MANUALI
UMANISTICA
– 8 –
biblioteca di studi slavistici
Comitato scientifico
Giovanna Brogi Bercoff (Direttore), Michaela Böhmig,
Stefano Garzonio (Presidente AIS), Nicoletta Marcialis,
Marcello Garzaniti (Direttore Esecutivo), Krassimir Stantchev
Comitato di redazione
Alberto Alberti, Giovanna Brogi Bercoff, Marcello Garzaniti,
Stefano Garzonio, Giovanna Moracci, Marcello Piacentini,
Donatella Possamai, Giovanna Siedina
titoli già pubblicati
1. Nicoletta Marcialis, Introduzione alla lingua paleoslava, 2005
2. Ettore Gherbezza, Dei delitti e delle pene nella traduzione di Michail M.
Ščerbatov, 2007
3. Gabriele Mazzitelli, Slavica biblioteconomica, 2007
4. Maria Grazia Bartolini, Giovanna Brogi Bercoff (a cura di), Kiev e Leopoli: il
“testo” culturale, 2007
5. Maria Bidovec, Raccontare la Slovenia. Narratività ed echi della cultura
popolare in Die Ehre Dess Hertzogthums Crain di J.W. Valvasor, 2008
6. Maria Cristina Bragone, Alfavitar radi učenija malych detej. Un abbecedario
nella Russia del Seicento, 2008
7. Alberto Alberti, Stefano Garzonio, Nicoletta Marcialis, Bianca Sulpasso,
Contributi italiani al XIV Congresso Internazionale degli Slavisti, 2008
NICOLETTA MARCIALIS
Introduzione
alla lingua paleoslava
Firenze University Press
2007
Introduzione alla lingua paleoslava / Nicoletta
Marcialis. – Firenze : Firenze
university press, 2007.
(Manuale umanistica, 8)
http://digital.casalini.it/9788884536624
Stampa a richiesta disponibile su http://epress.unifi.it
ISBN978-88-6453-114-4 (online)
ISBN 978-88-8453- 661-7 (print)
491.81701 (ed. 20)
Lingua slava antica
© 2007 Firenze University Press
Università degli Studi di Firenze
Firenze University Press
Borgo Albizi, 28
50122 Firenze, Italy
http://epress.unifi.it/
Printed in Italy
INDICE
Premessa
V1
Introduzione
1. Paleoslavo e evangelizzazione degli slavi
3
2. Costantino e Metodio
6
3. La missione morava tra impero romano (Roma e Bisanzio) e impero franco
16
4. La lingua paleoslava
31
5. Cirillico e glagolitico
33
6. Il canone paleoslavo
37
7. Paleoslavo e slavo ecclesiastico nella Slavia orientale
46
8. Lo slavo ecclesiastico ibrido
59
9. La II influenza slava meridionale
63
10. Redazione rutena e redazione moscovita dello slavo ecclesiastico
69
11. La reinvenzione della grammatica
72
12. La riforma di Nikon e la creazione di una norma panrussa dello slavo ecclesiastico
73
Fonetica
1. Dal protoindoeuropeo al protoslavo
77
2. Consonantismo
77
3. Vocalismo
79
4. Apofonia
79
5. Trasformazioni del consonatismo (occlusive e fricative)
81
6. Trasformazioni del consonantismo (sonoranti)
84
7. Intonazione
85
8. Trasformazioni del vocalismo
85
9. Dal protoslavo antico allo slavo comune tardo
86
10. La I palatalizzazione
87
11. La iodizzazione
88
12. Metafonia palatale
89
13. Monottongazione dei dittonghi in semivocale
89
14. La II palatalizzazione
91
15. Consonantizzazione delle semivocali
92
16. Semplificazione dei nessi consonantici
93
II
Il paleoslavo
17. Dittonghi in nasale
95
18. Sviluppo di jod protetico
96
19. Dittonghi in liquida
97
20. La III palatalizzazione
101
21. Nuova metafonia palatale
103
22. Slavia settentrionale e slavia meridionale
103
23. Fine della parola
104
24. Trasformazione della quantità in timbro
105
25. Nuove alternanze vocaliche
107
26. Gli jer
108
Morfologia
1. Le parti del discorso
111
2. Il nome
112
3. Temi in *a-
116
4. Temi in *ŏ
118
5. Principali suffissi derivativi dei nomi in *ŏ e in *a-
122
6. Temi in *ı̆
129
7. Temi in *ŭ
132
8. Temi in consonante
9. Temi in *u-
138
10. L’aggettivo
139
133
11. Comparativo e superlativo
141
12. Il pronome
144
13. Sostantivi pronominali
145
14. Aggettivi pronominali
147
15. I numerali
152
16. Il verbo
156
17. I tempi verbali
159
18. Modo, diatesi, persona e numero
161
19. Suffissi tematici e derivativi
162
20. Classificazione
164
21. L’aoristo
177
22. L’imperfetto
184
23. I participi
186
24. I tempi composti
193
25. Il modo condizionale
194
Indice
III
26. Il modo imperativo
194
27. Infinito e supino
196
28. Infinito sostantivato e sostantivo verbale
196
Sintassi
1. Il paleoslavo e il greco
199
2. La sintassi della proposizione: il soggetto
200
3. Il predicato
202
4. I complementi
204
5. Uso delle preposizioni
211
6. La sintassi del periodo
228
7. Proposizioni completive
232
8. Proposizioni completive implicite
235
9. Proposizioni relative
237
10. Proposizioni circostanziali
240
11. Proposizioni ipotetiche e periodo ipotetico
241
12. Proposizioni causali
242
13. Proposizioni concessive
243
14. Proposizioni consecutive
244
15. Proposizioni finali
244
16. Proposizioni temporali
245
17. Proposizioni circostanziali implicite
246
Appendici
1. La normalizzazione
251
2. Tavole morfologiche
259
Premessa
Chiunque voglia conoscere in modo non superficiale il mondo slavo deve
fare i conti con la sua più antica scripta: strumento indispensabile per la
ricostruzione delle protolingue, prezioso testimone della differenziazione
dialettale dello slavo comune, veicolo di una tradizione culturale fondante ed
esso stesso simbolo identitario, il paleoslavo delle prime traduzioni
cirillometodiane cresce nei secoli, occupando l’intero spazio letterario di
grande parte della Slavia medievale.
Ricercatori appartenenti a diversi ambiti disciplinari hanno studiato il
paleoslavo (e lo slavo ecclesiastico che ne rappresenta la naturale evoluzione)
dal punto di vista dell’indoeuropeista, dello specialista di linguistica slava,
dello storico delle lingue letterarie, del filologo: il loro impegno ha prodotto
ottimi manuali, quali la Geschichte der Altkirchenslavischen Sprache di
Nicolaus Van Wijk (Berlin und Leipzig 1931), i due volumi di Staroslavjanskij
jazyk di A. M. Seliev (Moskva 1951 e 1952), il Manuel du Vieux Slave di
André Vaillant (Paris 1964), Old Church Slavonic Grammar di Horace G.
Lunt (The Hague 1968), Uebnice jazyka staroslov
nského di Josef Kurz
(Praha 1969), Altbulgarische Grammatik als Einführung in die Slavische
Sprachwissenschaft di Rudolf Aitzetmüller (Freiburg 1978), Wstp do filologii
sowiaskiej di Leszek Moszyski (Warszawa 1984), Staroslavjanskij jazyk di
G. A. Chaburgaev (2ª ed. Moskva 1986), The Dawn of Slavic di Alexander M.
Schenker (New Haven and London, 1995) e numerosissimi altri.
La manualistica in lingua italiana, che non è certo altrettanto ricca, esprime
tuttavia la medesima varietà di angolazioni: ricordo gli ormai introvabili lavori
di Natalino Radovich (Slavo ecclesiastico antico, Napoli 1965) e Carlo
2VI
Il paleoslavo
Verdiani (Manuale di slavo antico, Firenze 1956), i Lineamenti di fonologia
slava di Aldo Cantarini (Brescia 1979) e il più recente Corso di lingua
paleoslava di Lilia Skomorochova Venturini (Pisa 2000).
Frutto di lunghi anni di insegnamento della Filologia slava presso
l’Università di Roma Tor Vergata, anche questa Introduzione alla lingua
paleoslava nasce dal combinarsi degli interessi dell’autrice e di esigenze
didattiche, ovvero dalla constatazione che tra tutte le lingue slave gli studenti
conoscono prevalentemente il russo, e che la maggioranza è interessata ad
approfondire aspetti di storia della lingua piuttosto che questioni di grammatica slava comparata: il manuale si rivolge quindi elettivamente a studenti
russisti, in una prospettiva diacronica che prelude a studi di storia dello slavo
ecclesiastico e di storia della lingua russa. Tuttavia, l’ampio spazio dedicato
alle ascendenze indoeuropee e al protoslavo, nonché l’assoluto privilegio
accordato alla norma ricostruita in base ai manoscritti del cosiddetto “canone”
(anche a spese dell’attenzione all’individualità degli stessi) dovrebbero
garantirne l’utilità e la fruibilità da parte di chi affronti lo studio della Filologia
slava partendo da qualsiasi lingua slava moderna.
L’Introduzione alla lingua paleoslava non avrebbe potuto essere scritta
senza la collaborazione degli studenti, le cui domande e i cui dubbi mi hanno
consentito di correggere imperfezioni di varia natura nella presentazione del
materiale. Oltre che a loro, la mia riconoscenza va ai colleghi che hanno letto
questo lavoro nelle sue diverse stesure preliminari: Sergio Bonazza, Giovanna
Brogi, Giuseppe Dell’Agata, Mario Enrietti, Krasimir Stanchev.
Gli errori ovviamente sono tutti miei.
Introduzione
1. Paleoslavo e evangelizzazione degli slavi
Si definisce paleoslavo, o slavo ecclesiastico antico, la lingua in cui i
fratelli Costantino (Cirillo) e Metodio, missionari tra gli slavi, tradussero i libri
sacri per quei popoli, sino ad allora privi di scrittura. La storia delle culture e
delle letterature slave prende avvio da questa evangelizzazione.
Nel IX secolo gli slavi, etnicamente e linguisticamente ancora poco
differenziati, erano disseminati su un territorio vastissimo dell’Europa centroorientale, dal corso superiore del Volga sino al mare Adriatico, dal Baltico
orientale al mar Nero. In conseguenza della loro espansione intere provincie
storiche dell’impero romano, la Tracia, la Mesia, la Dacia, la Macedonia, le
Pannonie, il Norico, la Dalmazia, si erano profondamente slavizzate e si
stavano dando forme embrionali di organizzazione statale: chiesa e impero si
trovano a fronteggiare il problema dell’assimilazione delle popolazioni slave
all’interno dei propri confini e quello dei rapporti diplomatici con le nuove
élites dirigenti della Moravia, della Pannonia e della Bulgaria.
Se gli slavi penetrati nel cuore dell’impero bizantino erano da tempo
cristiani, l’evangelizzazione delle periferie, dopo alcuni episodi che avevano
visto protagonisti missionari soprattutto irlandesi, si attua a partire dalla metà
del VIII secolo1 per iniziativa del clero franco delle diocesi di Frisinga
(Freising), Ratisbona (Regensburg), Passavia (Passau), Salisburgo (Salzburg) e
del patriarcato di Aquileia (Cividale del Friuli). Minacciati dall’espansionismo
dei Franchi vittoriosi contro gli Avari, dai Bizantini, dai loro stessi fratelli
1 Nel 743 il principe Borut, attaccato dagli Avari, chiede ai bavaresi di intervenire in
Carantania. Per suo desiderio vengono battezzati il figlio Gorazd e il nipote Hotimir: M. Kos
(ed.), Conversio Bagoariorum et Carantanorum, Ljubljana 1936, p. 24 e p. 130.
4
Il paleoslavo
slavi, i principi si difendono con alleanze mutevoli, e tentano di sfruttare i
crescenti conflitti giurisdizionali tra le chiese (romana, franca e bizantina) per
governarne le ingerenze. In questo quadro complesso e instabile si collocano la
missione cirillometodiana e la nascita della scrittura slava2.
La ricostruzione dell’operato di Cirillo e Metodio si basa su fonti di
carattere eterogeneo, la cui attendibilità storica è spesso dubbia, vuoi per la
2 Imponente è la bibliografia sulla missione cirillo-metodiana, ulteriormente arricchita dalle
celebrazioni per i 1100 anni dalla creazione degli alfabeti slavi (1963), i 1100 dalla morte di
Cirillo (1969), i 1100 dalla morte di Metodio (1985), il millenario del battesimo della Rus’
(1988). Grande fervore di studi si è registrato in Bulgaria, che ha celebrato nel 1981 i 1300 anni
della sua storia. Ricorderemo almeno la Kirilo-Metodievska Enciklopedija, i cui quattro volumi
sono usciti a Sofija negli anni 1985 (vol. I), 1995 (vol. II), 2003 (voll. III e IV). Tra le
pubblicazioni meno recenti occorre menzionare il corpus delle fonti, raccolto in Constantinus et
Methodius Thessalonicenses. Fontes. Recensuerunt et illustraverunt F. Grivec et F. Tomšič,
Radovi staroslavenskog instituta, Knjiga 4, Zagreb 1960. I 1100 anni dalla morte di Metodio
sono stati ricordati con una ricca edizione in facsimile delle Vite (Žitija Kirilla i Mefodija,
Moskva-Sofija 1986), che comprende Prostrannoe žitie Konstantina-Kirilla Filosofa,
Prostrannoe žitie Mefodija, Pochval’noe slovo Kirillu i Mefodiju, Kratkoe žitie Kirilla, Kratkoe
žitie Mefodija. Ad uno dei curatori, B. Florja, si doveva l’edizione commentata delle Vite nel più
agile volumetto Skazanija o načale slavjanskoj pis’mennosti, Moskva 1981. Una notevole
bibliografia si lega alla discussione delle tesi di I. Boba sulla collocazione della Moravia
(Moravia’s History Reconsidered. A Reinterpretation of Medieval Sources, The Hague 1971),
cui è stata dedicata parte del XI Congresso Internazionale degli Slavisti tenutosi a Bratislava nel
1993. Per la traduzione italiana delle Vite si veda: Cirillo e Metodio. Le biografie paleoslave.
Introduzione, traduzione e note a cura di Vittorio Peri, Edizioni O.R., Milano 1981, e la più
recente traduzione di Marcello Garzaniti in A.-E. N. Tachiaos, Cirillo e Metodio. Le radici
cristiane della cultura slava. Edizione italiana a cura di Marcello Garzaniti, Jaca Book, Milano
2005. Tra i contributi in lingua italiana ricordiamo N. Radovich, Testi del Vangelo in Slavo
ecclesiastico antico, Napoli 1964 e Id., Le pericopi glagolitiche della Vita Constantini e la
tradizione manoscritta cirillica, Napoli 1968; F. Dvornik, Gli slavi. Storia e civiltà dalle origini
al secolo XIII, Liviana Editrice, Padova 1974; R. Jakobson, Premesse di storia letteraria slava,
Il Saggiatore, Milano 1975 (in particolare “La missione bizantina tra gli Slavi”); M. Lacko,
Cirillo e Metodio, Apostoli degli Slavi, ed. “La casa di Matriona”, Milano 1981; F. Grivec, Santi
Cirillo e Metodio. Apostoli degli Slavi e compatroni d’Europa, Urbaniana University Press,
Roma 1984; J. Vodopivec, I santi fratelli Cirillo e Metodio compatroni d’Europa, Urbaniana
University Press, Roma 1985; V. Peri, Da Oriente e da Occidente. Le chiese cristiane
dall’impero romano all’Europa moderna, a cura di M. Ferrari, voll. I-II, Roma, Padova 2002 (in
particolare “Il mandato missionario e canonico di Metodio e l’ingresso della lingua slava nella
liturgia”).
Introduzione
5
tendenziosità insita nella fonte stessa, vuoi per le vicissitudini di una tradizione
manoscritta soggetta a guasti, lacune e interpolazioni. Al primo posto figurano
naturalmente le Vite, Vita Constantini (VC) e Vita Methodii (VM), composte
presumibilmente già nel IX secolo, ma pervenuteci in copie tarde. Sulla loro
datazione esistono tra gli studiosi pareri discordi, in particolar modo per ciò
che riguarda VC, i cui testimoni più antichi risalgono al XV secolo:
schematizzando i diversi punti di vista, possiamo dire che gli uni ritengono che
il testo della Vita a noi pervenuta sia quello composto nel IX secolo da un
diretto partecipante alle vicende narrate (si pensa addirittura a Metodio quale
biografo del fratello), gli altri credono viceversa di avere a che fare con un
archetipo contaminato, slavo orientale e tardo. Gli argomenti del contendere
sono di varia natura, linguistici, filologici, letterari, storici. Fondamentale è il
giudizio sull’attendibilità delle informazioni contenute nelle Vite, giacché certo
a Metodio o ai diretti discepoli dei fratelli non si possono attribuire
imprecisioni del tutto naturali per un agiografo vissuto secoli più tardi.
Accanto alle Vite figurano come possibili fonti testi slavi, latini e greci: i
Sermoni panegirici (uno in lode di Cirillo, l’altro in lode di Cirillo e Metodio),
le Vite brevi, gli uffici liturgici, due opere che Anastasio Bibliotecario
attribuisce allo stesso Costantino (Inventio s. Clementis e Sermo de
translatione s. Clementis, note in versione slava in codici del XV sec.), le Vite
di Clemente e di Naum, la cosiddetta Legenda italica del vescovo di Velletri
Gauderico (Vita cum translatione s. Clementis, XII sec.), la Legenda Boema
(Vita et passio s. Venceslai et s. Ludmilae, aviae eius, XIV sec.), la Legenda
Morava (incipit: “Tempore Michaelis imperatoris”, XIV sec.), il cosiddetto
Memorandum di Salisburgo dell’870-871 (Conversio Bagoariorum et
Carantanorum, XIII sec.), i documenti superstiti della Curia papale (il Liber
Pontificalis e i Registri delle lettere spedite dai papi)3.
3 Se ne può vedere la descrizione in F. Grivec, Santi Cirillo e Metodio. Apostoli degli Slavi
e compatroni d’Europa, cit., pp. 211-239.
6
Il paleoslavo
2. Costantino e Metodio
Nati a Salonicco, i due fratelli erano figli del drungario Leone, un alto
funzionario alle dipendenze dello stratega della regione. Costantino, nato nel
827, era il più piccolo di sette figli. Salonicco era all’epoca città bilingue: nel
convincerli ad accettare la missione tra gli slavi l’imperatore bizantino Michele
III dice: “Voi siete infatti di Salonicco e tutti i Tessalonicesi parlano
correttamente lo slavo” (VM V; Garzaniti4 214). I fratelli ricevono
un’educazione accurata, di profilo giuridico Metodio, che ancor giovane riceve
l’incarico di amministrare una provincia popolata da slavi (VM II); di profilo
filologico e filosofico Costantino, che arso dalla sete di sapere impara a
memoria le opere di Gregorio Nazianzeno, di cui traccia sulla parete della
propria stanza un encomio che lo definisce “illuminatore e maestro” (VC III;
Garzaniti 173). La fama dei meriti di Costantino giunge alla capitale, e il
logoteta Teoctisto, molto vicino all’imperatrice reggente Teodora, madre di
Michele III, lo prende sotto la propria protezione (VC III). Costantino studia
grammatica, dialettica, retorica, aritmetica, geometria, astronomia, musica,
sotto la guida di maestri quali Leone Matematico e Fozio, futuro patriarca, con
risultati stupefacenti. Gli vengono offerti onori e alte cariche, di cui lui accetta
solo quella di bibliotecario del patriarcato; fugge però anche da questa, per
nascondersi in un monastero sul Bosforo, dove lo trovano dopo sei mesi.
Accetta allora l’incarico di professore di filosofia, e torna a Costantinopoli
(VC IV). Oltre che per l’erudizione, Costantino è celebre come abilissimo
polemista: a lui viene affidato il compito di affrontare il deposto patriarca
Giovanni VII Grammatico, sostenitore degli iconoclasti, in una disputa nella
quale si ricopre di gloria (VC V). In seguito, a soli ventiquattro anni, viene
inviato in ambasceria presso il califfo arabo al-Mutawakkil per discutere dello
scambio di prigionieri di guerra, e vi sostiene una abile disputa sulla Trinità
(sopravvivendo miracolosamente a un tentativo di avvelenamento) (VC VI).
Al ritorno dalla missione Costantino trova grandi cambiamenti: suo fratello ha
4 Tutti i passi di VC e VM saranno citati nella traduzione di Marcello Garzaniti posta in
appendice in A.-E. N. Tachiaos, Cirillo e Metodio. Le radici cristiane della cultura slava, cit.
Introduzione
7
lasciato la carica di arconte e si è ritirato in un monastero sul monte Olimpo, in
Bitinia, dove si è fatto monaco con il nome di Metodio (suo nome di battesimo
sarebbe stato Michele5). Costantino lo raggiunge (VC VII). Qui, lontano dai
torbidi della capitale (il loro protettore Teoctisto viene ucciso alla fine del 855)
i due fratelli potrebbero aver concepito il primo progetto di una missione tra gli
slavi:
Nel silenzio del chiostro è poco probabile che Cirillo e Metodio si siano
dedicati esclusivamente all’ascesi e all’istruzione dei discepoli. Metodio aveva
lavorato quasi un decennio tra gli slavi e ne aveva preso alcuni più svegli con
sé. Cirillo aveva una passione innata per la filologia, e come bibliotecario era
entrato in contatto con le lingue e le scritture di molti popoli. Il suo maestro
Fozio, futuro stratega dell’espansione culturale bizantina, non poteva non aver
condiviso con i suoi pupilli l’idea di attirare nella cristianità popoli vicini e
meno vicini, servendosi della predicazione nella loro lingua madre. E lungo
l’intera frontiera europea l’impero confinava con popolazioni e tribù slave,
alcune delle quali avevano già costituito organizzazioni statali stabili (la
Bulgaria e la Grande Moravia). In presenza di un siffatto complesso di fattori
oggettivi e soggettivi è logico che i due fratelli abbiano pensato alla creazione
di un alfabeto slavo e alla traduzione dei fondamentali libri cristiani nella
lingua degli slavi6.
L’ascesa di Fozio alla dignità patriarcale (858) ha immediata ripercussione
sulla sorte di Costantino, cui viene affidata una missione politico-religiosa nel
khanato dei Chazari. Popolo di stirpe turca e provenienza asiatica, i Chazari
dominavano il territorio compreso tra il Caucaso e la Crimea, lungo il corso
5 F. Grivec, F. Tomšič, Fontes, cit., p. 35.
6 K. Stančev, G. Popov, Kliment Ochridski, Sofija 1988, pp. 28-29. Nella trattazione dei due
studiosi far iniziare il progetto slavo in Bitinia valeva a corroborare la tesi del carattere
“bulgaro” della lingua cirillometodiana: “Le fonti non ci forniscono dati concreti, ma la logica,
confortata anche dal successivo evolvere degli eventi, suggerisce che già nella seconda metà
degli anni ‘50 Cirillo e Metodio, approfittando delle condizioni di vita monastica, abbiano messo
a punto i principi fondamentali dell’alfabeto slavo (glagolitico) e della più antica lingua
letteraria degli slavi, formata sulla base delle parlate bulgare meridionali diffuse intorno a
Salonicco e a loro note. Parlanti nativi di quella lingua erano anche i discepoli di Metodio
provenienti dall’arcontato di Struma, che indubbiamente presero parte, come informatori e come
aiutanti, all’opera. Tra loro, se la nostra ricostruzione biografica è corretta, si trovavano anche
Clemente, Naum e Angelario” (Ivi, p. 29). L’ipotesi è ampiamente condivisa da studiosi non
bulgari quali Grivec e Tachiaos.
8
Il paleoslavo
inferiore del Volga; una minoranza era cristiana, e questa appunto avrebbe
mandato un’ambasceria a Costantinopoli con la preghiera di inviare loro un
uomo capace di sconfiggere in una disputa religiosa i predicatori ebrei e
musulmani, che stavano cercando di convertirli rispettivamente al giudaismo e
all’islam. A Costantino si unisce Metodio (VM IV). Lungo il viaggio di andata
(861) l’ambasceria si ferma a Chersoneso Taurico (Crimea), dove Costantino
impara a leggere e scrivere l’ebraico, dove conversa con un samaritano e
decifra i libri che questi gli mostra, e dove infine ha luogo il famoso episodio
del Vangelo scritto in lettere “russe”: “allora, intrapreso il viaggio e giunto a
Cherson, vi imparò la parlata e le lettere ebraiche, dopo aver tradotto le otto
parti della grammatica così da ricavarne una maggiore conoscenza. Là viveva
un Samaritano che, venendo da lui, discuteva con lui e portò i libri samaritani e
glieli mostrò. Dopo averglieli chiesti, il Filosofo, rinchiusosi nella (sua) stanza,
si mise a pregare e ricevuta(ne) da Dio la comprensione cominciò a leggere i
libri senza errore […] Là trovò un Vangelo e un Salterio, scritto in lettere
‘russe’, e trovò un uomo che si esprimeva in quella parlata e conversò con lui
e, compresa la forza del discorso, accostando per mezzo della propria parlata le
diverse lettere, vocali e consonanti, ed elevando la preghiera a Dio, cominciò
subito a leggere e parlare” (VC VIII; Garzaniti 182-183). L’aggettivo “russo”
(rusßsk∞) è stato interpretato in vari modi: alcuni studiosi, tra cui R. Picchio7,
propongono di vedere nel passo un’interpolazione slava orientale volta a
sottolineare l’autonomia dell’ingresso della Rus’ nella cristianità, al di fuori
della tutela di Bisanzio; secondo altri (da M. Pogodin e I. Sreznevskij sino a N.
Nikol’skij, I. Ogienko, P. Černych, E. Georgiev, V. Istrin) il passo va inteso
alla lettera e proverebbe la presenza presso gli slavi orientali di un alfabeto cui
si sarebbe poi ispirato Costantino. Altri ancora (da P. Šafařik a F. Dvornik, G.
Il’inskij) riferiscono l’aggettivo alla Bibbia tradotta per i Goti da Wulfila,
ponendo proprio l’interesse suscitato in Costantino dalla bibbia gota all’origine
7 R. Picchio, “Compilazione e trama narrativa nelle «Vite» di Costantino e di Metodio”, in
Ricerche Slavistiche, VIII, 1960, pp. 61-95. L’ipotesi, che era già di A. V. Gorskij e O. M.
Bodjanskij, è stata recentemente difesa da Dimo Češmedžiev nel suo Kiril i Metodij v
bălgarskata istoričeska pamet prez srednite vekove, Sofija 2001.
Introduzione
9
del progetto di una bibbia slava. A tal fine Il’inskij legge fruškyj («franco»,
cioè germanico, gotico), mentre i più riferiscono direttamente l’etnonimo a
popolazioni germaniche:
l’interpretazione di «rusßskyj» nel senso indicato da G. Il’inskij è plausibile
anche senza dover supporre la forma «fro˛škyj»: nei testi russi antichi, questo
aggettivo è spesso usato per indicare i Normanni; l’impiego del termine anche
per i Goti, che occupavano allora la Russia meridionale e possedevano una
traduzione della Bibbia, non fa quindi difficoltà8.
Oggi la maggior parte di chi non crede alla interpolazione tarda sembra
concordare con la lettura di A. Vaillant, approfondita da R. Jakobson e da D.
Gerhardt, secondo cui rusßsk∞ vale surßsk∞ col significato di “siriaco”, e tutto
il passo servirebbe all’agiografo per sottolineare la conoscenza delle lingue
semitiche da parte di Costantino.
La missione in Crimea è un successo, sia per le rinnovate profferte di
amicizia da parte del khan, sia per il ritrovamento, avvenuto a Chersoneso
durante il viaggio di andata, delle reliquie di Clemente papa, che una leggenda
voleva esiliato e martirizzato nel 101 per ordine di Traiano. Saranno queste
relique a garantire ai fratelli, molti anni dopo, una accoglienza calda e solenne
da parte del papa in occasione del loro viaggio a Roma.
Tornati a Costantinopoli, Metodio rifiuta la carica di arcivescovo offertagli
da Fozio, diventando egumeno del monastero di Polichron, in Bitinia, sul suo
amato monte Olimpo (VM IV); Costantino “viveva nel silenzio, pregando Dio,
risiedendo nella Chiesa dei Santi Apostoli” (VC XIII; Garzaniti 195). In questo
periodo di serenità mette a profitto le competenze acquisite in Crimea per
decifrare la misteriosa iscrizione in lettere ebraiche e samaritane su un prezioso
calice, opera di Salomone, conservato a Costantinopoli nella chiesa di Santa
Sofia9.
8 N. Radovich, Testi del Vangelo in Slavo ecclesiastico antico, Napoli 1964, p. VI.
9 R. Picchio, “Chapter 13 of «Vita Constantini»: Its Text and Contestual Function”, in
Slavica Hierosolymitana. Slavic Studies of the Hebrew University, VII, 1985, pp. 133-152; Id.,
“Alle prese con la Vita Costantini”, in AION Slavistica, 1, 1993, pp. 29-63; M. Capaldo, “Sulla
datazione di un’iscrizione pseudo-salomonica ad opera di Costantino il Filosofo”, in Filologia e
letteratura nei paesi slavi. Studi in onore di Sante Graciotti, Roma 1990, pp. 945-969; Id.,
10
Il paleoslavo
Ma la loro pace non dura a lungo. Nell’862 due principi slavi, Rastislav e
Sventopluk (VM), o il solo Rastislav (VC), mandano un’ambasceria a
Costantinopoli per chiedere che gli si invii un vescovo e un maestro capace di
spiegare le leggi cristiane in lingua slava: “da quando il nostro popolo ha
rigettato il paganesimo e osserva la legge cristiana, non abbiamo un maestro,
che ci interpreti nella nostra lingua la vera fede cristiana, così che anche gli
altri paesi, vedendo questo, diventino simili a noi. Mandaci dunque, signore,
un tale vescovo e maestro” (VC XIV; Garzaniti 196). Cfr. il passo di VM:
“sono venuti fra noi molti maestri cristiani, dai Valacchi e dai Greci e dai
Germani, insegnandoci in modo diverso, mentre noi Slavi siamo persone
semplici e non abbiamo chi ci guidi nella verità e renda nota la conoscenza.
Allora, buon signore, manda un uomo che adempia ogni giustizia” (VM V;
Garzaniti 213-214).
Secondo l’agiografo la richiesta coglie i due fratelli di sorpresa. Quando
l’imperatore Michele lo prega di accettare la missione Costantino esita:
“«Anche se sono affaticato nel corpo e malato, sono felice di andare là, se
hanno un alfabeto per la loro lingua». E gli disse l’imperatore: «Mio nonno e
mio padre e molti altri, cercatolo, non lo trovarono, come posso trovarlo io?».
Il Filosofo allora disse: «Chi può scrivere un discorso sull’acqua e ricavarne
per sé la taccia di eretico?». Gli rispose di nuovo l’imperatore insieme a Barda,
suo zio: «Se tu vorrai, te lo concederà Dio, che dà a tutti quelli che chiedono
senza dubitare e apre a coloro che bussano»” (VC XIV; Garzaniti 196-197).
Costantino si ritira allora in preghiera, e “subito Dio, che ascolta le preghiere
dei suoi servi, gli si manifestò. E allora compose le lettere e cominciò a
scrivere un discorso evangelico: «In principio era il Verbo, e il Verbo era
presso Dio e il Verbo era Dio»” (VC XIV; Garzaniti 197). Più probabilmente,
come si diceva, i due fratelli avevano già intrapreso l’elaborazione di un
alfabeto e di una lingua per la predicazione tra gli slavi, di cui Metodio aveva
avuto diretta conoscenza nella sua qualità di arconte di una provincia che ne
“Rispetto del testo tràdito o avventura congetturale? Su una recente interpretazione di VC 13”,
in Europa orientalis, IX, 1990, pp. 541-644; Id., “Ancora sul calice di Salomone”, in Ricerche
Slavistiche 39/40 (1992-93)1, pp. 105-125.
Introduzione
11
contava grande numero. La data dell’863 segna comunque, se non l’inizio
della attività missionaria, il momento della sua ufficializzazione da parte di
principi slavi desiderosi di consolidare il proprio potere con una gerarchia
ecclesiastica indipendente dai Franchi10.
Dalla Moravia, dove si sarebbero trattenuti 40 mesi (VC XV; altre fonti
indicano periodi diversi, rispettivamente tre anni la VM e quattro anni e mezzo
la Legenda italica), i due fratelli ripartono insieme a un gruppo di discepoli
(probabilmente Clemente, Naum, Angelario, Savva e Gorazd) allo scopo di
ottenerne l’ordinazione. Prima tappa del viaggio, la cui meta finale è ancora
oggetto di discussione tra gli studiosi11, è presso Kocel, principe della
Pannonia, che si appassiona alle lettere slave e affida ai fratelli cinquanta
giovani da educare. Quindi il gruppo si dirige a Venezia, dove Costantino
fronteggia in una disputa i sostenitori della “eresia pilatiana”, secondo cui solo
le tre lingue dell’iscrizione di Pilato (greco, latino, ebraico) possono essere
usate per lodare Dio (VC XVI):
Si trattava di rispondere al quesito, teologicamente scabroso, se rientrasse o
meno nei disegni della Provvidenza il piano di diffondere il Verbo della
salvezza per via graduale e mediata, scegliendo cioè nella autorità dell’Impero
lo strumento principe dell’apostolato, e fissando in tal modo un confine
d’autorità fra i recipienti diretti del messaggio di Cristo, e coloro che invece
erano destinati ad essere redenti «nell’ultima età», non più per apostolato
diretto, ma soltanto per estensione subordinata dell’apostolato primitivo. La
accettazione di questa ultima tesi implicava una subordinazione gerarchica dei
nuovi convertiti sia sul piano spirituale che su quello amministrativo e sociale.
In pratica, era questo il fondamento dell’interpretazione della cristianizzazione
come latinizzazione e come ellenizzazione, ossia come annessione di nuove
genti e paesi nelle giurisidizioni, teocraticamente concepite, di Roma e di
Bisanzio. Come v’erano «poteri sacri» così si potevano fissare, mediante
10 G. A. Chaburgaev, Pervye stoletija slavjanskoj pis’mennoj kul’tury. Istoki drevnerusskoj
knižnosti, Moskva 1994, p. 60.
11 Un sunto della discussione si può vedere in Skazanija o načale slavjanskoj pis’mennosti,
cit., pp. 132-133. Le tre tesi principali sulla meta del viaggio e sull’autorità ecclesiastica cui i
fratelli intendevano rivolgersi per l’ordinazione dei discepoli si possono così riassumere: i
fratelli si dirigono a Venezia per imbarcarsi colà per Costantinopoli e presentare i discepoli al
patriarca, i fratelli si dirigono via Venezia a Roma, i fratelli si dirigono dal patriarca di Aquileia,
nella regione di Venezia.
12
Il paleoslavo
un’analoga interpretazione della manifestazione del Verbo, corrispondenti
«lingue sacre» […] l’«ideologia cirillometodiana» è in notevole misura una
diretta confutazione di questa concezione esclusivista e stativa. I punti
essenziali della polemica in favore dell’autonomia slava nella Chiesa di Cristo
riguardano infatti l’essenza e la continuità dell’apostolato, la illegittimità del
principio delle «tre lingue», la parità di diritti della lingua slava, la funzione
dei nuovi «poteri sacri» (dai reggitori di Moravia a quelli di Bulgaria, secondo
una continuità provvidenziale che poi si estenderà alla Serbia e alla Russia
sino a trasportarsi su tutta la Slavia ortodossa) creatisi come effetto della
continua diffusione del Verbo, la fonte dell’ortodossia (che dovrà essere
cercata nei testi sacri e nell’esempio della retta tradizione piuttosto che nel
potere giurisdizionale di autorità precostituite)12.
A Venezia raggiunge i fratelli un messo del papa Nicola I, che li invita a
relazionare sulla loro attività missionaria. A Roma però vengono accolti dal
nuovo papa Adriano II (Nicola I era morto alla fine dell’867), cui recano in
dono le reliquie di papa Clemente. Il papa benedice i libri slavi sull’altare di
Santa Maria Maggiore: “il papa accolse i libri slavi, li consacrò e li depose
nella chiesa di Santa Maria, che si chiama Pathne” (VC XVII; Garzaniti 203),
e incarica due vescovi, Formoso, appena rientrato dalla Bulgaria, e Gauderico,
autore della già ricordata Vita cum translatione S. Clementis, di consacrare i
discepoli slavi: “Multis itaque gratiarum actionibus prefato Philosopho pro
tanto beneficio redditis, consacraverunt fratrem eius Methodium in
sacerdotem, nec non et ceteros eorum discipulos in presbiteros et dyaconos”
(Legenda italica13). Costantino si ammala gravemente e, fattosi monaco con il
nome di Cirillo, muore il 14 febbraio 869. Viene sepolto nella chiesa di S.
Clemente, vicino alle reliquie da lui stesso portate a Roma (VC XVIII).
La morte di Costantino non significa la fine della missione cirillometodiana: nell’869 Kocel cessa di essere un margravio franco, e come
principe slavo indipendente si rivolge al papa, chiedendo il ritorno di Metodio.
Adriano soddisfa prontamente la richiesta, inviando non solo a Kocel, ma a
tutti i paesi slavi Metodio, ora sacerdote, “come maestro [...] nostro figlio,
12 R. Picchio, “Questione della lingua e Slavia cirillometodiana”, in Letteratura della Slavia
Ortodossa, Dedalo, Bari 1991, pp. 176-177.
13 F. Grivec, F. Tomšič, Fontes, cit., p. 63.
Introduzione
13
uomo perfetto nella conoscenza e ortodossa, perché vi insegni, come avete
chiesto, interpretando i libri nella vostra lingua” (VM VIII; Garzaniti 215216). Se Kocel lo accoglie con grandi onori, non così il clero della Baviera e
della Carinzia, che dall’incarico missionario affidato “al greco” vede lesi i
diritti giurisdizionali esercitati da almeno un secolo sui sudditi slavi di principi
tributari o vassalli dei Franchi. Nel crescere della tensione, mentre a Salisburgo
si stende una preoccupata relazione degli avvenimenti (la Conversio
Bagoariorum et Carantanorum composta tra l’870 e l’871), Kocel rispedisce
Metodio a Roma con la richiesta che venga consacrato vescovo residenziale
per la Pannonia “sulla cattedra di sant’Andronico apostolo” (VM VIII;
Garzaniti 215-216) cioè col titolo dell’antica metropoli di Sirmio (oggi
Sremska Mitrovica)14. Anche questa volta Adriano esaudisce solo in parte il
desiderio del principe, e nomina Metodio arcivescovo “pro fide”, affidandogli
la cura missionaria di tutti gli slavi dell’antica Pannonia (regione dai confini
indeterminati e dalla denominazione puramente convenzionale, a metà strada
tra la geografia antica e il diritto canonico), e non solo di quella concretamente
retta da Kocel, che era la “Pannonia inferiore”:
il suo titolo ecclesiastico non era quello di una sede determinata, né Sirmium
né altra, bensì un titolo esteso a tutta l’antica «diocesi» pannonica; ciò
rifletteva la natura ancora missionaria del suo incarico episcopale nei confini
di tutto un antico e tradizionale territorio canonico, privo da secoli di una
organizzazione ecclesiastica regolare, benché si stessero moltiplicando in esso
le comunità cristiane. Scrivendo a lui, il papa gli si rivolge come
«Archiepiscopo Pannoniensis ecclesiae» oppure come «Archiepiscopo pro
fide»15.
La reazione dell’episcopato franco a questa nuova mossa di Roma è
violentissima: catturato sulla via del ritorno da Roma a Mosaburg, la capitale
14 La richiesta di Kocel può far pensare che Sirmio si trovasse all’epoca sul suo territorio,
ma Vlasto ritiene invece che tutta la zona si trovasse in mano ai Bulgari dall’827 (A. P. Vlasto,
The Entry of the Slavs into Christendom, cit., p. 68). Questa ipotesi escluderebbe che la proposta
di Sirmio sia partita dal principe slavo, e ne restituisce la scelta ad Adriano II.
15 V. Peri, “Il mandato missionario e canonico di Metodio e l’ingresso della lingua slava
nella liturgia”, in Da Oriente e da Occidente. Le chiese cristiane dall’impero romano all’Europa
moderna, cit., vol. II, p. 925.
14
Il paleoslavo
di Kocel sul lago Balaton, o, secondo un’altra ipotesi, durante il primo viaggio
pastorale che avrebbe compiuto in Moravia ignorandone la nuova situazione
politica a lui sfavorevole, o forse ancora espressamente convocato dalla
Pannonia, Metodio è sottoposto a un duro e umiliante interrogatorio alla
presenza di Ludovico il Germanico e quindi rinchiuso nel convento di
Ellwangen16 (VM IX). Non è ostacolo alla persecuzione Sventopluk, che nel
frattempo con l’aiuto dei Franchi ha accecato e deposto lo zio Rastislav (870).
Liberato nell’873 grazie al vigoroso intervento di papa Giovanni VIII, che
succeduto nell’872 a Adriano II vagheggia una lega anti-franca, e dello stesso
Sventopluk, che nel frattempo è divenuto nuovamente ostile ai Franchi e ha
espulso dal suo territorio il clero germanico, Metodio viene accompagnato dal
legato pontificio Paolo, vescovo di Ancona, in Moravia17, dove si dispone ad
affrontare il periodo più duro della sua vita. Solo la promessa fatta al fratello
morente lo trattiene dal ritornare all’amato Olimpo (VM VII), spronandolo a
una quasi miracolosa attività traduttoria (VM XV) interrotta da viaggi a Roma
e a Costantinopoli. Nell’874 Kocel, che era stato diffidato dal riaccogliere
Metodio, è deposto e forse ucciso dai Franchi: la Pannonia torna sotto la
giurisdizione di Salisburgo, apertamente ostile al vescovo slavo. Anche in
Moravia si comincia a perdere entusiasmo. Scontenti sono soprattutto i
magnati, che preferivano agli usi bizantini il sistema franco delle “chiese
proprietarie”18. Sacerdoti franchi sono nuovamente attivi, e costituiscono una
16 La storia dell’arresto, del processo e della detenzione di Metodio non è priva di punti
oscuri: alcune ipotesi sono riassunte in Skazanija o načale slavjanskoj pis’mennosti, cit., pp.
157-159.
17 V. Peri, “Il mandato missionario e canonico di Metodio e l’ingresso della lingua slava
nella liturgia”, cit., p. 928. Secondo altri studiosi Metodio si sarebbe ritirato dalla Pannonia solo
alla morte di Kocel (874-875), quando la regione venne assorbita dal Regno Franco (H.
Birnbaum, “Where was the centre of the Moravian State?”, in American contributions to the
eleventh international congress of slavists, Columbus 1993, pp. 11-23 e F. Grivec, Santi Cirillo
e Metodio, cit., pp. 126-129).
18 “… le Chiese proprietarie, uso germanico che era stato introdotto nei paesi di recente
conquista, facevano della conversione dei pagani un’impresa reddittizia per i vescovi e gli abati
che in tal modo divenivano grandi proprietari terrieri. Durante il IX secolo i vescovi e i baroni
franchi si prodigavano in un’intensa attività evangelizzatrice e colonizzatrice nell’Antica
Introduzione
15
fronda, guidata da un prete di nome Viching, cui obiettivo principale è
screditare Metodio a qualunque costo e con qualunque mezzo. Le loro calunnie
costringono Giovanni VIII a richiamare a Roma Metodio per averne
spiegazioni (879). Trovandolo perfettamente ortodosso, il papa decide tuttavia
di prendere atto della persistente ostilità del clero franco e dei mutati equilibri
politici nelle Pannonie: la carica di Metodio, che Adriano II aveva consacrato
arcivescovo pannonico e legato apostolico “ad gentes fungens”, cioè
missionario, viene trasformata in quella di arcivescovo residenziale di una
nuova chiesa morava, con l’istituzione di una gerarchia episcopale locale di
almeno due suffraganei, primo dei quali sarà lo stesso Viching, consacrato
vescovo di Nitra:
Appare manifesto il disegno pontificio di istituire una gerarchia episcopale
locale e stabile per il principato moravo, capace di riunire sotto una nuova
gerarchia vescovile mista e unita le due componenti etniche del popolo
cristiano della zona. In virtù di simile prospettiva anche la giurisdizione
episcopale precedentemente attribuita a Metodio da Adriano II si estende in
modo significativo. Essa non è più quella di un arcivescovo missionario
«etnico» pro fide, preposto a tutti gli Slavi, clero e fedeli, viventi nell’antica
«diocesi» pannonica, ma limitata ad essi; è allargata e circoscritta a tutti i
cristiani sudditi di Svatopluk e viventi nel suo territorio a prescindere dalla
loro origine etnica19.
Coraggiosa ma infelice, questa scelta di Giovanni VIII segna l’inizio della
fine. Le novità introdotte da Metodio, gli usi bizantini in fatto di tempi sacri,
digiuni e festività, la recita del simbolo di fede senza il Filioque, la
celebrazione di parti della liturgia in slavo potevano essere tollerate, sia a pure
a denti stretti, quando circoscritte a poche comunità integralmente slave, ma
non nel momento in cui divenivano attuali ovunque nel principato. Nell’881
Giovanni VIII deve scrivere a Metodio per consolarlo delle ulteriori angherie
da parte del nuovo vescovo (“iamdictus episcopus”) e per assicurarlo di non
Pannonia. Era quindi naturale che la gerarchia franca vedesse in pericolo l’espandersi della sua
influenza in seguito ai nuovi metodi missionari introdotti in Moravia dai Bizantini” (F. Dvornik,
Gli Slavi, cit., p. 73).
19 V. Peri, “Il mandato missionario e canonico di Metodio e l’ingresso della lingua slava
nella liturgia”, cit., p. 933.
16
Il paleoslavo
avere mai intrattenuto con Sventopluk corrispondenza segreta a suo danno:
“neque aliae litterae nostrae ad eum directe sunt, neque episcopo illi palam vel
secreto aliud faciendum iniunximus”20.
Nel frattempo l’interesse per una chiesa slava coinvolge tanto Roma quanto
Bisanzio21: nell’881 il nuovo imperatore, Basilio I, manda a chiamare
Metodio, e lo accoglie con grandi onori. Fozio, patriarca per la seconda volta,
approva il suo operato, e chiede di lasciare a Costantinopoli un sacerdote e un
diacono con libri sacri in slavo per svolgere azione missionaria tra gli slavi
dell’impero (VM XIII).
Tornato in Moravia, Metodio riprende l’opera febbrile di traduzione sino
alla morte, che lo coglie il 6 aprile dell’anno 885, tre giorni dopo la domenica
delle Palme, nel compianto generale: “i suoi discepoli, dopo averlo preparato
(per le esequie) e aver(gli) reso degno onore, celebrarono il servizio
ecclesiastico in latino, greco e slavo e lo deposero nella chiesa cattedrale” (VM
XVII; Garzaniti 222). Orfani del loro pastore, i discepoli subiscono l’ultimo,
decisivo attacco da parte del clero franco, che ne ottiene finalmente
l’espulsione da tutte le terre di Sventopluk.
3. La missione morava tra impero romano (Roma e Bisanzio) e impero franco
Evento cruciale nella storia degli slavi, oggetto di studio per generazioni di
slavisti, la vicenda cirillometodiana presenta ancora molti punti oscuri, che
riguardano persino la collocazione geografica dell’azione missionaria dei due
fratelli.
Dove si dirigono Costantino e Metodio? La testimonianza delle Vite sembra
chiara: la Vita Constantini racconta come all’imperatore Michele giunga da
Rastislav, “principe moravo”, la richiesta di un vescovo per la sua gente, come,
20 F. Grivec, F. Tomšič, Fontes, cit., p. 74.
21 Sembra che il patriarca Ignazio, irritato per l’invio di vescovi romani in Bulgaria, avesse
consacrato un certo Agatone arcivescovo etnico per gli slavi moravi. La convocazione a
Costantinopoli di Metodio, ormai arcivescovo residenziale della chiesa morava, riempie di gioia
i Franchi, che gli pronosticano una brutta fine (V. Peri, “Il mandato missionario e canonico di
Metodio e l’ingresso della lingua slava nella liturgia”, cit., pp. 942-945 passim).
Introduzione
17
prima di rivolgersi a Costantinopoli, Rastislav si fosse riunito in consiglio con i
suoi “moravi” (VC XIV; Garzaniti 196), e come infine il principe accolga con
tutti gli onori Costantino al suo arrivo “in Moravia” (VC XV; Garzaniti 197).
La Vita Methodii racconta che Rastislav, “principe slavo”, assieme a
Sventopluk avrebbe inviato all’imperatore un’ambasceria “dalla Moravia”
(VM V; Garzaniti 213).
La tradizione colloca questa Moravia, intesa come realtà etno-politica, in
una zona a nord del Danubio attraversata dal fiume Morava, con capitale
Velehrad:
Costantino e Metodio incominciarono la loro attività nella Grande Moravia,
una formazione statale di cui facevano parte territori che oggi diciamo cechi,
moravi, sorabici e slovacchi ed era governato prima da Rastislav e poi dal suo
successore Svatopluk (Sventopl∞k∞), rappresentanti di una dinastia iniziata
dal capo locale Mojmir (818-846). Operarono anche in Pannonia, che
comprendeva territori sloveni, su invito di Kocel (Koc∞l∞, figlio di Pribina,
già sovrano di Nitra, in territorio oggi slovacco), vassallo di Ludovico il
Germanico22.
Trent’anni fa questa tesi è stata rigettata, sulla base della reinterpretazione
di tutte le fonti medievali, dallo studioso Imre Boba23, secondo cui con
“Morava” non si intende una entità statale ma una città, Morava appunto, non
lontana dall’antica sede episcopale di Sirmio (oggi Sremska Mitrovica, in
Serbia), di cui Metodio sarebbe stato nominato arcivescovo nell’870. Dalla
città il nome sarebbe passato alla regione circostante, così da indicare il
territorio controllato da Rastislav all’interno della “terra Sclavonica” sita tra
l’Adriatico e il fiume Drava, a sud del Danubio. Rastislav, tradizionalmente
ritenuto principe della Moravia con capitale Velehrad, Sventopluk,
tradizionalmente ritenuto principe di Nitra (da cui Mojmir aveva scacciato il
padre di Kocel, Pribina) prima del colpo di mano con cui si libera dello zio e
riunifica le terre, e Kocel, tradizionalmente ritenuto principe della Pannonia
Inferiore con capitale Mosaburg sul lago Balaton, avrebbero invece posseduto
22 R. Picchio, “Lo slavo ecclesiastico”, in Letteratura della Slavia Ortodossa, cit., p. 112.
23 I. Boba, Moravia’s History Reconsidered. A Reinterpretation of Medieval Sources, The
Hague 1971.
18
Il paleoslavo
allodialmente diversi territori di questa Sclavonia balcanica, e tutta la missione
cirillometodiana si sarebbe svolta a sud del Danubio.
La tesi di Boba ha suscitato consensi e opposizioni, in una discussione che
impegna storici, archeologi, linguisti, ed è ancora aperta. Se infatti
l’identificazione in Sirmio del titolo episcopale assegnato a Metodio è oggi
largamente condivisa, spostare a sud la Moravia di Rastislav rappresenta una
novità di tale portata da richiedere prove inconfutabili, quali nessuno è ancora
riuscito a produrre, e d’altra parte collocare la sede episcopale di Metodio a
Sirmio senza discutere la collocazione settentrionale della Moravia appare a
molti fonte di insanabili contraddizioni:
Nel 1971 è uscita la monografia dello studioso americano I. Boba Moravia’s
History Reconsidered. A Reinterpretation of Medieval Sources (The Hague
1971), in cui l’autore fornisce una serie di prove aggiuntive (e molto
convincenti) della tesi secondo cui la residenza di Metodio si trovava a
Sirmio. Tuttavia, trasportato dall’entusiasmo per questa localizzazione della
residenza di Metodio, che risulta essere lontana dalla Moravia tradizionale
(settentrionale, a sinistra del Danubio), e avendo scovato non lontano da
Sirmio un villaggio chiamato Morava – toponimo piuttosto diffuso nella
Slavia – il professor Boba commette lo stesso errore “logico-geografico” degli
altri studiosi del problema cirillometodiano, supponendo che la residenza
dell’arcivescovo dovesse necessariamente trovarsi nei territori allodiali di
Rastislav o di Svjatopolk! Sposta così la Moravia dei principi slavi che hanno
“chiamato” i fratelli tessalonicensi a sud del Danubio, in Bosnia e nella
Pannonia sud-orientale (Pannonia Orientalis), mentre Nitra e tutta la Moravia
“settentrionale” viene “concessa” a Svjatopolk solo a partire dall’anno 890,
dopo la guerra con il re Arnolfo24.
Il problema della collocazione territoriale della Moravia25 ci porta nel vivo
24 G. A. Chaburgaev, Pervye stoletija slavjanskoj pis’mennoj kul’tury. Istoki drevnerusskoj
knižnosti, cit., p. 69.
25 Nelle fonti bulgare medievali il termine sembra riferirsi a una zona non lontana dal lago
di Ocrida, in Macedonia, con una confusione sempre più evidente tra questa Moravia e quella
“superiore”, o “grande”, collocata a nord del Danubio, nell’Europa centrale: “è molto probabile
che i biografi di Costantino e di Metodio abbiano fuso insieme due Moravie: quella balcanica,
che comprende la zona del lago di Ocrida, e quella transdanubiana del principe Rastislav” (G. A.
Chaburgaev, Pervye stoletija slavjanskoj pis’mennoj kul’tury, cit., p. 69).
