuitque veluti frenos
eloquentiae, ita tamen ut omnia in foro, omnia legibus, omnia apud praetores gererentur: apud quos quanto
maiora negotia olim exerceri solita sint, quod maius argumentum est quam quod causae centumvirales,
quae nunc primum obtinent locum, adeo splendore aliorum iudiciorum obruebantur, ut neque Ciceronis
neque Caesaris neque Bruti neque Caelii neque Calvi, non denique ullius magni oratoris liber apud
centumviros dictus legatur, exceptis orationibus Asinii, quae pro heredibus Urbiniae inscribuntur, ab ipso
tamen Pollione mediis divi Augusti temporibus habitae, postquam longa temporum quies et continuum populi
otium et assidua senatus tranquillitas et maxime principis disciplina ipsam quoque eloquentiam sicut omnia
alia pacaverat.
39. Parvum et ridiculum fortasse videbitur quod dicturus sum, dicam tamen, vel ideo ut rideatur. Quantum
humilitatis putamus eloquentiae attulisse paenulas istas, quibus adstricti et velut inclusi cum iudicibus
fabulamur? Quantum virium detraxisse orationi auditoria et tabularia credimus, in quibus iam fere plurimae
causae explicantur? Nam quo modo nobilis equos cursus et spatia probant, sic est aliquis oratorum campus,
per quem nisi liberi et soluti ferantur, debilitatur ac frangitur eloquentia. Ipsam quin immo curam et diligentis
stili anxietatem contrariam experimur, quia saepe interrogat iudex, quando incipias, et ex interrogatione eius
incipiendum est. frequenter probationibus et testibus silentium + patronus + indicit. unus inter haec dicenti
aut alter adsistit, et res velut in solitudine agitur. Oratori autem clamore plausuque opus est et velut quodam
theatro; qualia cotidie antiquis oratoribus contingebant, cum tot pariter ac tam nobiles forum coartarent, cum
clientelae quoque ac tribus et municipiorum etiam legationes ac pars Italiae periclitantibus adsisteret, cum in
plerisque iudiciis crederet populus Romanus sua interesse quid iudicaretur. Satis constat C. Cornelium et M.
Scaurum et T. Nilonem et L. Bestiam et P. Vatinium concursu totius civitatis et accusatos et defensos, ut
frigidissimos quoque oratores ipsa certantis populi studia excitare et incendere potuerint. Itaque hercule eius
modi libri extant, ut ipsi quoque qui egerunt non aliis magis orationibus censeantur.
40. Iam vero contiones assiduae et datum ius potentissimum quemque vexandi atque ipsa inimicitiarum
gloria, cum se plurimi disertorum ne a Publio quidem Scipione aut [L.] Sulla aut Cn. Pompeio abstinerent, et
ad incessendos principes viros, ut est natura invidiae, populi quoque ut histriones auribus uterentur,
quantum ardorem ingeniis, quas oratoribus faces admovebant. Non de otiosa et quieta re loquimur et quae
probitate et modestia gaudeat, sed est magna illa et notabilis eloquentia alumna licentiae, quam stulti
libertatem vocitant, comes seditionum, effrenati populi incitamentum, sine obsequio, sine severitate,
contumax, temeraria, adrogans, quae in bene constitutis civitatibus non oritur. Quem enim oratorem
Lacedaemonium, quem Cretensem accepimus? Quarum civitatum severissima disciplina et severissimae
leges traduntur. Ne Macedonum quidem ac Persarum aut ullius gentis, quae certo imperio contenta fuerit,
eloquentiam novimus. Rhodii quidam, plurimi Athenienses oratores extiterunt, apud quos omnia populus,
omnia imperiti, omnia, ut sic dixerim, omnes poterant. Nostra quoque civitas, donec erravit, donec se
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partibus et dissensionibus et discordiis confecit, donec nulla fuit in foro pax, nulla in senatu concordia, nulla
in iudiciis moderatio, nulla superiorum reverentia, nullus magistratuum modus, tulit sine dubio valentiorem
eloquentiam, sicut indomitus ager habet quasdam herbas laetiores. Sed nec tanti rei publicae Gracchorum
eloquentia fuit, ut pateretur et leges, nec bene famam eloquentiae Cicero tali exitu pensavit.
41. Sic quoque quod superest [antiquis oratoribus fori] non emendatae nec usque ad votum compositae
civitatis argumentum est. Quis enim nos advocat nisi aut nocens aut miser? Quod municipium in clientelam
nostram venit, nisi quod aut vicinus populus aut domestica discordia agitat? Quam provinciam tuemur nisi
spoliatam vexatamque? Atqui melius fuisset non queri quam vindicari. Quod si inveniretur aliqua civitas, in
qua nemo peccaret, supervacuus esset inter innocentis orator sicut inter sanos medicus. Quo modo tamen
minimum usus minimumque profectus ars medentis habet in iis gentibus, quae firmissima valetudine ac
saluberrimis corporibus utuntur, sic minor oratorum honor obscuriorque gloria est inter bonos mores et in
obsequium regentis paratos. Quid enim opus est longis in senatu sententiis, cum optimi cito consentiant?
Quid multis apud populum contionibus, cum de re publica non imperiti et multi deliberent, sed sapientissimus
et unus? Quid voluntariis accusationibus, cum tam raro et tam parce peccetur? Quid invidiosis et
excedentibus modum defensionibus, cum clementia cognoscentis obviam periclitantibus eat? credite, optimi
et in quantum opus est disertissimi viri, si aut vos prioribus saeculis aut illi, quos miramur, his nati essent, ac
deus aliquis vitas ac [vestra] tempora repente mutasset, nec vobis summa illa laus et gloria in eloquentia
neque illis modus et temperamentum defuisset: nunc, quoniam nemo eodem tempore adsequi potest
magnam famam et magnam quietem, bono saeculi sui quisque citra obtrectationem alterius utatur."
36. [1] … meditare la questione, nulla di basso o di meschino poteva dire. La grande eloquenza, come la
fiamma, ha bisogno di materia che la alimenti e di movimento che la ravvivi; e nell'ardere acquista splendore.
Le medesime cause favorirono anche nella nostra città l'eloquenza degli antichi. [2] Benché infatti certi
oratori dei nostri tempi abbiano ottenuto tutti i successi che potevano ripromettersi in uno Stato ben regolato,
tranquillo e felice, tuttavia sembra che maggiori speranze si aprissero agli antichi in mezzo a quei grandiosi
rivolgimenti e tumulti, allorché, essendo ogni cosa sconvolta e mancando un unico capo, ciascun oratore
tanto più valeva, quanto più riusciva ad influire sulla moltitudine disorientata. [3] Di qui le frequentissime
proposte di leggi e la gran popolarità; di qui gli sproloqui dei magistrati, che quasi pernottavano sulla tribuna:
di qui le accuse lanciate contro alti personaggi e le inimicizie condivise anche dalle famiglie, di qui le fazioni
dei patrizi, di qui le lotte continue tra il senato e la plebe. [4] Tutti questi mali dilaniavano sì lo Stato, ma
stimolavano l'eloquenza di quei tempi e le offrivano brillanti compensi; perché quanto più un cittadino
s'imponeva con la parola, tanto più facilmente giungeva alle cariche pubbliche e nelle cariche stesse
oltrepassava i proprii colleghi; e tanto maggior favore si procurava da parte dei potenti, tanto maggiore
autorità da parte del senato, tanto maggiore notoiietà e fama presso la plebe. [5] Affluivano ad essi clientele
anche di nazioni straniere; i magistrati che partivano per le province li ossequiavano, ritornati li onoravano;
sembrava che preture e consolati spontaneamente li chiamassero, e neppure da privati erano senza potere,
poiché con l'autorità e col consiglio guidavano il popolo e il senato. [6] Anzi, gli antichi si erano convinti che
senza l'eloquenza nessuno potesse ottenere o mantenere un posto cospicuo ed eminente nello Stato. [7] Né
fa meraviglia: perché si poteva allora essere portati alla tribuna anche senza volerlo; e motivare il proprio
parere in senato con una breve dichiarazione era poco, se uno non lo sosteneva con l'ingegno e l'eloquenza,
perché chi era chiamato a difendersi contro qualche malevola accusa doveva rispondere personalmente, e
anche le testimonianze nei processi esigevano una voce esercitata, dato che esse non si potevano rendere
di lontano o per iscritto, ma bisognava deporre in persona e di presenza. [8] Così agli altissimi compensi
dell'eloquenza si aggiungeva anche il fatto che essa era necessaria: e come era ritenuto bello e glorioso
essere stimati eloquenti, così era ritenuto vergognoso sembrar muti e senza lingua.
37. [1] Gli oratori erano dunque spronati dal senso dell'onore, non meno che dai compensi, a non farsi
annoverare tra i clientucoli piuttosto che fra i patroni; a non permettere che le relazioni trasmesse dagli avi
passassero ad altri, a far sì che non avvenisse loro, causa una fama di inerzia o di inettitudine, di non
ottenere cariche, o di sostenerle male una volta ottenute. [2] Non so se vi siano capitati tra le mani quei
vecchi documenti che anche oggi si conservano nelle biblioteche degli antiquari e che ora appunto vengono
raccolti da Muciano; credo che siano già stati ordinati e pubblicati in undici libri di Atti e in tre di Epistole. [3]
Da essi si può intendere come Gn. Pompeo e M. Crasso abbiamo dovuto la loro grandezza non solo alla
forza e alle armi, ma anche al loro ingegno e alla loro arte oratoria; come i Lentuli e i Metelli e i Luculli e i
Curioni e tutta la rimanente schiera di ragguardevoli personaggi abbiano dedicato molte fatiche e molta cura
a questi studi, e come in quei tempi nessuno, che non fosse eloquente, sia salito a grande potenza. [4] A
tutto ciò s'aggiungeva l'alto rango degli accusati e l'importanza delle cause, le quali cose di per sé
contribuiscono assai a rendere eloquenti. Poiché vi è molta differenza tra il dover parlare di un furto o di una
formula o di un'ordinanza straordinaria del pretore Il oppure di broglio elettorale, di saccheggio a danno di
alleati o di un massacro di cittadini. [5] Calamità siffatte sarebbe meglio che non avvenissero, e ottima
condizione deve essere considerata quella in cui non si deve soffrire nulla di simile: però, quando
accadevano, somministravano abbondante materia all'eloquenza. Si acuisce infatti il vigore dell'ingegno con
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la grandezza dell'argomento, e nessuno può fare un discorso brillante e famoso se non ha trovato una causa
adeguata. [6] Demostene, io penso, non è illustre per i discorsi che compose contro i proprii tutori e non è la
difesa di P. Quinzio o quella di Licinio Archia che fa di Cicerone un oratore celebre. Catilina e Milone e Verre
e Antonio hanno circondato di tal fama il suo nome; non che per lo Stato fosse una fortuna dover tollerare
cattivi cittadini per fornire agli oratori una materia inesauribile di discorsi; ma, come ripetutamente ho
avvertito, non dimentichiamo quale è il problema, e rendiamoci conto che noi parliamo di tale arte, che
meglio si afferma in tempi torbidi e tempestosi. [7] Chi ignora che è cosa migliore e più profittevole godere la
pace che provare i tormenti della guerra? Tuttavia le guerre suscitano buoni combattenti in maggior copia
che non la pace. Lo stesso accade per l'eloquenza: [8] quanto più spesso si sarà messa in posizione di
battaglia, quanti più colpi avrà dato e ricevuto e quanto più forti avversari e più acerbi scontri avrà
spontaneamente cercati, tanto più alta ed eccelsa e nobilitata da quei pericoli ella sta sulle labbra degli
uomini; la cui natura è tale che vorrebbero guardare i pericoli altrui stando essi stessi al sicuro.
38. [1] Passo ora alla forma consueta dei processi d'una volta. Sebbene essa sia ora più rispondente alla
verità, tuttavia metteva meglio in esercizio l'eloquenza quel foro, nel quale nessuno era costretto ad
arringare nel giro di pochissime ore, e i rinvii erano liberi e ciascuno si assegnava la misura per il proprio
discorso, e non veniva limitato il numero né dei giorni né dei patroni. [2] Gn. Pompeo, per primo, introdusse
delle restiizioni durante il suo terzo consolato, e impose per così dire un freno all'oratoria, senza però che le
cause cessassero di venir trattate tutte nel foro, tutte in base alle leggi, tutte dinanzi ai pretori. E quanto
fossero più importanti le questioni che questi allora trattavano abitualmente, è provato dal fatto che le cause
centumvirali 1, le quali ora tengono il primo posto, erano allora offuscate dallo splendore degli altri tribunali, a
tal punto che non è pubblicato un solo discorso, né di Cicerone né di Cesare né di Bruto né di Celio né di
Calvo, né infine d'alcun grande oratore, che sia stato tenuto alla presenza dei centumviri, eccettuate le
orazioni di Asinio per gli eredi di Urbinia. E queste vennero composte da Pollione stesso verso la metà dei
tempi del divo Augusto, dopo che un lungo periodo di pace e la quiete ininterrotta del popolo e la tranquillità
costante del senato e la grandissima disciplina imposta dal principe avevano dato pace, come a tutto il resto,
anche all'eloquenza.
39. [1] Sembrerà forse meschino e ridicolo quello che sto per dire: e tuttavia lo dirò, sia pure soltanto perché
si rida di me. Quanto avvilimento non dobbiamo noi credere che abbiano inflitto all'eloquenza questi
mantelletti, nei quali costretti e quasi imprigionati noi cianciamo coi giudici? Quanta forza non dobbiamo
pensare che abbiano tolto ai discorsi questi ambienti di scuola e d'archivio, in cui si trattano quasi tutte le
cause? [2] A quel modo che le corse su spazi aperti fanno riconoscere i cavalli di razza, così è necessario
agli oratori un campo tale, che il loro talento vi si possa muovere libero e sciolto; altrimenti, l'eloquenza si
affloscia e svanisce. [3] E l'esperienza c'insegna che riesce contraria all'effetto anche la cura stessa e la
meticolosità nel preparare il modo dell'espressione: perché spesso il giudice ti interroga nel momento in cui
tu stai per abbordare la trattazione, e allora devi incominciare dalla sua interrogazione: non di rado poi egli ti
fa tacere per dar luogo ad argomenti di prova e a testimonia, e in questo frattempo uno o due stanno ad
ascoltare, e la causa si svolge, per così dire, nel deserto. [4] Ora invece l'oratore ha bisogno di acclamazioni
e di plauso e quasi di una specie di teatro; il che toccava ogni giorno agli oratori antichi, quando un uditorio
tanto numeroso quanto scelto affollava il foro, quando stuoli dì clienti e tribù e deputazioni di municipi e e
una parte dell'Italia presenziavano ai giudizi; quando il popolo romano si riteneva direttamente interessato
all'esito della maggior parte dei processi. [5] E' accertato che ad ascoltare l'accusa e la difesa di G. Cornelio,
di M. Scauro, di T. Milone, di L. Bestia, di P. Vatinio accorse tutta la Città; cosicché anche gli oratori più
freddi venivano eccitati e infiammati dal cozzo stesso delle passioni popolari. Pertanto, in fede mia, restano
a noi per iscritto discorsi tali, che i loro autori ne sono nobilitati come da nessun altro titolo oratorio.
40. [1] E quanto ardore agli ingegni, che fuoco agli oratori dovevano comunicare le frequenti assemblee
politiche e il diritto concesso a tutti di attaccare i più potenti, e il vanto stesso che le inimicizie procuravano,
allorché moltissimi tra gli uomini eloquenti non risparmiavano neppure un P. Scipione o un Silla o un Gn.
Pompeo, e per attaccare, come fa naturalmente l'invidia, i grandi cittadini, si giovavano, a mo' di istrioni, delle
orecchie del Volgo.
[2] Noi non parliamo di una cosa riposante e calma, amica dell'onestà e della moderazione: quella famosa
grande e memorabile eloquenza è figlia della licenza, che gli stolti chiamano libertà; è compagna delle
sedizioni, è stimolo alla sfrenatezza popolare, non conosce ossequio né serietà: è ribelle, temeraria,
arrogante, e nelle città bene ordinate non nasce. [3] Quale oratore conosciamo noi di Sparta o di Creta?
Città delle quali si tramandano l'ordine severissimo e le severissime leggi. Neppure dei Macedoni e dei
Persiani conosciamo l'eloquenza, né di alcun popolo che sia stato tenuto a freno da un governo ben
regolato. Alcuni oratori ebbe Rodi, moltissimi Atene: là il popolo poteva tutto e potevano tutto gli
incompetenti, e tutti, per così dire, potevano tutto. [4] Anche la nostra città, finché andò errando fuori di
strada, finché si consumò nei dissidi e nelle discordie dei partiti e non vi fu pace nel foro, né accordo nel
senato, né regola nei procedimenti giudiziari, né rispetto verso le persone eminenti, né venne fissato un
limite all'autorità dei magistrati, produsse certo un'eloquenza più rigorosa, come un terreno vergine produce
erbe più rigogliose. Ma l'eloquenza dei Gracchi non arrecò tanto bene allo Stato da meritare che questo ne
tollerasse anche le leggi; e Cicerone pagò troppo cara, con una così triste fine, la sua fama di eloquenza.
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41. [1] Anche quella attività forense che sopravvive agli oratori antichi' è prova che lo Stato non è migliorato
né ordinato come si vorrebbe. [2] Infatti chi ricorre a noi, all'infuori del colpevole o della vittima? Quale
municipio diviene nostro cliente, se non lo travaglia un popolo vicino o un dissidio interno? Quale provincia
difendiamo, che non sia stata spogliata e oppressa? Ora, sarebbe meglio non doversi querelare che dover
chiedere soddisfazione. [3] Se si trovasse una città in cui nessuno commettesse colpa, l'oratore sarebbe
inutile in mezzo ad un tale paese di incolpevoli, come il medico fra i sani. A quel modo che l'arte medica ha
solo un minimo di utilità e di profitto tra quelle popolazioni, che godono salute ottima e hanno corpi
vigorosissimi, così è minore la dignità e meno luminosa la gloria degli oratori in mezzo a gente di buoni
costumi e ossequente a chi governa. [4] Che bisogno c'è infatti di lunghi discorsi in senato, se i buoni si
accordano sùbito? Che bisogno di tante concioni davanti al popolo, se non è una moltitudine di ignoranti
quella che delibera intorno agli interessi dello Stato, ma uno solo, e il più saggio? A che le accuse volontarie,
quando si pecca così di rado e così poco? O le odiose o interminabili difese, quando la clemenza del giudice
si fa benevolmente incontro agli accusati? [5] Credetemi, o uomini eccellenti e, per quanto è possibile oggi,
oratori perfetti: se voi foste nati in uno dei secoli precedenti, e coloro che ammiriamo fossero nati in questo,
e se un dio invertisse all'improvviso le vostre vite e i vostri tempi, non sarebbe mancata a voi quella
grandissima gloria di cui essi rifulsero nell'eloquenza, né ad essi la misura e la moderazione che avete voi.
Ma, poiché nessuno può raggiungere insieme una grande fama e una grande tranquillità, goda ciascuno i
vantaggi del proprio tempo senza dir male dell'altro.
Traduzione di A. Arici, Torino, Utet, 1959, 19702.
36. …meditare l'argomento (?), non avrebbe saputo dire parole banali né senza valore. La grande
oratoria come il fuoco, si alimenta di materia prima, si ravviva agli impulsi e bruciando acquista luce. Lo
stesso principio ha promosso l'oratoria degli antichi anche nella nostra società. Infatti, benché anche gli
oratori contemporanei abbiano ottenuto tutto quello che può conferire uno stato ordinato, tranquillo e
soddiitto, tuttavia quelli di un tempo ritenevano di procurarsi maggiori vantaggi gra zie alla turbolenza e
all’anarchia di allora, quando, nella confusione generale in assenza di un moderatore unico, ciascun
oratore era tanto bravo quanto sapeva persuadere il popolo sbandato. Questo quadro produsse una
legge dopo l'altra e la qualifica di “amico del popolo”, produsse discorsi di magistrati che per poco non
pernottavano sui rostri, produsse accuse ai potenti e inimizie che diventavano eredità di famiglia,
produsse fazioni tra i nobili e il costante conflitto del senato con la plebe. Anche se questi fatti,
singolarmente considerati, laceravano la repubblica, tuttavia teneva in attività l'oratoria di quell'epoca e
parevano arricchirla di grandi premi, poiché quanto piú uno padroneggiava l'arte di parlare, tanto piú
facilmente aveva accesso alle cariche pubbliche, tanto piú superava i suoi colleghi nell'esercitarle, tanto
piú favore incontrava presso i potenti, piú prestigio in senato, piú notorietà e reputazione tra la plebe.
Questi oratori aveno una fluviale clientela pure di nazioni straniere, e i magistrati in procinto di partire
per le province rendevano loro onore, di ritorno li omaggiavano, addirittura sembrava che fossero i
consolati e le preture a chiamarli; neppure da privati cittadini erano senza poteri, poiché guidavano
popolo e senato con il loro consiglio e prestigio.
Anzi, personalmente erano convinti che nessuno
senza eloquenza potesse raggiungere o mantenere una posizione di riguardo o di rilievo nella società.
Non c'è da stupirsi, per le seguenti ragioni: erano costretti a compar ire di fronte al popolo anche contro
voglia, non bastava dire in breve il proprio parere in senato, se non lo si rafforzava con il dono
dell'eloquenza, dovevano rispondere parlando personalmente, se citati con un'accusa dettata dall'odio,
poiché nei giudizi pubblici anche le testimonianze si dovevano rendere non restando assenti (e quindi
producendo una memoria scritta), ma presenziando e parlando in pubblico. Così anche una notevole
necessità si sommava ai più alti vantaggi dell'oratoria, e come pareva bel lo e glorioso essere
considerato esperto in quell'arte, cosí viceversa si riteneva brutto apparire muto e senza lingua.
37. Perciò un impulso non minore che dai premi veniva a loro dalla vergogna di essere trattati da
semplici clienti anziché da patroni, di veder trasferire ad altri le relazioni acquisite dagli antenati, di non
ottenere onori, perché rispettivamente non disposti o non adatti a sostenerli, o di gestirli male una volta
ottenuti. Non so se abbiate avuto tra le mani queste vecchie opere che ancora si conservano negli
scaffali dei collezionisti e che sono raccolte soprattutto da Muciano ; ne sono già stati messi assieme e
pubblicati undici libri di Atti e tre di Epistole. Se ne può ricavare che Gneo Pompeo e Marco Crasso
avevano fondato il loro potere non solo sulla forza delle armi, ma anche sul talento oratorio; i vari
Lentulo, Metello, Lucullo, Curione e la rimanente schiera di notabili avevano dedicato molto lavoro e
impegno a questi studi, e nessuno a quei tempi ottenne grande potere senza un a qual che forma di
eloquenza. Vi si aggiungevano il rango degli imputati e la rilevanza delle cause, che anche di per sé
conferiscono moltissimo all'eloquenza. Infatti c'è una bella differenza tra dover parlare di un furto, di una
formula, di un'ordinanza del pretore, o di broglio elettorale, di sfruttamento di alleati o di o micidi a danno
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di concittadini. Questi delitti, se da un lato è meglio che non si verifichino, e se la migliore condizione della
società è quella in cui non subiamo nulla di simile, dall'altro, quando accadevano, fornivano vasto materiale
all'oratoria. Infatti la forza deil'ingegno si sviluppa con la rilevanza del caso, e nessuno riesce a produrre
un'orazione chiara e illustre se non ha trovato una causa che non sia all'altezza. A mio parere Demostenc
non è reso farnoso dalle orazioni che scrisse contro i suoi tutori, né Cicerone è reso un grande oratore dalla
difesa di Publio Quinzio o di Licinio Archia: no, sono Catilina, Milone, Verre, Antonio quelli che lo coronarono
di questa fama; non che per lo Stato valesse tanto la pena sopportare dei cattivi cittadini, per dare agli
oratori materiale per la propria attività, ma, come vado ripetendo, rícordiamoci del problema e rendiamoci
conto che stiamo par:vndo di un oggetto che ha esistenza piú facile in tempi turbolenti e inquieti. Lo sanno
tutti che è più utile e migliore godere della pace che essere tormentati alla guerra, eppure sono le guerre e
non la pace a produrre un maggior numero di buoni combattenti. Anche per l'eloquenza è cosí. Infatti quanto
più spesso si schiera come in battaglia, quanti piú colpi vibra e riceve, quanto più grandi sono gli avversari e
più aspri i combattimenti che essa stessa ha cercato, tanto piú in alto, in rilievo e nobilitata dalle crisi è sulle
bocche di uomini fatti cosí, che amano vedere gli altri in pericolo, stando personalmente tranquilli.
38. Passo alla forma e alla consuetudine degli antichi processi. Se oggi essa è più consona alla verità,
tuttavia l'eloquenza era impegnata in misura maggiore da quel foro nel quale nessuno era costretto a
concludere nello spazio di pochissime ore, i rinvii erano liberi, ciascuno stabiliva la misura del suo intervento
e non era predeterminato il numero dei giorni né quello dei patroni. Questi limiti furono posti da Gneo
Pompeo per primo, nel suo terzo consolato: egli mise quasi le briglie all'eloquenza, ma in modo tale che tutto
si svolgesse nel foro, tutto secondo la legge, tutto davanti ai pretori. Che le cause più importanti si tenessero
davanti a costoro è provato soprattutto dal fatto che le cause centumvirali, che ora vanno per la maggiore,
erano talmente travolte dalla brillantezza degli altri processi, che oggi non si legge alcuna orazione di diritto
centumvirale, né di Cicerone né di Cesare né di Bruto né di Celio né di Calvo né di altri grandi oratori, tranne
le orazioni di Asinio intestate agli eredi di Urbinia, che però Pollione pronuncio in piena età di Augusto, dopo
che un lungo periodo di tranquillità, una pace ininterrotta per il popolo romano, una stabile tregua sociale per
il senato e la più alta disciplina imposta dal principe avevano pacificato l'eloquenza stessa, come avevano
fatto con tutto il resto.
39. Forse sembrerà di scarso interesse e ridicolo quanto sto per dire, ma lo dirò lo stesso, anche solo perché
si possa riderne. Quanta umiltà crediamo che abbiano conferito all'eloquenza codeste camicie di forza che ci
costringono e quasi ci imprigionano nel discorrere con i giudici ? Quanta forza crediamo che abbiano
sottratto all'arringa le sale chiuse e gli archivi in cui ormai si dibattono quasi tutte le cause? Come il galoppo
in ampi spazi valorizza i cavalli di razza, così pure c'è una specie di campo anche per gli oratori; e non vi si
possono muovere liberi e senza impacci, l'eloquenza si esaurisce e va in pezzi. Anzi verifichiamo che è
controproducente la cura stessa e la preoccupazione del bello stile, poiché spesso il giudice interroga prima
che tu entri in argomento, e a ridosso della sua domanda tu devi entrare in argomento; spesso con le prove
e i testimoni impone il silenzio. Chi parla in queste fasi ha un pubblico di una o due persone e il giudizio si
svolge come nel deserto. Invece l'oratore ha bisogno delle urla e dell'applauso e - come possiamo dire ? - di
un teatro: come capitava ogni giorno agli antichi oratori, quando tante persone tutte di pari rango facevano
ressa nel foro, quando le clientele, la massa, le delegazioni dei municipi seguivano gli imputati, quando in
molti processi il popolo romano si riteneva direttamente interessato all'andamento della causa. E’ ben noto
che Gaio Cornelio, Marco Scauro, Tito Milone, Lucio Bestia e Publio Vatinio furono accusati e difesi con il
coinvolgimento di tutta la città, al punto che il tifo popolare da solo avrebbe saputo ravvivare e infiammare
perfino gli oratori più freddi. Insomma, per Ercole, se ne sono conservate redazioni scritte tali che anche i
loro autori sono celebri piú per queste che per altre orazioni.
40. E ormai i continui conflitti, il diritto di perseguire chiunque, il principio che molti nemici procurano molto
onore, quanta passione agli ingegni, quanto fuoco appiccano all'eloquenza, se la maggior parte degli oratori
non si fermarono nemmeno davanti a Publio Scipione, Lucio Silla o Gneo Pompeo e per attaccare le figure
piú in vista, secondo l'impulso naturale dell'invidia, usarono anche le orecchie del popolo come attori da
strapazzo.
Non stiamo parlando di un oggetto tranquillo e pacifico, che si appaga dell'onestà e della modestia, no:
quella grande e lodevole eloquenza è figlia dell'anarchia (gli sciocchi la chiamano libertà), compagna delle
rivoluzioni, provocazione per il popolo scatenato, priva di rispetto, senza serietà, spavalda, temeraria,
arrogante, che non viene alla luce negli stati ben organizzati. Abbiamo forse notizia di oratori di Sparta o di
Creta, società famose per disciplina severissima e per leggi severissime? Non siamo a conoscenza neppure
di un'oratoria macedone, persiana o di altro paese che fosse controllato da un regime risoluto. Ci furono
alcuni oratori Rodiesi, moltissimi Ateniesi, e alla loro epoca il popolo aveva tutti i poteri, gli inetti avevaano
tutti poteri, tutti, per cosí dire, avevano tutti i poteri. Anche la nostra città, finché fu allo sbando, finché si
annientò fra partiti, rivolte e discordie, finche non vi fu pace nel foro, concordia in senato, finché non vi fu
equilibrio nella giustizia, nessun rispetto per i superiori, nessuna misura nei magistrati, introdusse senza
dubbio un'eloquenza di un certo viigore, come un campo non coltivato ha alcune erbe più rigogliose. Ma nè
l'eloquenza dei Gracchi fu tanto rilevante per lo Stato da targli sopportare anche le leggi che promuovevano,
né Cicerone, con la morte che gli toccò, compensò bene la gloria della sua eloquenza.
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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41. Anche cosí il foro che sopravvive agli antichi oratori è prova di una società non perfetta né ordinata
secondo quanto si potrebbe desiderare. Infatti chi se non un colpevole o un disgraziato chiede il nostro
aiuto? Quale municipio accetta il ruolo dì cliente se non quello che è minacciato da un popolo vicino o da
una discordia interna ? Quale provincia difendiamo che non sia depredata e maltrattata ? E invece per uno
Stato ben governato sarebbe meglio non avere motivi di lamentarsi piuttosto che vendicarsi. Purché se ai
trovasse una qualche città in cui nessuno si macchiasse di colpe, tra persone innocenti I'oratore sarebbe
superfluo, come il medico dove tutti sono sani. E come la medicina fa la minima pratica e il minimo
progresso tra la gente di buona salute e di costituzione sana, cosí è piú scarso l’onore e più oscura la gloria
degli oratori tra i buoni costumi e il rispetto per chi governa.
Infatti che bisogno c'è di lunghi pareri in
senato, quando i migliori in un attimo si trovano d'accordo ? Che bisogno c'è di molti discorsi al popolo,
quando sulla politica non deliberano gli incompetenti e la massa, ma il più saggio e uno solo? Che bisogno
c'è di accuse private, quando le colpe sono così rare e scarse? Che bisogno c'è di difese che sollevano odio
contro I'accusa e superano la misura, quando la clemenza del giudice va incontro agli imputati ? Credetemi,
voi che siete uomini eccellenti e competenti quanto è necessario, se voi foste nati in tempi passati o quelli
che ammiriamo fossero nati nei nostri, e se un dio improvvisamente scambiasse le esistenze e le epoche, a
voi non mancherebbe la loro altissima fama e gloria nell'eloquenza, né a loro mancherebbe la vostra misura
e moderazione ; ora invece, poiché nessuno può nello stesso tempo conseguire grande fama e grande
tranquillità, ciascuno goda del vantaggio che gli offre il suo tempo, senza denigrare l'altro ».
Trad. di Giovanni Ravenna, Torino, Einaudi Pléiade, 2003.
Commento di G. Ravenna
6-41. Secondo discorso di Materno
L'interlocutore è Materno, come dimostra la didascalia del cronista a 42.1 (Finierat Maternus), sempre
che non si voglia rivalutare la vecchia ipotesi di una seconda lacuna, per cui cfr. infra, nota a 40.2. Egli
contrappone oratoria repubblicana e contemporanca, individuando nella prima le radici del disord ine e
dell'anarchia (capp. 36-37), distingue i processi antichi da quelli moderni secondo le condizioni in cui si
svolgevano e il ruolo del pubblico (38-39), quindi identifica nella metafora del fuoco dell'eloquenza
un'arma capace dì non risparmiare nessuno dei potenti (4o.1). Poi ha parole durissime contro chi
prende anarchia per libertà e contro l'oratoria come strumento di demagogia (40.2 -4). Nella sua
conclusione espone il ruolo di supremo arbitro del principe e formula un appello ad accettare ciascuno i
vantaggi che il suo tempo sa offrire (41).
36.1-2. Forse Materno aveva preso le mosse dagli oratori della Grecia, e il riferimento a parole elevate
e alla magna eloquentia potrebbe far pensare a Demostene. La metafora che attribuisce all'eloquenza
le stesse proprietà del fuoco si estende ai tre cola del periodo (alitur, excitatur, clarescit) e adattandosi
al periodo aureo dell'oratoria greca non meno che a quella romana consente appunto dì passare a
quest'ultima, ma con una distinzione fondamentale. Mentr e il criterio letterario della .synkrisis tra Greci e
Latini è tradizionale, la discriminante storica posta da Materno (horum .. temporurn ... illa perturbatione)
implica differenze drastiche sul piano del giudizio propriamente politico. Da una parte, il p resente:
composita et quieta et beata re publica, dall'altra il passato: illa perturbatione ac licentia ... mixtis
omnibus et moderatore uno carentibus. Licentia è degenerazione della libertas (Morford
199J , p.
34z6; Pianezzola 1997, p. i4-): il cenno all'anarchia non è isolato, anzi la sua ricorrenza proprio a 40.2
(si aggiunga 37.6: quae facilius turbidis et inquietis temporibus extitit) avvalora l'unitarietà della sezione
36-41 (Kiessner 1936, pp. 96-99) e mina l'ipotesi della seconda lacuna, postulata da Heumann e
sostenuta da Gudeman (cfr. cap. 42.2).
36.3. Materno, che si avvale di un periodo fatto di frasi nominali con anafora quadrimembre per
sottolineare il pericolo della parola messa al servizio della demagogia, individua negli oratori che
sapevano persuadere il popolo alla deriva le origini della proliferazione delle leggi, della fama di
popularis (la nomea, direi, piuttosto che la denominazione) e di altri mali dell'epoca repubblicana. Chiaro
il suo atteggiamento aristocratico, perché le leggi sono quelle che gradisce il popolo, ma chiara anche la
sua critica delle fazioni all'interno della nobiltà e della rivalità del senato contro la plebe.
36.4-5. Il pensiero che alcuni fatti negativi, etsi distrahebant rem publicam (verbo altamente espressivo) ,
alimentavano l'eloquenza di un tempo, non è isolato, ma ricompare anche a 37.5 (quuae mala …
Ingentem eloqueratiae materiam subministrabant) e a 37.6 (malos ferre cives, ut uberem ad dicendum
materiam narroratores haberent).
I praemia di cui parla Messalla, apparentemente positivi, in realtà sono fondati sull'arbitrio e la
sopraffazione: Materno riprende le questioni poste nel primo discorso di Apro, dove questi magnificava
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le soddisfazioni dell'oratore, e ne rovescia il segno, con una argomentazione non meramente
sociologica, come nel caso di Apro, ma politica. La figura dominante è l'anafora (tanto, plus, hi).
36.6. Dopo aver elencato con indignazione il caro prezzo che ai tempi della repubblica si pagava per
esercitare l'eloquenza, in vista dei suoi cospicui vantaggi, Materno conclude mostrando che la varietà
dei praemia e l'influenza della potestas facevano leva sulla consapevolezza generale che senza
l'eloquenza non si poteva conseguire o mantenere una posizione di rilievo (si noterà che l'arma della
parola non arriva a tanto da porsi come traguardo il conseguimento del primato).
36.7. Parlare durante la repubblica era anche una necessità, alla quale la volontà del singolo non
poteva opporsi. La varietà di situazioni derivante da questo stato di fatto è scandita da una serie
anaforica di cum + congiuntivo, per illustrare l'intervento in senato, l'autodifesa in giudizio, il ruolo di
testimone.
36.8. Materno che è riuscito a capovolgere gli apprezzamenti di Apro, denunciandone il segno
negativo, mostra che essi si sono imposti come valori di rilevanza morale e sociale (pulchrum et
gloriosum).
37-1. Come ha notato Guengerich, questo paragrafo è legato a quanto precede, e « la ripartizione del
capitolo è infelice ». E chiaro che la paura dell'emarginazione, d i ritrovarsi clienti (il diminutivo va preso
in senso proprio) anziché patroni è una motivazione ulteriore della dinamica illustrata sopra: poiché le
relazioni clientelari erano all'epoca ereditarie, non si poteva rischiare di perderle.
37.2-3. Il riferimento alle attività erudite di Gaio Licinio Muciano introduce invece a un altro ordine di
ragionamenti. Uomo politico e generale, ebbe il comando di quattro legioni in Siria (poi ridotte a tre),
dove era stato mandato da Nerone nel 66. Sostenitore di Vespasi ano, allora in Giudea (informa lo
stesso Tacito nelle Historiae), lo convinse con abili argomentazioni a entrare in lizza per l'impero
durante lo scontro tra Otone e Vitellio del 69 d. C. ; rientrò a Roma, dove prima governò con Domiziano,
poi si ritirò dedicandosi allo studio. Morí nel 77: Poiché qui è citato come vivente, il dialogo deve essere
ambientato in una data anteriore. Tacito gli ha dedicato un grande ritratto « paradossale » (La Penna
1976), con luci e ombre di un carattere pieno di contrasti (h ist. 1, 10). La sua opera fu lodata e utilizzata
da Plinio il Vecchio. Gli Acta, i « verbali » o resoconti ufficiali di orazioni celebri, che Muciano assemblava,
forse non senza un certo lavorio redazionale (purtroppo non abbiamo altre testimonianze oltre alla presente),
attestano che il potere dei triumviri Gneo Pompeo e Marco Licinio Crasso non era basato solo sulla forza
delle armi ; i nomi di alcune delle delle grandi famiglie di Roma (nell'ordine, la gens Cornelia, Caecilia, Licinia
e Scribonia) evocano vari uomini politici, che se non furono principalmente oratori, non poterono fare a meno
dell'eloquenza e per questo sono ricordati nel Bruto.
37.4. Materno contrappone i processi insignificanti (utrumne de furto aut formula et interdicto) a quelli
sensazionali (an de ambitu comitiorum, de expilatis sociis et civibus trucidatis, con una struttura bilanciata di
tre cola per parte e variata nelle congiunzioni. Furti, forrnule (cap. 20) e interdicta (ordinanze d'urgenza
emesse dal pretore con un ordine rìvolto a una o a tutte e due le parti in causa) non hanno la stessa
attrattiva dei processi con imputati eccellenti accusati di reati rilevanti: corruzione elettorale, malversazione a
danno di alleati, omicidi di concittadini. Per ciascuna tipologia possiamo ricordare tre opere di Cicerone,
rispettivamente la Pro Murena, pronunciata nel 63, le Verrinae, scritte nel 70 (la seconda actio non fu mai
pronunciata), la Pro Milone del 52.
37. 5-6. Questo intervento contiene un motivo che lo percorre da capo a fondo, al quale sì è già accennato al
cap. 36: se i grandi processi alimentano l'eloquenza (36.4), il quadro in cui questo è reso possibile è il
disordine e l'anarchia (illa perturbatione ac licentia: 36.2), un quadro che non bisogna mai perdere di vista,
come Materno non si stanca di raccomandare (ut subinde admoneo) ; il confronto tra sciamusque nos de ea
re loqui, quae facilius turbidis et inquietis temporibs eaxtitit e 40 2 non de otiosa et quieta re loquimur ...
alumna licentiae (cfr. 36.e) garantisce che la persona che sta parlando è sempre la stessa. Chi postulasse
una seconda lacuna a 40.2 avrebbe l'onere di spiegare come mai due interventi diversi mostrino le stesse
opinioni se non addirittura espressioni coincidenti.
37, 7-8. Materno personifica per mezzo della prosopopea l'eloquenza che combatte: sembra una risposta a
distanza al primo intervento di Apro (5,6) dove essa era rappresentata con la consuta immagine dell'arma.
La conclusione dei capitolo, ricostruita grazie alla correzione di Emil Baehrens securi ipsi per il tràdito secura
e all'integrazione di Vahlen, (spectare aliena pericla), è persuasiva, perché rievoca, ma in modo del tutto
provocatorio, il giudizio dello stesso Apro: invidis ... et inimicis terrorem ultro ferat, ipse securus et velut
quadam potentia ac potestate munitus (5.5). Il passo trae la sua natura polemica dalle premesse poste in
questo stesso capitolo.
38.1-2. La forma dei processi antichi fornisce argomenti a favore della tesi di Materno. Essi davano più
occasioni di libertà, che egli elenca una per una, agli oratori di quanto consentirono i limiti imposti dalla leggc
promossa da Pompeo nel 52, che regolava numero dei giudici, durata del processo, escussione dei testi e
tempi dell’intervento. In particolare stabiliva rinvii per un massimo di tre giorni per sentire i testimoni
(perendie vale « dopodomani », comperendinatio « rinvio a dopodomani », inteso come il terzo giorno
includendo nel calcolo il giorno di partenza e quello finale). Mentre i processi antichi si svolgevano davanti al
pretore (in iure), il diritto contemporaneo dominante è quello civile e privato, le cui cause si tengono davanti
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ai centumviri, competenti per questioni di proprietà ed eredità ; I'orazione di Asinio Pollione per gli eredi di
Urbinia tenuta intorno al 15 a. C., intendeva dimostrare che in realtà era uno schiavo colui che reclamava
tale eredità dicendosi figlio della donna. Non sappiamo come finì.
La conclusione del capitolo è stata al centro di una discussione: alla forma pacaverat per un certo periodo è
stata preferita da molti editori la variante depacaverat, perché considerata lectio dìfficilior. Oggi la questione
non sembra più attuale dopo le conclusioni di Bo 1989, che accredita pacaverat e, nello stesso contributo,
riscontra anche la massima coerenza nei discorsi di Materno, negando che la sua conclusione sul ruolo del
principato possa avere valore ironico. Su questo cfr. cap. 41.
39.1. Apro aveva invitato Materno a lasciare gli spazi chiusi (poesia come isolamento) per tornare nel foro
(10.5: le ab auditoriis et theatris in forum et ad causas et ad vera proelia voco). Materno muove da un'altra
contrapposizione, tra eloquenza antica e processi del suo tempo. I fattori di ridicolo a cui allude sono esposti
in due interrogative anaforiche, simmetriche sul piano sintattico: da un lato, il paradosso per cui le vesti
dimesse (paenulas istas) e le pastoie dell'oratoria attualc non producono affatto l'umiltà che dovrebbero (il
pensiero va a 26.9, dove, secondo Messalla, tutti si credono superiori a Cicerone), dall'altro i processi
perdono vigore per il fatto che si svolgono in aule e archivi, anziché in pubblico e all'aperto.
39.2-4. Il paragone con i cavalli ripropone l'antitesi spazio chiuso / spazio aperto, ma Materno ha usato il
topos con l'intento opposto a quello di Apro. Quest'ultimo aveva deplorato l'isolamento di Materno, tutto
dedito alla poesia, ora questi lo ricambia liquidando cosí i processi del tempo: res velut in solitudine agitur. E’
inevitabile pensare che Materno abbia di mira la critica di Apro ai poeti (9.3: ut sint qui dignentur audire).
Quando Materno ricorda l'uso di un tempo, descrive lucidamente la condizione in cui opera l'oratore: oratori
autem clarnore plausuque opus est et velut quodam theatro. Il capitolo successivo mostra senza ombra di
dubbio che i principi dei successo oratorio e del disordine sono organicamente collegati.
40.1 Un argomento a favore dell'esistenza di una seconda lacuna nel cap. 40 del dialogo è lo stacco netto,
per alcuni troppo reciso, tra faces admovebant e il periodo successivo non de otiosa et quieta re loquimur
(discussione in Gillis 1972, p. 517, importante anche per la bibliografia, da integrare con Bo 1993). Oggi la
qucstione sembra chiusa (Merklin 1991, p. 2273, ma si veda per esempio Lenaz, p. 186 nota a 40.2),
comunque per superare un certo disagio di lettura si può cercare di chiarire il legame del primo paragrafo
con il capitolo precedente. tn clemento di continuità esiste nel medcsimo orizzonte metaforico che collega
l'opposizione frigidissimos ... oratores ... excitare et incendere (39.5) e il chiasmo ardorem ingeniis oratoribus faces (40. 1); inoltre il paragrafo che inizia con iam vero non è affatto inadeguato a concludere il
discorso precedente, in quanto illustra la degenerazione del principio poco prima esposto metaforicamente
(39.4: « l'oratoria ha bisogno quasi del teatro »), che spinge ad attaccare persino principes viros e paragona,
rimanendo nella sfera del teatro, plurimi disertorumad attori da strapazzo: accertata come sicura la
correzione ut histriones di Haase per et histriones, quessto sostantivo motiva lo scadimento degli oratores a
diserti (un punto che sembra sfuggito n Giìngerich). In conclusione si porrebbe pensare a un ritocco
editoriale che facesse terminare il cap. 39 con l'attuale 40.1: iam vero (un inconeveniente analogo a questo
era segnalato da Guengerich a proposito d 37.1, che si lega molto meglio al capitolo precedente).
40.2. Dopo questo paragrafo, l'atto d'accusa di Materno giungerebbe a conclusione di un crescendo unitario,
manifestandosi con un livello di stile alto e poetico, come fa giustamente notare Guengerich (p.175), il cui
richiamo a 36.1 è utile sopratrutto per il ricorrere di licentia, degenerazione di libertas. Merito di Koestermann
1930, ripreso da Guengerich, p. 176, avere ricondotto a due contesti ciceroniani la trama polemica delle
parole di Materno. Cicerone, parlando dell'età di Pericle, definisce l’eloquenza pacis … comes otique socia
et iam bene constitutae civitatis quasi alumna quaedam (« compagna della pace, alleata della tranquillità e,
per cosí dire, figlia di una comunità ormai ben organizzata», Brut. 45) ; nel De oratore secondo Marco
Antonio compìti dell'oratore sono et languentis populi incitatio et effrenati moderatio(« incitare l'inerzia del
popolo e moderarne la sfrenatezza », Cic., de orat. II 35). La contrapposizione polemica, con asindeto
(contumax, temeraria, arrogans) e anfora (sine), è ancora piú aspra in quam stulti Iibertatem vocant, che è
rivolto contro lo stesso Cicerone (Bringmann 1970, p. 174).
40. 3-4. II tono dello stile elevato continua sostenuto dalla ricchezza delle anafore (quem, omnia, donec,
nulla), dal poliptoto (omnia ... omnes; con funzione ridondante in severissima ... severissimae), dal
polisindeto (partibus et dissentientibus et discordiis). Il senatore adduce alcuni esempi, per lui positivi, di stati
che non conobbero l'oratoria (Sparta, Creta, Macedonia, Persia) ; tra i negativi quello della democrazia di
Atene, dove orrrrria ... onzrze.r potercrnt, c quello dì Roma stessa (nostra yreoyu(, cirita.r), la quale finché è
andata alla deriva, ha comportato Sine' rlzrhào Un'eloquenza più efficace, ma a prezzo della pace e della
concordia. Nella società ai tempi della guerra civile sono protagonisti tutti i tre generi oratori (in/Oro ... in
.rcnrrtrr ... in iudirii,r). Non è impossibile sentire in sine dubio, che è un riconoscimento oggettivo alle
convinzioni di Messalla, una vena dì sarcasmo, motivato dal fatto che Materno sta formulando un giudizio
polirico. La deriva politica è terminata, certo a caro prezzo, solo con l'affermazione del principato, come
risulta con estrema chiarezza dai proemi delle Historiae e degli Annales.
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41.1 Il testo è discusso, ma forse si può evincere un senso soddisfacente. La tradizione ha quod superest
antiquis oratoribus forum, che a molti è parso sospetto (anche a Guengerich, p. 179). Spengel correggeva
quod superest amtiqui oratoribus fori (“quanto dell'antico foro rimane agli oratori”, piú o meno “l’eredità
dell'oratoria”: plausibile) ; la correzione di Huebner, che integra quod superest ab antiquis oratoribus forum,
non è un grande progresso, perché anche il nudo dativo dei testo tràdìto non è insostenibile e il significato «
sopravvivere a » non è banale. ,Anche sic quoque quod superest fa riflettere. Se noi leggessimo sic etiam
quod superest, lo troveremmo funzionale a un parallelismo tra il forum antico e quello contemporaneo:
l'eloquenza antica in bene constitutis civitatibus non oritur (40.2), «cosí anche quanto resta di essa» non
emendatae nec usque advotum compositae civitatis argumentum est (41,1). Ma torse non è il caso di
dubitare della lezione tràdita sic quoque (« anche cosí »), perché un senso soddisfacente si può ottenere
riferendola a tulit sine dubio valentiorem eloquentiam (40.4): « anche cosí (cioè anche godendo ora del
massimo rigoglio dell'eloquenza di allora) l'eredità dell'oratoria antica oggi non è prova di una società ben
realizzata» (intende diversamente Mavyer, p. 213;, che riferisce sic quoque a donec ed espunge antiquis
oratoribus.
41.2. La serie di interrogatice dirette, ciascuna completata da nisi, rievoca le componenti dell'atto d'accusa
di Apro: cum te tot amicorum causae, tot coloniarum et municiporum clientelas in forum vocent (3.4) – quis
enim nos advocat … quod municipium in clientelam nostram venit … quam provinciam tueremur? Fuori
luogo pensare a un puro gioco di astratte simmetrie, in omaggio alla forma ciclica. Qui la ripresa è voluta per
opporre alle motivazioni dì Apro la superiorità di una precisa valutazione politica: espressioni come nocens
aut miser … agitat …spoliatam vexatamque richiamano spoliazioni recenti, estendendo al presente il criterio
di giudizio politico con cui Materno aveva severamente giudicato il contesto dell'eloquenza repubblicana.
41.3
Il periodo ipotetico irreale si inveniretur…supervacuus presenta lo stato idealc in cuì l'oratoria
sarebbe superflua per una cpmunità di innoccnri, come è il medico per i sani. Tra le diverse opinioni sul
valore da attribuire a tamen, Gudeman lo intende come causale (= enim) c considera le parole seguenti una
rapprcsentazione dell'utopirn stato ideale, anziché un preciso omaggìo a Vespasiano ; se invece tamen
introduce il cambiamento del punto di vista (Guengerich, p. 180), allora l'attenzione si sposta
opportunamente sullo stato reale e storicamente determinato, grazie all'indicativo e all'opposizione in qua
nemp peccaret – cum tam raro et tam parce peccetur: ma un giudizio sul mondo reale implica l'assunzione
della responsabilità di un giudizio politico, noti necessari,tmente, come sì vedrà fra poco, un omaggio a
Vespasiano.
Come la grande oratoria era fiorita nei disordini, cosí al contrario la goria degli oratori si ridimensiona nella
società dei buoni costumi e dell'obseqium (con valore positivo) verso colui che governa (rector anche in Hist.
1 16. 1 ; in senso negativo Tacito usa invece la famiglia semantica di dominor, come in Hist. L, 1 o Ann. 1,
1).
41.4-5. II quadro della società ordinata prosegue con una serie di quattro interrogative retoriche, nelle prime
due è rappresentato il potere deliberativo, rispettivamente del senato e dei popolo; nelle altre due, ripartire
tra accuse e difese, quello giudiziario. Ma come intendere queste prese di posizione? Il finale del discorso di
Materno continua a suscitare riflessioni che influiscono sull' interpretazione dell'intera opera. Secondo la
critica, il senso delle sue parole può implicare una lode dei principato nella situazione presente (Reitzenstein
1914,15; Fraenkel 1932), una celebrazione dello stato ideale (Andresen, Gudeman, Michel), un atto di
omaggio dì natura panegiristica nel senso dell'adulatio (Poschl 1969, p. XIV), la manifestazione di una
coscienza scissa (Klingner 1932); sulla scia di Syme 1967-71, ma seguendo un orientamento che risale
molto piú addietro, altri hanno visto invece una esternazione ironica, che è stata approfondita con buoni
argomenti e robuste obiezioni agli studiosi citati sopra (Kohnken 1973). L'unico appunto che si può avanzare
a proposito di quest'ultima tendenza, volutamente radicalizzata, è questo: è rischioso insistere sulla
tendenza repubblicana delle tragedie di Materno senza avvertire che c'è bisogno di conciliarla con la sua
durissima condanna della licentia, purché non si voglia ridurlo, contro l'evidenza, a un'anima bella, a un
idealista frustrato o a un puro nostalgico.
Premesso che in ogni caso Materno non smentirebbe le idee manifestate nelle tragedie se si ammette che la
polemica antitirannìca non contraddice in linea di principio l'aspirazione a una res publica bene constituta
sotto la forma del principato, la questione dell'ironia, che non deve essere sopravvalutata, dovrebbe essere
ricondotta alla presa di distanza di Materno dalla propaganda flaviana contemporanea: il suo giudizio sul
prcsente stato di cose esibisce un linguaggio che apparentemente allude al migliore dei mondi possibili,
mentre vari passi del dialogo esibiscono senza equivoci l'impunità dei delatori e il pericolo che corre lo
stesso Materno.
Letture critiche
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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P. Grimal, Una terra di uomini liberi, da Tacito (or. 1990) , tr.ital. Milano, Garzanti, 1991. (BCTV)
pp. 132 segg.
Quali che fossero le intenzioni politiche di Tacito e le ragioni che lo spinsero a condurre questa
inchiesta (un po' alla maniera di Erodoto che «indagava» sui barbari ), non può sfuggire la sua intima
simpatia, la sua ammirazione per quegli uomini «immuni da qualunque connubio con le altre nazioni,
razza pura e incorrotta e simile soltanto a se stessa». Questa razza, forte così come era uscita dalle
mani della natura, non poteva non affascinare lo spirito dei Romani, che l'insegnamento dei filosofi
aveva abituato a denunciare i «vizi» della civiltà e ad apprezzare una vita «secondo natura». Tacito
aveva sfiorato il tema nella Vita di Agricola dove, come abbiamo visto, si richiamava ai «moralisti» e a
una lunga tradizione. I «vizi» portati dai conquistatori tendevano a pervertire i «buoni selvaggi», a toglier
loro la spontaneità e la purezza dei costumi. La Bretagna era in parte conquistata; tutto il Sud era
romanizzato o in via di romanizzazione. La Germania invece aveva subito l'influsso della civiltà romana
solo ai suoi margini. Nel suo insieme era una terra di libertà, come lo era ancora la Bretagna
settentrionale prima della sconfitta di Calgaco.
È difficile pensare che Tacito abbia realmente desiderato il ritorno dei Romani a una condizione politica
e morale simile a quella dei Germani. La sua descrizione del loro modo di vita non implica un elogio
senza riserve. I popoli enumerati alla fine del trattato non sono prese ntati come modelli. Per esempio i
Fenni (antenati dei Finnici?) sono, dice Tacito, un popolo di straordinaria ferocia e di estrema povertà;
presso di loro non si trova che sporcizia, inerzia e torpore; per nutrirsi hanno solo i prodotti della caccia,
e le donne seguono gli uomini, dividono con loro la carne degli animali uccisi. Questa gente è più vicina
agli animali che agli uomini. Si può preferire una vita simile a quella che si conduce nelle province
romane? Giunto a questo punto della sua esposizione T acito, pienamente cosciente del carattere
paradossale delle tesi sostenute sino a quel momento, non poteva più né rinnegarle né svilupparle sino
in fondo; e allora se la cava con una formula certamente ironica, con un'acrobazia, se si vuole: «Sicuri
contro gli uomini, sicuri contro gli dèi, hanno raggiunto la cosa più difficile: non avere neppure la
necessità di desiderare!».
Le nazioni germaniche poste in capo al mondo realizzano un ideale che Tacito è lontano dall'approvare,
quello del «saggio» cinico, che spinge all'estremo un atteggiamento di totale distacco da tutti i «beni di
fortuna». Certamente, Seneca prometteva a Lucilio che il suo insegnamento «avrebbe coperto» il suono
delle parole e dei voti che egli avesse rivolto agli dèi; e nel periodo stesso in cui Tacito scriveva la
Germania, Giovenale denunciava l'inanità dei desideri umani che, se esauditi, avrebbero posto i mortali
in balìa a tutti i capricci della Fortuna. Ma Seneca non pretendeva di ridurre Lucilio a una totale
indigenza, e Giovenale consiglia semplicemente di chiedere agli dei l'equilibrio morale e fisico, idea
certamente estranea ai Fenni.
Nel suo sforzo di capire chi sono realmente i Germani, Tacito comincia con l'osservare che tutti, o
quasi, presentano gli stessi caratteri fisici. Tutti, uomini e donne, sono di alta statura, hanno occhi
azzurri, capelli fulvi, sguardo fiero; la loro energia si sprigiona tutta al primo slancio, ma non dura.
Quest'ultima è una caratteristica tradizionalmente attribuita ai barbari del Nord dagli autori latini. Lo
diceva già dei Galli, che assediavano Roma, Camillo esiliato ad Ardea nel 390 a.C. Si tratta,
evidentemente, di un luogo comune secondo il quale solo la volontà disciplinata dalla ragione, privilegio
degli uomini civilizzati, è in grado di garantire la continuità dell'azione sottomettendo l'istinto alla
ragione. Ma questo ricorso a un luogo comune non significa che a Tacito mancasse una conoscenza
diretta dei Germani, anche se non si crede che egli sia mai vissuto nella Gallia belgica. L'aspetto dei
Germani era familiare a tutti i Romani, prima di tutto perché nell'Urbe si erano spesso viste da vicino (da
Tiberio a Galba) delle guardie del corpo germaniche, poi perché drappelli di cavalieri germanici si erano
spesso aggiunti alle legioni e infine perché non si era perduto il ricordo dell'ingresso che Vitellio aveva
fatto a Roma alla testa delle sue truppe, che comprendevano degli ausiliari germanici.
Quegli uomini, rimasti allo stato di natura (così pensa Tacito) sono liberi come gli animali della foresta
ma, vivendo in società, sono tuttavia soggetti ad alcune costrizioni, che talvolta rifiutano e che si
sforzano comunque di rendere il più leggere possibile. Ma è certo che non si tratta di società immobili.
Se si paragona ciò che leggiamo nel De bello gallico alle indicazioni contenute nella Germania, si ha la
netta impressione che tra il tempo di Cesare (o dei suoi informatori) e quello di Tacito, almeno in alcuni
di quei popoli si sia prodotta una evoluzione politica che tendeva a limitare la prim itiva libertà.
All'interno di queste «nazioni» (Tacito usa il termine di gentes, il più generico ma anche il più vago, che
implica solo un'origine comune, senza riferimento a una precisa organizzazione sociale) esistevano,
pare, dei gruppi definiti che conducevano una vita comune. Questi gruppi avevano dei «capi». Tacito
parla di «re», scelti in ragione di una nobiltà (nobilitas) non meglio definita; forse, come a Roma, li
caratterizza il fatto di appartenere a una stirpe già conosciuta per l'attività eserc itata, in passato, dai
suoi membri. Nel quadro che traccia dei popoli germanici, Cesare non fa alcuna menzione di re ma
parla solo di «magistrati» e di notabili (princapes), la cui autorità si esercitava solo in tempo di pace. In
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caso di grave crisi, di guerra in particolar modo, si «sceglievano» dei magistrati per il comando
dell'esercito. Cesare non dice chi li sceglieva; ma poiché si parla, nello stesso passo, di un «consiglio»
che riuniva gli uomini della nazione, si può ritenere che la scelta di un cap o (temporaneo) sia operata da
questa assemblea. L'imbarazzo di Cesare è evidente: nel vocabolario politico latino non esiste alcun
termine corrispondente all'istituzione descritta.
Il lessico di Tacito è più preciso. I «magistrati» eletti per far fronte a una determinata situazione sono
divenuti dei «re». Viene spontaneo pensare al più celebre di questi re germanici, Maroboduo, del quale
Tacito descriveva le alterne fortune nel decimo libro degli Annali e da questo racconto si evince che
Maroboduo era re presso gli Svevi mentre presso i Cerusci il suo rivale, Arminio, era solo un capo
militare, poiché i Cherusci non avevano re. Tacito aggiunge che per questo titolo di re, che portava,
Maroboduo, «era odioso» ai suoi concittadini, mentre Arminio, «che combatt eva per la libertà» ne
godeva il favore.`
Sembra dunque che verso il primo secolo della nostra era i popoli germanici abbiano conosciuto dei
cambiamenti di regime paragonabili a quelli verificatisi presso gli Arverni, per esempio; la tendenza era
verso istituzioni meno anarchiche, meno «democratiche» se si vuole, che affidavano il potere non più
all'assemblea dei guerrieri, ma a capi permanenti, una vera e propria «aristocrazia» militare e infine,
presso talune nazioni, a un «re», a un capo unico, investito una volta per tutte. Questo regime
monarchico ricordava ai Romani la situazione, a loro ben nota, vigente all'altra estremità dell'Impero, in
quell'Oriente dove i quadri del loro dominio erano costituiti da una pluralità di regni. In Bretagna era
stato instaurato lo stesso sistema, con vario successo come abbiamo visto; ma, se si prescinde dalle
ribellioni di alcuni principi e, soprattutto, da quella della regina Boudicca, il regime monarchico serviva
gli interessi di Roma. Di ciò Tacito si rendeva perfettamente conto. Quando nella Germania rievoca la
storia delle relazioni fra Roma e i Germani, a partire dall'invasione dei Cimbri, scrive che mai nessun
popolo fu così pericoloso, e aggiunge che «la libertà dei Germani è più aspra dell'assolutismo di Arsace
re dei Parti». Un'asprezza temperata, qua e là, dall'istituzione di un potere reale.
Ma anche dove esiste, il potere dei re, osserva Tacito, non è mai assoluto, è limitato, soggetto a
restrizioni: l'intera vita pubblica è dominata dalla religione, da color o che Tacito chiama «preti»
(sacerdotes) e che esercitano un diritto di vita e di morte su tutti i membri della comunità.
Curiosamente Tacito associa al potere dei preti quello delle donne, memore forse dei racconti
concernenti le donne bretoni e il loro intervento in occasione dello sbarco di Paolino nell'isola di Mona.