Introduzione
19
di un’altra questione spinosa, relativa alla giurisdizione sui territori interessati
alla missione cirillometodiana, ai loro rapporti con le chiese di Roma, di
Bisanzio e dei Franchi e in definitiva alla paternità culturale della loro impresa.
Lungamente dominante è stato il pregiudizio che contrapponeva una
Bisanzio plurietnica e aperta al plurilinguismo a una Roma inflessibile nel
difendere l’uso esclusivo del latino nella pratica amministrativa civile e
religiosa. Se Bisanzio aveva favorito la nascita della Slavia, Roma ne aveva
voluto negare l’identità: un sottaciuto corollario voleva che gli slavi “romani”
fossero meno slavi degli altri, veri, ortodossi, legittimi eredi della missione
cirillometodiana assurta a mito identitario fondante. La politica linguistica di
Bisanzio, e non solo considerazioni di opportunità politica, avrebbero quindi
spinto i principi slavi a rivolgersi all’imperatore Michele per avere un vescovo
che insegnasse loro “nella loro lingua”, e con la missione di fondare una chiesa
di lingua slava i fratelli si sarebbero messi in viaggio, recando seco libri
liturgici slavi, e altri traducendone in Moravia. Per questo Costantino e
Metodio avrebbero suscitato sospetti e poi aperta ostilità da parte dei Franchi e
della chiesa di Roma.
Le fonti permettono però di intravedere un quadro alquanto diverso. Passi
della Vita Methodii e della Legenda italica fanno intendere che Rastislav
avrebbe rivolto a Roma, ancor prima che a Bisanzio, la richiesta di stabilire in
Moravia una gerarchia ecclesiastica indipendente da quella franca, esattamente
come pochi anni dopo (866) Boris di Bulgaria, appena battezzato da Bisanzio,
invierà un’ambasceria al papa per chiedere una gerarchia ecclesiastica
indipendente da Costantinopoli26. La politica linguistico-religiosa delle due
chiese non doveva apparire differente agli occhi dei principi slavi, e poco
diversa appare anche oggi a bizantinisti esperti di culture slave (Sevčenko,
Obolensky, Vavřinek) e slavisti (Grivec) che dall’inizio degli anni ’60 hanno
riesaminato la questione. Alla politica linguistica della cristianità greco-latina
al cospetto di “popoli nuovi” dedica numerosi interventi Riccardo Picchio27,
26 M. Lacko, The Popes and Great Moravia in the light of Roman documents, Slovak
Institute, Cleveland-Rome 1972, pp. 20-22.
27 Accanto al già citato “Questione della lingua e Slavia cirillometodiana” (prima
20
Il paleoslavo
che sottolinea come nel IX secolo i due centri della cristianità convergessero
pienamente sull’opportunità di utilizzare a fini apostolici le parlate delle
popolazioni da catechizzare (traduzioni del catechismo, delle preghiere, dei
formulari per la confessione), e come proprio la chiesa di Roma avesse
regolamentato, sin dal VI secolo, il problema del rapporto tra latino e lingue
rustiche (parlate da popolazioni ancora pagane di territori già amministrati
dalla chiesa) e barbare (parlate da popolazioni esterne alla giurisdizione
ecclesiastica e imperiale), così come quello del rapporto tra latino e linguae
vernaculae:
… la chiesa romana si impegnò nel IX secolo in una diffusa azione in favore
dell’uso delle parlate popolari … Il clero latino non solo poteva, ma doveva
servirsi delle lingue locali per far sì che l’insegnamento della chiesa fosse
capito da tutti28.
Il problema si poneva per l’uso di queste lingue “nuove” (vernacole,
rustiche e barbare) nei settori tradizionalmente destinati a lingue dotate di
conclamata dignità e di una norma certa, quali la traduzione delle Scritture e
l’uso liturgico. Certo Bisanzio poteva vantare maggiore dimestichezza con
lingue diverse dal greco, in virtù del più raffinato e complesso panorama
culturale dell’Oriente:
Se, nei territori ad ovest della Grecia, la «romanizzazione» del cristianesimo
implicava quasi automaticamente la «latinizzazione» linguistica poiché il
latino era l’unica lingua di prestigio, ad oriente il greco non poteva imporsi
con altrettanta autorità su lingue di antica tradizione religiosa quali il siriaco e,
soprattutto, l’ebraico29.
Ma questo atteggiamento non si estendeva affatto alle lingue “nuove”, anzi:
pubblicazione in Studi sulla questione della lingua presso gli Slavi, Roma 1972, pp. 7-120)
ricordiamo almeno “Lingua d’apostolato e lingua liturgica nella chiesa latina e nel Primo Impero
bulgaro,” in Atti dell’8° Congresso internazionale di studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1983, pp.
269-279.
28 R. Picchio, “Il posto della letteratura bulgara antica nella cultura europea del medioevo”,
in Letteratura della Slavia Ortodossa, cit., p. 267.
29 R. Picchio, “Questione della lingua e Slavia cirillometodiana”, cit., pp. 172-173. Cfr.
anche F. Grivec, Santi Cirillo e Metodio, cit., p. 63: “è vero che nelle chiese orientali esistevano
parecchie liturgie nazionali, ma si trattava di liturgie sorte nei primi secoli e tra popoli che
vantavano una cultura plurisecolare. Dopo il predominio greco, ciò non ebbe più luogo”.
Introduzione
21
il pregiudizio ellenistico contro i “barbari” era ancora vivo, gli slavi residenti
nella penisola greca erano stati completamente grecizzati30, e Bisanzio era ben
poco favorevole all’uso liturgico di lingue diverse dal latino e dal greco. In
questo quadro, il progetto slavo di Costantino e Metodio appare in tutta la sua
straordinaria audacia, capziosamente offuscata da Costantino nella disputa
veneziana:
Promuovere una lingua «barbara», ancora priva di una propria scrittura, a
lingua sacrale, dotandola di un alfabeto, di un sistema ortografico, di una
costanza grammaticale e sintattica e di una dignità espressiva adeguata a
contenuti universali corrispondeva ad abilitarla per tale via a trasmettere la
Rivelazione cristiana. Era una scelta tradizionalmente insolita, innovativa e
coraggiosa in tutto l’ambito della civiltà greco-latina. Nella cristianità
imperiale l’idea e il progetto non avevano precedenti. Non corrisponde infatti
alla realtà, per quanto ripetuta e diffusa, la tesi che tra il VI e il IX secolo la
Chiesa greca dell’Impero d’Oriente, a differenza di quella romana che impose
a tutti i popoli convertiti al cristianesimo il latino nella liturgia e nella cultura,
fosse propensa a riconoscere o addirittura a incoraggiare e concedere
l’introduzione di lingue nazionali diverse dal greco nell’uso liturgico31.
Ma quale uso della nuova lingua aveva in mente Costantino?
30 A. P. Vlasto, The Entry of the Slavs into Christendom, cit., p. 12: “nothing suggests that
Byzantine policy could favour the raising of their barbarous tongue to civilised use”. Cfr. anche
M. Lacko, Cirillo e Metodio, cit., p. 71: “I greci ordinariamente non permettevano che la lingua
slava venisse usata nelle ufficiature liturgiche degli Slavi che si erano insediati nell’impero
bizantino”.
31 V. Peri, “Il mandato missionario e canonico di Metodio e l’ingresso della lingua slava
nella liturgia”, cit., p. 959. L’uso di lingue diverse dal latino e dal greco si era spesso
accompagnato, tra l’altro, a posizioni eterodosse: “In the ninth century the Orthodox and the
Catholic Church, still undivided, conducted its worship and read its Scriptures almost
exclusively in Greek and Latin, with a small number of believers in the Caucasus making use of
Georgian for those purposes, and with various individuals – mostly in Western Europe – having
vernacular translations of parts of the Bible at their disposal for private use. The conduct of
Christian worship and the public reading of the Scriptures in languages such as Syriac, Arabic,
Persian, Sogdian, Armenian, Albanian (in the Caucasus), Coptic, Ethiopic, Nubian and Gothic
had long been the virtual monopoly of Arians, Nestorians and several kinds of nonChalcedonian Christians, all of whom the Orthodox and Catholic Church regarded as heretics”:
R. Mathiesen, “The Church Slavonic Language Question: an Overview (IX-XX Centuries)”, in
Aspects of the Slavic Language Question, ed. by R. Picchio, H. Goldblatt, New Haven 1984,
volume I: Church Slavonic – South Slavic – West Slavic, p. 51.
22
Il paleoslavo
L’episodio della chiamata a Roma da parte di Nicola I, l’appassionata
disputa con i partigiani della “eresia trilinguista” hanno generato la
convinzione che in Moravia Costantino avesse già inaugurato la liturgia slava.
La maggior parte degli studiosi esclude però che Costantino possa aver agito in
tal senso:
Durante la missione morava (863-866) Cirillo e Metodio erano missionari,
predicatori cristiani che si servivano di una nuova lingua e di un nuovo
alfabeto creato appositamente per quella. Predicavano in una lingua
comprensibile al popolo e preparavano quadri locali capaci di fare altrettanto.
Né i compiti affidati loro né la loro carica permetteva che pensassero a
officiare in slavo32.
D’altra parte, non è certo che la convocazione del papa corrisponda a verità:
la circostanza che Costantino e Metodio recassero seco le reliquie di papa
Clemente martire potrebbe infatti attestare una loro autonoma volontà di
recarsi a Roma, dove li aspetta l’accoglienza trionfale di Adriano II, succeduto
nel frattempo a Nicola I, e ben deciso a ribadire i diritti giurisdizionali romani
sulle Pannonie, sul Norico e sull’Illirico.
Quattro sono i papi interessati alla “questione della lingua slava”: Nicola I,
che muore senza mai incontrare i fratelli, Adriano II, Giovanni VIII e Stefano
V. Di questi, Adriano II è descritto nelle nostre fonti come il più convinto
sostenitore dell’uso liturgico della nuova lingua sacra, colui che non solo
benedice sull’altare di S. Maria Maggiore i “libri slavi”, ma celebra “con essi”
la liturgia: “E il papa accolse i libri slavi, li consacrò e li depose nella chiesa di
Santa Maria, che si chiama Pathne. E cantarono con essi la liturgia” (VC XVII;
Garzaniti 203). Dopo la consacrazione dei discepoli slavi “allora cantarono la
liturgia nella Chiesa di San Pietro in lingua slava. Nel giorno seguente la
cantarono nella chiesa di Santa Petronilla, e il terzo giorno la cantarono nella
chiesa di Sant’Andrea e (partendo) da lì di nuovo presso l’Apostolo Paolo, il
grande maestro delle genti, in chiesa di notte cantarono la santa liturgia in
slavo sul santo sepolcro, coadiuvati dal vescovo Arsenio, che era uno dei sette
vescovi, e da Anastasio Bibliotecario” (VC XVII; Garzaniti 203).
32 K. Stančev, G. Popov, Kliment Ochridski, cit., p. 33.
Introduzione
23
Diversamente da Nicola I, e vicino in questo alla chiesa d’oriente, Adriano
II sembra non condividere le convinzioni del clero franco-germanico e latinoaquileiese, cui appariva “contra fidem et mores, per diritto rivelato e per
tradizione apostolica, qualsiasi possibilità che la Sacra Scrittura fosse tradotta e
i sacri misteri fossero celebrati in una lingua «barbara», esclusa, con tutte le
rimanenti dello stesso tipo, dall’iscrizione trilingue della croce”33: la posizione
difesa brillantemente a Venezia da Costantino coincideva dunque con la sua.
Parimenti favorevole ai libri slavi è l’epistola con cui Adriano II
accompagna l’invio di Metodio, ora sacerdote missionario, a Kocel, Rastislav e
Sventopluk, conservatasi purtroppo solo come citazione interna alla Vita
Methodii (VM VIII) e nota come Gloria in excelsis Deo: “abbiamo pensato,
dopo aver esaminato (la questione), di mandare nei vostri paesi Metodio, dopo
averlo consacrato, insieme ai discepoli, come nostro figlio, uomo perfetto nella
conoscenza e ortodosso, perché vi insegni, come avete chiesto, interpretando i
libri nella vostra lingua, realizzando (le celebrazioni) secondo l’officiatura
ecclesiastica completa e con la santa messa, cioè con il servizio liturgico, e con
il battesimo, come aveva cominciato Constantino filosofo per grazia di Dio e le
preghiere di san Clemente […] Serbate, tuttavia, solo questa consuetudine, che
nella messa si legga per primo l’Apostolo e il Vangelo in romano, poi in slavo”
(VM VIII; Garzaniti 215-216).
Il passo può essere letto in due modi diversi, a seconda che “nella vostra
lingua” si riferisca o meno all’officiatura completa. Anche nel primo caso,
tuttavia, la richiesta di salvaguardare la consuetudine ‘romana’ (ovvero
l’utilizzo di una delle due lingue dell’impero, latino e greco34) sarebbe
fondamentale per fissare all’uso liturgico della lingua slava limiti che Metodio
è chiamato a non oltrepassare. Di fatto, pur ritenendo che la liturgia slava non
fosse in contrasto con la retta fede e con la dottrina (come dimostravano del
33 V. Peri, “Il mandato missionario e canonico di Metodio e l’ingresso della lingua slava
nella liturgia”, cit., p. 966.
34 Alla convincente interpretazione in tal senso dell’avverbio rimßsky dedica alcune pagine
Vittorio Peri: “Tre schede cirillo-metodiane”, in Filologia e letteratura nei paesi slavi. Studi in
onore di Sante Graciotti, Roma 1990, pp. 919-929.
24
Il paleoslavo
resto le celebrazioni in slavo nelle basiliche romane), Adriano II riafferma a
livello di pratica pastorale il primato del latino (e del greco) quale garanzia
della corretta interpretazione del Verbo, serbando alla Chiesa (romana e
bizantina) la funzione di “filtro apostolico”.
La formulazione di Adriano ritorna nelle epistole di Giovanni VIII, che
costituiscono il capitolo più ricco nella storia dei rapporti tra il papato e la
missione cirillometodiana.
Di Giovanni VIII si sono conservate numerose epistole: un primo gruppo,
dell’873, riguarda la liberazione di Metodio e la giurisdizione sull’Illirico.
Sono indirizzate a Ludovico il Germanico, a Carlomanno, ad Adalvino, il
vescovo di Salisburgo autore della Conversio Bagoariorum et Carantanorum,
a Ermanrico, vescovo di Passavia, ad Annone, vescovo di Frisinga, e a Paolo,
vescovo di Ancona e legato pontificio in Germania e in Pannonia, cui il Papa
affida le missive. Di questo gruppo doveva fare parte anche un’epistola,
perduta, indirizzata allo stesso Metodio. Due successive, dell’879, sono
indirizzate a Sventopluk e a Metodio. Ancora a Sventopluk, nell’880, Giovanni
VIII scrive la più importante presa di posizione in merito alla liturgia slava,
l’epistola indirizzata “Dilecto filio Sfentopulcho glorioso comiti” e nota con il
nome di Industriae tuae. Nell’881 l’ultima, indirizzata a Metodio, vuole
consolarlo delle persecuzioni di Viching (“iamdictus episcopus”), ma non
aggiunge niente sul tema che qui ci interessa.
Nell’epistola dell’879 a Sventopluk il papa esprime meraviglia e
preoccupazione per le voci che gli sono giunte in merito alla presunta eresia
del suo arcivescovo, esorta il principe a restare saldo nella vera fede, e lo
informa di avere convocato Metodio a Roma35. In quella, più dettagliata e
35 “… Si autem aliquis vobis vel episcopus vester vel quilibet sacerdos aliter adnuntiare aut
predicare presumpserit, zelo Dei accensi omnes uno animo unaque voluntate doctrinam falsam
abicite stantes et tenentes traditionem sedis apostolicae. Quia vero audivimus, quia Methodius
vester archiepiscopus ab antecessore nostro, Adriano scilicet papa, ordinatus vobisque directus
aliter doceat, quam coram sede apostolica se credere verbis et litteris professus est, valde
miramur; tamen propter hoc direximus illi, ut absque omni occasione ad nos venire procuret,
quatenus ex ore eius audiamus, utrum sic teneat et credat, sicut promisit, aut non”: F. Grivec, F.
Tomšič, Fontes, cit., p. 71.
Introduzione
25
severa, a Metodio, elenca le accuse che gli sono state rivolte, errori dottrinali e
uso della lingua slava nella liturgia:
Predicationis tuae doctrinis populum Domini tibi quasi spiritale pastori
commissum salvare instruereque cum debeas, audivimus, quod non ea, quae
sancta Romana ecclesia ab ipso apostolorum principe didicit et cottidie
predicat, tu docendo doceas et ipsum populum in errorem mittas. Unde his
apostolatus nostri litteris tibi iubemus, ut omni occasione postposita ad nos de
presenti venire procures, ut ex ore tuo audiamus et veraciter cognoscamus
doctrinam tuam, utrum sic teneas et sic predices, sicut verbis et litteris te
sanctae Romanae ecclesiae credere promisisti, aut non. Audimus etiam, quod
missas cantes in barbara, hoc est in Sclavina lingua, unde iam litteris nostris
per Paulum episcopum Anconitanum tibi directis prohibuimus, ne in ea lingua
sacra missarum sollemnia celebrares, sed vel in Latina vel in Greca lingua,
sicut ecclesia Dei toto terrarum urbe diffusa et in omnibus gentibus dilatata
cantat. Praedicare vero aut sermonem in populo facere tibi licet, quoniam
psalmista omnes ammonet Dominum gentes laudare et apostolus: «Omnis –
inquit, – lingua confiteatur, quia dominus Iesus in gloria est Dei patris»36.
A Metodio dunque Giovanni VIII contesta di non rispettare quanto
affermato a voce e per scritto: l’arcivescovo professerebbe dottrine diverse da
quelle dichiarate a Roma e celebrerebbe la messa in slavo, nonostante
l’esplicita proibizione contenuta nell’epistola che gli era stata trasmessa da
Paolo d’Ancona (nell’873). Poiché si tratta di un testo che non ci è pervenuto,
non è facile capire di quali proibizioni si tratti: forse nel momento della sua
liberazione il papa gli consigliava di attenersi strettamente agli usi linguistici
tradizionali. Certo, la posizione di Giovanni VIII sembra contrastare sia con
quella del suo predecessore Adriano II, sia con quello che lo stesso Giovanni
terrà in seguito.
Dell’apparente incongruenza si è occupato a più riprese Riccardo Picchio,
che propone di analizzare questo passo dell’epistola indirizzata a Metodio
(“Reverendissimo Methodio archiepiscopo pro fide”) alla luce della
distinzione tra liturgia della parola e liturgia eucaristica:
Vale la pena di rileggere il testo di quella lettera tenendo presente la
distinzione [...] fra misteri liturgici accessibili unicamente al sacerdote e parti
cerimoniali che implicavano la legittima partecipazione del popolo alla
36 F. Grivec, F. Tomšič, Fontes, cit., pp. 71-72.
26
Il paleoslavo
funzione liturgica. Il papa scriveva a Metodio, vescovo di Santa Roma Chiesa
e suo legato: «Audimus etiam […] dilatata cantat». Cerchiamo di tradurre e di
interpretare: «Abbiamo anche sentito che tu canti le messe in una lingua
barbara, ossia in lingua slava. In relazione a ciò, già nelle nostre lettere che ti
abbiamo inviato per mezzo di Paolo vescovo anconitano, ti abbiamo proibito
di celebrare in quella lingua le parti sacre e solenni delle messe e [ti abbiamo
invece chiesto di celebrarle in lingua] o latina o anche greca, così come le
canta la chiesa di Dio diffusa in tutto il mondo ed espansa fra tutte le genti». Il
papa romano, in questa lettera, non solleva alcuna obiezione contro l’uso,
introdotto in Moravia da Metodio, di cantare la messa in slavo [...] salvo
restando il diritto di un missionario romano di servirsi della parlata locale per
quelle parti della messa che erano esclusivamente «liturgiche», ossia
«popolari» nel senso etimologico ed originario del termine (leitourgiva da
lewv" [laov"] + e[rgon) – il latino e il greco restavano le sole lingue da usarsi
nella celebrazione dei misteri veri e propri (sacra missarum sollemnia)37.
Questa lettura spiegherebbe il successo della difesa di Metodio, giunto a
Roma nell’880: evidentemente, l’accusa di celebrare in slavo i sacri misteri era
infondata. Nella ricordata epistola Industriae tuae il papa, oltre ad assolverlo
da qualunque accusa di poca ortodossia, caldeggia la liturgia slava,
riprendendo la raccomandazione a far precedere la lettura del vangelo in latino
già formulata, e negli stessi termini, da Adriano II nella Gloria in excelsis Deo:
Litteras denique Sclavinas a Constantino quondam philosopho reppertas,
quibus Deo laudes debite resonent, iure laudamus et in eadem lingua Christi
domini nostri preconia et opera enarrentur, iubemus; neque enim tribus tantum
sed omnibus linguis Dominum laudare auctoritate sacra monemur […] Nec
sanae fidei vel doctrinae aliquid obstat sive missas in eadem Sclavinica lingua
canere sive sacrum evangelium vel lectiones divinas novi et officia omnia
psallere, quoniam, qui fecit tres linguas principales, Hebream scilicet, Grecam
et Latinam, ipse creavit et alis omnes ad laudem et gloriam suam. Iubemus
tamen, ut in omnibus ecclesiis terrae vestrae propter maiorem honorificentiam
evangelium Latine legatur et postmodum Sclavinica lingua translatum in
auribus populi Latina verba non intellegentis adnuntietur, sicut in quibusdam
ecclesiis fieri videtur; et, si tibi et iudicibus tuis placet missas Latina lingua
magis audire, precipimus, ut Latine missarum tibi sollemnia celebrentur38.
37 R. Picchio, “Il posto della letteratura bulgara antica nella cultura europea del medioevo”,
cit., p. 269.
38 F. Grivec, F. Tomšič, Fontes, cit., p. 73. Chaburgaev ipotizza che a convincere il papa
della legittimità dell’operato di Metodio e della liturgia slava sia stata una accurata analisi
Introduzione
27
Purtroppo, anche la giusta distinzione introdotta da Picchio non risolve del
tutto le apparenti incongruenze dei messaggi papali: se infatti la celebrazione
dei misteri (missarum sollemnia) in lingue diverse dal latino e dal greco fosse
stato l’unico e vero problema insormontabile per Roma, che senso avrebbe
avuto la finale autorizzazione a celebrarli in latino, qualora a Sventopluk fosse
così maggiormente piaciuto?
Più convincente è l’interpretazione che di tutta la politica papale relativa
alla lingua slava dà Vittorio Peri, basandosi sulla netta distinzione, sempre
operata dalla chiesa, tra i principi teorici affermati, la disciplina canonica e la
prassi quotidiana. Non solo, come affermava anche Picchio, gli slavisti hanno
a lungo ignorato la differenza tra l’uso catechetico di una lingua parlata e l’uso
liturgico di una lingua sacra: gli studiosi moderni tendono a ignorare ciò che
appare chiaro al personale ecclesiastico di tutti i tempi, ovvero la necessità
continua per la chiesa di coniugare la difesa di principi universali (la fede e la
dottrina) con la concreta situazione storica: ciò ha generato accuse sconcertate
e ipotesi avventurose di documenti falsi e carte trafugate39. Secondo Peri,
Il testo di Giovanni VIII dice semplicemente che nessuno dei tre
comportamenti liturgici elencati in ordine decrescente d’importanza (messe,
lezioni bibliche, salmodia), attuato col ricorso alla lingua slava seguendo una
traduzione fedele all’originale, è di per sé in contrasto con la retta fede e con
la dottrina insegnata dalla Chiesa, poiché Dio non ha creato solo tre ma tutte le
lingue del mondo. L’asserzione, capitale per scagionare Metodio dall’accusa
insidiosa di eresia, non significa tuttavia che l’autorità pontificia intendeva
autorizzare una loro introduzione immediata ed incondizionata nell’uso
testologica e teologica delle traduzioni slave (Pervye stoletija slavjanskoj pis’mennoj kul’tury,
cit., pp. 74-79). Adriano II non avrebbe proceduto ad alcuna verifica, nell’868, per la fama di
santità che accompagnava Costantino, e qui si sarebbe celata, secondo questa ricostruzione, la
debolezza dei libri slavi agli occhi del clero bavarese.
39 Tra i sostenitori dell’esistenza di vari documenti falsi ricordiamo A. Lapôtre (L’Europe et
le Saint-Siège à l’époque Carolingienne. Première partie: Le pape Jean VIII, Paris 1895), L. K.
Goetz, che considera false tutte le epistole meno quelle di condanna della liturgia slava di
Stefano V (Geschichte der Slavenapostel Cyrillus und Methodius, Gotha 1897) e N. Laehr,
curatore dell’edizione critica della lettera di Stefano V a Sventopluk (Monumenta Germaniae
Historica. Epistolae, VII, n. 1, pp. 353-358), le cui tesi sono accolte in toto da Grivec (Santi
Cirillo e Metodio, cit., p. 198).
28
Il paleoslavo
liturgico dei cristiani slavi. [...] Tutti e tre i papi della seconda metà del IX
secolo, che hanno dovuto affrontare il problema dottrinale e pratico, costituito
dalla nuova introduzione della lingua slava nella vita della Chiesa e nel suo
culto liturgico, hanno mantenuto la stessa attitudine di fondo. Analizzando i
loro documenti, si può tuttavia notare una certa differenza d’accento nel modo
di esprimerla. Il ricorso alle subordinate avversative, condizionali o
concessive lo denota chiaramente. I papi, i quali, come Adriano II e Giovanni
VIII, vollero dare maggiore enfasi e rilievo alla legittimità dottrinale di
promuovere la lingua slava a lingua sacra, hanno introdotto le disposizioni
restrittive d’ordine pratico e disciplinare con locuzioni correttive
dell’affermazione positiva, quali: «tuttavia», «soltanto», oppure precisando
con gli avverbi «prima» e «dopo» la priorità obbligatoria del latino (o del
greco) sullo slavo nella lettura tollerata limitatamente all’epistola e al vangelo
della messa. Quando invece, come Giovanni VIII nell’873 e nell’879, o
Stefano V nell’885, hanno inteso dare più netto rilievo al persistere del divieto
dell’uso generalizzato dello slavo nella celebrazione della messa e dei
sacramenti, lo hanno affermato nella proposizione principale, ma hanno poi
contemperato la proibizione con congiunzioni avversative o limitative come:
«invece», «eccetto che», atte ad assicurare che restavano lecite ed approvate
tali letture e la predicazione omiletica e catechistica in lingua slava. Ma non
per questo la sostanza della posizione può dirsi cambiata40.
A determinare il mutato atteggiamento dei papi, e quindi i destini religiosi e
linguistici della Moravia, non è un voltafaccia di Stefano V sull’uso dello
slavo, ma l’abbandono del tentativo di compromesso ideato per la Moravia da
Giovanni VIII alla luce di una mutata valutazione del sistema di alleanze della
chiesa di Roma, stretta tra minacce di scisma a occidente come ad oriente.
Dovendo cercare l’accordo con la chiesa di Costantinopoli o con quella franca,
Adriano II e Giovanni VIII si mossero nella prima e più tradizionale
prospettiva. Marino I e poi Stefano V, sulla scia di Nicola I, si mostrarono
invece favorevoli alla seconda41.
La prima opzione significava, oltre che normalizzare i rapporti su una serie
di questioni legate alla dottrina e alla giurisdizione, condividere con Bisanzio
l’iniziativa della promozione della scrittura slava, riconoscere una certa
autonomia ai principati slavi e legarli a Roma con una politica anti-franca
40 V. Peri, “Il mandato missionario e canonico di Metodio e l’ingresso della lingua slava
nella liturgia”, cit., pp. 988-989.
41 Ivi, p. 991.
Introduzione
29
basata sull’autorità personale di Metodio “arcivescovo per tutti gli Slavi”. La
seconda significava al contrario fare proprie le posizioni politiche e pastorali
dei Franchi, compresa l’esclusività della lingua e della cultura latina per tutti i
popoli dell’Impero carolingio, riconoscere la loro giurisdizione sui nuovi
cristiani di stirpe slava e affermare, contro un Oriente bizantino fertile di
eresie, la funzione universale del Sacro Romano Impero d’Occidente42.
Come si è detto, alla morte di Metodio Viching, successore di Metodio
designato da Sventopluk contro la candidatura di Gorazd, riesce a convincere il
nuovo papa a fare suo “il punto di vista della Chiesa franca per quanto
concerneva la recita obbligatoria del Filioque nel simbolo e l’insegnamento
catechistico che vi era legato, oltre che l’uniformizzazione dei tempi e dei
giorni di digiuno sull’uso della Chiesa latina e non di quella greca. Ciò
corrispondeva all’aperta sconfessione, su questi due punti capitali, dell’opera
pastorale portata avanti da Metodio con l’approvazione di Giovanni VIII”43. Il
papa scrive a Sventopluk una lettera in cui dimostra di credere che Metodio
abbia oltrepassato i limiti impostigli dai suoi precedessori in merito all’uso
liturgico della lingua slava44 e lo condanna severamente:
Divina autem officia et sacra mysteria ac missarum sollemnia, quae idem
Methodius Sclavorum lingua celebrare praesumpsit […] nullo modo deinceps
a quolibet praesumatur. Dei namque nostraque apostolica auctoritate sub
anathematis vinculo interdicimus, excepto quod ad simplicis populi et non
intelligentis aedificationem attinet, si evangelii vel apostoli expositio ab
eruditis eadem lingua annuntietur, et largimur et exhortamur et ut
frequentissime fiat monemus, ut omnis lingua laudet Deum et confiteatur ei45.
42 Ivi, p. 992.
43 Ivi, p. 952.
44 Per ciò che riguarda la possibilità che Metodio avesse effettivamente trasgredito così
scrive Peri: “l’esistenza di tutti i libri liturgici necessari al culto divino e la presumibile
ignoranza del latino e del greco di buona parte dei nuovi sacerdoti slavi formati su questi libri
hanno probabilmente determinato un’estensione di fatto della concessione pontificia all’intera
celebrazione della messa, all’amministrazione dei sacramenti e alla recita delle ore [...] è lecito
chiedersi se e quanto l’arcivescovo fosse personalmente responsabile di questo allargato impiego
dello slavo nella messa oppure quanto egli fosse in grado di impedirlo”: V. Peri, “Il mandato
missionario e canonico di Metodio e l’ingresso della lingua slava nella liturgia”, cit., p. 983.
45 Zventopolco Regi Sclavorum, 885. F. Grivec, F. Tomšič, Fontes, cit., p. 77. Posizioni
30
Il paleoslavo
Le conseguenze di questa nuova politica papale sono pesantissime per la
piccola comunità cirillometodiana: i discepoli più anziani vengono
perseguitati, imprigionati, e poi cacciati da tutto il territorio, i più giovani,
quelli ordinati sacerdoti dallo stesso Metodio, venduti schiavi. Clemente,
Angelario e Naum trovano rifugio in Bulgaria, Sava e Gorazd, indicato da
Metodio quale suo successore, ripararono probabilmente in Polonia, altri si
dispersero in Boemia e in Dalmazia.
La Chiesa di Roma non revocherà il suo divieto alla liturgia slava (pur
senza riuscire a impedirne la sopravvivenza) sino alla metà del XIII secolo,
quando Innocenzo IV ne concede esplicita autorizzazione a due vescovi croati,
Filippo e Fruttuoso, nel 1248 e nel 125246.
La Chiesa di Costantinopoli non è meno riluttante all’introduzione della
liturgia slava nei territori di sua giurisdizione. Ma la crescente potenza politica
e militare della Bulgaria, che aveva accolto a braccia aperte i discepoli di
Cirillo e Metodio in fuga dalla Moravia e ottenuto la proclamazione
dell’autocefalia47 la costringono infine a cedere: nell’893, quasi trent’anni
dopo il battesimo di Boris-Michele, la liturgia slava si sostituisce ufficialmente
a quella greca:
L’anno 893 segna profondamente la storia bulgara. Dopo quattro anni di regno
(889-893) Rasate-Vladimir, figlio primogenito di Boris, è deposto e sostituito
da Simeone. Le cause non ci sono tutte chiare, ma conosciamo la principale:
aver deviato dalla linea politica tracciata da Boris. Non a caso la sostituzione
al vertice si compie sotto l’egida del principe Boris-Michele, che nel
analoghe il papa esprime nel Commonitorium Dominico Episcopo Iohanni et Stefano
[presbyteri]s euntibus ad sclavos dell’885: “Missas et sacratissima illa ministeria, quae
Sclavorum lingua idem Methodius celebrare praesumpsit, quamvis decessoris sui temporibus,
domni videlicet Iohannis sanctissimi papae iuraverit se ea ulterius non praesumere, apostolica
auctoritate, ne aliquo modo praesumatur, penitus interdicit. Verumtamen si aliquis Sclavorum
lingua tam doctus invenitur, ut post sacratissimam evengelicam apostolicam lectionem eius
explicationem doctus sit dicere ad aedificationem eorum, qui non intelligunt, et laudat, si fiat, et
concedit et approbat” (F. Grivec, F. Tomšič, Fontes, cit., p. 75).
46 Alla base del mutato atteggiamento sta anche la convinzione che a inventare il glagolitico
fosse stato S. Girolamo, il traduttore della Vulgata: I. Banac, “Main Trends in the Croat
Language Question”, in Aspects of the Slavic Language Question, cit., I, p. 197.
47 G. A. Chaburgaev, Pervye stoletija slavjanskoj pis’mennoj kul’tury, cit., p. 60.
Introduzione
31
frattempo aveva scelto la via del monastero e si era fatto monaco. La presa di
potere da parte di Simeone è accompagnata da importanti novità, che da
tempo si andavano preparando. La vecchia capitale Pliska, nata come
cittadella pagana, fortezza dell’aristocrazia protobulgara, è abbandonata in
favore di Preslav, che si sviluppa come moderna città cristiana. Si proclama
ufficialmente l’adozione del paleoslavo come lingua dello stato e della chiesa.
Questo significa la progressiva sostituzione del clero greco con clero bulgaro,
e dei libri liturgici greci con libri slavi […] Ha inizio il secolo d’oro della
cultura bulgara medievale, destinato a giocare un ruolo inestimabile
nell’ulteriore evoluzione dei popoli slavi appartenenti alla Slavia Orthodoxa48.
4. La lingua paleoslava
Spentesi già a fine Ottocento le dispute sulla “origine” bulgara o pannonica
del paleoslavo, oggi gli studiosi concordano nel riconoscere la base dialettale
bulgaro-macedone della nuova scripta. Sia che si dati l’insorgere del suo
interesse per gli slavi agli anni 856-860, trascorsi in Bitinia con il fratello, sia
che lo si dati agli anni 861-863, trascorsi a Costantinopoli, Costantino si
muove nel meridione della slavia balcanica, tra le genti slave di cui suo fratello
Metodio è stato per anni arconte: a quelle parlate rimandano la semplificazione
dei nessi formati dalle dentali con la liquida (*dl, *tl > l) la presenza della l
epentetica, forme verbali quali il condizionale del tipo bim| , gli aoristi
sigmatici arcaici, l’imperfetto. Grafemi glagolitici quali R, z ([šč] < *tj; [≈] <
*g per II e per III palatalizzazione), così come l’uso di A per indicare un suono
vocalico che continua sia *(’)e- sia *’a- , suggeriscono addirittura una
localizzazione ristretta alla zona di Salonicco49.
Nata in area bulgaro-macedone, cresciuta in Moravia e in Pannonia,
durante i quindici anni di arcivescovato di Metodio, la lingua paleoslava
raggiunge la piena maturità nella Bulgaria di Simeone, dove un nuovo strato
bulgaro, questa volta di provenienza anche bulgaro-orientale, si sovrappone e
si salda a quello originario bulgaro-occidentale (macedone).
Questa stratificazione non contraddice le finalità del nuovo strumento
48 K. Stančev, G. Popov, Kliment Ochridski, cit., pp. 41-42.
49 Si veda il capitolo “Soluňská staroslověnština” in G. A. Chaburgaev, Pervye stoletija
slavjanskoj pis’mennoj kul’tury. Istoki drevnerusskoj knižnosti, cit., pp. 36-42.
32
Il paleoslavo
linguistico, nato per un uso apostolico e permeato dell’“ideologia cirillometodiana” della molteplicità delle lingue: operando in zone della Slavia che
da diversi decenni conoscono il cristianesimo, Costantino e Metodio si erano
misurati con una terminologia cristiana presistente, che la loro esperienza
missionaria consigliava di non modificare, né nel lessico né nella fonetica. Nel
paleoslavo vengono così accolti sia lessemi greci che gli slavi cristiani della
zona di Salonicco avevano appreso oralmente nella loro pronuncia popolare
(parask ’evg ’ii ‘venerdì’ dal greco popolare paraskeughv vs greco colto
paraskeuhv, s\bota ‘sabato’ dal greco popolare savmbaton vs greco colto
savbbaton) sia lessemi di origine slava occidentale, latina e germanica,
introdotti in Moravia e in Pannonia dai missionari tedeschi: apostolik)
‘apostolicus’ (appellativo del papa), kom)kati ‘comunicare, dare la
comunione’, m|{a ‘messa’, papej| ‘papa’, post) ‘digiuno’, r:s¢ota ‘verità’.
Accanto a questi cosiddetti ‘moravismi’ lessicali la nuova lingua può
accogliere ‘moravismi’ fonetici, quali per esempio gli esiti [c] < *tj, *kt’; [z] <
*dj, attestati nei Fogli di Kiev (v. ultra).
Dopo la morte di Metodio i discepoli dei fratelli conservano la stessa
apertura e disponibilità al cambiamento linguistico:
the principles which Constantine had enunciated to justify the creation of
Church Slavonic could be taken as warranting, or even as mandating, the
existence of such local varieties of the language50.
La disponibilità a innovare tocca persino la più simbolica delle creature di
Costantino, l’alfabeto glagolitico: nell’uso della corte, negli scriptoria di
Preslav, gli si affianca un alfabeto più semplice, un greco modificato con
l’aggiunta dei grafemi necessari a rendere suoni propri alla fonetica slava. Nel
nuovo alfabeto, chiamato cirillico in onore di Costantino-Cirillo, nuovi
grafemi esprimono l’esistenza delle vocali iodizzate e una distinzione degli
esiti di *e- e di *’a- ignoti al glagolitico.
A questa capacità di evolvere funge da contrappeso il tradizionalismo delle
lingue scritte: è solo dalla fine dell’XI secolo che variazioni sensibili
50 R. Mathiesen, “The Church Slavonic Language Question”, cit., pp. 55-56.
Introduzione
33
diversificano la lingua dei codici esemplati in zone diverse della Slavia.
Assorbiti in sé elementi delle parlate bulgare, macedoni, serbe, slave orientali,
il paleoslavo (ormai “medioslavo”) può funzionare per altri cinquecento anni
come lingua letteraria di tutta la Slavia orthodoxa: e soltanto con l’affermarsi
delle moderne lingue nazionali perderà terreno, riducendosi, a partire
dall’Ottocento, alla funzione di lingua sacra. Ciò si riflette sul nome con cui
viene designato dalla neonata filologia russa (e, a seguire, da tutta la tradizione
slavistica): slavo ecclesiastico51. Nato con la missione cirillo-metodiana
(paleoslavo o slavo ecclesiastico antico), utilizzato sino alla nascita delle
lingue moderne quale lingua “colta” (parallela a altri registri – scriptae – di
minor prestigio culturale e più aderenti alle realtà dialettali locali), limitato
oggi all’ambito della Chiesa, lo slavo ecclesiastico è dunque tra le lingue slave
quella che vanta la tradizione più lunga e più ricca:
it is thus simultaneously the oldest Slavic standard language and the eldest of
the contemporary Slavic standard languages52.
5. Cirillico e glagolitico
Se anche non rivelato da Dio in una notte di preghiera, il glagolitico è
indubbiamente frutto del lavoro coerente di una mente. Altamente simbolico,
si apre con la croce e utilizza quale elemento grafico caratterizzante il cerchio,
segno dell’eternità e della perfezione divina. Un valore fonetico sembra
assumere il triangolo che ricorre nel disegno delle vocali anteriori.
Le sue fonti sono state ricercate nel minuscolo greco (Isaak Taylor, Jagić),
51 Non manca oggi chi contesta questa denominazione, che non dà conto del reale
funzionamento dello slavo quale lingua letteraria di una parte rilevante dell’Europa medievale.
Già N. I. Tolstoj scriveva: “Accogliamo in luogo del termine largamente diffuso ‘slavo
ecclesiastico’ il termine ‘slavo antico’ [drevneslavjanskij. N.M.], giacchè lo slavo ecclesiastico
era utilizzato non solo nella sfera ecclesiastica, ma in un ambito ben più vasto, e portava in
passato la semplice denominazione di ‘slavo’ [slovenskij. N.M.]”: N. I. Tolstoj, Istorija i
struktura slavjanskich literaturnych jazykov, Moskva 1988, p. 48, n. 1. Lo stesso Tolstoj è però
costretto a specificare di volta in volta e a ogni menzione se la lingua ‘drevneslavjanskij’ oggetto
del discorso sia il paleoslavo (staroslavjanskij) o lo slavo ecclesiastico (cerkovnoslavjanskij).
52 R. Mathiesen, “The Church Slavonic Language Question”, cit., p. 45.
34
Il paleoslavo
in alfabeti crittografici e tra i simboli astronomici, magici e alchemici greci
(Granstrem), nell’antico ebraico (in particolare nel samaritano), nel copto
(Seliščev), nell’albanese, nel georgiano, nell’armeno, nel chazaro, nel latino.
L’ordine delle lettere è ricostruito: al risultato oggi canonico si è giunti
attraverso la comparazione di pochi abbecedari giunti sino a noi, di preghiere
alfabetiche, del trattato O pismenech del monaco Chrabr53:
glagolitico valore cirillico
b
1
2
w
3
g
4
d
5
6
a
e
Z
z
X
1P
j
Q
k
l
m
n
o
p
r
s
7
8
9
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
200
nome
ipotesi per le fonti dei grafemi glagolitici
a
b
az∞
buky
g
glagoli
la lettera ebraica aleph o la croce
forse ispirata al grafema samaritano per /m/
forse ispirata alla <v> latina o per inversione di d:
dw = Davide
forse dal gamma corsivo greco
j
™ ™
dobro
estß
forse dal delta greco
forse dal grafema samaritano per /he/
živěte
≈ělo
forse dal copto giangia
fonte sconosciuta
zemlja
i
forse dal greco theta
forse dal greco iota con dieresi
iže
g’erv
forse dall’ebraico ajin
forse dal samaritano yod
kako
ljudie
dall’ebraico koph
forse dal lambda corsivo greco
myslite
našß
forse dal mü corsivo greco
fonte sconosciuta
on∞
pokoi
fonte sconosciuta
forse da un pi greco (arcaico)
rßci
slovo
forse da un rho corsivo greco
forse come inversione di <i> (cfr. js = Gesù), o
dal grafema antico ebraico samech
v
d
e
æ z
"
i
(á)
k
l
m
¢
o
p
r
s
vedy
53 Tra gli innumerevoli lavori dedicati agli alfabeti slavi ricordo un volumetto di V. A.
Istrin, 1100 let slavjanskoj azbuki, Moskva 1988; non tutte le tesi dello studioso sono
condivisibili, ma la rassegna delle principali ipotesi relative all’origine e alla storia del
glagolitico e del cirillico, ancorché ferma al 1963, anno della prima pubblicazione del lavoro,
non ha perso la sua utilità. Di facile consultazione le pagine dedicate agli alfabeti da A. Schenker
nel suo The Dawn of Slavic. An Introduction to Slavic Philology, New Haven and London, 1995,
pp. 165-180.
Introduzione
glagolitico valore cirillico
nome
t
300
t
tvrßdo
u U
v
(400)
(500)
O
(600)
(700)
R
(800)
c
(900)
(1000)
x
E
ou, £
f
h
w
56
D
A
c
~
ci
črßvß
¨
|
ša
er∞
forse dall’ebraico shin
probabile modificazione di o
ery
erß
digramma formato da B più j, P
probabile variante di B
jatß
forse dall’alpha epigrafico greco
fonte sconosciuta
nasale anteriore; funziona come marca di nasalità
nelle altre vocali nasali
digramma formato da e + nasalità
:
<
(800)
7
I
M
q
J
(
uk∞, ižica uk∞ è un digramma composto da o più U
frßt∞
probabilmente dal phi greco
Á
\
+
chěr∞
ot∞
šta
{
)
B
ipotesi per le fonti dei grafemi glagolitici
forse dal tau corsivo greco
lontana analogia con il grafema h latino
digramma ottenuto col raddoppiamento di o
digramma ottenuto dalla sovrapposizione di S e di
t (ma forse di S e di E)
forse dall’ebraico tsade
forse dal copto scei
}
S
35
`
digramma formato da o + nasalità
digramma formato forse da una variante di 7 +
nasalità
Ben diversa la natura del cirillico: le lettere a , v , g , d , e , æ , z , ™ , i , " , k , l ,
m , ¢ , o , p , r , s , t , ou , f , h , w , ¶ , $ , # , £ sono prese direttamente dal greco.
Dipende dal greco la presenza di due grafemi per [i] (in epoca bizantina la
lettera h ‘eta’, [e] nel greco classico, si pronunciava [i] come la i ‘iota’) e di
due grafemi per [o] (in greco o ‘omicron’ e w ‘omega’; letteralmente ‘o
piccolo’ e ‘o grande’, valevano rispettivamente ŏ e o- ). Uguale a quella del
greco è la resa grafica di [u] tramite il digramma <ou >. Il valore numerico
delle lettere segue quello delle lettere greche, utilizzando a tal fine anche
grafemi del tutto inutili per la fonetica slava, quali x e y54. Solo i grafemi che
corrispondono a suoni tipici dello slavo non si basano sul greco, ma
riprendono, adattandoli, i corrispondenti grafemi del glagolitico.
54 In greco hanno valore esclusivamente numerico: ϛ ‘stigma’ (6), ϙ ‘coppa’ (90) e ϡ
‘sampi’ (900).
36
Il paleoslavo
greco
a
nome
alfa
valore
1
trascrizione
a
b
g
d
e
beta
gamma
delta
epsilon
2
3
4
5
b
g
d
e
ϛ
stigma
zeta
eta
theta
iota
kappa
lambda
mü
nü
ksi
omicron
pi
coppa
ro
sigma
tau
üpsilon
phi
chi
psi
omega
sampi
6
7
8
9
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
200
300
400
500
600
700
800
900
≈
z
e
th
i
k
l
m
n
ks
o
p
z
h
q
i
k
l
m
n
x
o
p
ϙ
r
s
t
u
f
c
y
w
ϡ
r
s
t
ü
f
ch
ps
o
cirillico
a
b
v
g
d
e
j
™ ™
æ z
i
#
"
k
l
m
¢
¶
o
p
~
r
s
t
ou, £
f
h
$
w
c
}
{
)
¨
|
:
<
q
&
( Á
\
`
+
valore
1
–
2
3
4
5
–
6
7
8
9
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
200
300
400
500
600
700
800
900
–
–
–
–
–
–
–
–
–
900
–
–
–
Introduzione
37
Ogni grafema glagolitico può essere translitterato in cirillico: i manoscritti
glagolitici sono stati translitterati in cirillico a mano a mano che quest’ultimo
soppiantava il glagolitico, e poi nuovamente dai loro editori moderni. Ma nel
loro uso autonomo i due alfabeti testimoniano realtà fonetiche che rimandano
ad aree geografiche e a periodi diversi. In particolare, differiscono nei due
alfabeti l’inventario delle vocali nasali, l’inventario delle vocali iodizzate, la
presenza di un grafema per la palatovelare sonora [g’], la presenza dei grafemi
di origine greca ¶ , $ nella resa dei nomi propri (in glagolitico ‘k∞s’ e ‘p∞s’).
Per qualche secolo (X e XI) i due alfabeti coesistono, il glagolitico più
diffuso in Macedonia, dove operano i discepoli di Clemente e Naum, il cirillico
più diffuso nella zona della nuova capitale Preslav (Bulgaria orientale). Poi il
cirillico prevale definitivamente (con parziale esclusione dell’area croata),
6. Il canone paleoslavo
Nella Bulgaria di Boris e di suo figlio Simeone (893-927) la cultura
cirillometodiana si avvia a una rapida evoluzione: le traduzioni vengono riviste
e completate, l’omiletica riceve nuovo impulso, l’eredità di Cirillo e Metodio,
fecondata dalla situazione politica e culturale favorevole, dà vita a un modello
culturale e a una lingua che determina lo sviluppo di gran parte delle
letterature slave sino alle soglie dell’epoca moderna.
Purtroppo, di tanta ricchezza nessuna testimonianza diretta è pervenuta sino
a noi:
Dell’epoca che dagli anni sessanta del IX secolo arriva alla fine degli anni
venti del secolo successivo – e che abbraccia dunque la missione moravopannonica, la prima diffusione della letteratura slava ecclesiastica antica in
Bulgaria, il ‘periodo aureo’ di Simeon e la riforma dell’alfabeto, con il
passaggio dal glagolitico al cirillico –, di quell’epoca, che sul piano letterario
fu estremamente fertile, non si è conservato nell’originale nemmeno un
frustolo manoscritto55.
La grammatica paleoslava, intesa quale sistema di norme sotteso alla lingua
delle prime traduzioni, è pertanto ricostruita: sono stati gli studiosi moderni a
55 A. Turilov, “La letteratura slava ecclesiastica delle origini. Storia e geografia della
tradizione manoscritta”, in Incontri linguistici 28 (2005), pp. 11-29; qui p. 11.
38
Il paleoslavo
desumere il codice (la langue) dalla comparazione di alcuni dei testimoni più
antichi tra quelli a noi giunti, selezionando quelli che meglio corrispondevano
alle caratteristiche fonetiche ricostruite per i dialetti bulgaro-macedoni e che
nel contempo meno riflettevano mutamenti fonetici già riconoscibili quali
mediobulgari. Il concetto di un corpus di testi così composto, il cosiddetto
canone paleoslavo, risale ad August Leskien:
Fu lo studioso tedesco, infatti, a isolare fra tutti i più antichi codici slavi
ecclesiastici quei pochi che in ragione sia della loro veneranda età—in quanto
esemplati entro la fine dell’XI secolo —, sia di determinati tratti linguistici —
di là dalla resa dei nessi consonantici protoslavi *dj e *tj come žd e št,
anzitutto la conservazione degli jer e delle vocali nasali — dovevano dar vita
al cosiddetto canone. Quella delimitazione si rivelò utilissima per risolvere
definitivamente la vexata quaestio dell’origine dell’antico slavo ecclesiastico
che tanto aveva appassionato i filologi e linguisti slavi della prima metà
dell’Ottocento, e quindi per creare i presupposti di una descrizione
grammaticale esauriente del suo stadio più antico, di cui lo stesso Leskien
doveva fornire un modello esemplare56.
L’inventario dei codici rispondenti ai criteri suesposti e inclusi nel canone
comprende tradizionalmente dodici manoscritti (Zografense, Mariano,
Assemani, Suprasliense, Libro di Savva, Salterio Sinaitico, Eucologio
Sinaitico, Glagolita Cloziano, Fogli di Kiev, Fogli di Rila, Fogli di Ocrida,
Fogli di Hilandar), tutti di origine bulgaro-macedone e tutti risalenti ai secoli
X e XI a eccezione dei Fogli di Kiev, che pur presentando evidenti moravismi
(quali gli esiti /c/ < *tj, *kt’; /z/ < *dj) sono accolti nel canone per la loro
antichità, e per la presumibile contiguità con la fase morava della missione
cirillo-metodiana. Accanto a questi si collocano codici di più recente
acquisizione, o la cui appartenenza al canone è discussa, quali l’Apostolo di
Enina, il Messale Sinaitico, il Palinsesto di Bojana, il Palinsesto Zografense, il
Palinsesto Vaticano, i Fogli di Undol’skij, i Fogli Zografensi57:
56 G. Ziffer, “Per (e contro) il canone paleoslavo”, in Slavia orthodoxa & Slavia romana.
Essays presented to Riccardo Picchio by his Students on the Occasion of his Eightieth Birthday,
September 7, 2003, ed. by Harvey Goldblatt and G. Dell’Agata, K. Stančev, G. Ziffer, New
Haven (in corso di stampa nella collana “Yale Slavic and East European Publications”), p. 320.
57 Un’accurata disamina dei criteri di costituzione del canone si può vedere in V. Živov,
“Pervyj literaturnyj jazyk slavjan”, in Ricerche slavistiche XLV-XLVI (1998-1999), pp. 99-136.
Introduzione
CODICE
Fogli di Kiev, X sec., glagolitico.
Contiene frammenti (7 ff) di liturgia di
rito romano
39
COLLOCAZIONE E EDIZIONI
Ritrovato a Gerusalemme, si conserva nella
Biblioteca scientifica centrale di Kiev. Ed.: V. Jagić,
Glagolitica. Würdigung neuentdeckter Fragmente,
Wien 1890 (Denkschriften der K. Akademie der
Wissenschaften in Wien, Hist. - Phil. Kl., XXXVIII);
C. Mohlberg, Il missale glagolitico di Kiovo (sec.
IX), Roma 1928 (con paralleli latini); V. Nimčuk,
Kiïvsßki glagolični listki, Kiïv, 1983; J. Schaeken,
Die Kiever Blatter, Amsterdam 1987
Palinsesto (Vangelo) Vaticano, X
Scoperto nel 1982 tra i codici greci della Biblioteca
sec., cirillico. 99 ff. Evangelario
Vaticana, il palinsesto è stato decifrato e edito da
Tr. Kr∞stanov, A.-M. Totomanova e I. Dobrev,
Vatikansko Evangelie (Starob∞lgarski kirilski
aprakos ot X v. v palimpsesten kodeks Vat. Gr.
2502), Sofija 1996
Codice Mariano, fine X - inizio XI,
Rinvenuto nel monastero della Vergine sul Monte
glagolitico. Tetravangelo (inizio: Mt Athos, si conserva nella Biblioteca Statale Russa
5:23, fine Gv 21:17), 173 ff
(RGB) a Mosca. Ed.: V. Jagić, Quattuor
evangeliorum Codex Marianus glagoliticus, SPb.
1883; 2ª ed. Graz 1960
Codice Zografense, fine X - inizio
Rinvenuto nel monastero Zogràphos sul Monte
XI, glagolitico. Tetravangelo (inizio: Athos, si conserva nella Biblioteca Nazionale
Mt 3:11) 271 ff + 33 ff di
(RNB) di Pietroburgo. Ed.: V. Jagić, Quattuor
composizione più tarda (v. Palinsesto evangeliorum Codex glagoliticus olim zographensis
zografense)
nunc Petropolitanus, Berlin 1879; 2ª ed. Graz 1954
Codice Assemani, XI sec.,
Rinvenuto a Gerusalemme, si conserva nella
glagolitico. Evangelario, 158 ff
Biblioteca Vaticana di Roma. Ed.: J. Vajs, J. Kurz,
Evangeliorum Assemani, T. I, Praha 1929; T. II,
Praga 1955; V. Ivanova-Movrodinova, A. Džurova,
Assemanievo Evangelie, Sofija 1981 (con edizione
in facsimile)
Salterio sinaitico, XI sec.,
Rinvenuto nel monastero di S. Caterina sul Monte
glagolitico. Salterio (salmi 1-137).
Sinai, dove si conserva. Ed.: M. Altbauer,
177 ff. Nel 1975 furono ritrovati altri Psalterium sinaiticum. An 11th Century Glagolitic
32 ff contenenti i salmi 138-151, inni Manuscript from St. Catherine’s Monastery, Mt.
e preghiere del mattutino e del vespro Sinai, Skopje 1971 (ed. fototipica). I trentadue fogli
rinvenuti nel 1975 nello stesso monastero sono
riprodotti in I. C. Tarnanidis, The slavonic
manuscripts discovered in 1975 at the St.
Catherine’s Monastery on Mount Sinai,
Thessaloniki 1988
40
CODICE
Eucologio sinaitico, XI sec.,
glagolitico. Traduzione dal greco e
dal medio-altotedesco di un Rituale e
di Precetti dei Padri (trad. dal latino).
106 ff, di cui 3 ff contengono un
frammento della Liturgia di
Crisostomo. Nel 1975 furono
ritrovati altri 28 ff contenenti le
preghiere del ciclo giornaliero (le ore,
il vespro, il mattutino) e alcuni altri
testi liturgici
Messale sinaitico, XI sec.,
glagolitico. 80 ff. Sacramentario,
contiene testi liturgici tratti dal
messale romano relativi alle
principali festività
Glagolita cloziano, XI sec.,
glagolitico. 14 ff. Raccolta di omelie
per la settimana santa, di cui una
attribuita a Metodio
Codice suprasliense, metà XI sec.,
cirillico. 285 ff. Sinassario per il
mese di marzo e omelie (24 vite e 24
omelie)
Libro di Savva, XI sec., cirillico.
Evangelario, 129 ff
Il paleoslavo
COLLOCAZIONE E EDIZIONI
Rinvenuto nel monastero di S. Caterina sul Sinai,
dove si conserva. Ed.: R. Nahtigal, Euchologium
Sinaiticum, V. I-II, Ljubljana 1941-1942; J. Frček,
Euchologium Sinaiticum. Texte slave avec sources
grecques et traduction française (Patrologia
Orientalis, XXIX, 5, XXV, 3), Paris 1933, 1939. I
fogli ritrovati nel 1975 nello stesso monastero sono
riprodotti in I. C. Tarnanidis, The slavonic
manuscripts discovered in 1975 at the St.
Catherine’s Monastery on Mount Sinai,
Thessaloniki 1988. Il frammento della Liturgia di
Crisostomo (Sinajskij služebnik) si conserva oggi a
Pietroburgo, due fogli nella Biblioteca Nazionale
(RNB, Glag. 2), un foglio nella Biblioteca
dell’Accademia delle Scienze (BAN 24.4.8).
Rinvenuto nel 1975 nel Monastero di S. Caterina in
cattive condizioni di conservazione, questo codice è
solo parzialmente descritto e riprodotto in I. C.
Tarnanidis, The slavonic manuscripts discovered in
1975 at the St. Catherine’s Monastery on Mount
Sinai, Thessaloniki 1988.
Si conserva in parte nel Museo civico di Trento, in
parte (2 ff) nel museo “Ferdinandeum” a Innsbruck.
Ed.: V. Vondrák, Glagolita Clozův, Praha 1893; A.
Dostál, Clozianus. Staroslověnský, hlaholský
sborník tridentský a innsbrucký, Praha 1959
Rinvenuto nel monastero di Supraśl (Polonia) e
quindi smembrato. I primi 118 ff sono conservati
nella Biblioteca dell’università di Lubiana, i 16 ff
seguenti nella Biblioteca Nazionale (RNB) di
Pietroburgo, l’ultima parte nella Biblioteca
Nazionale di Varsavia. Ed.: S. Sever’janov,
Supraslßskaja rukopisß, SPb., 1904 (Pamjatniki
staroslavjanskogo jazyka II, 1); J. Zaimov, M.
Capaldo, Supras∞lski ili Petkov sbornik, T. I-II.
Sofija 1982-1983.
Conservato a Mosca nell’Archivio Statale Russo
degli Atti antichi (RGADA). Ed.: V. N. Ščepkin,
Savvina kniga, SPb. 1903 (Pamjatniki
staroslavjanskogo jazyka I, 2); 2ª ed. Graz 1959;
Savvina Kniga, “Indrik”, Moskva 1999
Introduzione
CODICE
Fogli di Ocrida, XI sec., glagolitico.
Contiene un frammento (2 ff) di
Evangelario
Fogli di Rila, XI sec., glagolitico.
Contiene frammenti (8 ff) di un
perduto libro liturgico e della
Parenesis di Efrem Siro
Frammenti di Hilandar, XI sec.,
cirillico. Contiene un frammento (2
ff) delle omelie di S. Cirillo di
Alessandria
Fogli zografensi, XI sec., cirillico.
Contiene un frammento (2 ff) delle
Regole monastiche di Basilio Magno
Apostolo di Enina, XI sec., cirillico.
Contiene un frammento (39 ff)
dell’Apostolo
Fogli di Undol’skij, XI sec., cirillico.
Contiene un frammento (2 ff) di
Evangelario
Palinsesto zografense, fine XI sec.,
glagolitico. Contiene un frammento
(16 ff) di Evangelario
41
COLLOCAZIONE E EDIZIONI
Rinvenuti a Ocrida, si conservano nella Biblioteca
(Gor’kij) dell’università di Odessa. Ed.: G. Il’inskij,
Ochridskie glagoličeskie listki. Otryvok drevnecerkovnoslavjanskogo evangelija XI v., Pg. 1915
(Pamjatniki staroslavjanskogo jazyka III, 2)
Ritrovati nel monastero di Rila, si conservano in
parte a Rila, in parte nella Biblioteca
dell’Accademia delle scienze di Pietroburgo. Ed.:
G. Il’inskij, Makedonskij glagoličeskij listok, SPb.
1909 (Pamjatniki staroslavjanskogo jazyka I, 6); I.
Gošev, Rilski glagoličeski listove, Sofija 1956
Rinvenuti nel monastero di Hilandar sul monte
Athos, si conservano nella Biblioteca Statale di
Odessa. Ed.: S. Kul’bakin, Chilandarskie listki,
SPb. 1900 (Pamjatniki staroslavjanskogo jazyka I,
1); A. Minčeva, Starob∞lgarski kirilski otk∞sleci,
Sofija 1978
Rinvenuti nel monastero Zogràphos del Monte
Athos, dove si conservano. Ed.: A. Minčeva,
Starob∞lgarski kirilski otk∞sleci, Sofija 1978
Rinvenuto nel villaggio di Enina (Kazanl∞k), si
conserva nella Narodna Biblioteka di Sofija. Ed.: K.
Mirčev, Ch. Kodov, Eninski Apostol.
Starob∞lgarski pametnik ot XI v., Sofija 1965
Appartenuti a V. M. Undols’skij, i due ff si trovano
ora a Mosca, nella Biblioteca Statale Russa (RGB).
Ed.: E. F. Karskij, Listki Undol’skago. Otryvok
kirillovskogo evangelija XI v., SPb. 1904
(Pamjatniki staroslavjanskogo jazyka I, 3); A.
Minčeva, Starob∞lgarski kirilski otk∞sleci, Sofija
1978
Composto alla fine del XII sec. e inserito a
integrare una parte mancante del codice
Zografense, il testo glagolitico sovrascritto è noto
come Zografense B e non fa parte del canone. Il
testo glagolitico sottostante è stato decifrato e
pubblicato da I. Dobrev. Ed.: I. Dobrev,
“Palimpsestovite časti na Zografskoto evangelie”,
in: Konstantin-Kiril Filosof. Dokladi ot
simpoziuma, posveten na 1100-godišnata ot
sm∞rtta mu, Sofija 1971
42
CODICE
Palinsesto di Bojana, fine XI sec.,
glagolitico. Contiene un frammento
(26 ff) di Evangelario
Il paleoslavo
COLLOCAZIONE E EDIZIONI
Rinvenuto a Bojana nel 1845, il codice cirillico
(Bojanskoe evangelie-aprakos, XII-XIII secc.) si
conserva a Mosca nella Biblioteca Statale Russa
(RGB). Il palinsesto è stato decifrato da I. Dobrev.
Ed.: Glagoličeskijat tekst na Bojanskija palimpsest,
Sofija 1972
Come si vede, la rigidità della cernita ha portato a escludere tutti i codici di
provenienza slava orientale, tutti i codici di provenienza slava occidentale (per
esempio i Fogli di Praga, frammento glagolitico di redazione ceca, i famosi
Frammenti di Frisinga, datati fine X-inizio XI sec., i Frammenti di Vienna,
codice croato composto a cavallo tra XI e XII sec.), tutti i codici che mostrino
innovazioni mediobulgare (per esempio il Vangelo di Dobromir del XII sec., il
Foglio macedone cirillico).
Eppure, nessuno dei testi canonici interpreta in toto la norma ricostruita: i
manoscritti del canone si presentano tutti come interpretazioni individuali,
come atti di parola riconducibili certamente alla stessa langue, ma ben lontani
dalla uniforme correttezza che oggi siamo soliti aspettarci da un testo ispirato a
norme grammaticali (in particolare fonetiche e ortografiche) chiaramente
definite.
Prendiamo per esempio il Codice Zografense, datato fine X-inizio XI
secolo, di base dialettale macedone (bulgaro occidentale). Il codice si distingue
per il conservatorismo dell’ortografia, che rispecchia le norme ricostruite per
l’epoca cirillo-metodiana, e tuttavia presenta numerose innovazioni: sostituzioni di \ con ( , denasalizzazione \ > ou , sostituzioni (rarissime) di ( con e ;
vocalizzazioni di jer in posizione forte (tem|¢ic\ , cr|kov| ) e caduta degli jer
in posizione debole in alcuni nessi (vs: , sl:pca , ~to , m¢ogo , kto ); passaggio
) > | davanti a sillaba contenente vocale anteriore (v|æ(ti ) e passaggio | > )
davanti a sillaba contenente vocale posteriore (m)æda ) per la cosiddetta regola
di Jagić; resa non etimologica delle sonoranti: *r÷, *r÷’ indiscriminatamente r)
(più raramente *r÷’ > r| , a volte r ), *l÷, *l÷’ indiscriminatamente l) (più
raramente l| ); frequente assenza della liquida epentetica davanti a | , i (æemi ,
prist\p| , korab| ); frequente sostituzione di ™ [dz] con æ [z].
Introduzione
43
Innovazioni analoghe si riscontrano in tutti i codici del canone58, e mettono
in discussione i principi stessi della cernita: come stabilire il grado di
deviazione dalla norma ammissibile all’interno del canone? Come utilizzare i
codici esemplati dopo il fatidico spartiacque del 1100 che, pur riflettendo fasi
più tarde di evoluzione linguistica, tramandano materiale linguistico risalente
ai primi due secoli e mezzo di vita del paleoslavo? Come considerare i codici
che, ancorché antichi, riflettono una base dialettale diversa da quella bulgaromacedone59? Prendiamo quale esempio i codici di provenienza slava orientale,
condannati dalla propria provenienza alla extra-canonicità: constatato il fatto
che il Vangelo di Ostromir, il più antico manoscritto slavo datato (1056-1057),
presenta un tasso di deviazione dalla norma ricostruita addirittura inferiore a
quello di codici unanimente considerati canonici, esso viene incluso nel canone
da molti filologi russi. Questa inclusione porta con sé quella di altri codici
slavo-orientali, quali per esempio il Salterio di Sluck (5 ff) e i Fogli di
Novgorod (due fogli di un Evangelario), che ancor meno del Vangelo di
Ostromir si discostano dall’ipotetico originale slavo meridionale.
Assolto alla sua fondamentale funzione di permettere una descrizione della
grammatica paleoslava come sistema omogeneo, rispetto al quale casi
particolari di disomogeneità possono figurare quali deviazione dalla norma, il
concetto di canone quale espressione di una realtà dialettale concreta è presto
sottoposto a critiche.
Negli anni ’20, anticipando una più moderna concezione funzionale della
lingua letteraria, N. Durnovo propone una visione del canone paleoslavo
aperto ab origine alla presenza di due redazioni (dialekty), una ceco-morava e
una bulgara, di cui la seconda rappresentata da codici bulgari, macedoni, serbi
e russi (varianty): il paleoslavo sarebbe nato come lingua programmaticamente
58 Se ne può vedere una descrizione nelle pagine introduttive dello Staroslavjanskij slovar’
(po rukopisjam X-XI vekov), pod redakciej R. M. Cejtlin, R. Večerki i E. Blagovoj, Moskva
1994, pp. 29-40.
59 L’utilità del concetto stesso di canone è discussa da Giorgio Ziffer nel saggio “Per (e
contro) il canone paleoslavo”, cit., pp. 319-328.
44
Il paleoslavo
aperta alle realtà locali, nessuna variante è “più paleoslava” delle altre60, né
possiamo oggi stabilire quale fosse quella propria di Cirillo e Metodio61.
Rientrano così nel canone due testimoni della redazione ceca: Fogli di Kiev e
Frammenti di Praga; quindici testimoni slavomeridionali: Zografense,
Mariano, Assemani, Glagolita Cloziano, Salterio Sinaitico, Eucologio
Sinaitico, Libro di Savva, Suprasliense, Fogli di Rila, Foglio glagolitico di
Grigorovič, Fogli di Ocrida, Fogli di Hilandar, Fogli di Undol’skij, Fogli
Zografensi e Salterio di Pogodin; nove di provenienza slava orientale: i Fogli
di Novgorod (Kuprjanovskie listki), il Vangelo di Ostromir, i Fogli di Turov
(Turovskie evangel’skie listki), le tredici Omelie di Gregorio Nazianzeno,
l’Izbornik del 1073, le Pandette di Antioco, il Salterio del Monastero dei
Miracoli (Čudovskaja psal’tyr’) parte dei Sermoni di Cirillo di Gerusalemme e
parte del Vangelo di Archangel’sk62. Pur caratterizzati da norme specifiche63,
questi codici russi non rappresentano che varianti della redazione bulgara:
norme ortografiche specifiche dei codici russi, e diverse da quelle slave
meridionali, si vanno elaborando nell’XI secolo […] Tuttavia, queste
caratteristiche dei testi russi più antichi non hanno affatto la stessa importanza
di quelle che individuano i testi paleoslavi di redazione ceco-morava, e non
disegnano con la dovuta nettezza un dialetto letterario russo del paleoslavo64.
60 “L’uso documentato dai codici qui considerati [Zografense, Ostromir e Fogli di Kiev] è
del tutto conseguente, e riflette evidentemente la norma di varianti locali del paleoslavo; noi non
abbiamo ragioni sufficienti per ritenere che sola una di queste varianti sia paleoslava, mentre le
altre rappresenterebbero deviazioni dal paleoslavo corretto”: N. N. Durnovo, “K voprosu o
staroslavjanskom jazyke”, in Izbrannye raboty po istorii russkogo jazyka, Moskva 2000, p. 695.
61 “Non abbiamo motivi di credere che le regole iniziali della lingua cirillometodiana siano
identiche a quelle dei più antichi codici slavi meridionali, non più di quanti ne avremmo per
ritenere che queste regole sovraintendano all’ortografia del più antico codice ceco, i Fogli di
Kiev”: N. N. Durnovo, “K voprosu o staroslavjanskom jazyke”, cit., p. 698.
62 N. N. Durnovo, “Mysli o proischoždenii staroslavjanskogo jazyka i slavjanskich
alfavitov”, in Izbrannye raboty po istorii russkogo jazyka, cit. pp. 605-606.
63 Durnovo ne individua cinque: la resa delle sonoranti (<)r>, <)r)> eccetera), l’esito /ž/ <
*dj, la terminazione S sg m -)m|, -|m|, la 3ª sg e pl -t|, il suffisso di appartenenza -q¢- invece
di -:¢- (N. N. Durnovo, “Mysli o proischoždenii staroslavjanskogo jazyka i slavjanskich
alfavitov”, cit., p. 589).
64 Ibidem.
Introduzione
45
Alla classificazione di Durnovo possono essere accostate le periodizzazioni
proposte da F. V. Mareš e da R. Mathiesen: entrambe distinguono tra una
prima fase strettamente cirillometodiana e una successiva; entrambe
ammettono nel paleoslavo la presenza di diverse varianti; entrambe si basano
su criteri funzionali e non cronologici. Mareš distingue una lingua protoanticoslava (prastaroslověnština), quella dei testi cirillo-metodiani tradotti
prima della partenza per la Moravia e non pervenutici, e il vero e proprio
paleoslavo (staroslověnština), distinto nelle varianti morava, bulgaromacedone, bulgara orientale, eventualmente russa e forse slovena. Al
paleoslavo subentra, in epoche che sono diverse nelle diverse zone della
Slavia, lo slavo ecclesiastico (církevna slovanština), articolato in sei redazioni
(ceca, mediobulgara, russa, serba, croato-glagolitica e slavo-rumena), destinate
a ridursi nel periodo neo-slavo ecclesiastico a due tipi: quello russo (con le
varianti pre-nikoniana, rutena, vecchio-credente, sinodale) e quello croato65.
Mathiesen individua a sua volta nello slavo ecclesiastico dei secoli IX-X la
presenza di due tipi linguistici differenti, un più antico slavo ecclesiastico
(Earliest Church Slavonic), legato all’attività di Cirillo e Metodio, e lo slavo
ecclesiastico antico (Early Church Slavonic) del periodo in cui la lingua
cirillometodiana si diffonde per la Slavia, caratterizzati entrambi dalla
‘ideologia cirillometodiana’ della molteplicità delle lingue, in base alla quale
there could not be no objection in principle to the existence of local varieties
of the language, especially if the variation was limited to matters of
pronunciation (and spelling), as was in fact largely the case in Early Church
Slavonic66.
Questo atteggiamento avrebbe favorito, verso la fine del XII secolo, la
nascita di ben dodici varietà locali: pannonica, boema, soraba, croata, dioclea,
65 F. V. Mareš, “Vajsova česká redakce nové církevní slovanštiny”, in Studia
paleoslovenica, Praha 1971, p. 221. Come osserva giustamente A. Naumow, liberarsi della
cronologia permette a Mareš di vedere nell’attività di Emmaus un fenomeno funzionalmente
tipico del periodo neo-slavo ecclesiastico: A. Naumow, Idea – Immagine – Testo. Studi sulla
letteratura slavo-ecclesiastica, Alessandria 2004, p. 18.
66 Ivi, p. 55.
46
Il paleoslavo
bosniaca, serba, bulgara, macedone, galiziana, kieviana, novgorodense67, che
non segnano però, secondo Mathiesen, la fine del periodo paleoslavo (ECS).
Questa si colloca intorno al XIV secolo, quando un nuovo atteggiamento
“metalinguistico” porta con sé profonde e significative revisioni dello
standard, che lo studioso collega al nome del Patriarca di Bulgaria Eutimio e a
una nuova teoria semiotica. Il “medio slavo ecclesiastico” (Middle Church
Slavonic) sarà caratterizzato dalla tendenziale riduzione delle varietà locali a
favore di uno standard, soprattutto ortografico, che sia garanzia della
correttezza formale e sostanziale dei codici68.
7. Paleoslavo e slavo ecclesiastico nella Slavia orientale
L’individuazione dei codici da riferire alla nascita della “redazione” slava
orientale dello slavo ecclesiastico (lo “slavone russo”) varia sensibilmente
all’interno delle diverse scuole slavistiche, in dipendenza dal fatto che si
considerino redazioni e varianti indice dell’avvenuta trasformazione del
paleoslavo in slavo ecclesiastico, o che al contrario si creda il paleoslavo già
differenziato in redazioni e varianti.
Chi considera primi testimoni di una nuova redazione i codici in cui le
deviazioni dalla norma sporadicamente presenti anche nei testi del canone
assumono (o tendono a assumere) carattere sistematico considera tutti i
manoscritti di produzione slava orientale rappresentanti di una nuova
redazione russa (a partire dal Vangelo di Ostromir).
Chi invece contempla la possibilità di una variante locale di norme
complessivamente meridionali (e quindi ancora “paleoslave”) sposta la nascita
di una nuova redazione alla fine del XI secolo.
L’incertezza deriva dal fatto che al momento della cristianizzazione, e
dunque dell’ingresso nella Slavia orientale di missionari e di testi provenienti
67 R. Mathiesen, “The Church Slavonic Language Question”, cit., pp. 46-47.
68 Il problema della periodizzazione si può impostare diversamente se si distingue tra il più
antico slavo ecclesiastico (Earliest Church Slavonic) e lo slavo ecclesiastico antico (Early
Church Slavonic) in quanto lingua apostolica e dialetto liturgico. Cfr. R. Picchio, “Il posto della
letteratura bulgara antica nella cultura europea del medioevo”, cit., pp. 278-279.
47
Introduzione
da zone già convertite della Slavia occidentale e meridionale, le differenze tra
la variante slava orientale dello slavo comune tardo presente nella Rus’ e la
variante slava meridionale dello slavo comune tardo testimoniata dalla lingua
paleoslava non sono numerose, e riguardano essenzialmente la fonetica69:
Fonetica
vocali nasali
*tj, *kt + vocale anteriore
*dj
*sk + vocale anteriore
*zdj, *zgj, *zg + vocale anteriore
j protetico davanti a [a]
j protetico davanti a [u]
trattamento di *e iniziale
velarizzazione di [l] > [∏]
Slavo orientale
Paleoslavo
denasalizzate: [’a], [(’)u]
[t’š’]
[ž’]
[š’t’š’]
[ž’d’ž’]
sempre presente
raro
[o]
presente
conservate: [(’)e˛], [(’)o˛]
[š’t’]
[ž’d’]
[š’t’]
[ž’d’]
sporadico
sempre presente
[e]
assente
69 Non bisogna immaginare la variante slava orientale dello slavo comune tardo come un
dialetto unitario e compatto, destinato a differenziarsi successivamente al proprio interno. Al
contrario, i dialetti dell’area slavo-orientale erano, fin dai tempi più antichi, sostanzialmente
eterogenei, e mostravano diversi gradi di transizione verso i dialetti slavi occidentali (per
esempio l’antico dialetto dei kriviči, popolazione stanziata nella zona occidentale del territorio di
Novgorod, si contrappone per una serie di tratti ai dialetti slavo-orientali meridionali).
È l’unificazione delle tribù slave dislocate sul territorio della prima formazione statale
antico-russa, la Rus’ di Kiev, a favorire processi di integrazione che determinano l’insorgere di
una comunità linguistica slavo-orientale (secoli IX-XI). Ecco le principali varianti dialettali:
pronuncia fricativa della velare sonora [g]
confusione di [i] e di [ı-]
confusione di [u] e di [w]
[e] > [o] dopo C palatale davanti a V non anteriore
[ß] > [∞] dopo C palatale davanti a V non anteriore
assenza della II palatalizzazione
confusione delle affricate [č] e [c] (cokan’e)
2ª pleofonia (*C∞rC > C∞r∞C ecc.)
confusione di sibilanti e scibilanti
GDL sg dei nomi in *a- : -:
NA duale e pl dei nomi in *a- : -:
N sg m dei nomi in *ŏ: -e (d ome)
L sg dei nomi in *ŏ: -e
assenza della desinenza 3ª sg e pl -t|
parlate meridionali
parlate meridionali
parlate meridionali (Galizia e Volinia)
tutte le parlate meno la Galizia
tutte le parlate meno la Galizia
Novgorod; Pskov
Novgorod; Pskov
Novgorod (ipotesi di Sobolevskij)
Pskov
Novgorod
Novgorod
Novgorod
Novgorod
Novgorod; Pskov; parlate meridionali
48
Il paleoslavo
*õrt, *õlt
sonoranti r÷, r÷’; l÷, l÷’
*telt; *tert
*tolt; *tort
vocali ridotte
Morfologia
G sg; NA pl f (*-ja- ns)
A pl m (*-jŏns)
S sg m (*-ŏmı̆; *-jŏmı̆)
N sg m agg. det.
G sg f agg. det.
DL sg pronome personale
desinenza dell’infinito
desinenza della 2ª sg
Part. pres. attivo m; N sg
3ª sg e pl del presente
suffisso di appartenenza
Slavo orientale
[ro], [lo]
[∞r], [ßr]; [∞l]
[olo]; [ere]
[olo]; [oro]
ben conservate
Paleoslavo
[ra], [la]
[rß], [r∞]; [lß], [l∞]
[lě]; [rě]
[la]; [ra]
cadute; vocalizzate; confuse
-: (jat’ terzo)
-: (jat’ terzo)
-)m|; -|m|
-)i (> -oi); -|i (> -ei)
-o: (-oe); -e: (-ee)
m)¢:; tob:; sob:
-t|
-{|
-a
-t|
-q¢-
-(
-(
-om|; -em|
-¨i; -ii
-¨q; -iq
m|¢:; teb:; seb:
-ti
-{i
-¨
-t)
-:¢-
In queste condizioni, la lingua dei testi sacri e liturgici viene accolta senza
alcuna difficoltà: nei primi decenni della cristianizzazione si ricopiano gli
antigrafi slavi meridionali con una certa fedeltà70, di lì a poco la lingua (scritta)
dei codici, la lingua usata oralmente in funzione liturgica e apostolica e le
diverse parlate locali entrano in correlazione come varianti stilistiche di una
stessa lingua. Naturale divenne pronunciare nella vita di tutti i giorni сторона,
ma cantare o udire dal pulpito (e considerare più corretto e elegante) страна:
no one expects a written style to be identical with speech. For a Kievan to say
сторона but write страна became as natural as for an educated Englishman to
say (informal) can’t, don’t, I’ll but write (formal) cannot, do not, I shall”71.
70 Così per esempio nel Salterio ligneo rinvenuto a Novgorod (datazione presunta 1006) la
grafia presenterebbe tratti tipicamente bulgari come l’uso del solo jer duro (∞) e le quattro nasali
(usate però in modo errato dal copista slavo orientale) e nessun russismo morfologico. Un solo
jer (ß) caratterizza anche la grafia dello Rejmsskoe Evangelie, composto nella prima metà
dell’XI e portato in Francia da Anna Jaroslavna (le cui nozze con il re di Francia Enrico I sono
datate da alcuni 19 maggio 1051, da altri 1044), quando gli slavi orientali distinguevano bene
all’epoca i due jer nella pronuncia.
71 A. P. Vlasto, A Linguistic History of Russia to the End of the Eighteenth Century, Oxford
1988, p. 345.
49
Introduzione
La pronuncia era fondamentale in una società largamente se non esclusivamente basata sull’oralità: la predicazione, la lettura liturgica, il canto dovevano
riposare su una solida norma unitaria. Come probabilmente già in Moravia, in
Bulgaria, in Macedonia e in Serbia, i nuovi cristiani della Slavia orientale sono
disposti a pronunciare parole slave diversamente da come si pronunciano nei
loro dialetti, ma non a produrre suoni estranei alla propria fonetica (del tipo
[dz] o [dž]; [r÷]; [o˛]; [št’]).
La “pronuncia dotta” si colloca così in una posizione di compromesso tra
imitazione e rinnovamento: spariscono dalla pronuncia le vocali nasali e le
sonoranti; [ž] gradualmente sostituisce [žd] come esito di *dj; [šč] subentra a
[št’] come esito di *tj.
Funzione dell’ortografia è guidare il lettore alla pronuncia corretta,
parimenti rispettosa della tradizione e della fonetica locale: così per esempio la
grafia <)r >, <)l > per la resa delle sonoranti, ispirata alla pronuncia viva, era
probabilmente dettata dal desiderio di preservare la differenza tra gli esiti di
*rŭ e *r÷ nella pronuncia dei missionari (a parità di resa grafica <r) >)72:
Slavia meridionale
Slavia orientale
grafia
pronuncia
grafia
pronuncia
<r)> (< *rŭ)
[r∞]
<r)> (< *rŭ)
[r∞]
<r)> (< *r÷)
[r÷]
<)r> (< *r÷)
[∞r]
Ciò tuttavia non significa che l’alfabeto cirillico avesse ancora il carattere
di alfabeto fonologico che gli aveva conferito Costantino: a fargli concorrenza
era intervenuto il tradizionalismo grafico. Prendiamo per esempio gli jer: i
missionari macedoni, che probabilmente giunsero primi nella Rus’, pronunciavano lo jer molle come [e] e lo jer duro come [o] in posizione forte, e non
pronunciavano alcun suono quando gli jer erano in posizione debole73.
L’ortografia richiedeva invece che in tutte le posizioni (debole e forte) si
72 N. N. Durnovo, “Slavjanskoe pravopisanie X-XII vv.”, in Izbrannye raboty po istorii
russkogo jazyka, cit., pp. 667-668.
73 N. N. Durnovo, “Slavjanskoe pravopisanie X-XII vv.”, cit., pp. 662-665; B. A. Uspenskij,
Istorija russkogo literaturnogo jazyka (XI-XVII vv.), Moskva 2002, pp. 147-148.
50
Il paleoslavo
scrivesse <∞> e <ß> secondo l’etimologia. Gli slavi orientali, che distinguevano perfettamente gli jer in tutte le posizioni (e non li pronunciavano mai
come [o], [e]) adottarono sia la pronuncia [o], [e], estesa alla posizione debole
che loro non percepivano come tale (declamazione sillabata e canto detto
“chomonija”74) sia la grafia etimologica. In questo come in altri casi era la
pronuncia natia a indicare esattamente dove scrivere <| > e dove <) >.
Con la comparsa dei primi centri scrittori ha inizio l’elaborazione di una
serie di regole, la cui acquisizione forma l’indispensabile competenza
professionale del copista, e il cui scopo è controllare la correttezza della copia
dal punto di vista della tradizione ortografica e della locale pronuncia dotta:
contrariamente a quanto si è a lungo creduto (il copista quale carta carbone sui
generis), copiare senza correggere era non solo imperdonabile cialtroneria, ma
un vero e proprio peccato.
Certo, la mancanza di un centro capace di stabilire e imporre norme
universali permetteva la proliferazione di sistemi normativi differenziati per
centri e scuole scrittorie. Il copista cercava di darsi regole certe del tipo: “dove
pronunci [č] in inizio di parola scrivi sempre <~ >”; oppure “scrivi <\ > nei
suffissi e nelle terminazioni verbali e nelle desinenze del femminile; scrivi
<ou > nelle desinenze del maschile e del duale”. Ma la regola ipotetica “dove
pronunci [ro] oppure [lo] in posizione iniziale di parola scrivi sempre <ra >,
<la >” era resa impossibile dal fatto che molte parole con [ro] oppure [lo] in
posizione iniziale richiedevano la grafia <ro >, <lo >: per esempio rosa
‘rugiada’, loviti ‘dare la caccia’, lob)æati ‘baciare’. Forme normative quali
porok) ‘vizio’, ovo ‘questo’, ov|¢) ‘montone’, ovo}| ‘verdura’, qvl(ti
‘manifestare’, qti ‘prendere’, qæyk) ‘lingua’ rendevano impossibile qualsiasi
regola pratica circa la pleofonia, l’oscillazione tra <e > e <o > in inizio di parola,
lo jod protetico davanti a <a >. In questi casi il copista rinunciava a correggere
(a normalizzare), permettendo alle forme dell’antigrafo, a eventuali errori e a
forme slavo orientali di coesistere come varianti ammissibili all’interno della
74 Sul
canto detto “chomovoe” o “naonnoe”, e sulle difficoltà specifiche che
l’identificazione dei grafemi <o> ed <e> con foni differenti (resp. [o], [∞], [e], [ß]) creava ai
copisti russi v. B. A. Uspenskij, Istorija russkogo literaturnogo jazyka, cit., pp. 145 sgg.
Introduzione
51
norma (varjativnost’)75: rabota , robota ‘lavoro’, ag¢e , qg¢e ‘agnello’, edi¢) ,
odi¢) ‘uno’, pered) , pred) ‘davanti’.
I mss slavi orientali dell’XI secolo registrati dallo Svodnyj Katalog
slavjanorusskich rukopisnych knig, chranjaščichsja v SSSR: XI-XIII vv., sono
ventitré76.
Citiamo tra i principali il Vangelo di Ostromir (1056-1057), l’Izbornik
Svjatoslava (1073), l’Izbornik (1076), il Vangelo di Archangel’sk (1092),
diverse Menee, le Pandette di Antioco, il Salterio del Monastero dei Miracoli,
le Omelie di Gregorio Nazianzeno, il Paterik sinaitico e diversi frammenti, tra
cui il già ricordato Vangelo di Reims:
CODICE
Ostromirovo evangelie (Vangelo di
Ostromir), 1056-1057. Evangelario,
294 ff
Rejmsskoe evangelie (Porzione cirillica
del Vangelo di Reims), 1ª metà del XI
sec. Contiene un frammento di
Evangelario (16 ff)
Izbornik Svjatoslava, 1073. Contiene Ob
obrazech di Giorgio Chirobosco;
Letopisec vkratce Nikifora, omelie di
Basilio Magno, Crisostomo, Gregorio
Nazianzeno, Anastasio ecc.; 266 ff
Izbornik 1076. Contiene Slovo o počitanii
knižnom; brani da Crisostomo, Nilo,
Atanasio, Anastasio ecc.; 277 ff
Archangel’skoe evangelie (Vangelo di
Archangel’sk), 1092. Evangelario,
178 ff
COLLOCAZIONE E EDIZIONI
Si conserva a Pietroburgo nella Biblioteca
Nazionale (RNB, F.p.I.5).
Ed.: Ostromirovo Evangelie 1056-1057,
Leningrad 1988 (SK n° 3)
Una parte del codice, probabilmente perduto
all’epoca della Rivoluzione francese, si
conserva nella biblioteca cittadina di Reims,
con il n° 91.
Ed.: L. P. Žukovskaja, Rejmsskoe Evangelie.
Istorija ego izučenija i tekst. Moskva 1978
GIM, Sinodal’noe sobranie n° 1043.
Ed.: Izbornik Svjatoslava 1073g., 1-2, Moskva
1983 (SK n° 4)
Si conserva a Pietroburgo nella Biblioteca
Nazionale (RNB, Ermitažnoe sobranie n° 20).
Ed.: Izbornik 1076, Moskva 1965 (SK n° 5)
Si conserva a Mosca nella Biblioteca Statale
Russa (RGB, Muzejnoe sobranie n° 1666).
Ed.: Archangel’skoe Evangelie 1092 goda,
Moskva 1997 (SK n° 6)
75 V. M. Živov, Jazyk i kul’tura v Rossii XVIII veka, Moskva 1996, p. 28.
76 Svodnyj Katalog slavjanorusskich rukopisnych knig, chranjaščichsja v SSSR. XI-XIII vv.,
Moskva 1984 (di seguito SK).
52
Il paleoslavo
CODICE
Služebnye minei (Menee di Novgorod),
1095, 1096 e 1097. Sinassari di uso
liturgico per i mesi di settembre (176 ff),
ottobre (127 ff9, novembre (174 ff)
COLLOCAZIONE E EDIZIONI
Si conservano allo RGADA, f. 381, nn° 84, 89
e 91. Ed.: V. Jagić, Služebnye minei za
sentjabr’, oktjabr’ i nojabr’ v
cerkovnoslavjanskom perevode po russkim
rukopisjam 1095-1097g., SPb. 1886 (SK nn° 7,
8, 9)
Čudovskaja psaltyr’ (Salterio dei
GIM, Čudovskoe sobranie n° 7.
Miracoli), XI sec. Traduzione del Salterio Ed.: V. A. Pogorelov, Čudovskaja psaltyr’ XI v.
commentato di Teodoreto di Ciro (V
Otryvok tolkovanija Feodorita Kirskogo na
sec.), 176 ff
psaltyr’ v drevnebolgarskom perevode, SPb.
1910 (Pamjatniki staroslavjanskogo jazyka, III,
1) (SK n° 31)
Sinajskij paterik (Paterik sinaitico), XI
sec. Traduzione di Leimw;n
Pneumatikov" (Leimwnavrion) di
Giovanni Mosco, 184 ff
Pandekt Antiocha (Pandette di Antioco),
XI sec. Traduzione delle Pandette di
Antioco (VII sec.), 310 ff
Slova Grigorija Bogoslova (Omelie di
Gregorio Teologo), XI sec.
Traduzione di 13 omelie di Gregorio
Nazianzeno, 377 ff
Putjatina mineja (Menea di Putjata), XI
sec. Canoni per i santi dei giorni 1-10
maggio, 135 ff
Mineja Dubrovskogo (Menea di
Dubrovskij), XI sec. Canoni per Teodoro
Stratilato, per gli apostoli Bartolomeo,
Barnaba, Giuda e per Giovanni Battista,
15 ff
Sluckaja psaltyr’ (Salterio di Sluck), XI
sec. Frammento di Salterio liturgico
(salmo 118), 5 ff
GIM, Sinodal’noe sobranie n° 551.
Ed.: Sinajskij Paterik, Moskva 1967 (SK n° 26)
GIM, Sobranie Voskresenskogo monastyrja n°
30.
Ed.: Pandekt monacha Antiocha. Po rukopisi XI
v., prinadležaščej Voskresenskomu monastyrju,
pril. k ČOIDR 1914, 2 (SK n° 24)
Si conserva a Pietroburgo nella Biblioteca
Nazionale (RNB, Q.p.I.16).
Ed.: A. S. Budilovič, XIII Slov Grigorija
Bogoslova v drevneslavjanskom perevode po
ruk. PB XI v., SPb. 1875 (SK n° 33)
Si conserva a Pietroburgo nella Biblioteca
Nazionale (RNB, Sofijskoe sobranie n° 202).
Ed.: L. I. Ščegoleva, Putjatina mineja (XI vek),
1-10 maja, Moskva 2001 (SK n° 21)
Si conserva a Pietroburgo nella Biblioteca
Nazionale (RNB, F.p. I. 36).
Ed.: E. Granstrem, Grečeskie paralleli k
gimnografičeskim tekstam “Minei
Dubrovskogo”. In: Russkij Jazyk. Istočniki dlja
ego izučenija, Moskva 1971 (SK n° 22)
Rinvenuto a Sluck, oggi scomparso.
Ed.: M. Weingart, Texty ke studiu jazyka i
písemniství staroslověského, Praha 1949
Introduzione
CODICE
Byčkovskaja psaltyr’ (Salterio di
Byčkov), XI sec. Frammento di Salterio
liturgico (da 18(17):34 a 25(24):9), 9 ff
Evgen’evskaja psaltyr’ (Salterio di
Evgenij), XI sec. Frammento della
traduzione del Salterio commentato dello
pseudo-Attanasio Alessandrino, 20 ff
Novgorodskie ili Kuprjanovskie otryvki
(Fogli di Novgorod, o di Kuprjanov), XI
sec. Frammento di Evangelario, 2 ff
Turovskoe Evangelie (Fogli di Turov),
Frammento di Evangelario, 10 ff
Žitie Kondrata (Vita di Quadrato), XI
sec. Frammento relativo alla passione e
alla morte del martire, 2 ff
Žitie Fekly (Vita di Tecla), XI sec.
Frammento relativo ai miracoli della
martire, 2 ff
53
COLLOCAZIONE E EDIZIONI
Si conserva a Pietroburgo nella Biblioteca
Nazionale (RNB, Q.p. I.73).
Ed.: I. Toth, Byčkovskaja psaltyr’ XI v.,
Dissertationes Slavicae VIII, 1972 (SK n° 28)
Si conserva a Pietroburgo, 2 ff nella Biblioteca
dell’Akademija Nauk (BAN 4.5.7), e 18 ff nella
Biblioteca Nazionale (RNB, Pog. 9).
Ed.: V. V. Kolesov, Evgen’evskaja psaltyr’.
Dissertationes Slavicae VIII, 1972 (SK nn° 29,
30)
Si conserva dal 1865 a Pietroburgo nella
Biblioteca Nazionale (RNB, F.p.I.58).
Ed.: F. Kaminskij, “Otryvki evangel’skich č
tenij XI v., imenuemye Kuprjanovskimi
(Novgorodskimi)”, in Izvestija otdelenija
russkago jazyka i slovesnosti (IORJaS), t.
XXVIII, 1923 (SK n° 12)
Si conserva a Vilnius nella Biblioteca
dell’Accademia delle Scienze, f. 19 n° 1.
Ed.: I. Toth, Turovskie listki. Dissertationes
Slavicae XIII, 1977 (SK n° 10)
Si conserva a Pietroburgo nella Biblioteca
Nazionale (RNB, Pog. 64).
Ed.: I. Toth, Žitie Kondrata. Studia Slavica
XXI, Budapest 1975 (SK n° 16)
Si conserva a Pietroburgo nella Biblioteca
Nazionale (RNB, Pog. 63).
Ed.: I. Toth, Žitie Fekly. Studia Slavica XXII,
Budapest 1976 (SK n° 17)
Il Vangelo di Ostromir è il più antico manoscritto slavo-orientale datato: in
una glossa al manoscritto si dice che il suo copista principale, Grigorij, lo ha
scritto per il posadnik di Novgorod Ostromir negli anni 1056-1057: po~ah) je
pisati mcß a . okt( v . ka_ . ¢a pam( t . ilar"! o ¢a. a oko¢|~a h mcß a . maiq. v)
v"– . ¢a pa t . e“ p ifa¢a “ho cominciato a scrivere il 21 del mese di ottobre,
giorno di Ilarione, e ho finito il 12 del mese di maggio, giorno di Epifanio”. Il
manoscritto contiene un evangelario (o lezionario, o aprakos), cioè un vangelo
in cui il testo è suddiviso in “letture” (pericopi) disposte secondo l’ordine
54
Il paleoslavo
dell’anno liturgico. Protografo del Vangelo di Ostromir è un manoscritto
cirillico bulgaro orientale che non ci è pervenuto, ma il cui carattere possiamo
ricostruire sulla base della copia slavo-orientale. Nel manoscritto si utilizzano i
quattro grafemi che indicano le vocali nasali (gli jus: ( , \ , ` , + ) con frequenti
errori (cfr. ¢arica&m\< , glagol< , glagolq , æ¢a< , æeml< e viceversa
obo+ invece di obo< ). La maggior parte delle deviazioni sono occasionali e
non sistematiche: per i riflessi delle ridotte con le liquide cfr. ot)vr|je s( ma
ot)v|rje s( , ot)v|rje{i , ot)v|rg\ , sk)rb:ti , prisk)rb|¢a , s)m|rti ; per la
desinenza S sg m -)m| , -|m| dei temi in *ŏ cfr. i"sous)m| e i"sousom| ,
¢ojem| . Si registrano due soli casi di -: < *ja- ns, *jŏns (jat’ terzo): kapl: per
kapl( (N pl f) e mou~e¢ic: per mou~e¢ic( (G sg f). All’antigrafo risalgono
probabilmente le forme del pronome personale m)¢: (invece di: m|¢: ), {)d)
invece di {|d) (regola di Kul’bakin), ml)~aa{e (forme con ml)~ - nei codici
Mariano, Assemani, Savvina, Suprasliense), ecc. Le terminazioni testimoniano
l’indurimento delle palatali (cfr. glagol<}ou , i{|d){ou ).
L’unico adattamento operato con coerenza è la sostituzione di -t) con -t|
nelle desinenze della 3ª persona sg e pl del presente (raæid\t| , mimoidet|
ecc.). Adattamenti non voluti troviamo anche nell’aoristo (b¨st| e dast| ), la
cui omofonia con la 3ª persona sg del presente trae in inganno il copista.
Prevalgono le forme non contratte dell’imperfetto e degli aggettivi di forma
piena (iskaah\ , podobaa{e , l<d|sk¨ih) ma s\}ih) ). Gli aoristi sono tutti
sigmatici di tipo recente (sigmatico II):
Togda gl– a im) i"s– . v|si v¨ s)blaæ¢ite s( o m)¢: v) si+ ¢o}|
pisa¢o bo &st) poraj\ past¨rq. i raæid\t| s( ov|c( stada po
v)skr|s¢ove¢ii je mo&m| var+ v¨ v) galilei ot)v:}av) je petr) re~e
&mou a}e i v|si s)blaæ¢(t| s( o teb: aæ). ¢ikolije ¢e s)blaj¢∞+ s(
re~e je &mou i"– s ami¢. gl– + teb:. qko v) si+ ¢o}|. pr:jde daje
kour) ¢e v)æglasit|. tri krat¨ ot)v|rje{i s( me¢e gl– a &mou petr)
a}e mi s( prilou~it|. s) tobo+ oumr:ti ¢e ot)v|rg\ s( tebe takojde
i v|si ou~e¢ici reko{( togda pride s) ¢imi i"s– v) v|s| ¢arica&m\<
ge#sima¢ii i gl– a ou~e¢ikom) s(d:te tou. do¢deje {)d). pomol< s(
tamo i poim) petra. i oba s¢– a æevedeova. ¢a~(t) t\jiti i sk)rb:ti
55
Introduzione
togda gl– a im) i"– s prisk )rb|¢a &st) dou{a moq do s)m|rti pojid:te
s|de. i b)dite s) m)¢o+ i pr:{|d) malo. pade ¢ic|. mol( s( i gl– q
o~– e moi. a}e v)æmoj|¢o &st). da mimoidet| ot) me¢e ~a{a si oba~e.
¢e qkoje aæ) ho}\. ¢) qkoje t¨. qvi je s( &mou a¢g– l ) s) ¢b–se
oukr:plq` i i byv) v) podviæ:. pril:j|¢:q mol:a{esq i byst| pot)
&go. qko kapl: kr)vi. kapl+}a` ¢a æeml< i v)stav) ot) molitv¨
pride k) ou~e¢ikom) i obr:te ` s)p(}( i gl– a simo¢ou petrou tako
li ¢e v)æmojete &di¢ogo ~asa b)d:ti s) m)¢o+. b)dite i molite s(.
da ¢e v)¢idete v) ¢apast| dh– ) bo &st| b)dr) a pl)t| ¢emo}|¢a pak¨
v)toroq {|d). pomoli s( gl– q o~– e moi. a}e ¢e mojet) si ~a{a
mimoiti ot) me¢e a}e ¢e pi+ &`. b\di volq tvoq i pri{|d) pak¨
obr:te ` s)p(}( . b:ste bo im) o~i ot(g)~e¢: i ostaviv) `. pak¨
{)d)
pomoli
s(
treti&&.
tojde
slovo
rek)
togda
pride
k)
ou~e¢ikom) svoim) i gl– a im) s)pite pro~e& i po~ivaete se pribliji
s(
~as)
i
s¢– )
~lov:~|sk¨i
pr:da&t|
s(
v)
r\c:
gr:{|¢yih).
v)sta¢:te id:m) se pribliji s( pr:da`i m( i &}e gl– + }ou qmou. se
i<da &di¢) ot) obo+ ¢a des(te pride. i s) ¢im| ¢arod) m)¢og). s)
or\jii. i dr|kol|mi. ot) arhierei i star|c| l<d|sk¨ih). pr:da`i je
&go dast| im) æ¢ame¢ie gl– q . &goje a}e lob)j\. t) &st) im:te &go i
abi& prist\pl| k) i"– s ousovi re~e &mou radoui s( rav‘vi i oblob¨æa
i.
i"– s
je
re~e
prist\pl|{e.
&mou
drouje
¢a
¢&je
&si
pri{|l)
togda
je
v)æloji{( r\c: ¢a i"– s a. i `{( &go i se &di¢) ot)
s\}ih) s) i"– s )m|. prost|r) r\k\. i iævl:~e ¢oj| svoi i oudar| raba
arhiereova. i our:æa &mou ouho t)gda gl– a &mou i"– s v)ævrati ¢oj|
tvoi v) svo& m:sto. v|si bo priim){ei ¢oj|. ¢ojem| pog¨b¢\t| ili
m|¢it| ti s(. qko ¢e mog\. oumoliti oc– a mo&go i pristavit| m)¢:
v(}e ¢ejeli . v"– . legeo¢a a¢g– l ) kako oubo s)b\d\t| s( k)¢ig¨. qko
tako podobaa{e b¨ti v) t) ~as). re~e i"– s ¢arodom) qko ¢a raæboi¢ika
li iæidoste. s) or\jii i dr|kol|mi `ti m(. po v|s( d|¢i pri vas)
s:d:ah) v) crk– v i ou~(. i ¢e `ste me¢e se je v|se b¨st|. da s)b\d\t|
s( k)¢ig¨ proro~|sk¨` togda ou~e¢ici v|si. ostavl|{e i b:ja{( o¢i
je im){e i"s– a . v:do{( k ) kaiqf: arhiereovi. ideje k)¢(æi i star|ci
56
Il paleoslavo
l<d|sci s)b|ra{( s( petr) je id:a{e po ¢&m| iædale~e. do dvora
arhiereova. i v){|d) \tr|. s:d:a{e s) slougami. vid:ti ko¢|~i¢\
arhierei je i star|ci. i s)bor) v|s|. iskaah\ l)ja s)v:d:tel|stva ¢a
i"– s a.
qko
da
oubi+t|
i.
i
¢e
obr:to{(.
i
m)¢ogom)
l)jem)
s)v:d:tel&m) prist\pl|{em). posl:d| je prist\pl|{a d)va l)ja
s)v:d:telq r:kosta s| re~e. mog\ raæoriti crk– v | bj– i +. i tr|mi
d|¢|mi s)æ)dati + i v)stav) arhierei re~e &mou ¢i~esoje li ¢e
ot)v:}ava&{i ~|to si ¢a t( s)v:d:tel|stvou+t|. i"– s je ml)~aa{e. i
ot)v:}av) arhierei re~e &mou. æakli¢a+ t( bm– | jiv¨im|. da re~e{i
¢am). a}e t¨ &si hs– ) . s¢– ) bj– i i gl– a &mou i"– s . t¨ re~e oba~e gl– < vam)
ot)sel: ouæ|rite s¢– a ~l– ~ |skaago. s:d(}a odes¢\+ sil¨. i id\}a ¢a
oblac:h) ¢ebes|¢yih). togda arhierei rastr|æa riæ¨ svo` gl– q . qko
houl\ re~e. ~|to &}e tr:bouete s)v:d:tel| se ¢¨¢: sl¨{aste. houl\
&go ~|to s( vam) m|¢it| o¢i je ot)v:}av){e reko{( povi¢|¢) s)m|rti
&st| togda æapl|va{( lice &mou. i pakosti &mou d:q{(. ovi je æa
la¢it\ oudari{( gl– + }e. pror|ci ¢am) he– . k )to &st) oudarii t(
petr) je v)¢: s:d:a{e ¢a dvor: i prist\pi k) ¢&mou &di¢a rab¨¢i.
gl– + }i i t¨ b: s) i"s–som| galileisk¨im| o¢) je ot)vr|je s(. pr:d)
v|s:mi. gl– q . ¢e v:m| ~|to gl– & {i i i{|d){ou &mou v) vrata ouæ|r: i
drougaq. i gl– a im) tou i s| b: s) i"s–)m| ¢aæara¢i¢)m| i pak¨
ot)v|rje s( s) kl(tvo+. qko ¢e æ¢a< ~l– k a ¢e po m)¢ogou je.
prist\pl|{e sto`}ii reko{( petrovi. v) isti¢\ i t¨ ot) ¢ih) &si
ibo bes:da tvoq. qv: t( tvorit|. togda ¢a~(t) rotiti s( i k l(ti
qko ¢e æ¢a< ~lov:ka i abi& kour) v)æglasi i pom(¢\ petr) gl– ) i"–
sov). &je re~e &mou. qko pr:jde daje kour) ¢e v)æglasit|. tri krat¨
ot)v|rje{i s( me¢e. i i{|d) v)¢) plaka s( gor|ko (Matteo 26:31-75).