Analogamente Tacito cita il prestigio di cui godeva Velleda, la sacerdotessa bruttera, che la
superstizione popolare aveva a poco a poco elevato al rango divino, al tempo di Civile. Di ques ta
influenza riconosciuta alle donne Tacito fornisce una spiegazione conforme alla sensibilità romana, per
la quale i membri della famiglia sono altrettanti pignora, pegni o, se si preferisce, poste per le quali
combattono gli uomini. Il guerriero, dice Tacito, lotta per evitare che le donne della tribù diventino
schiave. La sopravvivenza della razza e della sua purezza, non è possibile se non nella misura in cui le
donne stesse restano «pure», ciò che non avviene certo nella servitù. Questo sentimento spie ga anche
una caratteristica del costume sottolineata con approvazione da Tacito, la cura con cui i Germani
rispettano la «santità» del matrimonio. Le donne, dice, vivevano «custodendo il loro pudore», lontane
dalle tentazioni. Esse non prendono parte ai conviti e ignorano d'altronde (come gli uomini) i «litterarum
secreta»; espressione che certo non significa la mancanza di corrispondenze segrete, bensì l'assenza,
in quelle società, di ogni letteratura, di ogni poesia che esalti i sentimenti amorosi e predi sponga gli
animi alle colpevoli delizie dell'adulterio. I Germani non hanno né poeti elegiaci, né poeti lirici, nessun
Catullo, nessun Properzio o Tibullo, nessun Ovidio che insegni l'arte dell'amore.
A questo proposito, Tacito riprende i temi cari ai moralisti del suo tempo. Anche qui fa eco a Giovenale
e alla misoginia della satira «contro le donne». Vi era una lunga tradizione romana dietro l'idea che
bastava tener lontane le donne dalla letteratura per mantenere la pudicizia. Così il marito di Elvia (la
madre di Seneca) non permetteva alla moglie di acquisire la cultura alla quale lei ambiva, «perché le
donne non usano la cultura per farne strumento di saggezza, ma ne fanno strumento di dissolutezza».
Ora questo rigore antico, questo puritanesimo che i costumi romani tendevano sempre più a rifiutare,
sussisteva in tutta la sua forza presso i Germani: «Nessuno, laggiù, ride del vizio», osserva Tacito, «né
chiama carattere di un'epoca il corrompere e il lasciarsi corrompere». Su questo tema Tacito si soffer ma
a lungo. Nella sua visione del destino di Roma, attribuisce evidentemente una grande importanza
all'evoluzione dei costumi e alla morale che dovrebbe presiedere ai rapporti tra i sessi. Negli Annali avrà
occasione di denunciare l'immoralità di parecchie donne, non solo Messalina o Agrippina, ma anche
altre meno illustri, come Livia, sorella di Germanico e moglie di Druso, che si lasciò sedurre da Seiano.
A proposito di quest'ultima Tacito afferma: «una donna che abbia sacrificato il suo onore, non potreb be
rifiutare più nulla». Questa immoralità delle donne aristocratiche, che considerano la pudicizia come un
pregiudizio superato, è una delle cause che tendono alla rovina dello Stato. Già Orazio lo aveva
denunciato nella sesta delle sue Odi romane. Ma forse, su questo punto, lo storico non ha perso ogni
speranza di rinnovamento; forse il nuovo secolo, che registra una minore influenza concessa alla
ricchezza, conoscerà anche dei costumi migliori. Fors'anche il quadro da lui tracciato della società dei
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Germani, dove la morale è così austera, contribuirà a richiamare in vita il vecchio ideale, che i Romani
non hanno ancora dimenticato del tutto e che faceva un tempo la loro grandezza. La Germania, qui,
somiglia molto a una suasoria: presenta le virtù umane più nobili - quelle che i Romani praticano
sempre di meno - come naturali a quei popoli, e invita i padroni del mondo a rimetterle in onore.
Infatti, nonostante tutte le differenze tra i Germani e i Romani, che Tacito non disconosce affatto,
sussiste una profonda analogia che li unisce. Entrambi i popoli ammirano le medesime virtù, anche se
non le praticano nella stessa misura. Germani e Romani possiedono un senso profondo della famiglia; i
figli sono gli eredi naturali del padre; in mancanza di prole, i beni ritornano di preferenza ai parenti del
padre, agli agnati, e in subordine ai parenti materni. Ma tra i Germani l'eredità non è la posta delle
manovre abituali presso i Romani, dove le successioni formano l'oggetto di una complicata
giurisprudenza. Tacito suscita l'impressione che, per molti aspetti, i Romani siano dei Germani
pervertiti. Quei barbari sono aperti a tutti i sentimenti naturali, ignorano l'arte della dissimulazione, sono
una gens non astuta nec callida («gente non astuta né scaltra») che rive la in tutta semplicità il fondo del
proprio cuore. Quanto tutto ciò è lontano dalla vita politica e sociale dell'Urbe, dei suoi segreti a lungo
mantenuti, come fecero i principi a partire da Augusto, da Tiberio soprattutto, dagli uomini del loro
seguito! Tacito ne riparlerà negli Annali.
I Germani conducono una vita semplice, il loro nutrimento è senza ricercatezze - senza «menzogne»
anch'esso - ma non dimostrano la stessa sobrietà nel bere. Coloro che non conoscono il vizio
soccombono agli effetti della birra, ed è questa una debolezza che può esser loro fatale. Tacito pensa
qui al commercio che si è istituito tra i Romani e i popoli stanziati al di là del Danubio e del Reno,
commercio che, come abbiamo detto, preparava e agevolava i progressi dell'Impero.
Un altro difetto dei Germani, che non poteva sfuggire ai Romani, è il loro disprezzo, anzi il loro rifiuto
dell'agricoltura. Tacito ripete a questo proposito ciò che aveva scritto con maggiore ampiezza Cesare. I
Germani evitano di insediarsi durevolmente su un territorio, ciò che li porterebbe a perdere il gusto della
guerra e anche, forse soprattutto, a creare fra di loro delle disuguaglianze, a nutrire la bramosia di
ricchezze, cosa che, dice Cesare, è la principale origine delle fazioni e delle discordie . Cesare riprende
l'analisi di Polibio sulle cause che provocano le rivoluzioni e i cambiamenti di regime: la prosperità di
uno Stato è di per sé una causa di decadenza, nella misura in cui fa nascere delle gelosie a causa della
disparità delle fortune. Tacito non dice altro, aggiunge solo che, disprezzando l'agricoltura, i Germani ne
ignorano i piaceri. Così non hanno alcun termine per indicare l'autunno, del quale non conoscono i frutti.
Non si può immaginare distanza più grande dall'ideologia romana, di quella almeno che era in auge
negli ultimi secoli della Repubblica, quando Catone faceva l'elogio della vita dei contadini, e quando
Virgilio, alle soglie del regime imperiale, componeva le Georgiche. Catone considerava l'agricoltura
come la più nobile fra le attività che possono esercitare gli uomini e vedeva nella sua pratica assidua
una delle cause della grandezza romana. Gli argomenti addotti da Catone nella prefazione al De
agricultura sono l'esatto contrario di quelli che Cesare attribuisce ai Germani per giustificare la loro
diffidenza verso quest'arte. Per il vecchio censore, «i contadini forniscono gli uomini più valorosi e i
soldati più robusti; l'agricoltura procura il guadagno più conforme alla morale e più costante». E per
Virgilio, è noto, il lavoro dei campi è quello che unisce le condizioni più idonee alla pace dell'anima.
Stupisce dunque che né Cesare né Tacito abbiano considerato come elemento di inferiorità il disprezzo
nel quale i Germani tengono l'agricoltura. Questo disprezzo, in effetti , né lo elogiano né lo condannano.
E poi la Roma di Cesare e la Roma di Tacito non hanno più gli stessi valori di quella di Catone, degli
Scipioni, e del poeta mantovano. Nell'Italia intera l'agricoltura ha cambiato volto e i «contadini del
Lazio» sono ormai un mito. La fonte della ricchezza non consiste più nei prodotti della terra, ma nei beni
mobili, quei beni che i Germani rifiutavano, giudicandoli corruttori (e su questo punto i Romani davano
loro ragione!) o addirittura non conoscendoli. Ai moralisti romani non poteva non apparire invidiabile la
loro ignoranza del prestito a interesse, uno dei più grandi flagelli di Roma, sempre combattuto da leggi
repressive, ma sempre rinascente.`
E poi si era conservato il ricordo di un'epoca in cui la terra non era ancora suddivisa tra le famiglie che
componevano la comunità. Tito Livio sapeva che Romolo era stato il primo a farlo. Prima di allora, gli
uomini destinati a dar vita al popolo romano erano dei pastori, conducevano le loro greggi per la
campagna, tra il mare e le colline del Lazio. Questa visione dei tempi antichi, che sopravviveva nei miti
dei poeti - Properzio per esempio - tende ad attenuare il contrasto tra Roma e i Germani: questi ultimi
sono ancora ai primi stadi dell'evoluzione sociale e intellettuale; e poiché i Romani, e Tacito in modo
particolare, si ostinano a porre l'età dell'oro nel passato, non possono non sentire per la «libertà» dei
Germani, per la loro povertà in gran parte volontaria, una simpatia talvolta ammirata, talvolta indulgente,
non dissimile da quella che tributano alle grandi figure del proprio passato.
Così Romani e Germani vivono in paesi lontani, ma sotto lo sguardo degli stessi dei. Tacito non ignora
la leggenda del viaggio di Ercole in Germania, dove è oggetto di culto; cred e di sapere inoltre che
Ulisse vi ha fondato una città, la «città degli Utri» (Asciburgium nel Riesengebirge). I Germani adorano
Mercurio, al quale offrono sacrifici umani, e anche Marte, cui sacrificano solo animali. E poi vi è Iside, la
dea egiziana che Tacito si stupisce non poco di ritrovare così lontano dalla sua patria. È nota la
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tendenza, molto diffusa nel mondo antico, ad assimilare gli dei dei diversi popoli, a considerarli come
essenzialmente identici tra loro. Così lo Iupiter latino era considera to come una controfigura di Zeus
greco, Cerere era solo un altro nome di Demetra, e così via. Un sincretismo applicato anche alle divinità
germaniche e celtiche, e del qualc troviamo innumerevoli testimonianze nelle iscrizioni.
Ma la religione non consiste solo nel riconoscere le divinità, nell'in nalzare altari, nell'offrire sacrifici. I
Romani sapevano bene, da sempre che il «sacro» è dappertutto, che si manifesta tanto nel movimento
delle nubi, nei lampi che attraversano il cielo, nel brontolio del tuono , quanto nel volo degli uccelli o nel
fremito delle foglie in un bosco sacro. Forse anzi le divinità sono più direttamente percepibili in tali
manifestazioni d quanto non lo siano all'interno di un tempio, al riparo di un tetto. Il lun go capitolo
dedicato da Tacito alla divinazione presso i Germani, cosi ricco di annotazioni precise, tratte
sicuramente da numerose fonti, attira va certamente l'interesse dei lettori del tempo; e lo stesso Tacito
ne subi va il fascino. Alcuni anni dopo non trascurerà di menzionare che Tito sulla via di Corinto, in
Siria, visitò il santuario di Pafo e di descrivere con l'occasione, il modo tenuto nel consultare la dea. Né
lo storico è in sensibile ai presagi, come quelli che accompagnano la traversata dell'Eufrate da parte di
Tiridate nel 35, sotto il regno di Tiberio. Tutto ciò rafforza l'impressione che i popoli germanici,
nonostante tutte le loro stranezze, non sono poi così dissimili dai Romani quanto si poteva pensare. Se
ne può dedurre la possibilità di un loro inserimento nell'Impero.
Tra i Germani esistono, nonostante tutto, delle differenze. Le nazioni più vicine all'Impero romano sono
anche le meno lontane, per le loro usanze, dai costumi romani. Poi, a mano a mano che ci si allontana,
che si procede verso la regione del mondo «dove finisce la natura», compaiono le caratteristiche più
bizzarre. Vi sono, per esempio, gli Arii (dei quali non è detto con precisione dove vivano), che
accrescono la loro selvatichezza dipingendosi il corpo di nero, coprendosi con scudi neri e combattendo
solo nelle notti più scure.` Più lontano ancora, sulle rive di un Oceano indolente, immobile, vivono popoli
che ignorano quasi totalmente l'uso del ferro e come armi usano soltanto dei bastoni. Sono costoro che
raccolgono l'ambra sulle spiagge del mare che noi chiamiamo Baltico. Infine, abbiamo già accennato ai
costumi dei Fenni; dopo questo popolo la cui miseria è tale da privarli quasi di ogni qualità umana, non
vi è più niente. E in questo caso i limiti della terra e della natura possono div entare quelli stessi
dell'Impero.
P. Grimal, Una terra di uomini liberi, da Tacito, Milano, Garzanti, 1991. (BCTV)
P. Grimal, La fama e la gloria, da Tacito, Milano, Garzanti, 1991, p. 144 segg. (BCTV)
Vi è ragione di credere che proprio a questo periodo risalga il Dialogo degli oratori, nonostante
l'assenza di qualsiasi indicazione precisa nell'opera stessa e in altre fonti. Tacito, come si è accennato,
8 colloca l'immaginaria conversazione nel 75, anno sesto del principato di Vespasiano; 9 ma è
assolutamente certo che si tratta di una data fittizia e non di quella del la composizione. È l'autore stesso
ad affermarlo nella prefazione, dedicata al suo amico Fabio Giusto. 10 Nel 75 Tacito aveva circa
diciott'anni e non aveva ancora cominciato la sua carriera di oratore e di scrittore. Il problema è dunque
di stabilire quando ritenne opportuno ricordare o inventare questo incontro, questa discussione della
quale dice di essere stato testimonio.
In proposito sono state fatte molte ipotesi. Alcuni hanno supposto che Tacito abbia composto il Dialogo
sotto il regno di Tito, cioè verso il 79, quando aveva ventiquattro o venticinque anni. Il principe regnante
deve essere infatti tale da poter essere considerato un ottimo sovrano, come risulta dagli ultimi cap itoli;
11 e poiché non può trattarsi di Vespasiano, né di Domiziano, che Tacito non ha mai posto tra i «buoni
imperatori», non resta che pensare a Tito.
È possibile tuttavia un'altra soluzione, se l'allusione al «buon imperatore» non riguarda Tito, che fece
solo una fugace apparizione sul trono del Palatino, ma un successore di Domiziano, Nerva o più
probabilmente Traiano.
Si è osservato, infatti, che il dedicatario del Dialogo, Fabio Giusto, fu console suffectus nel 102 e che
una tradizione, già antica, voleva che si offrisse una poesia o un libro a un amico per celebrare il suo
consolato. 12 L'uso, certo, non era vincolante ma è naturale pensare che Fabio Giusto, che giungeva al
consolato cinque anni dopo Tacito, fosse più giovane di lui. Un omaggio tributato prima del 102 sarebbe
meno facile da spiegare che non l'ipotesi di una stesura contemporanea al consolato dell'amico.
Si è anche congetturato che un'opera menzionata da Plinio nella sua corrispondenza con Tacito, verso
il 107, possa essere identificata col Dialogo. 13 Ma quest'opera fu inviata da Tacito al suo amico perché
la correggesse. Se si tratta del Dialogo, l'ipotesi è incompatibile con la prece dente: una dedica a Fabio
Giusto nel 102 presuppone che a questa data l'opera fosse già stata p ubblicata. Ma si tratta proprio del
Dialogo? È lecito dubitarne.
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Qualcuno ha tentato un'altra via. Nel Dialogo, Apro, il più ardente di fensore dell'arte oratoria, rievoca
non senza ironia «le selve ed i boschi» dove i poeti, secondo la tradizione, si rit irano a comporre. 14
Poco dopo, rispondendogli, il suo interlocutore Materno dichiara che quei boschi e quelle selve sono per
lui una delle principali attrattive della poesia. 15 Ora Plinio scrive, in una lettera a Tacito databile al 108:
«Sono ben desideroso di attenermi alle tue prescrizioni, ma c'è una tale scarsità di cinghiali che Minerva
e Diana, che tu mi dici doversi venerare contemporaneamente, non possono andare d'accordo. Pertanto
bisogna consacrarsi unicamente a Minerva, ma anche qui facendo l e cose comodamente, tenuto conto
che si è in campagna e d'estate... E così riposano i versi che tu t'im magini possano essere composti in
mezzo a foreste e a boschi, come nel luogo più propizio». 16
Plinio si riferisce al Dialogo? Se così fosse, avremmo una data al di là della quale non si potrebbe
situare la composizione dell'opera. L'anno 108 sarebbe il più tardo possibile. Ma alcuni negano che
Plinio, in questa lettera, pensi al Dialogo; 17 egli si riferirebbe invece a una lettera di Ta cito, che non ci
è giunta, e in cui questi avrebbe usato l'espressione citata dall'amico. Inoltre, si osserva, il Dialogo non
accenna al «servizio» congiunto di Diana e di Minerva; si tratta dunque di tutt'altro!
Chi sostiene questa tesi dimentica che l'allusione a Diana e a Minerva, alla data del 107 o del 108, fa
parte di un gioco d'intesa fra i due amici, a partire dalla lettera (scritta nel 97) nella quale Plinio
raccontava a Tacito come aveva onorato Minerva, mentre cacciava il cinghiale in Toscana. 18 In
questa lettera non vi è alcuna menzione delle selve e dei boschi. L'espressione appare solo in una
lettera successiva. Si può dunque supporre che si richiamasse al Dialogo apparso nel frattempo.
Per questi motivi riteniamo che questa operetta, che sotto il velo del regno di Vespasiano contiene un
elogio implicito della monarchia di Traiano, fu composta e pubblicata durante i primi anni del regno di
quest'ultimo, ciò che rende verosimile la conclusione che si trae dalla dedica a Fabio Giusto.
Si è insistito a lungo, in passato, sulle differenze che separano lo stile del Dialogo da quello delle Storie
e degli Annali; se ne concludeva ora che il Dialogo non era di Tacito, ora che si trattava di un
componimento di gioventù, scritto in un tempo in cui la sua personali tà di scrittore non era ancora
formata. Nessuno più, oggi, nega la paternità tacitiana del Dialogo, così non vi è bisogno di confutare
questa ipotesi. 19 Per spiegare le differenze di stile tra questo libro e il resto dell'opera, si adduce la
necessità in cui si trovava l'autore di rifarsi al metodo di espressione tipico di questo genere letterario: il
linguaggio dei grandi dialoghi ciceroniani, l'Oratore, il Brutus, il De oratore. Si sa che ogni genere aveva
allora il proprio stile; così, quando scriverà le Storie, Tacito terrà conto del modello sallustiano. 20
Abbiamo visto inoltre che nella Vita di Agricola Tacito non si era peritato di imitare i passi più eloquenti
e più lirici di Cicerone. 21 Né poteva essere diversamente in un'opera in cui la creaz ione letteraria
dipendeva da una tradizione, in cui vi erano dei «classici», in cui i giovani imparavano a pensare e a
scrivere studiando modelli approvati da tutti. Come un poeta epico, come Stazio o Silio Italico, non
poteva fare a meno di imitare Virgilio, e come un'epigrammista, per esempio Marziale non poteva non
ispirarsi ai suoi predecessori greci o latini, allo stesso modo Tacito, analizzando lo stato presente
dell'arte oratoria, doveva parlare il linguaggio di Cicerone.
Il tema era di attualità. A partire dal regno di Vespasiano, il potere si preoccupava di mantenere alto il
prestigio della cultura tradizionale. A Quintiliano, uno spagnolo che insegnava a Roma e passava per
il miglior rétore del suo tempo, venne assegnato dal principe uno stipendio tale da consentirgli di
esercitare il suo mestiere senza il bisogno di adulare la clientela per vivere. Vespasiano sperava
probabilmente di contrastare la deplorevole tendenza, denunciata a suo tempo da Petronio, che
induceva i maestri a mendicare il favore dei ricchi: «Il maestro d'eloquenza», scriveva Petronio, «se,
simile al pescatore, non attacca al suo amo un'esca adatta per attirare i pesci, resterà indefinitamente
sul suo scoglio, senza speranza di prendere niente». 22 Anche Giovenale testimonia a più riprese
delle difficoltà finanziarie attraversate a quel tempo dagli uomini che, per mestiere, formavano i
giovani alla pratica delle lettere, 23 mestiere che toglieva loro ogni indipendenza.
Domiziano aveva continuato la politica del padre, nominando Quintiliano «precettore» dei suoi nipotini.
Era opinione generale che l'eloquenza avesse tralignato, si fosse corrotta dal tempo di Cicerone e dei
grandi oratori del passato. Gli sforzi del potere tendevano a frenare que sta corruzione, della quale
Quintiliano stesso si era preoccupato in un'opera andata perduta, Sulle cause della corruzione dell’
eloquenza. 24 Quali fossero le sue argomentazioni possiamo indovinarlo leggendo l'Istituzione oratoria,
la grande opera di Quintiliano che è giunta sino a noi; le cause della decadenza erano per lui di ordine
morale, consistevano nelle cattive abitudini date ai bambini, nell'influenza nefasta esercitata dalle nutri ci, ignoranti o straniere 25 o dai giovani schiavi destinati a essere i loro compagni di gio chi, o ancora
dai pedagoghi, alle cui cure erano affidati sino alla fine dell'adolescenza. 26 Le precauzioni da
prendere, dice Quintiliano, non sono mai troppe quando si tratta di formare un «oratore», cioè un
individuo che realizzi in sé la perfezione um ana nell'ordine della parola e del pensiero. Questo oratore
perfetto, Quintiliano lo vede nella persona di Cicerone; ed è convinto che sia possibile creare dei nuovi
Ciceroni per mezzo di un'educazione adeguata. Illusione naturale in un uo mo la cui missione era quella
di conservare le cose migliori del passato, senza accorgersi che questo passato costituiva un insieme in
cui tutte le parti erano legate fra loro, e che non sarebbe stato mai possibile risusci tarlo. Secondo
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Quintiliano il cambiamento intervenuto nell'arte oratoria dalla metà del secolo precedente aveva delle
cause rimediabili, nel senso che era dovuto alla cattiva influenza di alcuni scrittori, il più pericoloso dei
quali era Seneca. I giudizi di Quintiliano su quest'ultimo sono di una perfi dia calcolata: certo, Seneca
aveva molte buone qualità, possedeva una vasta cultura e un talento innegabile... per arrivare
dovunque. Ha avuto molti ammiratori? Certo, ma ciò che essi hanno ammirato in lui so no principalmente
i suoi difetti. Il suo stile è quasi dappertutto corrotto (la parola ritorna ostinatamente). Se avesse saputo
scegliere, accontentandosi di dire le cose semplicemente, se non avesse tanto amato ciò che scriveva,
se non avesse ridotto in briciole la gravità dei soggetti che trattava, allora «avrebbe ottenuto il consenso
di tutte le persone colte piuttosto che l'entusiasmo dei fanciulli». 27
Agli occhi di Quintiliano, quale che sia la sua avversione per il «nuovo stile» che ha corrotto il gusto,
Seneca non è tuttavia il solo responsabile della decadenza. Egli giunge a riconoscere che
l'insegnamento dei rétori, il desiderio di brillare che suscitano nei loro allievi possono avere un'influenza
nefasta, stimolando la loro vanità a detrimento della solidità e dell'ordine. 28 Ma la sua an alisi non si
spinge oltre.
Per la verità il problema era complesso, e la posta in gioco considere vole. La questione era, né più né
meno, se la cultura e lo spirito stesso della Roma dove avevano brillato i grandi oratori di un tempo
sarebbero sopravvissuti o periti. L'eloquenza, a quel tempo, non era solamente l'abilità nel maneggio
della parola, ma rifletteva, come si è accennato, un certo ideale umano, innanzi tutto perché doveva
basarsi, si pensava, su una cultura immensa, in particolare sulla cultura f ilosofica. Quintiliano stesso lo
afferma al termine della sua opera, quando dichiara che non si può essere un oratore degno di questo
nome se si ignora cosa è il bene, che cosa sono le virtù, tutte nozioni di carattere filosofico. 29 L'oratore
ideale deve conoscere inoltre il diritto civile e la storia. Tale era nel De oratore l'insegnamento di
Cicerone, che Quintiliano riprende e rielabora; è sua ferma convinzione che gli sforzi dei rétori, se
vanno nella direzione da lui indicata, saranno sufficienti a ma ntenere la gloria di Roma.
La riflessione di Tacito sullo stesso problema, che aveva sentito svi scerare dai maestri della sua
adolescenza (la «corruzione» dell'eloquenza), si basa sull'analisi di Quintiliano. È stato dimostrato che
non solo entrambi trattano soggetti affini (c'era da aspettarselo) ma che le espressioni stesse delle quali
si serve Tacito sembrano riprendere il testo di Quintiliano. 30 Un attento esame degli accostamenti
dimostra che Tacito si è direttamente ispirato all'Istituzione oratoria, che ne ha riassunto taluni passi, ne
ha «contaminato» altri, in particolare per costruire il discorso che attribuisce ad Apro in difesa dei
«Moderni», contro í loro detrattori, che non apprezzano se non gli «Antichi», cioè Cicerone e i suoi
contemporanei.
Questo paragone, da cui si deduce che il Dialogo fu scritto certamente dopo la comparsa dell'Istituzione
oratoria, che risale al 96 o al 77, sotto Nerva o sotto Traiano (al più tardi), conferma la data che
abbiamo proposta, indicando un terminus a quo. Ma, cosa più importante, ci consente di intuire i motivi
che hanno spinto Tacito a scrivere l'operetta e, se non a riflettere al problema così come lo poneva
Quintiliano (il soggetto, l'abbiamo detto, era da molto tempo «nell'aria»), quanto meno a r ivederne i
termini, ad approfondirli.
Quintiliano, uomo dedito all'insegnamento, si è creato una sua opinione sulla natura dell'eloquenza e sul suo
ruolo nello Stato. Tacito, invece, ricorrerà a un metodo caro ai filosofi dell'Accademia e praticato, dopo di
loro, da Cicerone, il discorso «pro e contro», pro et contra. Ciò gli consente di presentare il problema nei
suoi vari aspetti e, quindi, di allargare il dibattito. Come un dialogo di Platone non fornisce, per lo più, una
soluzione ben definita al problema posto, allo stesso modo il Dialogo degli oratori termina al cader della
notte con gli interlocutori principali, Apro, Materno e Messalla, ancora alle prese l'uno con l'altro: nessuno dei
tre è stato veramente persuaso dagli argomenti degli altri. L'opinione dello stesso Tacito non è
esplicitamente indicata. La finzione sulla quale si basa l'opera, la data supposta per lo svolgimento del
dialogo impediscono al giovane uditore di prendere la parola in proprio. Per questo motivo dobbiamo
provarci a interpretare non solo ciò che vien detto, ma anche i silenzi (per quanto ciò possa essere
pericoloso), nel tentativo di determinare in qualche modo le intenzioni dell'autore e le conclusioni da lui
proposte.
A dire la verità lo svolgimento del Dialogo è, al primo aspetto, piuttosto sconcertante. Tacito dichiara a Fabio
Giusto che, per rispondere alla sua domanda e spiegargli i motivi per i quali gli oratori di un tempo erano
così numerosi e così brillanti, mentre quelli di oggi sono così rari, al punto che la stessa parola di oratore è
quasi scomparsa, si limiterà a raccontargli ciò che ha sentito in proposito dagli uomini più eminenti, al tempo
della sua giovinezza. Il tema, così introdotto e definito, non è però trattato immediatamente. La
conversazione verte dapprima su un problema del tutto diverso: quale sia l'attività preferibile per un senatore
romano, se la pratica dell'eloquenza o quella della poesia. Perché questo brusco cambiamento? Si tratta di
un semplice pretesto per introdurre il dialogo, di un artificio scenico? Materno, nella cui casa si riuniscono
i personaggi dei quali Tacito riferisce il colloquio, aveva letto in pubblico alla vigilia la sua tragedia
Catone, che aveva ottenuto un grande successo. Era dunque naturale farvi allusione. Ma gli
interlocutori non si limitano a parlare dell'opera e a menzionare i commenti che ha provocato. Vanno
oltre e si interrogano sulla legittimità, per Materno, di abbandonare il Foro per dedicarsi interamente alla
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poesia drammatica. La discussione si accende su questo punto e prosegue per ben otto capitoli, vale a
dire circa un quinto dell'opera. Non siamo dunque di fronte a una digressione, per quanto maldestra e
sproporzionata. Il problema è evidentemente trattato per se stesso e riveste un grande interesse per
Tacito, che lo sviscera per il tramite dei personaggi che mette in scena. In realtà esso non è estraneo al
tema principale del dialogo, che resta l'evoluzione dell'arte oratoria a Roma, da uno o due secoli a
questa parte.
Orazio, nel rispondere ad Augusto, che si era lagnato perché il poeta non gli dedicava un'epistola come
aveva fatto con altri amici, gli faceva osservare che tutti, a Roma, si dilettavano di poesia. Le cose
erano molto cambiate dai tempi antichi, quando l'uso voleva che il patrono ri cevesse al mattino il cliente,
gli spiegasse le leggi, si occupasse di investire al meglio il suo denaro e di dare ai più giovani lezioni di
morale pratica. Non c'era nessuno che non fosse poeta: «Adolescenti e padri seriosi, con la fronte cinta
di fronde, facevano festa e dettavano versi». 32
Orazio è ben lontano dal deplorare un simile cambiamento. I poeti, forse, amano frequentare i boschi e
fuggono le città, 35 ma ciò non ha niente di biasimevole. Quei poeti poco inclini a frequentare il Foro
sono utili allo Stato: essi contribuiscono alla formazione morale dei ragazzi, celebrano la gloria degli
eroi, servono da intermediari tra gli uomini e gli dèi. «Grazie ai versi sono placati gli dèi del Cielo, grazie
ai versi sono placati i Mani». 34
È molto probabile che Tacito si ricordi di Orazio nel Dialogo. L'allusione ai «boschi» amati dai poeti ne è
un indizio. Ma lo fa con un altro spirito. Rispondendo forse a un suggerimento di Augusto che voleva ri mettere in onore il teatro, Orazio preferiva la recitazione dei versi e rifiutava di scrivere per la scena. 35
Materno invece lo ha fatto. Ciò che gli rimprovera Apro è di abbandonare per questo tutti i suoi doveri di
aristocratico romano. Un dilemma che non si poneva quando Orazio scriveva ad Augusto. Infat ti i
«poeti», gli uomini interamente dediti a quest'arte, non erano gli stessi che la nascita o il rango
chiamavano a sedere in Senato o ad esercitare le più alte cariche dello Stato. Si consideravano come
eccezioni coloro che preferivano agli obblighi della vita pubblica il fascino di un otium studioso: Attico,
l'amico di Cicerone, Mecenate e alcuni altri. La maggioranza, tuttavia, non si sottraeva ai doveri civici,
anche se alcuni discepoli di Epicuro preferivano godersi in pace le loro ricchezze. Color o che
scrivevano poesie lo facevano, in generale, solo nei momenti lasciati liberi dagli impegni politici.
Materno, al contrario, dedica tutto il suo tempo alla poesia; appena ha terminato una tragedia si mette
a progettarne un'altra. Questo lavoro lo occupa in continuazione. Ed egli ne spiega i motivi: le muse gli
sono «benigne», come le qualificava Virgilio, e soprattutto gli evitano le angosce quotidiane, le
costrizioni che obbligano a fare ciò che si detesta, pericoli facilmente intuibili, provenienti da un
principe dal quale dipendono la vita e la morte. 36
Ciò equivale a dire che una delle cause che spingono i migliori inge gni a fuggire la vita pubblica non è
altro che la tirannia degli imperatori. Benché la finzione voglia che Materno parli sotto il regno di
Vespasiano, i suoi discorsi si adattano ad altri tempi: gli ultimi anni di Nerone o, me glio ancora, quelli
di Domiziano. È Tacito che si esprime per mezzo suo.
Il Dialogo intreccia strettamente realtà storica e immaginazione: i per sonaggi messi in scena da Tacito
sono realmente esistiti, anzi erano tutti celebri al loro tempo, ed è quasi una pagina di storia quella che
essi scrivono qui; ma proprio nella misura in cui essi appartengono alla storia, lo storico si sente in
diritto di presentarli sotto una luce, a suo giudizio, idonea a mettere in rilievo quella che appare a lui la
loro intima personalità. Qualunque sia, in effetti, la volontà dello storico, egli non può cogliere un
personaggio nella sua globalità; ne disegna un profilo, sottoline a l'uno o l'altro tratto, quelli che gli
sembrano più interessanti, più caratteristici. Ciò che Tacito farà negli Annali lo anticipa già nel Dialogo.
È dunque lecito pensare che i quattro interlocutori di quest'ultimo non siano scelti a caso, che il loro
accostamento sia voluto e significativo. Tacito non si comporta diversamente da Cicerone, che aveva
scelto come protagonisti del De oratore M. Antonio e Crasso.
È vero che non conosciamo bene Apro, Materno, Messalla e Secondo, sui quali le fonti sono molto
avare di notizie; ma nonostante ciò possiamo formulare qualche ipotesi circa i motivi che hanno dettato
la scelta di Tacito.
Apro (del quale ignoriamo il nome gentilizio) è il più anziano dei quat tro. Egli stesso racconta di aver
visto in Bretagna un vecchio che aveva preso parte alla difesa dell'isola contro Cesare, nel 55 a.C. Ora,
questo incontro non poteva essere anteriore allo sbarco di Claudio, che avven ne nel 43 o nel 44. Se
Apro aveva preso parte a quella campagna, non poteva avere meno di se dici anni. Età più che
rispettabile, che ci parrebbe inverosimile se Tacito non ritenesse (lo dice proprio in questo passo) che
centovent'anni è la durata «normale» di una vita umana." Anche l'età di Giulio Secondo si può misurare
con una buona approssimazione. Quintiliano, che lo nomina ed esprime un giudizio favorevole sulla sua
eloquenza, ci dice che aveva passato di poco la sua età; 38 dun que era nato intorno al 35. Aveva
pertanto una decina d'anni più di Tacito. L'inizio della sua carriera era stato, sembra, piuttosto lento. Fu
segretario addetto alla corrispondenza (ab epistulis) di Otone durante il breve regno di quest'ultimo. In
quel periodo (68-69) aveva circa trentacinque anni. Nel momento in cui Tacito colloca il Dialogo toccava
la quarantina. Era destinato a morire giovane (lo sappiamo da Quintiliano).
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Più difficile da stimare è l'età di Curiazio Materno; se pure si tratta di un personaggio reale, non
abbiamo altre notizie su di lui che quelle che ci dà Tacito nel Dialogo. Era assurto alla gloria grazie al
successo di una tragedia, con la quale aveva superato la fama di Vatinio. 39 Una tale trage dia - sia che
fosse una tragedia praetexta, che cioè metteva in scena personaggi romani, o un'opera simbolica, con
personaggi greci - non può essere anteriore all'anno 64, che segnò l'apogeo della fortuna di Vatinio con
i giochi da lui allestiti per accogliere Nerone a Benevento, sua pa tria. 40 Al momento del Dialogo,
almeno vent'anni dopo, è un oratore stimato; è un senatore ma pensa di abbandonare l'eloquenza. Tale
ritratto sembra adattarsi a un uomo tra i trentacinque e i quarant'anni. Materno sarebbe dunque nato
vero il 40, sotto Caligola, e avrebbe composto la tragedia che eclissò Vatinío (l'ex calzolaio, buffone di
Nerone) a un'età non superiore ai ventiquattro anni; poi avrebbe continuato a operare come poeta e
come oratore per una dozzina d'anni; o forse di più, se si accetta l'identificazione con il «sofista»
Materno, menzionato da Dione Cassio, che fu messo a morte da Domiziano nel 91 per aver pronunciato
un discorso contro i tiranni. 41 Questa identificazione, proposta da alcuni, è stata rifiutata da altri
studiosi moderni. E tuttavia non è improbabile. Il Materno di Tacito, infatti, se teme le angosce inevitabili
sotto un «cattivo imperatore», tuttavia non esita ad attaccare il regime monarchico nelle sue tragedie. È
proprio questa, anzi, un'obiezione che gli muove Apro: ha paura, dice, di dispiacere ai potenti con i suoi
discorsi, ma non per questo rinuncia a criticarli nelle sue tragedi e. Perché rischiare la vita esaltando
Catone? 42 Si può dunque pensare che questo stesso Materno sia perito sotto Domiziano non per aver
criticato l'imperatore in un discorso, ma per aver scritto una o più tragedie che, secondo una tradizio ne
già ben presente nel teatro di Seneca, esaltavano la libertà e condannavano la tirannia. Se questa
identificazione è vera, ne deriva che, al momento in cui Tacito scriveva il Dialogo, Materno era morto da
una decina d'anni, era uno dei martiri che furono vittime di Domiziano.
Resta Vipstano Messalla, il più giovane dei quattro. Abbiamo detto che non aveva ancora venticinque
anni nel 69, quando difese il fratello Aquilio Regolo contro i nemici di colui che era stato un delatore dei
più celebri. 43 Aveva dunque meno di trent'anni al momento del Dialogo, ed era nato sotto il regno di
Claudio, nel periodo in cui Apro combatteva in Bretagna. Era tribuno militare nell'esercito dei Flavii al
tempo della guerra civile, allorché comandava una legione davanti a Verona, 44 poi durante la battaglia
di Cremona. 45 Ignoriamo quale fu il seguito della sua carriera. Nella Corrispondenza di Plinio non è
neppure nominato. Così si è immaginato che fosse morto poco dopo la presa del potere da parte di
Vespasiano. 46 Si è anche supposto che Tacito ne avesse fatto un interlocutore del Dialogo perché
Messalla, che aveva lasciato una cronaca degli avvenimenti del 68-69, era una delle sue fonti per le
Storie. Ma è difficile pensare che la scelta dei singoli personaggi sia indipendente da co nsiderazioni
generali.
Il Dialogo mette uno di fronte all'altro quattro uomini, tutti celebri oratori. Anche Vipstano Messalla,
nonostante la sua giovane età, si era già conquistato una grande reputazione. 47 Nel momento in cui si
immagina essersi svolto il Dialogo, questi oratori erano in attività già da una trentina di anni, dal regno di
Claudio a quello di Vespasiano. Tutti erano ancora vivi, e ci si poteva aspettare che proseguissero la
loro carriera ancora per molti anni. Essi rappresentano dunque quelle che noi chiameremmo le «classi
di età» attive nel 75, le categorie di uomini che giocavano un ruolo effettivo nella vita giudiziaria e
politica del tempo. Dobbiamo credere a una scelta fatta a caso? O non conviene pensare piuttosto che
Tacito avesse uno scopo, prendendo costoro come interlocutori del suo dialogo?
Questa scelta presentava in primo luogo il vantaggio di dar voce a opi nioni diverse su un problema
sollevato dallo scorrere del tempo. Era a priori plausibile che un uomo di oltre quarant'anni non avesse
la stessa opinione sull'evoluzione dell'eloquenza di un oratore più giovane, da poco uscito dalle scuole
dei rétori e ancora novizio nelle battaglie del Foro o nelle discussioni della Curia. È significativo, per
esempio, che sia il più giovane degli interlocutori, Messalla, a difendere gli antichi oratori e che sia il più
anziano, Apro, il più critico nei loro confronti e il più favorevole ai moderni. E ciò si spiega abbastanza
bene. Messalla, allievo dei rétori, dei quali aveva ascoltato le lezioni sino a poco tempo prima, è il più
duro nel riprovare i loro metodi. Era uno di quei giovani la cui for mazione è descritta nel Satyricon, uno
di quelli che approvavano rumorosamente la diatriba di Encolpio all'inizio del romanzo. Avendo
personalmente sofferto per questa educazione assurda, lontana da ogni realtà,
Messalla reagisce contro di essa e considera i tempi lontani della Repub blica come una età dell'oro. La
sua storia generosa, ardente, gliela fa rimpiangere. È lui a fare l'elogio più vivo e più intelligente della
teoria ciceroniana e non ci stupirà sentirlo, in certi momenti, riassumere quasi il De oratore. Non
chiediamoci se Messalla sia o meno, qui, il portavoce di Tacito. I suoi discorsi espongono una
concezione dell'eloquenza che era ammessa da tutti alla fine della Repubblica, un'eloquenza che
consentiva all'oratore di assumere pienamente il suo ruolo politico ai tempi della libertà. Messalla
prende qui le difese del sogno e del paradiso perduto.
Può sembrare strano invece che Apro, il più vecchio dei quattro, sia un sostenitore dei «moderni». La
ragione è che, a causa della sua età, è meno sensibile alla differenza dei tempi. Alla sua nascita Asinio
Pollione, l'ultimo degli oratori che avevano conosciuto la Repubblica, era mort o da una ventina d'anni
appena. Apro stesso si sente un continuatore degli Antichi. Come loro è persuaso che i Romani capaci
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di eloquenza hanno il dovere di prendere la parola in tutte le circostanze ove ciò può essere utile ad altri
concittadini. Apro condivide i vecchi ideali: l'eloquenza dà la gloria, conduce alle magistrature, procura
ciò che è per lui (e per un Romano di vecchio stampo) il piacere più dolce: il piacere di avere la ca sa
piena delle personalità più illustri di Roma che vengono a rendere omaggio all'uomo dal quale si
attendono protezione e difesa contro il pericolo rappresentato da qualche accusa. 48
Materno, lo abbiamo visto, rappresenta la categoria degli oratori scoraggiati e distolti dall'eloquenza a
causa della tirannia dei cattivi principi e anche della nefasta attività dei delatori sotto i regni precedenti.
Doveva dunque, per la sua età, appartenere alla generazione che aveva conosciu to almeno l'ultimo dei
Giulio-Claudii. A causa della sua data di nascita, è a metà strada tra Giu lio Secondo e Messalla.
In queste circostanze spetta a Giulio Secondo (il cui discorso, nei nostri manoscritti, è incompleto)
ricondurre i discorsi di Apro e Messalla a una visione più equilibrata della situazione. Più vecchio di
Messalla, più giovane di Apro, esprime un'opinione media e volontariamente realista. Certo, dice,
l'eloquenza degli Antichi merita ammirazione; ma era anche il risvolto di una condizione politica
instabile, fonte di molti mali. Non si poteva giungere a una posizione di qualche pot ere se non si era un
maestro della parola. L'eloquenza era la manifestazione di una eccellenza in dividuale e un mezzo
d'azione nella vita pubblica, cosa che non è più. Si può rimpiangere il passato, ma non farlo rivivere.
Dopo queste ragionevoli considerazioni di Secondo, sembra di poter dire che la vera conclusione del
Dialogo, dove si può trovare il modo di pensare dell'autore, sia quella espressa da Materno. Il discorso
di Secondo, nella misura in cui riconosce che la situazione dello Stato rende ana cronistica la dittatura
vera e propria riconosciuta un tempo all'eloquenza, tende a giustificare, contro l'opinione di Apro,
l'atteggiamento adottato da Materno. Se l'arte oratoria ha perso la sua vecchia potenza; se «non
abbiamo mai sentito parlare dell'eloquenza dei Macedoni, dei Persiani o di altri popoli, che vissero sotto
un governo bene ordinato» se «alcuni oratori vissero a Rodi e molti ad Atene, quando in quelle città
tutto era governato dal popolo, tutto dagli incapaci, e, per così dire, tutti av evano tutto il potere»: 49
perché non sarebbe possibile, nella Roma governata dai principi, preferire la poesia?
La poesia, forse, non conferisce a chi la pratica una notorietà parago nabile a quella dell'avvocato ma,
se si guarda al di là del presente, dà accesso all'immortalità. Essa è forse ciò che lo spirito umano può
concepire di più elevato, ciò che maggiormente lo avvicina alla divinità."' Mentre parla, Materno
sembra in preda a un'ispirazione divina. 50 Tacito, questo è certo, è sensibile alla nob iltà, al carattere
quasi sovrannaturale della poesia. Se ne deve dedurre che accetta la tesi sostenuta da Materno? Ma
se la condividesse avrebbe dovuto, pure lui, dedicarsi alla poesia. Avreb be dovuto, inoltre, rinunciare
all'eloquenza. Il che non pare essersi verificato, se il forestiero, ai giochi, paragona la sua rinomanza a
quella di Plinio il Giovane. Avrebbe dovuto, infine, rinunciare alla propria carriera politica. E noi
sappiamo che non lo fece. Altre erano le vie che gli si aprivano davanti, le vie della Storia, in cui
l'aveva già introdotto la laudatio di Agricola.
Abbiamo già richiamato le parole di Quintiliano sui rapporti che uni scono l'eloquenza alla Storia: 52
questa è, per riprendere i termini del rétore, un «poema in prosa», e procura quindi allo storico che
eccelle una gloria paragonabile a quella promessa a un poeta. I successi di un orato re, che svolge tutta
la sua attività nel Foro (non esistendo più l'eloquenza politica, come è detto alla fine del Dialogo, forse
con un po' di amarezza), non possono fruttargli altro se non la stima dei clienti da lui difesi nei processi,
e del pubblico che assiste alle sedute del tribunale. Si tratta di una forma del tutto effimera, non fatta
per durare nei secoli.
Ora ci è parso che Tacito e Plinio aspirassero a ottenere l'approvazione della posterità: 53 il che
comportava che il loro nome sopravvivesse dopo la loro morte.
Agricola aveva ottenuto la gloria con le sue imprese militari, con la conquista e la pacificazione della
Bretagna, che avrebbe condotto a buon fine se non fosse stato interrotto dalla gelosia di Domiziano.
Agricola è uno degli uomini di Stato che hanno dato a Roma il suo Impero. A Roma, ciò che conferisce
la vera gloria è la devozione allo Stato. Materno meriterà la gloria non tanto con la perfezione formale
della sua opera tragica quanto con la sollecitudine che vi manifesta per i grandi proble mi della vita
politica, per la lotta della libertà contro la tirannia. Celebra re Catone (certamente Catone l'Uticense)
significava partecipare alla gloria di colui che, mentre gli dèi favorivano Cesare, scelse la causa dei vin ti, come aveva scritto Lucano. Allo stesso modo la tragedia su Medea e l'altra su Tiéste contribuivano a
quella resistenza che i più nobili dei Romani opponevano ai principi che tentavano di asservire la patria.
Materno, nato da una antica gens, alla quale si collegavano i leggendari campioni di Alba, i «Curiazi»,
vinti dal romano Orazio , e che aveva contato nel passato consoli e tribuni illustri, a partire dal v secolo
a.C., non era indegno dei suoi antenati. Adesso che le lotte politiche si rivelavano impossibili, restava il
teatro, mezzo estremo per affermare la libertà.
Alla stessa stregua uno storico poteva sperare di mantenere vivo, con i suoi scritti, il sentimento della
grandezza romana. Curiosamente, Quintiliano sembra considerare la storia come un esercizio di stile,
destinato a piacere e a far rifulgere l'abilità dello scrittore.` Per contro Plinio il Vec chio, che come
sappiamo costituì una delle fonti principali per la Germania, 55 giudica severamente lo stesso Tito Livio
per aver scritto all'inizio di alcuni libri della sua Storia di Roma dalla fondazione, che «si era già acquiF. D’Alessi © 2002
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stato gloria sufficiente e che avrebbe potuto fermarsi se il suo spirit o mai in riposo non si fosse nutrito
del lavoro». E Plinio aggiunge: «Certamente sarebbe stato più decoroso che avesse composto quei libri
per la gloria del popolo romano, vincitore di tutte le nazioni e non per la propria: avrebbe avuto più
merito a continuare per amore del suo oggetto e non per propria soddisfazione e a compiere la sua
opera per conto del popolo romano e non per se stesso». 56
Tacito ha tenuto a mente la lezione di Plinio. A più riprese ci è appar so sollecito della grandezza di
Roma e del destino del suo Impero, sia quando esaltava l'opera di Agricola che quando auspicava che
le discordie tra i Germani accrescessero le possibilità dei Romani di estendere la loro dominazione. 57
Dopo anni trascorsi nell'inazione o contrassegnati da operazioni militari insignificanti, ecco che un
imperatore cosciente della sua missione di imperator si accingeva a portare più innanzi le frontiere delle
province. Nel momento in cui Tacito redigeva il Dialogo e constatava la fine dell'eloquenza politica,
determinata dalla pace interna. Traiano conduceva le legioni sulla riva sinistra del Danubio, e sottomet teva i Daci nel corso di una prima spedizione. E questo imperatore guidava in persona l'esercito
romano. Era presente a Roma solo raramente, tra una campagna e l'altra. Il potere aveva cambiato
forma. II principato, così come lo avevano forgiato Augusto, nell'ultima parte del suo regno, e poi
Tiberio, non era più esercitato da un capo residente a Roma, vicino a un Senato che lo sorvegliava, ma
si era trasformato in un'immensa macchina militare impegnata nella conquista del mondo.
Vi era dunque nuovamente posto per uno storico che esponesse quali erano stati i destini dell'Urbe e
quelli dell'esercito durante il ciclo che aveva preceduto questo rinnovamen to. Egli avrebbe mostrato
come, sulle rovine del principato dei Giulio-Claudii avessero fatto la loro comparsa successivamente
quattro pretendenti al potere. Di questi solo il quarto era riuscito a mantenersi, prima con la forza delle
armi, in seguito con l'acquiescenza del Senato e del popolo, ma la sua opera era stata distrut ta dalle
follie del suo secondo figlio. Con l'assassinio di Domiziano si era chiuso nel sangue il ciclo iniziato con
l'anarchia dei «tre imperatori». Allo scrittore capace di ricostruire questa storia, che aveva il suo inizio e
la sua fine incisi nel tempo e che si svolgeva come una tragedia sino alla ca tastrofe finale, si offriva una
materia degna delle qualità di cui era in possesso. Non avendo potuto partecipare a tali avvenimenti con
la parola, Tacito si sarebbe almeno aperto un'altra via verso la gloria.
Note
1 Tbe Letters of Pliny. A Historical and Social Commentary, A.N. Sherwin-White, Oxford 1966, p. 506.
2 Plinio il Giovane, Epist., IX, 23, 2.
3 Id., ibid., III, 13 e 18, dove è menzionata una lettura pubblica del Panegirico. Cfr. Marcel Durry, Edition et commentaire
du Panégirique, Paris 1938.
4 Cfr. sopra, p. 83.
5 Ibid., p. 61.
6 Ibid., p. 111.
7 Ibid., p. 88.
8 Ibid., pp. 52 e sgg.
9 Dialogo, 17, 3.
10 Ibid., 1, 2 e 3.
11 Ibid., 37-38.
12 R. Syme, Tacitus, cit., p. 472.
13 Id., ibid.; Plinio il Giovane, Epist., VII, 20, 1; VIII, 7.
14 Dialogo, 9, 6.
15 Ibid., 12, 1.
16 Plinio il Giovane, IX, 10.
17 A.N. Sherwin-White, cit., pp. 448-489.
18 Epist., 1, 6.
19 R. Syme, op. cit., p. 670. Cfr. H. Bardon, Les Empereur.s et les lettres latines, Paris 1940, p. 379, e Fabia e P.
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20 R. Syme, Ibid, pp. 196 e sgg.
21 Cfr. sopra, pp. 111-112.
22 Petronio, Satyricon, 3, 4.
23 Cfr. J. Gérard, Juvénal et la réalité contemporatne, Paris 1976, pp. 56 e sgg.
24 Istituzione oratoria, VI, pref. 3.
25 Ibid., I, 1, 4.
26 Ibid., I, I, 7 e sgg.
27 Ibid., X, 1, 128-130.
28 Ibid., IV, 3, 1 e sgg. Cfr. II, 10, 3 e sgg., dove sono denunciate l'ignoranza e la mancanza di disciplina dei declamatori.
29 Ibid., XII, 2, I e sgg.
30 H. Bardon, Dialogue des orateuers et Institution oratoire, in «Revue des Études latinesp, XIX, 1941, pp. 113-131.
31 Id., ibid., pp. 118-119.
32 Orazio, Epist., II, 1, 103-110; cfr. il verso 117: «scribimus índocti doctique poemata passim».
33 Id., ibid., II, 2, 77.
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34 Id., ibid., I, 1, 138.
35 P. Grímal, Horace et la question du theatre à Rome, in Ronae. La littérature et l’histoire, Roma 1986, pp. 67-72.
36 Dialogo, 13, 5-6.
37 Ibid., 17, 3.
38 Istituzione oratoria, X, 3, 13.
39 Dialogo, 11, 2.
40 Tacito, Annali, XV, 34, 2.
41 Dione Cassio, LXVII, 5.
42 Dialogo, 10, 6 e sgg.
43 Tacito, Storie, IV, 42, 1 e sgg.
44 Ibid., III, 9, 4, cfr. oltre, p. 211.
45 Ibid., III, 11, 18.
46 Rudolf Hanslik, art. Vzpstanus n. 6, Real-Encycl, IX, A, pp. 170-172 (19-61).
47 Dialogo, 15-16.
48 Ibid., 6, 2 e sgg.
49 Ibid, 40, 3.
50 Ibid., 12, 4 e sgg.
51 Ibid., 14, 1.
52 Cfr. sopra, p. 55.
53 Cfr. sopra, pp. 76 e sgg.
54 Testo citato sopra, p. 55.
55 Qui sopra, p. 124.
56 Plinio il Vecchio, Storia naturale, I, pref., 16.
57 Cfr. sopra, pp. 113 e sgg., 129 e sgg.
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Paratore, Ettore, Il libro 4. degli Annales di Tacito: anno accademico 1964-65, Roma: Edizioni dell'Ateneo,
1965
Descrizione fisica: 90 p. ; 25 cm
Note Generali: In testa al front.: Universita degli studi di Roma, Facolta di lettere e filosofia
Litografato .
Paratore, Ettore, Tacito / Ettore Paratore
Edizione: 2. ed, Roma: Ediz. dell'Ateneo, 1962 , Nuovi saggi
Stackelberg, Jurgen: von, Tacitus in der Romania: Studien zur literarischen Rezeption des Tacitus in Italien
und Frankreich / Jurgen von Stackelberg, Tubingen: Max Niemeyer Verlag, 1960
Nomi: Stackelberg, Jurgen: von
Soggetti: Tacito , Publio Cornelio - Fortuna - Francia
Tacito , Publio Cornelio - Fortuna - Italia
Antologia tacitiana / introduzione e commento a cura di Albino Garzetti, Firenze: La Nuova Italia, 1961; I
classici della Nuova Italia
Altamura, Dionisio, Il contributo di Tacito alla conoscenza geografica ed etnografica della Brittania, Bari: F.
Cacucci, 1952
Descrizione fisica: 37 p.: ill. ; 24 cm .
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
167
Numeri: Bibliografia Nazionale - 6210642
Nomi: Altamura, Dionisio
Soggetti: Tacito , Publio Cornelio - Opere - Riferimenti alla Britannia
Questa, Cesare, Studi sulle fonti degli Annales di Tacito / Cesare Questa, Roma: Ed. dell'ateneo, [1960] ,
Nuovi saggi
Perret, Jacques, Recherches sur le texte de la "Germanie" / Jacques Perret, Paris: Les belles lettres, 1950 ,
Collection d'etudes latines. Seriescientifique
Nomi: Perret, Jacques
Soggetti: Tacito , Publio Cornelio. Germania
Riposati, Benedetto, Tacito e la storiografia imperiale / B. Riposati ; a cura di G. Verzegnassi, Milano: La
Goliardica, [1952]
Note Generali: Sul front.: Facolta di Lettere e Filosofia e Facolta di Magistero della Univ. Cattolica del Sacro
Cuore. Anno accademica 1951-52.
Paratore, Ettore, Tacito / Ettore Paratore, Milano ; Varese, stampa 1951 , Biblioteca storica universitaria.
Ser. 2.,Monografie
Marchesi, Concetto, Tacito / Concetto Marchesi
Edizione: 4. ed. riv, Milano ; Messina, stampa 1955 , Biblioteca storica Principato
Tacitus, Publius Cornelius, 2: Libri 11.-16. / Tacito ; letture scelte e commentate a cura di Giuseppe
Ammendola, Napoli: L. Loffredo, stampa 1948
Fa parte di: Annali / Tacito ; letture scelte e commentate a cura di Giuseppe Ammendola
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Ammendola, Giuseppe
Giarratano, Cesare, Cornelio Tacito / Cesare Giarratano, Roma: Ed. Roma, stampa 1941 , Res romanae
Numeri: Bibliografia Nazionale - 1941 2674
Marchesi, Concetto, Tacito / Concetto Marchesi
Edizione: 2. ed. riv, Milano ; Messina, stampa 1942 , Biblioteca storica Principato
Ciaceri, Emanuele, Tacito / Emanuele Ciaceri, Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1941 , I grandi
italiani: collana di biografie
Fischer, Ernst, Uber den pluralischen Gebrauch der Substantiva bei Tacitus / Inaugural-Dissertation ...
Universitat Jena, eingereicht von Ernst Fischer, Jena: Frommannsche Buchdruckerei H. Pohle, 1933
Krohn, Friedrich, Personendarstellungen bei Tacitus: Inaugural-Dissertation ... / vorgelegt von Friedrich
Krohn, Grossschonaui, Sa.
Studien zu Tacitus: Carl Hosius zum siebzigsten Geburtstag am 21. Marz 1936 / dargebracht von
Hildebrecht Hommel ... <et al.>, Stuttgart: Verlag von W. Kohlhammer, 1936 , Wurzburger Studien zur
Altertumswissenschaft
Engelhardt, Albrecht, Tacitea: Untersuchungen zum Stil des Tacitus / Inaugural-Dissertation ..., vorgelegt
von Albrecht Engelhardt, Karlsruhe: Druckerei Malsch & Vogel, 1928
De Regibus, Luca, Tacito / Luca De Regibus, Milano: Edizioni Athena, 1929 , La coltura classica
La Germanie de Tacite / traduction nouvelle par H. M. Gailhac, Paris: P. Tequi, 1917
Note Generali: In testa al front.: Les eternels barbares.
Tacitus, Publius Cornelius, Dialogus Agricola Germania / Tacitus, London: William Heinemann, 1914 , The
Loeb classical library
Courbaud, Edmond, Les procedes d'art de Tacite dans les Histoires / Edmond Courbaud, Paris: Hachette,
1918
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
168
Boissier, Gaston, Tacite / Gaston Boissier, de l'Academie francaise
Edizione: 5. ed, Paris: Librairie Hachette, [dopo il 1912] , Bibliotheque d'histoire
Nomi: Boissier, Gaston
Soggetti: MARZIALE, MARCO VALERIO - TACITO , PUBLIO CORNELIO
Pressler, Bruno, Quaestionum ovidianarum capita duo / dissertatio inauguralis philologica ... scripsit Bruno
Pressler, Halis Saxonum: Typis Wischani et Wettengeli, 1903
Soggetti: Tacito , Publio Cornelio
Gerber, Arnold, Lexicon taciteum / ediderunt A. Gerber et A. Greef ; U et V litteras confecit C. John, Lipsiae:
In aedibus B. G. Teubneri, 1903
Ramorino, Felice, Cornelio Tacito nella storia della coltura: discorso letto per la solenne inaugurazione degli
Studi nel R. Istituto superiore di Firenze, addi 18 novembre 1897 / prof. F. Ramorino
Edizione: 2. ed. corretta, Milano: Hoepli, 1898
Quintarelli, Giovanni, Il Tacito fiorentino: studio critico sul volgarizzamento di Tacito fatto da Bernardo
Davanzati / Giovanni Quintarelli, Verona: Tip. Collegio Art igianelli, 1895
Soggetti: Davanzati, Bernardo - Traduzione di Tacito
De Gennaro Ferrigni, Americo, La Germania di Tacito: discorso di Americo De Gennaro-Ferrigni, Napoli: F.
Giannini e f.i, 1884
Soggetti: TACITO , PUBLIO CORNELIO - Germania - Commenti
Cuccurullo, Luigi, Gli annali: l. 1. / Luigi Cuccurullo, Torre Annunziata: tip. torrese di Letizia & Manzo, 1889
Fa parte di: Le opere di C. Cornelio Tacito / Luigi Cuccurullo ; nuovamente volgarizzate e precedute da uno
studio critico
ICCU Per autore
Da Nerone ai Germani: antologia modulare di autori latini per il triennio della scuola media superiore / Tacito;
a cura di Luisa Gengaro
Napoli: Loffredo, [2002], L' attualita del passato
Soggetti: Letteratura latina - Testi scolastici
Histories. Book 1. / Tacitus; edited by Cynthia Damon
Cambridge: Cambridge university press, 2003, Cambridge Greek and Latin classics
Opera omnia / Tacito; edizione con testo a fronte a cura di Renato Oniga
Torino: Einaudi
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
La Germania / Tacito; testo latino, costruzione, versione italiana interlineare, note (sintattiche, grammaticali,
etc...) e verbi a cura di Ada Calzavara d'Arpino
Seregno: Avia pervia, stampa 2001, Collana Sormani di testi latini e greci
Agricola; Germania; Dialogo sull'oratoria / Cornelio Tacito; introduzione, traduzione e note di Mario
Stefanoni; con un saggio di Mario Pani
Edizione: 4. ed
Milano: Garzanti, 2000, I grandi libri Garzanti
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Letture tacitiane: una meditazione in nero / [a cura di] Luigi Bessone: Germanico: un delitto di Stato? / [a
cura di] Luciano Lenaz
Padova: L & L, 2000
Annali: arcana imperii / Tacito; [a cura di] Luciano Stupazzini
Bologna: Cappelli, 2000, Piccola biblioteca latina
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Dialogus de oratoribus / Tacitus; edited by Roland Mayer
Cambridge: Cambridge University Press, 2001, Cambridge Greek and Latin classics
La vita di Agricola; La Germania / Tacito; introduzione e commento di Luciano Lenaz; traduzione di Bianca
Ceva
[Milano]: Fabbri, c2001, I grandi classici latini e greci
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Nomi: Ceva, Bianca
Lenaz, Luciano
Dialogo sull'oratoria / Tacito; introduzione e commento di Luciano Lenaz; traduzione di Felice Dessi
Edizione: 3. ed
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 2000, BUR. L
Note Generali: Testo latino a fronte.
Annali / Publio Cornelio Tacito
Novara: De Agostini, [2001], Gedea capolavori
La vita di Agricola; La Germania / Tacito; introduzione e commento di Luciano Lenaz; traduzione di Bianca
Ceva
Edizione: 7. rist
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 2000, BUR. L
Testo orig. a fronte
Annali / Publio Cornelio Tacito; con un saggio introduttivo di Cesare Questa; traduzione di Bianca Ceva
Edizione: 11. ed
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 2000, 2 v. (LXXXI, 828 p. compless.); 18 cm.
Note Generali: Testo latino a fronte.
Annals 5. & 6. / Tacitus; edited with an introduction, translation and commentary by Ronald Martin
Warminster: Aris & Phillips, c2001
Storie / Tacito; introduzione e commento di Luciano Lenaz; traduzione di Felice Dessi
Edizione: 5. ed
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 2001
Testo latino a fronte
1: Libri 1.-2. / Tacito
Edizione: 5. ed
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 2001
Testo latino a fronte
Numeri: ISBN - 88-17-16906-4
Fa parte di: Storie / Tacito; introduzione e commento di Luciano Lenaz; traduzione di Felice Dessi
2: Libri 3.-5 / Tacito
Edizione: 5. ed
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 2001
Note Generali: Testo latino a fronte.
La vita di Agricola . La Germania / Tacito; introduzione e commento di Luciano Lenaz; traduzione di Bianca
Ceva
7. ed
Note Generali: Testo latino a fronte.
Annali / Publio Cornelio Tacito; con un saggio introduttivo di Cesare Questa; traduzione di Bianca Ceva
Edizione: 10. ed
Milano: Biblioteca Universale Rizzoli, 1998
Descrizione fisica: 2 v. (LXXXI, 828 p. compless.).; 18 cm.
Germania / Tacitus; translated with introduction and commentary by J. B. Rives
Oxford: Clarendon press, 1999, Clarendon ancient history series
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Libro 3. delle Storie / Cornelio Tacito; commento e note di Luigi Valmaggi
Torino: Loescher, [1998?], Collezione di classici greci e latini
Annali / di Tacito; a cura di Azelia Arici
Edizione: Rist
Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1998, Classici latini
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Agricola and Germany / Tacitus; translated with an introduction and notes by Anthony R. Birley
Oxford; New York, 1999, Oxford worlds classics
Storie / Tacito; introduzione e commento di Luciano Lenaz; traduzione di Felice Dess~
Milano: Rizzoli, stampa 1998
Note Generali: Testo latino a fronte.
Germany / Tacitus; with an introduction, translation and commentary by Herbert W. Benario
Warminster: Aris & Phillips LTD, 1999
Annali: libro 14. / Tacito; a cura di Francesco Mascialino
Edizione: 4. ed
[Roma]: Dante Alighieri, 1998, Traditio. Serie latina
La vita di Agricola / Tacito; a cura di Bruno Zanco
Edizione: 9. ed
[Roma]: Dante Alighieri, 1999, Traditio. Serie latina
Storie / Tacito; traduzione di Felice Dessi
Edizione: 4. ed
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1999
Note Generali: 2 v. (p. compless. 856); 18 cm. Test
Le Storie. Libro primo / Tacito; testo latino, costruzione diretta versione italiana interlineare, verbi e note
(sintattiche e grammaticali) a cura di A. Calzavara D'Arpino
Seregno: Avia Pervia, stampa 1999, Collana Sormani di testi latini e greci
Alla corte di Nerone: dagli Annales di Tacito / a cura di Lidia Levi
Roma; Bari, 1999, Collezione scolastica
Germania / Tacitus; edited with introduction and notes by J. G. C. Anderson
London: Bristol classical press, 1997, Classic Latin and Greek texts in paperback
Note Generali: Ripr. dell'ed.: Oxford University press, 1938.
Storie; Dialogo degli oratori; Germania; Agricola / di Tacito; a cura di Azelia Arici
Edizione: Rist
Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1997, Classici latini
Germania / Tacito; a cura di Bruno Zanco
Edizione: 4. ed
[Roma]: Dante Alighieri, 1997, Traditio. Serie latina
Numeri: ISBN - 88-534-0616-X
The histories / Tacitus; translated by W. H. Fyfe; revised and edited by D. S. Levene
Oxford; New York, 1997, The worlds classics
Annali. Libro secondo / Tacito; costruzione diretta, versione interlineare, note e verbi a cura del prof.
Giancarlo Scarpa
Seregno: Avia pervia, stampa 1997, Collana Sormani di testi latini e greci
Gli Annali. Libro primo: ab excessu divi Augusti: liber primus / C. Tacito; testo latino, costruzione diretta,
versione italiana interlineare, note (sintattiche, grammaticali, ecc.) a cura di A. Calzavara D'Arpino
Seregno: Avia pervia, stampa 1997, Collana Sormani di testi latini e greci
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La Germania: testo, costruzione, versione letterale, argomenti e note / Cornelio Tacito
Edizione: 24. ed
[Roma]: Dante Alighieri, stampa 1997, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione, traduzione letterale
e note
Vie d'Agricola / Tacite; traduction et presentation d'Anne-Marie Ozanam; La Germanie / Tacite; traduction de
Jacques Perret; introduction et notes d'Anne-Marie Ozanam
Paris: Les belles lettres, 1997, Classiques en poche
Note Generali: Con il testo orig. a fronte.
Gli annali. Libro quarto: Ab excessu divi Augusti / C. Tacito; testo latino, costruzione diretta, versione italiana
interlineare, note (sintattiche, grammaticali, ecc.) a cura di Lucio Riddei
Seregno: Avia pervia, stampa 1996, Collana Sormani di testi latini e greci
La Germania La vita di agricola Dialogo sull'eloquenza / Cornelio Tacito; prefazione, testo latino e traduzione
di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, 1996, Prosatori di Roma
The Annals of Tacitus / edited with a commentary by A.J. Woodman and R.H. Martin
Cambridge: Cambridge University Press, Cambridge classical texts and commentaries
Annali / Publio Cornelio Tacito; traduzione di Bianca Ceva
Edizione: 8. ed
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1996
Tacito: antologia dalle opere / a cura di Patrizia Gelmetti
Torino: Paravia, 1996, Gli scrittori latini
Soggetti: Letteratura latina - Testi scolastici
La Germania; La vita di Agricola; Dialogo sull'eloquenza / Cornelio Tacito; prefazione, testo latino e
traduzione di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, stampa 1996, Prosatori di Roma
Note Generali: Testo latino a fronte.
Storie / Tacito; introduzione e commento di Luciano Lenaz; traduzione di Felice Dessi
Edizione: 3. ed
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1996
Note Generali: Testo latino a fronte
Germania / Tacito; a cura di Elisabetta Risari
Milano: A.Mondadori, 1996, Classici greci e latini
Note Generali: Testo in latino a fronte
Book 3 / edited with a commentary by A. J. Woodman and R. H. Martin
Cambridge: Cambridge university press, 1996, Cambridge classical texts and commentaries
Numeri: ISBN - 0521552176
Fa parte di: The Annals of Tacitus: books 1-6 / edited with a commentary by F. R. D. Goodyear; [poi] by A. J.
Woodman and R. H. Martin
Annali: libro 16. / Tacito; a cura di Francesco Mascialino
Edizione: 4. ed
[Roma]: Dante Alighieri, 1996, Traditio. Serie latina
Annali / Publio Cornelio Tacito; con un saggio introduttivo di Cesare Questa; traduzione di Bianca Ceva
Edizione: 8. ed
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1996
1 / Publio Cornelio Tacito
Edizione: 8. ed
Milano: Biblioteca, 1996, BUR. L
Fa parte di: Annali / Publio Cornelio Tacito; con un saggio introduttivo di Cesare Questa; traduzione di
Bianca Ceva
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2 / Publio Cornelio Tacito
Edizione: 8. ed
Milano: Biblioteca, 1996
Fa parte di: Annali / Publio Cornelio Tacito; con un saggio introduttivo di Cesare Questa; traduzione di
Bianca Ceva
Nomi:
Annales: Livres 13.-16. / Tacite; texte etabli et traduit par Pierre Wuilleumier
Edizione: 4.me tirage par J. Hellegouarc'h
Paris: Les belles lettres, 1996
Note Generali: Testo orig. a front.
La vita di Agricola; La Germania / Tacito; introduzione e commento di Luciano Lenaz; traduzione di Bianca
Ceva
Edizione: 3. ed
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1996
La vita di Agricola / C. Tacito; argomento dell'opera, costruzione diretta e traduzione interlinare, note e verbi
a cura del prof.re Tiziano Pistoso
Seregno: Ciranna & Ferrara, stampa 1996
Note Generali: Con il testo orig.
Le Storie. Libro secondo / Tacito; testo latino, costruzione diretta, versione italiana interlineare, note e verbi a
cura della prof.ssa Roberta Vignali
Seregno: Avia Pervia, stampa 1996
Le Storie. Libro terzo / Tacito; testo latino, costruzione diretta, versione italiana interlineare, note e verbi a
cura della prof.ssa Roberta Vignali
Seregno: Avia Pervia, stampa 1996, Collana Sormani di testi latini e greci
Annali. Libro primo / C. Tacito; costruzione e traduzione interlineare, note e verbi a cura di Angelo Simonelli
Seregno: Ciranna & Ferrara, stampa 1995, Sunti
Simonelli, Angelo
La vita di agricola; la Germania / Tacito; introduzione e commento di Luciano Lenaz; traduzione di Bianca
Ceva
Milano: Fabbri, stampa 1995
Descrizione fisica: 300 p.: ill.; 19 cm., I grandi classici latini e greci
Note Generali: Testo latino a fronte.
Storie / Publio Cornelio Tacito; introduzione generale di Lidia Storoni Mazzolani; cura e traduzione di Gian
Domenico Mazzocato
Edizione: Edizione integrale
Roma: Grandi tascabili economici Newton, 1995, Grandi tascabili economici
Note Generali: Testo latino a fronte.
La vita di Agricola; La Germania / Tacito; introduzione e commento di Luciano Lenaz; traduzione di Bianca
Ceva
Edizione: 2. ed
Milano: Biblioteca Universale Rizzoli, 1995, BUR. L
Note Generali: Testo latino a fronte
Gli annali. Libro 15. / Cornelio Tacito; testo latino, costruzione, versione italiana interlineare a cura del prof.
Pio Bortoluzzi
Seregno: Avia pervia, stampa 1995, Collana Sormani di testi latini e greci
Annali: Tomo 1 / Publio Cornelio Tacito; Introduzione generale, cura e traduzione di Lidia Storoni Mazzolani
Edizione: Edizione integrale
Roma: Newton Compton, 1995, Grandi tascabili economici
Note Generali: Testo latino a fronte
Annali / Publio Cornelio Tacito; introduzione generale, cura e traduzione di Lidia Storoni Mazzolani
Edizione: Ed. integrale
F. D’Alessi © 2002
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Roma: Newton, 1995
Descrizione fisica: v.; 22 cm, Grandi tascabili economici
Note Generali: Testo latino a fronte.
Comprende: 1 / Publio Cornelio Tacito; introduzionegenerale, cura e traduzione di Lidia StoroniMazzolani
Nomi: Storoni Mazzolani, Lidia
1 / Publio Cornelio Tacito; introduzione generale, cura e traduzione di Lidia Storoni Mazzolani
Ed. integrale
Descrizione fisica: Roma: Newton, 1995., Grandi tascabili economici
Fa parte di: Annali / Publio Cornelio Tacito; introduzione generale, cura e traduzione di Lidia Storoni
Mazzolani
La Germania / Tacito; [traduzione di] Filippo Tommaso Marinetti
[Viterbo]: Nuovi equilibri, [1995], Millelire
Rousseau, Jean Jacques <1712-1778>
Jean-Jacques Rousseau traducteur de Tacite / presente et annote par Catherine Volpilhac-Auger
Saint: Publications de l'Universite de Saint-Etienne, 995, Lire le dix-huitieme siecle
Note Generali: Contiene il testo originale del 1. Libro delle Storie di Tacito e la traduzione di J.-J. Rousseau
Storie / Tacito
Edizione: 2. ed
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1994
Note Generali: Testo latino a fronte.
Comprende: Libri 1.-2. / Tacito; introduzione e commentodi Luciano Lenaz; traduzione di Felice Dessi
Libri 3.-5. / Tacito; commento di LucianoLenaz; traduzione di Felice Dessi
Dialoghi sull'oratoria / Tacito; introduzione e commento Luciano Lenaz; trad. Felice Dessi
Edizione: 2. ed
Milano: Rizzoli, 1994, I classici della BUR
Note Generali: Testo latino a fronte
Germania / Publius Cornelius Tacitus; [notas curaverunt Maria Grazia Revrenna; editionem curavit Massimo
Camola; operam dedit Giovanna Falzone]
Vimercate: La Spiga, c1994, Latine loqui
Libri 1.-6. / Tacito; a cura di Lidia Pighetti; prefazione di Luca Canali
Milano: A. Mondadori, 1994, Classici greci e latini
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Libri 11.-16. / Tacito; a cura di Lidia Pighetti
Milano: A. Mondadori, 1994, Classici greci e latini
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Annali: libri 1.-6. / Tacito; a cura di Lidia Pighetti; prefazione di Luca Canali
Milano: A. Mondadori, 1994, Classici greci e latini
Note Generali: Testo latino a fronte.
Germania / Tacito; a cura di Elisabetta Risari
Milano: A.Mondadori, 1994, Classici greci e latini
Note Generali: Testo in latino a fronte
La vita di Agricola; La Germania / Tacito; introduzione e commento di Luciano Lenaz; traduzione di Bianca
Ceva
[Milano]: Fabbri, c1994, stampa 1995
Descrizione fisica: 300 p.; 19 cm., I grandi classici latini e greci
Note Generali: Testo latino a fronte.
Tre Cesari: Tiberio, Nerone, Ottone / Tacito; pagine scelte e annotate da Concetto Marchesi
Edizione: 3. ed., rist
Milano: Principato, 1994, Classici latini e greci
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Dialogo sull'oratoria / Tacito; introduzione commento di Luciano Lenaz; traduzione di Felice Dessi
Edizione: 2. ed
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1994
Note Generali: Testo orig. a fronte.
1: Libri 1-6 / Cornelio Tacito
Edizione: 3. ed
Milano: Garzanti, 1994, I grandi libri Garzanti
Fa parte di: Annali / Cornelio Tacito; introduzione, traduzione e note di Mario Stefanoni; con un saggio di
Mario Pani
2: Libri 11-16 / Cornelio Tacito
Edizione: 3. ed
Milano: Garzanti, 1994 , I grandi libri Garzanti
Fa parte di: Annali / Cornelio Tacito; introduzione, traduzione e note di Mario Stefanoni; con un saggio di
Mario Pani
Germania / Tacito; a cura di Elisabetta Risari
Milano: A. Mondadori, 1994, Classici greci e latini
Note Generali: Testo in lingua originale a fronte
Annali / Tacito; a cura di Lidia Pighetti; prefazione di Luca Canali
Milano: A. Mondadori, 1994, Classici greci e latini
Gli annali. Libro 16. / Tacito; testo latino, costruzione, versione italiana interlineare, note (sintattiche,
grammaticali, ecc.) a cura di A. Calzavara D'Arpino
Seregno: Avia pervia, stampa 1994, Collana Avia pervia di testi latini
1: Ab excessu divi Augusti / edidit Henricus Heubner
Edizione: Ed. corr
Stutgardiae, etc.
Fa parte di: P. Cornelii Taciti libri qui supersunt
Annali / Publio Cornelio Tacito; con un saggio introduttivo di Cesare Questa; traduzione di Bianca Ceva
Edizione: 7. ed
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1994
Dialogo sull'oratoria / Tacito; introduzione e commento di Luciano Lenaz; traduzione di Felice Dessi
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1993
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Agricola; Germania; Dialogo sull'oratoria / Cornelio Tacito; introduzione, traduzione e note di Mario
Stefanoni; con un saggio di Mario Pani
Edizione: 2. ed
Milano: Garzanti, 1993, I grandi libri Garzanti
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Annali: libro 12. / Tacito; a cura di Francesco Mascialino
Edizione: 2. ed
Roma: Soc. ed. Dante Alighieri, 1993, Traditio. Serie latina
Note Generali: Testo in latino
Antologia tacitiana: (dai libri 1., 2., 4., 6., 11., 14. degli Annali e dal 4. delle Storie) / a cura di Francesco
Mascialino
Edizione: 12. ed
[Roma]: Dante Alighieri, stampa 1993, Traditio. Serie latina
La Germania / traduzione di F. T. Marinetti; litografie di Floriano Bodini
[S. l.]: Cento amici del libro, stampa 1993
Note Generali: Ed. di 130 esempl. num. I-XXX e 100 ad personam.
Segue il testo orig. di Tacito
F. D’Alessi © 2002
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Annales / Tacite; texte presente, traduit et annote par Pierre Grimal
[Paris]: Gallimard, [1993], Folio
La Germania / Tacito; testo latino, costruzione, versione italiana interlineare, note (sintattiche, grammaticali,
ecc.) e verbi a cura di A. Calzavara D'Arpino
Seregno: Avia Pervia, stampa 1993, Collana Sormani di testi latini e greci
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Annali. Libro 16. / Tacito; a cura di Giuseppe Brizi
Milano: Mursia, 1993, Classici latini e greci
Dialogo sull'oratoria / Tacito; introduzione e commento di Luciano Lenaz; traduzione di Felice Dessi'
Milano: Rizzoli, 1993, BUR. L
Note Generali: Testo latino a fronte.
Tutte le opere / Publio Cornelio Tacito; versione, introduzione e note di Enzio Cetrangolo
Firenze: Sansoni, stampa 1993, La grande letteratura
Note Generali: Testi orig. a fronte.
Storie / Cornelio Tacito; introduzione, traduzione e note di Mario Stefanoni; con un saggio di Mario Pani
Edizione: 2. ed
Milano: Garzanti, 1993, I grandi libri Garzanti
Note Generali: Testo latino a fronte
Bo, Domenico
Le principali problematiche del Dialogus de oratoribus: panoramica storico-critica dal 1426 al 1990 /
Domenico Bo; con in appendice: restituzione critica del testo alla luce di nuova classificazione dei codici,
bibliografia e indici dei nomi e delle cose
Hildesheim [etc.]: G. Olms, 1993
Descrizione fisica: 462 p.; 21 cm., Spudasmata
La Germania / Tacito; traduzione di Filippo Tommaso Marinetti
Palermo: Sellerio, [1993], La memoria
Note Generali: Segue il testo orig.
1.1: Ab excessu divi Augusti libri 1.-6. / edidit Stephanus Borzsak
Stutgardiae et Lipsiae: in aedibus B.G. Teubneri, 1992, Bibliotheca scriptorum Graecorum et
RomanorumTeubneriana
Fa parte di: P. Cornelii Taciti libri qui supersunt
Borzsak, Istvan
Libri 13.-16. / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, stampa 1992
Fa parte di: Annali / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
1.1: Ab excessu divi Augusti libri 1.-6. / edidit Stephanus Borzsak
Stutgardiae; Lipsiae, 1992
Fa parte di: Cornelii Taciti libri qui supersunt / ediderunt Stephanus Borzsak et Kenneth Wellesley
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Borzsak, Istvan
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Annali: libro 11. / Tacito; a cura di Francesco Mascialino
Edizione: 3. ed , Roma, Traditio. Serie latina
Le storie. Libro primo / Tacito; testo latino, costruzione diretta, versione italiana interlineare, verbi e note
(sintattiche e grammaticali) a cura di A. Calzavara D'Arpino
Seregno: Avia pervia, stampa 1992, Collana Sormani di testi latini e greci
Storie / Tacito; traduzione di Felice Dessi
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1992
Descrizione fisica: 2 v. (856 p. compless.); 18 cm.
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Note Generali: Testo orig. a fronte.
Gli annali. Libro 14. / Cornelio Tacito; testo latino, costruzione diretta, versione italiana interlineare a cura del
prof. Pio Bortoluzzi
Seregno: Avia pervia, stampa 1992, Collana Sormani di testi latini e greci
Storie / Tacito; introduzione e commento di Luciano Lenaz; traduzione di Felice Dessi'
Milano: Rizzoli, 1992
Note Generali: Testo latino a fronte.
Annali. Libro 2. / Tacito; a cura di Tristano Bolelli
Milano: Mursia, [1992?], Classici latini e greci
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Bolelli, Tristano
3: Livres 4. et 5. / Tacite; texte etabli et traduit par Henri Le Bonniec; annote par Joseph Hellegouarc'h
Paris: Les belles lettres, 1992, Collection des universites de France. Ser.latine
Fa parte di: Histoires / Tacite; texte etabli et traduit par Henri Goelzer
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Storie / Tacito; introduzuione e commento di Luciano Lenaz; traduzione di Felice Dessi
Milano: Rizzoli, 1992, I classici della BUR
Note Generali: Testo latino a fronte
Vol. 1 Tit. orig.: Historiae libri I-II
Vol. 2 Tit.orig.: Historiae libri III-V
La vita di Agricola / Tacito; a cura di Bruno Zanco
Edizione: 8. ed
[Roma]: Dante Alighieri, stampa 1992, Traditio. Serie latina
Seneca, Lucius Annaeus
La fermezza del saggio / Lucio Anneo Seneca; seguito da La morte di Seneca di Tacito; a cura di Gavino
Manca
Palermo: Sellerio, [1992], Il divano
Note Generali: Trad. di Gavino Manca.
Storie / Cornelio Tacito; introduzione, traduzione e note di Mario Stefanoni, con un saggio di Mario Pani
Milano: Garzanti, 1991, I grandi libri Garzanti
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Agricola; Germania; Dialogo sull'oratoria / Cornelio Tacito; introduzione, traduzione e note di Mario
Stefanoni; con un saggio di Mario Pani
Milano: Garzanti, 1991, I grandi libri Garzanti
Note Generali: Testo orig. a fronte.
La Germania / Tacito; [a cura di Luca Canali]
Pordenone: Studio Tesi, [1991], Filo di perle
Note Generali: Testo latino a fronte.
Germania / Tacito; a cura di Elisabetta Risari
Milano: A.Mondadori, 1991, Classici greci e latini
Note Generali: Testo in lingua originale a fronte
The Germania of Tacitus / A critical edition by Rodney Potter Robinson
Hildesheim; Zurich; New York, 1991
Note Generali: Rist. anast.: Middletown (Conn.), 1935
Gli annali: libro primo: testo, costruzione, versione letterale, argomenti e note / Cornelio Tacito
Edizione: 13. ed
Roma: Dante Alighieri, stampa 1991, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione, traduzione letterale e
note
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Ab excessu divi Augusti: annales = Dalla morte del divo Augusto: annali: libro 13. / Tacito; introduzione,
traduzione interlineare e note a cura di Alfio Nicotra
Roma: Ciranna, [1991?], I cirannini
La Germania / Tacito; testo latino, costruzione, versione italiana interlineare, note (sintattiche, grammaticali,
ecc.) e verbi a cura di A. Calzavara d'Arpino
Seregno: Avia pervia, stampa 1991, Collana Sormani di testi latini e greci
Gli annali. Libro 13. / Cornelio Tacito; testo latino, costruzione, versione italiana interlineare a cura del prof.
Pio Bortoluzzi
Seregno: Avia pervia, stampa 1991, Collana Avia pervia di testi latini
Tre Cesari: Tiberio, Nerone, Ottone / Tacito; pagine scelte e annotate da Concetto Marchesi
Milano: G. Principato, stampa 1991, Classici latini e greci
Tacitus' Agricola, Germany and Dialogue on orators / translated, with an introduction and notes, by Herbert
W. Benario
Edizione: Revised edition
Normann; London, 1991, Oklahoma series in classical culture
Agricola; Germania; Dialogo sull'oratoria / Cornelio Tacito; introduzione, traduzione e note di Mario
Stefanoni; con un saggio di Mario Pani
Milano: Garzanti, 1991, I grandi libri Garzanti
Note Generali: Testo orig. a fronte
Gli annali. Libro sesto: Ab excessu divi Augusti / C. Tacito; testo latino, costruzione diretta, versione italiana
interlineare, note (sintattiche, grammaticali, ecc.) a cura di L. Riddei; in appendice: Gli annali, libro quinto,
[dello stesso A.]; testo latino, costruzione diretta, versione italiana interlineare, note (sintattiche,
grammaticali, ecc.) a cura di A. Calzavara d'Arpino
Seregno: Avia pervia, stampa 1991, Collana Avia pervia di testi latini
Germania / Tacito; a cura di Elisabetta Risari
Milano: A. Mondadori, 1991, Classici greci e latini
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Germania / Tacito; a cura di Elisabetta Risari
Milano: A.Mondadori, 1991, Classici greci e latini
Note Generali: Testo in lingua originale a fronte
La vita di Agricola La Germania / Tacito; introduzione e commento di Luciano Lenaz
[Milano]: Biblioteca universale Rizzoli, 1990, I libri di Millelibri
Note Generali: Testo latino a fronte
Annali / Publio Cornelio Tacito; con un saggio di Cesare Questa
Edizione: 4. ed
[Milano]: Biblioteca universale Rizzoli, 1990, I libri di Millelibri
Note Generali: Testo latino a fronte
2: Tacitus, Germania / lateinisch und deutsch von Gerhard Perl
Berlin: Akademie Verlag, 1990
Fa parte di: Griechische und lateinische Quellen zur Fruhgeschichte Mitteleuropas bis zur Mitte des 1.
Jahrtausends u. Z. / herausgegeben von Joachim Herrmann
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Perl, Gerhard
Annali: libro 14. / Tacito; a cura di Francesco Mascialino
Edizione: 3. ed
[Roma]: Societa editrice Dante Alighieri, stampa 1990, Traditio. Serie latina
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Agricola / Tacito; a cura di Franco Venturella
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Palermo: Herbita, 1990
Note Generali: Nel front.: Un uomo nella stagione del coraggio
Annali: libro 13. / Tacito; a cura di Francesco Mascialino
Edizione: 2. ed
[Roma]: Dante Alighieri, stampa 1990, Traditio. Serie latina
1: Libri 1.-2. / Cornelio Tacito
Bologna: Zanichelli, stampa 1990
Fa parte di: Le storie / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Francesco Mascialino
Germania / Tacito; a cura di Bruno Zanco
Edizione: 3. ed
[Roma]: Dante Alighieri, stampa 1990, Traditio. Serie latina
Oeuvres completes / Tacite; texte traduits, presentes et annotes par Pierre Grimal
[Paris]: Gallimard, c1990, Bibliotheque de la Pleiade
Oeuvres completes / Tacite; textes traduits, presentes et annotes par Pierre Grimal
Paris]: Gallimard, c1990, Bibliotheque de la Pleiade
14: The annals; and the histories / Tacitus
Edizione: 2. ed
Chicago [etc.]: Encyclopaedia britannica, 1990
Fa parte di: Great books of the Western world / Mortimer J. Adler, editor in chief; Clifton Fadiman, Philip W.
Goetz, associate editors
La vita di Agricola; La Germania / Tacito; introduzione e commento di Luciano Lenaz; traduzione di Bianca
Ceva
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1990
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Annali / Publio Cornelio Tacito; traduzione di Bianca Ceva
Edizione: 4. ed
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1990
Testo latino a fronte
Comprende: 1 / Publio Cornelio Tacito; con un saggiointroduttivo di Cesare Questa; traduzione diBianca
Ceva
2 / Publio Cornelio Tacito; con un saggiointroduttivo di Cesare Questa
1 / Publio Cornelio Tacito; con un saggiointroduttivo di Cesare Questa
2 / Publio Cornelio Tacito
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Ceva, Bianca
1: Libri 1.-2. / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Francesco Mascialino
Bologna: Zanichelli, stampa 1990
Fa parte di: Le storie / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Francesco Mascialino
Annali / Cornelio Tacito; introduzione, traduzione e note di Mario Stefanoni; con un saggio di Mario Pani
Milano: Garzanti, 1990
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Comprende: 1: Libri 1.-6. / Cornelio Tacito ;introduzione, traduzione e note di MarioStefanoni; con un saggio
di Mario Pani
2: Libri 11.-16. / Cornelio Tacito ;introduzione, traduzione e note di MarioStefanoni; con un saggio di Mario
Pani
Gli annali. Libro 15. / Cornelio Tacito; testo latino, costruzione, versione italiana interlineare a cura del prof.
Pio Bortoluzzi
Roma: Sormani, stampa 1990, Collana Avia pervia di testi latini
Germania: lateinisch und deutsch / Tacitus; von Gerhard Perl
Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft, (Berlin (Berlin: Akademie-Verlag, 1990)
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La vita di Agricola La Germania / Tacito; Introduzione e commento di Luciano Lenaz; Traduzione di Bianca
Ceva, Milano: Rizzoli, 1990
Note Generali: Testo latino a fronte
La vita di Agricola: traduzione interlineare, paradigmi e note a cura di Caterina Tranchida / Tacito
Roma: Ciranna, [1989?], I cirannini
Gli Annali. Libro 14. / Cornelio Tacito; testo latino, costruzione, versione italiana interlineare a cura del prof.
Pio Bortoluzzi
Roma: Edizioni Sormani, stampa 1989, Avia pervia
Antologia tacitiana: dai libri 1., 2., 4., 6., 11., 14. degli Annali e dal 4. delle Storie / a cura di Francesco
Mascialino
Edizione: 11. ed
[Roma]: Dante Alighieri, stampa 1989, Traditio. Serie latina
2: Libri 3.-4.-5. / Cornelio Tacito
Bologna: Zanichelli, stampa 1989, Prosatori di Roma
Fa parte di: Le storie / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Francesco Mascialino
La Germania; La vita di Agricola; Dialogo sull'eloquenza / Cornelio Tacito; prefazione, testo latino e
traduzione di Anna Resta Barrile, Bologna: Zanichelli, stampa 1989, Prosatori di Roma
Annals 4. / Tacitus; edited with translation and commentary by D. C. A. Shotter
Warminster: Aris & Phillips, copyr. 1989
Titolo uniforme: Annales
2: Libri 3-4-5
Stampa 1989
Descrizione fisica: 430 p.
Fa parte di: Le storie / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Francesco Mascialino
2.1: Historiarum libri / edidit Kenneth Wellesley
Leipzig: B. G. Teubner, 1989
Fa parte di: Cornelii Taciti libri qui supersunt / ediderunt Stephanus Borzsak et Kenneth Wellesley
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La Germania La vita di Agricola Dialogo sull'eloquenza / Cornelio Tacito; prefazione, testo latino e traduzione
di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, 1989, Prosatori di Roma
Note Generali: Testo latino a fronte
Annals, Book 4. / Tacitus; edited by R. H. Martin, A. J. Woodman
Cambridge: Cambridge university press, 1989, Cambridge Greek and Latin classics
4: Livres 13.-16. / Tacite; texte etabli et traduit par Pierre Wuilleumier
Edizione: 2. tirage / revu et corrige par J. Hellegouarc'h
Paris: Les belles lettres, 1989
2: Livres 2. & 3. / Tacite; texte etabli et traduit par Henry Le Bonniec; annote par Joseph Hellegouarc'h
Paris: Les belles lettres, 1989, Collection des universites de France
Note Generali: Testo orig. a fronte.
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La Germania / Tacito; costruzione diretta, traduzione letterale e interlineare, note, paradigmi verbali e
riassuntoa cura di Rosario Gennaro
Roma: Ciranna, [1988?], I cirannini
Lund, Allan A.
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P. Cornelius Tacitus: Germania / interpretiert, herausgegeben, ubertragen, kommentiert und mit einer
Bibliographie versehen von Allan A. Lund
Heidelberg: C. Winter, 1988, Wissenschaftliche Kommentare zu griechischenund lateinischen Schriftstellern
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Tutte le opere / Publio Cornelio Tacito; versione, introduzione e note di Enzio Cetrangolo
Firenze: Sansoni, c1988, Le querce
Testo orig. a fronte.
Lund, Allan A.
Germania / P. Cornelio Tacito; interpretiert, herausgegeben, ubertragen,kommentiert und mit einer
Bibliographie versehen von Allan A. Lund
Heidelberg: C. Winter, 1988, Wissenschaftliche Kommentare zu griechischenund lateinischen Schriftstellern
Germania / P. Cornelius Tacitus; interpriert, hrsg., ubertragen, kommentiert und mit einer Bibliographie
versehen von Allan A. Lund
Heidelberg: Winter, 1988, Wissenschaftliche Kommentare zu griechischenund lateinischen Schriftstellern
Histoires / Tacite
Paris: Les belles lettres, [1987]-, Collection des universites de France
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Comprende: 3: Livres 4. et 5. / Tacite; texte etabli ettraduit par Henri Le Bonniec; annote parJoseph
Hellegouarc'h
La Germania / Tacito; a cura di Michele Faraguna
Firenze: Sansoni, stampa 1987, Cultura antica
Note Generali: Trad. italiana in calce.
Annali / Publio Cornelio Tacito; con un saggio introduttivo di Cesare Questa; traduzione di Bianca Ceva
Edizione: 3. ed
Milano: Biblioteca Universale Rizzoli, 1987
Note Generali: Testo latino a fronte.
La vita di Giulio Agricola: testo, costruzione, versione letterale, argomenti e note / Cornelio Tacito
Edizione: 15. ed
Milano [etc.]: Dante Alighieri, stampa 1987, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione, traduzione
letterale e note
VALENTI PAGNINI, Rossana
Il Potere e la sua immagine: semantica di species in Tacito / Rossana Valenti Pagnini
Napoli: Societa editrice napoletana, 1987, Studi e testi dell'antichita
1: Libri 1.-2. / Cornelio Tacito
Bologna: Zanichelli, stampa 1987, Prosatori di Roma
Fa parte di: Le storie / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Francesco Mascialino
Le storie / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Francesco Mascialino
Bologna: Zanichelli, 1987-1989, Prosatori di Roma
Note Generali: Trad. italiana a fronte
Cornelii Taciti opera minora / recognoverunt brevique adnotatione critica instruxerunt M. Winterbottom et R.
M. Ogilvie
Oxonii: e typographeo Clarendoniano, 1987, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
1: Livre 1. / Tacite; texte etabli et traduit par Pierre Wuilleumier et Henri Le Bonniec; annote par Joseph
Hellegouarc'h
Paris: Les belles lettres, 1987, Collection des universites de France
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Fa parte di: Histoires / Tacite; texte etabli et traduit par Henri Goelzer
Cornelii Taciti Annalium ab excessu divi Augusti libri / recognovit brevique adnotatione critica instruxit C. D.
Fisher
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Oxonii: e typographeo Clarendoniano, stampa 1986, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
Note Generali: Ripr. dell'ed.: Oxford: Oxford university press, 1906.
Testo latino
La Germania La vita di Agricola Dialogo sull'eloquenza / Cornelio Tacito; Prefazione, testo latino e
traduzione di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, 1986, Prosatori di Roma
Note Generali: Testo latino a fronte
P. Cornelii Taciti Dialogus de oratoribus / introduzione, testo critico, traduzione e note a cura di Domenico Bo
Torino: Giappichelli, stampa 1986, Corsi universitari
Titolo uniforme: Dialogus de oratoribus
Caesar, Gaius Iulius
Berichte uber Germanen und Germanien / Caesar, Tacitus; herausgegeben von Alexander Heine
Essen: Phaidon, pref. 1986, Historiker des deutschen Altertums
3: Libri 13.-16
Bologna: Zanichelli, stampa 1986
Fa parte di: Annali / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
Le storie: libro 3: testo, costruzione, versione letterale e note / Tacito
Edizione: 3. ed
Milano [ecc.]: Dante Alighieri, 1986, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione, traduzione letterale e
note
2: Libri 4.-5., 11.-12. / Cornelio Tacito
Bologna: Zanichelli, stampa 1986
Descrizione fisica: 359 p.; 20 cm.
Note Generali: Testo originale a fronte.
Fa parte di: Annali / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
Dialogus de oratoribus / P. Cornelii Taciti; introduzione, testo critico, traduzione e note a cura di Domenico
Bo
Torino: G. Giappichelli, 1986, Corsi universitari
Annali: libro 16 / Tacito; a cura di Francesco Mascialino
Edizione: 3. ed
[Roma]: Dante Alighieri, 1986, Traditio. Serie latina
La Germania; La vita di Agricola; Dialogo sull'eloquenza / Cornelio Tacito; prefazione, testo latino e
traduzione di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, stampa 1986, Prosatori di Roma
Note Generali: Testo latino a front e
1.2: Ab excessu divi Augusti libri 11.-16. / edidit Kenneth Wellesley
Leipzig: Teubner, 1986, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
Fa parte di: Cornelii Taciti libri qui supersunt / ediderunt Stephanus Borzsak et Kenneth Wellesley
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
La Germania; La vita di Agricola; Dialogo sull'eloquenza / Cornelio Tacito; prefazione, testo latino e
traduzione di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, stampa 1986, Prosatori di Roma
Note Generali: Trad. italiana a fronte
Blackman, D. R.
Concordantia Tacitea / edited by D. R. Blackman and G. G. Betts
Hildesheim [etc.]: Olms-Weidmann, 1986
Descrizione fisica: 2 v. (1922 p.); 31 cm., Alpha-omega. Reihe A, Lexika, Indizes,Konkordanzen zur
klassischen Philologie
Comprende: 1: A-K
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2: K-Z
Nomi: Blackman, D. R.
Betts, G. Gavin
La vita di Agricola / Tacito; a cura di Bruno Zanco
Edizione: 7. ed
[Roma]: Dante Alighieri, stampa 1986, Traditio. Serie latina
Annali / Tacito; Con un saggio introduttivo di Cesare Questa; Traduzione di Bianca Ceva
Milano: Rizzoli, 1986, I classici della BUR
Note Generali: Testo originale a fronte
1 / Publio Cornelio Tacito; con un saggio introduttivo di Cesare Questa; traduzione di Bianca Ceva
Edizione: 2. ed
Milano: Biblioteca universale, 1985
Fa parte di: Annali / Publio Cornelio Tacito; traduzione di Bianca Ceva
2 / Publio Cornelio Tacito; con un saggio introduttivo di Cesare Questa
Edizione: 2. ed
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1985
1: Libri 1.-3. / Cornelio Tacito
Bologna: Zanichelli, stampa 1985
Note Generali: Testo originale a fronte.
Fa parte di: Annali / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
Annali / Publio Cornelio Tacito; traduzione di Bianca Ceva
Edizione: 2. ed
Milano: Rizzoli, 1985
Testo latino a fronte
Dialogue des orateurs / Tacite; texte etabli par Henri Goelzer et traduit par Henri Bornecque
Edizione: 6. tirage
Paris: Les belles lettres, 1985
Descrizione fisica: 75 p. (24-72 doppie); 20 cm., Collection des universites de France
Note Generali: Testo latino a fronte.
Vie d'Agricola / Tacite; texte etabli et traduit par E. de Saint-Denis
Edizione: 7. tirage
Paris: Les belles lettres, 1985, Collection des universites de France
Note Generali: Testo latino a fronte.
Cornelii Taciti Historiarum libri / recognovit brevique adnotatione critica instruxit C. D. Fisher
Oxonii: e typographeo Clarendoniano, 1985, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
Gli Annali. Libro 11.: testo, costruzione e versione letterale / Cornelio Tacito
Edizione: 2. ed
Milano [etc]: Societa Editrice Dante Alighieri, 1985, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione,
traduzione letterale e note
La Germania / Tacito; a cura di Nino Salanitro
Messina [etc.]: D'Anna, stampa 1984, Classici latini e greci commentati per lescuole
Annali: libri 11.-16. / Tacito; a cura di Lidia Pighetti
Milano: A. Mondadori, 1984, Classici greci e latini
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Libri 11.-16. / Tacito; a cura di Lidia Pighetti
Milano: A. Mondadori, 1984, Classici greci e latini
Note Generali: Testo originale a fronte.
La Germania: testo, costruzione, versione letterale, argomenti e note / Cornelio Tacito
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Roma: Dante Alighieri, 1984, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione, traduzione letterale e note
Historien: latin deutsch / P. Corneliyus Tacitus; hrsg. von J. Borst; unter Mitarbeit von H. Hross und H. Borst
Edizione: 5. Aufl
Munchen; Zurich; Artemis, 1984
Descrizione fisica: 1 v.
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Borst, Joseph
Hross, Helmut
La Germania La vita di Agricola Dialogo sull'eloquenza / Cornelio Tacito; prefazione, testo latino e traduzione
di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, 1983, Prosatori di Roma
Note Generali: Testo orig. a fronte
2.2: De origine et situ Germanorum liber / recensuit Alf Onnerfors
Stutgardiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1983
Fa parte di: P. Cornelii Taciti libri qui supersunt
2.3: Agricola / edidit Iosephus Delz
Stutgardiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1983
Fa parte di: P. Cornelii Taciti libri qui supersunt
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Delz, Josef
2.4: Dialogus de oratoribus / edidit Henricus Heubner
Stutgardiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1983
Fa parte di: P. Cornelii Taciti libri qui supersunt
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Heubner, Heinz
Tome 2, fasc. 2: De origine et situ Germanorum liber / recensuit Alf Onnerfors
Stutgardiae: in aedibus Teubneri, 1983
Fa parte di: P. Cornelii Taciti libri qui supersunt
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Onnerfors, Alf
Tom. 2 fasc. 3: Agricola / edidit Iosephus Delz
Stutgardiae: in aedibus Teubneri, 1983, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
Fa parte di: P. Cornelii Taciti libri qui supersunt
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Delz, Ioseph
Tom. 2 fasc. 4: Dialogus De oratoribus / edidit Henricus Heubner
Stutgardiae: in aedibus Teubneri, 1983, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
Fa parte di: P. Cornelii Taciti libri qui supersunt
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Heubner, Heinz
1: Ab excessu divi augusti / ed. Henricus Heubner
Stutgardiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1983
Fa parte di: P. Cornelii Taciti libri qui supersunt
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Heubner, Heinz
Storie; Dialogo degli Oratori; Germania; Agricola / di Tacito; a cura di Azelia Arici
Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1983, Classici latini
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Annali dalla morte del divo Augusto / Tacito; traduzione di Enrico Oddone, introduzione, note, bibliografia a
cura di Matilde Caltabiano
Edizione: 2 ed
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Milano: Istituto Bancario Italiano, 1983, Collana dei classici antichi
P. Cornelii Taciti Libri qui supersunt / edidit Henricus Heubner
Stutgardiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1978-, Bibliotheca scriptorum Graecorum et Romanorum
Teubneriana
Comprende: 1: Ab excessu divi Augusti / [Cornelius PubliusTacitus]; edidit Henricus Heubner
2: Historiarum libri / [Cornelius PubliusTacitus]; edidit Henricus Heubner
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Heubner, Heinz
1: Ab excessu divi Augusti / [Cornelius Publius Tacitus]; edidit Henricus Heubner
Stutgardiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1983
Fa parte di: P. Cornelii Taciti Libri qui supersunt / edidit Henricus Heubner
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Heubner, Heinz
1: Ab excessu divi Augusti / [P. Cornelius Tacitus]; edidit Henricus Heubner
Stutgardiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1983
Fa parte di: P. Cornelii Taciti libri qui supersunt
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Heubner, Heinz
2.2: De origine e situ Germanorum liber / [P. Cornelius Tacitus]; recensuit Alf Onnerfors
Stutgardiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1983
Fa parte di: P. Cornelii Taciti libri qui supersunt
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Onnerfors, Alf
T. 2.4: Dialogus de oratoribus / edidit Henricus Heubner
Stutgardiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1983
Fa parte di: P. Cornelii Taciti Libri qui supersunt / tertium edidit Erich Koestermann
Localizzazioni: TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
La Germanie / Tacite; texte etabli et traduit par Jacques Perret
Edizione: 4. tirage revu et corrige
Paris: Les belles lettres, 1983, Collection des universites de France
Note Generali: Testo orig. a fronte.
2.3: Agricola / [P. Cornelius Tacitus]; edidit Josephus Delz
Stutgardiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1983
Fa parte di: P. Cornelii Taciti libri qui supersunt
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Delz, Josef
2.4: Dialogus de oratoribus / [P. Cornelius Tacitus]; edidit Henricus Heubner
Stutgardiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1983
Fa parte di: P. Cornelii Taciti libri qui supersunt
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Heubner, Heinz
Annali / Cornelio Tacito
[Milano]: Edizione club, stampa 1983, I classici
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Gli annali; La vita di Giulio Agricola / Publio Cornelio Tacito
Edizione: 4. ed
<Milano>: Garzanti, 1984, I grandi libri Garzanti
Note Generali: Trad. de Gli annali di Luigi Annibaletto, trad. de La vita di Giulio Agricola di Mario Stefanoni.
La Germania / Tacito; commento di Scevola Mariotti
Torino: Loescher, c1982, Testi e crestomazie
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
185
3: Libri 13.-16. / Cornelio Tacito
1982
Fa parte di: Annali / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
Annalen: lateinisch und deutsch / P. Cornelius Tacitus; herausgegeben von Erich Heller
Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft, c1982
Note Generali: Con il testo orig. a fronte.
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Heller, Erich
Germania / Tacito; con appendice di passi scelti dal De bello gallico di Cesare; introduzione e commento di
Edmondo V. D'Arbela
Milano: Signorelli, 1982, Classici Signorelli. Scrittori latini
La vita di Agricola / Cornelio Tacito; introduzione e commento di Nedda Sacerdoti
Milano: Signorelli, 1982, Classici Signorelli. Scrittori latini
Annali / Cornelio Tacito
[S.l.]: Club del libro, 1982, I classici
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Storie / Tacito; traduzione di Enrico Oddone; introduzione di Matilde Caltabiano e Adalberto Bevivino; note e
bibliografia di Adalberto Bevivino
Milano: Rusconi, 1982, I classici di storia
Gli Annali. Libro 14.: testo, costruzione, versione letterale e note / Cornelio Tacito
Edizione: 4. ed
Milano [etc]: Societa Editrice Dante Alighieri, 1982, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione,
traduzione letterale e note
Gli Annali. Libro 15.: testo, costruzione e versione letterale / Corneli o Tacito
Edizione: 6. ed
Milano [etc]: Societa Editrice Dante Alighieri, 1982, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione,
traduzione letterale e note
Gli Annali. Libro 16.: testo, costruzione, versione letterale / Cornelio Tacito
Edizione: 5. ed
Milano [etc]: Societa Editrice Dante Alighieri, 1982, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione,
traduzione letterale e note
Storie / Tacito; traduzione di Enrico Oddone; introduzione di Matilde Caltabiano e Adalberto Bevivino; note e
bibliografia di Adalberto Bevivino
Milano: Rusconi, 1982, I classici di Roma. Sezione greco-romana
Gli annali La vita di Giulio Agricola / Publio Cornelio Tacito
Edizione: 3. ed
Milano: Garzanti, 1981, I grandi libri Garzanti
Note Generali: Trad. de "Gli annali" di Luigi Annibaletto
Trad. de "La vita di Giulio Agricola" di Mario Stefanoni
Gli annali: La vita di Giulio Agricola / Publio Cornelio Tacito
Milano: Garzanti, 1981, I grandi libri Garzanti
1: Libri 1.-3. / Cornelio Tacito
Bologna: Zanichelli, stampa 1981
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Fa parte di: Annali / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
2: Libri 4.-6., 11.-12. / Cornelio Tacito
Bologna: Zanichelli, stampa 1981
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
F. D’Alessi © 2002
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186
Fa parte di: Annali / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
2: Annals 1. 55-81 and Annals 2
Cambridge: Cambridge University press, 1981, Cambridge classical texts and commentaries
Fa parte di: The Annals of Tacitus: books 1-6 / edited with a commentary by F. R. D. Goodyear; [poi] by A. J.
Woodman and R. H. Martin
Gli annali; La vita di Giulio Agricola / Publio Cornelio Tacito
Edizione: 3. ed
Milano: Garzanti, 1981, I grandi libri Garzanti
Note Generali: Trad. di Gli annali di Luigi Annibaletto; trad. di La vita di Giulio Agricola di Mari Stefanoni.
5: The annals, books 13.-16 / Tacitus; with an english translation by J. Jackson
Edizione: Repr
Cambridge, Mass, The Loeb classical library
Fa parte di: Tacitus: in five volumes
La Germania; La vita di Agricola; Dialogo sull'eloquenza / [Di] Cornelio Tacito; Prefazione, testo latino e
traduzione di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, 1981, Prosatori di Roma
2 / Publio Cornelio Tacito; traduzione di Bianca Ceva
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1981
Fa parte di: Annali / Publio Cornelio Tacito; traduzione di Bianca Ceva
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Annali / Publio Cornelio Tacito; con un saggio introduttivo di Cesare Questa; traduzione di Bianca Ceva
Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 1981
Testo latino a fronte
Agricola / Publius Cornelius Tacitus; udgivet af Allan A. Lund
Odense: Odense Universitetsforlag, 1981
Lund, Allan A.
Paese di DK
Germania / Tacito; a cura di Paola Ramondetti; con un saggio di Guido Sertorio
Torino: Paravia, 1981, Civilta letteraria di Grecia e di Roma.Autori. Serie latina
OSullivan, James N.
A Lexicon to Achilles Tatius / by James N. O'Sullivan
Berlin [etc.]: de Gruyter, 1980, Untersuchungen zur antiken Literatur undGeschichte
La Germania cura di A. Calzavara D'Arpino / Tacito
Roma: Sormani, 1980, Avia pervia
Note Generali: Testo in italiano e latino
2: The histories, books 1.-3 / Tacitus; with an english translation by Clifford H. Moore
Cambridge, Mass., The Loeb classical library
Fa parte di: Tacitus: in five volumes
La Vita di Agricola / Tacito; a cura di Bruno Zanco
Edizione: 6. ed
[S.l.]: D. Alighieri, stampa 1980, Tradito. Ser. Latina
Iulius Agricola eletrajza / Tacitus
Budapest: Europa, 1979, Janus konyvek
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Tutte le opere / Publio Cornelio Tacito; versione, introduzione e note di Enzio Cetrangolo
Firenze: Sansoni, 1979, Le voci del mondo
Note Generali: Contiene: La Germania; Agricola; Dialogo degli oratori; Storie; Annali
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187
Testo latino a fronte
3: The histories, books 4.-5. / Tacitus; with an english translation by Clifford H. Moore; The annals, books 1.3. / Tacitus; with an english translation by John Jackson
Edizione: Repr
Cambridge, Mass., The Loeb classical library
Fa parte di: Tacitus: in five volumes
3: Libri 13.-16. / Cornelio Tacito
Bologna: Zanichelli, stampa 1979
Fa parte di: Annali / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
Dialogus de oratoribus / P. Cornelius Tacitus; lateinisch deutsch ed. H. Volkmer
Edizione: 3. berichtigte und erweiterte Aufl
Munchen: Heimeran, 1979
Volkmer, Hans
Das Leben des Iulius Agricola / Tacitus; lateinisch und deutsch von Rudolf Till
Edizione: 3., unveranderte Aufl
Darmstadt: Wissenschaftliche buchgesellschaft, 1979
Gli Annali. Libro 1.: testo, costruzione, versione letterale, argomenti e note / Cornelio Tacito
Edizione: 12. ed
Milano [etc]: Societa Editrice Dante Alighieri, 1979, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione,
traduzione letterale e note
4: Livres 13.-16. / Tacite; texte etabli et traduit par Pierre Wuilleumier
Paris: Les belles lettres, 1978
Fa parte di: Annales / Tacite
Annali: dalla morte del divo Augusto / Tacito; traduzione di Enrico Oddone; introduzione, note, bibliografia a
cura di Matilde Caltabiano
Milano: Rusconi, 1978, I classici di storia
2.1: Historiarum libri / ed. Henricus Heubner
Stutgardiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1978, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
Fa parte di: P. Cornelii Taciti libri qui supersunt
Annali: dalla morte del divo Augusto / [di] Tacito; traduzione di Enrico Oddone; introduzione, note,
bibliografia; a cura di Matilde Caltabiano
Milano: Rusconi, 1978, I classici di storia
Note Generali: Testo italiano a fronte.
1: Livres 1.-3. / Tacite; texte etabli et traduit par Pierre Wuilleumier
Edizione: 2. tirage revu et corrige
Paris: Les Belles Lettres, 1978
Fa parte di: Annales / Tacite
2: Historiarum libri / [Cornelius Publius Tacitus]; edidit Henricus Heubner
Stutgardiae: in eadibus B. G. Teubneri, 1978Fa parte di: P. Cornelii Taciti Libri qui supersunt / edidit Henricus Heubner
La Germania; la vita di Agricola; Dialogo sull'eloquenza / <Publio Cornelio Tacito>; prefazione, testo latino e
traduzione di A. Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, 1978, Prosatori di Roma
Note Generali: Testo latino con traduzione italiana a fronte.
2.1: Historiarum libri / [P. Cornelius Tacitus]; edidit Henricus Heubner
S tutgardiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1978
Fa parte di: P. Cornelii Taciti libri qui supersunt
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
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Heubner, Heinz
The annals; and The histories / by P. Cornelius Tacitus
Edizione: 22. ed
Chicago [etc.]: Encyclopaedia britannica, 1978, Great books of the western world
La Germania / Cornelio Tacito; nuova traduzione italiana di Emilio Amodeo
Milano: Signorelli, 1978, Biblioteca di letteratura
La vita e il carattere di Giulio Agricola / Cornelio Tacito; traduzione di Ausonio Dobelli
Milano: Signorelli, 1978, Biblioteca di letteratura
Annalen / P. Cornelius Tacitus; Erklart von Karl Nipperdey und Georg Andresen
[Hannover]: Wiedmann, [1978]
Comprende: 1: Ab excessu divi Augusti 1.-6.
2. Ab excessu divi Augusti 11.-16.: mit derRede des Claudius uber das Jus honorem derGallier
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Nipperdey, Karl
Andresen, Georg
Altri titoli collegati: 2. [Altro documento correlato] Annales
Annali: dalla morte del divo Augusto / Tacito; traduzione di Enrico Oddone; introduzione, note, bibliografia a
cura di Matilde Caltabiano
Milano: Rusconi, 1978, I classici di Roma. Sezione greco-romana
La Germania; Vita di Agricola; Dialogo sull'eloquenza / Cornelio Tacito; prefazione, testo latino e traduzione
di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, stampa 1978, Prosatori di Roma
De vita Iulii Agricolae librum edidit, commentariolo instruxit et illustravit Ioannes Forni
Roma: Ateneo & Bizzarri, 1977, Flos latinitatis
Historien: Lateinisch-deutsch / P. Cornelius Tacitus; Herausgegeben von Joseph Borst; unter Mitarbeit von
Helmut Hross und Helmut Borst
Edizione: 3. Auf
Munchen: Heimeran, 1977, Tusculum-Bucherei
Note Generali: Testo lat. a fronte.
Opere: Annali; Storie; Germania; Agricola; Dialogo degli oratori / Cornelio Tacito; traduzione di Camillo
Giussani; commento di Albino Garzetti; introduzione di Alain Michel
Edizione: 2. ed
Torino: Einaudi, stampa 1977, I millenni
Historiarum libri / Cornelii Taciti; recognovit brevique adnotatione critica instruxit C. D. Fisher
Edizione: Rist
Oxonii: e typographeo Clarendoniano, 1977, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
Nerone / Caio Tranquillo Svetonio, Publio Cornelio Tacito; a cura di Ernesto Ferrero
Torino: Einaudi, [1977], Einaudi biblioteca giovani
Cornelii Taciti Annalium ab excessu Divi Augusti libri / recognovit brevique adnotatione critica instruxit C. D.
Fisher
Edizione: 15. impression
Oxonii: e typographeo Clarendoniano, 1977, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
Cornelii Taciti Historiarum libri / recognovit brevique adnotatione critica instruxit C. D. Fisher
Oxonii: e Typographeo Clarendoniano, 1977, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
Gli annali: libro quarto / C. Tacito; testo latino, costruzione diretta, versione italiana interlineare, note
(sintattiche, grammaticali, ecc.) a cura di Lucio Riddei
Roma: Sormani, stampa 1976, Avia pervia di testi latini
F. D’Alessi © 2002
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Gli annali La vita di Giulio Agricola / Publio Cornelio Tacito
Edizione: 2. ed
Milano: Garzanti, 1976
Note Generali: Trad. de "Gli annali" di Luigi Annibaletto
Trad. de "La vita di Giulio Agricola" di Mario Stefanoni
Principato e liberta: antologia da tutte le opere / Tacito; a cura di Giovanni Castelli
Edizione: 2. ed
Torino: Paravia, c1976, Civilta letteraria di Grecia e di Roma.Autori. Serie latina
Dialogus de oratoribus: lateinisch-deutsch / P. Cornelius Tacitus; ed. Hans Volkmer
Edizione: 2. Auflage
Munchen: Heimeran Verlag, 1976, Tusculum-Bucherei
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Gli annali, La vita di Giulio Agricola / Publio Cornelio Tacito
Edizione: 2. ed
Milano: Garzanti, 1976, I grandi libri Garzanti
Note Generali: Tit. orig.: Annales; Agricola
Trad. di Luigi Annibaletto, Mario Stefanoni.
Das Leben des Iulius Agricola / Tacitus; lateinisch und deutsch von Rudolf Till
Edizione: 2., um Nachtrage erweiterte Aufl
Berlin: Akademie-Verlag, 1976, Schriften und Quellen der Alten Welt
4: Annales: libri 11.-16.; Index nominum / Cornelius Tacitus
Pisa: Giardini, 1976, Scriptorum Romanorum quae extant omnia
P. Corneli Taciti Annalium libri 15.-16.: Einleitung, Text und vollstandiger kritischer Apparat aller bekannten
Handschriften / herausgegeben von Franz Romer
Wien; Koln; Graz, 1976, Wiener Studien. Beiheft
3: Annales: libri 1.-6. / Cornelius Tacitus
Pisa: Giardini, 1975
Fa parte di: Cornelius Tacitus
2: Livres 4.-6. / Tacite; texte etabli et traduit par Pierre Wuilleumier
Paris: Les Belles Lettres, 1975
Fa parte di: Annales / Tacite
Cornelii Taciti Opera minora / recognoverunt brevique adnotatione critica instruxerunt M. Winterbottom et R.
M. Ogilvie
Oxonii: e Typographeo Clarendoniano, 1975, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
Note Generali: Contiene: Agricola; Germania; Dialogus de oratoribus.
Titolo uniforme: Opera minora
Gli Annali. Libro 12.: testo, costruzione, versione letterale e note / Cornelio Tacito
Edizione: 2. ed
Milano [etc]: Societa Editrice Dante Alighieri, 1975, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione,
traduzione letterale e note
Gli Annali. Libro 13.: testo, costruzione, versione letterale e brevi note / Cornelio Tacito
Edizione: 3. ed
Milano [etc]: Societa Editrice Dante Alighieri, 1975, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione,
traduzione letterale e note
1: Agricola; Germania; Dialogus de oratoribus / Cornelius Tacitus
Pisa: in aedibus Giardini editori e stampatori, 1975, Scriptorum Romanorum quae extant omnia
2: Historiae: libri 1.-5. / Cornelius Tacitus
Pisa: in aedibus Giardini editori e stampatori, 1975, Scriptorum Romanorum quae extant omnia
Numeri: Bibliografia Nazionale - 762164
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Annali / Cornelio Tacito; [a cura di Guido Davico Bonino]
[Milano]: Club degli Editori, stampa 1974, I classici del Club degli editori
Dialogus de oratoribus / Cornelii Taciti; edidit, prefatus est, apparatu critico et exegetico et verborum indice
instruxit Dominicus Bo
Aug. Taurinorum: In aedibus Io. Bapt. Paraviae, 1974, Corpus scriptorum Latinorum Paravianum
Annali / Publio Cornelio Tacito
Novara: Edipem, 1974, La nostra biblioteca classica
Note Generali: Trad. A. Rindi .
Gli annali; La vita di Giulio Agricola
Milano: Garzanti, 1974, I grandi libri Garzanti
I Garzanti
Note Generali: Trad. de "Gli Annali" di Luigi Annibaletto. Trad. de "La vita diGulio Agricola" di Mario
Stefanoni
Gli annali; La vita di Giulio Agricola / Publio Cornelio Tacito
Milano: Garzanti, 1974, I grandi libri Garzanti
Note Generali: Trad. L. Annibaletto, M. Stefanoni
Annali / Cornelio Tacito; [a cura di Guido Davico Bonino]
Milano: Club degli Editori, stampa 1974, I classici del Club degli editori
Tacitus, Publius Cornelius
[1]: Livres 1.-3. / Tacite; texte etabli et traduit par Pierre Wuilleumier
Paris: Les Belles lettres, 1974
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Cornelii Taciti Dialogus de oratoribus / edidit, praefatus est, adparatu critico et exegetico et verborum indice
instruxit Dominicus Bo
Aug. Taurinorum: In aedibus I. B. Paraviae et sociorum, 1974, Corpus scriptorum Latinorum Paravianum
3: Libri 13.-16. / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, 1974
Fa parte di: Annali / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
Annali / Cornelio Tacito
Milano: Club degli editori, 1974, I classici del Club degli editori
Note Generali: Trad. C. Giussani .
Annales (libri 11.-16.) / Tacitus
Frahufeld: Huber, 1973
3: Livres 13.-16. / Tacite; texte etabli et traduit par Henri Goelzer
Edizione: 9.tirage
Paris: Les Belles Lettres, 1973
Fa parte di: Annales / Tacite
Cornelii Taciti Annalium liber 15. / edited by N. P. Miller
Basingstoke; London, 1973
Germania / Tacito; introduzione, testo critico e commento a cura di Vincenzo bongi; prefazione di Cesare
Giarratano
Edizione: 6. ed., 1. rist
Firenze: le Monnier, 1973, Nuova biblioteca dei classici greci e latini
L' imperialismo romano in Sallustio e Tacito / S. Boldrini, C. Questa, R. Raffaelli
Ed. riveduta: Urbino: Libreria moderna universitaria, 1973. -110 p.; 21 cm.
2: Libri 4.-6., 11.-12. / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
191
Bologna: Zanichelli, stampa 1973
Fa parte di: Annali / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
La Germania; la vita di agricola; dialogo sull'eloquenza / Cornelio Tacito; prefazione, testo latino e traduzione
di Anna Resta Barrile; testo latino e versione di A. Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, 1973, Prosatori di Roma
1: Libri 1.-3. / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, stampa 1973
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Fa parte di: Annali / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
Annalium ab excessu divi Augusti libri / Cornelii Taciti; recognovit brevique adnotatione critica instruxit C. D.
Fisher
Oxonii: e typographeo clarendoniano, 1973, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
Histoires. Livre 1. / Tacite; edition, introduction et commentaire de Pierre Wuilleumier
Edizione: 2. ed revue et corrigee
Paris: P.U.F., 1973, Erasme
P. Corneli Taciti Annalium libri 11.-12.: adnotationibus criticis ex omnibus codicibus qui exstant haustis
instruxit / Horst Weiskopf; praef. scripsit Rudolphus Hanslik
Wien; Koln; Graz, 1973, Wiener Studien. Beiheft
Tacitus, Publius Cornelius
Sine ira et studio / antologia a cura di Giorgio Sciascia
Milano: Mursia, 1972, Biblioteca di classici latini
Note Generali: In testa al front.: Tacito .
The Annals of Tacitus: books 1-6 / edited with a commentary by F. R. D. Goodyear; [poi] by A. J. Woodman
and R. H. Martin
Cambridge: Cambridge university press
Comprende: 2: Annals 1. 55-81 and Annals 2
Book 3 / edited with a commentary by A. J.Woodman and R. H. Martin
1: Annals 1. 1-54
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Goodyear, Francis Richard David
1: Annals 1. 1-54
Cambridge: University press, 1972, Cambridge classical texts and commentaries
Fa parte di: The Annals of Tacitus: books 1-6 / edited with a commentary by F. R. D. Goodyear; [poi] by A. J.