I tratti slavo orientali sono molto più evidenti nell’Archangel’skoe
evangelie (1092), un aprakos di modesta fattura, destinato evidentemente a
essere utilizzato in chiesa. Riporto per un confronto un breve passo:
T)gda gl– a im) "s– . vsi v¨ s)blaæ¢ite s( o m¢: v) si< ¢o}|. pisa¢o
bo &st) poraj< pastouha. i raæidout| s( ov|ca stad|¢yq. po
v)skr|se¢ii je mo&m| var(< vas) v) gagilei. ot)v:}av) je petr) re~e
Introduzione
57
&mou. a}e i vsi s)blaæ¢(t| s( o tob: aæ). ¢ikolije ¢e s)blaj¢< s(.
re~e je &mou "s– . am– ¢ ) gl– < teb:. qko v) si< ¢o}|. pr:je daje kour) ¢e
v)spo&t|. tri{|dou ot)v|rje{i s( me¢e. gl– a &mou petr). a}e mi s(
lou~it| s) tobo< oumereti. ¢e ot)v|rgou s( tebe. tako je i vsi
ou~e¢ici reko{(. t)gda pride s) ¢imi "s– v) v|s| ¢arica&mu<.
ge#sima¢i. i gl– a ou~e¢ikom). s(d:te tou. do¢deje {|d). pomol< s(
tamo. i poim) petra i oba s¢– a æevedeova. i ¢a~a sk)rb:ti i toujiti.
t)gda gl– a im) "s– ) . prisk |rb|¢a &st) d{– a moq do s)m|rti. preboud:te
s|de. i b)dite s) m¢o<. i pre{|d) malo pade ¢ic|. mol( s( i gl– q .
o~– e moi. a}e v)æmoj|¢o &st). da premi¢et| ot) me¢e ~a{a si. oba~e ¢e
qkoje aæ) ho~<. ¢) qkoje t¨. qvi je s( &mou a¢g– l ) s) ¢b–se.
oukr:plqq &go. i b¨v) v) podviæ:. pril:j|¢o mol(q{esq. i b¨ pot)
&go. qko kaplq kr)vi. k apl<}e ¢a æeml<.
Qui le nasali sono scomparse, il grafema <( > è variante di <q > in
posizione post consonantica (var(< , s)blaæ¢(t| , s( , reko{( , mol( ). Gli jer
in posizione debole possono mancare (m¢: , m¢o< , vsi ). I riflessi delle ridotte
con le liquide sono slavo orientali: ot)v|rje{i , ot)v|rgou , ot)v|rje s( ,
sk|rb:ti , prisk|rb|¢a , s)m|rti . La terminazione -)m| , -|m| nello S sg dei
temi in *ŏ è utilizzata nella totalità delle occorrenze, mentre sono pochi i casi
di -: < *ja- ns, *jŏns (jat’ terzo): st–o: m~– ¢ c: per sv(to` mou~e¢ic( ,
¢ed:l: , æahari: (G sg f). Ricorrono russismi come pr:je , o tob: , ho~< .
Verso la fine dell’XI secolo si stabilizzano criteri di adattamento dei
protografi slavo meridionali riguardanti l’ortografia e in misura minore la
morfologia (meccanismo detto adaptacija), un sistema di regole che sta a
significare la nascita della redazione slava orientale dello slavo ecclesiastico77:
77 I. Toth propone di definire “russkij izvod” la prima fase dell’adattamento del paleoslavo
in area slava orientale, caratterizzata dalla comparsa sporadica e non coerente di russismi
(Ostromirovo Evangelie, Pandette di Antioco), e “russkaja redakcija” la fase successiva, in cui la
russificazione ha carattere coerente e normativo. A questa seconda fase apparterrebbero per
esempio l’Archangel’skoe evangelie (1092) e le Menee degli anni 1095-96 (I. Toth, Russkaja
redakcija drevnebolgarskogo jazyka v konce XI-načale XII vv., Sofija 1985, p. 333).
58
Il paleoslavo
ortoepia (pronuncia dotta)
g = [g]
# = [f] (e non [t])
} = [šč]
e dopo # = [e] nei grecismi e in alcune parole; [je] negli altri casi
£ = [u]; [v] dopo V
| = [e]; ) = [o] in tutte le posizioni
\, + = [u], [ju] ; (, ` = [ja] in tutte le posizioni
ortografia
*o˛ = <ou>
*’o˛ = <<>
*e˛ = <q> (<a> dopo scibilanti e c)
*’e˛ = <q> (<a> dopo scibilanti e c)
*dj = <j>
*zdj, *zgj, *zg + V anteriore = <jd>
*tj; *kt + V anteriore; *stj; *skj; *sk +
V anteriore = <}>
*r÷, *r÷’; *l÷, *l÷’ = <)r>, <)r)>, <|r>,
<|r|>, <)l>, <)l)>
*telt; *tert = <l:>, <re>
il grafema <\> viene sporadicamente utilizzato
come variante di <<>
il grafema <+> scompare
<(> viene normalizzato come variante di
posizione
<(> viene normalizzato come variante di
posizione
i codici più antichi, che riflettono il protografo
slavo meridionale, utilizzano tanto <jd> che
<j>, ma questa seconda forma prevale.
sono presenti anche le grafie <jg> (Novgorod e
Pskov) e <j~> (Rus’ meridionale)
la grafia <{t> caratterizza i codici più antichi.
Poi prevale il grafema <}> (pronuncia [š’t’š’])
con la variante <{~> (Rus’ meridionale)
il nesso <|l> è possibile solo dopo scibilante.
Altrimenti la grafia riflette la velarizzazione di [l]
> [∏] della lingua parlata. La grafia <)r)>, <|r|>,
<)l)> è frutto di contaminazione (<)r> + <r)>)
probabilmente dovuto alla pronuncia dura degli
slavi meridionali: [re]
morfologia
*ja- ns (G sg, NA pl f ) = -q, -: (jat’
terzo)
*jŏns (A pl m) = -q, -: (jat’ terzo)
*ŏmı̆, *jŏmı̆ (S sg m) = -)m|, -|m|
D sg m (forma det.) = -omou, -emou
3ª sg e pl del presente = -t|
sono ammesse entrambe le varianti
sono ammesse entrambe le varianti
evoluzione comune allo slavo ecclesiastico di
redazione meridionale
probabile conservazione di una forma più arcaica
Introduzione
3ª sg e pl dell’imperfetto = -t|
(vidqa{et|, vidqahout|)
3ª sg dell’aoristo = -t| (ot)idet|,
priqt|)
tema dell’imperfetto = suffisso -qasuffisso di appartenenza = -q¢-
59
probabile contaminazione di presente e imperfetto
NB: sono rarissimi gli aoristi sigmatici I
probabile riflesso della pronuncia slavo
meridionale di <:a> = [jaa]
probabile riflesso della pronuncia slavo
meridionale di <:a> = [jaa]
Lo slavo ecclesiastico di redazione russa non era unitario: la mancanza di
centralizzazione della vita politica e culturale fa sì che centri diversi utilizzino
varianti locali che riflettono diverse realtà dialettali e diverse tradizioni
scrittorie (diverse modalità di adaptacija):
lo slavo ecclesiastico dei testi importati dalla Bulgaria [...] si articolò in
diverse lingue. In altre parole, ogni regione diede origine, nei testi slavo
ecclesiastici, a una sua propria lingua78.
Questo vale naturalmente, più ancora che per i testi ricopiati e adattati da
originali slavo meridionali, per quelli composti ex novo nella Slavia orientale:
in mancanza di scuole e di grammatiche, la padronanza dello slavo
ecclesiastico dipendeva esclusivamente dalla competenza passiva dello
scrivente, quindi dalla ricchezza delle sue letture e dalla sua memoria. Questa
modalità di apprendimento dello slavo ecclesiastico determina le
caratteristiche della lingua in cui vengono scritti i testi “originali”, quelli cioè
che non sono copie di un antigrafo. Laddove la memoria non soccorre lo
scrivente con materiale testuale già pronto il ricorso all’esperienza linguistica
natia, e con quella la penetrazione nel testo di forme locali, è inevitabile79.
8. Lo slavo ecclesiastico ibrido
L’ultima trasformazione comune a tutti i dialetti slavi è la caduta delle
vocali ridotte (XII secolo). A partire da questo momento la separazione dei
dialetti slavo-orientali da quelli occidentali e meridionali si fa definitiva: si
conclude il periodo più antico, slavo-comune o, secondo un’altra terminologia,
78 A. I. Sobolevskij, Istorija russkogo literaturnogo jazyka, L. 1980, p. 33.
79 V. M. Živov, Jazyk i kul’tura v Rossii XVIII veka, cit., p. 23.
60
Il paleoslavo
alto antico-russo della storia della lingua russa e inizia quello slavo-orientale
comune (o tardo antico-russo). Il periodo slavo orientale comune è
caratterizzato da una serie di innovazioni comuni a tutti i dialetti slavoorientali: lo sviluppo della correlazione di mollezza, conseguente alla caduta
delle vocali ridotte, il passaggio dall’accento tonico a quello intensivo
(dinamico) mobile, la riorganizzazione dei paradigmi nominali e pronominali,
la perdita del vocativo e del duale, la definitiva scomparsa dalla lingua parlata
dell’aoristo e dell’imperfetto, la perdita del supino, la riorganizzazione del
sistema dei tempi verbali, la trasformazione dei participi in gerundi eccetera.
La caduta e la vocalizzazione degli jer provocano conseguenze nella
pronuncia della lingua parlata, che presto si riflettono nella pronuncia dotta e
quindi nell’ortografia dotta: se sino alla metà del XII secolo non si osserva
omissione degli jer come tradizione ortografica (se non in alcune parole quali
kto , m¢ogo , k¢qæ| , k¢iga , vs -) perchè, basandosi sulla pronuncia nativa e
non su quella dotta (dove | = [e]; ) = [o] in tutte le posizioni), gli slavi
orientali ‘sanno’ dove scrivere jer, alla metà del XIII secolo i copisti,
basandosi come prima sulla propria pronuncia nativa, scrivono <e>, <o>
laddove gli jer si sono vocalizzati, e non scrivono nulla laddove gli jer sono
caduti (se non occasionalmente in fine di parola con funzione separativa, per
tradizionalismo grafico o per influsso del protografo)80.
Nelle parlate meridionali all’interno delle nuove sillabe chiuse nate dalla
caduta degli jer la [e] si chiude e tende a una pronuncia dittongale [ie] riflessa
nella grafia <: >: kam:¢| ‘pietra’, ou~it:l| ‘maestro’, prid:t| ‘giungerà’,
boud:t| ‘sarà’, moj:t| ‘può’.
Nella stessa posizione nasce l’opposizione tra [ɔ] aperta e [o] chiusa, che si
riflette nella distribuzione delle grafie <o > e <w >, di cui la seconda indica in
molte tradizioni scrittorie la [o] dalla pronuncia lunga e dittongale: [uo].
80 Laddove la pronuncia dotta prevede il mantenimento degli jer in posizione debole questi
continuano a essere pronunciati [o] e [e] e resi graficamente <o> e <e>. Si formano così in russo
coppie del tipo востал / встал, che specializzano significati propri (qui ‘levarsi’ nel senso di
‘insorgere’ vs ‘levarsi’ nel senso di ‘alzarsi’): N. N. Durnovo, “Slavjanskoe pravopisanie X-XII
vv.”, cit., pp. 671-672.
61
Introduzione
parlate
meridionali
parlate
settentrionali
[ɔ] <o>
o atona
o sotto accento automatico
o in sillaba aperta
∞ vocalizzato
o atona
o sotto accento automatico
o in sillaba aperta
∞ vocalizzato
e dopo C palatale davanti a V non
anteriore
[o] <w>
o dotato di accento autonomo
o in sillaba chiusa
o dotato di accento autonomo
o in sillaba chiusa
Il N sg m degli aggettivi assume la terminazione -oi , -ei , che può variare
con -¨i , -ii . I participi perfetti del tipo *mogl∞, *pekl∞ semplificano il nesso
consonantico della nuova sillaba chiusa: mog) ‘che ha potuto’, pek) ‘che ha
cotto’ (lo jer non è più vocale, ma segnala la fine della parola).
A livello grafico, si accentua la de-grecizzazione e de-meridionalizzazione
delle grafie: <u > (equivalente slavo di u) cessa di essere utilizzato nei grecismi
per diventare variante di <ou >, <' > da utilizzare dopo consonante. Cessa
definitivamente l’utilizzo del grafema <\ >, il nesso <jd > e così via.
Alla metà del XIII secolo si afferma una nuova norma (pozdnerusskaja)
ampiamente aperta alle innovazioni locali. Ciò non di meno, la distanza tra la
lingua dei codici e l’esperienza linguistica viva del copista aumenta.
Nonostante la grande trasformazione che le parlate slave hanno conosciuto
dai tempi di Cirillo e Metodio, la comprensione dello slavo ecclesiastico
continua a basarsi sostanzialmente sulle competenze linguistiche native. I
“punti difficili” (le forme assenti nella lingua viva) vengono mentalmente
tradotti, correlati a forme corrispondenti della lingua parlata (meccanismo di
peresčet), e si fissano nella memoria come segni caratteristici dei testi scritti in
lingua dotta (“indici dotti”). Anche la competenza attiva si avvale
esclusivamente dell’esperienza di lettura: non possedendo strumenti
grammaticali atti a “generare” paradigmi corretti, lo scrivente riproduce
sintagmi e stilemi dei testi che conosce meglio e che considera più autorevoli:
Sacre Scritture, libri liturgici. Naturalmente, la buona riuscita dell’impresa
dipende, oltre che dalla sua cultura e dalla sua memoria, dal carattere del testo
62
Il paleoslavo
che si ripromette di comporre: se si tratta di un testo totalmente convenzionale,
di un mosaico di citazioni, il risultato è buono: la lingua sarà praticamente la
stessa dei testi modello, salvo occasionali errori. Se si tratta di un testo con un
alto tasso di infomatività (narratività), farà fatica a ritrovare nella memoria
qualcosa che esprima proprio ciò che ha in mente, dovrà fatalmente ricorrere
alla lingua parlata e “correggerla” grazie alle tecniche di conversione
(peresčet) che utilizza normalmente nella lettura. Il risultato sarà una lingua
molto diversa da quella dei testi modello, uno slavo “ibrido”, caratterizzato
dalla presenza di indici dotti.
Tratti specifici dello slavo ibrido sono la confusione delle terminazioni -{e
(2ª sg imperfetto), -{a (3ª pl aoristo), -{e (N pl participio), -h) (1ª sg aoristo),
-hou (3ª pl imperfetto), l’uso sistematico dei participi con funzione di tempo
finito, l’accostamento immotivato di perfetto, imperfetto, aoristo nelle
sequenze narrative81.
A consolidare la distanza tra la lingua dei testi “originali” e quella del
corpus dei più autorevoli testi modello interviene un ulteriore fattore: pur
costituendo serbatoi di forme linguisticamente corrette, questi ultimi appartengono infatti a “generi letterari” diversi da quelli, più specifici, su cui si orienta
81 V. M. Živov, Jazyk i kul’tura v Rossii XVIII veka, cit., p. 31 sgg. Poco rilevanti ai fini
dell’interferenza tra slavo ecclesiastico e parlate slave orientali restano il lessico e la sintassi, per
la evidente impossibilità di comparare la sintassi tipicamente orale delle parlate slave orientali e
dei testi tradizionali ad essa ispirati (codici giuridici e simili) con quella colta e grecizzante dello
slavo ecclesiastico. Gli slavi meridionali utilizzano nelle oggettive la costruzione “da +
presente” (del tipo: " i{ed){e propov:daah\ da poka+t) s(, Marco 6:12, Codex
Marianus), e nelle finali la costruzione col condizionale (del tipo: " dr)jaah\ i da ¢e bi
ot){el) ot) ¢ih), Luca 4:42, Codex Marianus), gli slavi orientali utilizzano il condizionale
sia nelle oggettive che nelle finali, ammettendo anche la costruzione con l’infinito (del tipo: aby
edi¢omou vlast| priqti: Cronaca Laurenziana, anno 1186). Il famoso slogan да
здраствует советская власть, di chiara impronta slavo ecclesiastica, “tradotto” in russo antico
suonerebbe a sv:tsk:i volosti ædorov: byti. Tipici russismi (volgarismi) sono il
nominativo del complemento oggetto con prolessi (шутка сказать), il nominativo del
complemento oggetto nelle elencazioni (il primo oggetto dell’elenco è in accusativo, tutti i
successivi in nominativo), la ripetizione delle preposizioni, l’uso della congiunzione ‘a’ con
funzione puramente congiuntiva. Si tratta di forme sintattiche del parlato che si riflettono nelle
gramoty su betulla di Novgorod e nei testi pratici e amministrativi, ma non in quelli dotti.
Introduzione
63
chi scrive: omelie per l’omileta, agiografie per l’agiografo, cronache per il
cronista. Si affianca così ai testi modello una tradizione testuale specifica, la
cui rilevanza per lo scrivente è duplice: da un lato, omelie, cronache,
agiografie costituiscono i modelli retorici a cui guarda, dall’altro incarnano il
bagaglio di letture che ne ha formato la competenza professionale. Quando
questi modelli concreti sono a loro volta testi “originali”, prodotti cioè nella
Slavia orientale, lo scrivente si trova a fare i conti con una tradizione, ai suoi
occhi assolutamente autorevole, che presenta tracce anche consistenti di
adattamento linguistico. Agiografie e cronache in particolare non si sono
orientate, almeno per i primi secoli, su modelli bizantini: l’alto tasso di
narratività e la mancanza di modelli hanno generato la necessità di un largo
ricorso al meccanismo del peresčet, e quindi a varie forme di contaminazione
linguistica, che vengono riprese e perpetuate da agiografi e annalisti quali
caratteristiche specifiche di quel tipo di testi.
Poco alla volta si costituisce una sorta di tradizione linguistica ibrida,
parallela a quella tradizionale orientata sui testi modello, destinata nei secoli a
consolidarsi.
9. La II Influenza slava meridionale
A partire dalla metà del secolo XIV l’adattamento dello slavo ecclesiastico
alla situazione linguistica slava orientale, la nascita di redazioni locali dello
slavo ecclesiastico e di diversi registri ibridi vengono percepiti in termini di
“corruzione”, come riflesso di secoli di confusione e decadenza. La
ridefinizione dell’identità, vuoi per i moscoviti vittoriosi a Kulikovo, vuoi per i
ruteni che entrano a far parte di entità statali multietniche quali la Lituania e la
Polonia, passa anche attraverso la restaurazione puristica e la tentata
riunificazione linguistica.
Si tratta di un processo che era già iniziato nei Balcani, con epicentro a
Veliko Tărnovo e a Rezava: grazie alla fioritura del II Impero bulgaro e della
Serbia dei Nemanja e in virtù dei mai interrotti rapporti con Bisanzio, gli Slavi
meridionali stavano vivendo quello che molti studiosi hanno definito
prerinascimento, ma che pare più opportuno definire con Picchio “rinascita
64
Il paleoslavo
slava ortodossa”82. Al centro di questo rinnovamento spirituale la filologia e la
riflessione linguistica si coniugavano infatti alla dottrina esicasta e al controllo
scrupoloso delle traduzioni sacre (ispravlenie knig):
The Hesychast method of prayer and the doctrinal implications derived from
its practice had a decisive impact on the language beliefs and literary activity
of the Balkan Slavs. From the monasteries of Mount Athos, Paroria and
Kilifarevo emanated a message of spiritual renewal and a new ideological
attitude conditioned by the Hesychast’s insistence on the need to restore
traditional models of linguistic and literary purity. In these and other centers
of Greco-Slavic collaboration questions were raised regarding the prestige of
Church Slavonic and its ability to render the conceptual subleties of Christian
doctrine. In defence of Orthodoxs dogmas Greek-speaking monks and
churchmen demanded a thorough reassessment of the role of Church Slavonic
and of its relationship to Greek83.
Questa nuova fase evolutiva dello slavo ecclesiastico, che Mathiesen
82 La questione è stata ampiamente dibattuta sotto molti aspetti, che vanno dalla opportunità
di definire “rinascimenti” fenomeni culturali diversi dal Rinascimento per antonomasia (quello
italiano), alla possibilità specifica di individuare un rinascimento nei paesi slavi ortodossi. Il
dibattito, che si è svolto senza soste per un trentennio, dal 1958, quando il punto viene messo
all’o.d.g. del MKS, al 1988, quando Graciotti ne tira le somme, non ha prodotto una
formulazione accettata da tutti: R. Picchio, “Prerinascimento est-europeo e Rinascita slava
ortodossa”, in Ricerche Slavistiche 6 (1958), pp. 185-199; Id., “On Russian Humanism: The
Philological Review”, in Slavia, XLIV (1975), 2, 161-171; D. S. Lichačev, “Nekotorye zadači
izučenija vtorogo južnoslavjanskogo vlijanija v Rossii”, in Issledovanija po slavjanskomu
literaturovedeniju i fo’lkloristike. Doklady sovetskich učenych na IV MSS (1958), Moskva 1960
(ora in D. S. Lichačev, Issledovanija po drevnerusskoj literature, Moskva 1986, pp. 7-56); Id.,
“Neskol’ko zamečanij po povodu stat’i Rikkardo Pikkio”, TODRL, t. XVII, 1961, pp. 675-680;
Id., “Russkoe predvozroždenie v istorii mirovoj kul’tury (konspektivnoe izloženie koncepcii)”,
Istoriko-filologičeskie issledovanija. Sbornik statej pamjati akademika N. I. Konrada, Moskva
1974, pp. 17-26; K. Stančev, “Scuola di Evtimij, Slavia orthodoxa e Rinascimento italiano:
relazioni e opposizioni tipologiche”, Atti dell’VIII Congresso Internazionale di Studi sull’Alto
Medioevo, Spoleto 1983, pp. 319-330; S. Graciotti, “Il Rinascimento nei paesi slavi”, Europa
Orientalis VII (1988), pp. 215-258; Id., “Introduzione” a: Goleniščev-Kutuzov, Il Rinascimento
italiano e le letterature slave dei secoli XV e XVI, Milano 1973, pp. 3-29; V. M. Živov,
“Gumanističeskaja tradicija v razvitii grammatičeskogo podchoda k slavjanskim literaturnym
jazykam v XV-XVII vv.”, Slavjanskoe jazykoznanie. XI MSS, Moskva 1993, pp. 106-121.
83 H. Goldblatt, “The Church Slavonic Language Question in the Fourteenth and the
Fifteenth Centuries: Constantine Kostenečki’s Skazanie izßjavljenno o pismenex”, in Aspects of
the Slavic Language Question, cit., vol. I, pp. 67-68.
Introduzione
65
classifica come medioslavo (Middle Church Slavonic) si collega
tradizionalmente alla figura del Patriarca Eutimio. Dopo aver trascorso molti
anni nei monasteri dell’Athos e di Costantinopoli, Eutimio avrebbe animato a
Tărnovo una “scuola” impegnata nella restaurazione puristica della lingua e
nella verifica delle traduzioni slave sugli originali greci, con la nuova
traduzione dei testi giudicati insoddisfacenti e l’introduzione di nuove norme
ortografiche e grammaticali intese a garantire alla lingua correttezza e
uniformità. Caratteristico della scuola sarebbe stato lo stile detto “intreccio di
parole” (pletenie sloves), che mirava a “controllare” la lingua (e il pensiero)
attraverso l’uso di frequenti ripetizioni, figure etimologiche, allitterazioni,
parallelismi sintattici.
Gli studi degli ultimi anni tendono in verità a ridimensionare il ruolo di
Eutimio, antedatano l’inizio del processo di revisione dei libri liturgici, sottolineano la continuità tra la scuola di Tărnovo e quella di Preslav, minimizzano
l’importanza dell’esicasmo quale stimolo alla riforma della lingua84.
Nondimeno, è fuor di dubbio che nella Slavia orientale la “rinascita slava
ortodossa” si avvalga dell’esperienza balcanica: la redazione slava meridionale
dello slavo ecclesiastico, libera da russismi, appare più “pura”, più aderente
all’antico slavo. Normalizzati, verificati sul greco, retoricamente complessi, i
testi slavo meridionali sembrano ideali testi modello.
Resiste quindi, per caratterizzare questa fase della storia culturale slava
orientale, la definizione di “II Influenza slava meridionale” (la prima influenza
è quella del 988), anche se vieppiù contestata nella formulazione e nella
sostanza, sia alla luce del ridimensionamento della riforma eutimiana, sia per
ciò che concerne l’idea stessa di ‘influenza’, ossia di un intervento esterno,
quasi meccanico, della Balcania sulla Slavia orientale. Come nel dibattito sul
rinascimento, così qui si fa appello alla tipologia della cultura, alla regolarità
84 Tra gli iniziatori di questa linea interpretativa si colloca D. Talev, secondo cui “non ci fu
nessuna riforma ortografica ad opera del patriarca Eutimio di Tărnovo. La sua revisione
‘ortografica’ e ‘grammaticale’ della lingua letteraria bulgara è uno dei tanti miti ottocenteschi,
creati quando si sapeva molto poco dell’intera epoca” (I. V. Talev, Some problems of the Second
South Slavic influence in Russia, München 1973, p. 174).
66
Il paleoslavo
con cui, in alcuni frangenti culturali, la permeabilità della lingua colta all’uso
viene sentita come corruzione:
così viene percepito il greco bizantino dai contemporanei, innamorati della
erudizione antica, così viene visto il latino medievale dagli umanisti […]
Nella Rus’ moscovita questo frangente si realizza alla fine del XIV secolo,
quando la compattezza del mondo ortodosso diviene preoccupazione comune
di Costantinopoli e dei paesi slavi […] il processo che ne viene messo in moto
si definisce tradizionalmente “seconda influenza slava meridionale”, ma da
tempo ormai sarebbe opportuno trovare una definizione più calzante […]
elemento fondamentale della seconda influenza slava meridionale è il
ribaltamento assiologico del rapporto tra uso e lingua dotta, laddove
l’influenza esterna (quella della tradizione dotta slava meridionale) resta sullo
sfondo, è un fenomeno secondario provocato dalla ricerca di un modello
nuovo, esente da “corruzione”85.
L’analisi dei codici esemplati nella Slavia orientale, per esempio quelli
contenenti le opere del serbo Pachomio il Logoteta, evidenzia del resto come
anche i massimi campioni86 della II influenza si sforzino di adattare le proprie
abitudini scrittorie a quelle in uso nelle terre in cui si trovano a operare. Fine
dei dotti slavi sarebbe stata dunque non già l’adozione di un’unica norma,
obiettivo tecnicamente impossibile per la comunità erudita della Slavia
ortodossa, quanto la diffusione di un atteggiamento “responsabile” nei
confronti del segno linguistico, di cui si afferma la non convenzionalità:
Although Middle Church Slavonic was in theory not only a vehicle of
communication and communion with men and God, but also a sort of “icon”
for theological orthodoxy, it did not have to be standardized in every detail.
What was required was only that potentially heretical ambiguities be avoided.
Thus it was necessary to distinguish in every variety of Church Slavonic
between the reflex of [je˛zyk∞] with the meaning of Greek e[qno" and the reflex
of [je˛zyk∞] with the meaning of Greek glw`ssa, but it was not necessary that
all users of Church Slavonic make this distinction in precisely the same way.
The Euthymian metalinguistic doctrine was not inherently unfavorable to the
continued exixstence of a plethora of different varieties of Church Slavonic,
and it allowed each of these varieties as much of its old flexibility to respond
85 V. M. Živov, Jazyk i kul’tura v Rossii XVIII veka, cit., p. 42.
86 Tali sono considerati i due metropoliti di origine bulgara Kiprian (1330-1406) e Grigorij
Camblak (1365-1419), Pachomij Logofet (1400-1484) e, unico russo, Epifanij Premudrij (13501422).
Introduzione
67
the changes in vernacular Slavic as was compatible with the need to avoid
potentially heretical ambiguities87.
Le innovazioni legate alla cosiddetta II Influenza slava meridionale sono
molteplici, e riguardano numerosi aspetti della organizzazione della cultura,
tanto da poter far parlare di una vera e propria “moda”: dalla adozione di una
nuova grafica (semionciale inclinato a sinistra e corsivo, nuovo disegno di
molte lettere) e di nuovi motivi ornamentali nella confezione dei codici alla
introduzione di nuove tecniche iconografiche, dalla organizzazione delle
cancellerie alla distinzione funzionale tra codici e rotoli. Per ciò che concerne
l’aspetto propriamente linguistico, le novità si articolano su due livelli: da un
lato cambia l’atteggiamento nei confronti della lingua dotta, che viene
volutamente allontanata da quella viva, depurata dei russismi (cosa che a
livello lessicale comporta la creazione di una messe di neologismi dotti),
riportata nella misura del possibile alla sua veste originaria con il rinnovato
uso del duale, dell’aoristo e delle forme non contratte dell’imperfetto
(meccanismo che potremmo definire di “de-adaptacija”), dall’altro si
sottolinea il legame tra lo slavo ecclesiastico e il greco, con innovazioni che
investono tanto la grafica (si introducono nuovi segni di interpunzione, quali la
virgola, il punto e virgola con valore interrogativo, il trattino per segnalare
l’andata a capo, si afferma l’utilizzo regolare di accenti e spiriti e una nuova
regolamentazione dell’uso delle abbreviature), quanto l’ortografia, la
morfologia e la sintassi. Infine, viene importato dalla Slavia meridionale il
gusto per una sofisticata organizzazione retorica del discorso (il già ricordato
“intreccio di parole”) e un nuovo atteggiamento nei confronti del testo: se
prima il copista doveva ricopiare correggendo, ora deve ricopiare fedelmente.
Arcaizzazione della grafia e adozione di usi grafici dello slavo ecclesiastico di redazione
meridionale
- reintroduzione del grafema <\> con valore [u]
- reintroduzione del grafema <™> con valore [z] in alcuni lessemi (™:lw; ™lo)
- introduzione del grafema <z> variante di <æ> con valore [z]
- introduzione del grafema <m> variante di <t> con valore [t]
87 R. Mathiesen, “The Church Slavonic Language Question”, cit., pp. 60-61.
68
Il paleoslavo
Arcaizzazione della grafia e adozione di usi grafici dello slavo ecclesiastico di redazione
meridionale
- reintroduzione del grafema <Θ> (‘o očnoe’) con valore [o] in determinate parole (oko)
- codificazione della grafia <y> invece di <¨> per [y]
- scomparsa del grafema <&>, che può essere sostituito da <∈> (‘e jakornoe’)
- reintroduzione della grafia <r:> invece che <re> negli esiti *tert
- reintroduzione di <jd> come esito di *dj
- attribuzione del valore numerico 900 alla lettera c (precedentemente 900 = ()
- ‘zijanie’: <a> invece di <q> in posizione postvocalica (vsea invece di vseq)
- distribuzione degli jer: in fine di parola sempre <|> (per ∞ e ß), nel corpo della parola
sempre <)> (per ß, ∞, ma anche per e < ß vocalizzato e per o < ∞ vocalizzato). Si ripristina
anche la resa grafica delle sonoranti: i nessi <r)>, <l)> sostituiscono quelli tradizionali
moscoviti <|r>, <er>, <or>, <ol>
- distribuzione dei grafemi <i> e <i> (davanti a vocale sempre <i>)
- distribuzione dei grafemi <'>, <ou>, <u>: la vecchia regola, che prevedeva <ou>, <'>
dopo #, <u> nelle restanti posizioni, è sostituita da una nuova regola che prevede l’uso di
<ou> dopo # e di <'> nelle altre posizioni
- regolamentazione della grafia <ou>, <<> in posizione iniziale di parola secondo l’uso
slavo meridionale
Trascrizione dei grecismi
- si ripristina l’uso di <$>, <¶> (per y, x), quasi scomparsi nei secc. XIII-XIV
- si regolamenta l’uso di <#>, <£>, <w> (per q, u, w) in piena aderenza alla grafia greca
- si ripristina l’uso del grafema <£> (ižica) con pronuncia [u] (precedentemente <u> con
pronuncia [u])
- si adotta l’ortografia greca del nesso [ng]: agg– e l| (cfr. a\ggeloß), e£aggelie
- si riflette la pronuncia greca dei nessi [nt], [mp]: a¢do¢ii, ol£mb)
Innovazioni morfologiche
- vocativo con funzione di nominativo
- riorganizzazione del paradigma plurale dei temi in *ŭ con la generalizzazione del suffisso
-ov- in tutti i casi tranne lo strumentale
- nuove forme di possessivo: egov|, egova, egovo; togov|, eccetera
- nuove forme del plurale dei numerali: trieh) ecc.
Innovazioni sintattiche
- negazione semplice
- genitivo esclamativo (o + G = o slav¨!)
Strumenti per il corretto utilizzo di questa lingua sono come sempre la
cultura degli scriventi, la conoscenza del greco e la consuetudine con i testi
modello.
È solo nel secolo seguente che il problema di possedere vere grammatiche
dello slavo ecclesiastico viene riconosciuto e, gradatamente, risolto (il trattato
Introduzione
69
di Kostenecki, o l’altrettanto celebre O osmi častech reči, non affrontavano il
problema della normalizzazione grammaticale). Nel XV secolo ci si sforza
essenzialmente di normalizzare l’ortografia secondo il principio greco
dell’ajntivstoicon (‘contrapposizione’): si differenziano graficamente gli
omonimi (mir ‘pace’ e m"r ‘cosmo’), le forme grammaticali coincidenti
(stol) ‘trono’ N sg e stwl) ‘dei troni’ G pl, agglom| ‘tramite un angelo’ S sg
e aggelwm) ‘agli angeli’ D pl), i differenti significati di uno stesso lessema
(qæ¨k) ‘popolo’ e (æ¨k) ‘lingua’). In Moscovia le parole che ricevono una
nuova forma (accentuale o grafica) si trovano a coesistere con i loro omonimi
“non riformati”, dando luogo a una distribuzione complementare a livello
semantico (per esempio la specializzazione delle pronunce Màrija e Marìja,
Sòfija e Sofìja).
Questo poderoso sforzo di normalizzazione porta alle stelle l’idea della non
convenzionalità del segno linguistico.
Non tutta la produzione letteraria del XV secolo adotta come ideale questo
standard di slavo ecclesiastico dotto de-adattato e restaurato puristicamente:
parallelamente si continua a ricopiare codici che non presentano tracce di deadattamento (per esempio la Vita di Andrej Jurodivyj) e a utilizzare lo slavo
ibrido (per esempio la Vita di Michail Klopskij), separato da quello standard da
un fossato sempre più ampio (varjativnost’ vs normalizzazione).
10. Redazione rutena e redazione moscovita dello slavo ecclesiastico
Fondamentale per la storia dello slavo ecclesiastico in area orientale è il
coagularsi di due entità politiche e culturali ben distinte: la Moscovia e la
Lituania. Dopo Kulikovo ha inizio a nord-est l’inarrestabile ascesa del
principato di Mosca, che nel XIV secolo consolida il proprio potere sul
territorio di Rostov-Suzdal’, nel XV conquista Novgorod e all’inizio del XVI
annette Rjazan’ e Pskov, estendendo così il proprio dominio a tutta l’area
orientale.
Contemporaneamente, le terre occidentali della Slavia orientale sono state
integrate nel Granducato di Lituania (tutti i territori dell’odierna Bielorussia,
gran parte dei territori ucraini: Volinia, Podolia, Polesia, regione di Kiev,
70
Il paleoslavo
Černigov, Novgorod Severskij, i territori russi occidentali: Smolensk,
Vjaz’ma) e nel Regno di Polonia (Galizia e parte della Volinia).
Ultimato il processo di unificazione delle terre russe orientali, e caduta nel
1453 Costantinopoli in mano ai Turchi ottomani, Mosca si sente protagonista
di una translatio imperii che fa di lei la terza Roma; nel 1492 l’attesa fine del
mondo attualizza antiche profezie, secondo le quali alla fine dei tempi la
Grecia e la Moscovia si sarebbero scambiate di posto. La Moscovia guarda
ormai a se stessa come alla guida indiscussa del mondo ortodosso.
In questa nuova atmosfera culturale hanno inizio le proteste contro i
serbismi, i bulgarismi e i grecismi (cfr. le accuse di Nil Kurljatev a Kiprian e le
sue proteste contro le forme slavomeridionali nella prefazione al Salterio
tradotto da Maksim Grek88, e le analoghe proteste contro le “parole vecchie e
straniere” (starye i inostranskie poslovicy) che oscurerebbero il significato del
testo, cioè contro grecismi e slavomeridionalismi, da parte di Dosifej
Toporkov nella prefazione al Sinajskij Paterik89). Le affermazioni del monaco
Chrabr e di Giovanni Esarca sulle differenze tra slavo e greco oscurano la
popolarità del trattato di Kostenecki.
L’ortografia e l’ortoepia legati alla II Influenza slavo meridionale perdono
terreno: gli accenti tornano a indicare la reale pronuncia moscovita, <e > in
posizione iniziale di parola si pronuncia [je], <: > non si pronuncia [i], <i >
non si pronuncia [ı-], gli jer si pronunciano come suoni ridotti (mentre sono del
tutto muti in Rutenia), il cosiddetto ‘zijanie’ per cui si pronunciava [moa]
invece di [moja] viene deprecato e abbandonato, la differenziazione grafica
degli omonimi suscita proteste, scompare nuovamente lo jus (<\ >), le forme
non contratte dell’imperfetto, i nessi <r) >, <l) > in luogo di <or >, <ol >, il
88 Lo scarso gradimento per forme provenienti da esperienze linguistiche estranee al copista
non è una novità nella Slavia ortodossa: cahiers de doléances sono ricostruiti da G. Dell’Agata
nel suo “Unità e diversità nello slavo ecclesiastico: il punto di vista del copista” (in Studia
Slavica et Humanistica Riccardo Picchio dicata, Roma 1986, vol. I, pp. 176-191). Qui però non
si tratta più di copisti che lamentano difficoltà di comprensione, ma della rivendicazione della
superiorità dello slavo ecclesiastico di redazione russa su quello di altre redazioni: B. A.
Uspenskij, Istorija russkogo literaturnogo jazyka, cit., pp. 342-345.
89 B. A. Uspenskij, Istorija russkogo literaturnogo jazyka, cit., pp. 345-355.
Introduzione
71
vocativo con funzione di nominativo. Tra le questioni deliberate dal Concilio
del 1555 (Stoglav) al problema della riorganizzazione della chiesa si affianca
l’esigenza di un controllo scrupoloso delle traduzioni sacre: si assiste ai primi
tentativi di normalizzazione della lingua in vista di alcune colossali imprese
editoriali (la traduzione della Tolkovaja Psaltyr’, la raccolta di tutti i testi
cronachistici nella Nikonovskaja Letopis’ e di tutti quelli agiografici nei Čet’i
Minei di Makarij) e della progettata introduzione della stampa. Maksim Grek,
coadiuvato da Nil Kurljatev e Dmitrij Gerasimov, effettua la revisione di
alcune vecchie traduzioni, sostituendo a forme marcatamente dotte equivalenti
“moderni” (per esempio A=G pl m vs:h) , ih) al posto di vsq , q ; il plurale al
posto del duale; il D m¢: al posto di mi ) e introducendo nel paradigma
dell’aoristo forme del perfetto. Non essendo uno slavo, Maksim non ha
nessuna ragione di preferire forme slave meridionali o rutene a forme
moscovite, e anzi in quanto greco critica l’indiscriminata introduzione di
strutture del greco nello slavo, così da rappresentare il primo vero paladino
dello slavo ecclesiastico di redazione moscovita.
La cosiddetta II Influenza slava meridionale si risolve così in Moscovia in
una deviazione transitoria dalla via maestra, quella del progressivo
adattamento dello slavo ecclesiastico alla realtà linguistica slava orientale e poi
moscovita: con la fine del XV secolo si torna di fatto alla norma slava
ecclesiastica precedente alla II Influenza :
nella produzione scritta moscovita della prima metà del XVI secolo i tratti
slavi meridionali sono sopravvivenze non sistematiche. Nella seconda metà
del XVI secolo la produzione scritta moscovita si è definitivamente liberata
dell’ortografia slava meridionale90.
I testi prodotti in questo periodo in Moscovia si dividono dal punto di vista
della lingua in tre gruppi: a) testi che si orientano sui testi modello e utilizzano
lo slavo ecclesiastico tradizionale; b) testi che si orientano sulla tradizione
ormai ben consolidata dello slavo ecclesiastico ibrido (agrammaticalità degli
indici dotti; estrema varjativnost’); c) testi che si orientano sulla grammatica, e
tentano di utilizzare uno slavo ecclesiastico grammaticalmente normalizzato.
90 V. N. Ščepkin, Russkaja paleografija, Moskva 1999, p. 146.
72
Il paleoslavo
Completamente diversa è la situazione rutena: là, in una situazione di
maggiore apertura e contatto con il resto della Slavia e con dotti greci, le
innovazioni legate alla II Influenza si radicano in profondità, arrivando a
modificare non solo l’ortografia, ma l’ortoepia dotta e, attraverso questa,
persino la pronuncia viva (per esempio quella dei nomi propri).
La diversa recezione della II Influenza slava meridionale determina così la
divaricazione dello slavo ecclesiastico russo in due redazioni: una moscovita,
che presenta tratti di maggiore continuità, e una rutena, maggiormente aperta
alle innovazioni.
11. La reinvenzione della grammatica
Alla fine del XVI secolo la questione dello slavo ecclesiastico torna a farsi
cruciale. Ancora una volta, come all’epoca di Cirillo e Metodio e poi all’epoca
di Eutimio, l’impulso alla riflessione linguistica nasce da uno stimolo
religioso: qui si tratta delle controversie che accompagnano la ricattolicizzazione della Polonia-Lituania, quando lo zelo della controriforma si appunta
non solo contro i riformati, ma anche contro gli ortodossi. L’accusa è quella
classica: i cattolici, per esempio il gesuita Piotr Skarga, nell’affermare
l’inferiorità culturale degli ortodossi ne individuano la causa nell’utilizzo dello
slavo ecclesiastico, una lingua barbara che nessun grammatico ha mai dotato
di una norma stabile, che fosse anche lontanamente paragonabile a quella delle
lingue classiche: il greco e il latino. Se la Riforma aveva stimolato in Rutenia
l’elaborazione di una lingua rustica (prosta mova) di immediata comprensione
popolare, la controriforma stimola la nascita di una nuova “dottrina
metalinguistica”, che afferma la “classicità” dello slavo ecclesiastico, la sua
dignità e il suo pieno diritto di affiancare il latino e il greco nella loro
contrapposizione alle lingue moderne. La necessità di una nuova codificazione
“universale” dello slavo ecclesiastico interessa d’altra parte anche i cattolici,
impegnati a riportare gli slavi a Roma dopo l’Unione di Brest (1596). Infine, a
rendere urgente la necessità di fissare norme certe interviene un altro
fenomeno di importanza epocale, legato anch’esso alla controversistica: la
diffusione delle tipografie e dei primi testi a stampa. Nel giro di pochi anni
Introduzione
73
vedono la luce la grammatica elleno-slava della Confraternita ortodossa della
Dormizione di Leopoli, ’Adelfovth" (Leopoli 1591), la Grammatika slovenska
di Lavrentij Zizanij (Vilna 1596), e soprattutto il Grammatiki slavenskija
pravil’noe sintagma di Meletij Smotrickij (Ev’e 1619), che segna una pietra
miliare nella storia dello slavo ecclesiastico: si chiude la fase “eutimiana”,
caratterizzata da preoccupazioni essenzialmente teologiche e ortografiche e
basata sulla teoria della non convenzionalità del segno linguistico, e se ne apre
una nuova, ispirata a criteri storici e filologici, destinata a protrarsi, con
qualche cambiamento, sino ai giorni nostri.
Nata in Rutenia, questa prima definizione grammaticale dello slavo
ecclesiastico accoglie e normalizza tratti che caratterizzavano la redazione
rutena rispetto a quella moscovita: maggiore fedeltà alle innovazioni della II
Influenza slava meridionale, accoglimento di fenomeni linguistici ruteni (per
esempio la pronuncia di <: > come [i]), specifiche modalità di differenziazione
della 2ª e della 3ª persona sg dell’aoristo e dell’imperfetto con paradigmi misti
del tipo pol<bih) , pol<bil) esi , pol<bi , tentativi di stabilire un legame
univoco tra il sistema di tempi passati dello slavo e quello del latino con
l’invenzione di un piuccheperfetto del tipo l<blivaah) 91.
12. La riforma di Nikon e la creazione di una nuova norma panrussa dello
slavo ecclesiastico
Alla metà del XVII secolo i moscoviti hanno bisogno di riorganizzarsi
dopo i Torbidi e di assumere a pieno titolo la funzione di una rinata Bisanzio,
sede dell’impero e, dal 1589, del patriarcato. Nonostante la sua complessità,
legata al succedersi di diverse fasi e di differenti posizioni, la riforma, nota
come knižnaja sprava, si lega tradizionalmente al nome del patriarca Nikon.
Ancora una volta modello di riferimento è la cultura greca, e tramite ne è
ancora una volta lo slavo meridionale, non più i Balcani ma la vicina Rutenia,
dove da tempo si studiava il greco, e da tempo era invalsa la pratica di
91 Una sorta di prontuario delle differenze tra slavo ecclesiastico di redazione rutena e
moscovita scaturisce dal confronto tra la prima edizione della Grammatica di Smotrickij (1619)
e la riedizione della stessa a Mosca nel 1648.
74
Il paleoslavo
verificare i manoscritti preparati per la stampa sulle edizioni greche delle
tipografie veneziane. A partire dagli anni ’40 si stampano in Moscovia i primi
libri ruteni, tra cui numerosi scritti di polemica antiprotestante e la
Grammatica di Smotrickij (1648), rivista e adattata alla norma moscovita (con
particolare attenzione all’eliminazione delle omonimie). Nel 1649 dotti ruteni
vengono invitati a Mosca per lavorare alla traduzione della Bibbia dal greco in
slavo ecclesiastico. Nel 1654 Kiev e tutta la riva sinistra del Dnepr sono
annesse alla Moscovia, e ha inizio un processo di riavvicinamento tra le due
culture che si può paragonare a quello che aveva visto protagoniste Roma e la
Grecia: l’Ucraina assoggettata trionfa sul rude vincitore. Mosca è invasa da
novità di impronta rutena: l’uso di pronunciare omelie in chiesa, l’introduzione
del dramma scolastico, della versificazione, dei sermoni panegirici. Nella
scrittura corsiva, nella pittura di icone, nel canto, nei particolari della vita
quotidiana degli ecclesiastici si adotta la prassi rutena. Dalla Rutenia si
importa l’idea della convenzionalità del segno e della possibilità di usi
metaforici della lingua, il gusto barocco, una diversa pronuncia dello slavo
ecclesiastico.
Uno degli eventi più traumatici della pur tempestosa storia russa consiste
dunque, a ben vedere, nel tentativo di livellare le differenze tra le due culture,
e, a livello linguistico, nella volontà di fondere la redazione moscovita dello
slavo ecclesiastico e quella rutena in una nuova norma panrussa, di
abbandonare una politica culturale isolazionista in nome di un nuovo
universalismo92. Le principali innovazioni linguistiche rivelano l’adesione a
modelli greci per ciò che riguarda la morfologia, la sintassi e il lessico (prestiti
e calchi), ruteni per ciò che riguarda la ortoepia e l’ortografia:
Innovazioni ortoepiche e ortografiche
- Paisìj > Paìsij, Michàil > Michaìl, Feòfan > Feofàn, Avvàkum > Avvakùm, Màrija >
Marìja, Manùil > Manuìl, Klimènt > Klìment, Nikola > Nikolaj (S. Nicola), Ivann > Ioann
(S. Giovanni)
92 N. N. Zapols’skaja, “Knižnaja sprava v kul’turno-jazykovych prostranstvach Slavia
Orthodoxa i Slavia Latina”, in Slavjanskoe jazykoznanie. XIII MKS, Ljubljana 2003. Doklady
rossijskoj delegacii, Moskva 2003.
Introduzione
75
Innovazioni ortoepiche e ortografiche
- vò věki > vo vě̀ki
- pronuncia degli jer: sempre muti, ma [o] nelle preposizioni
- pronuncia della <e> nei prestiti ebraici greci e latini come [e]
- adozione del grafema <ó> (ije s kratkoó) con pronuncia [j]
Pronunce rutene successivamente respinte
- <y> = [i]
- <:> = [i]
- <#> = [ft]
Scelte morfologiche e sintattiche orientate su modelli greci
- G di specificazione in luogo del D di appartenenza: vo v:ki v:kom) > vo v:ki
v:kov)
- G pl sempre distinto dal N sg con la terminazione -ov)
- G di specificazione in luogo dell’aggettivo: iva¢ov) otec| > otec| iva¢a 93
- sostituzione delle forme enclitiche del pronome personale con il possessivo: otec| mi >
otec| moó
- concordanza del pronome relativo nel caso retto dal verbo della principale (del tipo:
“parlami dei libri dei quali hai comprato”)
- limitazione nell’uso del possessivo svoó a favore di moó e di tvoó
- sostituzione della preposizione “o” + prepositivo con la preposizione “v”94
Le forme eliminate (Avvàkum, vò věki, Màrija, Ivanov otec) assumono per
sempre una valenza stilistica bassa.
Come è noto, la riforma di Nikon provocò fortissime resistenze, che
sfociarono infine nello scisma: la chiesa ortodossa adottò la nuova norma
linguistica, fondamentalmente risalente alla codificazione di Meletij, gli
scismatici continuarono e continuano tuttora ad utilizzare lo slavo ecclesiastico
di redazione moscovita e a ricopiare codici del XVI secolo.
Con l’annessione di tutta l’Ucraina all’impero russo la redazione panrussa
sostituì anche a Kiev quella rutena, conservata invece dalla chiesa cattolica di
93 In Smotrickij il G del nome è normativo quando il determinativo è a sua volta
determinato.
94 L’opportunità di preferire la preposizione ‘v)’ per rendere il greco ejn, sottolineata da
Smotrickij e accolta dai correttori nikoniani, suscitò infiammate proteste da parte degli
starobrjadcy, che difendevano l’uso tradizionale della preposizione ‘o’: v. B. A. Uspenskij,
Istorija russkogo literaturnogo jazyka, cit., pp. 461-462.
76
Il paleoslavo
rito greco nata con l’unione di Brest del 1596. Finalmente normalizzato nella
grammatica, lo slavo ecclesiastico può ormai essere utilizzato in zone della
Slavia anche molto lontane: l’uso dello slavo ecclesiastico di redazione rutena
viene imposto da Roma alle chiese glagolite croate, insieme alle pratiche della
chiesa uniate, a partire dal 163195.
D’altra parte, quando il governo austriaco preme sui serbi di Ungheria,
divenuti sudditi degli Asburgo, perché accettino l’unione con Roma, mettendo
la chiesa ortodossa serba in difficoltà con restrizioni alla stampa dei libri
necessari alla liturgia e alla preparazione del clero, è alla Russia che il
metropolita serbo chiede l’invio di maestri: dal 1726 lo slavo ecclesiastico
russo diventa lingua della chiesa e della letteratura serba, sacra e profana96.
Nel ’700 lo slavo ecclesiastico grecizzato della riforma nikoniana viene
progressivamente sottoposto a critiche per la sua “oscurità”: Polikarpov e
Prokopovič propongono una semplificazione morfologica e sintattica97 e
l’eliminazione di numerosi lessemi. Queste innovazioni sono accolte e trovano
applicazione nella cosiddetta Bibbia Elisabettiana (1751), libri sacri destinati
alla lettura e non all’uso liturgico. Da questo momento si stabilizzano due
registri di slavo ecclesiastico: quello della Bibbia del 1663, che risale alla
riforma di Nikon e la cui superiorità viene sancita dal Santo Sinodo nel 1769, e
quello elisabettiano, che si utilizza in alcuni testi non destinati all’uso
liturgico.
Dallo slavo ecclesiastico ibrido, privato degli indici dotti e passato
attraverso il vaglio dei dibattiti linguistici del XVIII secolo, nascerà invece il
russo moderno.
95 I. Banac, “Main Trends in the Croat Language Question”, in Aspects of the Slavic
Language Question, cit., vol. I, p. 205.
96 R. Katičić, “The making of Standard Serbo-Croat”, in Aspects of the Slavic Language
Question, cit., vol. I, p. 285.
97 Tra le forme eliminate ricordo il duale, la costruzione “&je con l’infinito”, sostituita
dall’infinito semplice, la 2ª persona sg dell’aoristo e dell’imperfetto, regolarmente sostituite
dalla 2ª sg del perfetto, alcune terminazioni della flessione pronominale.
Fonetica
1. Dal protoindoeuropeo al protoslavo
Il processo di dissoluzione dell’unità linguistica indoeuropea, durato
millenni, è ancora avvolto nell’oscurità, così come la storia delle migrazioni di
popoli cui si è accompagnato. Nel secolo scorso si immaginava che il tronco
comune si fosse diviso inizialmente in due rami, e questi ulteriormente in rami,
costituendo una sorta di albero genealogico delle lingue storiche. Oggi
l’immagine dell’albero, più volte abbandonata e ripresa, si può considerare
superata: si ritiene che la lingua comune abbia conosciuto una lunga
evoluzione, attraversando diversi stadi e varie forme di divisione dialettale
anche prima dell’inizio del processo di smembramento. Gruppi linguistici si
sarebbero quindi distaccati da questo tronco comune a scaglioni e, sulla base
di differenti stadi evolutivi della lingua comune, avrebbero innovato in modo
ora convergente, ora parallelo, con una cronologia su cui non esiste definitivo
accordo tra gli studiosi. Lo slavo avrebbe assunto una fisionomia riconoscibile
al termine del “periodo baltoslavo”, quando un sottogruppo dialettale (un
continuum di parlate) individuatosi nell’indoeuropeo intorno al III millennio
a.C., si sarebbe scisso nei due tronconi del protobalto e del protoslavo1.
2. Consonantismo
Il sistema fonologico i.e. comprendeva quasi certamente la fricativa dentale
1 Il problema della unità linguistica balto-slava, decisamente negata da molti studiosi in
favore della tesi di mutue influenze avvenute durante un lungo periodo di contatto, non ha
ancora trovato una soluzione definitiva: per lo status quaestionis si può vedere la “Breve sintesi
storica della ‘questione balto-slava’” in Pietro U. Dini, Le lingue baltiche, La Nuova Italia 1997,
pp. 127-138.