Woodman and R. H. Martin
The histories. Book 3. / Cornelius Tacitus; edited by Kenneth Wellesley
Sydney: Sydney University Press, 1972
Titolo uniforme: Historiae
Il dialogo degli oratori / P. Cornelio Tacito; tradotto da Rodolfo Giani con introduzione e note
Milano: Signorelli, 1972, Biblioteca di letteratura
Vie d'Agricola / Tacite; texte etabli et traduit par E. De Saint-Denis
Edizione: 6. tir
Paris: Les Belles lettres, 1972, Collection des universites de France
Antologia tacitiana: storia di una tirannide / a cura di A. M. Assereto
Bergamo: Juvenilia, 1971
Tacito storico politico / a cura di Marcello Savini
Firenze: Sansoni, 1971, Collana di antologie di autori latini
1: Ab excessu divi Augusti
Edizione: 3. Aufl
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
192
Leipzig: B. G. Teubner, 1971
Titolo uniforme: Annales
Fa parte di: P. Cornelii Taciti Libri qui supersunt / tertium edidit Erich Koestermann
3: Libri 13.-16. / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, stampa 1971
Fa parte di: Annali / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
L' imperialismo romano in Sallustio e Tacito / S. Boldrini. C. Questa, R. Raffaelli
Urbino: Libreria moderna universitaria, 1971
Libro secondo / Cornelio Tacito
Torino: Loescher, 1971
Fa parte di: Gli Annali / Cornelio Tacito; commentati da Vitaliano Menghini
2: Libri 4.-6., 11.-12. / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, stampa 1971
Fa parte di: Annali / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
Dialogus de oratoribus / P. Corneli Taciti; costruzione diretta, traduzione letterale e interlineare, note,
paradigmi verbali e riassunto a cura di Rosario Gennaro
Roma: Ciranna, stampa 1971, I cirannini
Tre Cesari: Tiberio, Nerone, Ottone; Pagine scelte e annotate da Concetto Marchesi
Milano, 1971, Classici italiani latini e greci
Note Generali: FAC
1.: Ab excessu divi Augusti
Edizione: 3. edidit Erich Koestermann
Leipzig: B. G. Teubneri, 1971
Fa parte di: Cornelii Taciti libri qui supersunt
The Annals and the Histories
Chicago; Toronto, 1971, Great books of the western world
P. Corneli Taciti Historiarum lib. 2.: adnotationibus criticis ex omnibus codicibus qui exstant haustis instruxit /
Ingeborg Schinzel; praef. scripsit Rudolphus Hanslik
Wien; Koln; Graz, 1971, Wiener Studien. Beiheft
4: The annals, books 4.-6., 11.-12. / Tacitus; with an english translation by John Jackson
London: W. Heinemann Ltd., Massachusetts, The Loeb classical library
Fa parte di: Tacitus: in five volumes
Le storie / Tacito; testo latino e versione a cura di Francesco Mascialino
Bologna: Zanichelli, 1970: 2 v.;, Prosatori di Roma
Antologia tacitiana: dalla Germania e dalla Vita di Agricola
Napoli: Morano, [1970]
Note Generali: A cura di G. Raffaghello, il nome del quale figura in testa al front .
1: Agricola; Germania; Dialogus / Tacitus; [Agricola] translated by M. Hutton, revised by R. M. Ogilvie;
[Germania] translated by M. Hutton, revised by E. H. Warmington; [Dialogus] translated by W. Peterson,
revised by M. Winterbottom
Edizione: Rev. and repr
Cambridge, Mass., The Loeb classical library
Annali, libro 16. / a cura di Francesco Mascialino
Edizione: 2. ed. riveduta
Milano [etc.]: Dante Alighieri, 1970, Traditio. Serie latina
2.2: Germania; Agricola; Dialogus de oratoribus / tertium edidit Erich Koestermann
Edizione: 3. Aufl
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
193
Leipzig: B. G. Teubner, 1970
Fa parte di: P. Cornelii Taciti Libri qui supersunt / tertium edidit Erich Koestermann
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Storie; Dialogo degli oratori; Germania; Agricola / di Tacito; a cura di Azelia Arici
Edizione: 2. ed. rifatta
Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1970, Classici latini
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Le storie / Publius Cornelius Tacitus; testo latino, introduzione, versione e note di Francesco Mascialino
Bologna: Zanichelli, 1970; 2 v.; 20 cm., Prosatori di Roma
Note Generali: Trad. di: Historiae.Trad. italiana a fronte
Horatius Flaccus, Quintus
Anima antica: antologia delle opere di Orazio e Tacito: ad uso dei licei / Arturo Carbonetto, Enzo Nencini
Milano: Principato, 1970
Principato e liberta: antologia da tutte le opere / Tacito; a cura di Giovanni Castelli
Torino: Paravia, c1970, Civilta letteraria di Grecia e di Roma.Autori. Serie latina
P. Cornelii Taciti Libri qui supersunt / edidit Erich Koestermann
Leipzig: Teubner, 1970-, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
Comprende: 2.2: Germania; Agricola; Dialogus deoratoribus / [Cornelius Publius Tacitus] ;tertium edidit Erich
Koestermann
2.2: Germania; Agricola; Dialogus de oratoribus / [Cornelius Publius Tacitus]; tertium edidit Erich
Koestermann
Leipzig: Teubner, 1970
Fa parte di: P. Cornelii Taciti Libri qui supersunt / edidit Erich Koestermann
Ab excessu divi Augusti: liber 14. / introduzione e commento di Antonio Martino
Milano: Signorelli, 1970, Scrittori latini
Storie; Dialogo degli oratori; Germania; Agricola / di Tacito; a cura di Azelia Arici
Edizione: 2. edizione rifatta
Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1970, Classici latini
Note Generali: Trad. italiana a fronte .
1: Libri 1.-3. / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, stampa 1970
Fa parte di: Annali / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
Le storie / Publio Cornelio Tacito; Versione e note di Francesco Mascialino
Bologna: Zanichelli, 1970, Prosatori di Roma
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Mascialino, Francesco
Annali, libro 16. / [di] Cornelio Tacito; con introduzione e commento di Ugo Zuccarelli
Bologna: Zanichelli, [1970]
1: Libri 1.-2. / Cornelio Tacito
Bologna: Zanichelli, stampa 1970
Fa parte di: Le storie / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Francesco Mascialino
Storie. Dialogo degli Oratori. Germania. Agricola / Di Tacito; A cura di Azelia Arici
Edizione: 2. ed. rifatta
Torino: U.T.E.T., 1970, Classici latini
Note Generali: Testo latino a fronte.
1: Libri 1.-2. / Cornelio Tacito
Bologna: Zanichelli, 1970
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
194
Fa parte di: Le storie / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Francesco Mascialino
Cornelii Taciti Dialogus de oratoribus / Cornelii Taciti; recensuit Maximus Lenchantin De Gubernatis
Aug. Taurinorum [etc.]: in aedibus Io. Bapt. Paraviae et sociorum, stampa 1970, Corpus scriptorum
Latinorum Paravianum
2.2: Germania; Agricola; Dialogus de oratoribus / tertium edidit Erich Koestermann
Edizione: 3. Aufl
Leipzig: B. G. Teubner, 1970
Fa parte di: Cornelii Taciti libri qui supersunt / ediderunt Stephanus Borzsak et Kenneth Wellesley
1: Agricola / Tacitus; translated by M. Hutton; revised by R. M. Ogilvie; Germania / Tacitus; translated by M.
Hutton; revised by E. H. Warmington; Dialogus / Tacitus; translated by W. Peterson; revised by M.
Winterbottom
Edizione: Revised and reprinted
Cambridge, Mass., The Loeb classical library
Fa parte di: Tacitus: in five volumes
Gli Annali e La vita di Agricola / traduzione, introduzione e note di Luigi Annibaletto
Milano: Istituto editoriale italiano, 1970, Gli immortali e altri massimi scrittori
Antologia tacitiana / a cura di Eugenio Marotta
Roma: O. Barjes, 1970, Collana di classici latini
2.2: Germania; Agricola; Dialogus de oratoribus / [Publius Cornelius Tacitus]; tertium edidit Erich
Koestermann
1970, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
Fa parte di: P. Cornelii Taciti libri qui supersunt
Storie / di Tacito; a cura di Azelia Arici
Edizione: 2. ed. rifatta
Torino: UTET, 1970, Classici latini
Note Generali: Contiene: Dialogo degli oratori; Germania; Agricola
Traduzione italiana a fronte.
De origine et situ Germanorum / ed. by J. G. C. Anderson
Oxford: Clarendon Press, 1970
Anderson, John George Clark <1870-1952>
Paese di GB
Cornelii Taciti Opera minora / recognovit brevique adnotatione critica instruxit Henricus Furneaux;
Germaniam et Agricolam iterum recensuit J. G. C. Anderson
Edizione: Rist. della 1. ed. 1900
Oxonii: e Typographeo Clarendoniano, 1970, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
3: The histories, books 4.-5. / Tacitus; with an english translation by Clifford H. Moore; The Annals, books 1.3. / Tacitus; with an english translation bu John Jackson
London: W. Heinemann Ltd., Massachusetts, The Loeb classical library
Fa parte di: Tacitus: in five volumes
5: The annals, books 13.-16. / Tacitus; with an english translation by John Jackson
London: W. Heinemann Ltd., Massachusetts, The Loeb classical library
Fa parte di: Tacitus: in five volumes
La Germania,La vita di Agricola, Dialogo sull'eloquenza / Publius Cornelious Tacitus; prefazione, testo latino
e traduzione di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, 1969, Prosatori di Roma
La Germania La vita di Agricola Dialogo sull'eloquenza / Tacito; prefazione, testo latino e traduzione di Anna
Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, 1969, Prosatori di Roma
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
195
Annali / luoghi scelti e commentati da Alighiero Massimi
San Severino Marche: Edizioni Varano, 1969, Classici per le scuole medie superiori
Tacito: antologia delle opere
Roma: Cremonese, 1969
Tre donne dei Cesari: Livia, Agrippina Maggiore, Messalina / Cesare Questa
Torino: Loescher, 1969, Testi e crestomazie
Note Generali: Antologia degli Annali di Tacito.
Tacitus, Publius Cornelius
Annali, libro 15. / a cura di Giuseppe Minzoni
[Firenze]: Le Monnier, 1969, Latini auctores
Note Generali: In testa al front.: Cornelio Tacito .
Tacitus, Publius Cornelius
1: Livre 1.-3. / Tacite; texte etabli et traduit par Henri Goelzer
Edizione: 8. tir
Paris: Les belles lettres, 1969
Note Generali: Testo latino a fronte
Fa parte di: Annales / Tacite
La Germania: Vita di Agricola,dialogo sull'Eloquenza / Publius Cornelius Tacitus
Bologna: Zanichelli, 1969, Prosatori di Roma
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Antologia tacitiana / a cura di Augusto Serafini
Edizione: 2. ed.
[Firenze]: Sansoni, 1969, Biblioteca classica. Serie latina
2.1: Historiarum libri / edidit Erich Koestermann
Leipzig: Teubner, 1969
Fa parte di: P. Cornelii Taciti libri qui supersunt
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Koestermann, Erich
La Germania; La vita di Agricola; Dialogo sull'eloquenza / Cornelio Tacito; prefazione, testo latino e
traduzione di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, 1969, Prosatori di Roma
3: Livres 13.-16. / Tacite; texte etabli et traduit par Henri Goelzer
Edizione: 8. tirage, Paris: Les Belles Lettres, 1969
Fa parte di: Annales / Tacite
2.1: Historiarum libri
Leipzig: Teubner, 1969
Titolo uniforme: Historiae
Fa parte di: P. Cornelii Taciti Libri qui supersunt / tertium edidit Erich Koestermann
La Germania La vita di Agricola Dialogo sull'eloquenza / Publius Cornelius Tacitus; prefazione, testo latino e
traduzione di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, 1969, Prosatori di Roma
La Germania La vita di Agricola Dialogo sull'eloquenza / Publio Cornelio Tacito; Versione e note di Anna
Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, 1969, Prosatori di Roma
Il libro 6. degli Annales / Tacito; introduzione e note di Cesare Questa
Edizione: 2. ed
[Bologna]: Cappelli, stampa 1969
Annali / di Tacito; a cura di Azelia Arici
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Edizione: 2. ed. rifatta
[Torino]: Unione tipografico-editrice torinese, 1969, Classici latini
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Tacitiana: antologia delle opere di Tacito / [a cura di] Luigi Soru
Napoli: Loffredo, stampa 1969
Numeri: Bibliografia Nazionale - 69-8918
La Germania La vita di Agricola Dialogo sull'eloquenza / Cornelio Tacito; prefazione,testo latino e traduzione
di Anna Resta Barrile; testo latino e versione di A.Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, 1969, Prosatori di Roma
Britanni, germani e giudei presentati e giudicati da Tacito
Bologna: Calderini, 1969, Nova lectio
Note Generali: [Nella descr. BNI: Dall'Agricola, dalla Germania e dalle Storie]
A cura di M. Pierpaoli, il nome del quale figura in testa al front. .
Tacito: antologia da Agricola, Germania, Annales, Historiae
Torino: Societa editrice internazioale, 1969
Note Generali: A cura di B. Franchi, il nome del quale figura in testa al front. .
Germania / a cura di Bruno Zanco
Milano etc.: Dante Alighieri, 1969, Traditio. Serie latina
Note Generali: In testa al front.: Tacito
Testi in latino.
Annali. Libro 1. / Cornelio Tacito; a cura di Mario Bonaria
Firenze: Le Monnier, 1969, Latini auctores
Numen historiae: antologia delle opere di Tacito: ad uso dei licei / a cura di E. Nencini
Milano: Principato, 1969
Numeri: Bibliografia Nazionale - 69-8916
Le storie. Libro 3.: testo, costruzione, versione letterale e note / Tacito
Edizione: 2. ed
Milano [etc.]: Dante Alighieri, 1969, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione, traduzione letterale e
note
Historien / Lateinisch-Deutsch ed. Joseph Borst; unter Mitarbeit von Helmut Hross und Helmut Borst
Edizione: 2. ed. riveduta
Munchen: Heimeran, 1969, Tusculum-Bucherei
Le storie / Publius Cornelius Tacitus; testo latino, introduzione versione e note di Francesco Mascialino
Bologna: Zanichelli, 1968, Prosatori di Roma
Opere: Annali; Storie; Germania; Agricola; Dialogo degli oratori / Publio Cornelio Tacito; traduzione di
Camillo Giussani; commento di Albino Garzetti; introduzione di Alain Michel
Torino: Einaudi, [1968], I millenni
Annali / Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, 1968, Prosatori di Roma
Storie; Dialogo degli oratori / Publio Cornelio Tacito
Milano: Rizzoli, 1968, Biblioteca universale Rizzoli
Annali, libro 11. / a cura di Francesco Mascialino
Edizione: 2. ed. riveduta
Milano [etc.]: Dante Alighieri, 1968, Traditio. Serie latina
Note Generali: In testa al front.: Tacito .
1: Libri 1.-2. / Cornelio Tacito
Bologna: Zanichelli, stampa 1968
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Fa parte di: Le storie / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Francesco Mascialino
2: Libri 3.-4.-5. / Cornelio Tacito
Bologna: Zanichelli, stampa 1968
Fa parte di: Le storie / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Francesco Mascialino
1: Libri 1.-3. / Cornelio Tacito
Bologna: Zanichelli, stampa 1968
Numeri: Bibliografia Nazionale - 6811309
Fa parte di: Annali / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
2: Libri 4.-6., 11.-12. / Cornelio Tacito
Bologna: Zanichelli, stampa 1968
Fa parte di: Annali / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
3: Libri 13.-16. / Cornelio Tacito
Bologna: Zanichelli, stampa 1968
Fa parte di: Annali / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
I Cesari: antologia dagli Annali e dalle Storie / a cura di Gianluigi Piazza
Padova: RADAR, 1968, Classici latini e greci
Il libro 14. degli Annali / Col commento di Marcello Nardi
Firenze: G. C. Sansoni, 1968, Sansoniana classica: collezione diretta da N.Terzaghi
Antologia tacitiana: dai libri 1., 2., 4., 6., 11., 14., degli Annali e dal 4. delle Storie / a cura di Francesco
Mascialino
Edizione: 7. ed
Milano: Societa editrice Dante Alighieri, 1968, Traditio. Serie latina
Note Generali: Testo orig. a fronte
4: Buch 14-16 / Cornelius Tacitus
Heidelberg: C. Winter, Universitatsverlag, 1968
Fa parte di: Annalen / Cornelius Tacitus; erlautert und mit einer Einleitung versehen von Erich Koestermann
Opere: con un indice dei nomi propri e geografici / Cornelio Tacito; traduzione di Camillo Giussani;
commento di Albino Garzetti; introduzione di Alain Michel
Torino: G. Einaudi, c1968, I millenni
Note Generali: Contiene in trad. italiana: Annali, Storie, La Germania, Agricola, Dialogo degli oratori (Tit orig.
Annales, Historiae, Germania, De vita et moribus Iulii agricolae, Dialogus de oratoribus).
Letture tacitiane / a cura di Vincenzo Rosato
Edizione: 4. ed.
[Palermo]: Palumbo, 1968, Letture greche e latine
Storie: dialogo degli oratori / Publio Cornelio Tacito
Milano: Rizzoli, 1968, Biblioteca universale Rizzoli
Note Generali: Trad. F. Dessi.
Vita di Agricola / a cura di Angelo Benedetti
Edizione: 2. ed.
Brescia: La scuola, 1968
Annali / Publius Cornelius Tacitus; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, 1968, Prosatori di Roma
Note Generali: Trad. di: Annales.Trad. italiana a fronte
Annali / Publio Cornelio Tacito; Versione e note di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, 1968, Prosatori di Roma
Opere / Cornelio Tacito; traduzione di Camillo Giussani; commento di Albino Garzetti; introduzione di Alain
Michel
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198
Torino: Einaudi, [1968], I millenni
Note Generali: Contiene: Annali, Storie, Germania, Agricola, Dialogo degli oratori.
Storie: Dialogo degli oratori / Publio Cornelio Tacito
Milano: Rizzoli Editore, 1968, BUR
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Annali / Publio Cornelio Tacito
Novara: Istituto geografico De Agostini, stampa 1968
Opere: Annali, Storie, Germania, Agricola, dialogo degli oratori / traduzione di Camillo Giussani; commento
di Albino Garzetti; introduzione di Alain Michel
Edizione: 2. ed
Torino: Einaudi, 1968, I millenni
Annali: testo latino, introduzione, versione e note di Anna Testa Barile / Publius Cornelius Tacitus
Bologna: Zanichelli, 1968, Prosatori di Roma
1: Libri 1.-3. / Cornelio Tacito
Bologna: Zanichelli, 1968
Fa parte di: Annali / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Anna Resta Barrile
1: Libri 1.-2. / Cornelio Tacito
Bologna: Zanichelli, 1968
Fa parte di: Le storie / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Francesco Mascialino
Germanico e Pisone: [/passi del 2. e 3. libro degli Annali] / introduzione e commento di Arrigo Finzi
Edizione: Nuova ristampa
Milano; Messina, 1968, Classici latini e greci
Tre Cesari: Tiberio, Nerone, Ottone / pagine scelte e annotate da Concetto Marchesi
Edizione: Ristampa della 3. ed. riveduta
Milano; Messina, 1968, Classici latini e greci
La Germania / introduzione e note di Cesare Giarratano
Firenze: R. Sandron, 1967, Collezione di classici latini
Il principato neroniano: antologia degli Annali: libri 11.-16. / a cura di Bruno Franchi
Roma: V. Bonacci, 1967, Convivium
La Germania; La vita di Agricola; Dialogo sull'eloquenza / Cornelio Tacito; prefazione, testo latino e
traduzione di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, stampa 1967, Prosatori di Roma
Note Generali: Testo latino a fronte.
Dialogus de oratoribus: mit Prolegomena / text und Adnotatio critica, exegetischem und kritischem
Kommentar Bibliographie und Index nominum et rerum von A. Gudeman
2., volling neubearb. Aufl, Amsterdam: Hakkert, 1967.- VIII, 528 p.; 8.
Note Generali: testo lat.
Ripr. dell'ed.: Leipzig; Berlin: Teubner, 1914
Dialogus de oratoribus / Text und Namenverzeichnis von Hans Haas; Einleitung von Karl Meister
Edizione: 2. Aufl. neu bearb. von Egon Romisch
Heidelberg: Kerle, 1967, Heidelberger Texte. Lateinische Reihe
Cornelii Taciti Historiarum libri / recognovit brevique adnotatione critica instruxit C. D. Fisher
Edizione: Rist. della 1. ed. 1911
Oxonii: e Typographeo Clarendoniano, 1967, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
Gli Annali, libro 15.: testo, costruzione e versione letterale
Edizione: 4. ed.
Milano; Roma; Napoli..., 1967, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione, traduzione letterale e note
F. D’Alessi © 2002
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Germania / Cornelio Tacito; commento e note di Luigi Valmaggi
Torino: Loescher, stampa 1967, Collezione di classici greci e latini
Antologia tacitiana: dai libri 1., 2., 4., 6., 11., 14. degli Annali e dal 4. delle Storie / a cura di Francesco
Mascialino
Edizione: 6. ed
Milano [etc.]: Dante Alighieri, 1967, Traditio. Serie latina
Lux veritatis: antologia di Livio e Tacito
Milano [etc.]: Dante Alighieri, 1967
Descrizione fisica: 216 p.; 21 cm
Note Generali: A cura di E. Panichi, il nome del quale figura in testa al front. .
Gli Annali, libro primo: testo, costruzione, versione letterale, argomenti e note
Edizione: 9. ed.
Milano [etc.]: Dante Alighieri, 1967, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione, traduzione letterale e
note
Note Generali: In testa al front.: Cornelio Tacito .
Gli Annali. Libro 2.: sommario, testo, costruzione, versione letterale e versione libera / Cornelio Tacito
Edizione: 4. ed.
Milano [etc].: Dante Alighieri, 1967, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione, traduzione letterale e
note
Gli Annali, libro 13.: testo, costruzione, versione letterale e brevi note
Edizione: 2. ed.
Milano [etc]: Dante Alighieri, 1967, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione, traduzione letterale e
note
La vita di Agricola / a cura di Bruno Zanco
Edizione: 4. ed.
Milano [etc.]: Dante Alighieri, 1967, Traditio. Serie latina
La vita di Giulio Agricola: testo, costruzione, versione letterale, argomenti e note
Edizione: 12. ed.
Milano [etc.]: Dante Alighieri, 1967, Raccolta di autori latini e greci concostruzione, traduzione letterale e
note
La Germania / col commento di Ferdinando Borio
Firenze: G. C. Sansoni, 1967, Sansoniana classica: collezione diretta da N.Terzaghi
De vita Agricolae / Ed. by R. M. Ogilvie and the late sir Ian Richmond
Oxford: Clarendon Press, 1967
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Ogilvie, Robert M.
Dialogues des orateurs / Texte etabli par Henri Goelzer et trad. par Henri Bornecque
Paris: Les Belles Lettres, 1967, Collection des universites de France
Das Gesprach uber die Redner / Lateinisch-Deutsch edidit Hans Volkmer
Munchen: Heimeran, 1967, Tusculum-Bucherei
La Germanie / Texte etabli et trad. par Jacques Perret
Edizione: 3. tirage
Paris: Les Belles Lettres, 1967, Collection des universites de France
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Vie d'Agricola / Tacite; texte etabli et traduit par E. de Saint-Denis
Edizione: 5. tirage
Paris: les Belles Lettres, 1967
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
200
Descrizione fisica: XXXIV, 50 p. (2-39 numerate doppie), 1 cart.; 20 cm., Collection des universites de
France
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Dialogue des orateurs / Tacite; texte etabli par Henri Goelzer; et traduit par Henri Bornecque
Edizione: 5. tirage
Paris: les Belles Lettres, 1967, Collection des universites de France
Dialogus de oratoribus: das Gesprach uber die Redner / P. Cornelius Tacitus; lateinisch-deutsch ed. Hans
Volkmer
Munchen: Heimeran, pref. 1967, Tusculum-Bucherei
3: Buch 11-13 / Cornelius Tacitus
Heidelberg: C. Winter, Universitatsverlag, 1967
Fa parte di: Annalen / Cornelius Tacitus; erlautert und mit einer Einleitung versehen von Erich Koestermann
La Germania / Cornelio Tacito; prefazione e note di Cesare Bione; aggiuntavi la trattazione delle genti e dei
costumi di Gallia e di Germania nella Guerra Gallica di Giulio Cesare
Edizione: 9. rist
Firenze: La Nuova Italia, stampa 1967
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Tiberio: dai libri 1.-6. degli Annali / Tacito; a cura di Leonardo Ferrero
Edizione: 7. ed
[Milano]: Edizioni scolastiche Mondadori, stampa 1967, Collana di testi latini e greci / diretta daA. Rostagni
Annali / Publio Cornelio Tacito; traduzione di Annamaria Rindi; prefazione di Piero Treves
Novara: Istituto Geografico De Agostini, 1967
La Britannia: dall'Agricola e dagli Annali di Tacito / Saverio Desideri
Torino: Loescher, 1967, Crestomazia latina
Cornelii Taciti De vita Agricolae / edited by R. M. Ogilvie and sir Ian Richmond
Oxford: at the Clarendon Press, 1967
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Die Germania des Tacitus / erlautert von Rudolf Much
Edizione: 3. betrachtlich erweiterte Aufl. / unter Mitarbeit von Herbert Jankuhn; herausgegeben von
Wolfgang Lange
Heidelberg: Winter, 1967, Germanische Bibliothek. Funfte Reihe,Handbucher und Gesamtdarstellungen
zurLiteratur- und Kulturgeschichte
Germania / Tacito; introduzione, testo critico e commento a cura di Vincenzo Bongi; prefazione di Cesare
Giarratano
Edizione: 6. ed
Firenze: Le Monnier, 1967, Nuova biblioteca dei classici greci e latini
2: Livres 4.-12. / Tacite; texte etabli et traduit par Henri Goelzer
Paris: Les belles lettres, 1966
Note Generali: Testo latino a fronte.
Fa parte di: Annales / Tacite
Livius, Titus
Res et mores: antologia di Livio, Tacito e Cicerone / a cura di Emidio Panichi
Edizione: 2. ed. interamente riveduta
Milano [etc.]: Societa editrice Dante Alighieri, 1966, Traditio. Serie latina
Storie. Libro 3. / Tacito; a cura di Giovanni Guaita
Milano [etc.]: Dante Alighieri, 1966, Traditio. Serie latina
Annalium ab excessu divi Augusti libri / recognovit brevique adnotatione critica instruxit C. D. Fisher
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
201
Oxford: Clarendon press, 1966, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
Annales (11.-16.) et Historiae: Codex Leidensis Bibliothecae Publicae Latinus 16 B (Codex Agricolae) /
Praefatus est C. W. Mendell; Addenda ad praefationem adiecit E. Hulshoff Pol
Lugduni Batavorum: Sijthoff, 1966, Codices graeci et latini photographice depicti
Cornelii Taciti Annalium ab excessu divi Augusti libri / recognovit brevique adnotatione critica instruxit C. D.
Fisher
Edizione: Rist. della 1. ed. 1906
Oxonii: e Typographeo Clarendoniano, 1966, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
1: Libri 1.-2. / Cornelio Tacito
Bologna: Zanichelli, 1966
Descrizione fisica: L, 319 p.
Fa parte di: Le storie / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Francesco Mascialino
Le storie / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Francesco Mascialino
Bologna: Zanichelli, 1966, Prosatori di Roma
Comprende: 1: Libri 1.-2. / <Cornelio Tacito>
2: Libri 3.-4.-5. / <Cornelio Tacito>
1: Libri 1.-2. / Cornelio Tacito; testolatino, introduzione, versione e note diFrancesco Mascialino
2: Libri 3.-4.-5. / Cornelio Tacito; testolatino e versione a cura di FrancescoMascialino
Antologia tacitiana: passi scelti e commentati degli Annales e delle Historiae / a cura di Giuseppe Norcio
Edizione: 3. ed. riv.
Messina; Firenze, 1966, Classici latini e greci commentati per lescuole
Ab excessu divi Augusti. Liber 6. / introduzione e commento di Alberto Piccoli Genovese
Milano: Signorelli, 1966, Tip. Magnani, Scrittori latini
Le Storie / Cornelio Tacito; testo latino e versione a cura di Francesco Mascialino
Bologna: Zanichelli, 1966-, Prosatori di Roma
Antologia tacitiana / a cura di Augusto Serafini
Edizione: [2. rist. riv.]
[Firenze]: Sansoni, 1966, Edizioni scolastiche Sansoni. Bibliotecaclassica. Sezione latina
La Germania / Tacito; a cura di Mario Marcolini
Edizione: [3. ed.]
Brescia: La scuola, 1966
Germania / introduzione e commento di Giuseppe Biasuz
Edizione: Ristampa 2. ed
Milano; Messina, 1966, Classici latini e greci
Tre Cesari: Tiberio, Nerone, Ottone / pagine scelte e annotate da Concetto Marchesi
Edizione: Ristampa della 3. ed. riveduta
Milano; Messina, 1966, Classici latini e greci
2: Libri 3.-4.-5. / Cornelio Tacito
Bologna: Zanichelli, 1966
Fa parte di: Le storie / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Francesco Mascialino
1: Libri 1.-2. / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Francesco Mascialino
Bologna: Zanichelli, stampa 1966
Fa parte di: Le storie / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Francesco Mascialino
2: Libri 3.-4.-5. / Cornelio Tacito; testo latino e versione a cura di Francesco Mascialino
Bologna: Zanichelli, stampa 1966
Fa parte di: Le storie / Cornelio Tacito; testo latino, introduzione, versione e note di Francesco Mascialino
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
202
Gli annali: libro 16.: testo, costruzione, versione letterale
Edizione: 3. ed.
Milano [etc.]: Societa editrice Dante Alighieri, 1966, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione,
traduzione letterale e note
Note Generali: In testa al front.: P. Cornelio Tacito .
Annali / Publio Cornelio Tacito
Novara: Istituto geografico De Agostini, 1966, I classici di tutti i paesi. Collana di storia
Note Generali: Trad. A. M. Rindi
Prefazione di P. Treves.
Agricola / con introduzione e commento di Salvatore Monti
Edizione: 4. ed.
Napoli: Ist. editoriale del Mezzogiorno, 1966
Antologia tacitiana: per le scuole medie superiori
Bergamo [etc.]: Minerva italica, 1966
Note Generali: A cura di G. Angelino il nome del quale figura in testa al front. .
Annali / Publio Cornelio Tacito
Milano: Edizioni per il Club del libro, 1965, Collana di storia
Note Generali: Ed. f.c.
Trad. A. Rindi
Antologia tacitiana: dai libri 1., 2., 4., 6., 9., 14. degli Annali e dal 4. delle Storie / a cura di Francesco
Mascialino
Edizione: 5. ed
Milano [etc.]: Dante Alighieri, 1965, Traditio. Serie latina
Annali / Publio Cornelio Tacito
Novara: Istituto geografico De Agostini, c1965
Note Generali: Ristampa del testo edito dal Club del Libro nel 1965.
1: Livres 1-3 / Tacite
Edizione: 6. tir
Paris: Les belles lettres, 1965
Note Generali: Il titolo si ricava dalla copertina
1. ed. 1921.
Fa parte di: Histoires / Tacite; texte etabli et traduit par Henri Goelzer
Annales / Tacite; traduction, d'apres Burnouf, et annotations par Henri Bornecque
Paris: Garnier-Flammarion, [1965]
Descrizione fisica: 495 p.; 18 cm., GF. Texte integral
Note Generali: Testo orig. a fronte
2: Buch 4-6 / Cornelius Tacitus
Heidelberg: C. Winter, Universitatsverlag, 1965
Fa parte di: Annalen / Cornelius Tacitus; erlautert und mit einer Einleitung versehen von Erich Koestermann
Il libro 6. degli Annales / Tacito; introduzione e note di Cesare Questa
[Bologna]: Cappelli, 1965
Gli annali / Cornelio Tacito Publio; Commento e note di Vitaliano Menghini
Torino: Loescher, 1965, Collezione di classici greci e latini
Gli Annali. Libro 15.: testo, costruzione e versione letterale / Cornelio Tacito
Edizione: 3. ed
Milano [etc.]: Dante Alighieri, 1965, Raccolta di autori greci colla costruzione eversione letterale
Il libro quarto delle Storie / Cornelio Tacito; con introduzione e commento di Vittorio D'Agostino
Edizione: 2. ed. riv. e corretta
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
203
Napoli: Il tripode, 1965, Collana di classici antichi
2: Livres 4-5 / Tacite
Edizione: 5. tir
Paris: Les belles lettres, 1965
Fa parte di: Histoires / Tacite; texte etabli et traduit par Henri Goelzer
Antologia tacitiana / a cura di Augusto Serafini
[Firenze]: Sansoni, 1965, Edizioni scolastiche Sansoni. Bibliotecaclassica. Sezione latina
Dialogus de oratoribus / introduzione, testo e commento a cura di Francesco Arnaldi
Edizione: 2. ed. riveduta
Milano; Messina, 1965, Classici latini e greci
Note Generali: Rist.
Gli Annali: libro 14.: testo costruzione, versione letterale e note
Edizione: 2. ed.
Milano [etc.]: Dante Alighieri, 1965, Raccolta di autori greci colla costruzione eversione letterale
Letture / a cura di Vincenzo Rosato
Palermo: Palumbo, 1965
Taciti De origine et situ Germanorum librum / edidit et illustravit Ioannes Forni, commentariolo instruxit
Franciscus Galli
Romae: In aedibus Athenaei, 1964, Flos latinitatis
La Germania: testo, costruzione, versione letterale, argomenti e note
Edizione: 19. ed.
Milano [etc.]: Soc. editrice Dante Alighieri, 1964, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione,
traduzione letterale e note
Note Generali: In testa al front.: Cornelio Tacito .
Annales: Livre 13. / Ed., introd. et commentaire de Pierre Wuilleumier
Paris: Prsses Universitaires de France, 1964, Erasme
Le opere / tradotte da Bernardo Davanzati
[Firenze]: Salani, 1964, I grandi classici
Davanzati, Bernardo <1529-1606>
Historiarum liber tertius / Cornelio Tacito; introduzione e commento di Giovanni La Magna
Milano: Signorelli, 1964, Scrittori latini
Note Generali: Ristampa.
Germania / Tacito; introduzione, testo critico e commento a cura di Vincenzo Bongi; prefazione di Cesare
Giarratano
Edizione: 5. ed
Firenze: F. Le Monnier, 1964, Nuova biblioteca dei classici greci e latini
Cornelii Taciti Ab excessu divi Augusti annalium liber 1. / introduzione e commento di Luigi Canesi
Edizione: 2. ed.
Torino [etc]: G. B. Paravia, 1964, Scrittori latini commentati
La Germania / testo latino, costruzione, versione italiana interlineare, note (sintattiche, grammaticali, ecc.) e
verbi a cura di A. Calzavara D'Arpino
Roma: Edizioni Sormani, [1964?], Avia pervia
Note Generali: In testa al front.: Tacito .
Antologia tacitiana / a cura di Giuseppe Brizi
Firenze: Le Monnier, 1964
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Brizi, Giuseppe
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La Germania; La vita di Agricola; Dialogo sull'eloquenza / prefazione, testo latino e traduzione di Anna Resta
Barrile
Bologna: N. Zanichelli, 1964, Prosatori di Roma
Note Generali: In testa al front.: Cornelio Tacito.
Tit. orig.: Germania; Agricola; Dialogus de oratoribus
Il libro 15. degli Annali / Cornelio Tacito; introduzione e commento di Giuseppe Calio
Torino [etc.]: Istituto editoriale del Mezzogiorno, 1964
Vita di Agricola / Tacito; a cura di Angelo Benedetti
Brescia: La scuola, c1964
Gli Annali. Libro 11. / Cornelio Tacito; testo, costruzione e versione letterale
Milano [etc.]: Soc. editrice Dante Alighieri, 1964, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione,
traduzione letterale e note
Antologia tacitiana: dai libri 1., 2., 4., 6., 9., 14. degli Annali e dal 4. delle Storie / a cura di Francesco
Mascialino
Edizione: 4. ed
Milano [etc.]: Soc. editrice Dante Alighieri, 1964, Traditio. Serie latina
La crisi del principato neroniano: episodi scelti dai libri 15. e 16. degli Annali / Tacito; testo, introduzione e
commento a cura di Umberto De Franco
Edizione: 4. ed., rist
Roma: A. Signorelli, 1964, I classici latini
Le Storie. Libro 1.: testo, costruzione, versione letterale e note / Cornelio Tacito
Milano [etc.]: Soc. editrice Dante Alighieri, 1964, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione,
traduzione letterale e note
Germania / introduzione e commento di Giuseppe Biasuz
Edizione: 2. ed
Milano; Messina, 1964, Classici latini e greci
Note Generali: Ristampa.
Antologia Tacitiana / a cura di Augusto Serafini
[Firenze]: Sansoni, 1964, Edizioni scolastiche Sansoni. Bibliotecaclassica. Sezione latina
La Germania; La vita di Agricola; Dialogo sull'eloquenza / Cornelio Tacito; prefazione, testo latino e
traduzione di Anna Resta Barrile
Bologna: Zanichelli, stampa 1964, Prosatori di Roma
Opus opimum / antologia a cura di Enrico Longi
Edizione: 5. ed
[Palermo]: Palumbo, stampa 1964
P. Cornelii Taciti Historiarum liber 4. / a cura di Luigi Dal Santo
Edizione: [Nuova ed. riv. e corretta]
Milano: Ediz. MIRCU, 1963
Titolo uniforme: Historiae
Die historischen Versuche: Agricola, Germania, Dialogus / Publius Cornelius Tacitus; ubersetzt und
herausgegeben von Karl Buchner
Edizione: 2. verbesserte Auflage
Stuttgart: A. Kroner, c1963, Kroners Taschenausgabe
3: Annals, book 4.-6., 11.-12. / Tacitus
Edizione: Rist
Cambridge, Mass.
Descrizione fisica: VIII, 421 p., [1] c. di tav. ripieg.; 17 cm.
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Fa parte di: The histories; The annals / Tacitus; with an english translation by Clifford H. Moore [per The
histories]; with an english translation by John Jackson [per The annals] - London: William Heinemann;
Cambridge, Massachusetts: Harvard University Press
La vita di Agricola / a cura di Bruno Zanco
Edizione: 3. ed. riv.
Milano [etc.]: Soc. editrice Dante Alighieri, 1963, Traditio. Serie latina
Note Generali: In testa al front.: Tacito .
Agricola; Germania; Dialogus de oratoribus / Worteverzeichnis mit Erlauterungen von Richard v. Kienle; neu
bearb. von Wolfgang Klug
Heidelberg: Kerle, 1963, Heidelberg Texte. Lateinische Reihe
Historiarum libri / Textbearbeitung mit kritischem Apparat von Rudolf Till; Einleitung und Namenverzeichnis
von Matthias Gelzer
Heidelberg: Kerle, 1963, Heidelberger Texte. Lateinische Reihe
Antologia tacitiana: per le scuole medie superiori / [a cura di] Guido Angelino
Bergamo [etc.]: Minerva Italica, stampa 1963
Descrizione fisica: 183 p.; 22 cm.
Ab excessu Divi Augusti liber 4. / Cornelio Tacito; introduzione e commento d i Giuseppe Fabbri
Milano: Carlo Signorelli, 1963, Scrittori latini
Kienle, Richard: von
Cornelius Tacitus: Agricola, Germania, Dialogus de oratoribus / Worterverzeichnis mit Erlauterungen von ...
Richard von Kienle; neu bearbeitet von Wolfgang Klug
Heidelberg: Kerle, 1963
Vita di Giulio Agricola: testo latino, costruzione, versione italiana interlineare, argomenti, note e verbi / a cura
di Mario Geraci
Roma: Sormani, [1963?], Avia pervia
1: Livres 1.-3. / Tacite; texte etabli et traduit par Henri Goelzer
Edizione: 6. tirage
Paris: Les belles lettres, 1963
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Fa parte di: Annales / Tacite
1: Buch 1-3 / Cornelius Tacitus
Heidelberg: C. Winter, Universitatsverlag, 1963
Fa parte di: Annalen / Cornelius Tacitus; erlautert und mit einer Einleitung versehen von Erich Koestermann
Annalium XI: la tragedia di Messalina / Tacito; a cura di Luigi Carta
Roma: Marzioli, stampa 1963, Scrittori latini e greci: commentati per lescuole
Note Generali: Con una appendice sulla lingua di Tacito e un'antologia delle fonti latine sul regno di Claudio.
Antologia tacitiana: Nerone: passi scelti dagli Annali con introduzione e commento
Milano: C. Signorelli, 1963
Note Generali: Da: Annales
A cura di U. Zuccarelli, il nome del quale figura in testa al front. .
Il libro 14. degli Annali / col commento di Marcello Nardi
Firenze: G. C. Sansoni, 1963, Sansoniana classica: collezione diretta da N.Terzaghi
Tre Cesari: Tiberio, Nerone, Ottone / Tacito; pagine scelte e annotate da Concetto Marchesi
Edizione: Ristampa della 3. ed. riveduta
Milano; Messina, 1963, Classici latini e greci
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Marchesi, Concetto
Dialogus / [Transl. William Peterson]; Agricola; Germania, [Transl. by Maurice Hutton]
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
206
London: Heinemann, Mass., The Loeb classical library
Annali: libro 14. / Tacito; a cura di Francesco Mascialino
Milano etc.: Soc. editrice Dante Alighieri, 1963, Traditio. Serie latina
2: Istorii / P. Cornelius Tacitus; traducere, studiu introductiv si note de N. Lascu
Bucuresti: editura stiintifica, 1963
Fa parte di: Opere / P. Cornelius Tacitus; traducere, studiu introductiv si note de N. Lascu
Paese di RO
Historiarum liber 4. / A cura di Luigi Dal santo
Milano: Ed. M.I.R.C.U., Metodo Insegnamento Razionale Cultura Umanistica, 1963
Note Generali: Ed. del 1942 riveduta e corretta dall'Autore.
La Germania / col commento di Ferdinando Borio
Firenze: G. C. Sansoni, 1963, Sansoniana classica: collezione diretta da N.Terzaghi
Gli Annali: libro 15. / testo latino, costruzione, versione italiana interlineare a cura del prof. Pio Bortoluzzi
Roma: Ediz. Sormani, [1963?], Avia pervia
Antologia / a cura di Valentino Bolzan
Edizione: 2. ed. ampliata
Roma: Ediz. Gopa, [1963]
Antologia tacitiana: passi scelti dall'Agricola, dalla Germania, dal Dialogus de oratoribus, dalle Historiae e
dagli Annales
Edizione: 2. ed. riv. e aumentata
Torino: G. B. Petrini, 1963
Note Generali: A cura di E. Andreoli, G. Capaldi, i nomi dei quali figurano in testa al front .
Germania = =Agricola, Dialogus de oratoribus / Publius Cornelius Tacitus
Lipsiae: Erich Kostermann, 1962
Opera minora / recognovit brevique adnotatione critica instruxit H. Furneaux; Germaniam et Agricolam
iterum recensuit J. G. C Anderson
Oxford: Clarendon press, 1962, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
De vita Iulii Agricolae / Tacitus
Roma: Ateneo, 1962, Flos latinitatis
Nomi: Tacitus, Publius Cornelius
Annali: libro 16. / introduzione e commento di Romolo Tiberi
Messina; Firenze, 1962
Descrizione fisica: 107 p.; 21 cm, Classici latini e greci commentati per lescuole
Antologia tacitiana: passi scelti dall'Agricola, dalla Germania, dal Dialogus de oratoribus, dalle Historiae e
dagli Annales
Torino: G. B. Petrini, 1962
Note Generali: A cura di E. Andreoli, G. Capaldi, i nomi dei quali figurano in testa al front. .
Cornelii Taciti De vita et moribus Iulii Agricolae liber / testo, introduzione, commento e versione di Vittorio
D'Agostino
Torino: Scuola grafica salesiana, 1962, Biblioteca della Rivista di studi classici.Ser. 2, Testi classici
commentati
Taciti De vita Iulii Agricolae librum edidit, commentariolo instruxit et illustravit Joannes Forni
Romae: In aedibus Athenaei, 1962, Flos latinitatis
Vita di Agricola / P. C. Tacito; con introduzione e commento di L. Ludovici
Bergamo etc.: Minerva italica, 1962
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Germania / Text und Namenverzeichnis von Hans Haas; durchgesehen von Severin Hess; Einleitung von
Karl Meister
Heidelberg: Kerle, 1962, Heidelberger Texte. Lateinische Reihe
Antologia tacitiana: passi scelti dall'Agricola, dalla Germania, dal Dialogus de oratoribus, dalle Historiae e
dagli Annales / [a cura di] E. Andreoli, G. Capaldi]
Torino: G. B. Petrini, 1962
Lehrerkommentar zu Tacitus: Annalen 1-6 / Rover-Till
Stuttgart: Ernst Klett, 1962
Taciti De Vita Iulii Agricola Librum / edidit, commentariolo instruxit et illustravit Ioannes Forni
Romae: in Aedibus Athenaei, 1962
Titolo uniforme: De vita Iulii Agricolae
P. Cornelii Taciti Dialogus de Oratoribus / Edition, introduction et commentaire de Alain Michel
Paris: Presses Universitaires de France, 1962, Erasme
P. Corneli Taciti libri qui supersunt; Edidit Erick Koestermann. Tom. II, fasc. II. Germania, Agricola, Dialogus
de oratoribus
Lipsiae: Teubneri, 1962, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
Gli annali: libro secondo: sommario testo, costruzione, versione letterale e versione libera
Edizione: 3. ed.
Milano; Roma; Napoli..., 1962, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione, traduzione letterale e note
Vie d'Agricola / Tacite; texte etabli et traduit par E. de Saint-Denis
Paris: Les belles lettres, 1962, Collection des universites de France
Titolo uniforme: De vita Iulii Agricolae
2.2: Germania; Agricola; Dialogus de oratoribus / edidit Erich Koestermann
Lipsiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1962
Fa parte di: P. Cornelii Taciti Libri qui supersunt / post C. Halm, G. Andresen, 7. ed. Ericus Koestermann
De vita Iulii Agricolae librum edidit, commentariolo instruxit et illustravit Ioannes Forni
Roma: Ateneo, c1962, Flos latinitatis
Libro III delle storie / Cornelio Tacito Publio; Commento e note di Luigi Valmaggi
Torino: Loescher, 1962, Collezione di classici greci e latini
De vita et moribus Iulii Agricolae liber / Cornelii Taciti; testo, introduzione e commento di Vittorio D'Agostino
Torino: Scuola grafica salesiana, 1962, Biblioteca della Rivista di studi classici.Ser. 2, Testi classici
commentati
Gli Annali, libro 15.: testo, costruzione e versione letterale
Edizione: 2. ed
Milano [etc.]: Soc. editrice Dante Alighieri, 1962, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione,
traduzione letterale e note
Libro 3. delle storie / Cornelio Tacito; commento e note di Luigi Valmaggi
Torino: Loescher, stampa 1962, Collezione di classici greci e latini
Taciti De vita Iulii Agricolae librum / edidit, commentariolo instruxit et illustravit Ioannes Forni
Romae: in aedibus Athenaei, 1962, Flos latinitatis
Annali, libro 1. / introduzione, scelta e commento di Emidio Diletti
Messina; Firenze, 1962, Classici latini e greci commentati per lescuole
Dialogus de oratoribus / Ed., introd. et commentaire de Alain Michel
Paris: Presses Universitaires de France, 1962, Erasme
Gli Annali, libro 16.: testo, costruzione, versione letterale
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Edizione: 2. ed.
Milano [etc.]: Soc. editrice Dante Alighieri, 1962, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione,
traduzione letterale e note
Andreoli, Enrico
Antologia tacitiana; Passi scelti dall'Agricola, dalla Germania, dal Dialogus de oratoribus, dalle Historiae e
dagli Annales
Torino: Pedrini, 1962
Nomi: Andreoli, Enrico
Capaldi, G.
La Germanie / Tacite; texte etabli et traduit par Jacques Perret
Edizione: 2. tirage
Paris: Les belles lettres, 1962, Collection des universites de France
La Vita di Giulio Agricola / Cornelio Tacito; testo, costruzione, versione letterale, argomenti e note
Edizione: 13. ed
Milano [etc.]: Societa editrice Dante Alighieri, 1962, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione,
traduzione letterale e note
Annali, libro 13. / a cura di Francesco Mascialino
Milano [etc.]: Soc. editrice Dante Alighieri, 1962, Traditio. Serie latina
La vita di Giulio Agricola: testo, costruzione, versione letterale, argomenti e note
Milano [etc.]: Soc. editrice Dante Alighieri, 1962, Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione,
traduzione letterale e note
Tre Cesari = =Tiberio, Nerone, Ottone / Publius Cornelius Tacitus; pagine scelte e annotate da Concetto
Marchesi
Milano: Principato, 1961, Classici latini e greci
Das Leben des Iulius Agricola: lateinisch und deutsch / Tacitus; von Rudolf Till
Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1961
Titolo uniforme: De vita Iulii Agricolae
La vita di Agricola / Cornelio Tacito; introduzione e commento di Ausonio Dobelli
Milano: Signorelli, 1961, Scrittori latini
Gli annali libro primo: testo, costruzione, versione letterale, argomenti e note / Cornelio Tacito
Edizione: 7. ed
Milano: Dante Alighieri (Albrighi, Segati & C.), Raccolta di autori greci e latini con lacostruzione, traduzione
letterale e note
Antologia tacitiana / introduzione e commento a cura di Albino Garzetti
Firenze: La Nuova Italia, 1961, I classici della Nuova Italia
La Germania: traduzione letterale, paradigma dei verbi, note grammaticali e storiche
Milano: E. Bignami, 1961, Biblioteca scolastica Bignami
Note Generali: A cura L. Fasca, il nome del quale figura in testa al front.
Sine ira et studio: antologia tacitiana per i licei e l'istituto magistrale
Napoli: Casa editrice Federico e Ardia, [1961?]
Note Generali: A cura di L. D'Amore e G. De Rose, i nomi dei quali figurano in testa al front. .
Agricola / Tacito; commento e note di Saverio Desideri
Torino: Loescher ed., stampa 1961, Collezione di classici greci e latini
Il libro primo degli Annali / a cura di Maria Mocci
Napoli: Ediz. Il tripode, 1961, Collana di classici antichi
Res et mores: antologia di Livio, Tacito, Cicerone / a cura di Emidio Panichi
Milano [etc.]: Soc. editrice Dante Alighieri, 1961, Traditio. Serie greca
F. D’Alessi © 2002
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Annali: libro 12. / prefazione e commento a cura di Aldo Marsili
Pisa: Libr. goliardica, 1961
Annali: libro 15. / Tacito; a cura di Nilo Casini
Firenze: Vallecchi, [1961], Biblioteca di classici greci e latini
La Britannia: dagli Annali e dall'Agricola di Tacito
Torino: Loescher ed., 1961, Crestomazia latina
A cura di S. Desideri, il nome del quale figura in testa al front. .
Antologia tacitiana: per le scuole medie superiori / <a cura di> G. Angelino
Bergamo <etc.>: Minerva Italica, 1961
Note Generali: Testo lat.
Agricola / opera esposta da Aldo Marsili
Pisa: Libr. goliardica, 1961, Studi e testi
Das Leben des Iulius Agricola / Tacitus; lateinisch und deutsch von Rudolf Till
Berlin: Akademie Verlag, 1961, Schriften und Quellen der Alten Welt
Gli annali / volgarizzati da B. Davanzati con le varianti e le postille del traduttore e con note geografiche,
storiche e filologiche
Edizione: Rist
Milano: Sonzogno, 1961, Biblioteca classica economica
Das Leben des Julius Agricola / Lateinisch und Deutsch von Rudolf Till
Berlin: Akademie-Verlag, 1961, Schriften und Quellen der Alten Welt
Annali, libro 12. / a cura di Francesco Mascialino
Milano [etc.]: Soc. editrice Dante Alighieri, 1961, Traditio. Serie latina
Tacitus, Publius Cornelius
Antologia tacitiana / introduzione e commento a cura di Albino Garzetti
Firenze: La nuova Italia, 1961, I classici della Nuova Italia
La Germania / introduzione e note di Cesare Giarratano
Firenze: R. Sandron, 1961, Collezione di classici latini
Antologia tacitiana (dai libri 1., 2., 4., 6., 11., 14. dagli Annali e dal 4. delle Storie) / a cura di Francesco
Mascialino
Edizione: 2. ed. riv.
Milano [etc.]: Soc. editrice Dante Alighieri, 1960, Traditio. Serie greca
Il principato neroniano: antologia degli Annali (libri 11.-16.) / a cura di Bruno Franchi
Roma: V. Bonacci, 1960, Convivium
Tacitus, Publius Cornelius
Annali: libro 11. / a cura di Francesco Mascialino
milano [etc.]: Soc. editr. Dante Alighieri, 1960, Traditio. Serie latina
Note Generali: In testa al front.: Tacito .
La Germania / [Di] Cornelio Tacito; Prefazione e note di Cesare Bione. Aggiuntavi la trattazione delle genti e
dei costumi di Gallia e di Germania nella guerra gallica di Giulio Cesare. Sesta ristampa
Firenze: La Nuova Italia, 1960
Annali: libro 16. / a cura di Francesco Mascialino
Milano [etc.]: Soc. editrice Dante Alighieri, 1960, Traditio. Serie greca
Dialogus de oratoribus / Cornelio Tacito; introduzione e commenti di Francesco Galli
Milano: Signorelli, 1960, Scrittori latini
Note Generali: Ristampa.
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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T. 1: Ab excessu divi Augusti / edidit Erich Koestermann
Lipsiae: in eadibus B. G. Teubneri, 1960
Titolo uniforme: Annales
Fa parte di: P. Cornelii Taciti Libri qui supersunt / tertium edidit Erich Koestermann
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
1: Ab excessu divi Augusti / [P. Cornelius Tacitus]
Lipsiae: in aedibus B.G. Teubneri, 1960
Titolo uniforme: Annales
Fa parte di: P. Cornelii Taciti Libri qui supersunt / edidit Erich Koestermann
Germania / Tacito; introduzione, testo critico e commento a cura di Vincenzo Bongi; prefazione di Cesare
Giarratano
Edizione: 4. ed
Firenze: F. Le Monnier, 1960, Nuova biblioteca dei classici greci e latini.N. S
Dialogue des orateurs / Tacite; texte etabli par Henri Goelzer et traduit par Henri Bornecque
Edizione: 4. ed. revue et corrigee
Paris: Les belles lettres, 1960, Collection des universites de France
Dialogue de orateurs / Publius Cornelius Tacitus; testo latino a cura di Henri Goelzer con traduzione
francese a fronte a cura di Henri Bornecque
Edizione: 4. ed. riv. e corretta
Paris: Les Belles Lettres, 1960, Collection des universites de France
"Tacito¸ Publio (Caio) Cornelio - Castaldi"
Publio (o Gaio?) Cornelio Tacito
(55 d.C.? ca – 120 ca)
Vita.
Origini nobili. Molto incerti e lacunosi sono i dati biografici di T. (a partire già dai suoi "tria nomina"): nacque
probabilmente nella Gallia Narbonese (ma forse a Terni, o addirittura nella stessa Roma), da una famiglia
ricca e molto influente, di rango equestre. Studiò a Roma (frequentò probabilmente anche la scuola di
Quintiliano), acquistò ben presto fama come oratore (dovette essere anche un valentissimo avvocato), e nel
78 sposò la figlia di Gneo Giulio Agricola, statista e comandante militare.
La fortunata carriera politica e letteraria. Iniziò la carriera politica sotto Vespasiano e la proseguì sotto Tito e
Domiziano; ma, come Giovenale, poté iniziare la carriera letteraria solo dopo la morte dell'ultimo, terribile,
esponente flavio (96 d.C.), sotto il cui principato anche il nostro autore, come altri intellettuali del resto, non
dovette vivere momenti certo tranquilli. Questore poi nell’81-82 e pretore nell'88, T. fu per qualche anno
lontano da Roma, presumibilmente per un incarico in Gallia o in Germania. Nel 97, sotto Nerva, fu console
(anche se in veste di supplente) e pronunciò un elogio funebre per Virginio Rufo, il console morto durante
l'anno in carica.
Gli ultimi anni profusi negli studi storici. Abbandonò poi decisamente oratoria e politica (ebbe solo un
governatorato nella provincia d’Asia, nel 112-113), per dedicarsi totalmente alla ricerca storica. Fu intimo
amico, nella vita e negli studi, di Plinio il Giovane.
Opere
- "Dialogus de oratoribus" [trad.it], dell’ 80 ca o di poco successivo al 100; d'incerta attribuzione (ma oggi si
propende sull'attribuzione dell'opera a T.), è comunque dedicato a Fabio Giusto;
- "De Vita Agricolae" [trad.it], pubblicato nel 98;
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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- "De origine et situ Germanorum" o "Germania" [trad.it], dello stesso anno?;
- "Historiae" [trad.it], composte tra il 100 e il 110, in 12 o 14 libri di cui però ci sono pervenuti solo i primi 4 e
metà del V;
- "Annales" o "Ab excessu divi Augusti" [trad.it], del 100-117?, comunque successivi alle "Historie", in 16 o
18 libri, di cui ci rimane, però, l'opera incompleta: i primi 4 libri, alcuni frammenti del V e del VI (mancante
forse del principio) che trattano del regno di Tiberio; infine, gli ultimi 6, concernenti Nerone, ma per lo più
lacunosi.
Contenuti e commenti delle opere.
- Dialogus de oratoribus: le cause della decadenza dell'oratoria.
Incertezza di paternità e di stesura. Il "Dialogus de oratoribus" non è probabilmente la prima opera di T., se
pure è davvero sua (come accennato, la paternità è incerta): la tesi che oggi prevale è che essa sia stata
comunque composta dopo la "Germania" e dopo l' "Agricola". Il periodare presente in tale opera - e la stessa
forma dialogica - ricorda, infatti, il modello neociceroniano, forbito ma non prolisso, cui si ispirava
l'insegnamento della scuola di Quintiliano: per questo, c'è chi suppone che l'opera sia stata appunto scritta
quando T. era ancora giovane e legato alle predilezioni classicheggianti proprie di quella scuola. Anche se
questa ipotesi fosse vera, resta il fatto che l'opera fu pubblicata solo in seguito, dopo la morte di Domiziano.
La decadenza dell'oratoria. Ambientata nel 75 o nel 77, il "Dialogus" si riallaccia alla tradizione dei dialoghi
ciceroniani su argomenti filosofici e retorici: riferisce di una discussione avvenuta a casa di Curiazio Materno
fra lui stesso, Marco Apro, Vipstano Messalla e Giulio Secondo. In un primo momento, si contrappongono i
discorsi di Apro e Materno (che forse è la maschera dietro cui si nasconde lo stesso T.), in difesa rispettivamente - dell'eloquenza e della poesia. L'andamento del dibattito subisce però una svolta con l'arrivo
di Messalla, spostandosi sul tema della decadenza dell'oratoria, la cui causa è individuata essenzialmente
nel deterioramento dell'educazione e, soprattutto, nel clima di "censura" di parola e di pensiero vigente nella
stessa età imperiale. Il dialogo, infatti, si conclude con il discorso di Materno, il quale sostiene, più
specificamente, che una grande oratoria forse era possibile solo con la libertà, o piuttosto con l'anarchia;
diviene invece anacronistica e noiosa - strumento al servizio del servilismo e dello sterile accademismo
culturale, piuttosto che della lotta politica e civile - in una società (forzatamente) "tranquilla", come quella
conseguente all'instaurazione dell'Impero, caratterizzata dalla degenerazione sociale, politica e culturale.
L'opinione attribuita a Materno, come detto, rispecchia molto probabilmente il pensiero di T.: ma egli,
nonostante tutto, sente la necessità dell'Impero - come vedremo del resto nelle opere successive - come
unica forza in grado di salvare lo stato dal caos delle guerre civili, di garantire insomma la pace, anche se il
principato restringe lo spazio per l'oratore e l'uomo politico.
- Agricola e la sterilità dell'opposizione.
Un'opera composita, tra biografia etnografia e politica. Verso gli inizi del regno di Traiano, T. approfittò del
ripristino dell'atmosfera di libertà dopo la tirannide per pubblicare il suo primo opuscolo storico, la sua prima
monografia (ma il carattere di quest'opera "sui generis" è decisamente ibrido: oscilla tra etnografia, storia,
panegirico e biografia, mentre l'impronta è marcatamente politica), che tramandi ai posteri la memoria del
suocero Giulio Agricola, valente generale del tempo di Domiziano e conquistatore della Britannia (o meglio,
della parte settentrinale dell'isola). Per il suo tono encomiastico, lo stile di quest'opera si avvicina a quello
delle "laudationes" funebri, integrate con materiali storici ed etnografici; notevole è anche l'influenza di
Cicerone, soprattutto nella perorazione e celebrazione finale, che assume toni particolarmente commossi e
di intensa e personale partecipazione.
La trama e il personaggio di Agricola, esempio di libertà ed onestà politica. Dopo una trattazione sommaria
della vita del protagonista (incentrata esclusivamente sulla sua figura di uomo pubblico, mentre soltanto
accennati, quando non taciuti, sono gli episodi relativi a vicende private e di vita quotidiana), T. si sofferma
proprio sulla conquista della Britannia, lasciando un certo spazio alle digressioni geografiche ed etniche.
Egli, tuttavia, non perde mai di vista il proprio personaggio: la Britannia è soprattutto un campo in cui si
dispiega la "virtus" di Agricola, il teatro delle sue magnifiche imprese. T. mette in risalto come il suocero
avesse saputo servire lo Stato con fedeltà e onestà, anche sotto un pessimo principe come Domiziano (si
lascia trapelare anche il sospetto che proprio questi avesse fatto avvelenare, per invidia, il famoso generale):
anche nella morte, tuttavia, Agricola mantiene la sua rettitudine: egli lascia la vita in silenzio, senza andare in
cerca della gloria di un martirio ostentato. L'esempio di Agricola, insomma, indica come anche sotto la
tirannide sia possibile percorrere la via mediana (la vera virtù consiste appunto nella "moderazione") fra
quelle del martirio e dell'indecenza. torna all'inizio
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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- Germania: virtù dei barbari e corruzione dei Romani.
Opuscolo etnico-geografico di "attualità". Gli interessi etnografici sono al centro della "Germania", non a caso
scritta in quel particolare momento storico-politico, quando l’agitarsi delle popolazioni ultrarenane indusse
Traiano ad affrontare decisamente il problema germanico: unica testimonianza, comunque, di una letteratura
specificatamente etnografica che a Roma doveva godere di una certa fortuna.
[A tal proposito, non è certo se T. abbia ideato quest'opera come una composizione a sé stante o se l'abbia
pensata come una parte, un "excursus", da inserire successivamente nelle "Historiae": invero, però, la critica
odierna sembra agevolmente acquietarsi sulla prima ipotesi].
I contenuti e le fonti. L'operetta è divisa in 2 parti: nei primi 27 capitoli è descritta la Germania in generale,
condizioni del suolo e del clima, abitanti, loro costumi, religioni, leggi, divertimenti, virtù e vizi; la II parte,
invece, contiene un catalogo con le notizie particolari dei diversi popoli, in ordine geografico, da occidente ad
oriente.
Le suddette considerazioni etnogeografiche (sui popoli e sui luoghi appunto tra Reno e Danubio) non
derivano tuttavia da una visione diretta, ma da fonti scritte, e soprattutto dai "Bella Germaniae" di Plinio il
Vecchio, che aveva prestato servizio nelle armate del Reno. T. sembra aver seguito la sua fonte con fedeltà,
aggiungendo qua e là pochi particolari per ammodernare l'opera: ciò nonostante, rimangono alcune
discrepanze, poiché la "Germania" sembra descrivere abbastanza spesso la situazione come si presentava,
invero, prima che gli imperatori flavi avanzassero oltre il Reno e oltre il Danubio.
Visione "manichea": barbari sani e Romani corrotti. E' possibile notare (ed anzi non è rilievo secondario),
nell'opuscolo di T., l'esaltazione di una civiltà ingenua e primordiale, non ancora corrotta dai vizi raffinati di
una civiltà decadente: in questo senso, tutta l'opera sembra percorsa da una vena implicita di
contrapposizione dei barbari, ricchi di energie sane e fresche, ai romani, contrapposizione evidentemente
frutto di un filtro etico attraverso il quale lo storico scandaglia osservazioni e descrizioni. E molto
probabilmente, al di là di ogni "idealizzazione", T. intendeva sottolineare la pericolosità di quel popolo per
l'Impero: i Germani potevano davvero rappresentare una seria minaccia per un sistema politico basato sul
servilismo e sulla corruzione (ovviamente, T. parla anche dei molti difetti di un popolo che gli appare
comunque come essenzialmente barbarico). Un accorato invito, dunque, a raccogliere le residue forze
contro il potente e minaccioso nemico. torna all'inizio
- Historie: i parallelismi della storia.
Dal 69 al 96 d.C. . Il progetto di una vasta opera storica era presente già nell'Agricola, ma nelle "Historiae"
tale progetto appare modificato: mentre la parte che ci è rimasta contiene la narrazione degli eventi dal
regno di Galba fino alla rivolta giudaica, l'opera nel suo complesso doveva estendersi fino al 96, l'anno della
morte di Domiziano: nel proemio, T. afferma di voler trattare durante la vecchiaia dei principati di Nerva e di
Traiano.
Le "Historiae" descrivono quindi un periodo cupo, sconvolto dalla guerra civile e concluso con la tirannide:
Il I libro parla del breve regno di Galba; seguono l'uccisione di questo e l'elezione all'Impero di Otone. In
Germania le legioni acclamano però come Imperatore Vitellio. In particolare, il 69, anno in cui si aprono le
"Historiae", vede succedersi 4 imperatori: questo perché il principe poteva essere eletto anche fuori da
Roma, e la sua forza si basava principalmente sull'appoggio delle legioni di stanza in paesi più o meno
remoti.
Nel II e III libro si parla della lotta tra Otone e Vitellio, con la sconfitta del primo, e tra Vitellio e Vespasiano.
Quest'ultimo, eletto imperatore in Oriente, lascia il proprio figlio Tito ad affrontare i giudei e fa dirigere le sue
truppe a Roma dove si era rifugiato Vitellio, che viene ucciso.
Nel IV libro si parla dei tumulti ad opera dei soldati flaviani, e dei tumulti contro Vespasiano scoppiati in
Gallia e in Germania.
Il V libro parla degli avvenimenti di Germania e dei primi segni di stanchezza mostrati dai ribelli.
Il significato di "historiae". Come già si evince dallo stesso titolo, nonché dal breve sommario proposto qui
sopra, T. vuol soddisfare un desiderio di ricerca e di comprensione dei fatti che va al di là della pura e
semplice raccolta di testimonianze: ciò in piena rispondenza e fedeltà al significato stesso che il termine
"historiae" rivestiva nella lingua latina, mutuandolo strettamente dal greco "historìa" (indagine, ricerca
storica), ovvero come esposizione sistematica della storia, sia come racconto storicamente attestato dei
singoli avvenimenti sia come sguardo d'insieme retrospettivo sul passato.
Parallelismi storici. Così, T. scrive a distanza di 30 anni dagli avvenimenti del 69, ma la ricostruzione di
quell'anno avveniva nel vivo del dibattito politico che aveva accompagnato l'ascesa al potere di Traiano. A tal
proposito, è stato notato un certo parallelismo tra questa e gli avvenimenti del 69: il predecessore di Traiano,
Nerva, si era trovato come Galba ad affrontare un rivolta di pretoriani che faceva traballare le basi del suo
potere, e come Galba aveva designato per "adozione" un suo successore. L'analogia però si ferma a questo
punto: mentre Galba si era scelto come successore Pisone, un nobile di antico stampo poco adatto, Nerva
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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aveva invece consolidato il proprio potere associandosi nel governo Traiano, un capo militare autorevole,
comandante dell'armata della Germania superiore. Con il discorso di Galba in occasione dell'adozione di
Pisone, lo storico ha inteso mostrare nella figura dell'imperatore il divario fra il modello di comportamento
rigorosamente ispirato al "mos maiorum" e la reale capacità di dominare e controllare gli avvenimenti. Solo
l'adozione di una figura come quella di Traiano placò i tumulti fra le legioni e pose fine a ogni rivalità.
La necessità del principato. Come già detto, T. è convinto che solo il principato sia in grado di garantire la
pace e la fedeltà degli eserciti: già il proemio delle "Historiae" sottolinea come - dopo la battaglia di Azio - la
concentrazione del potere nelle mani di una sola persona si rivelò indispensabile, o quantomeno ineluttabile:
ovviamente il principe non dovrà essere uno scellerato tiranno come Domiziano, né un inetto come Galba;
piuttosto, dovrà invece assommare in sé quelle qualità necessarie per reggere la compagine imperiale, e
contemporaneamente garantire i residui del prestigio e della dignità del ceto dirigente senatorio. Quindi, per
T. l'unica soluzione sembra consistere nel principato moderato degli imperatori d'adozione.
Lo stile. Lo stile delle "Historiae" ha un ritmo vario e veloce, che richiede da parte di T. un lavoro di
condensazione rispetto ai dati forniti dalle fonti: a volte qualcosa è omesso, ma più spesso T. sa conferire
efficacia drammatica alla propria opera suddividendo il racconto in più scene. Lo storico è poi molto bravo
nella descrizione delle masse, da cui traspare il timore misto a disprezzo del senatore per le turbolenze dei
soldati e della feccia della capitale.
Tra storiografia tragica ed abilità ritrattistica. Le "Historiae" raccontano, del resto, per la maggior parte, fatti di
violenza e di ingiustizia: ciò non toglie che T. sappia tratteggiare in modo abile i caratteri dei propri
personaggi, alternando notazioni brevi a ritratti compiuti come quello di Muciano o di Otone. Lo storico, ad
es., insiste sulla consapevolezza di questo personaggio, della sua subalternità nei confronti degli strati
inferiori urbani e militari: forse Otone deve proprio a questo servilismo la sua capacità di incidere nelle cose.
Egli è dominato da una "virtus" inquieta, che all'inizio della sua vicenda lo porta a deliberare, in un monologo
quasi da eroe tragico, una scalata al potere decisa a non arrestarsi. Ma Otone è un personaggio in
evoluzione e decide così di darsi una morte gloriosa. Nella sua descrizione T. si affida alla "inconcinnitas",
alla sintassi disarticolata, alle strutture stilistiche slegate per incidere nel profondo dei personaggi. Egli ama
ricorrere a costrutti irregolari e a frequenti cambi di soggetto per dare movimento alla narrazione. torna
all'inizio
- Annales: le radici del principato.
Da Augusto a Nerone. Nemmeno nell'ultima fase della sua attività T. mantenne il proposito di narrare la
storia dei principati di Nerva e Traiano: anzi egli, negli "Annales", intraprese il racconto solo della più antica
storia del principato, dalla morte di Augusto (il giudizio su questo primo principe non può essere che
negativo, viste le nefaste conseguenze - anche se nei tempi lunghi - della sua "rivoluzione" politica) a quella
di Nerone. Come del resto già si arguisce dallo stesso titolo, continuò il metodo degli annalisti, giacché lo
schematismo dei fatti non urtava con la sua funzione critica, che tendeva (come abbiamo visto e come
ancora vedremo) prevalentemente allo studio dei caratteri e dei moventi psicologici e morali delle azioni.
Probabilmente, T. intendeva la sua opera anche come un proseguimento di quella di Livio: in effetti, già il
"sottotitolo" presente nei manoscritti ("Ab excessu divi Augusti") sembra ricordare proprio quello liviano, "Ab
urbe condita".
I libri sopravvissuti. Come accennato, degli "Annales" sono conservati i libri I-IV, un frammento del V e parte
del VI, comprendenti il racconto degli avvenimenti dalla morte di Augusto (14) a quella di Tiberio (37); inoltre
sono conservati i libri XI-XVI, col racconto dei regni di Claudio e di Nerone.
Ancora sulla necessità del principato. Negli "Annales" T. sembra mantenere la tesi della necessità del
principato: ma il suo orizzonte sembra essersi notevolmente incupito, o comunque fatto più amaro
(nonostante egli si trovi a vivere in un secolo definito unanimemente, da storici e studiosi di età successive,
come il "secolo d'oro" dell'impero: ma che si tratti di una mera, crudele, illusione?). La storia del principato è,
infatti, anche la storia del tramonto della libertà politica dell'aristocrazia senatoria, anch'essa coinvolta in un
processo di decadenza morale e di corruzione, e sempre più incapace - per colpe dirette o per cause
indirette - di giocare ancora un ruolo politico significativo. Scarsa simpatia lo storico presenta anche nei
confronti di coloro che scelgono l'opposta via del martirio, sostanzialmente inutile allo Stato, e continuano a
mettere in scena suicidi filosofici.
T. sembra condurre insomma il lettore attraverso un territorio umano desolato, senza luce o speranza; ma
forse, a ben vedere, un barlume di speranza rimane: la parte sana dell'élite politica, infatti, continua a dare il
meglio di sé nel governo delle provincie e nella guida degli eserciti (ad es., l'opera bellica di Germanico
risulta grandiosa rispetto alla meschina politica urbana di Tiberio). E' proprio su questi uomini che, secondo il
nostro autore, bisognerebbe puntare per la ricostruzione politica e morale di Roma.
Ancora storiografia tragica. T. alla forte componente tragica della sua storiografia assegna soprattutto la
funzione di scavare nelle pieghe dei personaggi per sondarli in profondità e portarne alla luce le ambiguità e i
chiaroscuri. Lo storico, infatti, sa bene <<che né la volontà degli dèi, né la Provvidenza o la Fatalità sono
cause immediate del divenire storico. Le azioni umane, che sono le più visibili, le più immediatamente
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percepibili, in questo divenire, dipendono dal libero arbitrio>> [P. Grimal]. Le conseguenze, quindi, delle
opinioni e soprattutto delle passioni che scatenano i comportamenti umani ricadono sul divenire storico e ne
determinano il corso: ciò è tanto più vero, poi, se il protagonista di tale divenire è un principe investito, per la
durata del suo regno, di un potere illimitato. Per T. è indispensabile, quindi, per comprendere la trama della
storia, analizzare la personalità di colui dal quale dipende il destino dell'impero. Ecco, così, spiegato come
mai, soprattutto negli "Annales", si perfezioni ulteriormente la tecnica del ritratto e si accentui la componente
"tragica" del racconto.
I "ritratti" degli imperatori. Ad es., Claudio è rappresentato come un imbelle che, dopo la morte della prima
moglie Messalina, cade nelle mani del potente liberto Narciso e della seconda moglie Agrippina, che alla fine
fa avvelenare il marito e mette sul trono Nerone, il figlio avuto da un precedente matrimonio. Quindi, è
narrato il regno di Nerone, nella giovinezza influenzato dalle figure della madre, del filosofo Seneca e del
prefetto del pretorio Burro. Poi acquista indipendenza e cade sempre più nella pazzia: instaura quindi un
regime da monarca ellenistico e si dedica soprattutto ai giochi e ai spettacoli. Riesce a far uccidere la madre
Agrippina mentre Seneca si ritira a vita privata. Nerone si abbandona a eccessi di ogni sorta, ma intorno a
Gaio Pisone si coagula un gruppo di congiurati che si propongono di uccidere il principe. La congiura di
Pisone viene scoperta e repressa.
Ma il vertice dell'arte tacitiana è stato individuato nel ritratto di Tiberio, del tipo cosiddetto indiretto: lo storico
non dà cioè il ritratto una volta per tutte, ma fa sì che esso si delinei progressivamente attraverso una
narrazione sottolineata qua e là da osservazioni e commenti. Un certo spazio è anche dato al ritratto del tipo
paradossale: l'esempio più notevole è la descrizione di Petronio. Il fascino del personaggio sta proprio nei
suoi aspetti contraddittori: Petronio si è assicurato con l'ignavia la fama che altri acquistano dopo grandi
sforzi, ma la mollezza della sua vita contrasta con l'energia e la competenza dimostrate quando ha ricoperto
importanti cariche pubbliche. Egli affronta la morte quasi come un'ultima voluttà, dando
contemporaneamente prova di autocontrollo e di fermezza.
Lo stile. Nello stile degli "Annales" si assiste ad un allontanamento dalla norma e dalla convenzione, ad una
ricerca di straniamento che si esprime nel lessico arcaico e solenne: è a partire dal libro XIII che
quest'involuzione verso modelli più tradizionali, meno lontani dai dettami del classicismo, sembra assumere
una importante consistenza: forse il regno di Nerone, abbastanza vicino nel tempo, richiedeva una
trattazione con minore distanziamento solenne.
Comunque, in linea di massima, gli "Annales" risultano meno eloquenti, più concisi e austeri delle opere
precedenti. Si accentua il gusto della "inconcinnitas", ottenuta soprattutto grazie alla "variatio", cioè
allineando un'espressione a un'altra che ci si attenderebbe parallela, ed è invece diversamente strutturata.
Considerazioni conclusive.
Storico impegnato e partecipe… Come si vede, l’opera di T. è tutta sostenuta da un’esplicita e tesa passione
etico-politica e dalla con-partecipazione alle sorti della Roma a lui contemporanea: è il corrosivo e dettagliato
bilancio (soprattutto nelle opere maggiori) del primo secolo di esperienza monarchica dal punto di vista di un
intellettuale, il quale - benché proclami di voler fare storia in modo imparziale ("sine ira et studio", ovvero
"senza risentimento e senza partigianeria") - esprime tuttavia, giocoforza, il punto di vista della "sana"
opposizione senatoriale alla pratica imperiale (leitmotiv ne è l’inconciliabile tensione tra "libertas" e
"principatus").
Evidentemente, <<T. non sarebbe mai giunto alla storia, se al fondo di tutta la sua esperienza politica e
forense non ci fosse stato un forte disinganno>> [F. della Corte]: quello sulla vera natura e sulle reali
conseguenze del principato.
Ecco perché la sua visione della storia risulta in definitiva, come già detto, fortemente impregnata
dell'elemento morale (anche se non legata a credenze, filosofiche o religiose, preconcette) ed
essenzialmente individualistica (come tipico della storiografia antica), facendo discendere la dinamica degli
eventi dalla personalità e dalle scelte dei "grandi".
… e grande. Il nostro autore, anche dal punto di vista artistico, rappresenta forse il momento davvero più
importante della storiografia romana, superiore - volendo - allo stesso momento liviano. Proprio di contro a
Livio, in particolare, egli - scrittore veramente profondo ed informato sugli avvenimenti - è storico
"contemporaneo", sia nel senso preciso del vocabolo, sia perché ha saputo rendere contemporanea anche
l'età che non aveva vissuto. Anche il suo stile - volutamente controllato, rapido e conciso - è un aspetto
fondante di questa sua concezione della storia, <<storia di idee più che storia di fatti>> [F. della Corte].
La decadenza di Roma. Di quest'ultima affermazione, è una testimonianza lampante il fatto che T. individui il
"peccato originale" della decadenza di Roma nella svolta anticostituzionale operata da Augusto, dietro una
formale facciata repubblicana, e denunci le conseguenze nefaste del sistema dinastico, pur senza rifiutare
totalmente l’istituzione – oramai (come più volte ripetuto) necessaria per l’unità, l’ordine e la pace dell’Impero
– del "principato" stesso.
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Le fonti. Ancora aperto è, infine, il "problema delle fonti" di T.. Alcuni punti sono comunque assodati: lo
storico consultò la documentazione ufficiale ("acta senatus", più o meno i verbali delle sedute; "acta diurna",
contenenti gli atti del governo e notizie su quanto avveniva a corte a Roma) ed ebbe inoltre a disposizione
raccolte di discorsi imperiali. Il tutto vagliato con uno "scrupolo" inusuale tra gli storici antichi. Numerose
anche le fonti storiche (Plinio, Vipsiano Messala, Pluvio Rufo, F. Rustico…) e letterarie (epistolografia,
memorialistica, libellistica ["Exitus illustrium virorum"]…).
Così, dopo il mito dell’utilizzo di un’unica fonte (almeno per ciascuna sezione delle opere maggiori), si è
sempre più sostenuta piuttosto l’idea di una molteplicità di fonti, per giunta talune anche di opposta
tendenza, ed utilizzate con una certa libertà.
"Tacito¸ Publio (Caio) Cornelio - Corso"
Caius Cornelius Tacitus.
Gaio Cornelio Tacito (55-120 ca. dopo Cristo) è uno dei più grandi storici latini.
Ebbe una regolare carriera politica culminata nell'elezione a console nel 97.
Le opere di Tacito sono, in ordine cronologico di composizione il De vita et moribus Iulii Agricolae, la
Germania o De origine et situ Germaniae, le Historiae e gli Annales ab excessu Divi Augusti.
La prima è una monografia celebrativa del suocero, Giulio Agricola, appunto, morto in circostanze misteriose
probabilmente per ordine di Domiziano.
Di poco successiva è la Germania, una monografia di carattere etnico e geografico, interessante come fonte
documentaria sugli usi e i costumi delle popolazioni germaniche del tempo.
Le Historiae coprono gli avvenimenti dal penultimo anno del regno di Nerone alla morte di Domiziano. Dei 14
libri originali ci restano i primi quattro libri e 26 capitoli del quinto, nei quali sono passati in rassegna gli
avvenimenti caotici dell'anno 69 e la proclamazione di Vespasiano.
Degli Annali, originariamente in 16 libri, sono andati perduti quelli dal settimo al decimo (il regno di Caligola e
una parte di quello di Claudio). In essi Tacito tratta degli imperatori della dinastia Giulio- Claudia.
Alcuni attribuiscono a Tacito anche un Dialogus de oratoribus, un'opera di carattere dialogico in 42 capitoli,
nella quale si discutono le cause della corruzione dell'eloquenza.
"Tacito, Cornelio "Encarta"
Tacito, Cornelio
1 INTRODUZIONE
Tacito, Cornelio (55 ca.- 117 ca. d.C.), storico romano, il maggiore dell'età postaugustea. Tutto ciò che si
conosce della sua vita è stato ricavato dai riferimenti contenuti nelle sue opere e nelle lettere che gli indirizzò
l'amico Plinio il Giovane. Dopo aver ricoperto numerose cariche politiche sotto gli imperatori Flavi e poi sotto
Nerva e Traiano, negli ultimi anni della sua vita si dedicò principalmente alla redazione di opere storiche, che
si sono conservate solo in parte.
2 LE OPERE
Viene quasi concordemente attribuito a Tacito il Dialogus de oratoribus, prezioso documento sull'eloquenza
passata e contemporanea, scritto (probabilmente dopo il 98) in uno stile fluido e armonioso, decisamente
diverso da quello rapido e incisivo delle altre sue opere. Nel 98 uscirono le due monografie Agricola e
Germania: la prima è una biografia del suocero, Gneo Giulio Agricola, celebre generale ed esperto uomo
politico; la seconda è un trattato sui costumi dei germani, la cui civiltà incontaminata, paragonata alla
corruzione e ai vizi dell'impero, aveva suscitato la profonda ammirazione dell'autore.
I suoi due capolavori, le Historiae (che narrano gli avvenimenti dal 69 al 96) e gli Annales (che coprono il
periodo dal 14 all'inizio del 69) non ci sono purtroppo giunti integralmente. Tacito vi svolge un'analisi spietata
del funzionamento della macchina imperiale romana, del contrasto tra l'arbitrio dei principi e la libertà, del
servilismo dell'aristocrazia e dei delitti efferati compiuti in nome della ragion di stato. In queste opere
emergono i tratti più tipici dell'arte tacitiana: il severo moralismo, la nostalgia per la repubblica, il fosco
pessimismo sui destini di Roma, il penetrante interesse psicologico e lo stile inconfondibile.
La grandezza di Tacito come storico sta nelle sue analisi psicologiche e nella vividezza dei personaggi
descritti, oltre che in un'efficace combinazione di concisione e vivacità stilistiche; egli esaltò gli ideali della
Roma repubblicana, tracciando un ritratto severamente critico di molti imperatori romani.
"Tacito¸ Publio (Caio) Cornelio - Treccani"
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Tacito Cornelio. Storico della letteratura latina, nato probabilmente a Roma verso il 55 d.C., pare da famiglia
dell'ordine equestre. Preparato all'arte oratoria da Marco Apro e da Giulio Secondo, forse fu pure discepolo
di Quintiliano. Nel 78 spesò la figlia di Agricola e l'anno dopo iniziò la carriera politica e militare occupando la
carica di questore. Nell'89 amministrò la Gallia Belgica come propretore e raccolse direttamente notizie sulle
popolazioni germaniche. Nel 93 morì il suocero, che aveva conquistato la Britannia fino alla Caledonia; di
tale morte si attribuì la responsabilità al veleno del geloso Domiziano. Nel 97, durante il regno di Nerva,
raggiunse il consolato. Nel 100, insieme con Plinio il Giovane, parlò in Senato contro Mario Prisco, accusato
di avere disonestamente amministrato l'Africa come proconsole. Nel 112 o 113 ottenne il proconsolato
d'Asia. Non si hanno notizie di lui dopo il 120, per cui si ritiene che sia morto in quell'anno.
Le opere di T. sono: De vita et moribus Julii Agricolae, Germania sive De situ Germaniae, Historiae e
Annales ab excessu Divi Augusti
La prima opera, scritta nel 98, è una monografia celebrativa del suocero: ha notevole importanza
per il contenuto morale del contrasto fra il galantuomo e il tiranno e per le notizie storiche ed etniche.
L'impostazione è sallustiana. Dello stesso anno o di poco successiva è la Germania, monografia di carattere
etnico e geografico, di valore strettamente scientifico. Non va escluso tuttavia un certo significato eticopolitico, che si coglie qua e là e che lascia supporre nella presentazione di quel popolo sano e irrequieto la
volontà di mostrare ai Romani corrotti i pericoli dai quali era minacciato l'impero.
La prima opera di carattere specificamente storico, le Historiae, forse in 14 libri, abbraccia gli
avvenimenti dal penultimo anno del regno di Nerone alla morte di Domiziano. Buona parte è andata perduta:
ci restano i primi quattro libri e 26 capitoli del quinto, nei quali sono passati in rassegna gli avvenimenti
caotici che videro la morte di quattro imperatori e la proclamazione di Vespasiano. Qui T. ci dà il primo
saggio delle sue doti di artista. Egli fa tesoro delle sue impressioni giovanili: forse aveva visto in volto
Nerone, Galba, Otone, Vitellio e l'evocazione della loro fine spesso raggiunge toni drammatici. Le pennellate
di colore che dà sul pavido e indecoroso atteggiamento dei senatori completano un quadro di grandiosa
vitalità. Seguono gli Annali, in 16 libri, dei quali sono andati perduti quelli dal settimo al decimo (il regno di
Caligola e una parte di quello di Claudio). Vaste lacune sono pue nel libro V, al principio dell'XI e alla fine del
XVI. Già nel primo capitolo delle Historiae T. si era proposto di ristabilire la verità, troppo vilipesa dagli
scrittori cortigiani e da quelli dominati dall'odio contro gli oppressori. T. viveva allora in un'epoca felice in cui
era possibile "sentir quel che si voleva e dire quel che si sentiva". Egli si propose dunque di narrare gli
avvenimenti sine studio et ira, senza partigianeria e senza animosità. Non si pensi per questo che la libertà
della sua penna abbia un indirizzo democratico. T. rimane convinto della necessità del comando unico per le
esigenze della pace. Nerva e Traiano, illuminatissimi imperatori, riuscirono a conciliare il principato con la
libertà, ma rappresentano casi isolati. Del resto quanta odiosità presenti la dittatura e ampiamente narrato da
T. stesso. Ma quando calca la mano, e ingiustamente, soprattutto su Tiberio, egli palesa i limiti della validità
scientifica della sua opera. Il profilo dello storico rimane sfocato, perché le pagine non rivelano un sistema
politico: si dà largo spazio ai capricci del caso e della fortuna e gli uomini, trascinati dalle ambizioni, dalle
passioni, dalle miserie o sostenuti dalla virtù, presentano la loro psicologia all'artista più che allo storico.
Originalissimo per una sintassi completamente nuova, T. procede spesso a pennellate vigorose e
frammentarie su avvenimenti sanguinosi e su analisi psicologiche: la rivolta delle legioni di Pannonia, la
morte di Agrippina e quella di Epicari da sole potrebbero fare il vanto di un grandissimo artista.
Alcuni attribuiscono a T. anche un Dialogus de oratoribus, nel quale sono esposte le cause della
corruzione dell'eloquenza. Le idee sono quelle di T., ma lo stile è completamente diverso.
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Fabio Rustico
Cenni biografici
Pressochè inesistenti le notizie biografiche.
Sappiamo da Tacito che tenne un atteggiamento favorevole a Seneca e piuttosto ostile nei
confronti di Nerone.
Opere
La sua opera venne utilizzata da Tacito per l'ultima fase del periodo neroniano.
Testi e testimonianze
Tac., Agric., 10,3
Formam totius Britanniae Livius veterum, Fabius Rusticus recentium eloquentissimi auctores oblongae
scutulae vel bipenni adsimulavere.
Tac., ann., 13,20
Fabius Rusticus auctor est scriptos esse ad Caecinam Tuscum codicillos, mandata ei praetoriarum
cohortium cura, sed ope Senecae dignationem Burro retentam: Plinius et Cluvius nihil dubitatum de fide
praefecti referunt; sane Fabius inclinat ad laudes Senecae, cuius amicitia floruit. nos consensum auctorum
secuturi, quae diversa prodiderint sub nominibus ipsorum trademus.
Tac., ann., 14,2
Fabius Rusticus non Agrippinae sed Neroni cupitum id memorat eiusdemque libertae astu disiectum. sed
quae Cluvius eadem ceteri quoque auctores prodidere, et fama huc inclinat, seu concepit animo tantum
immanitatis Agrippina, seu credibilior novae libidinis meditatio in ea visa est quae puellaribus annis stuprum
cum Lepido spe dominationis admiserat, pari cupidine usque ad libita Pallantis provoluta et exercita ad omne
flagitium patrui nuptiis.
Tac., ann., 15, 61
Tradit Fabius Rusticus non eo quo venerat itinere reditum sed flexisse ad Faenium praefectum, et expositis
Caesaris iussis an obtemperaret interrogavisse, monitumque ab eo ut exequeretur, fatali omnium ignavia.
Bibliografia
"Fabio Rustico - Treccani"
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Fabio Rustico. Storico romano fiorito nella seconda metà del I sec. d.C. Di lui abbiamo scarsissime notizie;
sappiamo che le sue Storie iniziavano dall'impero di Nerone, che fu amico di Seneca e che probabilmente
anche Tacito attinse alla sua opera.
Gaio Fannio
Cenni biografici
Plinio il Giovane dà la notizia della sua morte in ep. 5,5.. Forse un parente di Fannia, figlia di
Trasea Peto.
Opere
Opera incompiuta in tre libri sull'epoca neroniana, secondo la testimonianza di Plinio il Giovane.
Tra le fonti utilizzate da Tacito secondo Bettini.
Testi e testimonianze
Plin., 5,5
C. PLINIVS NOVIO MAXIMO SVO S.
Nuntiatum mihi C. Fannium decessisse; qui nuntius me graui dolore confudit, primum quod amaui
hominem elegantem disertum, deinde quod iudicio eius uti solebam. Erat enim acutus natura, usu
exercitatus, ueritate promptissimus. Angit me super ista casus ipsius: decessit ueteri testamento, omisit quos
maxime diligebat, prosecutus est quibus offensior erat. Sed hoc utcumque tolerabile; grauius illud, quod
pulcherrimum opus imperfectum reliquit. Quamuis enim agendis causis distringeretur, scribebat tamen exitus
occisorum aut relegatorum a Nerone et iam tres libros absoluerat subtiles et diligentes et Latinos atque inter
sermonem historiamque medios, ac tanto magis reliquos perficere cupiebat, quanto frequentius hi
lectitabantur. Mihi autem uidetur acerba semper et immatura mors eorum, qui immortale aliquid parant. Nam
qui uoluptatibus dediti quasi in diem uiuunt, uiuendi causas cotidie finiunt; qui uero posteros cogitant, et
memoriam sui operibus extendunt, his nulla mors non repentina est, ut quae semper incohatum aliquid
abrumpat. Gaius quidem Fannius, quod accidit, multo ante praesensit. Visus est sibi per nocturnam quietem
iacere in lectulo suo compositus in habitum studentis, habere ante se scrinium ita solebat; mox imaginatus
est uenisse Neronem, in toro resedisse, prompsisse primum librum quem de sceleribus eius ediderat,
eumque ad extremum reuoluisse; idem in secundo ac tertio fecisse, tunc abisse. Expauit et sic interpretatus
est, tamquam idem sibi futurus esset scribendi finis, qui fuisset illi legendi: et fuit idem. Quod me
recordantem miseratio subit, quantum uigiliarum quantum laboris exhauserit frustra. Occursant animo mea
mortalitas mea scripta. Nec dubito te quoque eadem cogitatione terreri, pro istis quae inter manus habes.
Proinde, dum suppetit uita, enitamur ut mors quam paucissima quae abolere possit inueniat. Vale.
Bibliografia
Bettini 3, 408.
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Vipstano Messalla
Cenni biografici
Nobile di origini illustri, forse discendente di Messalla Corvino (vedi). Nato intorno al 46 d.C.
Fu storico sotto i Flavi. Abbiamo pochissime notizie.
Compare nel Dialogus de oratoribus
Noto solo un processo del 70 in cui Vipstano difese il fratellastro M. Aquili Regolo, accusato da
Elvidio Prisco di essere stato delatore sotto Nerone.
Opere
Scrisse memorie storiche utilizzate da Tacito.
Testi e testimonianze
Bibliografia
G. Camassa, s.v. Storiografi latini minori, in Dizionario degli scrittori greci e latini, 3, Milano,
Marzorati, 1987, pp. 2137.
Bettini 3, 407.
Pompeo Planta
Cenni biografici
Vive nell’età dei Flavi. Misere notizie.
Opere
Testi e testimonianze
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Bibliografia
No Conte, no Bettini
G. Camassa, s.v. Storiografi latini minori, in Dizionario degli scrittori greci e latini, 3, Milano,
Marzorati, 1987, pp. 2137.
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Altri scrittori
Oratoria e retorica
Marco Apro
già in 2d!!!
Cenni biografici
Di origini galliche.
Compare nel Dialogus de oratoribus
Testi e testimonianze
Bibliografia
Bettini 3, 407
Tracalo
già in 2d!!!
Cenni biografici
Testi e testimonianze
Quint., inst., 10,1,119.
Erant clara et nuper ingenia. Nam et Trachalus plerumque sublimis et satis apertus fuit et quem uelle optima
crederes, auditus tamen maior: nam et uocis quantam in nullo cognoui felicitas, et pronuntiatio uel scaenis
suffectura, et decor, omnia denique ei quae sunt extra superfuerunt: et Vibius Crispus compositus et
iucundus et delectationi natus, priuatis tamen causis quam publicis melior. Iulio Secundo si longior
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contigisset aetas, clarissimum profecto nomen oratoris apud posteros foret: adiecisset enim atque adiciebat
ceteris uirtutibus suis quod desiderari potest, id est autem, ut esset multo magis pugnax et saepius ad curam
rerum ab elocutione respiceret.
Quint., inst., 12,5,5
Habuit oratores aetas nostra copiosiores, sed cum diceret eminere inter aequalis Trachalus uidebatur: ea
corporis sublimitas erat, is ardor oculorum, frontis auctoritas, gestus praestantia, uox quidem non, ut Cicero
desiderat, paene tragoedorum, sed super omnis quos ego quidem audierim tragoedos. Certe cum in basilica
Iulia diceret primo tribunali, quattuor autem iudicia, ut moris est, cogerentur atque omnia clamoribus
fremerent, et auditum eum et intellectum et, quod agentibus ceteris contumeliosissimum fuit, laudatum
quoque ex quat-tuor tribunalibus memini. Sed hoc uotum est et rara felicitas: quae si non adsit, sane sufficiat
ab iis quibus quis dicit audiri. Talis esse debet orator, haec scire.
Quint., inst., 12,10, 11
Hic uim Caesaris, indolem Caeli, subtilitatem Calidi, diligentiam Pollionis, dignitatem Messalae, sanctita-tem
Calui, grauitatem Bruti, acumen Sulpici, acerbitatem Cassi reperiemus: in iis etiam quos ipsi uidimus copiam
Senecae, uires Africani, maturitatem Afri, iucunditatem Crispi, sonum Trachali, elegantiam Secundi. At M.
Tullium
Bibliografia
Vibio Crispo
Cenni biografici
Già in 2 d!!!
Testi e testimonianze
Quint., 10,1,119.
et Vibius Crispus compositus et iucundus et delectationi natus, priuatis tamen causis quam publicis melior.
Tac., dial., 8
Ausim contendere Marcellum hunc Eprium, de quo modo locutus sum, et Crispum Vibium libentius enim
novis et recentibus quam remotis et oblitteratis exemplis utor non minores esse in extremis partibus terrarum
quam Capuae aut Vercellis, ubi nati dicuntur.
Tac., hist., 2,10
Vibius Crispus, pecunia potentia ingenio inter claros magis quam inter bonos, Annium Faustum equestris
ordinis, qui temporibus Neronis delationes factitaverat, ad cognitionem senatus vocabat; nam recens Galbae
principatu censuerant patres, ut accusatorum causae noscerentur. id senatus consultum varie iactatum et,
prout potens vel inops reus inciderat, infirmum aut validum, retinebat adhuc <aliquid> terroris. et propria vi
Crispus incubuerat delatorem fratris sui pervertere, traxeratque magnam sena-tus partem, ut indefensum et
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inauditum dedi ad exitium po-stularent. contra apud alios nihil aeque reo proderat quam nimia potentia
accusatoris: dari tempus, edi crimina, quamvis invisum ac nocentem more tamen audiendum censebant. et
valuere primo dilataque in paucos dies cognitio: mox damnatus est Faustus, nequaquam eo adsensu
civitatis quem pessimis moribus meruerat: quippe ipsum Crispum easdem accusationes cum praemio
exercuisse meminerant, nec poena criminis sed ultor displicebat.
Bibliografia
Sesto Giulio Gabiniano
Cenni biografici
Retore vissuto in Gallia intorno agli anni settanta.
Opere
Testi e testimonianze
Hieron. ? giudizio estremamente positivo.
Bibliografia
Bettini 3,408; niente Conte.
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Quadro storico: l'età di Traiano
PERIODO DA NERVA FINO A TRAIANO - dal 97 al 117 d.C.
* NERVA E IL SUO GOVERNO - ADOZIONE DI TRAIANO * TRAIANO E IL SUO GOVERNO - TRAIANO E
IL CRISTIANESIMO * I ROMANI SULL' EUFRATE E IL TIGRI * LA MORTE DI TRAIANO
--------------------------------------------------------------L' IMPERO DI COCCEJO NERVA
Il popolo alla notizia dell'uccisione, accolse con gioia la morte di Domiziano, un po' meno i pretoriani che
dall'imperatore erano stati favoriti. Tumultuando accorsero nel palazzo, e Stefano il reicida non riuscì ad
evitare di essere fatto a pezzi. I pretoriani volevano continuare, dando la caccia anche agli altri congiurati,
non rispettando perfino i loro capi, Norbano e Petronio, che però riuscirono a indurli alla calma, soprattutto
quello che -promettendo loro ricchi donativi- poi divenne imperatore: cioè COCCEJO NERVA
NERVA era avanti con gli anni, -si dice che ne contasse una settantina- inoltre era cagionevole di salute e
non vantava una nobile discendenza. Era nato a Narni e la sua famiglia pare che fosse oriunda di Creta.
Sotto Nerone aveva ottenuto le insegne trionfali per aver cooperato, insieme con Tigellino e Turpiliano, alla
repressione della congiura di Pisone ed oltre alle insegne aveva avuto statue nel Foro e nel Palatino; nel 71
era stato console ordinario con Vespasiano e console una seconda volta nel 90, con Domiziano; nel 93,
sotto l'accusa di cospirazione, era stato però mandato a Taranto in esilio, da dove poco tempo dopo era
stato richiamato a Roma.
La proclamazione di Nerva venne fatta dal Senato in una seduta solenne, durante la quale si decretò che
fossero abbattute tutte le immagini del morto imperatore e il suo nome venisse cancellato dai pubblici
monumenti. Contro Domiziano fu proclamata la damnatio memoriae, gli atti dell'estinto furono annullati e
vennero richiamati dall'esilio i proscritti, i quali ritornarono in possesso dei loro beni.
Nel suo proemio alla vita di Agricola, Tacito scriveva: "Finalmente noi respiriamo l'alba di un secolo che
promette la conciliazione così difficile del principato e della libertà".
E veramente una nuova epoca nell' impero romano era sorta con la proclamazione di Nerva. L'imperatore
nuovo, difatti, voleva cancellare -e vi riuscì- il ricordo delle nefandezze di Domiziano. Al Senato promise che,
durante il suo impero, non avrebbe mandato a morte nessun senatore, e volle che il Senato partecipasse
largamente all'amministrazione statale. Quasi per mostrar gratitudine la Curia fece coniar monete su cui
erano incise le parole: Providentia senatus.
Nerva tornò ad abolire i processi di lesa maestà, comminò pene severissime contro i falsi delatori e due di
questi famosi nelle dicerie li fece perire, e mandò a morte gli schiavi e i liberti che sotto il precedente impero
avevano (ovviamente per denaro) accusato e tradito i loro padroni e patroni, proibì le persecuzioni dei
Cristiani e dei giudei, ma confermò quanto aveva decretato Domiziano
sull'evirazione degli schiavi.
Speciali cure rivolse all'amministrazione delle finanze. Il bilancio era in grave dissesto, per le eccessive
spese di Domiziano: per ottenere il pareggio Nerva ridusse gli spettacoli e le feste religiose, vendette molti
oggetti di lusso di proprietà sua e della casa imperiale e ricavò considerevoli somme anche dalla vendita di
terre e case.
Raggiunto il pareggio, diminuì le imposte, eliminò sensibilmente la tassa di successione, abolì il tri buto che i
comuni dovevano alla posta imperiale e attenuò il rigore con cui era applicata la tassa giudaica. Sebbene
fosse amante degli studi -Tacito, Plinio e Rufo li protesse- e dell'arte, per non incorrere in spese non eresse
templi ed altri pubblici monumenti ma si limitò a condurre a termine il foro iniziato da Domiziano e che ebbe il
nome di Foro di Nerva. Però somme non indifferenti le spese in opere di pubblica utilità: riparò acquedotti,
migliorò la via Appia e la via da Napoli a Pozzuoli, fece costruire in Italia la via Valeria e la Tiburtina; nuove
vie fece aprire nelle province oltre a migliorare quelle vecchie.
I cittadini poveri di Roma furono da Nerva, beneficati con la deduzione di tre colonie che costarono all'erario
quindici milioni di dramme. Nella Mauritania venne fondata la colonia di Sitifis (Setif).
Dietro l'esempio dato da filantropi, Nerva venne in soccorso delle famiglie povere italiane ordinando che i
loro figli ricevessero gli alimenti con il denaro fornito dagli interessi di determinate somme prestate dall'erario
ad abitanti dei municipi: fu una ottima provvidenza che venne consacrata in certe medaglie con motto: Tutela
Italiae.
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Quello di Nerva, sarebbe stato il migliore dei governi se l'imperatore fosse stato dotato di quell'energia che è
necessaria al capo di una nazione. Nerva, invece per la sua età, la salute malferma e l'eccessiva bontà, era
sommamente debole.
Quando scoprì una congiura ordita da Calpurnio Crasso, si limitò a mandare costui in esilio; non pochi dei
delatori di Domiziano, per non farseli nemici, li ammise alla sua corte e li onorò, e ai pretoriani concesse di
scegliersi un prefetto. A questa carica venne chiamato Casperio Eliano.
La debolezza di Nerva fu causa di sedizioni, fortunatamente presto represse in Siria e nella regione
danubiana, e fece anche rialzare la testa ai pretoriani.
Questi, istigati da Eliano, si levarono a tumulto, corsero al palazzo imperiale e reclamarono la pena capitale
per gli uccisori di Domiziano. Invano Nerva, pregò e cercò di calmarli; davanti al contegno minaccioso dei
soldati dovette cedere e consegnare ai pretoriani Partenio.
Solo dopo questo avvenimento Nerva, si rese conto delle enormi difficoltà che avrebbe incontrate nel
governo dell'impero e capì che al suo fianco ci voleva un uomo di provata energia e di alto prestigio che
sapesse tenere a freno l'esercito.
Vespasiano aveva avuto come suo collaboratore il figlio Tito; Serva, non aveva in seno alla sua famiglia un
uomo degno di succedergli nell'impero o di aiutarlo nella difficile opera del governo; scelse pertanto il suo
successore fuori della sua famiglia e fu felicissimo nella scelta.
Questa cadde sul generale MARCO ULPIO TRAIANO, governatore della Germania Superiore, che
nell'ottobre del 97 fu da Nerva, adottato e ricevette la potestà tribunizia
Da allora l'impero ebbe un governo civile con Nerva e un governo militare sotto la direzione di Traiano, e
questa fu così energica che le turbolenze dell'esercito si calmarono come per incanto e gli stessi pretoriani
non osarono protestare quando, Traiano chiamati Eliano e gli altri responsabili dei tumulti, diede esempio di
grande severità punendoli con la morte.
Nerva, però non riuscì a godere a lungo i frutti della sua scelta: tre mesi dopo l'adozione di Traiano e circa
sedici di regno, il 27 gennaio del 98 morì nella sua villa degli Orti Sallustiani.
A correre in Germania, cavalcando notte e giorno, per dare a Traiano la duplice notizia (la morte di Nerva e
la lettera del Senato con la sua nomina a imperatore) fu un giovane soldato di cui sentiremo in seguito molto
parlare: Adriano.
TRAIANO IMPERATORE
Quando Nerva morì, Traiano aveva da poco compiuti quarantacinque anni. Egli era nato nel 63 a Italica,
città che Scipione aveva fondata in Spagna durante la seconda guerra punica, e veniva perciò ad essere il
primo imperatore romano nato fuori d'Italia. Non si deve però credere che egli appartenesse a famiglia di
sangue spagnolo: gli storici antichi non avrebbero tralasciato di notare un fatto di tanta importanza né
Coccejo Nerva, che aveva bisogno di consolidare la sua malferma autorità, avrebbe osato adottare un uomo
di stirpe straniera. È lecito dunque pensare che il nuovo imperatore fosse di famiglia italica, che in Spagna
aveva conservato il diritto di cittadinanza romana.
Il padre era venuto a Roma al tempo di Nerone; aveva valorosamente partecipato alla guerra giudaica, sotto
Vespasiano come legato della X Legione; tornato a Roma, vi aveva ottenuto il consolato, da proconsole era
stato poi mandato in Asia e infine era stato creato senatore.
Seguendo l'esempio paterno, Traiano, giovanissimo, aveva abbracciata la carriera delle armi; poi per dieci
anni era stato tribuno militare in Siria e sul Reno, nell'85 era stato pretore in Spagna, nel 91, sotto Domiziano
che lo aveva in grande stima, console ordinario e nel 95 era stato mandato a governare la Germania
Superiore, dove aveva rivolto tutta la sua attività a fortificare la frontiera.
Traiano era alto, robusto e forte; di maniere semplici e rudi come colui che da tanti anni era solito viver la
vita del campo militare disagiata e faticosa; nato per le armi e vissuto in mezzo ai soldati, era sprezzante nei
confronti delle mollezze e del lusso; per i suoi modi democratici, per la sua franchezza, per il valore e per la
dirittura del carattere era idolatrato dai legionari. Era canuto anzi tempo, ma la sua mente era lucida e la
memoria era prodigiosa; si dice a questo proposito che egli ricordasse il nome di tutti i sottufficiali che
avevano servito sotto di lui e le imprese di ciascuno di loro.
Si trovava a Colonia quando ricevette le lettere del Senato che gli annunziavano la morte di Nerva e la sua
assunzione all' impero. Traiano rispose, ringraziando la Curia e diede assicurazione che, al pari del suo
predecessore, non avrebbe mai firmato una sentenza di morte a carico di alcun senatore e, lasciata
temporaneamente la cura del governo civile ai consoli e al Senato, rimase nella sua provincia a compiere gli
iniziati lavori di fortificazione che rese più saldi con la fondazione delle colonie di Baden, Lupodunum e
Castra Trajana, poi si recò sulle frontiere del Danubio, che dopo la guerra contro i Quadi, i Marcomanni e i
Daci rappresentavano il punto più pericoloso dell' impero e solo nell'estate del 99, dopo circa due anni dalla
sua elezione, scese a Roma.
Grandissime furono le manifestazioni di gioia con le quali venne accolto il nuovo imperatore. A dir di PLINIO,
che di Traiano scrisse il panegirico, "...le vie della metropoli erano gremite di folla plaudente; ovunque
sorgevano altari e numerosissime vittime venivano immolate. Preceduto dai littori e seguito dai senatori e dai
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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cavalieri, Traiano si recò al tempio di Giove sul Campidoglio per ringraziare le divinità, ma non volle alcuna
pompa né feste in suo onore e nella rituale preghiera agli dei fece aggiungere la frase "se me ne renderò
meritevole" ai voti che solevano esprimersi in favore dell'imperatore.
Consegnando a Licinio Sura, nuovo prefetto del pretorio, la spada del comando, esclamò: "ti do questo ferro
perché tu lo impugni in mio favore se farò bene, contro di me se farò male".
Plotina, moglie di Traiano, i cui costumi non erano meno semplici e severi di quelli del marito, varcando la
soglia del palazzo imperiale, rivoltasi al popolo disse: "come vi entro così ne uscirò" ".
Traiano rimase a Roma solo tutto l'anno 100 e alcuni mesi del successivo. La vita della reggia e della
metropoli non era fatta per lui che per circa trent'anni aveva trascorsi al campo, sotto la tenda e fra le armi.
Egli del resto si considerava come imperatore eminentemente militare un condottiero di genti e come tale
non poteva non sognare allori.
La sua permanenza sul Reno dopo l'assunzione all' impero e le tante visite lungo la frontiera del Danubio
avevano già mostrato come a Traiano premesse rialzare presso quei popoli il prestigio romano scosso dalle
guerre combattute da Domiziano; l'ordine dai lui dato di continuare sulla destra del Danubio inferiore (nella
strada marginale iniziata da Tiberio- la montibus excis omnibus superatis, viam patefecit dice ancora oggi
l'iscrizione incisa sulla roccia) faceva chiaramente intendere che Traiano solo alla guerra contro i Daci
pensava prima di mettersi in viaggio per Roma. E a questa guerra egli si preparò durante i quasi due anni
che rimase nella capitale dell'impero.
Nella primavera (25 Marzo) del 101 Traiano lasciò Roma alla testa di dieci coorti pretorie, un corpo di
cavalleria batavica e un altro di cavalieri della Mauritania e si diresse verso il Danubio lungo dove erano già
dislocate otto legioni e numerose altre truppe ausiliarie.
Tre di queste furono lasciate come presidii e riserve; con le altre cinque l'imperatore passò il Danubio su un
ponte di barche a Viminacium (Kostolatz) e pose il campo alla sinistra del fiume dove l'esercito creò la base
delle future previste operazioni militare e passò l'inverno.
Nella primavera del 102 Traiano mosse verso il cuore dell' impero nemico. Decebalo con un numerosissimo
esercito lo aspettava alla Porta di Forro (Tapae) e qui venne combattuta una grande battaglia, nella quale i
Daci, malgrado il valore dimostrato, furono sconfitti. La vittoria però costò considerevolissime perdite ai
Romani e si dice che il numero dei feriti fosse così grande che Traiano diede le sue vesti perché ne fossero
fatte bende.
Dopo la sconfitta Decebalo invitò Traiano ad un convegno perché fosse trattata la pace. Forse il re barbaro
sperava di catturare l'imperatore romano, ma questi mandò come suoi rappresentanti Licinio Sura e Claudio
Liviano, i quali invano aspettarono sul luogo convenuto l'arrivo di Decebalo.
Allora la marcia delle legioni fu ripresa, inutilmente ostacolata dai Daci, i quali in diversi scontri sanguinosi
subirono notevoli rovesci. La battaglia decisiva fu combattuta nei pressi di Sarmizegetusa (Varhely) e riuscì
favorevole alle armi imperiali: fra i prigionieri catturati ci fu una sorella di Decebalo, il quale, visto che era
inutile ogni ulteriore resistenza, chiese la pace.
Traiano la concesse a durissimi patti e Decebalo dovette consegnare le armi e i disertori, abbandonare le
terre tolte ai popoli limitrofi, demolire le fortezze, accettare un presidio romano nella capitale e dichiararsi
vassallo di Roma. L'orgoglioso sovrano sconfitto si recò al campo nemico, e deposte le armi ed
inginocchiatesi ai piedi di Traiano, fece atto di sottomissione all'impero.
Lasciate le guarnigioni nelle principali città del regno, Traiano fece ritorno a Roma, dove celebrò un
magnifico trionfo e si ebbe dal Senato il titolo di Dacico.
Ma la pace nelle intenzioni di Decebalo non voleva significare sottomissione completa. Il vinto re sognava la
riscossa e, partito l'imperatore, cominciò a venir meno ai patti: accoglieva i disertori romani, ricostruiva le sue
fortezze, preparava nuove armi, stringeva alleanza con i popoli limitrofi ed invitava perfino il re dei Parti ad
unirsi con lui in una futura lotta contro Roma, mentre invadeva il territorio degli Jazigi, popolazione amica di
Roma.
Il contegno di Decebalo costrinse Traiano ad una nuova guerra che fu decisa sul finire del 104 ed ebbe inizio
l'anno dopo.
Perché le comunicazioni tra la destra e la sinistra del Danubio fossero più sicure e spedite, Traiano fece
costruire un gigantesco ponte di pietra sul fiume che univa le due rive nei punti in cui oggi sorgono la città
serba di Kladova e la rumena di Furnu Severinulum.
Architetto ne fu il famoso Apollodoro di Damasco e l'opera riuscì grandiosa, della lunghezza di 3570 piedi,
pari a 110 metri, con venti pile alte ciascuna centocinquanta piedi e larghe sessanta, i cui resti, anche oggi,
in tempo di portata minima del fiume, sono visibili.
Decebalo che forse non si aspettava una guerra e perciò non vi era preparato, di fronte all'imponente
esercito imperiale, cercò prima di scendere a patti con lo scopo di prender tempo; ma Traiano non volle
giungere a nessun accordo, deciso com'era a debellare definitivamente il nemico e ridurre a provincia l'intera
Dacia. Allora il barbaro cercò di trarre dalla sua i popoli vicini prospettando il pericolo che correva la loro
indipendenza e, siccome nessuno si mostrava desideroso di misurarsi con le armi dell'impero, Decebalo
tentò di sopprimere Traiano. Ma non gli riuscì. Potè invece con l'inganno impadronirsi di Cassie Longino,
legato di una legione ed amico dell' imperatore, sul cui animo egli sperava d'influire con quel prezioso
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ostaggio. Ma anche questa speranza fallì, Longino, per non intralciare le operazioni dell'imperatore, si tolse
la vita.
Decebalo affidò le sorti proprie e del suo regno alla guerra e questa, se pur fu più breve, fu più accanita della
precedente. Non potendo, per l'inferiorità numerica delle sue truppe, misurarsi in battaglia campale con il
nemico, Decebalo iniziò una lenta ritirata verso l'interno, distruggendo ogni cosa al suo passaggio e
lasciando dietro di sé desolazione e rovina. La resistenza fu portata sulle montagne e i valichi vennero difesi
con mura e palizzate; ma l'accanimento e il valore dei Daci non valsero a salvare la loro indipendenza. I
nobili del paese che erano l'anima della resistenza in ogni scontro, abbandonati dai loro stessi soldati,
stremati di numero e di forze, alcuni si diedero la morte chi col ferro chi col veleno, altri riuscirono a salvarsi
nei territori limitrofi. Decebalo, per non cadere nelle mani del nemico, si uccise anche lui; il suo capo venne
mandato a Roma (106).
La Dacia cadde tutta sotto il dominio di Roma. Questa era una regione vastissima che per la qualità del
terreno, l'abbondanza delle acque e la ricchezza del sottosuolo si prestava meravigliosamente ad una
proficua opera di sfruttamento. Ma la guerra l'aveva resa quasi deserta. Da ogni parte dell' impero vennero
nella nuova regione uomini attratti dalla scoperta di giacimenti auriferi nei Carpazi, si costruirono strade, si
fabbricarono città, si coltivarono le feconde pianure, le acque del Danubio furono solcate da flottiglie
commerciali e in breve il paese si popolò di mediterranei che latinizzarono i superstiti della stirpe dacica e
fecero echeggiare in quella lontana regione la lingua di Roma che tuttora vi si parla.
Con i veterani di tutte le legioni, Traiano fondò numerose colonie militari. La più importante di esse fu quella
che venne dedotta nella capitale Sarmizegetusa che ebbe cambiato il nome in quello di Ulpia Trajana. Alla
sinistra del Danubio fu fondata la colonia di Tsierna, alla destra Oescus e Ratiaria e alla confluenza
dell'Alouta, a perpetuo ricordo delle vittorie su Decebalo, la città di Nicopoli.
La conquista della Dacia fu celebrata a Roma con grandissime feste che durarono quattro mesi: degni di
nota gli spettacoli gladiatori che vennero dati e i combattimenti di fiere; ai primi parteciparono circa diecimila
gladiatori e nei secondi vennero uccise altrettante belve.
Perché fosse tramandato ai posteri il ricordo della impresa, tra il Quirinale e il Campidoglio, venne innalzata
la famosa colonna traiana, opera di Apollodoro di Damasco, alta trenta metri, ricca di bassorilievi in cui sono
raffigurati i costumi dei Daci ed episodi della guerra. Più tardi sulla colonna venne posta una statua dell'
imperatore di bronzo dorato, che, distrutta nel Medioevo, fu nel 1687 da Sisto V sostituita con quella di S.
Pietro.
Nello stesso tempo in cui Traiano sottometteva la Dacia il legato imperiale Aulo Cornelio Palma portava le
armi contro i Nabatei. Questo fiero popolo dì predoni e di mercanti era stato da tempo in contatto coi
Romani, aveva aiutato Ottaviano nella lotta contro Antonio, distruggendo la flotta egiziana del Mar Rosso,
aveva dato aiuto ad Elio Gallo nella spedizione sfortunata del Jemen ed aveva prestato soccorsi non
indifferenti a Vespasiano e a Tito nella guerra contro i Giudei.
I Nabatei abitavano e dominavano nella vasta regione che si stende dal Mar Rosso ad oriente della
Palestina e che comprende la penisola del Sinai, l'Arabia Petrea e l'odierna Transgiordania; avevano nelle
mani quasi tutto il commercio tra l'India e il Mediterraneo e la loro capitale era PETRA (rovine di Uadi-Mùsà),
la misteriosa città scavata nella roccia, ricca di monumenti e di tesori.
La fortuna arrise alle armi di Cornelio Palma: Damasco venne presa e incorporata alla Siria, il regno dei
Nabatei fu conquistato e il Mar Morto divenne un laghetto romano. La Palestina e la Siria furono collegato al
Mar Rosso per mezzo di due vie che partendo da Damasco e da Gerusalemme si univano a Petra e
proseguivano per il golfo di Aqaba.
La nuova regione conquistata (106) fu eretta a provincia romana col nome di ARABIA e amministrata da un
legato pretorio che prima ebbe residenza a Petra e poi a Bostra.
A Cornelio Palma, dietro proposta di Traiano, il Senato conferì le insegne consolari.
IL GOVERNO DI TRAIANO
Dopo la conquista della Dacia l'imperatore tornò a Roma e vi rimase circa nove anni. Fu questo un periodo
di pace ininterrotta e di saggia se non geniale amministrazione che valse a Traiano il titolo di Optimus
decretatogli dal Senato. Sotto di lui parve rifiorire l'impero di Augusto e molti furono convinti di una rinascita
della repubblica romana.
Scrive PLINIO il giovane: "La nobiltà finalmente anziché essere offuscata dall'imperatore riceve ogni giorno
da lui nuovo splendore. Finalmente il principe non teme gli illustri discendenti degli eroi, gli ultimi eredi della
libertà. Anzi egli per loro sollecita l'età degli onori, risolleva la loro dignità, li restituisce ai loro antenati". E
ancora: "Ovunque sia un ceppo di antica stirpe, un residuo di antica gloria, egli lo coltiva, lo ravviva e lo usa
per il bene della repubblica. Tornano con la generosità del principe che ha il merito di creare e di conservare
la nobiltà presso gli uomini la fama dei grandi nomi sottratti alle tenebre della dimenticanza".
Queste parole adulatorie anche se del panegirista Plinio non è che non abbiano riscontro nella realtà. Del
principe, lui Traiano aveva il nome e il potere, ma non il fasto, non la superbia, non la corruzione, non la
ferocia che avevano resi odiosi gli altri imperatori. Mai si era visto un imperatore così democratico: il suo
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palazzo era aperto a tutti; egli si recava senza seguito in casa degli amici, si lasciava avvicinare dalle
persone nelle strade, era modesto ed affabile, amava i giuochi e gli spettacoli, e da buon soldato amava
forse un po' troppo il vino, ma non si abbandonava ad orge e coltivava gli affetti domestici.
Come di Nerva così di lui si poteva dire di aver conciliato l'inconciliabile, il principato e la libertà. La nobiltà fu
carezzata e non per timore, ma perché ne era meritevole, perché concorde, conscia dei propri doveri,
pervasa -specie quella provinciale- da un alto spirito di romanità, intelligente e colta. Le tradizioni
repubblicane furono riportate in onore: si coniarono monete con l'effigie del Genio della Libertà, di Siila, di
Bruto, di Cicerone, di Catone l'Uticense; e fu perfino permesso che un segretario dell'imperatore, Titinio
Capitone, tenesse in casa le statue di Bruto, Cassio e Catone e leggesse in pubblico poesie in loro onore. Il
Senato venne trattato con il massimo rispetto: fu consultato sovente in questioni di politica estera, vide
assegnate ai suoi membri le più alte magistrature e ricevette dall'imperatore un attestato di fiducia e di stima
con l'istituzione dello scrutinio segreto. Traiano volle essere considerato come il più autorevole dei senatori e
si acquistò perciò l'ammirazione sincera di tutta la Curia che in lui per la prima volta vide non il nemico
implacabile dell'ordine senatorio, ma un collaboratore degno di rispetto e di encomio e il restauratore della
dignità senatoria.
Ad accrescere questo rispetto verso la persona del principe da parte del Senato molti altri fatti contribuirono.
Al Senato Traiano concesse larga parte nell'amministrazione statale; soppresse i processi di lesa maestà,
abolì le delazioni, comminò pene severissime contro coloro che non riuscivano a provare le accuse; inasprì
le pene contro gli schiavi colpevoli dell'uccisione del loro padrone; ai padroni lasciò ampia libertà; nella
manomissione testamentaria e nel governo della sua casa e dell'impero non diede posto ai liberti come
avevano fatto i suoi predecessori. Giuste quindi e provocate da un sentimento di riconoscenza le lodi che
agli imperatore si rivolgevano: "Tra gli amici tu hai rimesso la fiducia, tra i figli la pietà, l'ossequio tra i servi;
questi temono ed obbediscono e capiscono di aver dei padroni. Gli amici del principe non sono più i nostri
servi, ma siamo noi; né il padre della patria crede di essere più caro agli schiavi altrui che ai suoi
concittadini. E tu ci hai tutti liberati dagli accusatori che avevamo anche in casa".
Famosa è la sua legge sulla corruzione; famosa la "legge dei pentiti", e altrettanto famosa la "BONA
VACANTIA" per far finire la "TANGENTOPOLI" romana.
ne diamo una sintesi in un questa apposita pagina NELL'ANNO 103
Ma se gli antichi lodarono Traiano per il suo contegno verso il Senato, lodi maggiori gli possiamo noi dare
per i saggi atti del suo governo. Frenò l'ingordigia degli avvocati, emanò provvedimenti per quei genitori che
sfruttavano i figli, assicurò il diritto di libertà ai trovatelli spesso raccolti ed allevati per farne schiavi, e diede
impulso agli istituti alimentari che erano stati una delle principali cure di Nerva e che Traiano favorì per
accrescere, secondo quello che scrive Plinto, soldati all'impero: "Questi fanciulli sono allevati a spese dello
stato perché siano di aiuto in guerra e di ornamento in pace. Un giorno essi riempiranno le nostre stazioni
militari e le nostre tribù e da essi nasceranno figliuoli che non avranno più bisogno della pubblica
assistenza".
Nell'anno 100, quando fu fatta la legge alimentaria, il numero dei fanciulli nutriti a spese dello stato fu di
cinquemila. La sola Velleja, piccola città della valle padana, ebbe in prestito dall'erario più di un milione e
trecentomila sesterzi; gli interessi che avrebbe dovuto pagare allo stato furono destinati per prendersi cura di
duecentoquarantasei fanciulli e trentasei fanciulle.