Il paleoslavo
78
sorda *s, quattro sonoranti (due nasali: *n, *m e due liquide: *l, *r)2 e un
inventario di occlusive molto discusso: la ricostruzione neogrammaticale3 ne
contava venti, prodotte in cinque diversi luoghi e distinte in quattro modalità
articolatorie:
sorde
sonore
non aspirate
aspirate
non aspirate
aspirate
labiali
p
ph
b
bh
dentali
t
th
d
dh
labiovelari
kw
kwh
gw
gwh
palatovelari
k’
k’h
g’
g’h
velari semplici
k
kh
g
gh
Questo schema venne presto messo in discussione (da Saussure), con
particolare riferimento alle aspirate sorde, poco rappresentate se non in
vocaboli onomatopeici e sospettate di essere allofoni. A partire da quel
momento il sistema delle occlusive è stato oggetto di numerosi studi, sfociati
negli anni ’70 nella teoria glottalica, che elimina dal sistema la serie aspirata
in favore di uno schema tripartito nei modi di articolazione sordo, sordo
glottalizzato e sonoro.
Al suo posto, tuttavia, si preferirà qui lo schema tripartito tradizionale, che
prevede un sistema formato da occlusive non aspirate sorde (*p, *t, *k),
occlusive non aspirate sonore (*b, *d, *g), occlusive aspirate (*bh, *dh, *gh).
Non sarà inoltre considerata la riduzione delle palatovelari, che toglie senso
alla visione di una frattura dialettale dell’indoeuropeo in lingue centum e
lingue satem4.
2 Le sonoranti (o sonanti, in opposizione a non sonoranti, o ostruenti) funzionano come
consonanti quando sono precedute o seguite da una vocale (cioè in posizione di margine di
sillaba) e funzionano come vocali in posizione interconsonantica (cioè quando sono centro di
sillaba): m
÷ , n÷, ÷l, r÷. Sonoranti si possono considerare anche i foni i, u, che hanno allofoni
asillabici postvocalici (le semivocali i‡, u‡) e prevocalici (le semiconsonanti j, w).
3 La scuola neogrammaticale fu fondata negli anni ’70 del XIX secolo da A. Leskien, H.
Osthoff, K. Brugmann e D. Delbrück. La definizione di “giovani grammatici” (Junggrammatiker) si deve a studiosi non appartenenti alla scuola, che intendevano così sottolineare
ironicamente la giovane età e la scarsa esperienza dei colleghi.
4 L’indoeuropeo avrebbe avuto in realtà due sole serie, velare e labiovelare (come le lingue
centum); le lingue satem avrebbero innovato.
79
Fonetica
3. Vocalismo
Anche sul vocalismo i.e. più antico non c’è accordo tra gli studiosi, che
ipotizzano inventari di una, due o quattro vocali più un numero variabile di
vocali ultrabrevi e dal timbro poco definito dette schwa. Per quanto riguarda
l’indoeuropeo tardo, invece, si postula la presenza di dieci fonemi vocalici,
cinque lunghi e cinque brevi: *a- , *e- , *o- , *ı-, *u- , *ă, *ĕ, *ŏ, *ı̆, *ŭ, classificati
secondo l’altezza in alti (*i, *u), medi (*e, *o) e bassi (*a) e secondo il luogo
di articolazione in anteriori, centrali e posteriori:
*-ı , *ı̆
*u- , *ŭ
*e, *ĕ
*o, *ŏ
*a- , *ă
Le vocali non alte in combinazione con le sonoranti potevano originare
trentasei dittonghi:
*a- i‡, *ăi‡
*e- i‡, *ĕi‡
*o- i‡, *ŏi‡
*a- u‡, *ău‡
*e- u‡, *ĕu‡
*o- u‡, *ŏu‡
*a- m, *ăm
*e- m, *ĕm
*o- m, *ŏm
*a- n, *ăn
*e- n, *ĕn
*o- n, *ŏn
*a- l, *ăl
*e- l, *ĕl
*o- l, *ŏl
*a- r, *ăr
*e- r, *ĕr
*o- r, *ŏr
4. Apofonia
La lingua indoeuropea era caratterizzata da un sistema di alternanza
vocalica grammaticalizzata, nota con il nome di ‘apofonia’, o ‘gradazione
vocalica’, o ‘alternanza vocalica’, o ‘Ablaut’ (in russo: čeredovanie glasnych).
“L’alternanza vocalica consiste nel fatto che nelle differenti unità
morfologiche (radici, suffissi e desinenze) le sonanti e le consonanti sono gli
elementi fissi, mentre le vocali sono quelli mutevoli. Se si sostituisce o si
sopprime una sola delle sonanti o delle consonanti che compongono radice,
suffisso o desinenza, se ne altera l’identità. Le vocali [invece] possono
alterarsi o essere sostituite senza altre conseguenze se non un cambiamento
della funzione morfologica di questa stessa unità”5. Per esempio, variazioni
apofoniche sono quelle del latino pendo ‘io peso’ vs pondus ‘peso’, tego ‘io
copro’ vs toga ‘toga’; analogamente in greco fero ‘io porto’ vs -foro
‘portatore’ (cfr. semaforo, termoforo), lego ‘io parlo’ vs logos ‘parola’.
5 F. Villar, Gli indoeuropei e le origini dell’Europa, Bologna 1997, p. 243.
80
Il paleoslavo
All’apofonia si deve l’alternanza del tipo facio (‘faccio’, presente) vs feci
(‘feci’, perfetto), sto (‘sto’, presente) vs steti (‘stetti’, perfetto), che dal latino
passa all’italiano. Grazie all’apofonia si formano i paradigmi verbali inglesi
del tipo drink, drank, drunk.
“Alternanza vocalica significa, dunque, la capacità che hanno le vocali di
alternarsi in uno stesso elemento morfologico senza che questo perda la sua
identità. Tuttavia, non tutte le vocali sono in grado di far parte di questo gioco
alternativo. La modalità principale, che potremmo definire standard,
comprende e/o/e- /o- /ø, che deve essere inteso come l’inventario massimo”6.
Le variazioni apofoniche all’interno di uno stesso elemento morfologico si
definiscono ‘gradi vocalici’. Una stessa radice, quando la serie è completa,
6 Ibidem. L’esistenza di catene apofoniche “anomale” (a/o/a-/o-; a-/o-/ƒ; o-/ƒ), sommata alla
anomalia nella correlazione tra vocali brevi in alcune lingue indoeuropee (che veniva spiegata
con la presenza di vocali i.e. ultrabrevi e dal timbro poco definito: ƒ1 e ƒ2), e rapportata
all’anomalia nella struttura di certe radici (CV oppure VC invece di CVC) ha portato Saussure a
intuire la presenza di un antico fonema successivamente eliminato: “La lucida intuizione di
Saussure consistette nel rendersi conto che i tre tipi di anomalia erano in relazione tra loro ed
erano suscettibili di una spiegazione complessiva. Infatti, le radici nelle quali manca la prima
consonante sono le stesse nelle quali si verifica il tipo di alternanza vocalica anomala a/o/a-/o-. E
le radici nelle quali manca la seconda consonante sono le stesse nelle quali si verifica il tipo di
alternanze anomale o-/ƒ. Infine, le corrispondenze vocaliche anomale che davano luogo alla
ricostruzione dello, o degli, schwa sono quelle stesse nelle quali si verificano le alternanze
anomale e nelle quali manca soprattutto la seconda consonante” (Ivi, p. 244). Il fonema
misterioso x, che Saussure chiama “coefficiente sonantico”, avrebbe occupato i margini della
radice (xVC; CVx), restituita così alla sua struttura abituale, e nello scomparire avrebbe avuto la
capacità di alterare il timbro della vocale che lo precedeva o lo seguiva. Questa ipotesi di
Saussure permette di ridurre tutte le serie alternanti irregolari al tipo standard: “a-/o-/ƒ sarebbero
state in uno stadio anteriore ex/ox/øx; e a/o/a-/o- sarebbero state xe/xo/xe-/xo-. Da ciò si potevano
trarre varie deduzioni: 1) le vocali lunghe delle serie irregolari (a-, o-) derivavano dalla
contrazione (o dall’allungamento compensativo?) di un’antica vocale breve della serie regolare
(e, o) con i fonemi in questione; 2) tali fonemi potevano alterare il timbro di tali vocali (per es.
*ex > a-); 3) nel grado ø (zero) dell’alternanza regolare (cioè quando non c’è nessuna vocale), x
era capace di assumere la funzione di vocale, apparendo di fatto nelle lingue storiche trasformata
in una vocale, generalmente /a/, ma in sanscrito /i/ e in greco a volte /a/, a volte /o/” (Ivi, p. 245).
La teoria dei “coefficienti sonantici”, successivamente battezzati “consonanti laringali” da
Møller, ha trovato una formulazione oggi classica in Benveniste, che ipotizza un inventario di tre
laringali responsabili dei seguenti mutamenti fonetici: ƒ1e > e, ƒ2e > a, ƒ3e > o; eƒ1 > e-, eƒ2 > a-,
eƒ3 > o-.
81
Fonetica
presenta tre gradi: normale (o medio), forte (o pieno) e ridotto. Il grado
normale è rappresentato dalla vocale e (e, ei, eu); il grado forte dalla vocale o
(o, oi, ou; per questo viene anche definito ‘grado o’); il grado ridotto presenta
sonoranti o esiti di schwa, ma può anche essere caratterizzato dall’assenza di
qualsiasi vocale (‘grado zero’). Esiste infine il ‘grado allungato’, in rapporto di
apofonia quantitativa con il grado medio (e/e- ) e forte (o/o- ).
5. Trasformazioni del consonantismo (occlusive e fricative)
Il primo passo verso la dissoluzione dell’unità i.e. è costituito dal diverso
trattamento delle occlusive aspirate: baltoslavo, iranico, celtico e albanese
perdono l’aspirazione (le occlusive aspirate confluiscono con le sonore); in
greco le aspirate si conservano e si assordano, in latino si trasformano in
fricative sorde (*bh > [Φ], *dh > [Θ], *gh > [x], *gwh > [xw]); in seguito in
latino [Φ], [Θ], [xw] in posizione iniziale confluiscono nella fricativa
labiodentale sorda f, mentre in posizione interna [Φ] > b, [Θ] > d, [xw] > v (ma
gu dopo nasale); [x] si conserva in tutte le posizioni (ma > g dopo nasale) ed è
resa graficamente con <h>. Il germanico conosce una serie di trasformazioni
nota come “I rotazione consonantica”, che trasforma le occlusive sorde in
aspirate, le occlusive sonore in sorde e le occlusive aspirate in sonore:
PIE
t
d
dh
germanico
th
t
d
greco
t
d
th
baltoslavo, iranico, celtico e albanese
t
d
d
latino
t
d
f, d
Alle occlusive velari è legata la grande frattura dell’area indoeuropea in
due sottoinsiemi: il gruppo delle lingue centum (tocario, anatolico, greco,
italico, celtico e germanico) e il gruppo delle lingue satem (indoiranico,
baltoslavo, armeno e albanese).
Nel primo gruppo le palatovelari confluiscono con le velari semplici (*k’ >
*k; *g’ > *g; *g’h > *gh) e le labiovelari si conservano distinte:
*k
↓ ↙
*k
*k’
*kw
↓
*kw
Il paleoslavo
82
Nel secondo le labiovelari si fondono con le velari semplici (*kw > *k; *gw >
*g; *gwh > *gh), mentre le palatovelari passano da occlusive a fricative (*k’ >
*š; *g’ > *ž; *g’h > *ž). Quindi, mentre le lingue centum possiedono due serie
di occlusive velari (*k, *g, *gh e *kw, *gw, *gwh), le lingue satem ne
possiedono solo una (*k, *g, *gh):
*k’
↓
*š
*k
↓
*k
*kw
↙
Le fricative palatali (scibilanti) *š, *ž, comparse in baltoslavo come esito di
*k’, *g’ e mantenute tali dal lituano, si trasformeranno (nelle altre lingue
baltiche e slave) nelle fricative dentali (sibilanti) s, z (cfr. hiems, bulgaro зима,
lituano žiemà ‘inverno’; decem, bulgaro десет, lituano dešimt ‘dieci’). Prima
che il processo si compia ha luogo però, nell’area orientale del gruppo satem
(indoiranica e baltoslava), la ‘retroflessione della *s’: la fricativa dentale sorda
preceduta da *i, *u, *r, *k e seguita da vocale o da sonorante sposta il proprio
luogo di articolazione all’indietro, verso il palato: *s > *ś. Gli esiti ulteriori
segnano la fine del periodo baltoslavo nel consonantismo. La *ś infatti passa a
š nelle lingue indoiraniche e in lituano; torna a s nelle altre lingue baltiche
(lettone e antico prussiano), passa a x in slavo (legge di Pedersen):
lingue indoiraniche e lituano
*s > *ś > š
lettone, anticoprussiano
*s > *ś > s
protoslavo
*s > *ś > x
La retroflessione della *s indica che il processo di satemizzazione si è
compiuto in fasi diverse. Se essa fosse avvenuta dopo la trasformazione delle
scibilanti in sibilanti, le nuove dentali ne avrebbero seguito le sorti e si
sarebbero retroflesse. Si suppone dunque una fase in cui le occlusive palatali
i.e. si trasformano in fricative e la dentale i.e. è ancora al suo posto:
occlusive
fricative
sorde
sonore
sorde
sonore
labiali
p
b
dentali
t
d
s
palatali
(k’)↓
(g’)↓
š
ž
velari
k
g
83
Fonetica
una fase intermedia, in cui la fricativa dentale preceduta da *i, *u, *r, *k e
seguita da vocale o da sonorante si retroflette (*s > *ś) e si trasforma (in
protoslavo) in fricativa velare:
occlusive
sorde
sonore
sorde
labiali
p
b
dentali
t
d
s→
fricative
sonore
palatali
→→→→→
š
ž
velari
k
g
→x
e una finale, in cui il processo di satemizzazione si conclude, e le fricative
palatali si trasformano in dentali:
occlusive
fricative
sorde
sonore
sorde
sonore
labiali
p
b
dentali
t
d
s←
z←
palatali
velari
k
g
x
← (š)
← (ž)
Il consonantismo del protoslavo si presenta dunque così modificato:
occlusive
fricative
labiali
p
b
sorde
sonore
sorde
sonore
dentali
t
d
s
z
velari
k
g
x
Alcuni esempi:
indoeuropeo7
latino
*p
pater
pes
*b
de-bilis
*bh
fero
frater
*t
tres
*d
duo
greco
pathvr
pwv" (dorico)
beltivwn
fevrw
trei`"
duvo
germanico
father
Fuss (ted.)
bring
brother
three
two
slavo
пеший (agg.) ‘a piedi’
более ‘più’
беру ‘prendo’
брат ‘fratello’
три ‘tre’
два ‘due’
7 Quando non diversamente indicato (ted. = tedesco, got. = gotico, bulg. = bulgaro) si tratta
di voci inglesi (per le lingue germaniche) e russe (per quelle slave).
Il paleoslavo
84
*dh
*k
*k’
*kw
*g
*g’
fumus
cruor
centum
cor, cordis
quis
iugum
ego
co-gnosco
*gw
*gh
*g’h
*gwh
vita
hostis
hortus
hiems
formus
qumov"
kreva"
eJkatovn
kardiva
tiv"
zugovn
ejgwv
gi-gnwvskw
gunhv
bivo"
hundred
heart
who
yoke
ik (got.)
know
queen
guest
garden
cei`ma
qermov"
warm
дым ‘fumo’
кровь ‘sangue’
сто ‘cento’
серд(це) ‘cuore’
к(то) ‘chi’
иго ‘giogo’
аз ‘io’ (bulg.)
знаю ‘so’
жена < *g-ena ‘donna’
жизнь < *g-iznß ‘vita’
гость ‘ospite’
город ‘città’
зима ‘inverno’
гор(ячий) ‘ardente’
6. Trasformazioni del consonantismo (sonoranti)
La natura della sonorante (funzione sillabica, cioè vocalica, o non sillabica,
cioè consonantica) è determinata dal contesto: in presenza di altre vocali la
sonorante si comporta come una consonante; inserita in posizione interconsonantica diventa apice di sillaba (funzione vocalica): r÷, ÷l (cfr. croato smrt
‘morte’).
Verso la fine del periodo baltoslavo le sonoranti liquide e nasali in
posizione sillabica sviluppano vocali d’appoggio (*ı-,*u- ,*ı̆,*ŭ) generando
sedici nuovi dittonghi che si aggiungono ai trentasei della lingua comune
indoeuropea: *ı-m, *ı-n, *ı-l, *ı-r, *u- m, *u- n, *u- l, *u- r, *ı̆m, *ı̆n, *ı̆l, *ı̆r, *ŭm, *ŭn,
*ŭl, *ŭr. La nasale labiale si dentalizza quindi in baltoslavo in posizione finale
di parola: cfr. i.e. *sm
÷ -, *som, protoslavo *sŭ(n) ‘con’; i.e. *kom-, protoslavo
*kŭ(n) ‘verso’.
In protoslavo, secondo la ricostruzione della maggioranza degli studiosi, la
vocale lunga dei trentasei dittonghi i.e. e dei sedici più recenti sarebbe
divenuta breve (ad esclusione dei casi in cui il dittongo in posizione davanti a
vocale si era sciolto nella sequenza VC), mentre la lunghezza avrebbe
caratterizzato il dittongo nella sua interezza. L’inventario dei dittonghi si
sarebbe quindi ridotto a ventisei, tutti lunghi, ma diversi dal punto di vista
dell’intonazione.
85
Fonetica
7. Intonazione
Il protoslavo conosce due tipi di intonazione, una acuta o ascendente (´),
per cui la vocale accentata si pronuncia con un lieve innalzamento del tono
della voce, e una circonflessa o discendente (~), per cui la vocale accentata si
pronuncia con un lieve abbassamento della voce.
Tutte le vocali brevi erano circonflesse (discendenti) e tutte le vocali
lunghe erano acute (ascendenti): l’intonazione era quindi un fatto automatico e
non marcato.
I dittonghi potevano avere intonazione sia acuta che circonflessa: in
presenza di vocali etimologicamente lunghe l’accento cadeva sulla vocale
stessa, prima componente del dittongo, che riceveva così un’intonazione acuta.
In presenza di vocali brevi l’accento si distribuiva in modo più uniforme sulle
due componenti del dittongo, che riceveva così una intonazione circonflessa.
8. Trasformazioni del vocalismo
La fine del periodo baltoslavo è segnata dall’apertura dei suoni vocalici: in
protoslavo le vocali *o e *a confluiscono nella vocale posteriore bassa e
labializzata [å]; la *e si apre trasformandosi nella vocale anteriore bassa [æ]8.
Il vocalismo del tardo indoeuropeo
alto
medio
basso
anteriore
*ı-, *ı̆
*e- , *ĕ
*a- , *ă
*o- , *ŏ
posteriore
*u- , *ŭ
si trasforma nel seguente9:
alto
basso
anteriore (non labializzato)
*ı-, *ı̆
*e-, *ĕ
posteriore (labializzato)
*u-, *ŭ
*a-, *ă
Il nuovo sistema vocalico si riflette sui dittonghi: *o- i‡, *o- u‡ ecc. > *a- i‡, *a- u‡ ecc.
8 Il valore di questa nuova vocale aperta è poco chiaro. Gli studiosi indicano questo suono
con ä, ea, ia, eä, eäa. Cfr. M. Enrietti, “Il protoslavo *ě in Grecia”, in Europa Orientalis, XI
(1992: 2), pp. 157-170.
9 Per indicare le nuove vocali basse utilizzeremo i grafemi <a> per [å] e <e> per [æ].
Il paleoslavo
86
Successivamente, ossia quando si compie la perdita della quantità vocalica, il
vocalismo subisce un’ulteriore modifica, legata alla trasformazione della
quantità in timbro (v. p. 105):
chiuse
*ı- >
*ı̆ >
*e- >
aperte
*ĕ >
(’)i
(’)ß
’a
(’)ě
(’)e
*u- >
*ŭ >
*a- >
y
∞
a
*ă >
o
Nel corso della nostra trattazione avremo a che fare con entrambi gli stadi
del vocalismo: quello antico interessato alle mutazioni descritte, e quello più
recente, testimoniato dal paleoslavo o da lingue slave moderne.
9. Dal protoslavo allo slavo comune tardo
Due principi sovraintendono a tutte le mutazioni dello slavo: la tendenza
all’armonia sillabica e la tendenza alla sonorità crescente, di cui è
manifestazione cruciale la legge della sillaba aperta.
La sonorità crescente implica che all’interno di ogni sillaba gli elementi più
sonori devono trovarsi alla fine della sillaba stessa. In altre parole, tutte le
sillabe devono terminare per vocale o per sonorante, e quella finale di parola
sempre in vocale. Per ottenere questo risultato, quando non sia possibile
spostare i confini di sillaba, si rendono necessarie le seguenti trasformazioni:
a) i nessi consonantici in inizio di sillaba si semplificano e si assimilano, le
consonanti finali di parola cadono;
b) i dittonghi costituiti da vocale-semivocale si trasformano in vocali
lunghe (monottonghi);
c) i dittonghi costituiti da vocale-consonante nasale si trasformano in
monottonghi nasalizzati;
d) i dittonghi formati da vocale-consonante liquida si trasformano in
sequenze consonante-vocale con processi di metatesi e/o allungamento e/o
pleofonia;
e) i dittonghi derivati dallo sviluppo di una vocale protetica davanti a
sonorante si trasformano nuovamente in sonoranti.
87
Fonetica
In queste nuove sillabe aperte l’interazione tra vocale e consonante si fa più
stretta: i suoni di una sillaba si influenzano, tendono a avvicinare il proprio
luogo di articolazione in una nuova armonia sillabica (sinarmonismo). Si
realizzano le seguenti mutazioni:
a) palatalizzazione delle velari davanti a vocale anteriore;
b) iodizzazione (palatalizzazione delle consonanti davanti a jod);
c) metafonia delle vocali posteriori dopo consonante palatale.
10. La I palatalizzazione
Si definisce I palatalizzazione la trasformazione operata dalle vocali
anteriori *ı-, *ı̆, *e- , *ĕ sulla consonante velare che le precede. Il fenomeno
riguarda le due velari k e g e la fricativa velare x, nata dalla retroflessione della
fricativa dentale i. e.: k > č, g > ≈ˇ > ž, x > š: *gwe- n- > *ge- n- > *žĕn- (je¢a
‘donna’); *kwe- tu- r- > *ke- tu- r- > *čĕtyr- (~et¨re ‘quattro’); *teis- > *tis- > *tix(legge di Pedersen) *tix-in- > *tiš-in- (ti{i¢a ‘silenzio’; cfr. tih) ‘calmo’).
Successivamente, unica eccezione alla tendenza all’armonia endosillabica,
dopo queste nuove consonanti palatali *e- > [’a] in tutti i dialetti slavi, esclusi
quelli macedoni cui si ispira l’alfabeto glagolitico (v. p. 106):
*krik-e- -ti ‘gridare’ >
glagolitico: kriEAti (kričěti)
cirillico: kri~ati (kričati)
La palatalizzazione riguarda anche i nessi *sk, *zg, *kt (*gt) davanti a
vocale anteriore, con esiti differenziati che in paleoslavo coincidono con quelli
della iodizzazione delle dentali: *sk > š’t’; *kt > š’t’; *zg > ž’d’10.
10
In altre aree slave questo è vero solo per il nesso *kt:
*sk >
*sč’ >
*š’č’ >
*zg >
*z≈ˇ ’ >
*ž’≈ˇ ’ >
*kt >
*t’t’ >
*š’t’š’ >
*s’t’s’ >
š’č’ [š’t’š’]
š’t’
ž’≈ˇ ’ [ž’d’ž]
ž’d’
slavo orientale + polacco
slavo meridionale + ceco e slovacco
slavo orientale + polacco
slavo meridionale + ceco e slovacco
š’t’
t’š’
t’s’
slavo meridionale
slavo orientale
slavo occidentale
Dubbi sono stati avanzati relativamente all’esito di *sk e *kt nei dialetti macedoni: sia il
grafema glagolitico R (combinazione di S e di E), sia l’ortoepia dello slavo ecclesiastico di
Il paleoslavo
88
11. La iodizzazione
Contemporanea alla I palatalizzazione è la iodizzazione, cioè la
palatalizzazione di tutte le consonanti davanti alla semiconsonante j
(iodizzazione viene appunto dal nome del grafema <j>: jod), allofono di i (i‡)
consonantizzato in posizione prevocalica (tautosillabica) (v. nota 2).
a) le consonanti velari si comportano come davanti a vocale anteriore, cioè
il loro comportamento non è diverso in posizione davanti a *ı-, *ı̆ o davanti a j
< *i‡: *pre- dŭ-tek-ja > pr:d)te~a ‘precursore’; *vĕlı̆-mog-ja > vel|moja
‘uomo di potere’; *dux-ja > dou{a ‘anima’.
I nessi *sk, *zg, *kt davanti a jod si comportano come davanti a vocale
anteriore, cioè coincidono in paleoslavo con gli esiti della iodizzazione delle
dentali (ma non in altre lingue slave: v. note 10 e 11).
b) le fricative dentali (sibilanti) si trasformano nelle fricative palatali
(scibilanti) š, ž, che a seguito di ciò cessano di funzionare come allofoni
(varianti di posizione) delle velari e diventano fonemi indipendenti: cfr. N sg f
¢oga ‘gamba’ vs G sg m ¢oja ‘del coltello’; G sg m douha ‘dello spirito’ vs N
sg f dou{a ‘anima’.
c) le labiali sviluppano una l epentetica: questo fenomeno riguarda la
totalità della Slavia in posizione iniziale di parola (*bheudh- > russo блюдо,
bulgaro блюдо, antico polacco bluda ‘piatto’) mentre è diffusa solo in alcune
zone della Slavia nel confine di morfema: *g’hem-ja > russo земля, bulgaro
antico земля, bulgaro moderno земя, polacco ziemia ‘terra’. Successivamente
alla piena consonantizzazione di u‡ (v. p. 92) lo stesso processo coinvolge la
labiodentale v: loviti ‘dare la caccia’, 1ª sg lovl+ ‘io do la caccia’.
d) le dentali producono riflessi diversi nelle varie zone della Slavia11, con
redazione orientale [šč’] farebbero pensare che nella zona di Salonicco l’esito *kt, *sk + vocale
anteriore fosse [š’č’], e che missionari originari di quella zona possano aver importato questa
pronuncia nella Slavia orientale (v. B. A. Uspenskij, Istorija russkogo literaturnogo jazyka,
Moskva 2002, p. 134).
11 Gli esiti delle lingue slave moderne sono i seguenti: slavo occidentale c’e ≈’ (z’ in Ceco e
in Sorabo); slavo orientale č’e ž. Lo slavo meridionale è molto variegato:
bulgaro
macedone
št, žd
k’, g’
serbo e croato
sloveno
ć’, ∂’
č’, j
89
Fonetica
un processo tardo, forse preceduto da una fase comune in cui *tj > *t’ (o *ć’) e
*dj > *d’ (o *dź’). In paleoslavo *tj > št’, *dj > žd’. I nessi *stj, *zdj si
comportano come *skj, *zgj : š’t’, ž’d’.
Le liquide, la labiovelare e la nasale dentale, iodizzate, possono iodizzare la
consonante che le precede:
*slj >
*zlj >
*snj >
*znj >
*trj >
*drj >
*strj >
*zvj >
šl’
žl’
šn’
žn’
štr’
ždr’
štr’
žvl’
*mysljo˛ > myšl’o˛
*v∞zljubjo˛ > v∞žl’ubl’o˛
*k∞snjo˛ > k∞šn’o˛
*k∞znjo˛ > k∞žn’o˛
*xytrjo˛ > xyštr’o˛
*mo˛drjo˛ > mo˛ždr’o˛
*ostrjo˛ > oštr’o˛
*jazvljo˛ > jažvl’o˛
m¨{l+
v|jl<bl+
k){¢+
k)j¢+
h¨{tr+
m\jdr+ s(
o{tr+
qjvl+
‘io penso’
‘io amo’
‘io ritardo’
‘io tramo’’
‘io escogito’
‘io faccio il furbo’
‘io acuisco’
‘io ferisco’
12. Metafonia palatale
In protoslavo l’anteriorità è incompatibile con il tratto di labialità12. Dopo j
le vocali labializzate (posteriori) spostano la propria articolazione in avanti e si
delabializzano: *ju- > *jı-, *ja- > *je- , *jŭ > *jı̆, *jă > *jĕ: *ju-go-m > *jigo > igo
‘giogo’.
13. Monottongazione dei dittonghi in semivocale
La tendenza alla sonorità crescente e la conseguente legge della sillaba
aperta determinano la necessità di abolire le sequenze vocale-semivocale.
L’elemento semivocalico si sposta all’inizio della sillaba seguente se questa
inizia in vocale: *poi‡-e-t∞ > po&t) (po-i‡e-t∞) ‘lui canta’13. Se invece la sillaba
seguente comincia in consonante, il dittongo si trasforma in una vocale lunga
anteriore, se la semivocale è anteriore, in una vocale lunga posteriore se la
semivocale è posteriore:
12 Sono intrinsecamente labializzati i foni vocalici posteriori (u, o); i foni vocalici anteriori
possono esserlo in altre lingue (i, e, e arrotondate: y, ø, œ), ma non in protoslavo.
13 La vocale che cessa di essere componente di un dittongo di intonazione ascendente, e che
come si è visto avrebbe ridotto secondo alcuni studiosi la propria quantità vocalica all’interno
del dittongo, in questa circostanza si riallunga.
Il paleoslavo
90
*a- i‡, *ăi‡
*a- u‡, *ău‡
*e- i‡, *ĕi‡
*e- u‡, *ĕu‡
>
>
>
>
anteriore
*e- , *ı*ı-
posteriore
*u*’u-
La nuova *u- (*u- 2), fortemente labializzata, non viene metafonizzata da jod:
sviluppa invece un intacco molle, venendo così a coincidere con l’esito della
monottongazione dei dittonghi *e- u‡, *ĕu‡: al D sg bratou (brat-u) corrisponde il
D sg pol< (pol’-u).
*a- i‡
*ăi‡
*e- i‡
*ĕi‡
*a- u‡
*ău‡
*e- u‡
*ĕu‡
+V
aj
+C
ě
ě
oj
i
ěj
i
*ej > ßj i
av
u
ov
u
ěv
ju
ev
ju
kaqti s( ‘pentirsi’ // c:¢a ‘prezzo’ (radice *kwo- i- : *kwei-)
g¢oi (gnojß) ‘marciume’ // g¢:v) ‘collera’
stoli (*stol-o-i) N pl m ‘troni’; ¢esi (*nes-o-i-s) imperativo sg. ‘porta’
s:qti ‘seminare’ // sito (radice *se- i-) ‘setaccio’
viti ‘avvitare’ // 1ª sg v|+ (radice *u‡ei-) ‘io avvito’
slava ‘fama’ // slouti ‘avere fama, essere detto’
slovo ‘parola’ // slouti ‘avere fama, essere detto’
r<ti ‘ruggire’ // rev\ ‘io ruggisco’14
La vecchia *u- indoeuropea, scalzata dal suo luogo articolatorio, si
delabializza.
In posizione davanti a C e # si trasforma nella vocale centrale alta non
arrotondata [ı--], resa in cirillico con il grafema <y >, <¨ > (‘jery’), in
translitterazione <y>: *u- + C, # > *ŭŭ > *ŭi <∞i> l<b¨ (‘amore’ N sg f).
In posizione davanti a vocale si trasforma in un dittongo: *u- + V > *ŭŭ >
*ŭu‡ <∞v > l<bov| (‘amore’ A sg f).
Delabializzandosi, la vocale rigetta la propria labialità alla propria sinistra.
Nel corpo della parola questo può riflettersi sulla articolazione della
14 L’alternanza tra gli esiti del dittongo davanti a vocale e davanti a consonante nel confine
tra morfemi (del tipo p:ti ‘cantare’, po+ ‘io canto’, verovati ‘credere’, verou+ ‘io credo’,
plouti ‘navigare’, plov\ ‘io navigo’) non va confusa con l’alternanza vocalica radicale (v. p.
79). Esempio: il tema dell’infinito *smi- alterna con il tema del presente *sme-i- nel verbo
smiqti s( ‘ridere’, 1ª sg sm:+ s( ‘io rido’. Dal grado forte della stessa radice *smoi- si
forma invece per monottongazione il sostantivo sm:h) ‘riso’.
Fonetica
91
consonante che precede (v. p. 101 per la mancata palatalizzazione delle velari
in posizione di III palatalizzazione se seguite da ∞, y < *u- , *ŭ). In posizione
iniziale (dopo silenzio) la labialità riceve una articolazione autonoma sotto
forma di protesi (approssimante labiovelare e poi fricativa labiodentale, v. p.
92 e nota 25). Nessuna parola slava inizia con ∞, y < *u- , *ŭ.
La monottongazione dei dittonghi ha conseguenze sull’intonazione,
giacché le nuove vocali lunghe che derivano da dittonghi con intonazione
circonflessa la conservano su di sé: se prima le vocali brevi erano tutte
circonflesse (discendenti) e le vocali lunghe erano tutte acute (ascendenti), e
quindi l’intonazione era un fatto automatico e non marcato, adesso si
oppongono vocali lunghe ascendenti a vocali lunghe discendenti.
14. La II palatalizzazione
Davanti alle nuove vocali anteriori nate da monottongazione (*e- 2, *ı-2) le
velari subiscono nuovi processi di palatalizzazione: k > c’, g > ≈’ (z’), x > s’:
kaisar (< caesar) > *ke- sar > c:sar| (russo царь) ‘zar’; *kwoi‡n- > c:¢a
‘prezzo da pagare’ (cfr. greco poinhv, lat. poena). La affricata sonora ≈’ (dz’),
che forse conosce ab origine una diffusione areale, si semplifica presto in
fricativa dentale sonora (z’): il N pl m m)¢o™i (< *mŭnog-ı-2) ‘molti’ può
ricorrere nei testi del canone nella forma m)¢oæi . Nella Slavia meridionale la
II palatalizzazione si verifica anche quando tra le velari e le nuove vocali *e- 2,
*ı-2 si frapponga la labiodentale v: *ku‡ > cv, *gu‡ > zv: cv:t) ‘fiore’, æv:æda
‘stella’.
La II palatalizzazione di k, g, x interessa soprattutto la flessione nominale
(N pl m, L sg e pl m, DL sg f, NA duale f, L sg e pl n, NA duale n): N sg m
vl|k) ‘lupo’, pl. vl|ci . Diversamente da quanto era avvenuto davanti alle
vocali anteriori indoeuropee, davanti a *e- 2, *ı-2 la palatalizzazione non riguarda
l’elemento fricativo dei nessi sk, zg: k) gor: eleo¢|sc : ‘verso il monte degli
Ulivi’. Si osserva però l’esito sk > st, e zg > zd dovuto alle semplificazione
delle affricate: sk > sc’ (sts’) > st, zg > z≈’ (zdz’) > zd: rim|st:i cr|k)vi ‘alla
chiesa romana’.
92
Il paleoslavo
15. Consonantizzazione delle semivocali
Come abbiamo visto, le vocali alte i, u si comportano come sonoranti: in
posizione interconsonantica o tra consonante e silenzio (inizio e fine di parola)
sono apice di sillaba, in posizione pre- e postvocalica realizzano gli allofoni j e
w, i‡ e u‡ asillabici.
A seguito dei processi sin qui esaminati in protoslavo lo statuto delle due
vocali si modifica: *i‡ e *u‡ semivocali postvocaliche (ricorrenti come secondo
elemento di dittongo) scompaiono, assorbite nel nuovo monottongo o spostate
all’inizio della sillaba seguente. Si conservano invece le semiconsonanti jod
(approssimante palatale), se non inglobata nella consonante iodizzata (infinito
*nos-i-ti, part. pass. passivo *nos-i-en- > *no-sjen- > ¢o{e¢) ‘portato’) e wau
(approssimante labiovelare) in posizione prevocalica.
Non più allofoni di i, u, queste semiconsonanti hanno destini diversi: jod
resta un’approssimante palatale, non sempre evidenziata a livello grafico; wau
si dentalizza, trasformandosi nella labiodentale v (*medŭ-e- dß > *me-dwědß >
medv:d| ‘orso’):
sequenza
C-j-V
V-i‡-C
V-i‡-V
C-w-V
V-u‡-C
V-u‡-V
tipo di mutamento
iodizzazione della consonante e metafonia palatale della vocale (se posteriore)
monottongazione del dittongo
spostamento del confine di sillaba, trasformazione di i‡ > j, metafonia della
vocale (se posteriore), trasformazione di ĕ > ß (ej > ßj)
spostamento del confine di sillaba e dentalizzazione w > v
monottongazione del dittongo
spostamento del confine di sillaba e dentalizzazione di u‡ > v
La dentalizzazione riguarda anche la *u‡ protetica che si sviluppa in
posizione iniziale di parola davanti a ∞, y < *u: *u- k- > *u‡u- k- > *vyk-:
¢av¨k¢\ti ‘imparare’ (cfr. russo навык ‘abito mentale’ e привычка
‘abitudine’; la radice *u- k- alterna con *ouk- da cui ou~iti , ‘insegnare,
ammaestrare’, cfr. russo наука ‘scienza’); *u- ps- > *u- s- > *u‡u- s- > *vys-:
v¨sok) ‘alto’; *ŭp-, *u‡ŭp- > *v∞p-: v)piti ‘gridare, lamentarsi’ e v)pl|
‘grido, lamento’ (cfr. italiano upupa, l’uccello diurno così chiamato per il
grido lugubre e monotono che emette).
Fonetica
93
16. Semplificazione dei nessi consonantici
La sillaba slava nel periodo della apertura della sillaba può terminare
esclusivamente in vocale se è finale di parola: droug) ‘amico’ (dru-gŭ), je¢a
‘donna’ (že-na), selo ‘villaggio’ (se-lo). Può terminare anche in sonorante se è
interna alla parola: vr|h) ‘sommità’ (vr÷-xŭ).
Le consonanti che seguono l’ultima vocale in fine assoluta di parola
cadono, modificando a volte timbro o quantità della vocale (v. p. 104). Le
consonanti che si trovano alla fine della sillaba nel corpo della parola passano
alla sillaba successiva e si comportano a seconda della sequenza di consonanti
che viene così a crearsi.
La vocale può essere preceduta da un numero massimo di quattro
consonanti (di cui la quarta può essere esclusivamente jod). Non esistono
consonanti doppie.
La sequenza di consonanti nella sillaba deve rispettare il principio della
sonorità crescente: nessuna consonante che venga a trovarsi davanti alla
consonante di un gruppo situato alla sua sinistra (cioè meno sonora) o davanti
a una consonante del suo stesso gruppo (cioè di uguale sonorità) può rimanere
in quella posizione (eccezione: gd).
minima sonorità =============================== > massima sonorità
s, z, š, ž
p, b, t, d, k,
v, m, n
l, r
j
vocali
g, x, č, c, ≈
In qualità di quarta consonante può ricorrere solo jod, e solo dopo n, r, l,
che si palatalizzano. Le consonanti palatalizzate n’, r’, l’ non vengono indicate
da grafemi appositi né in glagolitico né in cirillico, ma possono essere
segnalate dalla vocale iodizzata; inoltre, la sequenza che termina in n’, r’, l’
non può iniziare con una fricativa dentale (sibilante), ma solo con le fricative
palatali (scibilanti) š, ž.
Nei nessi che comprendono consonanti dei primi due gruppi queste devono
essere entrambe sonore o entrambe sorde (st, št, sk, sp / zd, žd, zg, zb). Le altre
consonanti (v, m, n, l, r, j) non sono interessate alla opposizione sordità vs
sonorità.
94
Il paleoslavo
Davanti a s, z, š, ž qualunque altra consonante cade: bes)mr|t|¢)
‘immortale’, v:s) (*ved-s-∞) ‘portai’, 1ª sg dell’aoristo sigmatico di vesti
‘portare’ (v. p. 180), i{|d) (*iæ{|d) ) ‘uscito fuori’, ostoqti (*obstoqti )
‘circondare’, ost\piti (*otst\piti ) ‘fare un passo indietro’, ra{iriti
(*raæ{iriti ) ‘allargare’. La semplificazione ha luogo anche nei sintagmi
composti da preposizione e sostantivo: beæ)lob¨ (*beæ æ)lob¨ ) ‘senza
cattiveria’, besrama (*beæ srama ) ‘senza vergogna’, is¨¢a (*iæ s¨¢a ) ‘dal
figlio’. Unica eccezione: zž > žd: *raæje}i > rajde}i ‘infiammare’.
Se una fricativa del primo gruppo precede una consonante del secondo in
una parola composta o in un sintagma avvengono le seguenti trasformazioni:
– davanti a p, t, k, x la fricativa sonora si desonorizza (z > s): ispasti
(*iæpasti ) ‘decadere’, iskoupiti ‘riscattare’, ishoditi ‘uscire’, vesti
(*veæti ) ‘condurre’, bestrouda (*beæ trouda ) ‘senza sforzo’, v)s ~|to
(*v)æ ~|to ) ‘di che cosa’;
– davanti a c [ts] la fricativa sonora si desonorizza in fricativa sorda (z > s),
la fricativa sorda può mantenersi al suo posto o cadere, ovvero l’intero nesso si
semplifica (sts > st): *iz-cěliti > isc:liti , ic:liti , ist:liti ‘risanare’;
– davanti a č [tš] la fricativa tende a cadere, oppure l’intero nesso si
desonorizza e si semplifica (stš > št): *bez-čislßn∞ > be~isl|¢) , be}isl|¢)
‘innumerevole’;
Se una fricativa del primo gruppo precede una consonante del terzo (r, l)
davanti alla vibrante r l’articolazione del nesso è aiutato dalla inserzione di
una dentale sorda o sonora (sr > str, zr > zdr): *s-ru-ja > strouq ‘corrente’,
*os-r-∞ > ostr) ‘acuto’; raædr:{iti (*raær:{iti ) ‘sciogliere, assolvere’,
beædr\kou (*beæ r\kou ) ‘senza le mani’.
Se due consonanti del secondo gruppo si vengono a trovare vicine, la prima
delle due cade: *othoditi > ohoditi ‘andare via’, *otkr¨ti > okr¨ti
‘scoprire’, *pogrebti > pogreti ‘seppellire’, con tre importanti eccezioni:
– due dentali contigue si dissimilano (tt, dt > st): *ved-ti > vesti ‘portare’;
– il nesso kt (gt) davanti a vocale anteriore > št: *rek-ti > re}i ‘dire’,
*mog-ti > mo}i ‘potere’;
– nel nesso bv cade la labiodentale (bv > b): *obviti > obiti ‘avvolgere’.
Fonetica
95
Se le consonanti del secondo gruppo precedono consonanti nasali e liquide
si verificano le seguenti semplificazioni:
– il nesso skn si semplifica con la caduta della velare (skn > sn): *těskn∞ (<
*toi‡sk-n-∞) > t:s¢) ‘stretto’;
– p, b, t, d cadono davanti a m, n: s)¢) < *s∞p-n-∞, ‘sonno’; v:m| < * vědmı̆ ‘io so’. Fa eccezione il prefisso ob: ob¢oviti ‘rinnovare’, ob¢ajiti
‘denudare’;
– i nessi dl, tl > l in slavo meridionale e orientale. Successivamente alla
metatesi e alla ricomparsa delle sonoranti si riformano gruppi tla, tlě, dla, dlě,
tl÷, dl÷, quando ormai nessi del tipo tl, dl sono ammissibili e perciò non soggetti
a semplificazione.
Davanti a un’altra consonante nasale la prima cade senza lasciare traccia:
ko¢∞| ‘cavallo’ < *kon- < *komn-.
17. Dittonghi in nasale
A partire dalla fine del periodo baltoslavo il protoslavo conosce sedici
dittonghi in nasale, di cui otto continuano le sonoranti *n÷ e *m
÷ 15: *a- n; *e- n; *ı-n
< *n÷’; *u- n < *n÷; *a- m; *e- m; *ı-m < *m
÷ ’; *u- m < *m
÷ ; *ăn; *ĕn; *ı̆n < *n÷’; *ŭn <
*n÷; *ăm; *ĕm; *ı̆m < *m
÷ ’; *ŭm < *m
÷.
Davanti a vocale il dittongo viene reinterpretato come sequenza vocaleconsonante (VC), e la consonante è inglobata nella sillaba seguente: *sŭpn-ŭ-s
> s)¢) ‘sonno’.
Davanti a jod si formano le palatali n’, ml’, che entrano a far parte della
sillaba che segue: *g’hem-ja > æemlq ‘terra’.
Davanti alle restanti consonanti e davanti a silenzio (#) il comportamento
del dittongo varia a seconda della sua collocazione nella parola.
In posizione interconsonantica il dittongo si monottonga formando una
vocale nasale anteriore se l’elemento vocalico del dittongo era anteriore,
15 Come abbiamo detto (v. p. 84) secondo la ricostruzione di alcuni studiosi la vocale che
compone il dittongo in posizione davanti a consonante e silenzio (cioè in tutti i casi in cui il
dittongo non si scioglie in una sequenza VC) è sempre breve, mentre il dittongo nel complesso è
sempre lungo.
96
Il paleoslavo
posteriore nell’altro caso: *e- n, *e- m, *ı-n, *ı-m, *ĕn, *ĕm, *ı̆n, *ı̆m si
monottongano in e˛: *mems- > m(so ‘mensa’ e ‘carne’; *kn÷- > *čin- > ¢a~(ti
(< *na-čin-ti; cfr: *na-čin-a-ti > ¢a~i¢ati ) ‘cominciare’; *a- n, *a- m, *u- n, *u- m,
*ăn, *ăm, *ŭn, *ŭm si monottongano in o˛16: *ang- > \g)l) ‘angolo’.
Questa nuova vocale posteriore, come *u- 2, non è metafonizzata da jod: a
¢og\ (nog-o˛) ‘piede’ (A sg f) corrisponde æeml+ (zeml’o˛) ‘terra’ (A sg f).
In posizione finale di parola (davanti a silenzio) la nasale viene assimilata
nella articolazione della vocale che la precede se questa è lunga, cade senza
lasciare traccia se questa è breve (ulteriori modifiche del vocalismo che
intervengono in posizione finale di parola davanti a nasale v. p. 106): *n÷-me- n
> *ı̆n-me- n > *ı̆-me- n > *jı̆me- n > im( ‘nome’17; *ŭn > *u‡ŭn > v) ‘in’.
La n di *v∞n, *s∞n, *k∞n si conserva tuttavia in un contesto particolare,
ovvero nell’unione con il pronome dimostrativo *i (< *jß; v. p. 150).
Nell’unità accentuale costituita dal sintagma preposizione-pronome la nasale
si iodizza e passa a fare parte delle forme del pronome: k) ¢&mou ‘verso di
lui’, v) ¢&m| ‘in lui’, s) ¢∞i m| ‘con lui’. Quando *v∞n, *s∞n sono prefissi fusi
con il sostantivo in una sola parola (esempio: v)¢\tr| avv. ‘dentro’) la n si
conserva anche davanti a vocale: v)¢(ti , s)¢(ti .
18. Sviluppo di jod protetico
La tendenza alla sonorità crescente favorisce lo sviluppo di una protesi
davanti alle vocali in posizione iniziale di parola (dopo #): non potendo più
fare sillaba con la consonante che segue, la vocale rimane isolata e fa sillaba a
sé. Può sviluppare allora a sinistra uno jod protetico che ne permetta
l’andamento crescente. Questa protesi si sviluppa regolarmente davanti alle
vocali anteriori indoeuropee (*ı-,*ı̆,*e- ,*ĕ) e davanti alla nuova vocale nasale
anteriore e˛, anche se la presenza dello jod non è sempre evidenziata a livello
grafico:
16 I grafemi e˛, o˛ sono frutto di una convenzione che si basa sull’alfabeto glagolitico; in
realtà non è detto che in tutte le aree della Slavia le nasali fossero fonemi medio-alti.
17 Questa etimologia non è accettata da tutti gli studiosi.
97
Fonetica
iti (jiti) ‘andare’
im\ (jßmo˛) ‘io prendo’
:dro / qdro ‘nucleo’
est| / &st| ‘è’
(æ¨k) / `æ¨k) ‘lingua’
j+i=i
j+ß=i
j + e- = ’ě (glagolitico) /ja
j + ĕ = je
j + e˛ = je˛
Quanto alle vocali posteriori, alcuni studiosi (Seliščev) ipotizzano che tutte
le parole in *a- abbiano sviluppato in protoslavo uno jod protetico, perdendolo
poi in alcuni dialetti, che quelle in *u- 2 e in *o˛ lo abbiano sviluppato
saltuariamente (o dialettalmente) e che quelle in *ă non lo abbiano sviluppato
mai18. Nei codici paleoslavi la grafia : (q ) è sporadica (qko ‘come’); può
ricorrere dopo la congiunzione i , soprattutto quando intervocalica (i > j):
v)pro{\ i :æ) v¨ per v)pro{\ i aæ) v¨ , “interrogherò anche io voi”19.
19. Dittonghi in liquida.
Il protoslavo conosce due tipi di dittonghi in liquida: quelli formati con le
vocali alte *ı-, *u- , *ı̆, *ŭ, che continuano le sonoranti i.e. *r÷, *l÷, e quelli formati
con le vocali basse *a- , *e- , *ă, *ĕ, che continuano i dittonghi i.e. *a- l, *a- r, *e- l,
*e- r, *o- l, *o- r, *ăl, *ăr, *ĕl, *ĕr, *ŏl, *ŏr20.
18 Svilupperanno più tardi protesi labiodentali in alcune lingue (cfr. osm| ‘otto’ > russo
восемь).
19 Nella Slavia orientale sono rarissime le parole senza protesi (solo alcuni prestiti, la
congiunzione a, l’interiezione ah), pochi esiti anomali della metatesi delle liquide del tipo
alkati ‘essere affamato, digiunare’). La presenza e l’assenza di jod protetico servono a
contrapporre lessemi dotti quali aæ) ‘io’, ag¢ec) ‘agnello’, <rod) ‘folle santo’ (in paleoslavo
\rod) ‘scemo’), <tro ‘mattina’, e lessemi popolari quali q(æ)), qg¢ec), ourod), outro
(la contrapposizione di <ou> e <<> assume valore solo dopo la II influenza slavo meridionale).
20 Come abbiamo detto (v. p. 84) non c’è omogeneità di vedute sulla quantità della vocale
che compone i dittonghi. Secondo Seliščev, Chaburgaev, Aitzetmüller essa diventa sempre
breve nel momento in cui entra a far parte del dittongo, e si riallunga in alcuni dialetti nel corso
della risoluzione dello stesso. Van Wijk parla di metatesi o pleofonia dei dittonghi or, ol, er, el.
Schenker, Radovich, Enrietti ricostruiscono la risoluzione dei dittonghi in liquida distinguendo
tra vocali lunghe e brevi:
*a-r
→
*ra- (> ra)
*ar →
*ăr
→
*ră (> ro)
98
Il paleoslavo
I dittonghi in liquida (VR, dove R indica qualsiasi liquida21) potevano
occorrere in posizione iniziale (dopo silenzio), internamente alla parola
(davanti a vocale o davanti a consonante) o in fine di parola.
In fine di parola (davanti a silenzio) il dittongo è risolto con la caduta
delle consonanti liquide. Davanti a vocale è reinterpretato come sequenza
vocale-consonante (VC) con spostamento del confine di sillaba: *měr-i-ti >
m:riti (mě-ri-ti) ‘misurare’. Davanti a jod si formano le palatali r’, l’ che
fanno sillaba con la vocale seguente: *měr-i-o˛ > m:r+ (mě-r’o˛) ‘io misuro’.
Davanti a consonante l’anomalia della loro posizione, contraria alla legge della
sonorità crescente, viene risolta mediante il ricorso alla metatesi: *mel-ti >
ml:ti (mlě-ti) ‘macinare’, *mel-jo˛ > mel+ (me-l’o˛) ‘io macino’.
La metatesi si verifica inizialmente in posizione iniziale di parola (#VRC)
con esiti poco differenziati nelle diverse lingue slave: la sequenza #a- RC, #ăRC
(unico esempio attestato della formula #VRC) viene risolta come *Ra- C, *RăC.
La differenziazione dialettale riguarda la quantità vocalica, e viene descritta
diversamente (fatta salva la coincidenza degli esiti) in base alla ricostruzione
della quantità della vocale all’interno del dittongo.
Secondo la ricostruzione di chi assume la diversa quantità vocalica delle
sequenze #a- RC, #ăRC i dialetti slavi settentrionali mantengono la distinzione
tra vocale lunga e vocale breve, mentre quelli meridionali allungano la vocale
breve conservandone l’intonazione circonflessa. Chi crede nella riduzione *a- R
> *ăR afferma invece che in posizione dopo silenzio la metatesi delle liquide è
complicata nei dialetti slavi orientali e occidentali (cioè in tutti i dialetti
settentrionali) dall’allungamento sotto intonazione acuta (ex vocali lunghe),
mentre nei dialetti meridionali l’allungamento si verifica sotto entrambe le
intonazioni:
21 Sono possibili diversi sistemi di simbolizzazione, che riflettono diverse convenzioni: a) le
vocali possono essere indicate nella loro forma protoslava più antica (*a, *e, *i, *o, *u) in quella
intermedia (*æ, *å, *i, *u) o in quella tarda, slavo-comune (a, o, i, ß, y, ∞, e, ě); b) le consonanti
possono essere indicate con t, T, oppure C; c) le liquide possono essere indicate con un solo
simbolo: R. Le sigle *ort, *tolt sono equivalenti alle sigle #VRC (silenzio + vocale + liquida +
consonante), CVRC (consonante + vocale + liquida + consonante).