Da queste istituzioni alimentari, che ben presto si estesero a tutto l'impero e dovevano aver vita fino a circa
tutto il terzo secolo, anche l'agricoltura della penisola trasse grandi vantaggi. Sebbene nato in provincia,
Traiano ebbe di mira il bene della penisola: fece meglio arginare il lago di Fucino, fece eseguire opere di
bonifica nelle paludi Pontine, rinnovò il decreto di Tiberio prescrivendo che ogni senatore d'origine
provinciale dovesse investire un terzo del suo patrimonio nell'acquisto di beni immobili nella penisola, e per
far sì che la popolazione d'Italia non diminuisse di numero, pose un freno all'emigrazione vietando di fondar
colonie con cittadini portati via dalle regioni italiane.
Imponenti e numerosi furono i lavori pubblici eseguiti sotto l'impero di Traiano: furono migliorati ed ingranditi i
porti dell'Adriatico e del Tirreno, Ancona, Ostia e Centumcellae (Civitavecchia); fu migliorato il canale che
metteva in comunicazione il Mediterraneo con il Mar Bosso; strade e ponti vennero costruiti o riparati in Italia
e nelle provinole; Roma fu dotata di un nuovo acquedotto che sul Gianicolo portava l'acqua del lago
Sabatinus (Bracciano) detta oggi Acqua Paola; terme superbe vennero innalzate, e tra il Quirinale e il
Capitolino fu costruito il famoso Foro Traiano, comprendente due biblioteche, una basilica ed altri grandiosi
edifici che oggi, liberati dalle costruzioni posteriori, rivedono dopo tanti secoli la luce sotto il cielo di Roma.
Tutti questi lavori se davano da vivere a numerosi operai costavano ingenti somme allo Stato. Tuttavia
Traiano non gravò l'impero di nuovi tributi anzi alcuni li eliminò e per aver fatto questo ebbe grandi lodi dagli
storici.
Da dove Traiano traesse i fondi per le ingenti spese sostenute nelle guerre e nelle opere pubbliche non
sappiamo con precisione, rimase un mistero. L'oculata ed economica amministrazione di Nerva era stata
troppo breve per risanare il bilancio dello stato intaccato dalla prodigalità di Domiziano e noi siamo indotti a
credere che gran parte delle somme Traiano le traesse dal ricco bottino messo insieme durante la guerra
contro i Daci e i Nabatei e dai prodotti del commercio e dell'agricoltura che sotto di lui prosperarono.
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Gran parte, per sopperire alle spese a un certo punto ricorse a un pericoloso espediente di coniar monete di
argento con un titolo di 800, ritirando dalla circolazione le vecchie di peso uguale ma di titolo maggiore.
Questo dimostra chiaramente che Traiano, il quale fu chiamato locupletator civiurn, in materia finanziaria
non si curò di spendere quanto le entrate dello stato comportavano. Perciò da alcuni fu scritto che egli
"invece di misurare le spese alla ricchezza vera, fece godere i contemporanei di una prosperità fittizia,
consumando non solo la ricchezza presente ma impegnando quella dell'avvenire e dilapidando in parte le
sue riserve" (Ferrero e Barbagallo). Questo non si può negare; ma si deve anche pensare che molte delle
eccessive spese fatte da Traiano furono impiegate in opere dalle quali, a breve o a lunga scadenza, l'impero
doveva trarre vantaggi considerevoli e che se questi, a volte, non ci furono, la colpa non può naturalmente
addebitarsi a Traiano alla cui amministrazione finanziaria è ingiusto fare risalire la causa della rovina dei
tempi posteriori.
TRAIANO E IL CRISTIANESIMO - LE GUERRE D'ORIENTE
TRAIANO viene ricordato come il primo imperatore che nel suo governo si occupasse del Cristianesimo,
sollecitato da PLINIO il giovane. Questi, dal settembre del 111 a tutto il gennaio del 113, in qualità di legato
imperiale tenne il governo della Bitinia e durante questo tempo fu in assidua corrispondenza epistolare con
Traiano che teneva continuamente informato dei suoi atti e a cui spesso domandava consigli sulla condotta
da tenere. In una delle sue lettere all'imperatore, sulla cui autenticità sono stati mossi dei dubbi, Plinio dava
informazioni a Traiano dello sviluppo del Cristianesimo in quella lontana provincia. La nuova religione aveva
quasi soppiantato il paganesimo; i templi degli dèi erano quasi deserti e un gran malcontento si era diffuso in
tutti coloro che vivevano dei culti pagani e nei loro fedeli, e accusavano i Cristiani di ogni delitto. Plinio aveva
fatto arrestare coloro che erano stati a lui denunciati e li aveva interrogati se fossero veramente seguaci
della nuova religione. Avutane risposta affermativa, era tornato ad interrogarli una seconda e una terza volta
minacciandoli di supplizio e a questo poi li aveva mandati perché persistevano nella loro affermazione.
Questa linea di condotta il governatore l'aveva seguita con i provinciali; mentre nei riguardi di coloro che
usufruivano del diritto di cittadinanza Plinio aveva stabilito di mandarli a Roma, ma lo aveva preoccupato il
gran numero dei denunciati. Parecchi di questi avevano negato di appartenere alla setta cristiana e in prova
avevano invocato gli antichi dèi, avevano sacrificato davanti all'ara dell' imperatore e, richiesti, avevano
rivolto ingiurie contro Cristo, altri avevano ingenuamente confessato che il loro delitto si riduceva alle lodi di
Cristo cantate insieme con altri fedeli. Plinio era convinto che non avevano serio fondamento le accuse
mosse contro i Cristiani e che non c'era nulla di male se predicavano la nuova religione, la quale, secondo
lui, altro non era che una superstitio prava et immodica. Tuttavia non sapendo pertanto come regolarsi,
chiedeva istruzioni all' imperatore ponendogli il quesito: "è il nome di cristiani che deve punirsi, oppure i
delitti che sotto questo nome si sospettano?".
Questo il problema che lo angustiava: come comportarsi nei confronti dei cristiani? Lo spirito giuridico
romano si ribellava al fatto di adottare sanzioni contro chi non avesse commesso specifici reati. Lo stesso
Plinio infatti dice che, dopo aver interrogato, anche sotto tortura, due schiave cristiane, "nihil aliud inveni
quam superstitionem pravam, immodicam" ("null'altro trovai all'infuori di una superstizione balorda e
squilibrata"). Il problema però di "far qualcosa" per frenare lo sviluppo del cristianesimo sussisteva; è sempre
Plinio che, nella medesima lettera, fa notare che il contagio di questa superstizione dilaga "neque civitates
tantum, sed vicos etiam atque agros" ("non solo nelle città, ma anche nei villaggi e nelle campagne").
Al quesito del suo legato Traiano rispondeva che le accuse anonime non dovevano in nessun caso essere
accettate, che i Cristiani non dovevano essere ricercati, e contro di essi si doveva procedere soltanto se
venivano denunciati e puniti se risultavano responsabili di qualche reato; se però sospettati e denunciati, ed
essi negavano e ne davano prova sacrificando agli dei dovevano essere assolti"
A tutto ciò si riduce la persecuzione dei Cristiani che dagli scrittori ecclesiastici
si attribuisce a Traiano; ma di una vera e propria persecuzione non si può parlare. Mancano le prove e la
risposta dell' imperatore a Plinio è anzi una prova dell' indulgenza di Traiano, il quale avrebbe potuto
ordinare lo sterminio dei Cristiani e invece si limitò a prendere verso di loro misure che in certo qual modo si
possono considerare come la loro salvezza.
Dell' indulgenza imperiale dovette fra gli stessi Cristiani perpetuarsi il ricordo: ne fa fede la leggenda, sorta
posteriormente, delle preghiere di Gregorio I, mercé le quali il giusto e caritatevole imperatore fu dall' Inferno
tratto al Paradiso, leggenda che a Dante diede materia di alta rappresentazione poetica e che spinse forse il
divino poeta a porre lo spirito di Traiano presso l'occhio fulgente dell'aquila imperiale nelle eteree e beate
regioni del terzo regno dell'oltretomba.
Verso la fine del 113 Traiano lasciò Roma e mosse verso l'Oriente. Ve lo spingeva l'eterna questione
dell'Armenia che Augusto e Tiberio avevano tentato di risolvere con le arti della politica. Cosroe, succeduto
nel 112 al fratello Pacoro II sul trono dei Parti, aveva spodestato il rè armeno Excidare sostituendolo col
proprio nipote Partomasiri. Si rendeva necessario l'intervento romano. Traiano avrebbe potuto abilmente
sfruttare la situazione difficile in cui si trovava Cosroe, al cui regno aspiravano Vologeso II e Mitridate VI, ma
egli era uomo di guerra e la questione la voleva risolvere con le armi. Per porre fine una volta per tutte alla
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stessa, secondo lui, non bisognava limitarsi alla conquista dell'Armenia, ma era necessario debellare i Parti,
gli irriducibili nemici dei Romani.
Traiano sognava di spingere le aquile dell'Impero oltre l'Eufrate e il Tigri, fino alle rive del golfo Persico e,
sulle orme di Alessandro Magno, più in là ancora, verso l'India lontana. A questo forse pensava quando
decise di far la guerra a Decebalo, col quale Pacoro II era stato in rapporti.
Si trovava ad Atene Traiano quando Cosroe gli mandò ricchissimi doni e ambasciatori pregandolo di volere
riconoscere come re d'Armenia Partomasiri; ma l'imperatore rifiutò i doni e gli rispose che gli avrebbe fatto
conoscere la sua volontà solo quando sarebbe arrivato sulle rive dell'Eufrate.
Era una dichiarazione di guerra. Da Antiochia, in cui si era recato, nella primavera del 114 alla testa di un
forte esercito, Traiano mosse verso l'Armenia. Invano Partomasiri cercò di opporsi con le armi all'invasore;
abbandonato dallo zio Cosroe al suo destino, si presentò al campo imperiale e depose ai piedi di Traiano la
corona nella speranza che fosse nominato rè. Traiano però dichiarò l'Armenia provincia romana. Non si sa
come, Partomasiri venne a morte e questa da qualche storico (Frontone) fu attribuita a Traiano, il quale però
non era capace di commettere una slealtà nè aveva bisogno di sopprimere un uomo che non gli poteva
essere di ostacolo nei disegni di conquista.
Per proteggere l'Armenia dai popoli vicini Traiano diede agli Albani un re amico dell' impero e nel settembre
del 114 passò in Mesopotamia. Era questa regione divisa in vari principati vassalli dei Parti. Il principe
dell'Osroene, quando Traiano comparve sotto le mura di Edessa, fece atto di sottomissione e l'imperatore gli
lasciò il trono; gli altri invece che vollero contrastare il passo alle legioni romane vennero combattuti, sconfitti
e spodestati.
Anche il principato assirico dell'Adiabene di cui era signore Mebarsape venne invaso da due colonne
imperiali, una delle quali al comando del legato Lucio Quieto s'impadronì senza combattimento della fiorente
città di Lingara, l'altra agli ordini dello stesso imperatore espugnò la capitale Nisibi. Questa parte conquistata
della Mesopotamia fu dichiarata provincia romana.
Dopo queste vittorie Traiano ritornò in Antiochia per prepararsi alla spedizione contro i Parti e vi rimase fino
ai primi mesi del 116. Nel dicembre del 115 un violento terremoto distrasse in parte la capitale della Siria i
cui danni vennero sollecitamente riparati per ordine dell'imperatore. Questi, nella primavera del 116,
attraversò di nuovo la Mesopotamia, con navi costruite dalle foreste di Nisibi passò il Tigri e assoggettò
completamente l'Adiabene; ripassato il Tigri, marciò su Babilonia ed occupatala puntò con l'esercito su
Ctesifonte, capitale del regno partico. All'avanzarsi del nemico, Cosroe fuggì verso la Media, la città cadde in
potere di Traiano e con essa una figlia del re e il trono d'oro. Come la Mesopotamia superiore così l'Assiria
divenne provincia romana (116).
Non contento di queste conquiste, Traiano, costeggiando il Tigri, scese verso il Golfo Persico, penetrò
nell'Emesene e il re Attampilo si fece tributario dell' impero.
Due grandi province aveva date a Roma Traiano e i Parti parevano fiaccati; ma la conquista non era sicura.
Colto di sorpresa e in mezzo alle discordie civili, il vasto reame partico coi suoi stati clienti aveva ceduto; ma,
subito dopo, le popolazioni, insofferenti del dominio straniero, insorsero.
Trovavasi Traiano a Babilonia quando gli giunse notizia che Seleucia si era ribellata, e che il suo esempio
era stato seguito da Nisibi, Edessa e dalle altre città della Mesopotamia superiore.
Traiano corse immediatamente ai ripari. Seleucia fu presa e data alle fiamme. La stessa sorte subirono per
opera di Lucio Quieto, Nisibi ed Edessa.
Ma la repressione per quanto violenta ed immediata non riuscì ad essere completa. Maggior tempo e forze
più numerose di quelle di cui disponeva Traiano occorrevano per mantener salde le conquiste.
Quando l'imperatore lo comprese l'imperatore, abbandonati i sogni di grandezza, cercò almeno di assicurare
con la politica i possessi ottenuti con le armi, incoronando a Ctesifonte rè dei Parti uno dei pretendenti al
trono: l'arsacide Partemaspate.
Poi Traiano prese la via del ritorno. Attraversando la Mesopotamia, assalì, per procurarsi acqua e foraggi, la
città fortificata di Atra, posta in mezzo al deserto, ma fu respinto e al suo fianco caddero un legato e
numerosi soldati della sua scorta. Traiano dovette abbandonare l'impresa.
Intanto tornava a scoppiare la rivolta: nella Palestina, a Cipro, in Egitto e nella Cirenaica si ribellarono gli
Ebrei, massacrando i Romani, i quali però ad Alessandria si vendicarono con una strage.
Ma altre notizie allarmanti giungevano dalla Mauritania, dalla Britannia e dalla frontiera del Danubio.
Ad Antiochia Traiano lasciò il comando dell'esercito: Maicro Turbone mandato a Cipro vi represse la rivolta;
Lucio Quieto ridotta all'obbedienza la Mesopotamia si avviava verso la Giudea. L'imperatore prese la via del
mare per fare ritorno a Roma; ma la sua fibra era stata fiaccata dall'età (64 anni) e dai disagi dell'ultima
guerra.
Ammalatesi, dovette approdare alle coste della Cilicia e nella prima decade dell'agosto del 117, a Selinunte,
morì.
Il suo impero era durato diciannove anni e mezzo.
Traiano non aveva prima di morire nominato nessuno suo successore, salvo aver donato l'anello ricevuto da
Nerva a un giovane ventenne che si era distinto nella guerra dacica, ma che si era già fatto notare quando
partì da Roma per la Germania per annunciare a Traiano la morte di Nerva. Poi sposando una pronipote del
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nuovo imperatore, i contatti furono più frequenti; ventiduenne Traiano se lo portò dietro nella prima e
seconda guerra dacica. Iniziò a nutrire del grande affetto per questo giovane, molto simile a lui, di maniere
semplici, frugalissimo, amante delle armi, coraggioso, audace, instancabile camminatore sotto qualsiasi
clima, stoico nei disagi delle guerre; tuttavia si distingueva da Traiano per il suo amore per le arti e le
lettere; si intendeva di filosofia, di musica, di pittura, di scultura, scriveva in prosa e in poesia in latino, ma
così amante del greco che era soprannominato il graeculus. Avanzando nella carriera era poi diventato
governatore della Siria.
Tante qualità e capacità, tante virtù, però nel frattempo era arrivato a 41 anni. Ma nessuna adozione era
arrivata da Traiano. Scrissero poi che lo fece sul letto di morte. Ma non esiste prova, salvo quella della
moglie PLOTINA, che nutriva anche lei un grande affetto per quest'uomo.
ADRIANO e l'impero di ADRIANO lo tratteremo nel successivo capitolo riassuntivo DAL 117 ALL 138 D.C
Fonti, citazioni, e testo
APPIANO - Storia Romana
CASSIO DIONE - Storia Romana
SVETONIO - Vita dei Cesari
CIACERI - Tacito Politico - UTET
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - GARZANTI
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
IGNAZIO CAZZANIGA ,
Storia della Letteratura Latina - ed. N. Accademia - 1962
WACHER -Storia del mondo romano - Laterza 1989
ARIES/DUBY -Dall'Impero Romano all'anno 1000 Laterza 1988
CHATEAUBRIAND -Discorsi sopra la caduta dell'Impero Romano Pirotta MI - 1836
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Giulio Frontino
Cenni biografici
Sesto Giulio Frontino nacque nel 35 d.C. circa. Se le notizie relative alla prima parte della sua vita
sono pressochè nulle, molte più quelle che raccogliamo sul suo cursus, a partire dal 70 quando fu
pretore: consul suffectus nel 74, legato in Britannia tra il 76 e il 78.
Nel 96-97, sotto Nerva, Frontino divenne curator aquarum; sotto Traiano, fu console nel 98 e nel
100. Morì intorno al 103-04.
Opere
Stratagemata.
In quattro libri. Composti tra l'83 e il 96 d.C., in un periodo di inattività politica che coincide
sostanzialmente con il regno di Domiziano. Rappresenta probabilmente l’evoluzione di un’opera
De re militari di Frontino per noi andata persa. Nonostante le intenzioni programmatiche, la
trattazione di Frontino non è sistematica e si configura semmai come una galleria di exempla, cioè
di situazioni paradigmatiche legate alla vita militare e alla conduzione della guerra.
Le osservazioni relative alla materia che danno titolo all’opera sono in realtà raccolte solo nei primi
tre libri; in particolare, nel primo libro, operazioni in fase di preparazione del combattimento, nel
secondo, operazioni realizzate nel corso del vero e proprio combattimento; nel terzo, episodi legati
all’assedio delle città.
Il quarto libro, che raccoglie esempi di decisioni assunte da grandi generali, è ritenuto da molti non
di Frontino.
De aquae ductu urbis Romae.
Composto tra il 97 nel 98 ca.
Nelle intenzioni programmatiche quello di voler fornire un manuale ben ordinato che possa servire
da strumento di consultazione per chiunque voglia rivestire la carica di curator aquarum. L’opera
stessa nasce quasi sicuramente come lavoro di documentazione propedeutica per l’incarico che
Frontino stesso ricoprì.
Agrimensura. I frammenti di un trattatello sono raccolti nel Corpus agrimensorum Romanorum.
Osservazioni
Testi e testimonianze
Mart., 10,58
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
Anxuris aequorei placidos, Frontine, recessus
Et propius Baias litoreamque domum,
Et quod inhumanae cancro fervente cicadae
Non novere nemus, flumineosque lacus
Dum colui, doctas tecum celebrare vacabat
Pieridas: nunc nos maxima Roma terit.
Hic mihi quando dies meus est? iactamur in alto
Urbis, et in sterili vita labore perit,
Dura suburbani dum iugera pascimus agri
Vicinosque tibi, sancte Quirine, lares.
Sed non solus amat qui nocte dieque frequentat
Limina, nec vatem talia damna decent.
Per veneranda mihi Musarum sacra, per omnes
Iuro deos: Et non officiosus amo.
F. D’Alessi © 2002
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Plin., 4,8,3
Mihi uero illud etiam gratulatione dignum uidetur, quod successi Iulio Frontino principi uiro, qui me
nominationis die per hos continuos annos inter sacerdotes nominabat, tamquam in locum suum cooptaret;
quod nunc euentus ita comprobauit, ut non fortuitum uideretur.
Mi pare anche di meritare le congratulazioni perchè succedo a Giulio Frontino, uomo preclaro, che nel giorno
delle nomine per molti anni mi propose per quel sacredozio, come a designarmi in luogo suo; il che è stato
ora comprovato dai fatti, sì da non apparire dovuto alla fortuna.
Plin., 5,1
Adhibui in consilium duos quos tunc ciuitas nostra spectatissimos habuit, Corellium et Frontinum. His
circumdatus in cubiculo meo sedi. Dixit Curianus quae pro se putabat. Respondi paucis ego neque enim
aderat alius, qui defunctae pudorem tueretur, deinde secessi, et ex consilii sententia 'Videtur' inquam,
'Curiane, mater tua iustas habuisse causas irascendi tibi.'
Plin., 9,19
Reprehendis quod iusserit, addis etiam melius rectiusque Frontinum, quod uetuerit omnino monumentum
sibi fieri, meque ad extremum quid de utroque sentiam consulis.
Age dum, hunc ipsum Frontinum in hoc ipso, in quo tibi parcior uidetur et pressior, comparemus. Vetuit
exstrui monumentum, sed quibus uerbis? 'Impensa monumenti superuacua est; memoria nostri durabit, si
uita meruimus.' An restrictius arbitraris per orbem terrarum legendum dare duraturam memoriam suam quam
uno in loco duobus uersiculis signare quod feceris? Quamquam non habeo propositum illum reprehendendi,
sed hunc tuendi; cuius quae potest apud te iustior esse defensio, quam ex collatione eius quem praetulisti?
Meo quidem iudicio neuter culpandus, quorum uterque ad gloriam pari cupiditate, diuerso itinere contendit,
alter dum expetit debitos titulos, alter dum mauult uideri contempsisse. Vale.
SHA, Ael.Lampr., Alex.Sev., 3,2
Nam in prima pueritia litteratores habuit Valerium Cordum et Titum Veturium et Aurelium Philippum libertum
patris, qui vitam eius postea in litteras misit, grammaticum in patria Gr<a>ecum Nehonem, rhetorem
Serapionem, filosophum Stilionem, Romae g<r>ammaticos Sca<u>rinum Scaurini filium, doctorem
celeberrimum, rhetores Iulium Frontinum et B<a>ebium Macrianum et Iulium Granianum, cuius hodieque
declamatae feruntur.
Tac., Agr., 17,3
Et Cerialis quidem alterius successoris curam famamque obruisset: subiit sustinuitque molem Iulius
Frontinus, vir magnus, quantum licebat, validamque et pugnacem Silurum gentem armis subegit, super
virtutem hostium locorum quoque difficultates eluctatus.
Tac., hist. 4,39
Kalendis Ianuariis in senatu, quem Iulius Frontinus praetor urbanus vocaverat, legatis exercitibusque ac
regibus laudes gratesque decretae; Tettio Iuliano praetura, tamquam transgredientem in partis Vespasiani
legionem deseruisset, ablata ut in Plotium Grypum transferretur; Hormo dignitas equestris data. et mox
eiurante Frontino Caesar Domitianus praeturam cepit. eius nomen epistulis edictisque praeponebatur, vis
penes Mucianum erat, nisi quod pleraque Domitianus instigantibus amicis aut propria libidine audebat.
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Traduzione Tacito.
Veget., de re mil., 2,3.
Cato ille Maior, cum et armis inuictis esset et consul exercitus saepeduxisset, plus se reipublicae credidit
profuturum, si disciplinam militarem conferret in litteras. Nam unius aetatis sunt quae fortiter fiunt; quae uero
pro utilitate reipublicae scribuntur aeterna sunt. Idem fecerunt alii conplures, sed praecipue Frontinus, diuo
Traiano ab eiusmodi conprobatus industria. Horum instituta, horum praecepta, in quantum ualeo,
strictimfideliterque signabo. Nam cum easdem expensas faciat et diligenter et neglegenter exercitus
ordinatus, non solum praesentibus, sed etiam futuris saeculis proficit, si prouisione maiestatis tuae,
imperator Auguste, et fortissima dispositio reparetur armorum et emendetur dissimulatio praecedentum.
Bibliografia
Stratagemata
ed. R.I. Ireland, Leipzig 1990
ed. G. Gundermann, Iuli Frontini 'Stratagematon' libri quatuor, Leipzig 1888.
ed. G. Bendz, Frontin, 'Krieglisten', Berlin 1963.
ed. F. Galli, Gli stratagemmi, Lecce, Argo - 1999
ed. Ch. Bennet, Mary B. McElwain, The Stratagems and the Aqueducts of Rome, London Cambridge Mass., Heinemann 19257
De aquaeductu urbis Romae, ed. Cezary Kunderewicz, 1998 (1973).
Les aqueducs de la ville de Rome, ed. P. Grimal. (1944) 19612.
Gli acquedotti di Roma, intr., trad. e note a cura di F. Galli, Lecce, Argo, 1997.
Gli acquedotti di Roma e il De aquaeductu di Frontino,: testo critico, tr. e comm. P. Pace, Roma:
Art Studio S. Eligio, 1986.
PHI
Strumenti
Frontini Index Curante J. Costas Rodriguez, Hildesheim 1985.
G. Bendz, Index verborum Frontinianus verba quae 'Stratagematis' continentur cuncta
complectens, Lund-Leipzig 1939.
Frontin, De aquaeductu urbis Romae: Concordance Documentation bibliographique, lexicale et
grammaticale. Edité par Empar Espinilla Buisán (GLUB, Université de Barcelona; CERLA,
Université de Caen). In prep.?
Studi
L.D. Reynolds, Texts and Transmission. A Survey of the latin Classics, Oxford 1983, p. 166-72
(M.D. Reeve e L.D. Reynolds).
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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ICCU
Evans, Harry B., Water distribution in ancient Rome: the evidence of Frontinus / Harry B. Evans, Ann Arbor:
The University of Michigan press, 1997
Costas Rodriguez, Jenaro, Frontini Index / curante Jenaro Costas Rodriguez, Hildesheim [etc.]: OlmsWeidmann, 1985, Alpha-omega. Reihe A, Lexika, Indizes,Konkordanzen zur klassischen Philologie
Pace, Pierantonio, Gli acquedotti di Roma e il De acquaeductu di Frontino: con il testo critico, versione e
commento / Pietrantonio Pace, Roma: Art studio S. Eligio, 1983
Gli acquedotti di Roma / Sesto Giulio Frontino; introduzione, traduzione e note a cura di Francesco Galli,
Lecce: Argo, [1997], Il vello d'oro
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Galli, Francesco <1938- >
Frontinus, Sextus Iulius, Sex. Iulii Frontini De aquaeductu urbis Romae / edidit Cezary Kunderewicz
Edizione: Ed. stereotypa ed. 1. (1973), Stuttgart; Leipzig, 1998, Bibliotheca scriptorum Graecorum et
RomanorumTeubneriana
Frontinus, Sextus Iulius, L' oeuvre gromatique / Frontin; texte traduit par O. Behrends ... [et al.]; avec le
concours de L. Capogrossi Colognesi ... [et al.], Luxembourg: Communautes europeennes, [1998]
Note Generali: In testa al front.: Commission des communautes europeennes, Action Cost G2 Paysages
antiques et structures rurales. Centre de recherches d'histoire ancienne et Institut Gaffiot, Institut des
sciences et des techniques de l'antiquite (Ista), Esa 6048 Cnrs.
Altri titoli collegati: [Altro documento correlato] Corpus agrimensorum romanorum 4. / Iulius Frontinus.
Gli stratagemmi / Sesto Gulio Frontino; introduzione, traduzione e note a cura di Francesco Galli, Lecce:
Argo, [1999], Il vello d'oro
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Strategemata / Iuli Frontini; recensuit Robert I. Ireland, Leipzig: B.G., 1990, Bibliotheca scriptorum
Graecorum et RomanorumTeubneriana
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
De aquaeductu urbis Romae / Frontino; edicion critica y traduccion por Tomas Gonzalez Rolan, Madrid:
Consejo Sueerior de Investigaciones Cientificas, 1985
Descrizione fisica: 1 v., Coleccion hispanica de autores griegos ylatinos / publicada por el Consjo superior
deinvestigaciones cientificas
Titolo uniforme: De aquaeductu Urbis Romae
Costas Rodriguez, Jenaro, Frontini Index / curante Jenaro Costas Rodriguez, Hildesheim [etc.]: OlmsWeidmann, 1985, Alpha-omega. Reihe A, Lexika, Indizes,Konkordanzen zur klassischen Philologie
Pace, Pietrantonio, Gli acquedotti di Roma e il De aquaeductu di Frontino: con testo critico versione e
commento / Pietrantonio Pace
Edizione: 2. ed, Roma: Art Studio S. Eligio, 1986
Frontinus, Sextus Iulius, Wasserversorgung im Antiken Rom / Sextus Iulius Frontinus; herausgegeber
Frontinus-Gesellschaft e. V
Edizione: 3. Auflage, Munchen; Wien, 1986
Frontinus, Sextus Iulius, Kriegslisten: lateinisch und deutch / Frontin; von Gerhard Bendz
Edizione: 3., unveranderte Aufl, Berlin: Akademie Verl., 1987, Schriften und Quellen der Alten Welt
Frontinus, Sextus Iulius, Wasserversorgung im antiken Rom / Sextus Iulius Frontinus; herausgeber:
Frontinus-Gesellschaft e. V
Edizione: 4. Aufl, Munchen; Wien, 1989
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Frontinus, Sextus Iulius, The stratagems; and The aqueducts of Rome / Frontinus; with an english translation
by Charles E. Bennett; the translation of The aqueducts being a revision of that of Clemens Herschel; edited
and prepared for the press by Mary B. McElwain, Cambridge, Mass., The Loeb classical library
Note Generali: Testo latino a fronte
Wasserversorgung im antiken Rom: Sextus Iulius Frontinus, curator aquarum / herausgeber, Frontinus
Gesellschaf
Edizione: 2. verbesserte Auflage, Munchen; Wien, 1983
Descrizione fisica: 1 v.: ill.
Frontinus, Sextus Iulius, Frontino: De agri mensura / Pedro Resina Sola, Granada: Universidad de Granada,
1983
Wasserversorgung im antiken Rom: Sextus Iulius Frintinus, curator aquarum / herausgeber, FrontinusGesellschaft e., Munchen; Wien, 1982
Note Generali: Contiene l'opera di Sesto Giulio Frontino "De aquaeductu urbis Romae" in latino con
traduzione in tedesco
Pace, Pierantonio, Gli acquedotti di Roma e il De acquaeductu di Frontino: con il testo critico, versione e
commento / Pietrantonio Pace, Roma: Art studio S. Eligio, 1983
Frontinus, Sextus Iulius, The stratagems; and The aqueducts of Rome / Frontinus; with an english translation
by Charles E. Bennett; the translation of The aqueducts being a revision of that of Clemens Herschel; edited
and prepared for the press by Mary B. McElwain, Cambridge, Mass., The Loeb classical library
Note Generali: Testo latino a fronte
Wasserversorgung im antiken Rom: Sextus Iulius Frontinus, curator aquarum / herausgeber, Frontinus
Gesellschaf
Edizione: 2. verbesserte Auflage, Munchen; Wien, 1983
Frontinus, Sextus Iulius, Frontino: De agri mensura / Pedro Resina Sola, Granada: Universidad de Granada,
1983
Wasserversorgung im antiken Rom: Sextus Iulius Frintinus, curator aquarum / herausgeber, FrontinusGesellschaft e., Munchen; Wien, 1982
Note Generali: Contiene l'opera di Sesto Giulio Frontino "De aquaeductu urbis Romae" in latino con
traduzione in tedesco
Frontinus, Sextus Iulius, De aquaeductu urbis Romae / Frontino; edicion critica y traduccion por Tomas
Gonzalez Rolan, Madrid: Consejo Sueerior de Investigaciones Cientificas, 1985, Coleccion hispanica de
autores griegos ylatinos / publicada por el Consjo superior deinvestigaciones cientificas
Costas Rodriguez, Jenaro, Frontini Index / curante Jenaro Costas Rodriguez, Hildesheim [etc.]: OlmsWeidmann, 1985, Alpha-omega. Reihe A, Lexika, Indizes,Konkordanzen zur klassischen Philologie
Pace, Pietrantonio, Gli acquedotti di Roma e il De aquaeductu di Frontino: con testo critico versione e
commento / Pietrantonio Pace
Edizione: 2. ed, Roma: Art Studio S. Eligio, 1986
Frontinus, Sextus Iulius, Wasserversorgung im Antiken Rom / Sextus Iulius Frontinus; herausgegeber
Frontinus-Gesellschaft e. V
Edizione: 3. Auflage, Munchen; Wien, 1986
Frontinus, Sextus Iulius, Frontin Kriegslisten / Lateinisch und Deutsch von Gerhard Bendz
Edizione: 2., durchgesehene Auflage, Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1978
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Titolo uniforme: Strategemata.
Pace, Pierantonio, Gli acquedotti di Roma e il De acquaeductu di Frontino: con il testo critico, versione e
commento / Pietrantonio Pace, Roma: Art studio S. Eligio, 1983
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Frontinus, Sextus Iulius, Kriegslisten: lateinisch und deutch / Frontin; von Gerhard Bendz
Edizione: 3., unveranderte Aufl, Berlin: Akademie Verl., 1987, Schriften und Quellen der Alten Welt
Frontinus, Sextus Iulius, Wasserversorgung im antiken Rom / Sextus Iulius Frontinus; herausgeber:
Frontinus-Gesellschaft e. V
Edizione: 4. Aufl, Munchen; Wien, 1989
Frontinus, Sextus Iulius, Sex. Iulii Frontini De aquaeductu urbis Romae / edidit Cezary Kunderewicz, Leipzig:
B. G. Teubner, 1973, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
Frontinus, Sextus Iulius, Frontin Kriegslisten: lateinisch und deutsch / von Gerhard Bendz, Berlin: Akademie,
1963, Schriften und Quellen der Alten Welt
Titolo uniforme: Strategemata
The stratagems; The aqueductus of Rome / [Sextus Julius Frontinus]; with an english translation by Charles
E. Bennet; ... revision of that of Clemens Herschel; edited and ... by Mary B. McElwain, London: Heinemann,
1961
The stratagems; and The aqueducts of Rome / Frontinus; with an English translation by Charles E. Bennett,
the translation of The aqueducts being a revision of that, Cambridge, Massachusetts
Descrizione fisica: 1 v. (paginazione varia); 17 cm., The Loeb classical library
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Frontinus, Sextus Iulius, Les aqueducts de la ville de Rome / Texte etabli, Trad. et commente par Pierre
Grimal
Edizione: 2. ed., Paris: Les Belles Lettres, 1961, Collection des universites de France
The stratagems and the aqueducts of Rome / Sextus Iulius Frontinus, London: Loeb, 1967
Les aqueducs de la ville de Rome / Frontin; texte etabli, traduit et commente par Pierre Grimal
Edizione: 2. ed, Paris: Les belles lettres, 1961, Collection des universites de France
Note Generali: Testo orig. a fronte.
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
The Stratagems and The Aqueducts of Rome / With an English transl. by Charles Edwin Bennett; The
translation of the Aqueducts being a revision of that of Clemens Herschel; Ed. and prepared ... by Mary B.
Mc Elvain, London: Heinemann, Mass., The Loeb classical library
Les aqueducs de la ville de Rome / Sextus Iulius Frontinus; texte itabli, traduit et commenti par Pierre
Grimal, Paris: Les belles lettres, 1961, Collection des universites de France
Note Generali: Con testo orig. a fronte
Frontinus, Sextus Iulius, The stratagems and the aqueducts of Rome / Frontinus; with an english translation
by Charles E. Bennett; the translation of the aqueducts being a revision of that of Clemens Herschel; ed. and
prepared for the press by Mary B. McElwain, London: William Heinemann, Massachusetts, The Loeb
classical library
Note Generali: Testo orig. a fronte
Frontinus, Sextus Julius, Les aqueducs de la ville de Rome / Frontin; texte etabli, traduit et commente par
Pierre Grimal, Paris: Les Belles Lettres, 1944, Collection des universites de France
Note Generali: Testo a fronte.
Frontinus, Sextus Iulius, Les aqueducs de la ville de Rome / Frontin; texte etabli, traduit et commente par
Pierre Grimal, Paris: Les belles Lettres, 1944, Collection des universites de France
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Bendz, Gerhard, Index verborum Frontinianus: verba quae Strategematibus continentur cuncta complectens
/ confecit Gerhard Bendz, Lundae: Gleerup, 1939, Lunds Universitets Arsskrift. N.F
Iulii Frontini De aquaeductu urbis Romae commentarius / edidit F. Krohn, Lipsiae: In aedibus Teubneri,
1922, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Frontinus, Sextus Iulius, Gli stratagemmi: Traduzione di Roberto Ponzio Vaglia, Milano: Casa Ed. Sonzogno,
1919, Matarelli, Biblioteca universale
Frontinus, Sextus Iulius, Iuli Frontini Strategematon libri 4 / edidit Gottholdus Gundermann, Lipsiae: in
aedibus B.G. Teubneri, 1888, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
Titolo uniforme: Strategemata
Gundermann, Gotthold
Ammianus Marcellinus, Ammien Marcellin, Jornandes, Frontin (Les stratagemes), Vegece, Modestus: avec
la traduction en francais / publiee sous la direction de M. Nisard, Paris: Firmin-Didot, 1885, Collection des
auteurs latins avec latraduction francais
Nomi: Ammianus Marcellinus
Iordanes: Gothus
Frontinus, Sextus Iulius
Modestus
Vegetius Renatus, Flavius
Nisard, M.
Frontinus, Sextus Iulius, The two books on the water supply of the city of Rome of Sextus Julius Frontinus,
water commissioner of the city of Rome, A.D. 97 / a photographic reproduction of the sole original Latin
manuscript, and its reprint in Latin; also a translation into English, and explanatory chapters by Clemens
Herschel, Boston: Dana Estes, c1899
Titolo uniforme: De aquis urbis Romae
Nomi: Frontinus, Sextus Iulius
Herschel, Clemens <1842-1930>
Opere di Sesto Giulio Frontino, Venezia: G. Antonelli, 1855, Biblioteca degli scrittori latini
Testo orig. a fronte.
Frontinus, Sextus Iulius, Sex. Iulii Frontini Strategematicon libri quattuor; eiusdem De aquae ductibus urbis
Romae liber / ad optimorum librorum fidem recensuit Andreas Dederich, Lipsiae: Sumptibus et typis B. G.
Teubneri, 1855, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
"Frontino¸ Sesto Giulio - Castaldi",
Sesto Giulio Frontino
(30 ca – 103/4 d.C.)
Governatore della Britannia (74-78) e curatore delle acque di Roma (97), si occupò, per scopi pratici e in uno
stile di efficace semplicità (ma con limitate ambizioni letterarie: si tratta di opere del tipo "Commentarii"), di
agrimensura (dell’opera, in 2 libri, abbiamo estratti), di idraulica (i 2 libri del "De aquis urbis Romae", buona e
concreta trattazione), tecnica militare e strategia (i 4 libri degli "Strategemata"), esempi appunto di
stratagemmi, tratti dalla storia greco-romana, per battaglie ed assedi: ma l’informazione è generica e frutto di
compilazione non sempre puntuale.
"Frontino¸ Sesto Giulio - Corso",
Sextus Iulius Frontinus.
Sesto Giulio Frontino (35 ca. - 104 ca. dopo Cristo) svolse la sua carriera politica sotto i Flavi e Traiano e
compose diverse opere di carattere tecnico. Di un trattato di agrimensura (Gromatica) ci restano solo estratti.
Completi ci sono arrivati invece i De aquaeductu Urbis Romae libri II, un trattato ricco di preziose
informazioni sugli acquedotti di Roma.
Sotto il titolo di Stratagemata è stata tramandata una raccolta di brevi brani che ricordano stratagemmi e
astuzie militari; l'opera appare alterata almeno in parte e forse corrisponde alla redazione postuma di un
originale perduto.
"Frontino¸ Sesto Giulio - Treccani"
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Frontino Sesto Giulio. Scrittore di questioni tecniche, che partecipò, anche alle attività della vita pubblica nel I
secolo dell'impero romano. Nacque fra il 30 e il 40 d.C. Nel 70 occupò la carica di pretore urbano e
successivamente quella di console. Sotto l'impero di Domiziano fu nuovamente console, e a quel periodo
rimontano un suo trattato gromatico (v. Groma) e alcuni scritti di carattere militare che sono andati perduti.
Non appare chiaro se l'opera Strategemata, che ci è pervenuta, facesse parte di un trattato intitolato De re
militari: si tratta di una raccolta di accorgimenti usati da antichi generali. Il valore dello scritto è assai
modesto. Di gran lunga più importanti sono i due libri De aquae dictu urbis Romae, nei quali F. ci ha
tramandato notizie degli acquedotti di Roma: è un'opera ricca di preziose informazioni, frutto di diretta
esperienza in quanto nel 97, sotto Nerva, egli fu curator aquarum.
nulla Encarta
Frontino - Riposati
Anche Frontíno ebbe larga parte nella vita pubblica: fu console e governatore della Britannia, curator
aquarum dell'Urbe sotto Nerva. Come scrittore, si interessò di agrimensura nei due Libri Gromatlci
(possediamo alcuni passi frettolosamente riassunti dalla tradizione), e di storia della tecnica militare, negli
Strategemata. Qui raccoglie ed illustra in tre momenti diversi, corrispondenti ai tre libri in cui ltoperetta è
divisa, esempi di mezzi ed espedienti, "stratagem mi ", a cui l'ingegno del soldato ricorre prima, durante,
dopo la battaglia. Frontino si awale soprattutto della storiografia romana per questa esemplificazione pratica.
Piú tardi, sotto Nerva, da cui ebbe la magistratura delle acque, prese a scrivere i due libri De aquaeductu
Urbis Romae, che, accanto al De architectura di Vitruvio, è una tra le poche opere tecniche romane con
caratteri propri di chiarezza, perspicuità ed ordine espositivo.
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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M. Fabio Quintiliano
Cenni biografici
Nacque intorno 35 d.C. a Calagurris, nella Spagna settentrionale, da un maestro di retorica.
A Roma fu discepolo del grammatico Remmio Palemone e di Domizio Afro, prima della morte di
questi, avvenuta nel 59. E’ probabile che completati gli studi nella capitale abbia fatto rientro in
Spagna e lì abbia esercitato l’attività forense fino a quando non venne chiamato da Galba a Roma,
intorno al 68.
Notevole il prestigio raggiunto nella capitale come maestro; tra i suoi alunni ci furono, tra altri,
Tacito e Plinio il Giovane.
Fu il primo retore a ricevere uno stipendio dallo Stato; nel 78 l’imperatore Vespasiano gli affidò una
cattedra con uno stipendio di 100.000 sesterzi all’anno. Venne anche nominato tutore degli eredi di
Domiziano. Dall’insegnamento pubblico si allontanò nell’88. La composizione dell’opera maggiore
va collocata tra il 93 e la morte dell’autore, la sua pubblicazione ca. il 96
Morì dopo il 95 d.C.
Opere
Institutio oratoria. In dodici libri, l’opera è dedicata al retore Vitorio Marcello.
Libri I-II
Si occupano delle questioni pedagogiche e didattiche di base.
Libri III-IX
Contengono la trattazione teorica della retorica.
Libro X
Edicato alla facilitas, alla disinvoltura cioè dell’esposizione e ai mezzi per acquisirla, in primis
attraverso la lettura di buoni modelli.
Libro XI
Riservato alle tecniche di memorizzazione e al gestus, quindi alla gestualità e al portamento.
Libro XII
Requisiti culturali e morali richiesti all’oratore. Rapporti tra oratore e principe.
Prima dell'Institutio Quintiliano aveva pubblicato un trattato de causis corruptae eloquentiae (cf.
inst. 6,pr.3 e 8,6,76.).
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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A Quintiliano vengono attribuite due raccolte di declamazioni; dubbi notevoli sull'autenticità,
soprattutto per quanto riguarda le 19 cosiddette declamationes maiores. Tra il I e il II secolo
sarebbe andato concretandosi il corpus delle declamationes minores: tra le 145 che attualmente ci
restano, rispetto alle originarie 388, forse qualcuna potrebbe essere di Quintiliano o almeno di
scuola quintilianea.
Osservazioni
Testi e testimonianze
Hier., chron., ol. 212
M. Fabius Quinctilianus Romam a Galba perducitur.
Hier., chron., 215-16
Quinctilianus ex Hispania Calaguritanus, qui primus Romae publicam scholam et salarium e fisco accepit,
claruit.
Quint., inst., 6,pr. 3 (sta parlando della morte del figlio)
Nam ita forte accidit ut eum quoque librum quem de causis corruptae eloquentiae emisi iam scribere
adgressus ictu simili ferirer. Vnum igitur optimum fuit, infaustum opus et quidquid hoc est in me infelicium
litterarum super inmaturum funus consumpturis uiscera mea flammis inicere neque hanc impiam uiuacitatem
nouis insuper curis fatigare.
3. Ora che dovrei fare? In quale ulteriore senso della mia vita dovrei credere, se ho contro l'ostilità
degli dèi? Me lo chiedo perché casualmente accadde che venissi colpito da una sventura analoga
anche quando già aveva avuto inizio la composizione del libro che ho poi pubblicato sulle cause
della decadenza dell'oratoria.7 L'unica reazione davvero giusta sarebbe dunque stata che gettassi
l'opera infausta e qualunque mia infelice pretesa letteraria su quel rogo prematuro, alle fiamme in
procinto di consumare la carne della mia carne, senza più logorare di nuove, ulteriori
preoccupazioni questa sacrilega sopravvivenza.
Quint., inst., 8,6,76
Tum est hyperbole uirtus cum res ipsa de qua loquendum est naturalem modum excessit: conceditur enim
amplius dicere, quia dici quantum est non potest, meliusque ultra quam citra stat oratio. Sed de hoc satis,
quia eundem locum plenius in eo libro quo causas corruptae eloquentiae reddebamus tractauimus.
75. Inoltre l'iperbole è di uso comune anche tra gli ignoranti e tra gli zotici, evidentemente perché in
tutti è naturalmente insito il desiderio di amplificare o di attenuare, e nessuno si accontenta della
verità. Ma si viene perdonati perché non facciamo un'affermazione. 76. L'iperbole è un pregio
quando l'oggetto stesso del discorso ha superato i limiti naturali. Infatti è concesso di dire di più
perché non si può dire quanto grande esso sia, ed è meglio che le nostre parole vadano oltre la
realtà piuttosto che rimangano al disotto di essa. Ma in proposito si è detto a sufficienza perché
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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abbiamo trattato più ampiamente lo stesso argomento nel libro in cui spiegavamo le ragioni della
degenerazione dell'eloquenza.
Hier., (chr., 68 d.C.?).
Quintilianus ex Hispania Calagurritanus primus Romae publicam scholam et salarium e fisco accepit et
claruit.
Controllo testo e riferimento
Mart., 2, 90
Quintiliane, vagae moderator summe iuventae,
Gloria Romanae, Quintiliane, togae,
Vivere quod propero pauper nec inutilis annis,
Da veniam: properat vivere nemo satis.
Differat hoc, patrios optat qui vincere census
Atriaque inmodicis artat imaginibus.
Me focus et nigros non indignantia fumos
Tecta iuvant et fons vivos et herba rudis.
Sit mihi verna satur, sit non doctissima coniunx,
Sit nox cum somno, sit sine lite dies.
O Quintiliano, sommo educatore della gioventù volubile,
gloria dell'eloquenza romana, perdonami se,
anche se sono povero e non inutile per la mia età, ho fretta
di godermi la vita: nessuno ha abbastanza fretta di farlo.
Non abbia fretta chi spera di accrescere la ricchezza paterna
e rende l'atrio più piccolo mettendo statue sempre più grandi:
a me basta un focolare, un tetto che non si lamenta del fumo
che lo annerisce, una fonte vivace, un prato non lavorato.
Io vorrei uno schiavo sazio, una moglie non troppo geniale,
una notte piena di sonno, un giorno senza liti da tribunale.
Trad. Simone Beta, Milano, Mondadori, 1995.
Iuv., 7, 186-98. La fama e le quotazioni di Quintiliano come insegnante
Hos inter sumptus sestertia Quintiliano,
ut multum, duo sufficient: res nulla minoris
constabit patri quam filius. 'unde igitur tot
Quintilianus habet saltus?' exempla nouorum
fatorum transi. felix et pulcher et acer,
felix et sapiens et nobilis et generosus
adpositam nigrae lunam subtexit alutae,
felix orator quoque maximus et iaculator
et, si perfrixit, cantat bene. distat enim quae
sidera te excipiant modo primos incipientem
edere uagitus et adhuc a matre rubentem.
si Fortuna uolet, fies de rhetore consul;
si uolet haec eadem, fiet de consule rhetor.
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In mezzo a queste spese, per Quintiliano basteranno, a stimarlo generosamente, duemila sesterzi:
nulla costerà al padre meno di quanto gli costa il figlio - « Allora, da dove Quintiliano ha tante terre
da pascolo? » - Lascia da parte esempi di destini, mai prima visti: chi è destinato al successo, è
bello, è intelligente; chi è destinato al successo, è saggio e nobile e di buona razza, si è piegato a
legare alla lunetta lì a fianco i legacci di fine cuoio nero; chi è destinato al successo, è anche
ottimo come oratore e come lanciatore di giavellotto... anche se si è raffreddato, canta bene! fa
differenza infatti quali costenazioni ti accolgano appena cominci a mandare fuori i primi vagiti e sei
ancora rosso dei sangue di tua madre! se la Fortuna lo vorrà, da maestro di retorica, diventerà
console; se costei all'incontro lo vorrà, da console diventerà maestro di retorica.
Trad. Giovanni Viansino, Milano 1990.
Plin., 2,14,9
Ita certe ex Quintiliano praeceptore meo audisse me memini.
Quint., 10, 1, 85-131
[85] Lo stesso ordine ci conviene seguire anche per gli scrittori romani. In tal modo, come tra i Greci è
Omero il primo, così tra noi non si potrebbe dare inizio all'elenco nel modo migliore che con Virgilio, che
indubbiamente è, di tutti i poeti greci e nostri, il più vicino. [86] Mi servirò, per dimostrare tanto, delle stesse
parole che da giovane ascoltai da Domizio Afro. Quando gli chiesi, chi credeva si avvicinasse più degli altri
ad Omero, mi rispose: "Virgilio è secondo, ma più vicino al primo che al terzo". E, per Ercole, se davanti al
Greco dobbiamo farci indietro in considerazione della sua natura divina ed immortale, è altrettanto vero che
in Virgilio c'è più cura e diligenza, appunto perché egli dovette affaticarsi di più: ne consegue che, quanto
perdiamo nel confronto della sublimità, tanto riguadagriamo sotto il profilo dell'eccellenza uniforme. Tutti gli
altri seguono a lunga distanza. [87] Macro, ad esempio, e Lucrezio debbono, sì, essere letti, ma non per
costituire modelli di phrásis, cioè dell'elocuzione: eleganti ognuno nel suo campo, sono l'uno troppo
modesto, l'altro piuttosto inaccessibile. Atacino Varrone, interprete altrui nell'opera che gli assicurò fama, non
è certo da buttar via, ma ha pochi mezzi per arricchire il corredo oratorio. [88] Ad Ennio dobbiamo
venerazione, come la si deve ai boschi sacri per antichità, nei quali gli alberi maestosi e vecchissimi non
hanno tanta bellezza, quanta religiosità". Più vicini e più utili a far conseguire la perfezione di cui parliamo
sono altri scrittori. Ovidio, che è manierato anche nella sua opera in esametri e troppo indulge al suo talento,
è, ciononostante, da lodare in alcune parti. [89] Cornelio Severo, anche (se) è miglior versificatore che
poeta, se tuttavia, come si è detto, avesse completato il Bellum Siculum a somiglianza di quanto aveva fatto
nel primo libro, potrebbe chiedere a ragione per sé il secondo posto. La morte precoce non permise a
Serrano di perfezionarsi, ma le sue opere giovanili rivelano un grandissimo temperamento e una buona
disposizione alla poesia, particolarmente ammirevole in una persona di quell'età. [90] Molto, or non è guari,
abbiamo perduto con la scomparsa di Valerio Flacco. Indole ardente e poetica fu quella di Saleio Basso, né
pur essa poté maturarsi con la vecchiaia. Rabirio e Pedone val la pena conoscerli, se si ha tempo libero.
Lucano è poeta appassionato e veemente, luminoso nei pensieri e, per dire quel che penso, modello più per
gli oratori che per i poeti. [91] Abbiamo fatto i nomi di questi, e non di Germanico Augusto, perché la cura del
governo del mondo lo distolse dalla passione per la poesia e agli dèi parve essere ben poco che fosse il più
grande tra i poeti. Tuttavia, delle sue opere, cui da giovane si era dedicato dopo aver rinunziato per la sua
parte all'impero, che si può pensare di più alto, di più dotto, di più eccellente, insomma, sotto ogni riguardo?
Chi avrebbe saputo cantare le guerre meglio di chi così sa condurle? Qual poeta le dee che presiedono alla
poesia avrebbero ascoltato con più affettuoso favore? A chi, più che a lui, avrebbe potuto Minerva schiudere
il favore della sua intimità? [92] Queste cose meglio diranno i secoli venturi, perché ora codesto elogio è
offuscato dallo splendore delle altre virtù.
Avrai perciò la bontà, o Cesare, di permettere che noi, cultori della santità degli studi, non passiamo sotto
silenzio questa tua gloria e almeno ne facciamo testimonianza col verso di Virgilio:
con gli allori dei trionfi s'intreccia per te l'edera della poesia.
[93] Anche nell'elegia possiamo competere da pari a pari con i Greci: il poeta più nitido ed aggraziato del
genere a me are Tibullo; ma c'è chi preferisce Properzio. Dell'uno e dell'altro più manierato è Ovidio, così
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come meno disinvolto è Gallo. Certamente tutta nostra è la satira, in cui Lucilio, che per primo vi acquistò
rinomanza, ha tuttora degli estimatori così devoti, che non esitano a preferirlo non solo agli scrittori di satire,
ma a tutti i poeti. [94] Per conto mio, quanto da costoro, tanto dissento da Orazio, il quale crede che Lucilio
scorra "limaccioso" e che "c'è qualcosa che si potrebbe toglierne ". Infatti egli è meravigliosamente colto,
ricco di spiriti liberi e perciò pungente ed abbastanza arguto. Molto più limpido e puro è Orazio e - non credo
di ingannarmi per troppa simpatia - senz'altro il più importante dei poeti satirici. Grande e meritata fama ha
conseguito Persio, pur con un solo libro di satire.
E ce ne sono altri oggi illustri e che saranno in avvenire ricordati. [95] Dell'altro genere di satira, più antico e
non caratterizzato soltanto dalla varietà dei metri, fu scrittore Terenzio Varrone, l'uomo più erudito dei
Romani. Egli compose numerosissime e dottissime opere e fu conoscitore profondo della lingua latina e, in
ogni senso, di antiquariato, relativo sia al mondo greco che a quello romano: ma il suo contributo era
destinato più all'erudizione che alla eloquenza. [96] Il giambo non è stato coltivato dai Romani come forma di
poesia indigena, (ma) è stato inserito in certi altri contesti poetici: la sua mordace asprezza si può trovare in
Catullo, in Bibaculo, in Orazio, pur se da quest'ultimo viene interposto l'epodo. Dei lirici, invece, forse il solo
Orazio è degno di esser letto: perché talora si innalza nel tono ed è pieno di giocondità ed eleganza e vario
nelle figure e felice novatore di termini. Se vuoi aggiungere qualche altro lirico, egli sarà quel Cesio Basso,
che or ora abbiamo conosciuto: ma alla lontana lo precedono altri poeti viventi.
[97] Tra gli antichi scrittori di tragedie, illustrissimi sono Accio e Pacuvio per gravità di pensieri, per
consistenza e solennità di stile, per maestà di caratteri. Del resto l'eleganza della forma e il lavoro di rifinitura
nell'elaborare le loro opere possono essere attribuiti più ai tempi che a loro stessi: tuttavia, ad Accio si
concede più vigore, mentre quelli che vogliono sembrare dotti ad ogni costo sostengono che Pacuvio sia
stato più dotto. [98] Il Tieste di Vario certo può competere con qualsiasi tragedia greca. La Medea di Ovidio
mi pare che mostri quanto questo scrittore avrebbe potuto eccellere, se avesse preferito controllare il suo
talento che lasciarlo sbrigliato. Dei miei contemporanei, di gran lunga il migliore è Pompenio Secondo, del
quale i vecchi, che lo consideravano poco tragico, riconoscevano però il primato per dottrina ed eleganza.
[99] Dove zoppichiamo davvero, è nella commedia, anche se Varrone, sulle orme di Elio Stilone, dichiara
che "le Muse avrebbero parlato con la lingua di Plauto, se volessero espriniersi in Latino", anche se gli
antichi lodano Ceciilio e le commedie di Terenzio sono attribuite a Scipione Africano (si tratta, però, di lavori
molto eleganti in questo genere e destinati ad aver maggior successo, se fossero stati composti solo in
trimetri): [100] la verità è che noi con l'imitazione riusciamo a ritrarre solo l'ombra della commedia, al punto
che la lingua latina non mi sembra esser capace di quella venustà concessa solo ai Greci, i quali, del resto,
non la raggiunsero neppure in altre forme della loro lingua. Nelle " togate " eccelle Afranio, e magari egli non
avesse macchiato i suoi soggetti di oscenità, portando sulla scena turpi amori puerili e rivelando così la sua
indole!
[101] Nella storiografia, invece, non siamo inferiori ai Greci. Né esiterei ad opporre Sallustio a Tucidide, né
Erodoto potrebbe avere a sdegno che gli sia uguagliato Tito Livio, che non solo è scrittore
meravigliosamente piacevole e di luminosissima eleganza, quanto anche si esprime, nei discorsi, con una
efficacia e dignità superiori ad ogni descrizione: così tutto quel che è detto è acconcio sia alle situazioni sia
ai personaggi: per dirla in breve, quanto agli affetti - e particolarmente a quelli più miti - nessuno degli storici
seppe renderli in maniera più appropriata. [102] Per questo egli pareggiò con virtù diverse la divina efficacia
di Sallustio. Mi pare, in proposito, che egregiamente Servilio Noniano abbia detto che essi sono più di pari
valore che somiglianti: io lo udii personalmente, ed era uomo di chiaro ingegno e concettoso, ma meno
sobrio di quanto non richieda l'austerità della storia; [103] della quale diede, invece, prova egregia nel
genere storico e soprattutto nei libri del Bellum Germanicum Aufidio Basso", di lui un po' più giovane, che è
autore accettabile per ogni rispetto, ma in taluni punti inferiore in forze al suo còmpito. [104] Ancor oggi è
vivo ed è ornamento dei nostri tempi un uomo degno di gloria eterna, per il quale basta per ora un accenno
indiretto, e che in avvenire avrà chiarissima fama. Ha dei seguaci - e non a torto - lo spirito libero di
Cremuzio Cordo, pur se egli "tagliò" dalle sue storie quanto gli aveva nuociuto di aver detto: ma anche in
quel che ne resta puoi cogliere la nobiltà dell'ispirazione e l'audacia dei pensieri. Altri buoni scrittori non
mancano, ma noi tocchiamo di sfuggita i generi, non rispolveriamo biblioteche.
[105] Gli oratori, invece, sono in grado, più degli altri, di eguagliare l'eloquenza latina alla greca: difatti potrei
tranquillamente opporre Cicerone a qualsivoglia di loro. lo so bene quale vespaio mi susciti contro, tenuto
conto specialmente che non è mia intenzione paragonarlo a Demostene in questo momento: né, a dire la
verità, queste critiche sono pertinenti, dal momento che io credo doversi Demostene leggere prima degli
altri, se non addirittura imparare a memoria. [106] Per quel che riguarda la maggior parte dei loro pregi, io
credo che simili siano in loro i propositi, l'ordine, la maniera di dividere, di preparare e di provare, e insomma
tutte le parti dell'invenzione. Una certa diversità è nei loro stili: più concettoso Demostene, più copioso
Cicerone; il primo conclude in modo più serrato, il secondo con maggior compiutezza, quello è sempre
pronto a colpire di punta, questo combatte con colpi frequenti che lasciano il segno, lì nulla puoi togliere, qui
nulla aggiungere, l'uno è più circospetto, l'altro più istintivo. [107] Nelle arguzie e nel suscitar pietà - che sono
i mezzi più efficaci per gli affetti - siamo certamente superiori noi. E forse la consuetudine patria impedì a
Demostene di usare gli epiloghi, ma il carattere diverso della lingua latina non ci permetterebbe le sue
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peculiarità di stile, così ammirate dagli Attici. Quanto alle lettere, che abbiamo dell'uno e dell'altro, e ai
dialoghi, che Demostene non scrisse affatto, nessun confronto è possibile. [108] Per la verità, se in un punto
bisogna cedere, è nel fatto che Demostene precedette Cicerone nel tempo e che in gran parte contribuì a
renderlo tanto grande quanto è. In sostanza a me pare che Marco Tullio, dedicatosi completamente e di
proposito ad imitare i Greci, abbia assimilato e riprodotto la vigoria di Demostene, la copia di Platone, la
piacevolezza di Isocrate. [109] Né per altro egli si limitò soltanto ad imitare con lo studio quel che di meglio
era in ciascuno dei predetti oratori, ma la ricchissima vena del suo divino talento riuscì ad esprimere da sé
stessa moltissime, per non dire tutte le virtù dell'eloquenza. Egli, infatti, "non raccoglie", come dice Pindaro,
"le acque piovane, ma di linfa fresca e genuina trabocca ", generato per dono divino della Provvidenza, che
volle in lui sperimentare tutte le possibilità dell'oratoria. [110] Chi saprebbe, infatti, informare più
accuratamente, chi commuovere con più impeto? Chi mai fu tanto amabile? sì che crederesti che quanto egli
ottiene con la forza l'abbia ottenuto con preghiere, e sebbene si tiri dietro il giudice dove vuole, pare che
questi non sia trascinato, ma lo segua spontaneamente. [111] E poi tutto quello che dice è così autorevole,
che si prova vergogna a contraddirlo, né egli persuade col suo zelo di avvocato, ma facendo apparire
attendibile il testimone e acquistandosi il credito del giudice: e, intanto, tutte queste virtù, che altri potrebbe
conseguire a stento singolarmente e col massimo impegno, vengono fuori senza sforzo; e la sua eloquenza,
incomparabile per bellezza, mostra chiaramente una divina facilità di espressione. [112] Perciò, ben a
ragione i suoi contemporanei dissero che egli era il re dei tribunali, e presso i posteri col nome di Cicerone si
identificò non un uomo, ma l'eloquenza stessa. A lui, dunque, guardiamo, sia lui il modello da tener presente,
sappia di aver profittato colui, al quale Cicerone piacerà incondizionatamente. [113] Molta è l'inventiva in
Asinio Pollione, estrema la sua accuratezza, talché a certuni sembra addirittura eccessiva, e bastanti sono il
suo equilibrio e il suo spirito: ma egli è così lontano dalla limpida piacevolezza di Cicerone, da sembrare che
sia vissuto un secolo prima. Messala, invece, è oratore terso e schietto, conferma nel suo eloquio la nobiltà
della sua fami ia, ma è inferiore in forze. [114] Caio Cesare, al contrario, se si fosse dato soltanto all'attività
oratoria, sarebbe stato l'unico da contrapporre a Cicerone: tanta è la sua vigoria, tale è la sottigliezza del suo
ingegno, tale il suo impeto, che egli pare abbia pronunziato i discorsi con lo stesso animo con cui
guerreggiò: e, ad abbellire il tutto, si aggiunge quella meravigliosa eleganza di linguaggio, alla quale
particolarmente mirò. [115] Gran talento quello di Celio e, in particolare, notevole è la sua urbanità
nell'accusare: egli meritava davvero di esser miglior pensatore e di vivere più a lungo. Ho conosciuto chi ha
preferito Calvo a tutti gli altri, ho conosciuto persone disposte a credere che egli per la critica troppo severa
verso sé stesso si sia dissanguato, ma il suo stile è nobile e solenne e contenuto e spesso anche pieno
d'impeto. Egli imitò gli Attici e la sua morte prematura gli fece torto, se qualcosa egli intendeva aggiungere,
non togliere alla propria eleganza. [116] Anche Servio SulpiCio meritò giusta fama per le sue tre orazioni. Se
letto con molto discernimento, offrirà molto all'imitazione Cassio Severo, il quale, se agli altri suoi pregi
avesse aggiunto colorito e gravità, sarebbe da porre tra gli oratori più importanti. [117] Difatti egli ha
moltissimo talento, eccezionale mordacità di spirito e urbanità e tendenza alla conversazione, ma concesse
più alla bile che alla ragione. Oltre a ciò, come le sue arguzie sono amare, sovente la sua mordacità è
addirittura ridicola. [118] Ci sono molti altri valenti oratori, che mi sarebbe lungo enumerare tutti. Di quelli che
ho conosciuto io, di gran lunga i più insigni sono Domizio Afro e Giulio Africano: il primo da preferire sia per
l'abilità linguistica che per ogni aspetto dell'eloquenza e tale da poter senza timore essere inserito tra gli
oratori d'altri tempi: il secondo più veemente, ma eccessivamente accurato, talvolta troppo prolisso nella
composizione e poco moderato nell'uso dei traslati. [119] C'erano, fino a poco tempo fa, dei talenti notevoli,
ad esempio Tracalo che fu, generalmente, oratore di stile elevato e abbastanza perspicuo e tale che avresti
creduto mirasse alla perfezione; tuttavia egli riuscirà migliore all'ascolto che alla lettura: infatti ebbe, come
nessun altro da me conosciuto, voce magnifica e una pronunzia così chiara, che gli avrebbe permesso di
essere persino un attore, e dignità e insomma tutte le virtù esteriori dell'avvocato; e Vibio Crispo, misurato,
piacevole, nato per dilettare e tuttavia miglior avvocato di cause private che pubbliche. [120] Se a Giulio
Secondo fosse toccato di vivere più a lungo, certo il suo nome avrebbe avuto chiarissima fama tra i posteri:
perché egli avrebbe aggiunto, come andava aggiungendo, alle altre sue virtù ciò di cui si può notare in lui la
mancanza, cioè che fosse molto più battagliero e volgesse più di frequente lo sguardo dalle preoccupazioni
stilistiche alla sostanza dei fatti:
[121] per altro, pur prematuramente scomparso, egli rivendica a sé stesso un posto notevole: tale è la sua
facondia, sì grande è il suo garbo nel chiarire quel che vuole, così limpido e armonioso ed espressivo è il
suo stile; tanta è la proprietà anche degli epiteti ornanti, tanta l'evidenza dell'espressione anche nelle
locuzioni ardite. [122] I futuri storiografi dell'eloquenza avranno ampia materia per lodare con sincerità gli
oratori ora in auge: perché oggi non mancano talenti che dànno lustro al foro. Ci sono degli avvocati già
eccellenti in grado di emulare gli antichi, e ci sono dei giovani, i quali aspirano all'eccellenza, che li imitano e
li prendono con molto zelo a modello.