99
Fonetica
protoslavo
*ăruı̆n*ălkŭt*a- rdl*a- lkăm-
russo
рóвный
лóкоть
рáло
лáкомый
polacco
równy
∏okieć
rad∏o
∏akomy
ceco
rovný
loket
rádlo
lakomý
serbo
rávan
la£kat
ra¥lo
la¥kom
paleoslavo
rav|¢)
lak)t|
ralo
lakom)
Uno stadio successivo vede la soluzione dei dittonghi generati da sonoranti,
ovvero delle sequenze del tipo Cı-RC, Cu- RC, Cı̆RC, CŭRC.
In una prima fase, comune a tutte le lingue slave, la vocale si perde e la
funzione vocalica (sillabica) ritorna sulla sonorante, che può essere dura o
molle22 a seconda della qualità della vocale perduta e di intonazione acuta o
circonflessa a seconda della lunghezza (quantità) della vocale perduta23. La
trasformazione ulteriore si colloca alla fine del periodo slavo comune, quando
la legge della sillaba aperta comincia a non essere più operante e i dialetti di
alcune aree della Slavia sviluppano nuovamente vocali protetiche.
Le sequenze del tipo Ce- RC, Ca- RC, CĕRC, CăRC (CVRC) sono tra le
ultime a mutare. I loro esiti sono differenziati dialettalmente, e testimoniano da
un lato la contrapposizione di una slavia meridionale e di una slavia
settentrionale, dall’altro la frattura di questa seconda in due grandi aree,
orientale e occidentale.
Nei dialetti slavi meridionali e in quelli occidentali del sud (progenitori del
ceco e dello slovacco) i dittonghi sono eliminati tramite metatesi. Secondo la
ricostruzione di chi assume la effettiva presenza di una diversa quantità
vocalica nelle sequenze Ca- RC, CăRC, la metatesi è complicata con
l’allungamento della vocale breve: CRe- C, CRa- C. Chi crede alla riduzione *a- R
> *ăR afferma che in posizione interconsonantica la metatesi delle liquide è
complicata dall’allungamento sotto entrambe le intonazioni.
22 Si definiscono dure le consonanti la cui articolazione può coesistere con l’articolazione
delle vocali posteriori all’interno della stessa sillaba; si definiscono molli le consonanti (palatali
e palatalizzate) che formano sillaba esclusivamente con le vocali anteriori, o con le nuove vocali
del protoslavo che pur essendo posteriori possono sviluppare un intacco molle.
23 Queste sonoranti vengono rese graficamente in paleoslavo dai nessi <r|> <r)> <l|>
<l)>.
Il paleoslavo
100
In area settentrionale i dittonghi sono risolti con l’introduzione di una
vocale epentetica che crea una sequenza bisillaba del tipo CVRVC
(trasformazione nota con il nome di “pleofonia” (polnoglasie):
– in slavo orientale la sequenza è del tipo CV1RV2C, dove V1 è la vocale
originaria, sempre breve, mentre V2 è una vocale epentetica breve alta,
omorganica a V1, il cui sviluppo successivo coincide con quello degli jer in
posizione forte (v. p. 108). La diversa intonazione si riflette nella diversa
accentazione: laddove l’intonazione dei dittonghi era acuta (vocale lunga) oggi
in russo abbiamo la pronuncia -oró-, -eré-, -oló- (ворóна, вперëд, болóто)24.
Laddove l’intonazione dei dittonghi era circonflessa (vocale breve) oggi in
russo abbiamo la pronuncia -óro-, -ére-, -ólo- (гóрод, бéрег, гóлод).
– in slavo occidentale (esclusi i dialetti del sud, progenitori del ceco e dello
slovacco) la sequenza è del tipo CV2RV1C, dove V1 è la vocale originaria e V2
una vocale epentetica breve alta, omorganica a V1, il cui sviluppo successivo
coincide con quello degli jer in posizione debole (v. p. 108):
protoslavo
*gărd*u‡a- rn*bĕrg*be- rz*găld*ba- lt*mĕlk-
russo
гóрод
вoрóна
бéрег
берëза
гóлод
болóто
молокó
polacco
gród
wrona
brzeg
brzoza
g∏ód
b∏oto
mleko
serbo
gra£d
vra¥na
bre£g
bre¥za
gla£d
bla¥to
mléko
paleoslavo
grad)
*vra¢a
br:g)
*br:æa
glad)
blato
ml:ko
In questa ultima fase dello slavo comune tardo una nuova trasformazione
attende anche le sequenze del tipo Cı-RC, Cu- RC, Cı̆RC, CŭRC. Nei dialetti
slavi meridionali e in quelli occidentali del sud (progenitori del ceco e dello
slovacco) le sonoranti si conservano e le molli confluiscono con le dure: r÷, ÷l.
In slavo orientale le sonoranti non si conservano, *r÷ e *r÷’ hanno esiti distinti
[∞r], [ßr], mentre *l÷’ confluisce con *l÷ per la velarizzazione della liquida: [∞∏];
gli jer si vocalizzano come jer forti ([e], [o]). In slavo occidentale le sonoranti
24 Ce-lC, CĕlC confluiscono con Ca-lC, CălC in slavo orientale, in polabo e in casciubo (per
la velarizzazione della liquida).
101
Fonetica
non si conservano, gli esiti di *r÷’, *l÷’ non sono uguali a quelli di *r÷, *l÷, gli jer
si mantengono molto a lungo e si vocalizzano con criteri diversi da quelli degli
jer forti e dipendenti dal contesto articolatorio:
protoslavo
*sr÷’p*tr÷g*vl÷’k*sl÷n-ı̆k*gr-÷dl*plø÷’n-
slavo or.
sßrp∞
t∞rg∞
v∞lk∞
s∞lnßce
g∞rlo
p∞ln-
russo
сéрп
тóрг
вóлк
сóлнце
гóрло
пóлный
polacco
sierp
targ
wilk
s∏ońce
gard∏o
pe∏ny
serbo
sr£p
tr£g
vu£k
su£nce
gr¥lo
pu¥n
paleoslavo
sr|p)
tr)g)
vl|k)
sl)¢|ce
gr)lo
pl|¢)
20. La III palatalizzazione
Lo stesso esito che si ottiene per II palatalizzazione davanti alle nuove
vocali anteriori si può ottenere quando la velare viene a trovarsi dopo le vocali
anteriori indoeuropee *ı-, *ı̆, dopo le nuove vocali anteriori *ı-2, e˛ (< *in, *im),
dopo la nuova sonorante r÷ (< *ir; questa ultima condizione non è accettata da
tutti gli studiosi) e non è seguita da consonante o da *u- , *ŭ25: k > c’, g > ≈’
(z’), x > s’. Se nelle altre due palatalizzazioni l’azione della vocale è regressiva
(agisce cioè da destra verso sinistra), qui la vocale anteriore ha un’azione
progressiva, agisce cioè sulla velare che la segue.
L’identità degli esiti della II e della III palatalizzazione e la difficoltà di
definire le condizioni della realizzazione di quella progressiva hanno
ingenerato grandi discussioni sulla cronologia relativa delle palatalizzazioni
(chiamate I, II, III da Baudouin de Courtenay).
Alcuni ritengono che la cosiddetta III palatalizzazione sia anteriore alla II,
o addirittura sia la più antica delle tre. A favore citano igo (< *i‡ug-ŏ-m)
‘giogo’, che dimostrerebbe come la palatalizzazione progressiva non sia più
operante nel momento in cui le vocali posteriori si metafonizzano dopo jod:
25 Le vocali alte posteriori *u-, *ŭ, che sono in via di delabializzazione, rigettano la loro
labialità sulla consonante velare che le precede; la labializzazione (che corrisponde
acusticamente a una bemollizzazione, cioè all’abbassamento del secondo formante), rende
impossibile la palatalizzazione (che corrisponde acusticamente alla diesizzazione, cioè
all’innalzamento del secondo formante). In posizione dopo silenzio la labialità ‘rigettata’ si
manifesta sotto forma di protesi: *u‡∞- > v|-, *u‡y > v¨-.
102
Il paleoslavo
per questo igo e non *i™o . Argomentazione topica a favore del fatto che la III
palatalizzazione avrebbe preceduto la II sono le forme del tipo ot|ci (L sg di
ot|c| ‘padre’). Questo sostantivo in *ŏ (*ŏtikŏs) dovrebbe avere al L sg la
terminazione -ě < *ai‡. La terminazione -i sarebbe prova della metafonia *ă >
*ĕ dopo consonante palatalizzata per III palatalizzazione (*ăi‡ > *ĕi‡ > -i):
*otßkăi‡ > *otßc’ăi‡ > *otßc’ĕi‡ > ot|ci . Se la velare si fosse palatalizzata per II
palatalizzazione (k > c’ davanti a ě < *ai‡) si sarebbe ottenuto *ot|c:.
La maggior parte degli studiosi è però di opinione contraria. Forme tipo
r:ka , k)¢(™| , mr|cati valgono a corroborare la tesi secondo cui la III
palatalizzazione sarebbe una trasformazione tarda: se infatti la palatalizzazione
avesse preceduto la monottongazione dei dittonghi avremmo avuto *r:ca (<
*răi‡ca < *răi‡ka); ugualmente in k)¢(™| , mr|cati le condizioni per la III
palatalizzazione si creano solo dopo l’apertura delle sillabe e la conseguente
formazione di nuove vocali nasali e nuove sonoranti (prima la velare è
preceduta da consonanti: *kŭningos, *mı̆rkati). Per quanto riguarda la forma
ot|ci , i sostenitori dell’anteriorità della II palatalizzazione ritengono trattarsi
di analogia morfologica (dopo il passaggio k > c’ sostantivi del tipo ot|c|
seguono in tutto la declinazione di tipo molle) e citano a proprio favore forme
quali v|s:h) (G pl del pronome v|s| ): se fosse vera l’ipotesi dell’anteriorità
della III palatalizzazione dovremmo avere G pl *v|sih) (< *vßs’ĕi‡x∞ < *vßs’ăi‡x∞ < *vßx-ŏi‡x∞). La forma v|s:h) dimostra invece che il passaggio *ăi‡ > ě e
la palatalizzazione di x > s’ per II palatalizzazione (davanti a vocale di origine
dittongale) è precedente alla III palatalizzazione. I sostenitori della prima
ipotesi spiegano le forme del tipo v|s:h) come frutto di analogia morfologica.
Il livellamento del tema è invocato dagli studiosi di questo orientamento a
spiegare il comportamento dei paradigmi nominali in generale: se condizione
di non realizzazione della III palatalizzazione è la presenza di ∞, y < *u- , *ŭ
dopo consonante velare dovremmo avere N sg *k)¢(g| , *ot|k) , di contro ai G
sg k)¢(™q (k∞ne˛≈’a) e ot|cq (otßc’a). La scarsa economicità di un
paradigma in cui la consonante radicale appare ora come occlusiva velare, ora
come affricata dentale, è evidente. Meno evidente è perché in alcuni casi si
generalizzi l’occlusiva, in altri l’affricata. L’analogia morfologica potrebbe
Fonetica
103
forse combinarsi a considerazioni di carattere semantico: così il suffisso -ikcompare in entrambe le forme (-ik- e -ic-), specializzandosi per generi
(occlusiva velare per il maschile, affricata dentale per il femminile26).
21. Nuova metafonia palatale
Dopo le nuove consonanti molli le vocali posteriori di ascendenza
indoeuropea diventano anteriori: *a- > *e- , *u- > *ı-; *ă > *ĕ, *ŭ > *ı̆.
Successivamente nei dialetti che si riflettono nell’alfabeto cirillico la *ederivata dalla metafonizzazione di *a- si aprirà in una nuova realizzazione, [’a],
indicata con <a > o con il nuovo grafema: <q > (v. p. 107):
22. Slavia settentrionale e Slavia meridionale
La II e la III palatalizzazione non riguardano la totalità della Slavia; come
la semplificazione del nesso tl, dl, o la presenza di l epentetica nel confine di
morfema, esse riflettono la frattura della Slavia in due zone, una meridionale
(sud-orientale) e una settentrionale (nord-occidentale), più arcaica27, periferica
rispetto al centro propulsore delle innovazioni:
Slavia sud-orientale
II pal.: k > c’, g > ≈’ (z’), x > s’
c:l) ‘intero’; ¢a rouc: ‘sul braccio’;
¢a ¢o™: ‘sulla gamba’; s:r) ‘grigio’
*ku‡ > cv, *gu‡ > zv
cv:t) ‘fiore’; æv:æda ‘stella’
III pal.: k > c’, g > ≈’ (z’), x > s’
*vı̆x- > *vı̆s’> v|s| ‘tutto’
Slavia nord-occidentale
II pal.: k > k, g > g, x > x (Novgorod)
k:le ‘intero’; ¢a rouk: ‘sul braccio’; ¢a ¢og:
‘sulla gamba’; h:re ‘grigio’
*ku‡ > kv, *gu‡ > gv
kv:te ‘fiore’, gv:æda ‘stella’ (Novgorod)
květ, hvězda (ceco), kwiat, gwiazda (polacco)
III pal.: k > c’, g > ≈’ (z’), x > x, š’
x = x: v|h| (Novgorod)
x > š’: wszystek, wszystko (polacco)
26 Alla luce del comportamento del suffisso -ik- Chaburgaev propone questa riformulazione
delle condizioni della III palatalizzazione: dopo i, ß, e˛, r÷ davanti alla vocale aperta a.
27 Cfr. F. V. Mareš, “Die Tetrachotomie und doppelte Dichotomie der slavischen
Sprachen”, in Wiener Slavistische Jahrbuch 26 (1980), pp. 33-45; M. Enrietti, “L’apertura e la
richiusura delle vocali in protoslavo”, in Europa Orientalis VI, 1987, pp. 7-24, e Id., “Di una
concordanza dello slavo settentrionale col baltico (a proposito di jat’ terzo)”, in Res Balticae,
1996, pp. 39-49.
Il paleoslavo
104
A questo punto il sistema consonantico del protoslavo presenta il seguente
aspetto (assumo la tesi di una fase intermedia *t’, *d’, non considero l’esito
dei nessi *sk, *zg, ecc. davanti a vocale anteriore e j, indico tra parentesi i
fonemi presenti solo in parti della Slavia):
occlusive
fricative
affricate
nasali
liquide
approssimanti
labiali
p
b
v
m
dentali
t
d
s(’)
z(’)
c’
≈’
n
rl
palatali
t’
d’
š’
ž’
č’
(≈ˇ ’)
n’
r’ l’
j
k
x
velari
g
(g)
23. Fine della parola
In fine di parola si notano alcune particolarità, legate all’indebolimento
dell’articolazione. Come si è già detto, dentali, fricative e liquide finali di
parola cadono, la nasale viene assimilata nell’articolazione della vocale che la
precede se questa è lunga, cade senza lasciare traccia se questa è breve. Le
vocali tendono a chiudersi: *mate- r > mati ‘madre’ N sg28, le consonanti molli
induriscono, metafonizzando le vocali che le seguono: *-t’ı̆ antica desinenza
della 3ª persona sg e pl diventa *-tŭ (v. p. 162).
Davanti alle desinenze *-s (N sg m) e *-n (A sg e G pl di tutte le classi
flessive) la vocale posteriore breve *ă (*å < *ŏ) aumenta la labializzazione:
*brat-ăs > *brat-ŭs > brat) N sg e *bratăn > *bratŭn > brat) ‘fratello’ A sg e
G pl.
Davanti alla desinenza *-ns (A pl di tutte le classi flessive) la vocale
posteriore breve *ă (*å < *ŏ) aumenta la labializzazione: *ă > *ŭ, la vocale
posteriore breve *ŭ si allunga: *ŭ > *u- . La vocale anteriore breve *ı̆ si allunga:
*ı̆ > *ı-. Quando la desinenza *-ns si trova dopo consonante (Cns) la nasale
interconsonantica diventa sillabica: l’elemento vocalico sviluppato dalla
sonorante diventa anch’esso lungo: Cns > Cn÷s > Cı̆ns > Cı-ns > Cı-:
28 Alcuni studiosi ritengono invece che la terminazione del nominativo singolare *-te- < *-te- r
sia stata rimpiazzata da -ti per analogia con i femminili in *i.
105
Fonetica
*ŏ
*a*ŭ
*ı̆
*C
-ăns > -u- ns > u-a- ns > u- ns > u-ŭns > -u- ns > u-ı̆ns > -ı-ns > -ı
-Cns > -Cn÷s > -Cı̆ns > Cı-
*bratăns > bratu*gora- ns > goru*su- nŭns > su- nu*kostı̆ns > kostı*materns > materı-
brat¨
gor¨
s¨¢¨
kosti
materi
‘fratelli’
‘montagne’
‘figli’
‘ossa’
‘madri’
Per ciò che riguarda i temi in *jŏ, *ja- , il comportamento della vocale dopo
jod e davanti a s, n, ns non è coerente: davanti a s, n la labializzazione precede
la metafonia, ovvero lo jod interviene al termine del processo di labializzazione e perdita della nasalità, metafonizzando la terminazione del tipo duro:
*jăs > *jŭs > *j∞ > ’ß; *jăn > *jŭn > *j∞˛ > *j∞ > ’ß; *ja- n > *jo˛ > ’o˛.
Davanti a ns la metafonia precede la labializzazione, che non ha luogo. La
vocale anteriore breve *jĕ (< *jŏ) si allunga, quindi *je- ns (< *jŏns) e *je- ns (<
*ja- ns) > -je˛29:
*jŏ
*ja-
-jăs > -jŭs > -j∞
-jăn > -jŭn > -j∞˛ > -j∞
-jăns > -jĕns > -je- ns > -je˛
-ja- n > -jo˛
-ja- ns > -je- ns > -je˛
*konjăs > kon’ß
*konjăn > kon’ß
*konjăns > kon’e˛
*zemja- n > zeml’o˛
*zemja- ns > zeml’e˛
ko¢∞|
ko¢∞|
ko¢`
æeml+
æeml`
‘cavallo’ N sg
‘cavallo’ A sg
‘cavalli’ A pl
‘terra’ A sg
‘terre’ A pl
Nella declinazione agisce fortissimo il principio dell’analogia morfologica,
così che spesso la spiegazione di una terminazione non va ricercata nei
processi fonetici: per esempio il N sg dei sostantivi neutri in *ŏ dovrebbe
coincidere con l’A sg m: *sel) < *sel-ŏ-n. Invece i neutri adottano la
terminazione -o della flessione pronominale: selo ‘villaggio’ (v. p. 120).
24. Trasformazione della quantità in timbro
L’ultima mutazione del tardo protoslavo è legata alla defonologizzazione
dell’opposizione di quantità (non è più possibile l’esistenza di una coppia
lunga/breve con i medesimi tratti distintivi di tensione30, compattezza31,
29 La vocale anteriore lunga si comporta diversamente nella Slavia orientale, dove *je- ns >
*je (jat’ terzo): *konjăns > ko¢:, ‘cavalli’ A pl, *zemja- ns > æeml:, ‘terre’ A pl.
30 Si definisce teso un segmento prodotto con maggiore energia articolatoria e con
caratteristiche acustiche (di intensità, timbro, durata) maggiormente rilevate rispetto al suo
corrispettivo non teso (o rilassato).
Il paleoslavo
106
labialità). La differenza tra le due vocali (differenza che si lega a diversi
significati: per esempio *su- nŭ ‘figlio’, *sŭnŭ ‘sonno, sogno’) deve essere
fondata sulla qualità del suono.
La diversificazione qualitativa delle vocali alte avviene in base al tratto di
tensione: le vocali lunghe più tese, quelle brevi meno tese: *ı- > i, *ı̆ > ß, *u- >
y, *ŭ > ∞.
La diversificazione qualitativa delle vocali basse avviene secondo diverse
modalità. Per le vocali posteriori tratto distintivo è la labialità: *ă > o
(accentuazione della labializzazione) *a- > a (perdita della labializzazione e
aumento dell’apertura). In quanto alla coppia *ĕ / *e- , i dialetti riflessi
nell’alfabeto glagolitico mostrano i seguenti esiti: la breve più chiusa (*ĕ > e),
la lunga più aperta (*e- > æ)32. Il grafema A indica in glagolitico un suono
vocalico aperto che continua sia *e- dopo consonante non palatale (m:sto <
*me- t-t-o ‘posto’, cfr. latino me- ta), sia *e- dopo consonante palatale (kri~:ti <
*krik-e- -ti), sia *e- 2 di origine dittongale (c:¢a < *ka- i‡-na), sia *e- derivante dalla
metafonizzazione di *a- dopo consonante palatale (mo: < *măi‡-a):
*ı- >
*ı̆ >
*ĕ >
*e- >
(’)i
(’)ß
(’)e
(’)ä
*u- >
*ŭ >
*ă >
*a- >
y
∞
o
a
Diversa è la realtà descritta dai creatori dell’alfabeto cirillico, per i quali
m:sto non si pronuncia affatto come moq . In posizione dopo consonante
palatale la *e- indoeuropea e la *e- derivante dalla metafonizzazione di *acoincidono in una nuova vocale molto aperta, [’a], che può stare solo dopo
vocale, dopo jod o dopo consonante palatale e si indica con un nuovo grafema:
<q > (o anche <a > dopo č, ž, š, št, žd, c): moq , kri~ati . Rispetto a questa
31 Si definisce compatto un segmento caratterizzato da concentrazione di energia nella parte
centrale dello spettro acustico: /a/ è più compatta di /e/, che è più compatta di /i/.
32 Questo processo sembra divergere da quello spontaneo, per cui a chiudersi sono le vocali
lunghe. Un’interessante spiegazione, che ipotizza un influsso straniero, e specificamente quello
del latino di Dacia, sullo slavo, è proposta da Enrietti: M. Enrietti, “La caduta degli jer quarta
‘legge’ del protoslavo?”, in Ricerche slavistiche XLV-XLVI (1998-1999), pp. 87-97.
107
Fonetica
vocale, sia la *e- i.e. dopo consonante non palatale sia *e- 2 ha una articolazione
meno aperta, non possiede correlato posteriore, e non può mai trovarsi dopo
consonante palatale (ad eccezione delle palatali frutto di II e III
palatalizzazione c’, ≈’, z’, s’): a indicarla si usa il grafema <: >33:
*ı- >
*ı̆ >
*ĕ >
*e- >
*e- >
(’)i
(’)ß
(’)e
ě
’a
*u- >
*ŭ >
*ă >
y
∞
o
*a- >
a
25. Nuove alternanze vocaliche
Il nuovo vocalismo si riflette naturalmente sui fenomeni apofonici ereditati
dalle più antiche alternanze indoeuropee, qualitative e quantitative:
alternanze quantitative:
alternanze qualitative:
alternanze quantitativo-qualitative:
*ŏ/*o- > o/a; *ĕ/*e- > e/ě; *ı̆/*ı- > ß/i; *ŭ/*u- > ∞/y
*e- /*o- > ě/a; *ĕ/*ŏ > e/o
*ĕ/*ı̆ > e/ß; *e- /*ı̆ > ě/ß; *ă/*ŭ > o/∞; *ŭ/*ou‡ > ∞/u
Tutte queste alternanze hanno valore tematico, oppongono temi verbali a
temi nominali, formano coppie aspettuali (verbi perfettivi e verbi imperfettivi),
servono a individuare azioni brevi e unidirezionali (ex vocale breve) e azioni
di durata indefinita, o più volte ripetuta (ex vocale lunga), differenziano il
tema del presente dal tema dell’infinito: s)b|rati ‘raccogliere’ perf., s)ber\
‘io raccolgo’ perf., s)birati ‘raccogliere’ imperf., s)bor) ‘raccolta’;
pos)lati ‘inviare’ perf., pos¨lati ‘inviare’ imperf.; sko~iti ‘fare un
salto’, skakati ‘saltare’; ¢esti , ¢ositi ‘portare’, ¢osila ‘barella’; s:d:ti
‘essere seduti’, saditi ‘piantare’; æ)vati ‘chiamare’, æov\ ‘io chiamo’,
g)¢ati ‘inseguire’, je¢\ ‘io inseguo’, go¢iti ‘perseguitare’; sv:titi
‘illuminare’, sv:t) ‘luce’, sv|t:ti s( ‘illuminarsi’; douhati e d¨hati
‘respirare’, douh) ‘spirito’, d)h¢ove¢ie ‘respiro’.
33 L’evoluzione ulteriore di ě nelle diverse lingue slave è varia: in slavo orientale è sospinto
in alto, contrapponendosi a [e] (fonema medio-basso, aperto come “è” in italiano) come fonema
medio-alto chiuso, dalla probabile pronuncia dittongale [ıe
Ø ]. In ucraino la chiusura si accentua
ancora: [i]. Alla diversa pronuncia dello jat’ si deve la suddivisione del serbo e del croato in
ikavo, ekavo e ijekavo.
108
Il paleoslavo
26. Gli jer
Si chiamano jer (dal nome del grafema in paleoslavo) le vocali ridotte nate
nel momento in cui la quantità si perde e le vocali si differenziano per timbro:
si distingue uno jer posteriore, detto jer duro (∞ < *ŭ) e uno jer anteriore, detto
jer molle (ß < *ı̆). Diversamente da quanto si è detto delle altre vocali, il valore
delle vocali ridotte dipende dalla loro posizione: in posizione forte la loro
pronuncia doveva essere più netta, in posizione debole più indistinta.
Gli jer sono deboli in tre posizioni:
1) alla fine di una parola (o meglio di unità accentuale) non monosillaba;
2) in posizione atona, davanti a una sillaba che contenga una vocale piena;
3) in posizione atona, davanti a una sillaba che contenga ∞, ß in posizione
forte (che cioè valgono come una vocale piena).
Gli jer sono forti in due posizioni:
1) sotto accento34;
2) a prescindere dall’accento, quando precedono una sillaba che contiene ∞,
ß in posizione debole.
Quando precedono jod, anche nel confine di due parole, gli jer si tendono,
riacquistando il valore della vocale piena. Infatti, se lo jer davanti a jod si
tende, le vocali, al contrario, si riducono35, così che /y/ e /∞/, /i/ e /ß/ davanti a
jod coincidono in un unico suono, che indichiamo con ∞• , ß• o più raramente con
y• , •ı: ∞j > ∞• [y], ßj > ∞• [i] L’equivalenza fonetica delle sequenze (ßj = ij e ∞j =
yj) può dare luogo a oscillazioni nella grafia: cfr. i sostantivi neutri formati con
il suffisso -ß• je del tipo æ¢ame¢i& / æ¢ame¢|& ‘segno’, e i collettivi in -ß• ja del
tipo bratiq / brat|q ‘confraternita’ (morfologicamente femminili singolari);
delle due grafie è normativa la prima.
Già nel periodo paleoslavo gli jer tendono a confondersi (la scelta tra ∞ e ß
non è più etimologica e dipende dalle scuole scrittorie) o a essere omessi
(quasi sempre nella prima sillaba: m)¢ogo > m¢ogo ). In alcuni manoscritti del
34 Ma cfr. l’opinione contraria di A. Zaliznjak, Nezavisimost’ evoljucii reducirovannyx ot
udarenija v vostočnoslavjanskom. Struktura teksta-81. Tezisy simpoziuma. M. 1981, pp. 28-31.
35 Ricordiamo l’esito del dittongo *ei‡ davanti a V, con l’assimilazione della vocale e > i > ß
(cfr. N pl m dei nomi in *i *gost-ĕi‡-es > gostß•je con doppia grafia gosti& / gost|&).
109
Fonetica
canone si nota la tendenza a usare ß davanti a sillaba che contenga vocale
anteriore, ∞ davanti a sillaba che contenga vocale posteriore (assimilazione
detta ‘legge di Jagić); ∞ prevale in posizione finale e dopo š, č, ž, št, žd, c, z <
dz (labiovelarizzazione detta ‘legge di Kul’bakin’).
Al momento della dissoluzione dello slavo comune la sorte degli jer varia
nelle diverse zone della Slavia, con alcune costanti: gli jer (tesi e non) in
posizione debole cadono (al loro posto può comparire ß o più raramente ∞ con
funzione grafica); gli jer (tesi e non) in posizione forte sono sostituiti da altre
vocali (si vocalizzano): ß > [e], ∞ > [o] nello slavo orientale e nei dialetti
macedoni. Questo si riflette sulla morfologia: N sg m degli aggettivi di tipo
duro *∞jß > -oi, N sg m degli aggettivi di tipo molle *ßjß > -ei.
In molti dialetti bulgari ∞ > [ƒ] (graficamente <∞>), ß > [e], in altri ∞ e ß >
[ƒ] (graficamente <∞>) in tutte le posizioni. In serbo e in croato ∞ e ß > [ƒ]
(graficamente <ß>, sino al XIV secolo) e poi quasi sempre [a] (graficamente
<a>). In sloveno entrambi gli jer danno [ƒ] (graficamente <e>) quando la
vocale è breve, danno [a] quando la vocale è lunga. In slovacco gli esiti sono
molto differenziati: per ß prevale l’esito [e] accanto agli esiti [a], [a:],
graficamente <á>) e [o]; per ∞ prevale l’esito [o] accanto agli esiti [e], [a], [a:]:
protoslavo
paleoslavo
bulgaro
macedone
serbo
croato
sloveno
slovacco
ceco
polacco
ucraino
bielorusso
russo
ß
*dı̆n-ı̆-s
dßnß
den
den
dan
dan
dan
dnes
den
dzień
denß
dzenß
denß
∞
*sŭn-ŭ-s
s∞n∞
s∞n
son
san
san
sen
sen
sen
sen
son
son
son
Morfologia
1. Le parti del discorso
Le parole del protoslavo appartengono a due fondamentali categorie, quella
del nome e quella del verbo. I nomi si declinano. I verbi si coniugano. Comuni
al nome e al verbo sono le categorie di genere (maschile, femminile, neutro) e
numero (singolare, duale, plurale). Inoltre, il nome muta secondo la categoria
di caso, il verbo secondo quelle di persona, di tempo e di modo.
Alla categoria del nome appartengono sostantivi e aggettivi, che seguono la
flessione nominale. Al suo interno si individua una classe chiusa formata da
alcuni sostantivi e da alcuni aggettivi che seguono un tipo particolare di
flessione, detta flessione pronominale. L’una e l’altra sono articolate in tre
generi, tre numeri e sei casi: nominativo (N), genitivo (G), dativo (D),
accusativo (A), strumentale (S) e locativo (L). Al singolare la flessione
nominale conosce una particolare forma allocutiva: il caso vocativo (V).
I verbi possono essere attivi, riflessivi (con l’aggiunta del pronome di 3ª
persona al caso accusativo: s( ) o passivi (costruzione analitica con il participio
passivo). Dei quattro modi verbali dell’indoeuropeo il protoslavo conserva il
modo indicativo e quello ottativo, le cui forme vengono reinterpretate quali
forme dell’imperativo. Il sistema dei tempi finiti, comune alla maggior parte
delle lingue i.e. (presente, futuro, imperfetto, aoristo, perfetto, piuccheperfetto)
è arricchito dallo svilupparsi di un complesso sistema di opposizioni aspettuali.
Sia i nomi che i verbi sono analizzabili in tema e desinenza. La desinenza
(o flessione) è un elemento variabile che si aggiunge al tema ed esprime il
numero, il genere e il caso (per i nomi), la persona, il tempo e il numero (per i
verbi). Ciò che resta della parola, eliminata la desinenza, è il tema. Questo è
composto dalla radice e da eventuali suffissi.
112
Il paleoslavo
I suffissi possono essere vocalici o consonantici, tematici o non tematici. I
suffissi tematici determinano l’appartenenza dei nomi e dei verbi a diverse
classi: i nomi si classificano in nove tipi flessivi; i verbi si classificano in due
coniugazioni in base al suffisso tematico del presente, mentre il suffisso
dell’infinito individua un sistema complesso di gruppi e sottotipi.
Le desinenze si uniscono direttamente alla radice in pochi casi eccezionali,
per esempio *kry, in russo кровь ‘sangue‘, che si usa ancora oggi in alcune
parlate slave occidentali, oppure *bry, in russo бровь ‘sopracciglio’: di norma
tra la radice e la desinenza è sempre presente un suffisso tematico. L’insieme
costituito dalla desinenza e dal suffisso tematico si chiama ‘terminazione’.
Nella flessione nominale sono numerosi i suffissi non tematici che si
inseriscono tra la radice e la vocale tematica e, non incidendo sulla
appartenenza del nome a una classe di declinazione, ne modificano il
significato: possono formare diminutivi o peggiorativi, derivare da un nome un
aggettivo, da un’azione il nome di colui che la compie ecc. Se chiamiamo P un
eventuale prefisso, R la radice, S eventuali suffissi non tematici, VT i suffissi
tematici vocalici, CT i suffissi tematici consonantici, D la desinenza otteniamo
le seguenti possibili combinazioni: per i temi vocalici (P)-R-(S)-VT-D, per i
temi consonantici (P)-R-CT-D.
2. Il nome
Il sistema della flessione nominale slavo comune, già in crisi nella fase
testimoniataci dal paleoslavo, si compone di quattro classi con tema vocalico
(*ŏ, *a- , *ı̆, *ŭ), una classe con tema vocalico al N sg (*u- ) e consonantico nel
resto della declinazione (-∞v- < *ŭu‡), quattro classi con tema consonantico (*n,
*nt, *s, *r). Le classi più ricche e produttive, quelle dei temi in *ŏ e in *a- ,
contengono al proprio interno un sottotipo, detto ‘tipo molle’, caratterizzato
dalla presenza del suffisso -j-: i temi in *jŏ e i temi in *ja- .
La legge della sillaba aperta, e le conseguenti modificazioni che interessano
la fine della parola (caduta di consonanti, monottongazione di dittonghi,
formazione di vocali nasali), hanno determinato la fusione della vocale
113
Morfologia
tematica e della desinenza in un sistema di terminazioni, che, pur derivando da
quella i.e., si presenta nel paleoslavo in una veste fonetica nuova1:
N
G
maschile
neutro
-)
-o
-’|
-a
-a
-’a
rab), raba
-’e
-’a
-ii
-ie
-iq
-iq
jr:bii, jr:biq
-a
-y
vo&voda, vo&vod¨
-’a
-’(
qd|ca, qd|c(
-’i
-iq
-i(i)
-’(
-i`
-i`
s\dii, s\di`
ko¢∞| , ko¢q
m\j|, m\ja
femminile
l:to, l:ta
pol&, polq
s)¢|mi}e, s)¢|mi}a
æ¢ame¢i&,
æ¢ame¢iq
je¢a, je¢¨
æemlq, æeml`
dou{a, dou{(
bog¨¢∞i , bog¨¢`
æmiq, æmi`
ml)¢i(i), ml)¢i`
1 Cfr. la Tabella delle desinenze indoeuropee proposta da A. Schenker in The dawn of
Slavic. An Introduction to Slavic Philology, cit., p. 124:
consonante
Sg N
-s, -ø
G
-ĕs
D
-ĕi‡
A
-m
÷
L
-ı̆
S
-mı̆
V
-ø
Du NA -ı-, -eGL -ŏu‡s
DS -moPl N
-ĕs
G
-ŏm/-o-m
D
-mŭs
A
-n÷s
L
-sŭ
S
-mı-s
-ŭ-ŭ-s
-ŏu‡-s
-ŏu‡-ĕi‡
-ŭ-m
-ŏu‡-ø
-ŭ-mı̆
-ŏu‡-ø
-ŭ-ĕ > -u-ŏu‡-ŏu‡s
-ŭ-mo-ŏu‡-ĕs
-ŏu‡-ŏm
-ŭ-mŭs
-ŭ-n÷s
-ŭ-sŭ
-ŭ-mı-s
-ı̆-ı̆-s
-ĕi‡-s
-ĕi‡-ĕi‡
-ı̆-m
-e-i‡-ø
-ı̆-mı̆
-ĕi‡-ø
-ı̆-ĕ > -ı-ĕi‡-ŏu‡s
-ı̆-mo-ĕi‡-ĕs
-e-i‡-ŏm
-ı̆-mŭs
-ı̆-n÷s
-ı̆-sŭ
-ı̆-mı-s
-ŏ-ŏ-s
-ŏ-ad > -a-d (Abl.)
-ŏ-ĕi‡> -o-i‡
-ŏ-m
-ŏ-ı̆
-ŏ-mı̆
-ĕ-ø
-ŏ-ĕ > -o-ŏ-ŏu‡s > -o-u‡s
-ŏ-mo-ŏ-ĕs
-ŏ-ŏm > -o-m
-ŏ-mŭs
-ŏ-n÷s
-ŏi‡-sŭ
-ŏ-ŏi‡s > -o-i‡s
-a--a--ø
-a-s
-a--ĕi‡ > -a-i‡
-a--m
-a--ı̆
-a--m
-ă-ø
-a--i‡
-a--ŏu‡s > -a-u‡s
-a--mo-a--ĕs > -a-s
-a--ŏm > -a-m
-a--mŭs
-a--n÷s
-a--sŭ
-a--mı-s
114
Il paleoslavo
N
G
maschile
neutro
femminile
-|
-i
p\t|, p\ti
-)
-ou
s¨¢), s¨¢ou
-y
-(
-(
-e¢e
-e¢e
-(te
kam¨, kame¢e
-o
-ese
-y
-)ve
cr|k¨, cr|k)ve
-i
-ere
mati, matere
kost|, kosti
im(, ime¢e
otro~(, otro~(te
slovo, slovese
La fonetica storica permette tuttavia di risalire dalle terminazioni paleoslave
elencate alle desinenze indoeuropee, e dunque di continuare a classificare i
sostantivi nelle classi flessive tradizionali (nomi in *ŏ, nomi in *a- ecc.).
Il nominativo singolare dell’indoeuropeo aveva ha tre possibili marche: 1)
*-s (lupus, amicus); 2) *-ø (femina); 3) allungamento dell’ultima vocale
(*matĕr- > mate- r; *patĕr- > pate- r). Delle tre, la prima elencata è probabilmente
la più recente: un più antico nominativo, uguale al puro tema, ci sarebbe
testimoniato oggi dal vocativo, nato per scissione dall’antico nominativo al
momento della comparsa della marca *-s. L’accusativo singolare ha un’unica
marca utilizzata da tutti i tipi flessivi, la consonante nasale i.e. *-m (o *-n), che
il neutro generalizza al caso nominativo (castrum). Proprie della lingua
comune sono anche le desinenze del plurale: nominativo plurale *-es,
accusativo plurale *-ns.
La situazione è più complessa nei casi obliqui. Il genitivo singolare i.e.
aveva due marche: 1) *-s: nox, noctis; dux, ducis; familia, familias (cfr. il
genitivo sassone, o cognomi spagnoli del tipo Sanchez ‘figlio di Sancho’); 2)
*-i: lupus, lupi; amicus, amici; terra, *terrai > terrae (cfr. cognomi italiani del
tipo Paoli, Agostini ‘figlio di Paolo, figlio di Agostino’. Da questo genitivo in
*-i sarebbe anche derivato il suffisso -i quale marca del femminile singolare,
figlia, moglie o sorella ‘di qualcuno’).
115
Morfologia
Il dativo aveva parimenti due marche, una di maggiore diffusione: *-i; una
di uso limitato ai temi in *ŏ e dall’origine discussa: *-o- (cfr.: “quo vadis”,
moto a luogo).
Il locativo, lo strumentale e l’ablativo (per limitare il nostro inventario a
sette casi) non sono presenti con altrettanta costanza nelle diverse lingue i.e., e
anche le loro desinenze non si possono far risalire alle fasi più arcaiche della
lingua comune.
Con un processo detto sincretismo le diverse lingue hanno accorpato e
ridistribuito le funzioni svolte da casi diversi in base a diversi processi logici:
così il latino ha riunito nel solo ablativo le funzioni svolte da locativo e
strumentale, il greco ha accorpato dativo, locativo e strumentale in un unico
caso dativo, e ha fuso insieme genitivo e ablativo; il baltico e lo slavo hanno
fuso insieme genitivo e ablativo.
Il protoslavo, che non ha il caso ablativo, ne utilizza la desinenza i.e. *-ad
per il genitivo singolare maschile e neutro dei temi in *ŏ (tutti gli altri temi
utilizzano la desinenza i.e. *-s). Il locativo utilizza la desinenza i.e. *-i, uguale
a quella del dativo, per i temi con suffisso tematico vocalico, e generalizza la
desinenza *-en a tutti i temi con suffisso tematico consonantico. Questa *-en
non è in realtà una desinenza, ma una preposizione posposta (“Italia in”), come
preposizioni posposte erano probabilmente quelle utilizzate quali desinenze
dello strumentale singolare *-mı̆, duale *-mo- e plurale *-mı-s, e del dativo
plurale *-mŭs. Al genitivo plurale il protoslavo utilizza la desinenza *-ŏn (i.e.
*-o- n) generalizzata a tutti i tipi flessivi con processi di analogia morfologica.
L’inventario delle desinenze è comune a tutte le classi. Il significato casuale
può essere espresso dalla vocale tematica, che si allunga (*ŏ > *a- , *ı̆ > *ı-, *ŭ >
*u- ) e si dittonga (*ŏ > *ŏi‡, *ı̆ > *ĕi‡, *ŭ > *ou‡):
N
G
D
A
S
L
temi in *ŏ
-ŏi‡
temi in *a-ăi‡
-ăi‡
temi in *ı̆
-ĕi‡
-ĕi‡
-ĕi‡
temi in *ŭ
-ŏu‡
-ŏu‡
-ŏu‡
116
Il paleoslavo
NA
GL
DS
N
G
D
A
S
L
temi in *ŏ
-a- (m); -ŏi‡ (n)
-ŏi‡ (maschili)
-ŏi‡
temi in *a-ăi‡
-
temi in *ı̆
-ı-ĕi‡
-ĕi‡ (maschili)
-ĕi‡
-
temi in *ŭ
-u-ŏu‡
-ŏu‡
-ŏu‡
-
Per alcune forme si danno diverse ricostruzioni: la terminazione -: del L sg
dei temi in *ŏ e in *a- può originarsi da *ŏi‡ e desinenza *ø, o dall’unione di
vocale tematica *ŏ e desinenza *-i, e analogamente potrebbero essersi formati
il D sg dei temi in *a- e il N pl dei temi in *ŏ, la cui terminazione sarebbe frutto
di analogia con la flessione pronominale (v. p. 145).
3. Temi in *aLa classe di declinazione in *a- comprende nomi femminili e alcuni nomi
maschili, formati con l’ausilio dei suffissi tematici *a- , *ja- .
1) Il suffisso *a- forma il cosiddetto tipo duro, che comprende nomi
femminili (aggettivi e sostantivi): dobra je¢a ‘buona donna’, sv(ta gora
‘montagna sacra’, e sostantivi maschili come vlad¨ka ‘signore’, voevoda
‘condottiero’, slouga ‘servo’. La vocale tematica *a- alterna con *ă (> o) al
caso vocativo e con il dittongo *ăi‡ al caso strumentale sg e NA duale:
N
G
D
A
L
S
V
*nog - a- - ø
*nog - a- - ns
*nog - a- - ei‡
*nog - a- - n
*nog - a- - i
*nog - ăi‡ - o˛
*nog - ă
NA
GL
DS
*nog - ăi‡
*nog - a- - ou‡s
*nog - a- - mo-
(åns > u- ns > u- ; analogia N pl)
(ăi‡ > ě; g > ™)
(ån > o˛)
(ăi‡ > ě; g > ™)
(cfr. decl. pronominale)
(ăi‡ > ě; g > ™)
(åu > åu‡ > u- )
¢oga
¢og¨
¢o™:
¢og\
¢o™:
¢ogo+
¢ogo
¢o™:
¢ogou
¢ogama
117
Morfologia
N
G
D
A
L
S
*nog - a- - ns
*nog - a- - ŏn
*nog - a- - mŭs
*nog - a- - ns
*nog - a- - sŭ
*nog - a- - mı-s
(åns > u- ns > u- ; analogia A pl)
(ŏn > ŭn > ∞; analogia temi in -C)
(åns > u- ns > u- )
(s > x per analogia)
¢og¨
¢og)
¢ogam)
¢og¨
¢ogah)
¢ogami
La desinenza *-ns (A pl) è estesa al G sg e al N pl per analogia con i temi in
*ı̆, e per evitare la coincidenza della terminazione di N sg e N pl *-a- (< *-a- s).
La terminazione dello S sg è frutto di analogia con la flessione pronominale
(v. p. 145). La terminazione originaria dei temi in *a- (*-o˛ < *-a- -m) si innesta
sul suffisso tematico dello S sg f della flessione pronominale, il dittongo *ăi‡, e
non si metafonizza (*-oje˛) in forza del principio di analogia morfologica.
Diversamente S sg e A sg coinciderebbero nella terminazione: -\ < *-a- -m.
La terminazione -ah) del L pl (s > x) è dovuta a livellamento analogico: in
tutte le altre classi di declinazione la fricativa è infatti preceduta da *ı̆, *i‡, *ŭ
(scatta cioè la legge di Pedersen).
Lo slavo è l’unica lingua i.e. a utilizzare la desinenza *-ŏn (invece di *-o- n)
al G pl. La terminazione -) si estende dai temi in consonante a quelli in vocale.
2) Il suffisso *ja- forma il cosiddetto tipo molle, che comprende nomi
femminili e un piccolo gruppo di nomi maschili, spesso indicanti professioni:
dr:vod:lq ‘falegname’, pr:d)te~a ‘precursore’. Lo jod palatalizza le
consonanti della radice, che provocano la metafonia palatale della vocale
tematica:
N
G
D
A
L
S
V
*zem - ja- - ø
*zem - ja- - ns
*zem - ja- - ĕi‡
*zem - ja- - n
*zem - ja- - i
*zem - jăi‡ - o˛
*zem - jă
NA
GL
DS
*zem - jăi‡
*zem - ja- - ou‡s
*zem - ja- - mo-
(je- ns > je˛)
(je- i‡ > ’i)
(jån > jo˛)
(jăi‡ > jĕi‡ > ’i)
(cfr. decl. pronominale)
(jĕi‡ > ’i)
(je- u > jĕu‡ > ’u- )
æemlq (æeml:)
æeml`
æeml∞i
æeml+
æeml∞i
æeml&+
æeml&
æeml∞i
æeml<
æemlqma
118
N
G
D
A
L
S
Il paleoslavo
*zem - ja- - ns
*zem - ja- - ŏn
*zem - ja- - mŭs
*zem - ja- - ns
*zem - ja- - sŭ
*zem - ja- - mı-s
(je- ns > je˛)
(∞ > ß; analogia temi in -C)
(je- ns > je˛)
(s > x per analogia)
æeml`
æeml∞|
æemlqm)
æeml`
æemlqh)
æemlqmi
A questo sottotipo appartengono anche i nomi femminili in consonante
palatalizzata per III palatalizzazione: *ŏwı̆ka- > ov|ca ‘pecora’, *pŭtika- >
p)tica ‘uccello’. La affricata dentale c’ provoca la metafonia della vocale
tematica, cosicché le terminazioni di questo gruppo di nomi tendono a
coincidere con quelle del tipo molle. Il livellamento analogico porta quindi alla
totale identità delle forme (L sg ov|ci invece che *ov|c: ; cfr. p. 102). Diverse
grafie rimandano a diverse tradizioni (glagolitiche e cirilliche) e al progressivo
indurimento delle consonanti molli: owDcA, ov|c: , ov|cq , ov|ca ‘pecora’.
Due gruppi di sostantivi femminili e maschili hanno terminazione -i . Si
tratta di nomi che seguono la declinazione molle, formati forse per mezzo del
suffisso *-jƒ, che rappresenta il grado ridotto di *-ja- , e dei suffissi -ß- e -yn- (v.
p. 123 e p. 127): s\dii ‘giudice’, balii ‘medico’, v:tii ‘oratore, poeta’,
korab|~ii ‘marinaio’, kr)m|~ii ‘timoniere’, k)¢ig)~ii ‘uomo di lettere’,
lov|~ii ‘cacciatore’; gr)d¨¢∞i ‘orgoglio’, rab¨¢∞i ‘schiava’ (< *orb-u- n-jƒ),
k)¢(g¨¢∞i ‘principessa’ (< *kŭning-u- n-jƒ), poust¨¢∞i ‘deserto’.
Mentre i sostantivi in -¨¢∞i sono tutti femminili, i sostantivi formati per
mezzo del suffisso -ß- (*-ßjƒ > *-ß•-ı > -ii ) sono prevalentemente maschili (con
due sole eccezioni: *old-ßjƒ > ladii ‘barca’, *ml÷n-ßjƒ > ml)¢ii ‘fulmine’).
La presenza dello jer impedisce allo jod di iodizzare la consonante precedente
(cfr. s\dii e non *so˛žd’i).
4. Temi in *ŏ
La classe di declinazione in *ŏ comprende nomi maschili e neutri; la vocale
tematica è *ŏ, che alterna nel corso della declinazione con *o- (NA duale m,
NA pl n), con *ĕ (V sg m) e con il dittongo *ŏi‡ (NA duale n, L pl m n). La
classe si divide in due tipi, duro e molle (nomi in *ŏ e nomi in *jŏ).
119
Morfologia
1) Al tipo duro appartengono nomi maschili (che escono al N sg in -) : l<t)
vrag) ‘fiero nemico’, ¢ov) grad) ‘nuova città’) e nomi neutri (che escono al N
sg in -o : staro selo ‘vecchio villaggio’, t(j|ko igo ‘pesante giogo’):
N
G
D
A
L
S
V
*vrag - ŏ - s
*vrag - ŏ - ad
*vrag - ŏ - ou‡
*vrag - ŏ - n
*vrag - ŏ - i
*vrag - ŏ - mı̆
*vrag - e
NA
GL
DS
*vrag - o*vrag - ŏ - ou‡s
*vrag - ŏ - mo-
N
G
D
A
L
S
*vrag - ŏ - i
*vrag - ŏ - ŏn
*vrag - ŏ - mŭs
*vrag - ŏ - ns
*vrag - ŏi‡ - sŭ
*vrag - ŏ - is
(ŭs > ŭ)
(a- d > a- )
(o- u‡ > u- )
(ŭn > ŭ)
(oi‡ > ě; g > ™)
(g > ž)
(o- u‡ > u- )
(oi‡ > i; g > ™; cfr. decl. pron.)
(ŭn > ŭ > ∞; analogia temi in -C)
(ŭns > u- ns > u- )
(s > x per Pedersen)
vrag)
vraga
vragou
vrag)
vra™:
vragom|
vraje
vraga
vragou
vragoma
vra™i
vrag)
vragom)
vrag¨
vra™:h)
vrag¨
Non tutte queste forme hanno una spiegazione soddisfacente: non c’è
accordo sul precoce passaggio *-ŏs > *-ŭs > -). Secondo Enrietti, Schenker e
altri la terminazione -) del N sg dei temi in *ŏ è originariamente terminazione
dei temi in *ŭ (*ŭ > -) ), estesa ai temi in *ŏ per analogia, come ‘marca’ del
genere maschile2. Di difficile spiegazione è anche la forma del D sg, che
dovrebbe essere *-ŏi‡ > -: , e quella dello S pl (la ricostruzione di Seliščev, per
cui *-ŭis > *-ŭi > -¨ , non è accettata da tutti). Le terminazioni di N e L pl sono
invece di sicura origine pronominale: N pl *-ŏi‡ > -i (invece di *-ŏ-es > *-o- s),
L pl *-ŏi‡-sŭ > -:h) (invece di *-ŏ-sŭ > *-os∞).
Poiché in paleoslavo l’ordine delle parole nella frase non fornisce
indicazioni utili a individuare la direzione dell’azione, la coincidenza delle
terminazioni dei casi N e A sg rende sintatticamente ambigui gli enunciati in
2 Se non si ipotizza un precoce passaggio *kŭningŏs > *kŭningŭs anche la forma k∞ne˛≈∞,
con la sua III palatalizzazione attiva davanti a ŭ, cessa di costituire un problema.
120
Il paleoslavo
cui soggetto e complemento oggetto siano esseri animati cui si riconosce la
potenzialità di essere effettivamente soggetti (dunque non servi, non figli
minorenni, non animali e non oggetti): se ~lov:k) eter) pos)la rab) può
solo significare che un tale ha inviato il suo servo, e pri`t) isous) hl:b)
può solo significare che Gesù ha preso il pane, petr) pos)la ioa¢¢) può
essere intepretata tanto nel senso che Pietro ha inviato Giovanni, quanto al
contrario nel senso che Giovanni ha inviato Pietro. Per disambiguare queste
proposizioni si elabora in paleoslavo una categoria che avrà larga fortuna nelle
lingue slave moderne, quella della animatezza (in russo одушевленность).
Quando complemento oggetto è un sostantivo maschile animato, potenzialmente capace di essere soggetto dell’azione, questa sua funzione sintattica
viene espressa dal caso genitivo, che in slavo poteva già sostituirsi
all’accusativo in diversi contesti (per esempio nelle frasi negative, o con valore
partitivo): si dirà petr) pos)la ioa¢¢a nel caso che Pietro abbia inviato
Giovanni, petra pos)la ioa¢¢) nel caso che Giovanni abbia inviato Pietro.