[123] Restano da trattare coloro che scrissero di filosofia, nel qual genere letterario fino ad oggi la letteratura
di Roma ha creato ben pochi perfetti scrittori. Va segnalato, dunque, anche qui Cicerone, che si erse emulo
di Platone in ogni campo e anche sotto questo profilo; e poi Bruto, che egregiamente e con maggior
maestria che da oratore ben sostenne la gravità degli argomenti filosofici: ci si avvede che egli è convinto di
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quanto sostiene. [124] Non poco scrisse Cornelio Celso, seguace dei Sestii, con grazia ed eleganza. Plauto,
tra gli Stoici, si rivela utile per la conoscenza della materia filosofica; tra gli Epicurei, Cazio è poco profondo,
ma non sgradevole autore. [125] In questo esame di tutti i generi letterari ho rimandato di proposito fino
all'ultimo di parlare di Seneca, perché si è diffusa - falsamente - l'opinione che io ne condanni l'opera e lo
detesti. Ciò mi è accaduto, mentre tentavo di richiamare a maggior severità di gusti il tipo di eloquenza
pervertita e rotta a tutti i vizi: in quel tempo i giovani non s'interessavano quasi a nient'altro che a lui. [126]
Ora, io non tentavo certo di eliminarlo completamente dal novero degli autori da leggere, ma non permettevo
che fosse preferito ad altri più importanti, che egli ininterrottamente attaccava, perché, ben conscio della
diversità del suo stile, egli non era tanto sicuro di poter piacere nelle cose in cui quelli piacevano. Lo
prediligevano più che imitarlo e tanto da lui tralignavano quanto egli si era allontanato, in peggio, dagli
antichi. [127] Sarebbe stato, in realtà, augurabile che gli diventassero pari o almeno somiglianti. Ma egli
piaceva solo per i suoi difetti e ciascuno mirava a riprodurre quelli che poteva: poi facendosi un vanto del
parlare come Seneca, lo screditava. [128] Ebbe, del resto, anche molte virtù, cioè un'indole duttile e feconda,
grandissima applicazione e cultura enciclopedica: ma, a quest'ultimo proposito, qualche volta si lasciò trarre
in inganno da coloro che incaricava di consultare testi e farne degli estratti. Trattò, difatti, pressoché di tutto
lo scibile: [129] tant'è vero che di lui si conoscono orazioni, poesie, lettere e dialoghi. Poco attento in materia
di filosofia, fu, nondimeno, egregio flagellatore dei vizi. Molti e chiari sono i suoi pensieri e molte le letture di
suoi brani consigliabili a scopo moraleggiante, ma per il riguardo stilistico egli è di solito corrotto e tanto più
pericoloso, in quanto pieno di allettanti vizi. [130] Avresti voluto che egli si fosse espresso col suo
temperamento, ma con il gusto di un altro. Ché, se avesse alcune cose disprezzate, se poco * non avesse
desiderato, se non fosse stato indulgente con tutto quel che componeva, se non avesse sminuzzato con
pensieri resi frammentariamente argomenti ponderosi, egli sarebbe criticato con favore da tutte le persone
colte piuttosto che prediletto dai giovani. [131] Ma anche così com'è, coloro che sono già irrobustiti e
sufficientemente consolidati in un genere di eloquenza più severo dovranno leggerlo, proprio perché egli può
in ogni modo esercitare il gusto. Come ho detto, molte cose si debbono di lui approvare, e molte anche
ammirare, purché si abbia cura di scegliere: questo magari l'avesse fatto lui!: perché il suo talento sarebbe
stato degno di voler cose migliori: ma egli fece ciò che gli garbava.
Traduzione di R. Faranda, Torino, Utet, 1968
Quint., inst., 2,10. Utilità e modalità delle declamazioni.
In his primis operibus, quae non ipsa parua sunt sed maiorum quasi membra atque partes, bene instituto ac
satis exercitato iam fere tempus adpetet adgrediendi suasorias iudicialesque materias: quarum antequam
uiam ingredior, pauca mihi de ipsa declamandi ratione dicenda sunt, quae quidem ut ex omnibus nouissime
inuenta, ita multo est utilissima. Nam et cuncta illa de quibus diximus in se fere continet et ueritati proximam
imaginem reddit, ideoque ita est celebrata ut plerisque uideretur ad formandam eloquentiam uel sola
sufficere. Neque enim uirtus ulla perpetuae dumtaxat orationis reperiri potest quae non sit cum hac dicendi
meditatione communis. Eo quidem res ista culpa docentium reccidit ut inter praecipuas quae corrumperent
eloquentiam causas licentia atque inscitia declamantium fuerit: sed eo quod natura bonum est bene uti licet.
Sint ergo et ipsae materiae quae fingentur quam simillimae ueritati, et declamatio, in quantum maxime
potest, imitetur eas actiones in quarum exercitationem reperta est. Nam magos et pestilentiam et responsa
et saeuiores tragicis nouercas aliaque magis adhuc fabulosa frustra inter sponsiones et interdicta
quaeremus. Quid ergo? numquam haec supra fidem et poetica, ut uere dixerim, themata iuuenibus tractare
permittamus, ut expatientur et gaudeant materia et quasi in corpus eant? Erat optimum, sed certe sint
grandia et tumida, non stulta etiam et acrioribus oculis intuenti ridicula, ut, si iam cedendum est, impleat se
declamator aliquando, dum sciat, ut quadrupedes, cum uiridi pabulo distentae sunt, sanguinis detractione
curantur et sic ad cibos uiribus conseruandis idoneos redeunt, ita sibi quoque tenuandas adipes, et quidquid
umoris corrupti contraxerit emittendum si esse sanus ac robustus uolet. Alioqui tumor ille inanis primo
cuiuscumque ueri operis conatu deprehendetur. Totum autem declamandi opus qui diuersum omni modo a
forensibus causis existimant, hi profecto ne rationem quidem qua ista exercitatio inuenta sit peruident; nam
si foro non praeparat, aut scaenicae ostentationi aut furiosae uociferationi simillimum est. Quid enim attinet
iudicem praeparare qui nullus est, narrare quod omnes sciant falsum, probationes adhibere causae de qua
nemo sit pronuntiaturus? Et haec quidem otiosa tantum: adfici uero et ira uel luctu permoueri cuius est
lubidrii nisi quibusdam pugnae simulacris ad uerum discrimen aciemque iustam consuescimus! Nihil ergo
inter forense genus dicendi atque hoc declamatorium intererit? Si profectus gratia dicimus, nihil. Vtinamque
adici ad consuetudinem posset ut nominibus uteremur et perplexae magis et longioris aliquando actus
controuersiae fingerentur et uerba in usu cotidiano posita minus timeremus et iocos inserere moris esset:
quae nos, quamlibet per alia in scholis exercitati simus, tirones in foro inueniunt. Si uero in ostentationem
comparetur declamatio, sane paulum aliquid inclinare ad uoluptatem audientium debemus. Nam et iis
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actionibus quae in aliqua sine dubio ueritate uersantur, sed sunt ad popularem aptatae delectationem,
quales legimus panegyricos totumque hoc demonstratiuum genus, permittitur adhibere plus cultus,
omnemque artem, quae latere plerumque in iudiciis debet, non confiteri modo sed ostentare etiam
hominibus in hoc aduocatis. Quare declamatio, quoniam est iudiciorum consiliorumque imago, similis esse
debet ueritati, quoniam autem aliquid in se habet epidicticon, nonnihil sibi nitoris adsumere. Quod faciunt
actores comici, qui neque ita prorsus ut nos uulgo loquimur pronuntiant, quod esset sine arte, neque procul
tamen a natura recedunt, quo uitio periret imitatio, sed morem communis huius sermonis decore quodam
scaenico exornant. Sic quoque aliqua nos incommoda ex iis quas finxerimus materiis consequentur, in eo
praecipue quod multa in iis relincuntur incerta, quae sumimus ut uidetur, aetates facultates liberi parentes,
urbium ipsarum uires iura mores, alia his similia: quin aliquando etiam argumenta ex ipsis positionum uitiis
ducimus. Sed haec suo quoque loco. Quamuis enim omne propositum operis a nobis destinati eo spectet ut
orator instituatur, tamen, ne quid studiosi requirant, etiam si quid erit quod ad scholas proprie pertineat in
transitu non omittemus.
1. Per chi sia stato bene istruito e sufficientemente allenato in queste prime prove - di per sè non trascurabili,
ma quasi membra e componenti delle più importanti - si avvicinerà ormai quasi il tempo di affrontare le
suasorie e gli argomenti giudiziari. Prima di imboccarne la via, però, debbo dire qualcosa sulla maniera
stessa di pronunciare la declamazione, ultimo esercizio a essere inventato, per la verità, ma anche di gran
lunga il più utile. 2. Essa, infatti, comprende in sé quasi tutti gli altri di cui s'è parlato, e rende un'immagine
prossima alla realtà: perciò è stata tanto praticata che ai più sembrava bastare anche da sola alla
formazione dell'oratore. Né del resto si può trovare alcun pregio, almeno in un'orazione continuata, che non
sia comune a questo genere oratorio. 3. Ma a dirla tutta, per colpa dei docenti esso è sceso così in basso
che fra le principali cause della corruzione dell'eloquenza ci sono state l'eccessiva libertà e I'ignoranza dei
declamatori; d'altro canto, ciò che per natura è buono, si può usarlo bene.
4. Gli argomenti inventati dovranno dunque essere quanto mai vicini alla verità, e la declamazione dovrà
imitare nella maniera migliore i processi per esercitarsi ai quali è stata inventata. 5. Nelle cause di
obbligazioni e interdizioni cercheremo infatti senza successo maghi, pestilenze, oracoli, matrigne più crudeli
di quelle delle tragedie e altri elementi ancor più fantastici. E dunque? Non dovremmo mai permettere ai
ragazzi di trattare questi temi incredibili e - a dire il vero - poetici, perché vi si diffondano, gioiscano degli
argomenti e quasi ci si immergano? 6. Sarebbe la soluzione migliore. Ma, in caso contrario, che almeno
siano temi grandiosi ed enfatici, non delle stupidaggini che a un osservatore acuto parrebbero ridicole; di
modo che, se su questo punto bisogna cedere, chi pronuncia la declamazione si sazi una volta per tutte, ma
sapendo che come i quadrupedi, quando si sono gonfiati di erba verde, li si cura togliendo loro sangue - e
grazie a quel rimedio poi tornano ai cibi atti a mantenerli in forza -, così lui, se vorrà restare sano e robusto,
dovrà far dilinuire il grasso ed espellere tutti i cattivi umori raccolti nel roprio corpo. 7. Altrimenti, quell'inutile
gonfiore, al primo tenntativo di intervento vero, sarà notato.
Quelli che invece ritengono l'esercizio della declamazione a tutto diverso dalle cause forensi, non
comprendono neppure la ragione per cui esso è stato inventato. 8. Infatti, se non serve di preparazione ai
processi, allora è davvero simile alle simulazioni degli attori o alle escandescenze dei pazzi. A che serve
ingraziarsi un giudice che non esiste, narrare ciò che tutti sanno che non è vero, addurre le prove per una
causa su cui nesuno pronuncerà sentenza? E questi sarebbero atti solamente inutili: ma quale scherno
suscita farsi prendere dalla passione e provocare ira o dolore, se non ci si sta abituando con delle finzioni di
battaglia al reale scontro e al regolare combattimento!. Non correrà dunque alcuna differenza fra l'eloquenza
giudiziaria e quella delle declamazioni? Se uno declama per fare progressi, no. E anzi: sarebbe bello che in
aggiunta alla pratica onsueta si potesse far uso dei nomi,g inventare qualche volta controversie più
complesse e più lunghe, aver meno scrupoli nel ricorrere al linguaggio quotidiano e inserire abitualmente
anche qualche battuta spiritosa! Tutte soluzioni che, per quanto a scuola ci eserciti sul resto, nel foro ci
trovano alle prime armi.
10. Se invece si prepara una declamazione per mero sfoggio, senza dubbio bisogna concedere qualcosa al
piacere dell'uditorio. 11. Infatti, anche nei discorsi che hanno indubbiamente un fondo di verità, ma che
vengono adattati al gusto della gente comune - come per esempio i panegirici e l'intero genere dimostrativo è permesso ricorrere a un maggior tasso di ricercatezza, e non solo ammettere, bensì ostentare davanti agli
ascoltatori convocati appositamente tutta l'arte che di solito durante i processi deve restare nascosta. 12. Per
cui la declamazione, in quanto immagine dei processi e delle assemblee, deve avvicinarsi alla verità; ma
avendo in sé un che di dimostrativo, deve assumere una certa brillantezza formale. 13. Un po' come fanno
gli attori comici, i quali non riproducono esattamente le conversazioni di tutti i giorni, il che sarebbe privo di
arte, né - però - si scostano dalla naturalezza, poiché un simile difetto farebbe scomparire l'imitazione della
realtà: ornano, invece, l'abituale parlar comune con un certo decoro da teatro.
14. Ma anche così questi soggetti di fantasia ci procureranno alcuni inconvenienti, soprattutto perché in essi
restano non definiti molti dettagli, che poi scegliamo come ci pare: le età, le condizioni economiche, i figli, i
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genitori, e addirittura la potenza delle città, le loro leggi, i loro costumi e altri particolari del genere. 15. Anzi:
talvolta ricaviamo le argomentazioni proprio da quei punti deboli dei temi proposti. Ma ciascuno di questi
aspetti verrà trattato a suo luogo. Infatti, benché il proposito complessivo dell'opera che abbiamo deciso di
comporre miri alla formazione dell'oratore, tuttavia, per evitare che gli studiosi riscontrino lacune, di
passaggio non mancheremo neppure di toccare eventuali problemi specificamente attinenti alla scuola.
Trad. di Stefano Corsi, Milano, Rizzoli, 1997.
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Institutio oratoria di Marco Fabio Quintiliano
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Declamationes minores
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Declamationes maiores
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Strumenti
Declamationes Maiores, Konkordanz Ed. Emilio del Rio, Hildesheim, ( In preparation!)
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Studi
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Sulle fonti:
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Sulla pedagogia e la didattica:
G.G.Bianca, La pedagogia di Quintiliano, Padova, 1963.
===============================
ICCU per Soggetto
Brescia, Graziana, Quintiliano: il miles alla sbarra: tra retorica e costume: Declamazioni maggiori, 3. /
Graziana Brescia, Bari: Adriatica, 2002
Note Generali: Con il testo.
Daneloni, Alessandro, Poliziano e il testo dell'Institutio oratoria / Alessandro Daneloni, Messina: Centro
interdipartimentale di studi umanistici, 2001, Percorsi dei classici
Note Generali: In testa al front.: Universita degli studi di Messina, Centro interdipartimentale di studi
umanistici.
Altri titoli collegati: [Variante del titolo] Poliziano e l'Institutio oratoria.
Soggetti: Poliziano, Angelo - Studi su Quintiliano
Quintilian and the law: the art of persuasion in law and politics / edited by Olga Tellegen-Couperus, Leuven:
Leuven university press, c2003
Valla, Lorenzo <1406-1457>, Le postille all'Institutio oratoria di Quintiliano / Lorenzo Valla; edizione critica a
cura di Lucia Cesarini Martinelli e Alessandro Perosa, Padova: Antenore, 1996, Medioevo e umanesimo
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Congreso internacional Quintiliano: historia y actualidad de la retorica: 19. centenario de la Institutio Oratoria
<1995; Madrid, Calahorra>, Quintiliano: historia y actualidad de la retorica / editores Tomas Albaladejo,
Emilio Del Rio, Jose Antonio Caballero; indices Jorge Fernandez Lopez, Juan Carlos Gomez Alonso,
Logrono: IER, 1998, Quintiliano de retorica y comunicacion
Note Generali: Raccoglie gli atti del Congresso tenuto a Madrid e Calahorra, 14-18 novembre 1995.
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251
Comprende: 1: Actas del Congreso InternacionalQuintiliano: historia y actualidad de laretorica: 19.
Centenario de la Institutio Oratoria
2: Actas del Congreso InternacionalQuintiliano: historia y actualidad de laretorica: 19. Centenario de la
InstitutioOratoria
3: Actas del Congreso InternacionalQuintiliano: historia y actualidad de laretorica: 19. Centenario de la
InstitutioOratoria
Nomi: Albaladejo Mayordomo, TomasRio Sanz, Emilio: del Caballero Lopez, Jose Antonio
Congreso internacional Quintiliano: historia yactualidad de la retorica: 19. centenario dela Institutio Oratoria
<1995; Madrid,Calahorra>
Grodde, Olaf, Sport bei Quintilian / Olaf Grodde, Hildesheim: Weidmann, c1997, Nikephoros. Beihefte
Nomi: Grodde, Olaf
Soggetti: Quintiliano, Marco Fabio - Institutio oratoria - Sport - Roma antica - Fonti letterarie
Zinsmaier, Thomas, Der von Bord geworfene Leichnam: die sechste der neunzehn grosseren
pseudoquintilianischen Deklamationen / Einleitung, Ubersetzung, Kommentar [von] Thomas Zinsmaier,
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Dingel, Joachim, Scholastica materia: Untersuchungen zu den Declamationes minores und der Institutio
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Literatur undGeschichte
32.4: Sprache und Literatur: Literatur der julisch-claudischen und der flavischen Zeit. 4, (Forts.) /
herausgegeben von Wolfgang Haase, Berlin; New York, 1986
Fa parte di: 2: Principat.
Nomi: Haase, Wolfgang
Soggetti: CURZIO RUFO, QUINTO
MARZIALE, MARCO VALERIO
PLINIO SECONDO, CAIO
QUINTILIANO, MARCO FABIO
SILIO ITALICO, TIBERIO CAIO ASCONIO
VALERIO FLACCO, GAIO
Accame Lanzillotta, Maria, Le postille del Petrarca a Quintiliano: (Cod. Parigino lat. 7720) / Maria Accame
Lanzillotta, Firenze: Le Lettere, 1989
Note Generali: Quaderni petrarcheschi; 5(1988).
Fa parte di: Quaderni petrarcheschi / pubblicati sotto gli auspici della Commissione per l'edizione critica delle
opere di Francesco Petrarca
Accame Lanzillotta, Maria, Le postille del Petrarca a Quintiliano (Parigino lat. 7720) / Maria Accame
Lanzillotta, Roma: [s. n.], stampa 1988 (Villa Adriana: Tipigraf, [Tivoli])
Note Generali: Gia pubbl. in: Quaderni petrarcheschi, 1988, 5.
Aspetti della "paideia" di Quintiliano / P.V. Cova ... {et al.}, Milano: Vita e pensiero, 1990, Scienze filologiche
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Maier-Eichhorn, Ursula, Die Gestikulation in Quintilians Rhetorik / Ursula Maier-Eichhorn, Frankfurt am Main
[etc.]: P. Lang, copyr. 1989, Europaische Hochschulschriften. Reihe 15.,Klassische Sprachen und
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Zicari, Marcello, Quintiliano 11., 3: la trattazione del porgere oratorio: organismo rappresentativo
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Note Generali: In testa al front.: Universita degli studi di Urbino, Facolta di magistero .
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Nomi: Cousin, Jean
Soggetti: Quintiliano, Marco Fabio - Opere - Tradizione manoscritta
Pagine grammaticali di Quintiliano / ricerche e lezioni coordinate a cura di E. Zorzi, Milano: CELUC, 1972,
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Niosi, Tindaro, Cultura romana: letture illustrative ... ad uso degli istituti medi superiori (programmi 5
novembre 1939. 9) / Tindaro Niosi, Lanciano: Giuseppe Carabba, 1933, Classici latini
Note Generali: Sul front.: Cicerone: a) La quarta filippica, b) Libro 2. del De officiis, c) Passi scelti dalle altre
opere filos. e retoriche - Quintiliano: Libro primo delle "Istituzioni" oratorie - Seneca: Passi scelti dalle opere
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Krumbacher, Armin, Die Stimmbildung der Redner im Altertum bis auf die Zeit Quintilians / von Armin
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Dessauer, Hugo, Die Handschriftliche Grundlage der Neunzehn Grosseren Pseudo-Quintilianischen
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Soggetti: Pseudo- Quintiliano
ICCU per Autore
Istituzioni oratorie. Libro dieci, completo / M. Fabio Quintilliano; testo latino, costruzione diretta, versione
italiana interlineare, note a cura del prof. Pio Bortoluzzi, Seregno: Avia pervia, stampa 2000, Collana
Sormani di testi latini e greci
Brescia, Graziana, Quintiliano: il miles alla sbarra: tra retorica e costume: Declamazioni maggiori, 3. /
Graziana Brescia, Bari: Adriatica, 2002
Note Generali: Con il testo.
2: Libri 5.-8. / Marco Fabio Quintiliano; traduzione e note di Stefano Corsi (libri 5.-6.) e di Cesare Marco
Calcante (libri 7.-8.)
Edizione: 2. ed, Milano: BUR, 2001, BUR
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Fa parte di: La formazione dell'oratore / Marco Fabio Quintiliano
Institutio oratoria / Quintiliano; edizione con testo a fronte a cura di Adriano Pennacini, Torino: G. Einaudi,
[2001], Biblioteca della Pleiade
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
1: Libri 1.-4. / Marco Fabio Quintiliano; introduzione di Michael Winterbottom; traduzione e note di Stefano
Corsi
Edizione: 2. ed, Milano: Biblioteca Universale Rizzoli, 2001
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Fa parte di: La formazione dell'oratore / Marco Fabio Quintiliano
La citta che si cibo dei suoi cadaveri: Declamazioni maggiori, 12 / Quintiliano; [a cura di] Antonio Stramaglia,
Cassino: Edizioni dell'universita degli studi, 2002, stampa 2003
Note Generali: Testo orig. a fronte.
1: Books 1-2 / Quintilian, Cambridge, Mass., The Loeb classical library
Fa parte di: The orators education / Quintilian; edited and translated by Donald A. Russell
2: Books 3-5 / Quintilian, Cambridge, Mass., The Loeb classical library
Fa parte di: The orators education / Quintilian; edited and translated by Donald A. Russell
3: Books 6-8 / Quintilian, Cambridge, Mass., The Loeb classical library
Fa parte di: The orators education / Quintilian; edited and translated by Donald A. Russell
4: Books 9-10 / Quintilian, Cambridge, Mass., The Loeb classical library
Fa parte di: The orators education / Quintilian; edited and translated by Donald A. Russell
5: Books 11-12 / Quintilian, Cambridge, Mass., The Loeb classical library
Fa parte di: The orators education / Quintilian; edited and translated by Donald A. Russell
3: Libri 9.-12. / Marco Fabio Quintiliano; traduzione e note di Cesare Marco Calcante
Edizione: 2. ed, Milano: Biblioteca universale Rizzoli, 2001, BUR.L
Note Generali: Testo latino a fronte.
Fa parte di: La formazione dell'oratore / Marco Fabio Quintiliano
Istituzione oratoria / Quintiliano; a cura di Simone Beta ed Elena D'Incerti Amadio; introduzione di George
Kennedy. vol.1., libri 1.-2, Milano: A. Mondadori, 1997, Classici greci e latini
1: Libri 1.-4. / Marco Fabio Quintiliano; introduzione di Michael Winterbottom; traduzione e note di Stefano
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Fa parte di: La formazione dell'oratore / Marco Fabio Quintiliano
2: Libri 5.-8. / Marco Fabio Quintiliano; traduzione e note di Stefano Corsi (libri 5.-6.) e di Cesare Marco
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Fa parte di: La formazione dell'oratore / Marco Fabio Quintiliano
3: Libri 9.-12. / Marco Fabio Quintiliano; traduzione e note di Cesare Marco Calcante, Milano: Biblioteca
universale Rizzoli, 1997, I classici della BUR. Classici latini
Fa parte di: La formazione dell'oratore / Marco Fabio Quintiliano
2: Libros 4.-6. continens. Tomus 2. / Marco Fabio Quintiliano, Salamanca: Publ. Univ. Pontificia, stampa
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Fa parte di: M. Fabii Quintiliani Institutionis oratoriae libri 12.: en el 19. centenario de la muerte de Quintiliano
(anos 96 -1996) / traduccion y comentarios de Alfonso Ortega Carmona
Paese di pubblicazione: ES
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I gemelli malati: un caso di vivisezione: Declamazioni maggiori, 8 / (Quintiliano); [a cura di] Antonio
Stramaglia; introduzione di Lorenzo Greco, Cassino: Edizioni dell'Universita degli studi, 1999, Studi /
Universita degli studi di Cassino
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Quintilianus, Marcus Fabius, 1: Libri 1.-2. / Quintiliano; a cura di Simone Beta ed Elena D'Incerti Amadio;
introduzione di George Kennedy, Milano: Mondadori, 1997, Classici greci e latini
Fa parte di: Istituzione oratoria / Quintiliano
La formazione dell'oratore / Marco Fabio Quintiliano, Milano: Biblioteca universale Rizzoli
Note Generali: Con il testo orig. a fronte.
Titolo uniforme: Institutio oratoria
Comprende: 1: Libri 1.-4. / Marco Fabio Quintiliano ;introduzione di Michael Winterbottom ;traduzione e note
di Stefano Corsi
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2: Libri 5.-8. / Marco Fabio Quintiliano ;traduzione e note di Stefano Corsi (libri5.-6.) e di Cesare Marco
Calcante (libri7.-8.)
3: Libri 9.-12. / Marco Fabio Quintiliano ;traduzione e note di Cesare Marco Calcante
2: Libri 5.-8. / Marco Fabio Quintiliano ;traduzione e note di Stefano Corsi (libri5.-6.) e di Cesare Marco
Calcante (libri7.-8.)
1: Libri 1.-4. / Marco Fabio Quintiliano ;introduzione di Michael Winterbottom ;traduzione e note di Stefano
Corsi
3: Libri 9.-12. / Marco Fabio Quintiliano ;traduzione e note di Cesare Marco Calcante
Nomi: Quintilianus, Marcus Fabius
1: Libri 1.-4. / Marco Fabio Quintiliano; introduzione di Michael Winterbottom; traduzione e note di Stefano
Corsi, [Milano]: Biblioteca universale Rizzoli, 1997, BUR. L
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Fa parte di: La formazione dell'oratore / Marco Fabio Quintiliano
2: Libri 5.-8. / Marco Fabio Quintiliano; traduzione e note di Stefano Corsi (libri V-VI) e di Cesare Marco
Calcante (libri VII-VIII), [Milano]: Biblioteca universale Rizzoli, 1997, BUR. L
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Fa parte di: La formazione dell'oratore / Marco Fabio Quintiliano
3: Libri 9.-12. / Marco Fabio Quintiliano; traduzione e note di Cesare Marco Calcante, [Milano]: Biblioteca
universale Rizzoli, 1997, BUR. L
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Fa parte di: La formazione dell'oratore / Marco Fabio Quintiliano
Seneca, Lucius Annaeus, Il piacere della lettura in Seneca Quintiliano Plinio il Giovane / a cura di Eleonora
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Leggere in latino
Valla, Lorenzo <1406-1457>, Le postille all'Institutio oratoria di Quintiliano / Lorenzo Valla; edizione critica a
cura di Lucia Cesarini Martinelli e Alessandro Perosa, Padova: Antenore, 1996, Medioevo e umanesimo
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Kritik og retorik: Quintilians litteraturhistorie (Institutio oratoria, X 1, 46-131) / Marcus Fabius Quintilianus;
oversaettelse med essays om Alexandriatraditionen og de antikke poesi og prosa ved Hanne Ishoy, Arhus:
Aarhus Universitetsforlag, c1996
Ishoy, Hanne
Altri titoli collegati: [Altro documento correlato] Institutio oratoria
Paese di pubblicazione: DK
Lingua di pubblicazione: lat
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Fa parte di: M. Fabii Quintiliani Institutionis oratoriae libri 12.: en el 19. centenario de la muerte de Quintiliano
(anos 96 -1996) / traduccion y comentarios de Alfonso Ortega Carmona
Paese di pubblicazione: ES
Lingua di pubblicazione: lat
Le secret de Demosthene / Quintilien, Paris: Les belles lettres, 1995, Le corps eloquent
Istituzioni oratorie. Libro 10. (completo): testo latino, costruzione diretta, versione italiana interlineare, note /
M. Fabio Quintilliano; a cura del prof. Pio Bortoluzzi, Seregno: Avia pervia, stampa 1992, Collana Avia pervia
di testi latini
Libri 3.-4.-5. / Marco Fabio Quintiliano, Bologna: Zanichelli, stampa 1992
Fa parte di: Istituzione oratoria / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli
Antologia quintilianea / a cura di Antonietta Dosi
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[1]: Libri 1.-2. / Marco Fabio Quintiliano; pref., trad. e note di Orazio Frilli, Bologna, stampa 1993
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Fa parte di: Istituzione oratoria / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Istituzioni oratorie. Libro primo / M.F. Quintiliano; costruzione diretta, versione italiana interlineare, note e
verbi a cura di Alfio Nicotra, Seregno: Avia pervia, stampa 1994, Collana Sormani di testi latini e greci
2: Institutionis oratoriae libri 7.-12, Pisa: in aedibus Giardini editori e stampatori, 1988, Scriptorum
Romanorum quae extant omnia
Institutio oratoria: libro 1.: introduzione, costruzione, versione letterale e interlineare, note grammaticali,
sintattiche ed esplicative / Quintiliano; a cura del prof. Modestino Cerra, Roma: Ciranna, [1988?], I cirannini
[4]: Libri 8.-9. / Marco Fabio Quintiliano, Bologna: Zanichelli, stampa 1989
Fa parte di: Istituzione oratoria / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli
[5]: Libri 10.-11.-12. / Marco Fabio Quintiliano, Bologna: Zanichelli, stampa 1989
Note Generali: Testo originale a fronte.
Fa parte di: Istituzione oratoria / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli
Ausbildung des Redners, 1 teil: Buch 1-6
Edizione: 2. durchges. Aufl, Copyr. 1988, Texte zur Forschung
Fa parte di: Ausbildung des Redners zwolf Bucher / Marcus Fabius Quintilianus; hrsg. und ubersetzt von
Helmut Rahn
Ausbildung des Redners, 2 teil: Buch 7-12
Edizione: 2. durchges. Aufl, Copyr. 1988, Texte zur Forschung
Fa parte di: Ausbildung des Redners zwolf Bucher / Marcus Fabius Quintilianus; hrsg. und ubersetzt von
Helmut Rahn
4: Declamationes, Pisa: in aedibus Giardini editori e stampatori, 1988, Scriptorum Romanorum quae extant
omnia
M. Fabii Quintiliani declamationes minores / edidit D. R. Shackleton Bayley, Stutgardiae: in aedibus B. G.
Teubneri, 1989, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
Bailey, David Roy Shackleton
TV0114 - Biblioteca comunale - Treviso - TV
Quintilianus, Marcus Fabius, Declamationes / Quintilianus, Pisa: Giardini, 1988, Scriptorum Romanorum
quae extant omnia
[2]: Libri 3.-4.-5. / Marco Fabio Quintiliano, Bologna: Zanichelli, stampa 1988
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Fa parte di: Istituzione oratoria / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli
1: Libri 1
Edizione: 6, Oxonii: e typographeo Clarendoniano, 1989
Note Generali: Reprinted 1985, with corrections 1989.
Fa parte di: M. Fabi Quintiliani Institutionis oratoriae libri duodecim / recognovit brevique adnotatione critica
instruxit M. Winterbottom
Il capitolo De risu: (Inst. or. 6, 3) / Quintiliano; a cura di Giusto Monaco
Edizione: 2. ed, Palermo: Palumbo, stampa 1988, Hermes
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
[1]: Libri 1.-2. / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli, Bologna: Zanichelli,
stampa 1989
Descrizione fisica: XIX, 291 p.; 20 cm
Fa parte di: Istituzione oratoria / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli
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256
Il libro decimo della Instituzione oratoria / Quintiliano; commento e note di Domenico Bassi
Edizione: [3. ed.], Torino: Loescher, stampa 1985, Collezione di classici greci e latini
Quintilian: on the teaching of speaking and writing: transl. from books 1, 2 and 10 of the Institutio oratoria /
ed. by James J. Murphy, Carbondale [etc.]: Southern Ill. Univ. Pr., 1987, Landmarks in rhetoric and public
address
1: Institutionis oratoriae libri 1.-6, Pisa: in aedibus Giardini editori e stampatori, 1987, Scriptorum
Romanorum quae extant omnia
Fa parte di: Quintilianus
[3]: Libri 6.-7. / Marco Fabio Quintiliano, Bologna: Zanichelli, stampa 1987
Fa parte di: Istituzione oratoria / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli
Sussman, Lewis A., The major declamations ascribed to Quintilian: a translation / Lewis A. Sussman,
Frankfurt am Main; Bern; New York, l987, Studien zur klassischen Philologie
Il libro decimo della Instituzione oratoria / Quintiliano; commento e note di Domenico Bassi, Torino:
Loescher, [1985], Collezione di classici greci e latini
Note Generali: Testo lat ino
Bassi, Domenico <1859-1943>
Declamationes, Declamationes 19. maiores Quintiliano falso ascriptae / edidit Lennart Hakanson,
Stutgardiae: in aedibus B. G. Teubneri, 1982, Bibliotheca scriptorum Graecorum et RomanorumTeubneriana
Libri 8.-9. / Marco Fabio Quintiliano, Bologna: Zanichelli, stampa 1983
Fa parte di: Istituzione oratoria / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli
Societa, educazione, famiglia: Cicerone, Orazio, Quintiliano / antologia a cura di Adriano Pennacini
Edizione: 2. ed, Torino, etc., Civilta letteraria di Grecia e di Roma.Letteratura e critica. Serie latina
Note Generali: Antologia per la 4. classe dell'Ist. Magistrale.
The minor declamations ascribed to Quintilian / edited with commentary by Michael Winterbottom, Berlin
[ecc.]: W. de Gruyter, 1984, Texte und Kommentare
Libri 1.-2. / Marco Fabio Quintiliano, Bologna: Zanichelli, stampa 1982
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Fa parte di: Istituzione oratoria / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli
[2]: Libri 3.-4.-5. / Marco Fabio Quintiliano, Bologna: Zanichelli, stampa 1982
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Fa parte di: Istituzione oratoria / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli
Libri 6.-7. / Marco Fabio Quintiliano, Bologna: Zanichelli, stampa 1981
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Fa parte di: Istituzione oratoria / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli
7: Livre 12; <Index> / Quintilien, Paris: Les Belles lettres, 1980
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Fa parte di: Institution oratoire / Quintilien; texte etabli et traduit par Jean Cousin
Institutionis oratoriae, liber decimus / M. Fabio Quintiliano; introduzione e commento di Giovanni La Magna,
Milano: Signorelli, 1977, I classici Signorelli
La Magna, Giovanni
Libri 10.-11.-12. / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli, Bologna: N.
Zanichelli, stampa 1978
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Fa parte di: Istituzione oratoria / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli
1: Libri 1.-6.
Edizione: 2. ed. aggiornata e riv, Torino: Utet, 1979
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
257
Note Generali: Testo lat. a fronte
Fa parte di: L' istituzione oratoria / di Marco Fabio Quintiliano; a cura di Rino Faranda e Piero Pecchiura
2: Libri 7.-12.
Edizione: 2. ed. aggiornata e riv, Torino: Utet, 1979
Note Generali: Testo lat. a fronte
Fa parte di: L' istituzione oratoria / di Marco Fabio Quintiliano; a cura di Rino Faranda e Piero Pecchiura
Libri 3.-4.-5. / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli, Bologna: N. Zanichelli,
stampa 1978
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Fa parte di: Istituzione oratoria / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli
Institutio oratoria: antologia con brani pedagogici di Plauto, Terenzio, Cicerone [et. al.] / Quintiliano;
introduzione e commento di Giovanni Garuti, Firenze: La nuova Italia, 1977, I classici della Nuova Italia
L' istituzione oratoria / Quintiliano Marco Fabio; a cura di Rino Faranda e Piero Pecchiura, Torino: UTET,
1979, Classici UTET. Classici greci
L' istituzione oratoria / di Marco Fabio Quintiliano; a cura di Rino Faranda e Piero Pecchiura
Edizione: 2. ed. aggiornata e riveduta, Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1979, Classici latini
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Comprende: 1 / di Marco Fabio Quintiliano; a cura diRino Faranda e Piero Pecchiura
2 / di Marco Fabio Quintiliano; a cura diRino Faranda e Piero Pecchiura
L' istituzione oratoria / di Marco Fabio Quintiliano; a cura di Rino Faranda e Piero Pecchiura, Torino: Unione
tipografico-editrice torinese, Classici latini
Comprende: 1: Libri 1.-6.
2: Libri 7.-12.
Institutio oratoria: antologia con brani pedagogici di Plauto, Terenzio, Cicerone, Orazio, Persio, Seneca,
Petronio, Plinio il Giovane, Giovenale, Apuleio, Quintiliano / intr. e commento di Giovanni Garuti, Firenze: La
Nuova Italia, 1977
2: Buch 7.-12. / Marcus Fabius Quintilianus, Darmstadt: Wissenschaftlic he, 1975, Texte zur Forschung
Fa parte di: Ausbildung des Redners zwolf Bucher / Marcus Fabius Quintilianus; hrsg. und ubersetzt von
Helmut Rahn
Libri 8.-9. / Marco Fabio Quintiliano; pref., trad. e note di Orazio Frilli, Bologna: Zanichelli, stampa 1975
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Fa parte di: Istituzione oratoria / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli
1.B.7.1: M. Fabi Quintiliani Institutionis oratoriae libri 12, Milano: Cisalpino La Goliardica, stampa 1976
Fa parte di: Corpus iuris Romani publici: raccolta delle fonti di cognizione del diritto pubblico romano dalle
origini alla fine del principato: 1. Testi letterari: A) giuridici B) non giuridici, 2. Testi epigrafici, 3. Testi
papirologici / direttore Arnaldo Bisc
Libri 8.-9. / Marco Fabio Quintiliano, Bologna: Zanichelli, stampa 1975
Fa parte di: Istituzione oratoria / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli
1: Buch 1.-6. / Marcus Fabius Quintilianus, Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1972, Texte zur
Forschung
Note Generali: Altro front. in latino.
Fa parte di: Ausbildung des Redners zwolf Bucher / Marcus Fabius Quintilianus; hrsg. und ubersetzt von
Helmut Rahn
Antologia di Quintiliano / a cura di Vittorio Enzo Alfieri e Paola Manuli, Torino: Marietti, 1973, Collana di
classici latini
Libri 3.-4.-5. / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli, Bologna: N. Zanichelli,
stampa 1973
Note Generali: Testo orig. a fronte.
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Fa parte di: Istituzione oratoria / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli
Libri 1.-2. / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli, Bologna: N. Zanichelli,
stampa 1972
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Fa parte di: Istituzione oratoria / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli
Libri 6.-7. / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli, Bologna: Zanichelli,
stampa 1974
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Fa parte di: Istituzione oratoria / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli
Antologia di Quintiliano / a cura di Vittorio Enzo Alfieri e Paola Manuli, Torino: Marietti, c1973, Collana di
classici latini diretta da LuigiAlfonsi
Note Generali: Testo latino.
Il libro decimo della istituzione oratoria / M. Fabio Quintiliano; traduzione, introduzione e note di Giovanni La
Magna, Milano: Signorelli, 1973, Biblioteca di letteratura
Libri 1.-2. / Marco Fabio Quintiliano, Bologna: Zanichelli, stampa 1974
Note Generali: Testo orig. a fronte.
Fa parte di: Istituzione oratoria / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli
Libri 6.-7. / Marco Fabio Quintiliano, Bologna: Zanichelli, stampa 1974
Fa parte di: Istituzione oratoria / Marco Fabio Quintiliano; prefazione, traduzione e note di Orazio Frilli
Il capitolo de risu: (inst. or. VI 3) / Quintiliano; a cura di Giusto Monaco, [S.l.]: Palumbo, stampa 1970,
Hermes
Note Generali: Contiene il testo latino con traduzione a fronte
Il capitolo de risu: Inst. or. 6. 3 / Quintiliano; a cura di Giusto Monaco
Edizione: 2. ed, Palermo: Palumbo, stampa 1970, Hermes
Note Generali: Trad. italiana a fronte.
Quintiliano pedagogista / a cura di Maria Grazia Cavalca, Firenze: Sansoni, 1971, Collana di antologie di
autori latini
1: Libros 1.-6. continens
Edizione: Editio stereotypa correctior editionis primae / addenda et corrigenda collegit et adiecit Vinzenz
Buchheit, Lipsiae: Teubner, 1971
Fa parte di: M. Fabi Quintiliani Institutionis oratoriae libri 12 / edidit Ludovicus Radermacher
Institutionis oratoriae liber decimus / introduzione e commento di Giovanni La Magna, Milano: Signorelli,
1970, Scrittori latini
1: Libri 1.-6, Oxonii: e Typographeo Clarendoniano, 1970
Fa parte di: M. Fabi Quintiliani Institutionis oratoriae libri duodecim / recognovit brevique adnotatione critica
instruxit M. Winterbottom
Zicari, Marcello, Urbanitas: antologia da Cicerone, Orazio, Quintiliano / Marcello Zicari
Edizione: 2. rist. corretta, Torino: Loescher, 1971, Testi e crestomazie
1: Libri 1.-6, Oxonii: e Typographeo Clarendoniano, c1970
Fa parte di: M. Fabi Quintiliani Institutionis oratoriae libri duodecim / recognovit brevique adnotatione critica
instruxit M. Winterbottom
2: Libri 7.-12, Oxonii: e Typographeo Clarendoniano, c1970
Fa parte di: M. Fabi Quintiliani Institutionis oratoriae libri duodecim / recognovit brevique adnotatione critica
instruxit M. Winterbottom
Institutionis oratoriae libri duodecim / M. Fabi Quintiliani; recognovit brevique adnotatione critica instruxit M.
Winterbottom, Oxonii: E typ. Clarendoniano, 1970, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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Winterbottom, Michael
Completare dal 1969 al 1850
"Quintiliano¸ Marco Fabio - Castaldi",
Marco Fabio Quintiliano
(Calahorra, Spagna 35 ca – Roma 95 ca d.C.)
Vita.
Maestro di retorica pagato dal fisco imperiale. Giunto a Roma nel 68 d.C., ivi fu educato alla scuola di illustri
maestri di eloquenza. Esercitò in Spagna l’insegnamento e l’avvocatura con notevole successo, finché fu
richiamato a Roma da Galba, nel 68 d.C., dove esercitò l'avvocatura e (soprattutto) incominciò la sua attività
di maestro di retorica, con tanto successo che nel 78 Vespasiano gli affidò quella che può ben dirsi la prima
cattedra statale in assoluto: l'imperatore gli accordò un onorario annuo di 100.000 sesterzi, dando così
riconoscimento all'importanza dell'arte retorica nella formazione della gioventù e soprattutto mostrando
(discorso, questo, valido del resto per tutti i Flavi) d'aver ben capito l'importanza della retorica come
strumento per la formazione del futuro "ceto dirigente" e per l'adesione delle coscienze (e quindi per la
creazione del consenso).
Ma se la vita pubblica di Q. fu abbastanza agiata, quella privata fu turbata da gravi sventure domestiche: la
morte della moglie giovanissima e di due figli che da lei aveva avuto. Fra i suoi numerosi allievi, ebbe Plinio il
Giovane e, forse, Tacito; Domiziano lo incaricò dell’educazione dei suoi nipoti, cosa che gli valse gli
"ornamenta consolatoria". Nell’88 si ritirò da tutto per darsi completamente agli studi, in specie al suo
capolavoro.
Opere.
Opere minori. Di Q. è andato perduto un trattato "De causis corruptae eloquentiae", così come le "Artes
rethoricae", sorta di dispense. Spurie le due raccolte di "declamazioni" ("maiores" e "minores"). Dovette,
anche per la professione d'avvocato, scrivere anche delle orazioni, perdute: un peccato, perché - a sentire i
suoi contemporanei - dovevano essere abbastanza belle e ben fatte.
Institutio oratoria. Ma il suo capolavoro - dedicato a Vittorio Marcello per l'educazione del figlio Geta - è
ovviamente l’ "Institutio oratoria" (93-96 d.C.) [vers.lat], "La formazione dell'oratore", che compendia
l'esperienza di un insegnamento che durò vent'anni (dal 70 al 90 ca). Il titolo dell'opera proviene dallo stesso
autore, da un'espressione contenuta in una lettera al suo editore Trifone, e posta a premessa dell'opera. Si
tratta di un vero e proprio manuale sistematico di pedagogia e di retorica, in 12 libri e pervenutoci integro.
Il I libro fa parte a sé, e tratta di problemi vari di pedagogia relativi all'istruzione "elementare" (una novità
assoluta nel panorama culturale antico): dalla scelta del maestro, al modo di insegnare i primi elementi di
scrittura e lettura, dalla questione se sia più utile l'istruzione pubblica o privata, al modo di riconoscere e
invogliare le capacità dei singoli discepoli, e così via. Il II, invece, chiarisce la didattica del rètore, consiglia la
lettura di autori "optimi", né troppo antichi né troppo moderni, esorta gli scolari ad impostare le loro
declamazioni attinenti alla vita reale (e che puntassero comunque alla "sostanza delle cose"), con un
linguaggio semplice ed appropriato. I libri dal III al VII trattano dell’ "inventio" e della "dispositio", cioè lo
studio degli argomenti da inserire nelle cause e l’arte di distribuirli; i libri dall’VIII al X, dell’ "elocutio", ovvero
della scelta dello stile e dell’orazione. Il X libro insegna i modi di acquisire la "facilitas", cioè la disinvoltura
nell’espressione (prendendo in esame gli autori da leggere e da imitare, Q. inserisce qui un famoso excursus
storico-letterario sugli scrittori greci e latini – di uguali meriti – preziosa testimonianza sui canoni critici
dell’antichità: ma i giudizi hanno un carattere esclusivamente retorico). L’XI libro parla della "memoria" e dell’
"actio", cioè dell’arte di tenere a mente i discorsi e di porgerli. Il XII (la parte "longe gravissimam", "di gran
lunga più impegnativa" dell'opera) presenta, infine, la figura dell’oratore ideale: le sue qualità morali, i princìpi
del suo agire, i criteri da osservare.
Considerazioni.
Il progetto educativo. L' "Institutio oratoria" si delinea, dunque, come un programma complessivo di
formazione culturale e morale, scolastica ed intellettuale, che il futuro oratore deve seguire scrupolosamente,
dall’infanzia fino al momento in cui avrà acquistato qualità e mezzi per affrontare un uditorio (il termine
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F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
260
"institutio" sta ad indicare, propriamente, "insegnamento, educazione, istruzione", tal che potremmo renderlo
anche col profondo termine greco di "paidèia"): e ciò, in risposta alla corruzione contemporanea
dell’eloquenza, che Q. vede in temi moralistici, e per la quale addita come rimedi il risanamento dei costumi
e la rifondazione delle scuole. Ma, soprattutto, propugnò il criterio di ritornare all'antico, alle fonti della grande
eloquenza romana, i cui onesti principi erano stati sanciti dall'oratoria di Catone e la cui perfezione era stata
toccata da Cicerone. Le fonti dell'opera furono, quasi certamente, la "Retorica" d'Aristotele e proprio gli scritti
retorici dell'Arpinate, anche se, a differenza di quest'ultimo, egli intende formare non tanto l'uomo di stato,
guida del popolo, ma semplicemente e principalmente l' "uomo"; e, di conseguenza, mentre le analisi di
quello s'incentravano nell'ambito strettamente letterario e larvatamente "politico", egli affronta le varie
questioni con un'ampiezza tale di orizzonti culturali e di motivazioni "pedagogiche" - da proporsi decisamente
come un unicum nella storia letteraria latina.
L'utopia dell'oratore "totale". Pur nella nuova situazione politica, in un impero unitario e pacificato, Q.
ripropone così il modello di oratore di età repubblicana, di stampo catoniano-ciceroniano; è nel recupero
dell’oratoria per un nuovo spazio di missione civile il vero scopo di Q., in cui si risolve la problematica dei
rapporti fra oratore e principe tracciata nel XII libro e tacciata – così ingiustamente – di servilismo: ma non si
dimentichi, a tal proposito, che egli doveva effettivamente molto alla dinastia Flavia (in particolare a
Domiziano, addirittura osannato come sommo poeta) e che poi apparteneva a quel mondo di "provinciali"
che avevano un vero e proprio culto per l'imperatore, simbolo per loro dell'ordine e del benessere.
Insomma, l'oratore perfetto deve avere, secondo il nostro autore, una conoscenza a dir poco "enciclopedica"
(filosofia, scienza, diritto, storia), ma dev'essere - oltre che un "tuttologo" - anche un uomo onesto, "optima
sentiens optimeque dicens" [XII, 1, 25], o - come disse già Catone - "vir bonus dicendi peritus".
Tuttavia, nel predicare questo ritorno a Cicerone, Q. non realizzava che ciò esigeva anche il ritorno alle
condizioni di libertà politica di quel tempo: in ciò, sta il segno più evidente del carattere antistorico (se non
"utopistico") del classicismo vagheggiato dal nostro.
Stile. Nel suo tentativo particolare di "recupero formale" della retorica, poi, Q. si oppone da un lato agli
eccessi del "Nuovo Stile", cioè della nuova prosa di tipo senecano (Seneca è uno dei suoi bersagli preferiti)
e allo stile acceso delle declamazioni (che mirano a "movere" più che a "docere"), dall’altro al troppo scarno
gusto arcaico: e propone anche qui - come altrove - il modello di Cicerone (modello di sanità di espressione
ch’è insieme sintomo di saldezza di costumi), reinterpretato ai fini di un’ideale equidistanza appunto fra
asciuttezza e ampollosità, ovvero di un equilibrato contemperamento dei tre stili "subtile", "medium" e
"grande". L’autore, però, sia in teoria, sia soprattutto nella pratica della sua prosa, testimonia concessioni al
nuovo gusto per l’irregolarità e per il colore vivace.
"Quintiliano¸ Marco Fabio - Corso"
Marcus Fabius Quintilianus.
Di origini spagnole, Quintiliano nacque fra il 35 e il 40 dopo Cristo e morì intorno al 99, dopo un' esistenza
dedicata alla pratica forense, agli studi e all'insegnamento dell'eloquenza.
Di lui resta l'Institutio oratoria, in 12 libri, in cui Quintiliano si dimostra attento studioso e storico della retorica
e dell'eloquenza, ma anche critico letterario e teorico di precisi modelli educativi.
Della retorica Quintiliano enuncia i cinque gradi dello sviluppo progressivo: inventio, dispositio, elocutio,
memoria, pronuntiatio sive actio.
Nel primo capitolo del X libro Quintiliano offre una visione generale delle letterature greca e latina, con
notevoli giudizi critici, che indubbiamente fecero tendenza al tempo. Tra l'asianesimo e l'atticismo, le
principali scuole retoriche dell'epoca, al pari di Cicerone, suo grande modello, Quintiliano segue una
soluzione di compromesso e di equilibrio. Tra i poeti apprezza particolarmente Virgilio e Orazio, anche se ne
sconsiglia l'imitazione. Famoso anche il suo giudizio, alquanto critico, su Seneca il Giovane.
Altre opere di Quintiliano di cui abbiamo notizia, sempre di natura retorica, sono andate perdute; di paternità
diversa sono due raccolte di Declamationes trasmesse sotto il suo nome e che ebbero una notevolissima
fortuna in tutto il Medioevo.
"Quintiliano¸ Marco Fabio - Encarta",
Quintiliano, Marco Fabio (Calagurris, oggi Calahorra, Spagna 35 ca. - Roma 95 ca.), retore latino. Studiò a
Roma e qui esordì come avvocato, ma in seguito si distinse come maestro di retorica, il primo a essere
stipendiato dallo stato.
La sua opera principale è l'Institutio oratoria (pubblicata prima del 96) che tratta dell'educazione dell'oratore.
I libri IV-IX analizzano dettagliatamente la struttura, lo stile, le figure e il ritmo di un'orazione; il libro X
contiene un elenco ragionato degli scrittori greci e latini; l'XI è un'interessante descrizione dell'aspetto fisico
dell'oratore (il porgere, i gesti, gli abiti); l'ultimo offre un ritratto dell'oratore ideale, esempio nobilissimo di
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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forza e integrità morale. Per Quintiliano il supremo modello dell'oratoria latina è Cicerone, e ciceroniano è
infatti il suo stile, brillante e solenne, dal periodare ampio e simmetrico. Il trattato influenzò profondamente le
teorie pedagogiche del Medioevo e del Rinascimento.
"Quintiliano¸ Marco Fabio - Treccani"
Quintiliano Marco Fabio. Retore latino, nato a Calahorra, nella Spagna Tarraconese, fra il 35 e il 40 d.C.
Venuto a Roma ancora fanciullo insieme col padre, seguì i corsi del grammatico Remmio Palemone e del
retore Domizio Afro. Terminati gli studi, ritornò in Spagna, ma nel 68 era nuovamente a Roma. Nel 69
Vespasiano gli affidò l'incarico di aprire una scuola di eloquenza, dandogli uno stipendio, il primo pagato da
uno Stato ad un professore. Fra i discepoli Q. ebbe Plinio il Giovane. Verso il 90 si ritirò a vita privata, ma
Domiziano lo chiamò a corte e lo incaricò dell'educazione dei nipoti. Gravi lutti familiari turbarono la
tranquillità della sua vecchiaia. Morì verso il 99.
In un'opera andata perduta (De causis corruptae eloquentiae) Q. esaminò le cause della corruzione
dell'eloquenza, ravvisando il male peggiore nelle declamazioni di moda. In un'altra opera, a noi pervenuta,
l'Institutio oratoria, in 12 libri, indica i rimedi contro la decadenza e il cattivo gusto. Tra l'altro Q. si richiama al
problema educativo, attribuendo grande importanza all'impostazione dell'educazione fin dall'età infantile. Egli
va considerato perciò come il primo teorico della scienza pedagogica. Del fanciullo egli esamina le
inclinazioni naturali e suggerisce il sistema migliore di educazione, indicando le discipline che devono
costituire la base per lo studio della retorica. Di questa enuncia i cinque gradi dello sviluppo progressivo:
inventio, dispotitio, elocutio, memoria, pronuntiatio sive actio. Dovendo consigliare al futuro oratore le letture
necessarie alla sua formazione, Q. nel primo capitolo del X libro ci offre una visione generale delle letterature
greca e latina, con notevoli giudizi critici. Tra l'asianesimo e l'atticismo egli, come Cicerone, segue la via di
mezzo. A Cicerone attribuisce la palma dei prosatori. In quanto ai poeti più di tutti contano per lui Virgilio e
Orazio, ma, nello stesso momento in cui ne suggerisce la venerazione, ne sconsiglia l'imitazione.
Quintiliano - Riposati
M. Fabio Quintiliano
1. Vita. - II. L'opaa. - 111. Valore dottrinario e artistico della ' Institutio oratoria'. - IV. Fortuna.
Marco Fabio Quintiliano (M. Fabtus Quintilianus) è una figura di primo piano nella storia della cultura
del
I secolo, perché assomma in sé le qualità del rètore, del filologo, de! letterato, del pedagògo,
dell'oratore e dello scrittore, aperto al problemi attuali, ma legato a gusti e tendenze neoclassiche.
I. - Vita. - Nacque a Calahorra (Calagurris), nella Spagna Tarraconese, fra il 35 e il 40 d. C., e il
padre, che era rètore e maestro di eloquenza, lo condusse presto a Roma, perché volle che agli
insegnamenti suoi si aggiungessero quelli di Sprio Marcello, di Servilio Noniàno, di Domizio Afro e di
Remmio Palèmone, gli esponenti della retorica, dell'eloquenza e della grammatica nellepoca claudioneroniana. Alla loro scuola Quintiliano completò la sua formazione, e fece poi ritomo alla sua terra nativa;
quivi esordí come awocato ed intraprese la carriera di insegnante con tanta competenza ed onestà di intenti
da guadagnarss la stima e I amicizia del governatore Glba, che gli eventi del 6°o dovevano portare alla
porpora imperiale. In questa occasione Quintiliano ritornò a Roma, dove, per un ventennio, tenne
onorevolmente una delle prime cattedre pubbliche, istituite con retribuzione statale da Vespasiano (100.000
sesterzi annui), alternando allinsegnamento la pratica forense.
Della sua attività di patrocinatore si sa poco; dovette tuttavia essere considerevole, se si tien conto
che gli fu affidata la difesa della regina Bereníce, la sovrana amata da Tito. Della sua attività magistrale
parlano l'opera sua-I'Institutio oratoria-, scolari come Plinio lI Giovane, quasi certamente Tacito, forse
Giovenale; sono memorabili le parole reverenti e commosse di Marziale: "Della volubile gioventú
impareggiato moderatore, gloria della toga romana xt. Alla scuola sacrificò ogni ambizione; alle opere, che
scrisse, attese tardi, e sempre col rammarico di togliere alcunché all'attività dell'insegnamento, che era a
capo delle sue preoccupazioni. A quest'uomo, che, primo tra gli insegnanti dell'antichità, ebbe la
soddisfazione di vedere rimunerate pubblicamente le sue fatiche e che pur ebbe altissimi riconoscimenti
morali e materiali, non mancarono gravissimi lutti familiari, che gli amareggiarono I'ultima parte
dell'esistenza: perse la moglie e due figlioli in breve spazio di tempo, e si ritrovò, a cinquant'anni circa, solo,
con una vita che gli pareva ormai senza scopo, priva persino, com'egli dice, commosso, nel proèmio al VI
libro dell'Institutio, tl'ogni interesse e passione per lo studio. Dimessosi dall'inse gnamento, fu chiamato a
sovrintendere allteducazione dei nipoti di Domiziano. Creato da lui console, morí quasi certamente al tempo
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
262
della congiura, che spense il PSrinceps (96 d. C.), il cui ingegno poetico egli aveva lodato in misura che è
parsa inopportuna e adulatoria.
II. - L'opera. - Quintiliano non scrisse molto, né tutto quello che scrisse ci è penenuto integralmente o col
crisma dell'autenticità.
-1. Non sue paiono essere le due raccolte di Declamationes, giunteci sotto il suo nome: di 19 I'una (maiores)
e di 145 I'altra (minores), la quale è parte superstite di una raccolta piú ampia (di 300)! Ragioni di lingua e di
stile, nonché contenutistiche, persuadono a ritenere spurie le maiores e ad attribuire le minores all'opera di
qualche scolaro di Quintiliano, abile nel raccogliere, sviluppare ed ordinare le 'esercitazioni' del maestro.
2. Perduti sono i due libri di "arte retorica", a cui Quintiliano accenna nel ' Proèmio ' del I libro della Institutio,
chiarendo che essi erano " appunti di scuola )>, raccolti e pubblicati dagli alunni contro sua volontà.
3. Perdute sono anche tutte le ' Orazioni ', da lui pronunciate come patrono di parte civile, imbastite e
divulgate a scopo di lucro (in quaestum) da maldestri stenògrafi (neglegentia notariorum); ne è scomparso
persino il titolo, ad eccezione di due. ricordate nell'Institutio: Pro re8ina Berentce (4, 1, 19) e in Naevium
Arpinianum (7, 2, 24), imputato di uxoricidio; è questa l'unica che egli pubblxcò personalmente,
rammaricandosi, del resto, da vecchio, d'aver ceduto ad una momentanea ed incontrollata debolezza.