La declinazione di un nome neutro del tipo duro si dovrebbe differenziare
da quella maschile nei soli casi NA duale e plurale. L’analogia morfologica
estende però ai nomi neutri di questa classe le terminazioni dei pronomi neutri
al NA sg: to < *tod (cfr. latino istud):
NA
G
D
L
S
*sel - ŏ - n
*sel - ŏ - ad
*sel - ŏ - ou‡
*sel - ŏ - i
*sel - ŏ - mı̆
(ŭn > ŭ; ma per an. morf. -o)
(a- d > a- )
(o- u‡ > u- )
(oi‡ > ě)
selo
sela
selou
sel:
selom|
NA
GL
DS
*sel - ŏi‡
*sel - ŏ - ou‡s
*sel - ŏ - mo-
(oi‡ > ě)
(o- u‡ > u- )
sel:
selou
seloma
NA
G
D
L
S
*sel - o*sel - ŏ - ŏn
*sel - ŏ - mŭs
*sel - ŏi‡ - sŭ
*sel - ŏ - is
(ŭn > ŭ> ∞; analogia temi in -C)
(s > x per Pedersen)
sela
sel)
selom)
sel:h)
sel¨
121
Morfologia
Fanno morfologicamente parte di questo sottotipo anche nomi maschili in
vocale del tipo krai < *krai-ŏs. Tuttavia, poiché la i in posizione intervocalica
si riduce a i‡, la declinazione di questi nomi segue in tutto il tipo molle: N
*krai-os > *krai‡-ß > krai , G *krai-oad > *krai‡-a- > kraq .
2) Il suffisso *jŏ forma il cosiddetto tipo molle: jod iodizza le consonanti
della radice, che provocano la metafonia palatale delle vocali posteriori:
N
G
D
A
L
S
V
*kon - jŏ - s
*kon - jŏ - ad
*kon - jŏ - ou‡
*kon - jŏ - n
*kon - jŏ - i
*kon - jŏ - mı̆
*kon - jou‡
(∞ > ß)
(a > æ/ja)
(u > ’u)
(∞ > ß)
(ě > i)
(o > e)
(analogia temi in -ŭ)
ko¢∞|
ko¢q (ko¢∞:)
ko¢<
ko¢∞|
ko¢∞i
ko¢&m|
ko¢<
NA
GL
DS
*kon - jo*kon - jŏ - ou‡s
*kon - jŏ - mo-
(a > æ/ja)
(u > ’u)
(o > e)
ko¢q (ko¢∞:)
ko¢<
ko¢&ma
N
G
D
A
L
S
*kon - jŏ - i
*kon - jŏ - ŏn
*kon - jŏ - mŭs
*kon - jŏ - ns
*kon - jŏi‡ - sŭ
*kon - jŏ - is
(ei‡ > i; cfr. decl. pron.)
(∞ > ß; analogia temi in -C)
(o > e)
(je- ns > je˛)
(ě > ’i)
(y > ’i)
ko¢∞i
ko¢∞|
ko¢&m)
ko¢`
ko¢∞ih)
ko¢∞i
La declinazione di un nome neutro del tipo molle presenta rispetto a quella
maschile le stesse differenze del tipo duro; l’analogia morfologica estende ai
nomi neutri di questa classe le terminazioni dei pronomi neutri al NA sg:
NA
G
D
L
S
*pol - jŏ - n
*pol - jŏ - ad
*pol - jŏ - ou‡
*pol - jŏ - i
*pol - jŏ - mı̆
NA
GL
DS
*pol - jŏi‡
*pol - jŏ - ou‡s
*pol - jŏ - mo-
(∞ > ß; ma per an. morf. -e)
pol&
polq
pol<
pol∞i
pol&m|
pol∞i
pol<
pol&ma
122
NA
G
D
L
S
Il paleoslavo
*pol - jo
*pol - jŏ - ŏn
*pol - jŏ - mŭs
*pol - jŏi‡ - sŭ
*pol - jŏ - is
polq
pol∞|
pol&m)
pol∞i h)
pol∞i
A questo sottotipo appartengono anche i nomi maschili e neutri in velare
palatalizzata (III palatalizzazione): *kŭning-ŏs > k)¢(™| ‘principe’, *kr÷dı̆k-ŏn
> sr|d|ce ‘cuore’. Le consonanti molli c’ e ≈’ provocano la metafonia delle
terminazioni, che vengono a coincidere in larga misura con quelle del tipo
molle. Il livellamento analogico porta quindi alla totale identità delle forme
(cfr. L sg ot|ci invece che *ot|c: ; v. p. 101). Al G sg diverse grafie
rimandano a diverse tradizioni (glagolitiche e cirilliche) e al progressivo
indurimento delle consonanti molli: otDcA, ot|c: , ot|cq , ot|ca ‘del padre’.
Quando lo jod è preceduto da vocale, sia che questa appartenga alla radice
(*krai-), sia che appartenga al suffisso (cfr. infra) il nome esce in -i : *krai-ŏs >
*krai‡-ß > krai ‘fine’, *žrěb-ßj-ŏs > *žrěb-ß•jß > jr:bii ‘sorte’, *gvozd-ßj-ŏs
> *gvozd-ß•jß > gvoædii ‘chiodo’, *ob-vu- k-e- jŏs > *obyč-ajß > ob¨~ai ‘uso’,
s)lu~ai ‘caso’, *xod-atajŏs > *xod-atajß > hodatai ‘intercessore’, ratai
‘aratore’.
5. Principali suffissi derivativi dei nomi in *ŏ e in *aTra i suffissi utilizzati per la derivazione nominale nelle classi flessive *ŏ e
in *a- il primo posto spetta al suffisso -j-, che come abbiamo detto forma i temi
in *jŏ e in *ja- .
Nella derivazione dei nomi aggettivi il suffisso -j- ha valore possessivo:
così da iqkov) si forma il possessivo iqkovl∞| (*ijakov-j-ŏs) ‘di Giacomo’, da
k)¢(™| si forma k)¢(j| (*kŭning-j-ŏs) ‘principesco’, da ot|c| il possessivo
ot|~| (*ŏtı̆k-j-ŏs) ‘paterno’.
Il suffisso -j- può essere preceduto dai suffissi -ß-, -ě-, -ata- e altri. Il più
importante di questi composti è -ß•j-, che forma nomi aggettivi e nomi
sostantivi. Nella derivazione di nomi aggettivi -ß•j- ha lo stesso significato di
appartenenza del suffisso -j-: p|sii (*pßs-ß• j-ß), p|si& (*pßs-ß• j-e), p|siq
Morfologia
123
(*pßs-ß• j-a), ‘canino’; bojii (*bog-ß• j-ß), boji& , bojiq ‘divino’. Nella
derivazione di nomi sostantivi forma femminili (-ß•j-a- ) con valore collettivo del
tipo bratriq o bratiq ‘confraternita’ (lo stesso sostantivo passerà poi a
significare il N pl di bratr) o brat) ‘fratello’), alcuni maschili in -ii del tipo
vrabii ‘passero’ (-ß•j-ß < *-ß•j-ŏs), jr:bii ‘sorte’, e quattro categorie di
sostantivi neutri: a) collettivi: listvie ‘fogliame’ (< *list-v-ß•je), loæie ‘tralci
di vite’, vr|bie ‘l’insieme dei rami’; b) deverbali (nomina actionis, derivati dal
participio passato passivo): pro}e¢ie ‘il perdonare’, vid:¢ie ‘il vedere’; c)
astratti deaggettivali: s)dravie ‘salute’, veli~ie ‘la grandezza’; d) concreti
denominali: rasp\tie ‘crocevia’, pod)¢ojie ‘i piedi del monte’.
Lo stesso suffisso forma alcuni sostantivi maschili e femminili con
terminazione N sg -ii (-ß•j-i) che successivamente normalizzano il nominativo:
s\dii (< *so˛d-ß•ji ‘giudice’), balii ‘medico’ (v. anche suffissi in -l-), v:tii
‘oratore, poeta’ e altri. Di questo gruppo fanno parte anche due nomi
femminili: al)dii (ladii ) ‘barca’ e ml)¢ii ‘fulmine’.
Degli altri suffissi che contengono jod ricordiamo -ějß / -ajß (< *-e- j-ŏs),
che forma sostantivi maschili del tipo s)lou~ai ‘caso’, ob¨~ai ‘uso’ (a < *edopo consonante palatale) e serve a formare il grado comparativo degli
aggettivi (v. p. 141) -atajß (< *-ataj-ŏs) che forma sostantivi maschili del tipo
hodatai ‘intercessore’.
Al secondo posto per produttività è un gruppo di suffissi che contiene -k-,
presente sia come occlusiva velare, sia come affricata palatale (per I
palatalizzazione) o dentale (per II e III palatalizzazione):
-k- forma sostantivi maschili deverbali (æ|r:ti ‘vedere’ > ærak) ‘vista’;
b|rati ‘raccogliere’ > brak) ‘matrimonio’) e serve al trasferimento da una
classe di declinazione ad un’altra di nomi sostantivi (kam¨ > kam¨k) ‘pietra’;
*je˛zy < *n÷g’u- -s > `æ¨k) ‘lingua’). Molto produttivo nella derivazione di
aggettivi, serve a derivare aggettivi in *ŏ e in *a- da primitivi appartenenti ad
altre classi di declinazione: *soldŭ-s > slad)k) ‘dolce’, *gorı̆-s > gor|k)
‘amaro’. Forma aggettivi di grado positivo da radici altrimenti attestate solo al
grado comparativo: t(j|k ) (*te˛g-) ‘pesante’ (cfr. t(jii ‘più pesante’, forma
124
Il paleoslavo
cui si deve probabilmente, per analogia, la palatalizzazione g∞ > žß), gl\bok)
(*g∏o˛b-) ‘profondo’ (cfr. gl\bl∞i i ‘più profondo), {irok) (*šir-) ‘largo’ (cfr.
{ir∞i i ‘più largo’), v¨sok ) (*vys-) ‘alto’ (cfr. v¨{ii ‘più alto’). Serve ad
ampliare aggettivi derivati con modalità poco produttive: da kr:p) ‘forte’
(comparativo kr:pl∞i i ‘più forte’) deriva kr:p)k) , morfologicamente analogo
alla folta categoria di aggettivi in occlusiva velare.
-č- forma sostantivi maschili deverbali: biti ‘colpire’ > bi~| ‘flagello’.
-ik- serve a derivare da aggettivi (con suffisso -ßn-) e participi (con suffisso
-en-) il nome del possessore delle qualità indicate dall’aggettivo o dal
participio: k) ¢ ig¨ ‘i libri’ > k)¢ij|¢) ‘del libro’ > k) ¢ ij|¢ik) ‘erudito’,
‘scriba’, gr:h) ‘peccato’ > gr:{| ¢ ) ‘peccaminoso’ > gr:{|¢ik) ‘peccatore’;
ou~iti ‘ammaestrare’ > ou~e ¢ ) ‘ammaestrato’ > ou~e ¢ ik) ‘discepolo’,
m\~iti ‘tormentare’ > m\~e¢) ‘tormentato’ > m\~e¢ik) ‘martire’.
-∞k- serve a derivare sostantivi maschili da verbi e aggettivi: s)vit)k)
‘rotolo, cartiglio’ (s)viti ‘arrotolare’), ostat)k) ‘avanzo’ (v. anche il suffisso
-t-), ~etvr|t)k) ‘giovedì’ (cioè ‘il quarto giorno’), p(t)k) ‘venerdì’ (cioè ‘il
quinto giorno’).
-ßk- forma sostantivi femminili che alterano, spesso in senso diminutivo, il
sostantivo di partenza: kl:t| ‘cella’ > kl:t|k a ‘celletta’ (‘cellula’).
Scarsamente produttivo in paleoslavo, lo diventerà successivamente (cfr. in
russo ручка ‘manina’, ножка ‘piedino’, книжка ‘libriccino’ ecc.).
-ic- forma sostantivi femminili e (rari) maschili diminutivi e vezzeggiativi:
korabl| ‘nave’ > korabic| ‘navicella, d:va ‘vergine’ > d:vica ‘verginella’,
‘fanciulla’, v|dova ‘vedova’ > v|dovica ‘vedovella’. Serve inoltre a derivare
sostantivi femminili da aggettivi e participi: t|m| ¢ ) ‘scuro’ > t|m| ¢ ica
‘gattabuia’, ‘prigione’, star) ‘vecchio’ > starica ‘donna anziana’; ou~e ¢ )
‘ammaestrato’ > ou~e ¢ ica ‘discepola’.
-ßc- forma sostantivi maschili deverbali e deaggetivali: bor|c| ‘lottatore’,
lov|c| ‘pescatore’, star|c| ‘anziano’, e sostantivi neutri (il cui valore era
forse originariamente diminutivo): sl)¢|ce ‘sole’, sr|d|ce ‘cuore’. Forma
inoltre alcuni sostantivi maschili e femminili della classe in *a- : ov|ca f
‘pecora’, m¨{|ca f ‘braccio, spalla’; qd|ca m ‘mangione’.
Morfologia
125
-ßsk- è suffisso molto produttivo per la formazione di aggettivi: mir)
‘mondo’ > mir|sk) ‘mondano’, ~lov:k) ‘uomo’ > ~lov:~|sk) ‘umano’, ecc.
-išt’- (< *ı-sk-jŏ) forma sostantivi neutri che indicano il nome di un posto,
un sito dove ha luogo o si trova la cosa designata dalla radice: jili}e ‘luogo
dove si vive’, s)krovi}e ‘luogo dove è nascosto qualcosa’, ‘nascondiglio’,
‘tesoro’, tr)ji}e ‘luogo dove si commercia’.
Tra gli altri suffissi (elencati secondo l’ordine alfabetico della consonante
finale) ricordiamo:
-ßb- e -ob- formano sostantivi femminili astratti: drouj|ba ‘amicizia’,
slouj|ba ‘servizio’, mol|ba ‘preghiera’, tat|ba ‘furto’, al)~|ba ‘digiuno’;
æ)loba ‘cattiveria’, \troba ‘grembo’.
-d- serve a formare sostantivi neutri concreti: stado ‘branco’, ~oudo
‘miracolo’. -ßd- forma sostantivi femminili astratti deaggettivali e denominali:
prav|da ‘giustizia’; vraj|da ‘inimicizia’. Meno produttivi i suffissi -od(svoboda ‘libertà’), -e˛d- (gov(do ‘manzo’; cfr. russo говядина ‘carne di
manzo’), -zd- (braæda ‘il solco lasciato dall’aratro’).
-g- forma sostantivi maschili (in *jŏ e in *a- ) e femminili (in *a- ): m\j|
‘uomo’ (< *man-g-jŏ-s; cfr. nelle lingue germaniche man, Mann); slouga m
‘servo’, strouga ‘corrente’. -og- forma sostantivi maschili del tipo sapog)
‘stivale’, ostrog) ‘recinto’. Con altro vocalismo: -ig- (veriga ‘catena’); -eg(kov|~eg) ‘arca’), -ěg- (pot|p:ga ‘donna ripudiata’), -yg- (kot¨ga ‘tunica’,
kr|k¨ga ‘carro’). La velare è palatalizzata per III palatalizzazione nel suffisso
-e˛≈- (g > dz (≈); in seguito alla semplificazione di ≈ > z il suffisso assume
forma -e˛z-), che costituisce la resa slava del suffisso germanico -ing-:
klad(™| ‘pozzo’, ‘nascondiglio’, ‘tesoro’ (cfr. germanico *kalding-), k)¢(™|
‘principe’ (cfr. antico alto-tedesco kuning); p:¢(™| ‘moneta’ (cfr. antico altotedesco pfenning), vit(™| ‘prode combattente’, ‘eroe’ (cfr. germanico
*viking-, k > c per palatalizzazione e c (ts) > t per dissimilazione).
126
Il paleoslavo
-l- è attivo soprattutto come nella derivazione del participio ‘risultativo’ o
‘perfetto’ (v. p. 193); lo ricordiamo tra i suffissi nominali per la non
infrequente aggettivizzazione di questi participi (del tipo æ|r:l) ‘maturo’).
Forma inoltre sostantivi maschili, femminili e neutri che non sono direttamente
riconducibili al significato verbale precedente: balii ‘medico’ (*ba-l-ßj-ß; cfr.
baqti ‘parlare), jila ‘vena’, d:lo ‘affare’. Il suffisso può presentare un
diverso vocalismo: -ßl- (k oæ|l) ‘capro), -∞l- (\g)l) ‘angolo’, cfr. latino
angulus), -yl- (kob¨la ‘cavalla’).
Il suffisso -l- non va confuso con il suffisso -dl- (che tra gli Slavi orientali e
meridionali si semplifica in -l-, v. p. 93): -dl- е il suo simile -sl- formano
sostantivi neutri che indicano lo strumento con cui si compie l’azione espressa
dal verbo da cui derivano: ralo ‘aratro’ (orati ‘arare’), pravilo ‘regola’
(praviti ‘regolare’), veslo ‘remo’ (*vez-sl-o, cfr. vesti < *vez-ti ‘portare’),
maslo ‘unto’ (< *maz-sl-o, cfr. maæati ‘ungere, spalmare con sostanza unta’).
-m- è il formante di tutti gli aggettivi derivati dal participio presente passivo
del tipo l<bim) ‘amato’ (v. p. 191). Forma inoltre alcuni sostantivi maschili,
femminili e neutri: d¨m) ‘fumo’ (*dhu- -: *dhou-; cfr. douh) ‘spirito, alito’, e
d¨ha¢ie ‘respiro’), {oum) ‘rumore’, oum) ‘mente’, qr|m) ‘giogaia, kr)ma
‘cibo’, ramo ‘spalla’.
-n- è molto produttivo nella formazione dei participi passati passivi (v. p.
191). Nella derivazione nominale serve a formare aggettivi qualificativi (sla¢)
‘salato’, t:s¢) ‘stretto’) e sostantivi maschili, femminili e neutri: sta¢)
‘accampamento’ (stati ‘stare’); s)¢) ‘sonno’ (< *s∞p-n-∞; cfr. s)pati
‘dormire’); stra¢a ‘lato, parte, paese’ (*stor-n-a; cfr. russo простор ‘spazio’);
c:¢a ‘pena, prezzo da pagare’ (< *kai‡-n-a; cfr. kaqti ‘fare vendetta’ e kaqti
s( ‘fare penitenza’); ær|¢o ‘chicco’, ‘granello’ (*g’r÷-n-om; cfr. latino granum
e inglese corn).
-in- funge da singolativo, cioè serve a formare sostantivi maschili che
indicano l’individuo all’interno di una collettività del tipo grajda¢i¢) (cfr. p.
138) e sostantivi femminili che indicano una frazione del tipo des(ti¢a
Morfologia
127
‘decima parte’, godi¢a ‘momento’. Serve inoltre a derivare sostantivi
femminili deaggetivali astratti (gl\bi¢a ‘profondità’, ti{i¢a ‘tranquillità’,
ot|~i¢a ‘patria’) e aggettivi con funzioni di genitivo di possesso, fungendo da
corrispettivo femminile del suffisso -ov-: petr) ‘Pietro’ > petrov) ‘di Pietro’,
a¢¢a ‘Anna’ > a¢¢i¢) ‘di Anna’, rab¨¢∞i ‘schiava’ > rab¨¢∞i ¢) ‘della
schiava’.
-ßn- è un suffisso molto produttivo che forma sia aggettivi che sostantivi. I
sostantivi sono maschili, femminili e neutri del tipo duro e del tipo molle:
ov|¢) ‘montone’; bra{|¢o ‘farina’; ve~er|¢q ‘vespro’. Gli aggettivi sono
denominali: r\ka ‘mano’ > r\~|¢) ‘manuale’, v:k) ‘era’ > v:~|¢) ‘eterno’,
k)¢ig¨ ‘libri’ > k)¢ije¢) ‘libresco’. Unito al suffisso -j- forma aggettivi di
appartenenza (genitivo di possesso): bratr|¢) ‘del fratello’ (< *bratr-ßn-jŏ-s).
-un- forma sostantivi maschili deverbali che designano colui che compie
l’azione: p:stou¢) ‘educatore’.
-yn- forma sostantivi femminili (con terminazione -i ) derivati da nomi
personali maschili, o da aggettivi dei quali astraggono la qualità: rab¨¢∞i
‘schiava’, k)¢(g¨¢∞i ‘principessa’, poust¨¢∞i ‘deserto’, gr)d¨¢∞i ‘orgoglio’,
blag¨¢∞i ‘bontà’ e ‘bene’, blagost¨¢∞i ‘bontà’, ‘benevolenza’.
-r- è un formante di aggettivi e sostantivi: b)dr) ‘sveglio’ (cfr. b)d:ti
‘vegliare’), dar) ‘dono’ (cfr. dati ‘dare’), dobr) ‘buono’ (cfr. podobati
‘essere opportuno’), m\dr) ‘saggio’ (*mondh-; cfr: tedesco munter ‘sveglio’,
‘vispo’), mokr) ‘bagnato’ (< *mok-; cfr. mo~iti e omakati ‘bagnare’), pir)
‘festino’ (cfr. piti ‘bere’), rebro ‘costola’ (*rebh-, cfr. inglese rib), m:ra
‘misura’ (*me- - ‘misurare’).
-s- forma alcuni sostantivi maschili: b:s) ‘demonio’ (< *bhŏi‡-dh-s-; cfr.
boqti s( ‘avere paura’ e latino foedus ‘ripugnante, infame’), glas) ‘voce’ (<
*gol-s-; cfr. glagolati ‘parlare’ < *gol-gol-a-ti), klas) ‘filo d’erba, spiga’
(cfr. klati ‘accoltellare’).
-x- è lo stesso suffisso di cui sopra, ma trasformato per Pedersen: sm:h)
‘riso’ (< *smoi-s-ŏs), ousp:h) ‘successo’ (cfr. sp:ti ‘maturare’), gr:h)
128
Il paleoslavo
‘peccato’ (< *groi-s-ŏs; cfr. gr:æa ‘fantasia, chimera, inganno’ e gr:ti
‘scaldare’), slouh) ‘udito’ (dalla radice *slu- -/*slou-, cfr. slouti ‘avere fama’,
slou{ati ‘ascoltare’, sl¨{ati ‘udire’, slava ‘fama’, slovo ‘parola’),
je¢ih) ‘sposo’ (je¢iti ‘sposare’); lih) ‘eccessivo’ (*leikw-s-ŏs cfr. russo
лихой ‘ardito’ e лихачь ‘cocchiere, autista rompicollo’3).
-t- forma sostantivi di tutti i generi; i maschili sono spesso ulteriormente
espansi con il suffisso -k-: s\postat) ‘nemico’, ostat)k) ‘avanzo’; ¢ev:sta
‘sposa’ (forse contaminazione di *ne-věd-t-a ‘sconosciuta’ o ‘innocente’ e
*nev-ved-t-a ‘nuova venuta, portata da fuori’), vr|sta ‘generazione’, ‘età della
vita’ (cfr. in russo верста ‘versta’. Entrambi i significati vengono dalla radice
*u‡er-/*u‡r÷’ ‘girare, vertere’ da cui *u‡er-me- n > vr:m( ‘il tempo’ e *u‡r÷’-t-t-a >
vr|sta , letteralmente ‘giro completo’); blato ‘palude’, vrata ‘porte’.
-ot- forma sostantivi femminili astratti, in generi deaggettivali: ~istota
‘pulizia’, dobrota ‘bontà’, pravota ‘giustezza’, sl:pota ‘cecità’; alcuni
denominali: rabota ‘lavoro’ (< rab) ‘schiavo’), sramota ‘vergogna’ (< sram)
‘fatto vergognoso’). Appartiene a questo gruppo anche un sostantivo maschile:
jivot) ‘vita’.
-∞t- forma sostantivi maschili, spesso onomatopeici: r)p)t) ‘rumorio’ e
altri. Ne esistono varianti -ßt-, -ut-, -yt-, -ot-: skr|j|t) ‘stridore’, trepet)
‘tremito’, kokot) ‘gallo’.
-it- forma aggettivi che indicano parentela, in particolare i figli: d:ti}|
‘bambino’. La iodizzazione della dentale dà esiti diversi in slavo meridionale
(št’) e orientale (č’). Questa seconda forma ci è resa molto familiare dal
patronimico russo del tipo иванович ‘figlio di Ivan’ (cfr. in russo королевич
‘figlio di re’, княжич ‘principino’, попович ‘figlio di prete’ contro l’esito
meridionale di sostantivi quali детище ‘creatura prediletta’ < *det-it-je).
3 Suffissi che contengono -x- e -š- (frutto della palatalizzazione di x) sono particolarmente
produttivi nelle lingue slave moderne, dove caratterizzano il parlato. Cfr. russo старуха e
старушка (< *starux-ßk-a) ‘vecchietta’; мачеха ‘matrigna’; малыш ‘piccoletto’, пройдоха
‘paraculo’, ‘furbacchione’; чернуха ‘nerume’; рубаха ‘camiciotto’; кожух ‘pellicciotto’;
бабеха ‘donnetta noiosa’; Олеха ‘Aleša’ e numerosissimi altri.
Morfologia
129
-tv- forma sostantivi femminili deverbali: molitva ‘preghiera’, britva
‘rasoio’, jr|tva ‘vittima sacrificale’, kl(tva ‘giuramento’, j(tva ‘mietitura’.
-v- forma sostantivi maschili e neutri: g¢:v) ‘ira’ (cfr. g¢oi ‘pus’), pivo
‘bevanda’, ~r:vo ‘ventre’, dr:vo ‘albero’.
-av-, -iv-, -ěv- formano sostantivi femminili (d\brava ‘querceto’, t(tiva
‘corda dell’arco’, po¢qva ‘manto’) e aggettivi denominali o deverbali (formati
dal participio perfetto): kr)vav) ‘sanguinoso’, l\kav) ‘maligno’ (da l\ka
‘inganno’), l:¢iv) ‘pigro’, l|stiv) ‘adulatore’, prav|div) ‘giusto’, jiv)
‘vivo’, g¢:v|liv) ‘iracondo’, ml|~aliv) ‘taciturno’, tr|p:liv) ‘paziente’.
-ov- deriva aggettivi possessivi da sostantivi maschili. Oggi improduttivo,
ha dato origine alla gran massa dei cognomi slavi: pavlov) ‘di Paolo’, petrov)
‘di Pietro’, popov) ‘di prete’.
-ßstv- forma sostantivi neutri astratti (denominali e deaggettivali) in *ŏ e in
*jŏ: boj|stvo ‘divinità’, bogat|stvo ‘ricchezza’, m)¢oj|stvo ‘moltitudine’,
ot|~|stvo ‘patria’; ot|~|stvie ‘patria’, podob|stvie ‘somiglianza’.
6. Temi in *ı̆
La classe di declinazione in *ı̆ comprende nomi maschili e femminili che
escono al N sg in -| . Anticamente comprendeva anche nomi neutri: cfr. le
forme duali dei sostantivi oko ‘occhio’ e ouho ‘orecchio’: NA ou{i , o~i , GL
ou{i< (ou{|< ), o~i< (o~|< ), DS ou{ima , o~ima e il pronome dimostrativo
s| ‘questo’. In paleoslavo costituisce l’approdo di molti temi in consonante.
I femminili, che costituiscono il gruppo più numeroso e oggi meglio
conservato, sono formati sia con, sia senza l’ausilio di suffissi.
Al primo tipo appartengono sostantivi concreti (dv|r) ‘porta’, kost| ‘osso’,
sol| ‘sale’) e sostantivi astratti derivati da verbi, aggettivi e participi: bol|
‘dolore’ (bol:ti ‘dolere’), l:torasl| ‘germoglio’ (cfr. participio perfetto di
rasti ‘crescere’: rasl) ‘cresciuto’), stoude¢| ‘gelo, inverno’ (stoude¢) agg.
‘freddo’). Alcuni sostantivi escono in consonante palatale (I palatalizzazione
delle velari e del nesso *kt davanti a vocale anteriore): r:~| ‘parola’ (*rek-),
r)j| ‘segale’ (*rugh-), m¨{| ‘topo’ (*mu- s- > *myx- per Pedersen; x > š
130
Il paleoslavo
davanti a vocale anteriore; cfr. latino mu- s, inglese mouse); mo}| (*mokt-ı̆-s)
‘forza’, ¢emo}| ‘debolezza’, pomo}| ‘aiuto’, ¢o}| (*nokt-ı̆-s) ‘notte’.
Al secondo tipo appartengono nomi astratti e concreti derivati con il
suffisso -t-: æavist| ‘invidia’, ~est| ‘onore’, v:st| ‘notizia’; nomi astratti
deaggettivali derivati con il suffisso -ost-: starost| ‘vecchiaia’, <¢ost|
‘giovinezza’; sostantivi deverbali derivati con i suffissi -ěl-, -n-, -sn-, -zn-:
g¨b:l| ‘rovina’, ‘distruzione’, pe~al| ‘afflizione’, da¢| ‘tributo’, bra¢|
‘combattimento’, p:s¢| ‘canzone’, jiæ¢| ‘vita’, boqæ¢| ‘paura’. Anche qui si
verificano casi di palatalizzazione del nesso *kt: pe}| (*pek-t-ı̆-s) ‘stufa’.
Gli aggettivi appartenenti a questa classe di declinazione sono pochi e
indeclinabili: svobod| ‘libero’, oudob| ‘facile’, ispl|¢| ‘pieno’, pr:prost|
‘semplice’, raæli~| ‘diverso’. Alcuni hanno valore avverbiale: tai (< *taj-ß)
‘in segreto’, prav| ‘in verità’. Estesi per mezzo del suffisso -ßn- migrano verso
la classe in *ŏ per il maschile e per il neutro, in *a- per il femminile:
svobod|¢) , svobod|¢o , svobod|¢a . Alcuni, estesi per mezzo del suffisso -k-,
sono già migrati in paleoslavo verso la classe in *ŏ per il maschile e per il
neutro, in *a- per il femminile: *gorı̆-s > gor|k) , gor|ko , gor|ka ‘amaro’.
La vocale tematica *ı̆ alterna nel corso della declinazione con *ĕi‡ (nei casi
GDLV sg, GL duale, NVG plurale), che ha esiti diversi davanti a consonante,
silenzio o vocale: *ĕi‡ > *ı- in fine di parola o di sillaba (davanti a consonante),
*ĕi‡ > *ßi‡ davanti a vocale. La vocale tematica *ı̆ > *ı- al caso NA duale e al
caso A pl m e NA pl f (davanti a *-ns):
N
G
D
A
L
S
V
*gost - ı̆ - s
*gost - ei‡ - s
*gost - ei‡ - ei‡
*gost - ı̆ - n
*gost - ei‡ - ø
*gost - ı̆ - mı̆
*gost - ei‡
NA
GL
DS
*gost - -ı
*gost - ei‡ - ou‡s
*gost - ı̆ - mo-
(ei‡ > -ı)
(ß•i‡i > -ı)
(ß•i‡ + u- )
gost|
gosti
gosti
gost|
gosti
gost|m|
gosti
gosti
gosti< (-|<)
gost|ma
131
Morfologia
N
G
D
A
L
S
*gost - ei‡ - es
*gost - ei‡ - ŏn
*gost - ı̆ - mŭs
*gost - ı̆ - ns
*gost - ı̆ - sŭ
*gost - ı̆ - mis
(ß•i‡ + es > ß•’e)
(ß•i‡ + ∞ > ß•jß > ß•i)
(ı̆ns > -ıns > -ı)
(s > x per Pedersen)
gosti& (-|&)
gostii (-|i)
gost|m)
gosti
gost|h)
gost|mi
La declinazione del femminile si discosta da quella dei maschili solo allo S
sg, frutto dell’estensione della terminazione pronominale -+ a tutti i sostantivi
femminili, e al N pl:
N
G
D
A
L
S
V
*kost - ı̆- ø
*kost - ei‡ - s
*kost - ei‡ - ei‡
*kost - ı̆ - n
*kost - ei‡ - ø
*kost - ı̆ - jan
*kost - ei‡
NA
GL
DS
*kost - -ı
*kost - ei‡ - ou‡s
*kost - ı̆ - mo-
N
G
D
A
L
S
*kost - ı̆ - ns
*kost - ei‡ - ŏn
*kost - ı̆ - mŭs
*kost - ı̆ - ns
*kost - ı̆ - sŭ
*kost - ı̆ - mis
(-ijo˛/-ßjo˛; cfr. decl. pronominale)
kost|
kosti
kosti
kost|
kosti
kosti+ (-|+)
kosti
kosti
kosti< (-|<)
kost|ma
(ı-ns > -ı)
(ı-ns > -ı)
(s > x per Pedersen)
kosti
kostii (-|i)
kost|m)
kosti
kost|h)
kost|mi
I sostantivi maschili che appartengono a questa declinazione non sono più
di una ventina, e tendono a migrare verso i temi in *ŏ: ~r|v| ‘verme’, gvoæd|
‘chiodo’, gol\b| ‘piccione’ (cfr. latino columba e russo голубой ‘grigioazzurro’), gospod| ‘signore’, gost| ‘ospite’, ‘mercante’ (cfr. latino hostis,
hostis ‘nemico’), g\s| ‘oca’, gr)ta¢| ‘laringe’ (suffisso -an-, oggi femminile),
dr|kol| ‘bastone’, m(tej| ‘tumulto’ (derivato con il suffisso -ež-) lak)t|
‘gomito’ (suffisso -t-), ¢og)t| ‘unghia’, og¢| ‘fuoco’ (cfr. latino ignis, ignis),
\gl| ‘carbone’, pe~at| ‘sigillo’ (suffisso -ět-), p\t| ‘via, cammino’ (cfr.
132
Il paleoslavo
latino pons, pontis ‘ponte’), tat| ‘ladro’, t|st| ‘suocero’, æ:t| ‘genero’,
ou{id| ‘fuggitivo’, æv:r| ‘fiera’ (cfr. greco qhvr e latino ferus).
I maschili in *ı̆ si distinguono da quelli in *jŏ (tipo ko¢∞| ) perché al N sg la
consonante che precede ß non è palatalizzata (come sarebbe davanti a jod):
escono in -d| (non *-žd’ß), -t| (non *-št’ß), -v| (non *-vl’ß), -b| (non *-bl’ß),
-s| (non *-š’ß). Problemi di attribuzione a una classe flessiva (in *ı̆ oppure in
*jŏ) sono posti da nomi del tipo æv:r| , og¢| , \gl| , giacché la palatalizzazione
delle consonanti liquide e nasali non è segnalata graficamente. Ciò favorisce la
precoce confusione tra maschili in *ı̆ e maschili in *jŏ: og¢| ha G sg og¢q , D
sg og¢< accanto a G sg e D sg og¢i . D’altra parte, sostantivi maschili in *jŏ
possono prendere forme dei temi in *ı̆: G pl vra~ei invece che vra~| (oppure
vra~ev) , v. infra).
7. Temi in *ŭ
Il suffisso *ŭ forma un piccolo gruppo di sostantivi maschili, per lo più già
migrati in epoca paleoslava verso i temi in *ŏ, di cui nessuno attestato nei
manoscritti del canone in tutte le forme del paradigma: dom) ‘casa’ (cfr. latino
domus), s¨¢) ‘figlio’, vr|h) ‘cima’, med) ‘miele’, mir) ‘mondo’, pol)
‘metà’, ~i¢) ‘rango’, vol) ‘bue’, forse sa¢) ‘dignità’, dar) ‘dono’ e pochi
altri. Originariamente appartenevano a questo tipo diversi aggettivi che già in
paleoslavo appaiono estesi per mezzo del suffisso -k- e migrati verso la classe
in *ŏ per il maschile e per il neutro, in *a- per il femminile: bliæ)k) ‘vicino’,
¢iæ)k) ‘basso’, l|g)k) ‘leggero’, m(k)k) ‘morbido’, slad)k) ‘dolce’ e altri.
La vocale tematica *ŭ alterna nel corso della declinazione con *ou‡ (nei casi
GDLV sg, GL duale, NVG plurale). Il dittongo *ou‡ si monottonga in fine di
parola o di sillaba (davanti a consonante e silenzio), si dentalizza davanti a
vocale. Notiamo inoltre l’allungamento della vocale tematica *ŭ > *u- al caso
NA duale e al caso A plurale (davanti a *-ns):
N
G
D
A
L
*sun - ŭ - s
*sun - ou‡ - s
*sun - ou‡ - ei‡
*sun - ŭ - n
*sun - ou‡ - ø
(ou‡ > u- )
(ou‡i > ovi)
(ŭn > ŭ)
s¨¢)
s¨¢ou
s¨¢ovi
s¨¢)
s¨¢ou
133
Morfologia
S
V
*sun - ŭ - mı̆
*sun - ou‡
NA
GL
DS
*sun - u*sun - ou‡ - ŏu‡s
*sun - ŭ - mo-
N
G
D
A
L
S
*sun - ou‡ - es
*sun - ou‡ - ŏn
*sun - ŭ - mŭs
*sun - ŭ - ns
*sun - ŭ - sŭ
*sun - ŭ - mis
s¨¢)m|
s¨¢ou
(ŏu‡u- > ovu)
(ou‡e > ove)
(ou‡∞ > ov∞)
(u- ns > u- )
(s > x per Pedersen)
s¨¢¨
s¨¢ovou
s¨¢)ma
s¨¢ove
s¨¢ov)
s¨¢)m)
s¨¢¨
s¨¢)h)
s¨¢)mi
Temi in *ŏ e temi in *ŭ cominciano ben presto a contaminarsi; ne derivano
da una parte forme del tipo S sg s¨¢om| , domom| , D pl s¨¢om) , L pl s¨¢oh) ,
domoh) (che sono le uniche storicamente attestate), e dall’altra l’enorme
fortuna di molte terminazioni dei temi in *ŭ nelle diverse lingue slave: G sg -u,
L sg -u, D sg -ovi, N pl -ove, G pl -ov (cfr. in russo il cosiddetto ‘secondo
genitivo’ con valore partitivo o di provenienza del tipo много народу, выйти
из дому, е il ‘secondo prepositivo’ del tipo в саду, на дому, nonché il G pl dei
nomi maschili: домов, городов).
L’estensione delle terminazioni della classe in *ŭ ai nomi in *ŏ, *jŏ porta
alla comparsa di una variante molle (del tipo *jŭ) quando a prendere le
terminazioni di questo tipo è un nome originariamente in *jŏ: vra~| , G pl
vra~ev) ; æmii , N pl æmi&ve , G pl æmi&v) ; æ¢oi , N pl æ¢o&ve , G pl æ¢o&v) .
8. Temi in consonante
I temi in consonante appartengono alle classi flessive in *n, *s, *nt, *r.
Appartengono a queste classi di declinazione nomi formati dalla radice e da un
suffisso tematico consonantico. Il sistema delle desinenze non è identico a
quello dei temi vocalici: segnaliamo il L sg -e e la vocale breve della
desinenza del G pl, che da qui si espande ai temi vocalici. Numerosi sono i casi
di influenza delle classi con suffisso vocalico su questi in consonante, con forte
preponderanza delle forme proprie dei temi in *ı̆.
134
Il paleoslavo
1) La classe in *n comprende nomi maschili e neutri formati con i suffissi
*mo- n/*mĕn, *me- n/*mĕn, *e- n/*ĕn.
*mo- n/*mĕn forma un piccolo gruppo di sostantivi maschili che escono al N
sg in -¨ < *-o- n-s: kam¨ ‘pietra’. Tendono a generalizzare al nominativo la
forma accusativa e a migrare verso classi di declinazione in vocale: kam¨ (<
*kamo- n-s4), kame¢e ‘pietra’ (NA kame¢| , G kame¢i , cfr. russo камень);
*rem¨ , reme¢e ‘cintura’ (NA reme¢| , cfr. russo ремень); plam¨ (< *pol-mo- ns), plame¢e ‘fiamma’ (NA plame¢| ; cfr. russo пламень, m arcaico, e пламя n,
per analogia con i neutri in *me- n).
*me- n/*mĕn forma un gruppo di sostantivi neutri che escono al N sg in -( <
*-e- n: br:m( , br:me¢e ‘peso’ (< *ber-men, radice *ber-, ‘portare’); vr:m( ,
vr:me¢e ‘tempo’ (< *vert-men, radice *vert-, ‘girare in tondo’); im( , ime¢e
‘nome’ (< *n÷-men, cfr. latino nomen); plem( , pleme¢e ‘tribù’ (<*pled-men,
radice *pled, cfr. plod) ‘frutto’, ‘prodotto generato’); s:m( , s:me¢e ‘seme’
(< *se- -men, cfr. latino semen); ~ism( , ~isme¢e ‘numero’, eccetera. Il gruppo è
ben conservato oggi in russo (имя, имени).
*e- n/*ĕn forma, come il precedente, sostantivi maschili che escono al N sg
in -( < *-e- n-s; anche questi tendono a generalizzare al nominativo la forma
accusativa (-¢| < *-nı̆n < *-nn÷) e a migrare verso classi di declinazione in
vocale: *pr|st( (< *pr÷’st-e- ns), pr|ste¢e ‘anello’ (NA pr|ste¢| , cfr. russo
перстень); *&l( , &le¢e ‘cervo’ (NA &le¢| , cfr. russo олень); *kor( , kore¢e
‘radice’ (NA kore¢| ; cfr. russo корень); *step( , stepe¢e ‘passo’, ‘gradino’
(NA stepe¢| ; cfr. russo степень).
N
G
D
A
L
S
*kamo- n - s
*kamĕn - es
*kamĕn - ei‡
*kamĕn - n÷
*kamĕn - en
*kamĕn - ı̆ - mı̆
(u- ns > u- )
(ı̆n > ı̆)
(cfr. temi in *ı̆)
kam¨
kame¢e
kame¢i
kame¢|
kame¢e
kame¢|m|
4 La marca del nominativo dei nomi di questa classe dovrebbe essere l’allungamento della
vocale; l’esito del tipo kam¨ induce però a credere che si sia generalizzata a questi sostantivi la
marca più caratteristica del maschile singolare, *-s.
135
Morfologia
NA
GL
DS
*kamĕn - -ı
*kamĕn - ou‡s
*kamĕn - ı̆ - mo-
N
G
D
A
L
S
*kamĕn - es
*kamĕn - ŏn
*kamĕn - ı̆ - mŭs
*kamĕn - n÷s
*kamĕn - ı̆ - sŭ
*kamĕn - ı̆ - mı-s
(cfr. temi in *ı̆)
kame¢i
kame¢ou
kame¢|ma
(cfr. temi in *ı̆)
(ı̆ns > -ıns > -ı)
(cfr. temi in *ı̆)
(cfr. temi in *ı̆)
kame¢e
kame¢)
kame¢|m)
kame¢i
kame¢|h)
kame¢|mi
(cfr. temi in *ı̆)
Alcuni sostantivi sono attestati con forme duplici, che indicano incertezza
sull’appartenenza alla classe flessiva dei temi in consonante e rivelano la
tendenza a migrare: per esempio S pl di d|¢| è attestato come d|¢|mi (*dßn-ı̆
-mı-s, cfr. temi in *ı̆) e come d|¢¨ (*dßn-oi‡s, cfr. temi in *ŏ).
I sostantivi neutri si differenziano dai nomi maschili nei casi NA (singolare,
duale e plurale). Le desinenze NA duale e plurale sono quelle dei temi in *ŏ:
NA
G
D
L
S
*ime- n
*imĕn - es
*imĕn - ei‡
*imĕn - en
*imĕn - ı̆ - mı̆
NA
GL
DS
*imĕn - oi‡
*imĕn - ou‡s
*imĕn - ı̆ - mo-
(cfr. temi in *ŏ e decl. pron.)
NA
G
D
L
S
*imĕn - o*imĕn - ŏn
*imĕn - ı̆ - mŭs
*imĕn - ı̆ - sŭ
*imĕn - ŏ - i‡s
(cfr. temi in *ŏ e decl. pron.)
(cfr. temi in *ı̆)
(cfr. temi in *ı̆)
(cfr. temi in *ı̆)
(cfr. temi in *ı̆)
(cfr. temi in *ŏ)
im(
ime¢e
ime¢i
ime¢e
ime¢|m|
ime¢:
ime¢ou
ime¢|ma
ime¢a
ime¢)
ime¢|m)
ime¢|h)
ime¢¨
2) La classe di declinazione in *s comprende nomi neutri formati con il
suffisso *ŏs/*ĕs che escono al N in -o (< *-ŏs-ø) e al G in -ese (< *-ĕs-ĕs):
slovo , slovese ‘parola’; ~oudo , ~oudese ‘miracolo’; kolo , kolese ‘ruota’;
¢ebo , ¢ebese ‘cielo’ (cfr. con lo stesso etimo ‘nube’ e ‘nebbia’); t:lo , t:lese
‘corpo’; dr:vo (< *dervŏs), dr:vese ‘albero’, divo , divese ‘prodigio’, oko ,
136
Il paleoslavo
o~ese ‘occhio’, ouho , ou{ese ‘orecchio’, d:lo , d:lese ‘atto’, lice (e < *ŏ
dopo c’ palatalizzata per III palatalizzazione), li~ese ‘persona’ (cfr. le forme
degli aggettivi russi словесный ‘verbale’, чудесный ‘miracoloso’, небесный
‘celeste’, телесный ‘corporale’, il neologismo колесо ‘ruota’, singolare di
колеса, e il collettivo древесина, ‘legname’).
Il tema è caratterizzato dall’alternanza vocalica radicale qualitativa (o/e), il
N sg ha desinenza zero. Le desinenze NA duale e plurale sono quelle dei temi
in *ŏ:
NA
G
D
L
S
*slovos
*sloves - es
*sloves - ei‡
*sloves - en
*sloves - ı̆ - mı̆
NA
GL
DS
*sloves - ŏi‡
*sloves - ou‡s
*sloves - ı̆ - mo-
(cfr. temi in *ŏ e decl. pron.)
NA
G
D
L
S
*sloves - o*sloves - ŏn
*sloves - ı̆ - mŭs
*sloves - ı̆ - sŭ
*sloves - ŏ - i‡s
(cfr. temi in *ŏ e decl. pron.)
(cfr. temi in *ı̆)
(cfr. temi in *ı̆)
(cfr. temi in *ı̆)
(cfr. temi in *ı̆)
(cfr. temi in *ŏ)
slovo
slovese
slovesi
slovese
sloves|m|
sloves:
slovesou
sloves|ma
slovesa
sloves)
sloves|m)
sloves|h)
sloves¨
3) La classe di declinazione in *nt comprende nomi neutri formati con il
suffisso *e- nt/*ĕnt5 che escono al N in -( < *-e- nt e al G in -(te (< *-ĕnt-ĕs) e
designano cuccioli (di animale o d’uomo): ag¢( , ag¢(te ‘agnellino’, jr:b( ,
jr:b(te ‘puledro’, koæ|l( , koæ|l(te ‘capretto’, os|l( , os|l(te ‘asinello’,
otro~( , otro~(te ‘bambino’ (cfr. russo отрочество ‘adolescenza’). Il N sg ha
desinenza zero. Le desinenze NA duale e plurale sono quelle dei temi in *ŏ:
NA
G
D
*agn - e˛t
*agn - e˛t - es
*agn - e˛t - ei‡
ag¢(
ag¢(te
ag¢(ti
5 Delle due forme del suffisso la prima è quella che forma il nominativo singolare, l’altra
quella che ricorre in tutto il resto della flessione.
137
Morfologia
L
S
*agn - e˛t - en
*agn - e˛t - ı̆ - mı̆
NA
GL
DS
*agn - e˛t - oi‡
*agn - e˛t - ou‡s
*agn - e˛t - ı̆ - mo-
(cfr. temi in *ŏ e decl. pron.)
NA
G
D
L
S
*agn - e˛t - o*agn - e˛t - ŏn
*agn - e˛t - ı̆ - mŭs
*agn - e˛t - ı̆ - sŭ
*agn - e˛t - ŏ - i‡s
(cfr. temi in *ŏ e decl. pron.)
(cfr. temi in *ı̆)
(cfr. temi in *ı̆)
(cfr. temi in *ı̆)
(cfr. temi in *ı̆)
(cfr. temi in *ŏ)
ag¢(te
ag¢(t|m|
ag¢(t:
ag¢(tou
ag¢(t|ma
ag¢(ta
ag¢(t)
ag¢(t|m)
ag¢(t|h)
ag¢(t¨
4) La declinazione in *r comprende nomi femminili formati con il suffisso
*ter/*těr che escono al N sg in -i e al G sg in -ere . In paleoslavo appartengono
a questo tipo due soli sostantivi: d)}i (*dŭkti < *dŭkte- r), d)}ere ‘figlia’ (cfr.
tedesco Tochter); mati (< *mate- r), matere ‘madre’. Le forme del duale non
sono attestate:
NA
G
D
A
L
S
*mate- r
*matĕr - es
*matĕr - ei‡
*matĕr - n÷
*matĕr - en
*matĕr - ı̆ - jan
N
G
D
A
L
S
*matĕr - n÷s
*matĕr - ŏn
*matĕr - ı̆ - mŭs
*matĕr - n÷s
*matĕr - ı̆ - sŭ
*matĕr - ı̆ - mis
(cfr. temi in -ı̆-)
(cfr. temi in -ı̆-)
(cfr. temi in -ı̆-)
(cfr. temi in -ı̆-)
mati
matere
materi
mater|
matere
materi+
materi
mater)
mater|m)
materi
mater|h)
mater|mi
Altri tre suffissi consonantici formano sostantivi che al singolare sono già
migrati, in epoca paleoslava, verso la classe di declinazione più produttiva
(quella dei temi in *ŏ), mentre al plurale si comportano ancora come temi
consonantici (N pl *-es):
*tĕl è un suffisso estremamente produttivo per formare nomina agentis
(sostantivi deverbali che indicano chi compie l’azione): pravitele ‘i
138
Il paleoslavo
governanti’, d:latele ‘i lavoratori’, jitele ‘gli abitanti’. Al singolare i nomi
in *tĕl seguono il tipo flessivo in *jŏ (ou~itel| , G ou~itelq ).
*a- r forma sostantivi maschili che indicano un’occupazione costante, una
professione. Molti sono prestiti dal germanico: r¨bare ‘pescatori’ (cfr. r¨ba
‘pesce’); kl<~are ‘detentori delle chiavi’, ‘guardiani’ (cfr. kl<~| ‘chiave’);
vi¢are ‘vinai’; m¨tare ‘pubblicani’, cioè esattori delle imposte (cfr. m¨to
‘dazio’, ‘gabella’). Anche questi al singolare sono migrati e seguono il tipo
flessivo in *jŏ (r¨bar| , G r¨barq ).
*je- n, *e- n forma sostantivi maschili che indicano persone appartenenti a una
collettività: *slov-e- n-es > slov:¢e , ‘gli slavi’, *rim-je- n-es > rimlq¢e , ‘gli
abitanti di Roma’, *gord-je- n-es > grajda¢e , ‘gli abitanti di una città’. Al
singolare questi sostantivi aggiungono al tema del plurale il suffisso
singolativo -in-, che risale all’i.e. *ĕı-n ‘uno’, a indicare uno degli appartenenti
a un luogo o una comunità, e si declinano come i temi in *ŏ: *slov-e- n-in-o-s >
slov:¢i¢) , ‘uno slavo’; *rim-je- n-in-o-s > rimlq¢i¢) , ‘un abitante di Roma’;
*gord-je- n-in-o-s > grajda¢i¢) , ‘un abitante di una città’.
9. Temi in *uLa classe comprende nomi formati con il suffisso *u- / *ŭu‡ che escono al N
sg in -¨ (< *-u- ) e presentano in tutta la declinazione come elemento tematico il
suffisso -∞v- (< *-ŭu‡). Sono due gruppi di sostantivi tutti femminili, gli uni
indoeuropei, gli altri entrati nello slavo comune dalle lingue germaniche.
Come i sostantivi maschili in consonante, anche questi tendono a generalizzare
la forma accusativa al nominativo e a migrare verso classi di declinazione con
tema vocalico: l<b¨ , l<b)ve ‘amore’ (cfr. tedesco Liebe ‘amore’; NA
l<b)v| , russo любовь), svekr¨ , svek)rve ‘suocera’ (cfr. latino socru- s; NA
svek)rv| , russo свекровь), cr|k¨ , cr|k)ve ‘chiesa’ (cfr. germanico *kir(i)ko- ,
russo церковь); brad¨ (< *bordy), brad)ve ‘ascia’ (cfr. germanico *bardo- ,
russo брадва), bouk¨ , bouk)ve ‘lettera’ (cfr. tedesco Buch, gotico bo- ka, russo
буква); jr|¢¨ , jr|¢)ve ‘macina’ (cfr. russo жёрнов, m), lok¨ , lok)ve
‘pozzanghera’ (bulgaro локва), ¢eplod¨ , ¢eplod)ve ‘donna sterile’ (cfr.
plod) ‘frutto’), hor\g¨ , hor\g)ve ‘scettro’ (cfr. russo хоругвь), c:l¨ ,
139
Morfologia
c:l)ve ‘guarigione’. Appartengono a questa classe anche *kry, *kr∞ve (cfr.
russo кровь, i.e. *kru- s, e *bry, *br∞ve (cfr. russo бровь e inglese brow, i.e.
*bhru- s).
NA
G
D
A
L
S
*svekr - u- - s
*svekr - ∞v - es
*svekr - ∞v - ei‡
*svekr - ∞v - n÷
*svekr - ∞v - en
*svekr - ∞v - ı̆ - jan
NA
GL
DS
*svekr - ∞v - -ı
*svekr - ∞v - ou‡s
*svekr - ∞v - a- - mo-
N
G
D
A
L
S
*svekr - ∞v - n÷s
*svekr - ∞v - ŏn
*svekr - ∞v - a- - mŭs
*svekr - ∞v - n÷s
*svekr - ∞v - a- - sŭ
*svekr - ∞v - a- - mis
(cfr. temi in *ı̆)
svekr¨
svekr)ve
svekr)vi
svekr)v|
svekr)ve
svekr)vi+
(cfr. temi in *a- )
svekr)vi
svekr)vou
svekr)vama
(ı̆n > ı̆)
(ı̆ns > -ı)
(cfr. temi in *a- ; s > x per analogia)
(ı̆ns > -ı)
(cfr. temi in *a- )
(cfr. temi in *a- )
svekr)vi
svekr)v)
svekr)vam)
svekr)vi
svekr)vah)
svekr)vami
La presenza del suffisso -∞v- fa sì che questi temi si comportino come temi
in consonante, condividendone tutte le terminazioni (fatta salva l’analogia
morfologica con i nomi femminili in *a- e in *ı̆). Si preferisce quindi inserire
questi nomi tra i nomi in consonante, portando queste classi flessive a cinque,
contro quattro classi in vocale.