_ perduto è anche - quel che piú dispiace- il suo primo saggio scientifico sull'eloquenza, il De causis
corruptae eloquentiae (' Le cause della decadenza dell'oratoria'), pubblicato qualche anno prima
dell'Institutio (tra 1'87 e 1'89), dove spesso è dall'Autore ricordato (5, 12, 23; 8, 3, 58; ecc.). In quest'opera
sQuintiliano prendeva in esame la crisi dell'eloquenza contemporanea e ne individuava le cause in elementi
tecnici e formali, quali la pratica di una oratona fittizia e fine a se stessa, alimentata dal detestabile uso delle
declamationes, e la perniciosa lettura di autori, come Seneca, adatti piú a corrompere che a formare la retta
elocutio nei giovani. Da qui scendono le concordanze e le dissonanze col Dialogus de oratoribus di Tacito, di
cui si è già detto.
5. Ci è giunta, per fortuna, I'opera maggiore, d'importanza capitale per sé e per l'influenza che ebbe tra i
posteri: l'Institutio oratoria ("L'educazione delltoratore"), che continua idealmente e sviluppa le premesse
contenute nel De causis
Iniziata verso il 90, I'opera fu portata a termine e pubblicata entro un triennio, in dodici libri, dedicati a Vitorio
Marcello.
1. - Dedica a Vitorio Marcello, " amico caro, appassionato cultore di lettere ": gradisca l'opera, forse " non
inutile 9 alla formazione culturale del suo figliolo Gta. Nel proèmio è distribuita la materia da trattare nelle
varie sezioni. In questo primo libro l'autore si propone di guidare "dalla cullat la formazione del futuro oratore
e vi studia i problemi dell'educazione domestica e scolastica, quello dell'igiene mentale del fanciullo,
I'esercizio progressivo del discente fino al possesso della recte loquenli et scribendi ratio; vi aífronta anche il
problema, spesso trascurato, della cultura generale
II. - Come si esplica la funzione didattica del rètore, succeduto al grammatico: tecnica delle esercitazioni
preparatorie, consigli per le letture stilisticamente formative da condursi sugli autori optimi, esortazione a non
perdere di vista la funzione prima della leclarnatio, quella di "esercitazione escogitata in vista della pratica
forense, perche tra stfpule contrattuali e pratiche di interdetto invano vedresti maghi, pestilenze, oracoli,
matrigne piú arcigne di quelle della Tragedia>), non di divagazione fantastica ed inverosimile: nel suo senso
piú alto, la retorica è ars activa che attinge con equilibrata dosatura a natura e a doctrina.
III-VII. - Col III libro inizia la parte propriamente tecnica del trattato: in esso e nei successivi si discute
dell'inventio e dell'orlo quanto dire la scelta degli argomenti in relazione ai tre tipi fondamentali dell'eloquenza
celebrativa, deliberativa, giudiziale e la loro distribuzione nell'economia del discorso in prooemlum, narratio,
probatio (dimostrazione della tèsi sostenuta), refutatio (demolizione della tèsi avversaria), peroratio (riepilogo
e mozione affettiva).
VIII-IX. - Vi si svolge la parte dell'ars rhetorlca piú impegnata in senso letterario: I'elocutio, owero lo stile, che
può essere subtile, medium, grande; all'oratio perfecta si giunge con la <(chiarezza, la proprietà, la corretta
espressione, la conclusione che non si fa attendere con impazienzat e "la volontà che nulla manchi, nulla
passi la misura >) nel discorso.
X. - L'oratore non può prescindere, nel suo apprendistato, da copiose letture: non potrebbe altrimenti aífinare
la sua cultura e sensibilità stilistica. Alla sua attenzione Quintiliano sottopone un elenco criticamente
ragionato di autori greci e latini utili al fine proposto.
Xl-XII. - Dopo aver trattato della memoria e dell'actio due sussidi indispensabili al successo della
persuasione, mèta deil'awocato nell'ultimo libro, a coronamento dell'institutio intrapresa, viene delineato il
tipo ideale e perfetto dell'oratore di ispirazione quintilianèa: il catoniano vir bonus dicendi pentus, riveduto e
corretto alla luce delle nuove esperienze di vita, piú insidiose che nel tempo passato in fatto di moralita e di
probita professionale.
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III. - Valore dottrinario e artistico della ' Institutio oratoria '. - Quintiliano segna un ritorno alla concezione
classica della retorica ciceroniana, in un atteggiamento di protesta dignitosa, ma ferma, alla tendenza dei
tempi, inclíni a vedere nell'eloquenza non piú l'espressione della coscienza civica e politica, ma un mezzo
per mettere in luce l'eleganza dello spirito in piacevolezze stilistiche di sapore antico o di conio moderno. E
lo stesso Quintiliano a puntualizzare il congetto: " . . . stappagano-dice egli a proposito dei ' nuovi ' oratori- di
sapere solo loro quel che intendono esprimere: non importa se il prossimo non li capisce ! per loro l'arte
sublime è quella che ha bisogno del commento; del resto, i lettori dell'età nostra hanno questa inclinazione:
di rallegrarsi non tanto per quello che hanno letto, quanto di quello che han creduto di scoprire tra le ' parole
di colore oscuro ')>.
Da questa affermazione, sostanzialmente sfiduciata e polemica, affiorano due fondamentali elementi, che
gettano molta luce su tutta la concezione retorica quintilianèa. Da un lato, I 'eloq uen za, decaduta dal suo
pristino splendore, avvilita nella sua precipua finalità formativa e ridotta a puro esercizio di leziosità
stilistiche, deve ritrovare la via maestra, su cui la posero i grandi del passato, fra tutti Cicerone; dall'altro, I ' o
r a t o r e fuorviato dall'infatuazione della moda del tempo, riposta tutta nello studio della parola e nei
lenocinii dell'espressione, che mira a ' dilettare piú che a ' persuadere ', deve riconquistare la sua personalità
di ' uomo ' e di ' maestro ', ripresentando nella sua vita e nella sua professione il tipo vagheggiato dell'oratore
tradizionale: il vir bonus licenli peritus: "Noi andiamo formando I oratore perfetto-rivela egli nel Proèmio,-, il
quale non può esser tale se non ' buono ', e perciò esigiamo in lui non solo una straordinaria capacità di '
parola ', ma anche tutte le ' virtú delI'animo ' " (Proem., 9); che è quanto dire: onestà di costumi moralità
professionale, esemplarità di vita, quale si addice a chi è ' maestro ' del pubblico e deve unire alla nobiltà
della parola la dignità delle azioni.
Questo è il succo di tutta l'Institutio oratoria, il centro focale delle attenzioni e degli interessi spirituali,
culturali, pedagògici e morali dell'Autore. II che spiega come egli prenda il bambino fin dai teneri anni della
sua preparazione scolastica, lo accompagni attraverso le tappe della sua forrnazione culturale, gli índichi i
metodi e i maestri piú adatti allo sviluppo delle sue capacità mentali, lo porti con l'insegnamento della teoria
e della pratica alla conquista di quella personalità d" oratore ' che assommi in sé e rispecchi nella carriera
professionale le vagheggiate qualità del vir bonus licenli per2tus. Anche il libro X, allora, che con la sua
rassegna letteraria pare cosí avulso dalla compàgine precettistica di tutta lopera, assume una finalità
eminentemente formativa, perché tende con la presentazione valutativa dei singoli autori, greci e latini, ad
allargare il campo delle conoscenze culturali e ad indicare le fonti immediate per una piú completa
educazione retorica dei giovani. Perché l'oratore, quello che Quintiliano intende formare', deve dominare la
varia cultura e muoversi da signore in ogni ramo del sapere.
E questa una concezione aristocratica ed altamente ' umanistica', che discende dalla scuola di Cicerone, il
grande modello confessato di Quintiliano, per il quale non nasconde ammirazione ed ossequio: ora ne loda
la vastità della dottrina e la nobiltà del magistero retorico, ora ne esalta la maestà dell'eloquio e l'eccellenza
incomparabile dell'arte oratoria, sino a dèfinirlo l'incarnazione stessa dell'eloquenza (non homdnis nomen,
sel eloquentiae) e a proporlo esempio unico, insostituibile nella formazione dell'oratore (10, 1, 112). In
questo egli si discosta da Cicerone: nell'in, soderenza, spesso astiosa, verso la filosofia. Ma Quintiliano non
disprezza la ' filosofia ', sibbene i ' filosofi ', sui quali fa ricadere molta parte delle deviazioni culturali e morali
dei giovani. Per lui i filosofi sono spiriti svagati ed eversòri, che non debbono in alcun modo sostituirsi nella
scuola ai ' maestri ', ai quali soltanto spetta il compito dell'educazione degli allievi. II che spiega la sua
continua awersione a Seneca: lo ha combattuto nel De causis, lo prende di mira anche nell'/nstitutio(l),
sottolineandone le pericolose lusinghe dello stile e sconsigliandone la lettura ai giovani: non ne
coglierebbero i pregi, ne assorbirebbero invece i non pochi difetti.
Proprio qui, in questa posizione antistorica ed unilaterale, sta il manco del sistema retorico di Quintiliano; egli
fu per la retorica un laulator temporis acti, si pose il problema tecnico e formale di essa, ma gli sfuggi quello
sostanziale delle mutate condizioni politiche, culturali, spirituali e sociali del suo tempo. Visione ristretta, che
gli impedí di analizzare adeguatamente le molteplici cause della decadenza dello stile e della natura
dell'eloquenza.
Eppure, proprio nello stile di Quintiliano s'awerte l'inarrestabile processo dell'arte, che solo l'illusione di un
letterato ' puro ' poteva credere di arginare con l imitazione della prosa ciceroniana. Nel suo studiato periodo
si sente il debito che anche Quintiliano paga al suo tempo. Frequenti sono le ellissi-di verbo e di sostantivo-,
le costruzioni a senso, i grecismi, le coloriture asiane dx vario genere nell'impiego delle diverse figure
retoriche. Anche la detestata filosofia entra inawertita nell'opera: il tipo ideale dell oratore, delineato nel
dodicesimo libro, ha i contomi del sapiente schematizzato dalla tradizione stoica. Ma qui è in giòco l'innesto
culturale delle fonti; perché occorre tener presente il vario influsso che Quintiliano ha substo, oltre che da
Cicerone. dagli innumerabiles auctores, letti o consultati, e dalle diverse correnti dottrinali che in quel periodo
vigoreggiavano nella polemica retorica tra gli ' Apollodorèi ' e i ' Teodorèi '
Poco rìmane da dire dell'altro aspetto dell;Institutio, quello p e d a g o g i c o, che costituisce, per cosí dire,
come il tessuto connettivo dx tutta l'opera. Quintiliano era un abile maestro di scuola, dotto ed appassionato.
Tutta la dottrina pedagogica degli antichi, da Crisippo a Cecilio di Calatte e Rutilio Rufo, che avevano
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variamente scritto sull'educazione giovanile, toma a rivivere nei suoi insegnamenti, filtrata attraverso la sua
doviziosa quotidiana esperienza, illuminata da innato buon senso e sostenuta da un vivo sentimento
affettuoso per la gioventú. II primo libro della Institutio è ricco di quest'aurea precettistica, fresca e vitale
ancora oggi.
IV. - Fortuna. - Se Quintiliano non riuscí ad imporsi al! universale ammirazione dei contemporanei e a creare
una tradlzione letteraria duratura e costante, fu suo però il merito di aver fatto rivivere nelle scuole di retorica
la precettistica cicero, niana, tramandandola ai secoli. II Medio Evo non conobbe integralmente I'Institutio
Oratoria e tenne invece in grandissimo onore le pseudo-Declamationes, che alimentarono le ' esercitazioni
retoriche fino alle tarde età. L'Institutio, riscoperta dal Bracciolini ai prlmi del 1400, suscitò moltissimo
interesse non solo dal punto di vista pedagogico, ma anche dottrinario, e, insieme con le opere retonche di
Cicerone, offrí schemi e materia alle diverse Artes rhetoricae dell'Umanesimo, fino al Vico.
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Plinio il Giovane
Cenni biografici
Plinio nacque a Como, tra il 61 e il 62 d.C. Il padre, Lucio Cecilio, dovette morire intorno al 70 e
Plinio venne prima affidato alle cure di Virginio Rufo, poi adottato dallo zio materno, che gli diede
anche il proprio nome e che gli lascerà alla morte (79) un notevole patrimonio, rimpinguatosi con il
tempo con i lasciti della madre e di amici e con le richezze di due o tre matrimoni.
Plinio compì studi di retorica a Roma sotto Nicete Sacerdote e Quintiliano.
Iniziò presto una lunga e felice carriera in tribunale, forte anche di conoscenze con persone di
rango e di importanza a corte.
Il suo cursus honorum lo vede tribuno militare in Siria nell’81, questore nell’89 o 90, quindi tribuno
della plebe e pretore, forse nel 93, prefetto dell’erario militare.
Altri incarichi e magistrature arrivarono con Traiano: consul suffectus nel 100; Alla morte di
Frontino Plinio gli successe nel collegio degli auguri; tra il 105 e il 107 ebbe un altro importante
incarico, quello di curator alvei Tiberis et riparum et cloacarum urbis.
Nominato governatore della Bitinia nel 111, vi morì, verosimilmente nel 112 o a più tardi nel 113.
Per i rapporti tra Plinio e Tacito v. Testi e testimonianze per Tacito.
Opere
Panegirico
E' una versione ampliata del discorso di ringraziamento indirizzato a Traiano per la nomina a
console nel 100.
E' trasmesso assieme a Panaegyrici Latini (vedi).
Epistolario
In nove libri, raccoglie lettere composte tra il 97 e il 108, pubblicate parzialmente negli anni 103109.
Alcune lettere inviate a Traiano risalgono al 111. Vennero aggiunte come decimo libro dopo la
morte di Plinio.
Opere perdute
Ci resta un componimento in Anthologia Latina 710.
Notizie da Plinio stesso su numerosi discorsi pubblicati, una biografia elogiativa e versi.
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Osservazioni
Testi e testimonianze
CIL V, 5262 (per il cursus)
Hier., chr., ol. 222
Plinius Secundus, cum quamdam [c [0608A] Bithyniam scilicet, quod nomen, quia neque in Graeco erat,
Hieronymus tacuit. Ut autem exploratum habeas, quo tempore eam provinciam Plinius regeret, quod et
Scaliger ignorabat, adito Tillemontium nota 14, ad Trajani Vitam. Epocham ejus epistolae de imponendo
persecutioni in Christianos modo, filii chronologorum duodecimo aut decimo tertio Trajani illigant ipsum
Plinium lib. X, epist. 97 et 98. Infra ubi dicitur, Christo ut Deo, Parmensis ms. ut voculam tacet, et ubi ex
eodem restituimus, ad confoederandam disciplinam, unus Palat. habet ad conferendam: quae et Pontaci
pridem lectio fuit. Mox idem liber, Hoc quidem requirendum non esse, praetermisso genus. Caeterum, ut
probe notatum est etiam Schurzfleischio, non ait Eusebius hoc loco, fuisse [0608B] Plinii epistolam hoc
anno perscriptam, ut nonnulli sentiebant, quos Pagius refutat: sed tertiae, quam vocat, persecutionis
occasione, uno, ut assolet, tenore narravit, quae ad eam spectabant.] provinciam regeret, et in magistratu
suo plurimos Christianorum interfecisset, multitudine eorum perterritus, quaesivit a Trajano, quid facto opus
esset, nuntians ei, Praeter obstinationem non sacrificandi, et antelucanos coetus ad canendum cuidam
Christo ut Deo, nihil apud eos reperiri. Praeterea ad confoederandam disciplinam, vetari ab his homicidia,
furta, adulteria, latrocinia, et his similia. Ad quae commotus Trajanus rescribit: Hoc genus quidem
inquirendum non esse, oblatos vero puniri oportere. Tertullianus refert in Apologetico.
Macr.
Quattuor sunt … genera dicendi: copiosum in quo Cicero dominatur, breve in quo Sallustius regnat, siccum
quod Frontoni ascribitur, pingue et floridum in quo Plinius Secundus quondam et nunc nullo veterum minor
noster Symmachus luxuriat.
controllare testo e riferimento
Testo e traduzione Macrobio
Per i rapporti tra Plinio e Tacito v. Testi e testimonianze per Tacito.
Plin.iun., 9,2. L'epistolario di Cicerone e quello di Plinio
C. PLINIVS SABINO SVO S.
Facis iucunde quod non solum plurimas epistulas meas uerum etiam longissimas flagitas; in quibus
parcior fui partim quia tuas occupationes uerebar, partim quia ipse multum distringebar plerumque frigidis
negotiis quae simul et auocant animum et comminuunt. Praeterea nec materia plura scribendi dabatur.
Neque enim eadem nostra condicio quae M. Tulli, ad cuius exemplum nos uocas. Illi enim et copiosissimum
ingenium, et par ingenio qua uarietas rerum qua magnitudo largissime suppetebat; nos quam angustis
terminis claudamur etiam tacente me perspicis, nisi forte uolumus scholasticas tibi atque, ut ita dicam,
umbraticas litteras mittere. Sed nihil minus aptum arbitramur, cum arma uestra cum castra, cum denique
cornua tubas sudorem puluerem soles cogitamus. Habes, ut puto, iustam excusationem, quam tamen dubito
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an tibi probari uelim. Est enim summi amoris negare ueniam breuibus epistulis amicorum, quamuis scias illis
constare rationem. Vale.
Caro Sabino,
mi fai piacere reclamando non solo molte mie lettere, ma anche lunghissime; delle quali fui più parco, sia
perché rispettavo le tue occupazioni, sia perché io spesso ero variamente occupato da affari quasi tutti di
scarso interesse, che distraggono la mente e la stancano.
Non avevo poi neppure argomenti intorno ai quali scrivere. lo non sono infatti nella condizione di Marco
Tullio, al cui esempio mi richiami. Egli infatti aveva un ingegno fervidissimo, una varietà e grandezza di
argomenti, all'altezza del suo talento e largamente capaci di alimentarlo; in quali angusti limiti io sia
confinato, tu lo noti senza che io te lo dica, salvo che non voglia mandarti delle lettere da scolaro o, come si
dice, scritte per esercitazione. Nulla v'ha che mi paia meno opportuno, quando io penso ai tuoi fatti d'arme,
agli accampamenti, e anche ai corni, alle trombe, al sudore, alla polvere, al sole.
Eccoti, mi pare, una giusta scusa, che però non so se io vorrei fosse da te accolta. E' infatti prova di grande
affetto non perdonare agli amici le loro brevi lettere, anche se si sa che v'era una buona ragione perché tali
fossero. Addio.
Traduzione di L. Rusca, Milano, Rizzoli, 1994,20003.
Plin.iun.,10, 96-97. I processi contro i Cristiani
C. PLINIVS TRAIANO IMPERATORI
Sollemne est mihi, domine, omnia de quibus dubito ad te referre. Quis enim potest melius uel
cunctationem meam regere uel ignorantiam instruere? Cognitionibus de Christianis interfui numquam: ideo
nescio quid et quatenus aut puniri soleat aut quaeri. Nec mediocriter haesitaui, sitne aliquod discrimen
aetatum, an quamlibet teneri nihil a robustioribus differant; detur paenitentiae uenia, an ei, qui omnino
Christianus fuit, desisse non prosit; nomen ipsum, si flagitiis careat, an flagitia cohaerentia nomini puniantur.
Interim, <in> iis qui ad me tamquam Christiani deferebantur, hunc sum secutus modum. Interrogaui ipsos an
essent Christiani. Confitentes iterum ac tertio interrogaui supplicium minatus: perseuerantes duci iussi.
Neque enim dubitabam, qualecumque esset quod faterentur, pertinaciam certe et inflexibilem obstinationem
debere puniri. Fuerunt alii similis amentiae, quos, quia ciues Romani erant, adnotaui in urbem remittendos.
Mox ipso tractatu, ut fieri solet, diffundente se crimine plures species inciderunt. Propositus est libellus sine
auctore multorum nomina continens. Qui negabant esse se Christianos aut fuisse, cum praeeunte me deos
adpellarent et imagini tuae, quam propter hoc iusseram cum simulacris numinum adferri, ture ac uino
supplicarent, praeterea male dicerent Christo, quorum nihil cogi posse dicuntur qui sunt re uera Christiani,
dimittendos putaui. Alii ab indice nominati esse se Christianos dixerunt et mox negauerunt; fuisse quidem
sed desisse, quidam ante triennium, quidam ante plures annos, non nemo etiam ante uiginti. <Hi> quoque
omnes et imaginem tuam deorumque simulacra uenerati sunt et Christo male dixerunt. Adfirmabant autem
hanc fuisse summam uel culpae suae uel erroris, quod essent soliti stato die ante lucem conuenire,
carmenque Christo quasi deo dicere secum inuicem seque sacramento non in scelus aliquod obstringere,
sed ne furta ne latrocinia ne adulteria committerent, ne fidem fallerent, ne depositum adpellati abnegarent.
Quibus peractis morem sibi discedendi fuisse rursusque coeundi ad capiendum cibum, promiscuum tamen
et innoxium; quod ipsum facere desisse post edictum meum, quo secundum mandata tua hetaerias esse
uetueram. Quo magis necessarium credidi ex duabus ancillis, quae ministrae dicebantur, quid esset ueri, et
per tormenta quaerere. Nihil aliud inueni quam superstitionem prauam et immodicam.
Ideo dilata
cognitione ad consulendum te decucurri. Visa est enim mihi res digna consultatione, maxime propter
periclitantium numerum. Multi enim omnis aetatis, omnis ordinis, utriusque sexus etiam uocantur in
periculum et uocabuntur. Neque ciuitates tantum, sed uicos etiam atque agros superstitionis istius contagio
peruagata est; quae uidetur sisti et corrigi posse. Certe satis constat prope iam desolata templa coepisse
celebrari, et sacra sollemnia diu intermissa repeti passimque uenire <carnem> uictimarum, cuius adhuc raris
simus emptor inueniebatur. Ex quo facile est opinari, quae turba hominum emendari possit, si sit
paenitentiae locus.
TRAIANVS PLINIO
Actum quem debuisti, mi Secunde, in excutiendis causis eorum, qui Christiani ad te delati fuerant,
secutus es. Neque enim in uniuersum aliquid, quod quasi certam formam habeat, constitui potest.
Conquirendi non sunt; si deferantur et arguantur, puniendi sunt, ita tamen ut, qui negauerit se Christianum
esse idque re ipsa manifestum fecerit, id est supplicando dis nostris, quamuis suspectus in praeteritum,
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ueniam ex paenitentia impetret. Sine auctore uero propositi libelli <in> nullo crimine locum habere debent.
Nam et pessimi exempli nec nostri saeculi est.
Sire, è per me una regola di sottoporti tutte le questioni sulle quali ho dei dubbi. Chi infatti potrebbe meglio
dirigere la mia incertezza o istruire la mia ignoranza?
Non ho mai partecipato a inchieste sui Cristiani: non so pertanto quali fatti, e in quale misura, si debbano
punire o perseguire. E con non piccola esitazione [mi sono chiesto] se non vi siano discriminazioni a cagione
dell'età, o se la tenera età non debba essere trattata diversamente dall'adulta; se si deve perdonare a chi si
pente, oppure se a colui che è stato comunque Cristiano nulla giova abiurare; se viene punito il solo nome
[di Cristiano], anche se mancano atti nefandi, o le nefandezze connesse a quel nome.
Frattanto, ecco come mi sono comportato con coloro che mi sono stati deferiti quali Cristiani. Domandai a
loro stessi se fossero Cristiani. A quelli che rispondevano affermativamente ripetei due o tre volte la
domanda, minacciando il supplizio: quelli che perseveravano li ho fatti uccidere. Non dubitavo, infatti,
qualsiasi cosa fosse ciò che essi confessavano, che si dovesse punire almeno tale pertinacia e inflessibile
ostinazione.
Altri, presi dalla stessa follia, poiché erano cittadini romani, li misi in nota per mandarli a Roma. Ben presto,
come accade in simili casi, moltiplicandosi le denunce con il proseguire dell'inchiesta, si presentarono
parecchi differenti casi. Fu presentata una denuncia anonima contenente i nomi di molte persone. Coloro
che negavano di essere Cristiani o di esserlo stati, se invocavano gli dèi secondo la formula che io avevo
imposta, e se facevano sacrifici con incenso e vino dinnanzi alla immagine tua, che avevo fatto recare per
tale intento insieme alle statue degli dèi, e inoltre maledicevano Cristo, tutte cose che, mi dicono, è
impossibile ottenere da coloro che sono veramente Cristiani, io ho ritenuto dovessero essere rilasciati. Altri, il
cui nome era stato fatto da un denunciatore, dissero di essere Cristiani e poi lo negarono; lo erano stati, ma
poi erano cessati di esserlo, alcuni da tre, altri da più anni, alcuni perfino da vent'anni. Anche tutti costoro
hanno adorato la tua immagine e le statue degli dèi, e maledissero Cristo.
D'altra parte, essi affermavano che tutta la loro colpa o il loro errore erano consistiti nell'abitudine di riunirsi in
un determinato giorno, avanti l'alba, di cantare fra loro alternatamente un inno a Cristo, come a un dio, e di
obbligarsi, con giuramento, non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere furti o brigantaggi o
adulteri, a non mancare alla parola data, né a negare, se invitati, di restituire un deposito. Compiuti i quali riti,
avevano l'abitudine di separarsi e di riunirsi ancora per prendere il cibo, ordinario peraltro e innocente.
Perfino da questa pratica avevano desistito, dopo il mio decreto, con il quale, secondo i tuoi ordini, avevo
vietato le eterìe.
Ho ritenuto tanto più necessario di strappare la verità, anche mediante la tortura, a due schiave che
venivano dette aiutanti. Ma non venni a scoprire altro che una superstizione irragionevole, smisurata.
Perciò, sospendendo l'inchiesta, ricorro a te per consiglio. L'affare mi è parso degno di tale consultazione,
soprattutto per il gran numero dei denunciati: son molti, infatti, di ogni età, di ogni ceto, di ambedue i sessi,
coloro che sono o saranno posti in pericolo. Non è soltanto nelle città, ma anche nelle borgate e nelle
campagne, che si è propagato il contagio di questa superstizione. Mi sembra però che si possa contenerla e
farla cessare.
Mi consta senza dubbio che i templi, ormai quasi disertati, cominciano a essere di nuovo frequentati, e le
cerimonie rituali, da tempo interrotte, vengono riprese, e ovunque si vende la carne delle vittime, che fino a
ora trovava scarsi acquirenti. Donde è facile dedurre quale folla di uomini potrebbe essere guarita, se si dà
loro la possibilità di pentirsi.
97 Traiano a Plinio
Mio caro Secondo, tu hai seguito la condotta che dovevi nell'esame delle cause di coloro che a te furono
denunciati come Cristiani. Perché non si può istituire una regola generale, che abbia per così dire valore di
norma fissa.
Non devono essere perseguiti d'ufficio. Se sono stati denunciati e riconosciuti colpevoli, devono essere
condannati, però in questo modo: chi negherà di essere Cristiano, e ne avrà dato prova manifesta, cioè
sacrificando ai nostri dèì, anche se sia sospetto circa il passato, sia perdonato per il suo pentimento.
Quanto alle denunce anonime, esse non devono aver valore in nessuna accusa; perché detestabile esempio
e non degno dei nostro tempo.
Traduzione di L. Rusca, Milano, Rizzoli, 1994, 20003.
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Letture critiche. M. Sordi, Il rescritto di Traiano a Plinio.
Il rescritto di Traiano (Plin. Ep. x, 97) è il banco di prova della problematica giuridica sul
fondamento legale delle persecuzioni anticristiane, che esso regola, come si è già detto, sino al
tempo di Decio e di Valeriano. Gli studiosi sono divisi, oggi come in passato, fra quelli che credono
ad una legge speciale, quelli, ormai meno numerosi, che pensano all'applicazione della coercitio,
quelli secondo cui il Cristianesimo veniva punito in base alle leggi comuni, e, in particolare, alle
leggi che riguardavano, anche prima della comparsa del cristianesimo, le colpe religiose (4).
L'autenticità del rescritto e della lettera di Plinio a Traiano che lo provocò (ibid. 96) è per tutti fuori
discussione e le ipotesi di eventuali interpolazioni non hanno ormai alcun seguito (5): non c'è
dubbio che esso è il più antico documento ufficiale sui rapporti fra il Cristianesimo e lo stato
romano.
Il luogo in cui i processi avvennero e da cui partì la lettera di Plinio può essere identificato, sulla
base della collocazione della lettera stessa nell'epistolario, tra Amiso (a cui si riferisce la ep. 92) e
Amastri (a cui si riferisce la ep. 98), ambedue sulla costa orientale del Mar Nero; la data, sempre
sulla base dell'epistolario, può essere fissata fra il 18 settembre e il 3 gennaio del secondo anno
del governo di Plinio il Giovane in Bitinia, databile fra il 109 e il 111 secondo alcuni, fra il 111 e il
113 secondo altri: i processi e il carteggio che ne seguì appartengono dunque all'autunno-inverno
del 110/111 o del 112/113 (6).
Plinio comincia dichiarando di non aver mai partecipato ai processi contro i Cristiani (Cognitionibus
de Christianis interfui nunquam): ciò significa che, al tempo di Plinio, quindici anni circa dopo
l'avvento al trono di Traiano, i processi contro i Cristiani davanti ai governatori provinciali non
erano un fatto nuovo, sconosciuto, ma un fenomeno ricorrente: l'ignoranza confessata da Plinio
(ideo nescio, quid et quatenus aut puniri soleat aut quaeri) nasce dalla sua inesperienza personale
(egli non aveva avuto finora occasione di partecipare a questi processi né come governatore, né
come membro del consilium principis) e riguarda la prassi normalmente seguita, non la punibilità
legale del «delitto» di Cristianesimo, su cui, nonostante l'evidente mancanza di istruzioni ricevute
da Traiano su processi di questo tipo e la mancanza di esperienza personale, Plinio mostra di non
avere dubbi, mandando a morte, come egli stesso ricorda, i Cristiani confessi (ibid. 96, 3
perseverantes duca iussi ).
Plinio sa dunque che, in base alla legge, ì Cristiani confessi devono essere condannati: quale
fosse secondo Plinio il contenuto di questa legge lo si deduce dalle prave che egli chiede a coloro
che, accusati di cristianesimo, negano di essere cristiani (ibid. 96, 5): imponendo agli accusati di
sacrificare agli dei, di rivolgere suppliche con incenso e con vino all'immagine dell'imperatore e di
dir male di Cristo, Plinio mostra di ritenere implicite nella colpa di Cristianesimo le colpe di impietas
(ateismo) e di superstitia illicita e una mancanza di riverenza nei riguardi dell'imperatore: delle
colpe religiose, dunque, che per il rifiuto del culto imperiale (peraltro mai imposto né richiesto da
Traiano) tendano ad assumere significato politico.
Che il Cristianesimo rappresenti per lo stato un pericolo e che implichi, oltre al rifiuto del culto agli
dei e all'imperatore e all'adesione ad un culto proibito, anche atti atroci ed osceni, i famosi flagitia,
o impegni contrari alla morale e alla sicurezza dello stato, Plinio non lo crede; egli si dilunga assai
nell'informare Traiano dei risultati dell'interrogatorio da lui condotto sotto tortura di due donne,
probabilmente diaconesse, a proposito delle riunioni dei Cristiani e conclude (ibid. 96, 8): «Non ho
trovato nient'altro che una superstizione malvagia e smodata». Questa parte della lettera di Plinio,
importantissima perché è la più antica testimonianza pagana sulle assemblee liturgiche dei
cristiani primitivi e sull'Eucarestia (7), è a mio avviso fondamentale per la comprensione dell'intera
lettera pliniana: non solo perché Plinio conosce bene la diffidenza profonda di Traiano per ogni
forma di vita associativa in Bitinia e il suo timore per le società segrete (eterie) e si preoccupa di
tranquillizzarlo (8), ma anche perché, rappresentando le riunioni cristiane con la terminologia
caratteristica delle coniurationes (ibid. 96, 7: con l'accenno alle riunioni antelucane e al
sacramentum) e capovolgendone poi le finalità (l'impegno imposto dal «sacramento» non è «in
funzione di qualche delitto ma di non mancare alla parola data, di non commettere furti, rapine e
adulteri, di non rifiutare la restituzione di un deposito») e sottolineando anzi l'impegno dei Cristiani
ad un comportamento conforme alla morale e alle leggi, rivela il vero animus del rescritto e
giustifica la sospensione dei processi (ideo dilata cognitione), e il ricorso all'imperatore (ad
consulendum te deducurri... res digna consultatione) non più, come all'inizio, con la propria
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inesperienza ma, come dice ormai chiaramente, col desiderio di evitare un'inutile strage (ibid. 9:
propter periclitantium numerum). Con questa difesa indiretta, attraverso i risultati dell'interrogatorio,
dell'innocenza dei Cristiani nei confronti dei famosi flagitia, e della loro non pericolosità per lo stato,
Plinio ripropone anche, alla fine della lettera, in modo indiretto, i tre quesiti iniziali: (ibid. 2 «se vi
siano discriminazioní che tengano conta dell'età, se i bambini, per quanto in tenera età, non
differiscano in nulla da quelli in età più matura, se si conceda perdono al pentimento, o se, a chi è
stato Cristiano non giovi aver cessato; se il nomen in se stesso cioè la semplice adesione-anche
se esente da colpe vergognose, sia punito o se siano punite le colpe conseguenti all'adesione»),
ed avanza una cauta proposta di clemenza (ibid., 9-10).
Non è vero, a mio avviso, ciò che è stato scritto anche di recente, che l'unico problema di Plinio sia
costituito dagli apostati, anche se è questo, certamente, l'unico dei tre quesiti a cui Traiano
risponde in modo abbastanza esplicito: il quesito centrale nella problematica posta da Plinio a
Traiano è costituito dalla punibilità del nomen o dei flagitia cohaerentia nomini ed è la soluzione di
questo quesito che, secondo Plinio, coinvolge anche la possibilità di concedere venia alla
paenitentia degli apostati. La domanda di Plinio-e qui concordo con la Wlosok e con il Keresztes-è
se il Cristianesimo sia una colpa di fatto o di pensiero, una culpa o un error. Posto in questo modo,
il problema è caratteristico del diritto romano, che non conosceva perdono per i «pentiti» per delitti
contro le persone o contro lo stato (salvo nel caso, verificatosi nel famoso processo dei Baccanali
del 186 a.C., che essi collaborassero per far arrestare i propri complici), ma che ammetteva una
diversa punibilità per le colpe di fatto e per le colpe di pensiero o di parola. Il caso proposto da
Ulpiano nel VII 1. De officio proconsolis per i mathematici e i vaticinatores, se in essi fosse punita
la scientia o l'exercitium e la professio (9), era analogo a quello posto da Plinio per i Cristiani e le
esitazioni nascevano dalla complessità delle situazioni che si potevano presentare, nonostante
l'esistenza di una legislazione in materia fin dall'epoca repubblicana. Si doveva punire il cristiano e
si doveva punire il mathematicus per la semplice adesione al Cristianesimo (il nomen) e per la
semplice conoscenza dell'astrologia (la scientia), o si doveva punire l'uno e l'altro per gli eventuali
delitti che l'adesione al Cristianesimo comportava o per le pratiche magiche a cui la conoscenza
dell'astrologia induceva? Il parallelo, come si vede, è calzante, anche se in qualche modo
inadeguato, soprattutto per la diversità del rapporto fra la conoscenza dell'astrologia e l'adesione
alla fede, da una parte e gli effetti di quella conoscenza e di quella adesione nella vita, dall'altra:
Plinio, infatti, fa per suo conto un'ulteriore distinzione fra la pratica cultuale connessa con la
professione di cristianesimo e la pratica morale, concludendo in tutti e due i casi di non aver
constatato l'esigenza di nessuno dei Jlagitia che la voce popolare attribuiva ai Cristiani.
Ed è proprio la constatazione dell'assenza di flagitia e della presenza di una colpa (o error)
esclusivamente religiosa («Non ho trovato nient'altro...») che giustífica la perplessità di Plinio sulla
punibilità del solo nomen, cioè dell'adesione al Cristianesimo in quanto tale, e il suo ricorso
all'imperatore per ottenere una normativa meno rigida, che tenga conto almeno dell'età e del sesso
e che ammetta la possibilità del perdono ai «pentiti».
Il problema della condanna per il nomen, che tanta parte avrà negli atti dei martiri e
nell'apologetica cristiana, non è dunque una invenzione dei Cristiani, collegata col valore che il
Nome ha nella tradizione giudaica, ma è prima di tutto un problema giuridico romano. Ma
condanna per il nomen significa condanna per Cristianesimo: non per ateismo o per superstitio,
che sono ancora in qualche modo solo le colpe cohaerentia nomini, ma per Cristianesimo. E
questo suppone una legge speciale, in cui il nomen, cioè l'essere cristiano, fosse proibito, un non
licet esse christianos (10).
L'analisi della lettera di Plinio ci permette dunque di risalire da una legge speciale, abbastanza
vaga nella sua formulazione, in cui era rifiutato al Cristianesimo il diritto di esistenza, ad una legge
a cui Nerone per primo aveva dato applicazione, ma che poteva essere più antica di Nerone, tanto
è vero che l'abolitio degli atti di Nerone non l'aveva annullata. Prescindendo da Nerone, l'unica
notizia di una legge siffatta è quella relativa al senatoconsulto del 35 di cui parla Tertulliano.
Tornando alla lettera pliniana, bisogna dire che se Plinio si aspettava da Traiano una risposta
diretta alle sue domande, che gli permettesse di usare, al riparo di norme precise, un'oculata
clemenza, deve essere rimasto alquanto deluso: la risposta di Traiano è un capolavoro di
ambiguità e non risponde direttamente a nessuna delle tre domande del suo governatore ed
amico, neppure a quella degli apostati, diversamente da quello che di solito si scrive. Traiano infatti
permette l'assoluzione degli apostati, ma non in quanto apostati, ma in quanto semplicemente
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suspecti in prateritum; e lascia che il sospetto resti sospetto, semplicemente suggerendo a Plinio di
non domandare agli accusati di Cristianesimo se siano stati Cristiani, ma solo se siano attualmente
cristiani. In questo modo Traiano perde tutto l'effetto psicologico dell'apostasia, dal quale Plinio si
aspettava il ritorno di molti alla religione dei padri, e mostra chiaramente di non preoccuparsi
troppo di «emendare» i Cristiani. Traiano, inoltre, dopo aver detto a Plinio che si è comportato
benissimo nei processi anticristiani, gli suggerisce tra le righe di adottare per il futuro un
comportamento diverso, non solo evitando ogni domanda sul passato degli imputati, ma limitando
anche la prova richiesta a coloro che negano di essere Cristiani ai solo sacrificio agli dei
dell'impero e lasciando cadere la supplica all'immagine imperiale e la «maledizione» a Cristo.
Su due punti, inoltre, Traiano è chiarissimo e categorico: i Cristiani non devono essere ricercati
(conquirendi non sunt) e possono essere perseguiti solo su denuncia privata, non anonima. Il
secondo punto, il rífiuto delle denunzie anonime, corrisponde alla linea generale del principato
traianeo e non costituisce un trattamento particolare a favore dei Cristiani. Il primo è certamente
più importante, specialmente se si mette in rapporto col silenzio assoluto nel quale Traiano lascia
cadere contro la sua abitudine in Bitinia, le informazioni di Plinio circa gli aspetti associativi della
professione del Cristianesimo. In un'altra occasione, a Plinio che sollecitava il permesso di fondare
a Nicomedia un piccolo (meno di 150 uomini) corpo di pompieri, sotto la sua diretta sorveglianza,
per fronteggiare gli incendi numerosi e disastrosi (Ep. X. 33), Traiano aveva risposto con un rifiuto,
dichiarando che qualsiasi pretesto gli abitanti della provincia di Bítinia avessero avuto per riunirsi,
avrebbero formato un'etería, cioè un'associazione politica eversiva e questo andava impedito.
Perfino gli eranoi, associazioni di mutuo soccorso, sono tollerati per gli Amiseni, a cui ciò era stato
concesso in base a leggi ed accordi precedenti, ma proibiti per tutti gli altri, «per non creare torbidi
e riunioni illecite» (X, 93); anche gli inviti alle solenni distribuzioni di sportule, che la consuetudine
collegava con la celebrazione di nozze o di altre ricorrenze festose, sono proibiti da Traiano, in
nome dell'ordine pubblico (ibid. 117). Alla luce di questi precedenti, il silenzio in cui Traiano lascia
cadere le informazioni di Plinio sulle riunioni dei Cristiani e il consiglio che gli dà, di non occuparsi
delle riunioni dei Cristiani, non ricercandoli, e di considerare pertanto la colpa di Cristianesimo
come una colpa individuale di carattere strettamente religioso, da perseguire solo su iniziativa
privata, sono, a mio parere, estremamente eloquenti: essi dimostrano che Traiano,
indipendentemente dalle informazioni di Plinio, è così profondamente convinto dell'assenza di ogni
pericolo politico nel Cristianesimo, da fare in un certo senso eccezione per i Cristiani al rigoroso
principio del divieto di ogni forma di vita associativa in Bítinia e da consigliare apertamente ai suoi
governatori di ignorare le riunioni dei Cristiani e implicitamente, ai Cristiani stessi, di essere
abbastanza cauti da non farsi denunciare. Non potendo ripetere il veto di Nerva, ormai impopolare
non solo nell'opinione pubblica, ma anche in gran parte del senato, e non potendo neppure dare,
per gli stessi motivi, un riconoscimento formale al Cristianesimo, Traiano resta deliberatamente nel
generico, evita precisazioni che aggraverebbero il divieto della legge anticristiana e toglierebbero a
lui ogni spazio di manovra, e cerca nei limiti del possibile di ridurre al massimo le occasioni di
applicazione di tale legge. Ciò che sappiamo dei processi di Ignazio in Antiochia e di Simeone in
Gerusalemme confermano le intenzioni rivelate dal rescritto (11).
Tertulliano ha ragione, a mio avviso, sia quando giudica il rescritto di Traiano una sententiam
necessitate confusam (Apol. 2, 7 e si noti quel necessitate, che rivela da parte dell'apologista la
comprensione piena di quella «confusione»), sia quando afferma apertamente che il rescritto fu un
tentativo di eludere, almeno in parte, le leggi anticristiane (Apol. 5, 7: Quales leges istas... quas
Traianus ex parte frustratus est...). In effetti il rescritto di Traiano fu una soluzione di
compromesso, che ambedue le parti interessate, sia i Cristiani sia i pagani intransigenti, cercarono
di sbloccare a proprio favore, o riproponendo con l'apologetica, fin dal tempo di Adriano, e poi con
Giustino al tempo di Antonino Pio, la distinzione, già chiesta da Plinio, fra nomen e flagitia, o
sollecitando da parte dello stato la ricerca d'ufficio contro gli «empi», che minacciavano la pax
deorum; come tutte le soluzioni di compromesso, d'altra parte, il rescritto di Traiano permetteva un
certo spazio di manovra e stabiliva un certo equilibrio, che sembrava pericoloso turbare. Così esso
rimase formalmente in vigore, nonostante le disposizioni diverse verso i Cristiani dei vari imperatori
chiamati ad applicarlo, fino a Valeriano: perfino Decio, nella sua smania di restaurazione religiosa,
si presenterà come colui che attua fedelmente e rigorosamente il rescritto traianeo, non come un
innovatore. Solo Valeriano, nel 257, si allontanò per la prima volta dalla impostazione traianea,
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individuando nella Chiesa, come comunità illecita, e non solo, nell'adesione individuale alla fede
cristiana, una colpa da perseguire.
(4) Per la precedente bibliografia, rinvio al mio articolo in «Rivista di Storia della Chiesa in Italia», 14 (1960), pp. 344ss.;
successivamente v. J. Speigl, Der roemische Staat und die Christen, Amsterdam 1970, pp. 45ss.; J. Molthagen, Der
roemische Staat und die Christen in zweiten und dritten Jahrh., Gottingen 1970, pp. 24ss.; A. Wlosok, Rom und die
Christen, Stoccarda 1970, pp. 27ss: ; P. Keresztes, art. cit., pp. 273ss. Per un commento analitico v. A.N. Sherwin White,
The letters of Pliny, Oxford 1966, App. v, pp. 772ss.; R. Freudenberger, Das Verhalten der roemischen Behoerden
gegen die Christen, Múnchen 1969 2'. Uno status quaestionis aggiornato fino al 1975 si trova in P. Cova, Plinio il
giovane( e il problema delle persecuzioni, in «Bollettino di Studi Latini», v (1975), pp. 293ss.
(5) Sul sospetto avanzato da L. Hermann in «Latomus», 13 (1954), pp. 343ss., v. ora P. Ketesztes, art. cit., pp. 274ss.
(con note).
(6) Lo Sherwin White colloca il governo di Plinio in Bitinia fra il 109 e il 111; il Freudenberger fra il 111 e il
113.
(7) Cfr. ora M. Sordi, Sacramentun in Plin. ap. x, 96, 7 in «Vigiliae Christianae», 19 ( 1982), pp. 97ss.
(8) Sulla preoccupazione di Traiano per la vita associativa in Bitinia v. Plin. F-p. x, 34; 93; 117.
(9) Cfr. Mos. et Rom. Legum Collatio, XV, 11, 2: sed fuit quaesitum utrum scientia huiusmodi hominum
puniatur an exercitium et professio.
(10) Escluderei (contro Sherwin White, op. cit., p. 783) che pertinacia abbia qui valore tecnico e che possa
da sola-e senza una legge speciale-proprio in quanto disprezzo della legge, giustificare la condanna.
(11) Sul martirio di Ignazio e di Simeone (Eus. H.E. III, 32ss.) v. M. Sordi, Il Cristianesimo e Roma, cit., pp.
132 e 146ss.
M. Sordi, I Cristiani e l’impero romano, Milano, Jaka Book, 1983. [BCTV]
Plin., 8,24. A un legato mandato in Grecia.
Amor in te meus cogit, non ut praecipiam neque enim praeceptore eges, admoneam tamen, ut quae scis
teneas et obserues, aut nescire melius. Cogita te missum in prouinciam Achaiam, illam ueram et meram
Graeciam, in qua primum humanitas litterae, etiam fruges inuentae esse creduntur; missum ad ordinandum
statum liberarum ciuitatum, id est ad homines maxime homines, ad liberos maxime liberos, qui ius a natura
datum uirtute meritis amicitia, foedere denique et religione tenuerunt. Reuerere conditores deos et nomina
deorum, reuerere gloriam ueterem et hanc ipsam senectutem, quae in homine uenerabilis, in urbibus sacra.
Sit apud te honor antiquitati, sit ingentibus factis, sit fabulis quoque. Nihil ex cuiusquam dignitate, nihil ex
libertate, nihil etiam ex iactatione decerpseris. Habe ante oculos hanc esse terram, quae nobis miserit iura,
quae leges non uictis sed petentibus dederit, Athenas esse quas adeas, Lacedaemonem esse quam regas;
quibus reliquam umbram et residuum libertatis nomen eripere durum ferum barbarum est. Vides a medicis,
quamquam in aduersa ualetudine nihil serui ac liberi differant, mollius tamen liberos clementiusque tractari.
Recordare quid quaeque ciuitas fuerit, non ut despicias quod esse desierit; absit superbia asperitas. Nec
timueris contemptum. An contemnitur qui imperium qui fasces habet, nisi humilis et sordidus, et qui se
primus ipse contemnit? Male uim suam potestas aliorum contumeliis experitur, male terrore ueneratio
adquiritur, longeque ualentior amor ad obtinendum quod uelis quam timor. Nam timor abit si recedas, manet
amor, ac sicut ille in odium hic in reuerentiam uertitur. Te uero etiam atque etiam repetam enim meminisse
oportet officii tui titulum ac tibi ipsum interpretari, quale quantumque sit ordinare statum liberarum ciuitatum.
Nam quid ordinatione ciuilius, quid libertate pretiosius? Porro quam turpe, si ordinatio euersione, libertas
seruitute mutetur! Accedit quod tibi certamen est tecum: onerat te quaesturae tuae fama, quam ex Bithynia
optimam reuexisti; onerat testimonium principis; onerat tribunatus, praetura atque haec ipsa legatio quasi
praemium data. Quo magis nitendum est ne in longinqua prouincia quam suburbana, ne inter seruientes
quam liberos, ne sorte quam iudicio missus, ne rudis et incognitus quam exploratus probatusque humanior
melior peritior fuisse uidearis, cum sit alioqui, ut saepe audisti saepe legisti, multo deformius amittere quam
non adsequi laudem.
Haec uelim credas, quod initio dixi, scripsisse me admonentem, non praecipientem; quamquam
praecipientem quoque. Quippe non uereor, in amore ne modum excesserim. Neque enim periculum est ne
sit nimium quod esse maximum debet. Vale.
Caro Massimo,
l'affetto che ti porto mi spinge, non a insegnarti (poiché non hai bisogno di maestro), ma ad ammonirti di
ricordare e mettere in pratica ciò che sai [altrimenti è meglio non saper nulla].
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Pensa che sei inviato nella provincia di Acaia, in quella vera e autentica Grecia, ove si ritiene abbiano avuto
origine la civiltà, le lettere e perfino le messi; inviato a porre ordine nella costituzione di libere città, cioè a
uomini più che uomini, a gente libera per eccellenza, che il diritto dato loro da natura seppero mantenere con
il valore, i meriti, le amicizie, le alleanze e infine anche con la religione! Rispetta gli dèi fondatori e i nomi
degli dèi, rispetta la antica gloria e anche la stessa vecchiezza, degna di venerazione negli uomini, sacra
nelle città! Abbi in onore l'antichità, le grandi azioni, anche le leggende!
Non offendere la dignità di alcuno, non la libertà e neppure la vanità! Tieni sempre presente che quella è la
terra da cui derivò il nostro diritto, che diede leggi non a dei vinti, ma a chi le chiedeva, che è Atene in cui tu
entri, che è Sparta su cui tu governi; strappare alle quali l'ultima parvenza e il nome che lor resta di libertà è
duro, è crudele, è barbaro. Vedi che i medici, benché nella malattia gli schiavi non debban differire dai liberi,
trattano tuttavia con maggior umanità e delicatezza i liberi. Ricordati ciò che è stata ogni città, non per
disprezzarla perché non lo è più; non essere superbo, non aspro! non temere che ti disprezzino! Si
disprezza forse chi detiene il comando, chi ha i littori, se non è abbietto e vile e si disprezza per primo da se
stesso? Il potere sbaglia quando vuole provare la propria autorità offendendo gli altri. E' male provocare il
rispetto con il terrore, e vale assai più l'amore del timore a ottenere ciò che vuoi. Giacché il timore cessa, se
ti allontani, l'amore rimane e come quello si trasforma in odio, questo in rispetto.
Tu devi più e più volte (te lo ripeto) ricordarti del significato della tua carica e considerare fra te stesso quale
e quanto grande onore sia porre ordine alla costituzione di libere città. Che cosa v'è infatti di più utile al bene
pubblico dell'ordine e di più prezioso della libertà? E allora quale vergogna se l'ordine si trasformasse in
rovina, e la libertà in servaggio!
Aggiungi, che tu hai a rivaleggiare con te stesso: pesa su di te la fama della questura che tu esercitasti in
Bitinia con tanta lode, pesa la considerazione che ha di te l'Imperatore, il tribunato, la pretura, e anche
l'attuale legazione che ti è stata assegnata quasi come premio. Devi pertanto sforzarti perché non appaia
che tu ti sia mostrato più umano, migliore, più esperto in una provincia lontana più che in una tanto vicina a
Roma, fra gente schiava più che fra popoli liberi, quando la sorte invece che la considerazione ti aveva
inviato, quando tu eri ancora inesperto e ignoto più di ora che sei conosciuto e stimato; giacché del resto,
come udisti dire, come spesso leggesti, è molto più obbrobrioso perdere la propria reputazione, che non
conseguire la lode.
Voglio tu pensi, come ho scritto al principio, che queste cose ti ho dette per richiamo, non per
ammaestramento; quantunque anche per questo. Giacché non temo di aver oltrepassato i limiti dell'amicizia.
Non v'è infatti pericolo che sia eccessivo, quello che deve essere grandissimo. Addio.
Plin., 2,17 La villa
C. PLINIVS GALLO SVO S.
Miraris cur me Laurentinum uel si ita mauis, Laurens meum tanto opere delectet; desines mirari, cum
cognoueris gratiam uillae, opportunitatem loci, litoris spatium. Decem septem milibus passuum ab urbe
secessit, ut peractis quae agenda fuerint saluo iam et composito die possis ibi manere. Aditur non una uia;
nam et Laurentina et Ostiensis eodem ferunt, sed Laurentina a quarto decimo lapide, Ostiensis ab undecimo
relinquenda est. Vtrimque excipit iter aliqua ex parte harenosum, iunctis paulo grauius et longius, equo breue
et molle. Varia hinc atque inde facies; nam modo occurrentibus siluis uia coartatur, modo latissimis pratis
diffunditur et patescit; multi greges ouium, multa ibi equorum boum armenta, quae montibus hieme depulsa
herbis et tepore uerno nitescunt. Villa usibus capax, non sumptuosa tutela. Cuius in prima parte atrium frugi,
nec tamen sordidum; deinde porticus in D litterae similitudinem circumactae, quibus paruola sed festiua area
includitur. Egregium hae aduersus tempestates receptaculum; nam specularibus ac multo magis
imminentibus tectis muniuntur. Est contra medias cauaedium hilare, mox triclinium satis pulchrum, quod in
litus excurrit ac si quando Africo mare impulsum est, fractis iam et nouissimis fluctibus leuiter adluitur.
Vndique ualuas aut fenestras non minores ualuis habet atque ita a lateribus a fronte quasi tria maria
prospectat; a tergo cauaedium porticum aream porticum rursus, mox atrium siluas et longinquos respicit
montes. Huius a laeua retractius paulo cubiculum est amplum, deinde aliud minus quod altera fenestra
admittit orientem, occidentem altera retinet; hac et subiacens mare longius quidem sed securius intuetur.
Huius cubiculi et triclinii illius obiectu includitur angulus, qui purissimum solem continet et accendit. Hoc
hibernaculum, hoc etiam gymnasium meorum est; ibi omnes silent uenti, exceptis qui nubilum inducunt, et
serenum ante quam usum loci eripiunt. Adnectitur angulo cubiculum in hapsida curuatum, quod ambitum
solis fenestris omnibus sequitur. Parieti eius in bibliothecae speciem armarium insertum est, quod non
legendos libros sed lectitandos capit. Adhaeret dormitorium membrum transitu interiacente, qui suspensus et
tubulatus conceptum uaporem salubri temperamento huc illuc digerit et ministrat. Reliqua pars lateris huius
seruorum libertorumque usibus detinetur, plerisque tam mundis, ut accipere hospites possint. Ex alio latere
cubiculum est politissimum; deinde uel cubiculum grande uel modica cenatio, quae plurimo sole, plurimo
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mari lucet; post hanc cubiculum cum procoetone, altitudine aestiuum, munimentis hibernum; est enim
subductum omnibus uentis. Huic cubiculo aliud et procoeton communi pariete iunguntur. Inde balinei cella
frigidaria spatiosa et effusa, cuius in contrariis parietibus duo baptisteria uelut eiecta sinuantur, abunde
capacia si mare in proximo cogites. Adiacet unctorium, hypocauston, adiacet propnigeon balinei, mox duae
cellae magis elegantes quam sumptuosae; cohaeret calida piscina mirifica, ex qua natantes mare adspiciunt,
nec procul sphaeristerium quod calidissimo soli inclinato iam die occurrit. Hic turris erigitur, sub qua diaetae
duae, totidem in ipsa, praeterea cenatio quae latissimum mare longissimum litus uillas amoenissimas
possidet. Est et alia turris; in hac cubiculum, in quo sol nascitur conditurque; lata post apotheca et horreum,
sub hoc triclinium, quod turbati maris non nisi fragorem et sonum patitur, eumque iam languidum ac
desinentem; hortum et gestationem uidet, qua hortus includitur. Gestatio buxo aut rore marino, ubi deficit
buxus, ambitur; nam buxus, qua parte defenditur tectis, abunde uiret; aperto caelo apertoque uento et
quamquam longinqua aspergine maris inarescit. Adiacet gestationi interiore circumitu uinea tenera et
umbrosa, nudisque etiam pedibus mollis et cedens. Hortum morus et ficus frequens uestit, quarum arborum
illa uel maxime ferax terra est, malignior ceteris. Hac non deteriore quam maris facie cenatio remota a mari
fruitur, cingitur diaetis duabus a tergo, quarum fenestris subiacet uestibulum uillae et hortus alius pinguis et
rusticus. Hinc cryptoporticus prope publici operis extenditur. Vtrimque fenestrae, a mari plures, ab horto
singulae sed alternis pauciores. Hae cum serenus dies et immotus, omnes, cum hinc uel inde uentis
inquietus, qua uenti quiescunt sine iniuria patent. Ante cryptoporticum xystus uiolis odoratus. Teporem solis
infusi repercussu cryptoporticus auget, quae ut tenet solem sic aquilonem inhibet summouetque,
quantumque caloris ante tantum retro frigoris; similiter africum sistit, atque ita diuersissimos uentos alium alio
latere frangit et finit. Haec iucunditas eius hieme, maior aestate. Nam ante meridiem xystum, post meridiem
gestationis hortique proximam partem umbra sua temperat, quae, ut dies creuit decreuitue, modo breuior
modo longior hac uel illa cadit. Ipsa uero cryptoporticus tum maxime caret sole, cum ardentissimus culmini
eius insistit. Ad hoc patentibus fenestris fauonios accipit transmittitque nec umquam aere pigro et manente
ingrauescit. In capite xysti, deinceps cryptoporticus horti, diaeta est amores mei, re uera amores: ipse posui.
In hac heliocaminus quidem alia xystum, alia mare, utraque solem, cubiculum autem ualuis cryptoporticum,
fenestra prospicit mare. Contra parietem medium zotheca perquam eleganter recedit, quae specularibus et
uelis obductis reductisue modo adicitur cubiculo modo aufertur. Lectum et duas cathedras capit; a pedibus
mare, a tergo uillae, a capite siluae: tot facies locorum totidem fenestris et distinguit et miscet. Iunctum est
cubiculum noctis et somni. Non illud uoces seruolorum, non maris murmur, non tempestatum motus non
fulgurum lumen, ac ne diem quidem sentit, nisi fenestris apertis. Tam alti abditique secreti illa ratio, quod
interiacens andron parietem cubiculi hortique distinguit atque ita omnem sonum media inanitate consumit.
Adplicitum est cubiculo hypocauston perexiguum, quod angusta fenestra suppositum calorem, ut ratio exigit,
aut effundit aut retinet. Procoeton inde et cubiculum porrigitur in solem, quem orientem statim exceptum ultra
meridiem oblicum quidem sed tamen seruat. In hanc ego diaetam cum me recepi, abesse mihi etiam a uilla
mea uideor, magnamque eius uoluptatem praecipue Saturnalibus capio, cum reliqua pars tecti licentia
dierum festisque clamoribus personat; nam nec ipse meorum lusibus nec illi studiis meis obstrepunt. Haec
utilitas haec amoenitas deficitur aqua salienti, sed puteos ac potius fontes habet; sunt enim in summo. Et
omnino litoris illius mira natura: quocumque loco moueris humum, obuius et paratus umor occurrit, isque
sincerus ac ne leuiter quidem tanta maris uicinitate corruptus. Suggerunt adfatim ligna proximae siluae;
ceteras copias Ostiensis colonia ministrat. Frugi quidem homini sufficit etiam uicus, quem una uilla discernit.
In hoc balinea meritoria tria, magna commoditas, si forte balineum domi uel subitus aduentus uel breuior
mora calfacere dissuadeat. Litus ornant uarietate gratissima nunc continua nunc intermissa tecta uillarum,
quae praestant multarum urbium faciem, siue mari siue ipso litore utare; quod non numquam longa
tranquillitas mollit, saepius frequens et contrarius fluctus indurat. Mare non sane pretiosis piscibus abundat,
soleas tamen et squillas optimas egerit. Villa uero nostra etiam mediterraneas copias praestat, lac in primis;
nam illuc e pascuis pecora conueniunt, si quando aquam umbramue sectantur. Iustisne de causis iam tibi
uideor incolere inhabitare diligere secessum? quem tu nimis urbanus es nisi concupiscis. Atque utinam
concupiscas! ut tot tantisque dotibus uillulae nostrae maxima commendatio ex tuo contubernio accedat.
Vale.
Caro Gallo,
ti meravigli perché io tanto mi diletti della mia Laurentina o, se preferisci, Laurento; avran termine le tue
meraviglie quando avrai conosciuto l'amenità della villa, la comodità del luogo, l'ampiezza della spiaggia.
Dista diciassettemila passi dalla città, sì che, compiuto quanto ti tocca di fare, dopo aver sfruttato
interamente la giornata, puoi ritirarti qui -per la notte. Vi si accede non da una sola via; poiché puoi servirti
sia della Laurentina come della Ostiense, ma la Laurentina devi lasciarla al quattordicesimo miglio,
l'Ostiense all'undecimo. Dall'una e dall'altra parte, si incontra una strada in certi punti arenosa, un po'
molesta e lunga per le pariglie, corta e buona per chi vada a cavallo. Vario qua e là il paesaggio; giacché a
tratti il cammino è stretto a cagione dei boschi che ti vengono incontro, a tratti si attarda e si allarga in
vastissime praterie; molte greggi ovine, molte mandrie di cavalli e armenti bovini, che cacciati dai monti
dall'inverno si ingrassano in quei pascoli al tepore della primavera.
F. D’Alessi © 2002
F. D'ALESSI - Letteratura latina - Parte III,2 - Il periodo imperiale L'età dei Flavi e di Adriano
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La villa, sufficiente alle necessità, non richiede una costosa manutenzione. Sul davanti vi è un atrio
semplice, ma non senza eleganza, segue un portico che in forma di una D racchiude una corte, piccola ma
graziosa. L'insieme offre un eccellente ricovero per il cattivo tempo, giacché è protetto da vetrate e
soprattutto dalle grondaie dei tetti. Nel suo mezzo un gaio cavedio, poi una sala da pranzo abbastanza bella
aperta sulla- spiaggia, sì che quando il vento d'Africa rigonfia il mare, essa viene dolcemente spruzzata dalle
ultime già infrante onde. Tutt'intorno la sala ha delle porte, o delle finestre non meno grandi delle porte, e
così lungo i lati e di fronte essa sembra affacciarsi su tre mari, mentre a tergo guarda il cavedio, il portico, la
corte, di nuovo il portico, poi l'atrio, i boschi e più in lontananza i monti.
A sinistra della sala, un po' arretrata, vi è un'ampia camera da letto, poi una più piccola, ove una delle
finestre lascia entr
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Quadro storico: l`età dei Flavi