10. L’aggettivo
I nomi aggettivi si formano come i nomi sostantivi con tema in *ŏ, *jŏ per
il maschile e per il neutro e con tema in *a- , *ja- per il femminile: dobr) ,
dobro , dobra ‘buono’ si declina come droug) ‘amico’, selo ‘villaggio’, gora
‘monte’; si¢∞| , si¢& , si¢q ‘azzurro’ si declinano come ko¢∞| ‘cavallo’, pol&
‘campo’, volq ‘libertà’. Dei nomi aggettivi appartenenti ad altre classi di
declinazione si sono conservati soltanto alcuni aggettivi indeclinabili in *ı̆
(svobod| ‘libero’, oudob| ‘facile’, ispl|¢| ‘pieno’, raæli~| ‘diverso’) e
140
Il paleoslavo
alcuni avverbi in *ı̆ e in *ŭ (pr:prost| ‘semplicemente’, prav| ‘in verità’,
¢iæ) ‘in basso’).
La maggior parte degli aggettivi si forma per mezzo di suffissi, tra cui i più
diffusi sono -j-, -ßj-, -ok-, -∞k-, -ßk-, -ßsk-, -ßn- (v. § 5, p. 122).
Già in epoca preistorica le forme nominali prendono ad essere utilizzate in
composizione con le forme del pronome dimostrativo *i , & , q (*i < *jß < *jŏs,
*jŏn, *ja- ) ‘quello’ (v. p. 149). Il significato di questa associazione, in principio
non grammaticalizzata, era l’individuazione, la determinazione. Si sottraggono
infatti a questa composizione gli aggettivi formati con il suffisso -ßj-, già
determinati dall’idea di appartenenza: bojii (< *bog-ß• j-ß), boji& , bojiq
‘che è di Dio’ (non *bojiii < *bog-ß• j-ß• -jß!, *boji&& , *bojiqq ):
N
G
D
nov∞-jß
nova-jego
novu-jemu
novo-je
nova-jego
novu-jemu
nova-ja
novy-jeje˛
nově-jei
Con la progressiva morfologizzazione del pronome dimostrativo l’aggettivo
determinato cessa di essere percepito come un composto. Nel confine tra nome
e pronome si realizzano assimilazioni e contrazioni, che conferiscono
all’aggettivo determinato una nuova forma ‘lunga’, o ‘piena’, o ‘articolata’,
che accoglie le terminazioni proprie della flessione pronominale, ma che si
distingue da questa per il vocalismo del suffisso tematico (v. p. 145):
N
G
D
A
L
S
NA
GL
DS
N
G
D
m
n
¢ov¨i
¢ovo&
¢ova&go > ¢ovaago > ¢ovago
¢ovou&mou > ¢ovououmou > ¢ovoumou
¢ov¨i
¢ovo&
¢ov:&m| > ¢ov:m|
¢ov¨im| > ¢ov¨m|
¢ovaq
¢ov:i
¢ovou<
¢ov¨ima > ¢ov¨ma
¢ovii
¢ovaq
¢ov¨ih) > ¢ov¨h)
¢ov¨im) > ¢ov¨m)
f
¢ovaq
¢ovy`
¢ov:i
¢ov\+
¢ov:i
¢ovo+
¢ov:i
¢ov¨`
141
Morfologia
A
L
S
¢ov¨`
¢ovaq
¢ov¨ih) > ¢ov¨h)
¢ov¨imi > ¢ov¨mi
¢ov¨`
Al N sg m e nel G pl di tutti i generi la vocale -¨ - indica la presenza di uno
jer teso (∞• ) davanti a *jß, nei casi NA pl f (desinenza poi estesa al G sg f), A pl
m, S pl m n rappresenta la regolare terminazione dei temi maschili e neutri in
*ŏ, femminili in *a- , ai casi S sg m n, DS duale, DL pl, è frutto di analogia
morfologica (livellamento del tema).
Nei casi GDL sg f e GL duale la forma articolata non viene usata nella sua
interezza, ma limitatamente alla seconda sillaba.
Al L sg gli aggettivi maschili e neutri con tema molle escono in -im| per
assonanza con la terminazione della parte nominale: *obßšti-jemß >
ob|}iim| . Il caso L sg m e n viene così a coincidere con il caso S sg m e n.
Nel caso S sg f la forma articolata può coincidere con quella inarticolata:
*novojo˛-jo˛ > ¢ovo+ , oppure coincidere con l’accusativo articolato: ¢ov\+ .
11. Comparativo e superlativo
I nomi aggettivi formano il grado comparativo per mezzo dei suffissi *jßs
(*jes per il NA sg n), *e- jßs (*e- jes per il NA sg n) inseriti tra la radice e il
suffisso tematico *jŏ per i nomi maschili e neutri, *ja- per i nomi femminili.
L’aggettivo di grado comparativo rappresenta un antico tema in consonante,
migrato verso le classi in *ŏ, *ja- ; di questa sua primitiva natura conserva tracce
al nominativo e accusativo singolare maschile e neutro e al nominativo plurale
maschile:
– il N sg m e n non ha suffisso tematico: *dobr-e- jßs-ø-s, *dobr-e- jes-ø-n,
*bol-jßs-ø-s, *bol-jes-ø-n. In fine di parola, davanti a silenzio, le consonanti
cadono: dobr:i , dobr:& ‘più buono’, *bol∞| , bol& ‘maggiore’. La forma
*bol∞| non è attestata, perché il N sg m dei comparativi derivati con il suffisso
*jßs assume la forma bol∞i i (bol’ßi) per analogia con il N sg m del
comparativo formato con il suffisso *e- jßs: dobr:i .
– l’A sg m e n non ha suffisso tematico: *dobr-e- jßs-ø-n, *dobr-e- jes-ø-n,
*bol-jßs-ø-n, *bol-jes-ø-n. In fine di parola, davanti a silenzio, la nasale e la
142
Il paleoslavo
fricativa cadono: dobr:i , dobr:& ‘più buono’, *bol∞| , bol& ‘maggiore’. La
forma *bol∞| non è attestata, perché anche l’A sg m dei comparativi derivati
con il suffisso *jßs assume la forma bol∞i i (bol’ßi) per analogia con l’A sg m
del comparativo formato con il suffisso *e- jßs: dobr:i . Inoltre, è evidente in
paleoslavo la tendenza al livellamento del tema, che porta a formare anche l’A
sg m e n con il suffisso *jŏ: *dobr-e- jßs-jŏ-n > dobr:i{| , *dobr-e- jes-jŏ-n >
dobr:i{e ; *bol-jßs-jŏ-n > bol∞| {| , *bol-jes-jŏ-n > bol∞| {e .
– il N pl m si forma con la desinenza *-es: *dobr-e- jßs-jŏ-es, *bol-jßs-jŏ-es.
La fricativa del suffisso si iodizza, quella della desinenza cade: dobr:i{e ‘più
buoni’, bol∞| {e ‘maggiori’.
Caratterizza inoltre i comparativi la terminazione del N sg f -i (cfr. i
sostantivi femminili formati per mezzo del suffisso *-jƒ, p. 118).
N
G
D
A
L
S
NA
GL
DS
N
G
D
A
L
S
N
G
D
A
L
S
NA
GL
DS
m
bol - jßs - s
bol - jßs - jŏ - ad
bol - jßs - jŏ - ou‡
bol - jßs - n
bol - jßs - jŏ - -ı
bol - jßs - jŏ - mı̆
bol - jßs - jobol - jßs - jŏ - ou‡s
bol - jßs - jŏ - mobol - jßs - jŏ - es
bol - jßs - j(ŏ) - ŏn
bol - jßs - jŏ - mŭs
bol - jßs - jŏ - ns
bol - jßs - joi‡ - sŭ
bol - jßs - jŏ - -ıs
m
dobr - e- jßs - s
dobr - e- jßs - jŏ - ad
dobr - e- jßs - jŏ - ou‡
dobr - e- jßs - n
dobr - e- jßs - jŏ - -ı
dobr - e- jßs - jŏ - mı̆
dobr - e- jßs - jodobr - e- jßs - jŏ - ou‡s
dobr - e- jßs - jŏ - mo-
n
bol - jes - n
bol - jßs - jŏ - ad
bol - jßs - jŏ - ou‡
bol - jes - n
bol - jßs - jŏ - -ı
bol - jßs - jŏ - mı̆
bol - jßs - jo-i‡
bol - jßs - jo- - ou‡s
bol - jßs - jŏ - mobol - jßs - jobol - jßs - j(ŏ) - ŏn
bol - jßs - jŏ - mŭs
bol - jßs - jobol - jßs - joi‡ - sŭ
bol - jßs - jŏ - -ıs
n
dobr - e- jes - s
dobr - e- jßs - jŏ - ad
dobr - e- jßs - jŏ - ou‡
dobr - e- jes - n
dobr - e- jßs - jŏ - -ı
dobr - e- jßs - jŏ - mı̆
dobr - e- jßs - jo- i‡
dobr - e- jßs - jo- - ou‡s
dobr - e- jßs - jŏ - mo-
f
bol - jßs - jıbol - jßs - ja- - ns
bol - jßs - ja- - i
bol - jßs - ja- - n
bol - jßs - ja- - -ı
bol - jßs - ja- - ja-n
bol - jßs - ja-i‡
bol - jßs - ja- - ou‡s
bol - jßs - ja- - mobol - jßs - ja- - ns
bol - jßs - j(a-) - ŏn
bol - jßs - ja- - mŭs
bol - jßs - ja- - ns
bol - jßs - ja- - sŭ
bol - jßs - ja- - mı-s
f
dobr - e- jßs - jıdobr - e- jßs - ja- - ns
dobr - e- jßs - ja- - -ı
dobr - e- jßs - ja- - n
dobr - e- jßs - ja- - -ı
dobr - e- jßs - ja- - ja- n
dobr - e- jßs - ja- i‡
dobr - e- jßs - ja- - ou‡s
dobr - e- jßs - ja- - mo-
143
Morfologia
N
G
D
A
L
S
m
dobr - e- jßs - jŏ - es
dobr - e- jßs - j(ŏ) - ŏn
dobr - e- jßs - jŏ - mŭs
dobr - e- jßs - jŏ - ns
dobr - e- jßs - joi‡ - sŭ
dobr - e- jßs - jŏ - -ıs
n
dobr - e- jßs - jodobr - e- jßs - j(ŏ) - ŏn
dobr - e- jßs - jŏ - mŭs
dobr - e- jßs - jodobr - e- jßs - joi‡ - sŭ
dobr - e- jßs - jŏ - -ıs
f
dobr - e- jßs - ja- - ns
dobr - e- jßs - j(a- ) - ŏn
dobr - e- jßs - ja- - mŭs
dobr - e- jßs - ja- - ns
dobr - e- jßs - ja- - sŭ
dobr - e- jßs - ja- - mı-s
La grande maggioranza degli aggettivi forma il grado comparativo con il
suffisso *e- jßs, (*e- jes per il NA sg neutro). La vocale anteriore palatalizza le
consonanti velari per I palatalizzazione: *ke- > *če- , *ge- > *že- .
Successivamente čě > č’a, žě > ž’a in tutti i dialetti slavi, esclusi quelli
macedoni cui si ispira l’alfabeto glagolitico (v. p. 107): m)¢og) ‘numeroso’ >
m)¢ojai ‘più numeroso’.
Il suffisso *jßs (*jes per il NA sg neutro) è più arcaico, e viene utilizzato da
un piccolo gruppo di aggettivi, la cui radice era forse caratterizzata dalla
intonazione discendente. Si tratta di nomi primitivi, il cui grado positivo spesso
non è attestato, o ha assunto valore di preposizione o di avverbio, o si è
ampliato con suffissi derivativi migrando verso classi e categorie morfologiche
più produttive. Tra i comparativi di genere neutro, derivati con il suffisso *jes,
molti hanno assunto valore avverbiale.
a) aggettivi primitivi (cioè senza suffisso derivativo) di cui è attestato il
grado positivo: lih) ‘eccedente’ > li{ii , houd) ‘magro’, ‘debole’ >
houjdii , gr\b) ‘rozzo’, ‘ignorante’ > gr\bl∞i i , drag) ‘caro’, ‘prezioso’ >
drajii , kr:p) ‘forte’ > kr:pl∞i i (ma al grado positivo è maggiormente
attestato kr:p)k) );
b) aggettivi primitivi il cui grado positivo ha valore di preposizione o di
avverbio: ¢iæ) avv. ‘giù’ > ¢ije , pr:d) prep. e pr:di avv. ‘davanti’,
‘prima’ > pr:jde , posl:d| e posl:di avv. ‘poi’, ‘da ultimo’ > posl:jde .
Dal grado comparativo derivano per suffissazione nuovi aggettivi: pr:jd|¢∞|
‘precedente’, ¢ij|¢∞| ‘basso’.
c) aggettivi che formano il grado positivo per mezzo di suffissi: t(j|k)
(*te˛g-) ‘pesante’ > t(jii , gor|k) (*gor-) ‘amaro’ > gor∞i i , slad)k) (*sold-)
144
Il paleoslavo
‘dolce’ > slajdii , gl\bok) (*g∏o˛b-) ‘profondo’ > gl\bl∞i i , {irok) (*šir-)
‘largo’ > {ir∞i i , v¨sok) (*vys-) ‘alto’ > v¨{ii ;
d) aggettivi e avverbi il cui grado positivo non è comunque attestato: bol∞i i
‘più grande’, m|¢∞i i ‘più piccolo’, lou~ii ‘migliore’, v(}ii ‘più grande’,
ou¢∞i i ‘migliore’; drevl& avv. ‘anticamente’, soul& avv. ‘meglio’, pa~e avv.
‘più’. Dal grado comparativo derivano nuovi aggettivi: drevl∞| ¢∞| ‘antico’.
Gli aggettivi di grado comparativo possono avere la forma articolata:
bol∞i i , bol&& , bol∞| {iq (v. Tavole morfologiche); il NA sg m di forma
articolata coincide con quello di forma non articolata, ma se quello è frutto di
analogia morfologica, questo rispecchia la tensione dello jer in posizione
davanti a *jß (bol’ß-jß).
Il grado superlativo non viene formato per mezzo di suffissi derivativi. Il
paleoslavo, che spesso traduce con aggettivi positivi il superlativo greco,
ricorre piuttosto a prefissi rafforzativi, quali pr: - e ¢ai -, usato questo secondo
con gli avverbi: pr:velik) ‘grandissimo’, ¢aipa~e ‘soprattutto’.
Il superlativo relativo può essere espresso accompagnando il comparativo
con la specificazione v|s:h) ‘di tutti’: bol∞i i v|s:h) ‘maggiore di tutti’.
12. Il pronome
Interna alla categoria del nome ma caratterizzata da una diversa flessione è
una classe chiusa di sostantivi pronominali e aggettivi pronominali.
Il sistema della flessione pronominale slavo comune comprende due classi
con tema vocalico *ŏ e *a- . Come quella nominale, la flessione pronominale
può essere di tipo duro e di tipo molle (pronomi in *jŏ e in *ja- ). Esiste inoltre
una declinazione mista seguita dai pronomi in velare palatalizzata (per III
palatalizzazione) v|s| ‘tutto’ (< *vix-), e sic| ‘tale’ (< *sik-). Apparteneva
originariamente alla classe di declinazione in *ı̆ il pronome dimostrativo s|
‘questo’, derivato da *k’i (cfr. latino cis + A, ‘da questa parte’, e citer, ‘che sta
da questa parte’).
La flessione pronominale si differenzia da quella nominale sia per ciò che
riguarda la vocale tematica, che si dittonga al caso S sg maschile e neutro, in
tutti i casi obliqui del paradigma femminile e in tutti i casi obliqui duali e
145
Morfologia
plurali maschili e neutri, sia l’inventario delle desinenze (N sg n, GDL sg
maschile e neutro, N pl maschile e G pl di tutti i generi):
m
NA
G
D
L
S
NA
GD
LS
N
A
G
D
L
S
VOCALE TEMATICA
n
f
ŏi‡
ŏi‡
ŏi‡
ŏi‡
ŏi‡
ŏi‡
ŏi‡
ŏi‡
ŏi‡
ŏi‡
ŏi‡
ŏi‡
m
-go (-so)
-mu
-mı̆
DESINENZE
n
-d
-go (-so)
-mu
-mı̆
f
-i
ŏi‡
ŏi‡
ŏi‡
ŏi‡
ŏi‡
ŏi‡
ŏi‡
ŏi‡
ŏi‡
ŏi‡
ŏi‡
ŏi‡
-son
-son
-son
La declinazione pronominale influisce su quella nominale: la terminazione
S sg f dei temi in *a- -\+ invece di *-o˛, mostra la caratteristica terminazione
bisillaba del paradigma pronominale.
La terminazione -i del N pl m dei temi in *ŏ nasce dalla monottongazione
del dittongo formato dall’incontro della vocale tematica e della desinenza
pronominale *-i (*ŏ-i > *ŏi‡ > *ı-2) che sostituisce la desinenza N pl della
flessione nominale *-es.
Di origine pronominale è la terminazione NA sg -o (< *od) dei neutri in *ŏ
e in *ŏs (altrimenti al N sg *sel-ŏ-n > *sel∞, *slovŏs-ø > *slov∞).
13. Sostantivi pronominali
I sostantivi pronominali si differenziano dai restanti nomi sostantivi per
importanti caratteristiche morfologiche, lessicali e sintattiche: a) seguono la
flessione pronominale; b) non mutano né per genere né per numero; c) non
possiedono un significato proprio (del tipo ‘fratello’) d) hanno quale funzione
principale quella di sostituire nella frase altri nomi sostantivi di cui fanno le
veci (pronome significa “che si colloca al posto del nome”). Si dividono nelle
146
Il paleoslavo
seguenti categorie: pronomi interrogativi (k)to ‘chi?’, ~|to ‘che cosa?’),
pronomi relativi (k)to ‘il quale’, ~|to ‘la qual cosa’), pronomi indefiniti (k)to
‘qualcuno’, k)jdo ‘ognuno’) e indefiniti-negativi (¢:k)to ‘qualcuno’, ¢:~|to
‘qualcosa’, ¢ik)to ‘nessuno’, ¢i~)to ‘nulla’). Sono sostantivi pronominali i
pronomi personali (aæ) ‘io’, t¨ ‘tu’, m¨ ‘noi’, v¨ ‘voi’, il riflessivo s( ‘sé’).
I pronomi k)to ‘chi’ e ~|to ‘che cosa’ sono di origine indoeuropea. In
protoslavo le radici *kwŏ- e *kwei- (cfr. latino qui, quae, quod; quis, quid) si
sono specializzate: l’occlusiva velare caratterizza i pronomi che si riferiscono a
persone, l’affricata palatale caratterizza i pronomi che si riferiscono a cose.
Il nominativo dei pronomi k)to ‘chi’ e ~|to ‘che cosa’ è composto dal
pronome vero e proprio (*kwŏ- e *kwei-) e da un rafforzativo che risale al
dimostrativo i.e. *tod, assente nel resto della declinazione. Il pronome k)to
generalizza all’A la desinenza del G -go , dando un forte impulso allo sviluppo
della categoria della animatezza (v. pp. 119-120). Il pronome ~|to (la cui
radice alterna nella flessione: *kwei-/*kwe-) forma il G con una desinenza rara:
-so , che in seguito si tematizza, dando origine alle forme trisillabe G ~|sogo ,
~esogo , D ~|somou , ~esomou . Allo S l’occlusiva velare si palatalizza per II
palatalizzazione: c:m| < *k-e- 2-mß < *kw-ŏi‡-mı̆:
N
G
D
A
L
S
k)to
k)to
kogo
komou
kogo
kom|
c:m|
~|to
~|to
~|so, ~|sogo, ~esogo
~emou, ~|somou, ~esomou
~|to
~em|
~im|
I pronomi personali in paleoslavo indicano la 1ª persona (il soggetto) e la 2ª
persona (l’interlocutore). L’oggetto di cui si parla (che può essere una cosa
oppure una 3ª persona) è indicato con i pronome dimostrativi s| (‘questo qui
vicino a me che parlo’), t) (‘codesto lì vicino a te che ascolti’) o più
frequentemente *i (*jß < *j-ŏs) e o¢) (‘quello lì lontano da tutti e due’), che si
grammaticalizzeranno quali pronomi di 3ª persona dal paradigma polimorfo.
Esiste una forma riflessiva che manca del nominativo (non può essere
147
Morfologia
soggetto) e si usa solo al singolare (cfr. italiano sé). I pronomi personali non
sono differenziati per genere.
Caratteristica di questi paradigmi è il supplettivismo (cfr. latino ego, mihi).
Il pronome di 1ª persona può ricevere uno jod protetico. Esistono cioè le due
forme aæ) e qæ) . Dalla seconda, per la progressiva caduta di ∞ e della
consonante finale, si ottiene il pronome di 1ª persona di molte lingue slave
moderne: я. Il caso D ha due forme, una lunga (m|¢:, teb:, seb: ) e una breve
enclitica mi (< *moi), ti (< *toi), si (< *soi). Il caso A aveva in origine le
sole forme m( (< *men), t( (< *ten), s( (< *sen), ¢¨ , v¨ ; successivamente e
parallelamente allo svilupparsi dell’animatezza (v. p. 119-120) a queste, che
cominciano a essere utilizzate come enclitiche, si affiancano nella funzione di
complemento diretto le forme del caso G:
N
G
D
A
L
S
N
GD
LS
A
N
G
D
A
L
S
aæ)
me¢e
m)¢: (m|¢:)6; mi
m(
m)¢: (m|¢:)
m)¢o+
v:
¢a<
¢ama
¢a; ¢¨
m¨
¢as)
¢am); ¢¨
¢¨
¢as)
¢ami
t¨
tebe
teb:; ti
t(
teb:
tobo+
va
va<
vama
va; v¨
v¨
vas)
vam); v¨
v¨
vas)
vami
—
sebe
seb:; si
s(
seb:
sobo+
14. Аggettivi pronominali
Gli aggettivi pronominali concordano con il sostantivo cui si riferiscono in
numero, genere e caso. Si possono dividere in due gruppi: il primo comprende
aggettivi pronominali che si differenziano dai restanti nomi aggettivi dal punto
6 Le forme date tra parentesi sono varianti testimoniate dai codici.
148
Il paleoslavo
di vista morfologico e sintattico: a) costituiscono una classe chiusa; b) non
ammettono gradi di comparazione; c) non possono essere alterati per
suffissazione; d) seguono esclusivamente la flessione pronominale; e) possono
sostituire nella frase nomi sostantivi di cui fanno le veci.
Il secondo comprende aggettivi pronominali che, pur differenziandosi dai
restanti nomi aggettivi per le suddette caratteristiche non seguono (o seguono
in modo non esclusivo) la flessione pronominale e non possono pertanto
caratterizzarsi quali pronomi dal punto di vista flessivo.
Al primo gruppo appartengono aggettivi possessivi (moi ‘mio’, tvoi ‘tuo’,
svoi ‘suo’, ¢a{| ‘nostro’, va{| ‘vostro’), dimostrativi (t) ‘questo qui’, *i <
*jß ‘quello là’, s| ‘questo da questa parte’, sam) ‘lo stesso’), indefiniti (v|s|
‘tutto’, i¢) ‘un altro’, sic| ‘un simile’, tak) ‘tale’, kak) ‘quale’),
interrogativi (kak) ‘quale’), relativi (ije ‘il quale’, qk) ‘quale’). Di questi
alcuni seguono la flessione di tipo duro (del tipo t) , to , ta ), altri la flessione
di tipo molle (del tipo ¢a{| , ¢a{e , ¢a{a ), altri ancora una flessione mista, con
terminazioni di tipo debole e di tipo forte (i pronomi in velare palatalizzata
v|s| ‘tutto’ < *vix- e sic| ‘un simile’ < *sik).
a) Seguono la flessione pronominale di tipo duro i pronomi t) ‘questo qui’,
ov) ‘questo e non quello’, o¢) ‘quello e non questo’, tak) ‘siffatto’, kak)
‘quale’, qk) ‘quale’, v|sqk ) ‘ogni’, sam) ‘lo stesso’, i¢) ‘un altro’.
L’occlusiva velare si palatalizza per II palatalizzazione davanti a *e- 2 < *ŏi‡
nei casi S sg, DS du, e in tutto il plurale (con l’esclusione del caso accusativo):
N
G
D
A
L
S
NA
GL
DS
m
t)
togo
tomou
t)
tom|
t:m|
ta
to<
t:ma
n
to
togo
tomou
to
tom|
t:m|
t:
to<
t:ma
f
ta
to`
toi
t\
toi
to+
t:
to<
t:ma
m
tak)
takogo
takomou
tak)
takom|
tac:m|
taka
tako<
tac:ma
n
tako
takogo
takomou
tako
takom|
tac:m|
tac:
tako<
tac:ma
f
taka
tak¨
takoi
tak\
takoi
tako+
tac:
tako<
tac:ma
149
Morfologia
N
G
D
A
L
S
ti
t:h)
t:m)
t¨
t:h)
t:mi
ta
t:h)
t:m)
ta
t:h)
t:mi
t¨
t:h)
t:m)
t¨
t:h)
t:mi
taci
tac:h)
tac:m)
tak¨
tac:h)
tac:mi
taka
tac:h)
tac:m)
taka
tac:h)
tac:mi
tak¨
tac:h)
tac:m)
tak¨
tac:h)
tac:mi
b) Seguono la flessione pronominale di tipo molle i pronomi possessivi moi
‘mio’, tvoi ‘tuo’, svoi ‘suo’, ¢a{| ‘nostro’, va{| ‘vostro’ (derivati con il
suffisso -j-: *nas-j-ŏ-s), l’interrogativo ~ii ‘di chi’ (derivato con il suffisso -j-:
*čß-j-ß, *čß-j-e, *čß-j-a) e il pronome anaforico *i (< *j-ŏs, *j-ŏn, *j-a- ).
In origine dimostrativo (radice *j-) con il significato di ‘quello lì lontano da
tutti e due’, *i assume in paleoslavo la funzione di pronome di 3ª persona. Le
forme monosillabe del N vengono però sostituite da quelle del dimostrativo di
tipo duro o¢) ; quelle dell’A sono attestate come enclitiche: pos)la i ‘lo
mandò’. Unito alla particella je il pronome assume funzioni di relativo:
N
G
D
A
L
S
N
A
GL
DS
N
G
D
A
L
S
m
o¢)
&go
&mou
i
&m|
im|
o¢a
q
&<
ima
o¢i
ih)
im)
`
ih)
imi
n
o¢o
&go
&mou
&
&m|
im|
o¢:
i
&<
ima
o¢a
ih)
im)
q
ih)
imi
o¢a
&`
&i
+
&i
&+
o¢:
i
&<
ima
o¢¨
ih)
im)
`
ih)
imi
f
m
ije
&goje
&mouje
ije
&m|je
im|je
qje
qje
&<je
imaje
ije
ih)je
im)je
`je
ih)je
imije
n
&je
&goje
&mouje
&je
&m|je
im|je
ije
ije
&<je
imaje
qje
ih)je
im)je
qje
ih)je
imije
f
qje
&`je
&ije
+je
&ije
&+je
ije
ije
&<je
imaje
`je
ih)je
im)je
`je
ih)je
imije
Oltre che pronome relativo, &je può essere congiunzione, o fungere da
equivalente dell’articolo greco: così nella frase m|¢: bo &je jiti hristos).
i &je oumr:ti priobr:te¢i& &st) (“per me infatti il vivere è Cristo, e il
150
Il paleoslavo
morire un guadagno”, Filippesi 1:21) gli infiniti sostantivati &je jiti e &je
oumr:ti traducono il greco to; z/h`n e to; ajpoqanei`n. Nella frase: b\di je
vam) &je ei ei. i &je ¢i ¢i (“sia il vostro sì, sì, e il vostro no, no”,
Giacomo 5:12) &je ei ei. i &je ¢i ¢i traduce il greco to; nai; naiv, kai; to;
ou] ou[.
Se il pronome è in combinazione con la preposizione *v∞n si forma
un’unità accentuale all’interno della quale la nasale non cade, ma si iodizza (v.
p. 96): *v∞n-jß > *v∞-n’ß (v)¢∞| ). Con il passare del tempo la nasale cessa di
essere percepita come facente parte della preposizione, che in tutti gli altri
contesti figura come v) , e viene reinterpretata quale protesi del pronome: v) ¢∞|
‘contro di lui’, v) ¢&m| ‘in lui’. Lo stesso processo di ridistribuzione tocca le
preposizioni *k∞n con il dativo e *s∞n con lo strumentale: *k∞n-jemu > *k∞n’emu > k) ¢&mou ‘verso di lui’, *s∞n-jimß > *s∞-n’imß > s) ¢∞i m| ‘con lui’.
Si rafforza quindi la tendenza a introdurre una n epentetica dopo qualsiasi
preposizione: æa ¢∞| ‘dietro a lui’.
Segue la flessione pronominale di tipo molle anche il dimostrativo s| , si , se
‘questo da questa parte’. La fricativa, nata per satemizzazione (< *k’i/*k’e, cfr.
latino cis prep. ‘da questa parte’), doveva essere inizialmente dura, e
l’aggettivo pronominale apparteneva forse alla classe dei temi in *ı̆ (NA sg m
s| come gost| , NA du f si come kosti NA pl n) anche se resta oscura
l’origine della forma si al N sg f e NA pl n. Successivamente *s > *s’, con
metafonia di tutte le terminazioni. I casi A sg f, NA du m e NA pl m e f sono
formati dal tema *s’-ßj-:
N
G
D
A
L
S
NA
GL
DS
s|
sego
semou
s|
sem|
sim|
siq
se<
sima
m
se
sego
semou
se
sem|
sim|
si
se<
sima
n
si
se`
sei
si+
sei
se+
si
se<
sima
f
151
Morfologia
N
G
D
A
L
S
sii
sih)
sim)
si`
sih)
simi
si
sih)
sim)
si
sih)
simi
si`
sih)
sim)
si`
sih)
simi
c) La flessione pronominale mista, con terminazioni di tipo debole e di tipo
forte, è seguita dai pronomi in velare palatalizzata v|s| ‘tutto’ < *vix- e sic|
‘siffatto’ < *sik-:
N
G
D
A
L
S
N
G
D
A
L
S
m
v|s|
v|sego
v|semou
v|s|
v|sem|
v|s:m|
v|si
v|s:h)
v|s:m)
v|s(
v|s:h)
v|s:mi
n
v|se
v|sego
v|semou
v|se
v|sem|
v|s:m|
v|sq
v|s:h)
v|s:m)
v|sq
v|s:h)
v|s:mi
f
v|sq
v|se`
v|sei
v|s+
v|sei
v|se+
v|s(
v|s:h)
v|s:m)
v|s(
v|s:h)
v|s:mi
m
sic|
sicego
sicemou
sic|
sicem|
sic:m|
sici
sic:h)
sic:m)
sic(
sic:h)
sic:mi
n
sice
sicego
sicemou
sice
sicem|
sic:m|
sica
sic:h)
sic:m)
sica
sic:h)
sic:mi
f
sica
sic(
sicei
sic\
sicei
sice+
sic(
sic:h)
sic:m)
sic(
sic:h)
sic:mi
Un secondo gruppo di aggettivi pronominali è costituito da aggettivi che
seguono la flessione nominale, quali eter) ‘un certo, un tale’, kakov) ‘quale,
di che genere’, takov) ‘tale, di tal genere’, o forme miste di flessione nominale
e pronominale quali kolik ) ‘quanto grande’, tolik) ‘tanto grande’, selik)
‘tanto grande’, &lik) ‘quanto grande’: D &likou e &likomou , S sg &likom|
e &lic:m| .
Gli aggettivi che seguono la flessione nominale possono avere la forma
articolata: kakov) , kakov¨i . Esclusivamente come aggettivo di forma
articolata si declina il pronome relativo kotor¨i , kotoro& , kotoraq ‘il quale’
(formato dalla radice *kwŏ- con il suffisso *ter/*tor).
Il pronome interrogativo k¨i ‘quale’ e l’indefinito ¢:k¨i ‘qualche’ hanno
al NA di tutti i generi e numeri le terminazioni di un aggettivo di forma piena
152
Il paleoslavo
(*k∞-jß, *ko-je, *ka-ja) ma formano i casi obliqui da temi diversi per
assonanza con il dimostrativo t) : dal tema *koj- nei casi G, D e L sg (come
togo , tomou , tom| ) dal tema *k߶j- nei restanti casi (cfr. S sg t:m| , G pl
t:h) , D pl t:m) , L pl t:h) , S pl t:mi):
N
G
D
A
L
S
NA
GL
DS
N
G
D
A
L
S
k¨i
ko&go
ko&mou
k¨i
ko&m|
k¨im|
–
–
–
cii
k¨ih)
k¨im)
k¨`
k¨ih)
k¨imi
m
ko&
ko&go
ko&mou
ko&
ko&m|
k¨im|
–
–
–
kaq
k¨ih)
k¨im)
kaq
k¨ih)
k¨imi
n
kaq
ko&`
ko&i
k\+
ko&i
ko&+
c:i
–
–
k¨`
k¨ih)
k¨im)
k¨`
k¨ih)
k¨imi
f
15. I numerali
Niente identifica dal punto di vista morfologico o sintattico i numerali
paleoslavi, nomi sostantivi e nomi aggettivi che seguono in parte la flessione
nominale (articolata e non articolata), in parte la flessione pronominale. Ad
individuarli come categoria è la caratteristica di indicare quantità numerabili e
traducibili in cifre (per l’uso delle lettere con valore di cifra numerica v. p. 35).
Al gruppo dei numerali cardinali appartengono quattro nomi aggettivi e
otto nomi sostantivi:
&di¢) , &di¢o , &di¢a (&d|¢) , &d|¢o , &d|¢a ) ‘uno’ è un aggettivo
pronominale che concorda in numero, genere e caso con il sostantivo cui si
riferisce. Segue la declinazione pronominale (del tipo t) , to , ta ). Nel
significato di indefinito può avere anche il duale e il plurale.
d)va , d)v: ‘due’ è un aggettivo pronominale che si riferisce sempre a
sostantivi di numero duale; ha pertanto solo le forme del duale, distinguendo in
153
Morfologia
quanto a genere il maschile (d)va ) dal femminile e dal neutro (d)v: ) nei casi
NA. Segue la declinazione pronominale (del tipo t) , to , ta ). Lo stesso numero
può essere indicato con l’aggettivo pronominale oba , ob: ‘ambo’, ‘entrambi’.
NA
GL
DS
m
d)va
d)vo<
d)v:ma
n
d)v:
f
d)v:
m
oba
obo<
ob:ma
ob:
n
ob:
f
tri& , tri ‘tre’ è un aggettivo pronominale che si riferisce sempre a
sostantivi plurali; ha pertanto solo le forme del plurale, distinguendo in quanto
a genere il maschile (trie ) dal femminile e dal neutro (tri ) al N. Segue la
flessione nominale (temi in *ı̆).
~et¨re , ~et¨ri ‘quattro’ è un aggettivo pronominale che si riferisce
sempre a sostantivi plurali; ha pertanto solo le forme del plurale, distinguendo
in quanto al genere il maschile (~et¨re ) dal femminile e dal neutro (~et¨ri ) al
N. Segue la declinazione nominale (temi in consonante).
N
G
D
A
L
S
m
tri&
trii
tr|m)
tri
tr|h)
tr|mi
tri
n
tri
f
m
n
~et¨re
~et¨ri
~et¨r)
~et¨r|m)
~et¨ri
~et¨r|h)
~et¨r|mi
f
~et¨ri
I restanti numerali cardinali sono nomi sostantivi: p(t| ‘cinque’, {est| ,
‘sei’, sedm| ‘sette’, osm| ‘otto’ e dev(t| ‘nove’ sono sostantivi femminili con
tema in *ı̆; des(t| è un sostantivo maschile in consonante che, per analogia
con le altre unità, viene reinterpretato come un femminile in *ı̆; s)to ‘cento’ è
un sostantivo neutro con tema in *ŏ; t¨s(}a è un sostantivo femminile con
tema in *ja- . A questi si possono aggiungere due sostantivi dal significato di ‘un
numero incalcolabile’: t|ma , propriamente ‘oscurità’, e ¢es)v:da ‘da non
sapersi’, che traducono le miriadi del greco.
Poichè indicano un insieme di unità (una cinquina, una sestina eccetera),
tutti i sostantivi numerali reggono il G pl (partitivo) dell’oggetto cui si
154
Il paleoslavo
riferiscono. L’eventuale attributo (aggettivo o pronome) concorda sempre con
il numerale al singolare: v|sq sedm| oumr: (“kai; oiJ eJpta; [...] kai;
ajpevqanon”, “et omnes septem [...] et mortui sunt”, Luca 20:31), pri&m)
sedm| t\ hl:b) (“kai; labw;n tou;" eJpta; a[rtou"”, “et accipiens septem
panes”, Marco 8:6), se droug\+ p(t| tala¢t) priobr:toh) (“i[de a[lla
pevnte tavlanta ejkevrdhsa”, “ecce alia quinque superlucratus sum”, Matteo
25:20).
I nomi dei numeri da undici a diciannove sono sintagmi composti dal nome
dell’unità e dal nome della decina, che funge da ‘base’ di una sovrapposizione:
&di¢) ¢a des(te ‘undici’ indica l’unità ‘poggiata sopra’ la decina, che viene
declinata al L secondo l’originaria flessione del sostantivo (anticamente un
tema maschile in consonante) e retta dalla preposizione ¢a ‘sopra’. Allo stesso
modo si formano d)va (oppure oba ) ¢a des(te ‘dodici’, trii ¢a des(te
‘tredici’ eccetera. Il sintagma ¢a des(te non muta quando il numerale sia
declinato: i i<da iskariot|sk¨i . &di¢) ot) obo< ¢a des(te . ide k)
arhiereom) (“kai; jIouvda" jIskariwvq, oJ ei|" tw`n dwvdeka, ajph`lqen pro;"
tou;" ajrcierei`"”, “et Iudas Iscariotes unus de duodecim abiit ad summos
sacerdotes”, Marco 14:10).
Il sostantivo retto dal numerale concorda con l’unità (e ne determina il
genere): &di¢) ¢a des(te regge il nominativo singolare, d)va (oppure oba )
¢a des(te regge il nominativo duale, tri& ¢a des(te e ~et¨re ¢a des(te
reggono il nominativo plurale, p(t| ¢a des(te e gli altri cardinali sino a
diciannove reggono il genitivo plurale (partitivo). Nei casi obliqui il sostantivo
retto dal numerale concorda con questo in numero e caso quando il nome
dell’unità sia un aggettivo (da uno a quattro e composti): æapov:da` ob:ma
¢a des(te ou~e¢ikoma svoima (“diatavsswn toi`" dwvdeka maqhtai`"
aujtou`”, “praecipiens duodecim discipulis suis”, Matteo 11:1). Conserva invece
la concordanza al G pl con i sostantivi numerali.
I nomi dei numeri delle decine (da venti a novanta), delle centinaia (da
duecento a novecento) e delle migliaia sono sintagmi formati dal nome
Morfologia
155
dell’unità e dai sostantivi des(t| , s)to , t¨s(}a : d)va des(ti (N du m)
‘venti’, p(t| des(t) (G pl m) cinquanta’; d)v: s)t: (N du n) duecento’,
p(t| s)t) (G pl n) ‘cinquecento’; d)v: t¨s(}i (N du f) ‘duemila’, p(t|
t¨s(}| (G pl f) ‘cinquemila’. All’interno di questi sintagmi des(t| può
conservare le sue antiche forme maschili. Si ottiene così un paradigma misto
con desinenze alternative: al N d)va des(ti , tri& des(te , ~et¨re des(te
concorrono con le forme femminili d)v: des(ti , tri des(ti , ~et¨ri
des(ti . Il G pl è sempre des(t) (maschile in consonante). Il sintagma nel
suo complesso regge il G pl del sostantivo cui si riferisce (d)va des(ti let)
‘vent’anni’). Le unità si sommano alle decine, alle centinaia e alle migliaia per
mezzo delle congiunzioni i e ti : p(t| des(t) ti p(t| ‘cinquantacinque’.
Il sostantivo si accorda con l’ultimo numero (d)va des(ti i d)v: let:
‘ventidue anni’).
Nei casi obliqui le componenti del sintagma concordano in numero e caso
quando i nomi delle unità sono aggettivi (da uno a quattro e composti):
~et¨r|mi des(t¨ (S pl) i {esti+ (S sg) l:t) s)æ|da¢a b¨st) cr|k¨ si
(“tesseravkonta kai; e{x e[tesin oijkodomhvqh oJ nao;" ou|to"”, “quadraginta
et sex annis aedificatum est templum hoc”, Giovanni 2:20); quando i nomi
delle unità sono sostantivi reggono des(t| , s)to , t¨s(}a al G pl: &di¢) b:
dl)j|¢) p(ti+ s)t) di¢ar| a droug¨ p(ti+ des(t) (“oJ ei|" w[feilen
dhnavria pentakovsia, oJ de; e{tero" penthvkonta”, “unus debebat denarios
quingentos et alius quinquaginta”, Luca 7:41).
Il sintagma nel suo complesso regge il G pl del sostantivo cui si riferisce
(~et¨r|mi des(t¨ l:t) ). Il sostantivo può tuttavia essere declinato nello
stesso caso del sintagma, cui funge da apposizione: a}e sil|¢) &st) s)
des(ti+ t¨s(}) (t¨s(}\ Zografense) s)r:sti gr(d\}aago s) d)v:ma
des(t)ma t¨s(}ama ¢a ¢∞| (“eij dunatov" ejstin ejn devka ciliavsin
uJpanth`sai tw`/` meta; ei[kosi ciliavdwn ejrcomevnw/ ejp’ aujtovn”, “si possit
cum decem milibus occurrere ei, qui cum viginti milibus venit ad se”, Luca
14:31), o dev(ti des(t) i dev(ti prav|d|¢ic :h) (“ejpi; ejnenhvkonta
ejnneva dikaivoi"”, “super nonagintanovem iustis”, Luca 15:7).
156
Il paleoslavo
I numeri da uno a dieci possono essere espressi da numerali collettivi, non
tutti attestati in paleoslavo, ma presenti nelle lingue slave moderne: d)voi
‘due’, oboi ‘entrambi’, troi ‘tre’ si declinano come il pronome moi ; ~etvor)
è un nome aggettivo in *ŏ, sedmoro ‘sette volte’ e des(toro ‘dieci volte’
sono avverbi (cfr. in russo i collettivi двое, трое, четверо, пятеро, шестеро,
семеро, восьмеро, девятеро, десятеро, che reggono tutti il G pl).
I numerali ordinali sono nomi aggettivi che seguono la flessione nominale
(temi in *ŏ e in *a- ): pr|v) , pr|vo , pr|va ‘primo’, v)tor) ‘secondo’, tretii ,
treti& , tretiq ‘terzo’, ~etvr|t) ‘quarto’, p(t) ‘quinto’, {est) ‘sesto’,
sedm) ‘settimo’, osm) ‘ottavo’, dev(t) ‘nono’, des(t) ‘decimo’. Per la
seconda decina il numerale ordinale può essere derivato con tre diverse
modalità, non tutte attestate in paleoslavo per ogni ordinale: &d|¢) ¢a des(te
‘undecimo’, &d|¢o¢ades(t) ‘undicesimo’, v)tor) ¢a des(te ‘duodecimo’,
tri¢ades(t) ‘tredicesimo’, dev(t|¢ades(t|¢) ‘diciannovesimo’.
Gli ordinali delle decine sono derivati con il suffisso -ßn-: d)vodes(t|¢) e
d)vades(t|¢) ‘ventesimo’. Non tutti sono attestati in paleoslavo.
16. Il verbo
Le categorie fondamentali del verbo slavo, sia antico che moderno, sono
l’aspetto, il tempo, il modo, la diatesi. Il verbo paleoslavo è inoltre
caratterizzato dalla espressione ben definita della categoria di determinatezza /
indeterminatezza.
La categoria dell’aspetto serve a contrapporre verbi che si riferiscono a
un’azione conclusa e verbi che descrivono un’azione a prescindere dal fatto
che essa venga portata a conclusione, o azioni (stati) che per loro natura non
tendono al raggiungimento di un risultato, non sono caratterizzati da alcun
limite interno. In altre parole, i verbi imperfettivi indicano un’azione in
svolgimento o uno stato in atto, ne descrivono la durata e la ripetibilità, senza
porre un limite o specificare le frontiere temporali della sua realizzazione:
tvoriti ‘fare’, bol:ti ‘essere ammalati’. I verbi perfettivi indicano invece
Morfologia
157
un’azione che ha ottenuto il fine per il quale era stata intrapresa e che spesso
implica un cambiamento di stato: s)tvoriti significa ‘creare, portare a
compimento, realizzare una cosa che non c’era e adesso c’è’. I verbi perfettivi
possono anche indicare un determinato segmento temporale, in genere il
momento dell’inizio o della fine di un’azione, del passaggio di stato:
raæbol:ti s( vuol dire ‘ammalarsi, passare decisamente dallo stato di salute
a quello di malattia’. La correlazione aspettuale è un tratto caratteristico e
fondamentale della grammatica slava; ancora in formazione in epoca
paleoslava, essa affonda le sue radici in epoca protoslava e si perfeziona
successivamente in tutte le lingue slave moderne.
In epoca paleoslava la correlazione di coppie aspettuali convive con aspetti
tipici della derivazione verbale indoeuropea: verbi dalla stessa radice (a volte
con diversa gradazione vocalica) designano (grazie a temi verbali differenti,
non prefissati) diverse modalità di realizzazione di un’azione (aktionsart), che
può essere vista nel suo sviluppo (durativa) o concentrata in un unico punto
(puntuale, momentanea), può tendere a un obiettivo (determinata) o al
contrario essere senza oggetto (indeterminata), può ripetersi una volta sola, più
volte o abitualmente, con frequenza più o meno ravvicinata. Per esempio, la
presenza congiunta dell’apofonia radicale e di diversi suffissi tematici
costruisce la serie le}i , pf. ‘mettersi a giacere’ (radice *leg-, suffisso *ø),
l:gati , impf. ‘coricarsi abitualmente’ (radice *le- g-, suffisso *a- ), lejati ,
stativo impf. ‘essere coricato’ (radice *leg-, suffisso *e- ), lojiti , fattitivo
impf. ‘mettere a giacere’ (radice *log-, suffisso *ı-).
Con i verbi di moto l’opposizione determinato / indeterminato si realizza
come opposizione tra un movimento che si compie una sola volta e in una
direzione precisa e un movimento che si compie in momenti e direzioni
differenti (o alla semplice capacità di movimento): iti e hoditi ‘andare’;
bresti e broditi ‘vagare’, vesti e voditi ‘condurre’, ¢esti e ¢ositi
‘portare’ (*i-d-/*sod-; *bred/*brod; *ved/*vod; *nes/*nos). Entrambi i verbi
della coppia sono imperfettivi. Solo in unione a preposizioni (temi verbali
prefissati) che ne modifichino il significato il tema che esprime l’azione
determinata acquista valore perfettivo, e viceversa il tema che esprime quella
158
Il paleoslavo
indeterminata assume il valore di imperfettivo: iæiti e ishoditi ‘uscire’,
pri¢esti e pri¢ositi ‘apportare’.
Con verbi non di moto l’opposizione determinato / indeterminato può
opporre verbi che indicano lo stato del soggetto (stativi) e verbi che indicano la
modifica dello stato dell’oggetto (fattitivi): anche qui, come nel caso dei verbi
di moto, abbiamo temi verbali non prefissati derivati da una stessa radice con
apofonia radicale. In paleoslavo il verbo fattitivo si forma per mezzo del
suffisso *ı-, il verbo stativo per mezzo del suffisso *e- : bouditi ‘svegliare’ e
b)d:ti ‘vegliare’; v:siti ‘appendere’ e vis:ti ‘pendere’; variti ‘far
bollire’ e v|r:ti ‘bollire’ (intr.); lojiti ‘mettere a giacere’ e lejati
‘giacere’; saditi ‘mettere a sedere’ e s:d:ti ‘essere seduti’ (*bu- d/*bŭd;
*ve- s/*vis; *var/*vr÷; *log/*leg; *sad/*se- d). Tutti questi verbi sono imperfettivi.
Se prefissati i fattitivi sono sempre perfettivi (¢asaditi ‘piantare per terra’,
pov:siti ‘appendere’, v)ævariti ‘portare a bollore’), gli stativi possono
essere sia perfettivi che imperfettivi: v)ælejati impf. ‘stare sdraiato’,
pos:d:ti pf. ‘rimanere seduto per un po’ e poi alzarsi’.
Quando la condizione del soggetto non è statica come nei casi suindicati ma
dinamica (‘imbrunire’, ‘asciugarsi’) il suffisso tematico dell’infinito è -no˛(forse frutto della nasalizzazione di un originario suffisso *nou‡, v. p. 169):
gasiti ‘spegnere’ e gas¢\ti ‘spegnersi’; goubiti ‘perdere, rovinare’ e
g¨b¢\ti ‘andare in rovina’; (o )mra~iti ‘oscurare’ e mr|k¢\ti ‘imbrunire’;
sou{iti ‘asciugare’ e s)h¢\ti ‘seccarsi’; ou~iti ‘insegnare, dare
un’abitudine’ e v¨k¢\ti ‘prendere un’abitudine’ (*gas/*gas; *gou‡b/*gu- b;
*mor-k/*mr÷-k; *sou‡x/*sŭx; *ou‡k/*u- k). Tutti questi verbi sono imperfettivi e
formano perfettivi per prefissazione: ougas¢\ti ‘spegnersi’, pog¨b¢\ti
‘perire’, pomr|k¢\ti ‘oscurarsi’, s)s)h¢\ti s( ‘prosciugarsi’, ¢av¨k¢\ti
‘imparare’. Sono però perfettivi i verbi non prefissati caratterizzati dall’idea
della momentaneità di un’azione (un grido, un salto, uno sputo, uno spintone)
la cui durata è espressa da verbi imperfettivi con suffisso *a- , *e- : dvig¢\ti
‘spostare’ e dvijati ‘muovere’, krik¢\ti ‘lanciare un grido’ e kri~ati
‘gridare’, d)h¢\ti ‘soffiare’ e d¨hati ‘respirare’.
Di tutti gli altri verbi primitivi, sono perfettivi:
Morfologia
159
– tra i verbi atematici: dati ‘dare’ (che infatti sviluppa subito il suo
imperfettivo daqti );
– tra i verbi della I coniugazione solo quei pochi che indicano un’azione
intrinsecamente momentanea: vr:}i ‘gettare’ (impf. metati ), d:ti ‘fare’
(impf. d:qti ), le}i ‘stendersi’ (impf. l:gati ), pasti ‘cadere’ (impf.
padati ), re}i ‘dire’ (impf. glagolati ), s:sti ‘sedersi’ (impf. s:dati s( ),
`ti ‘prendere’ (impf. imati ).
– tra i verbi della II coniugazione alcuni verbi in *ı-, non frequentativi e non
fattitivi, derivati da nomi e aggettivi: aviti ‘manifestare’ (impf. avlqti ),
variti ‘raggiungere, precedere’ (impf. varqti ), vratiti s( ‘ritornare’
(impf. vra}ati s( ), desiti ‘trovare, sorprendere’, kl<~iti s( ‘trovarsi’
(impf. kl<~ati s( ), lou~iti s( ‘trovarsi’ (impf. lou~ati s( ), koupiti
‘acquistare’ (impf. koupovati ), m|stiti ‘vendicare’ (impf. m|}ati ),
pl:¢iti ‘prendere prigioniero’ (impf. pl:¢qti ), prostiti ‘perdonare’
(impf. pra}ati ), poustiti ‘lasciar andare’ (impf. pou}ati ), roditi
‘generare’ (impf. rajdati ), svoboditi ‘liberare’ (impf. svobajdati ),
sko~iti ‘saltare’ (impf. skakati ), sramiti ‘coprire d’onta’ (impf.
sramlqti ), st\piti ‘mettere piede’ (impf. st\pati ).
Tutti imperfettivi sono i verbi formati con i suffissi *e- , *a- , *u‡a- , *ŏu‡a(gruppi IVb, Ib, IIIb, IIIa2). Il più produttivo è il suffisso *a- , largamente
utilizzato in paleoslavo per derivare verbi imperfettivi e frequentativi da
perfettivi prefissati e non prefissati: pasti e padati ‘cadere’, stati ‘ergersi’
e stoqti ‘stare in piedi’, v)skr:siti e v)skr:{ati ‘resuscitare’, v)prositi
‘chiedere’ e v)pra{ati ‘interrogare’.
17. I tempi verbali
La categoria del tempo (passato, presente, futuro) è espressa in paleoslavo
con l’ausilio di suffissi tematici. Asse della concezione temporale è il presente,
che considera l’azione nel suo sviluppo, e si oppone generalmente all’aoristo,
che la considera nel suo carattere puntuale di evento realizzato. La valutazione
dell’importanza e dell’interesse della durata dell’azione è soggettiva: se la
durata nel passato merita di essere sottolineata si ricorre al tempo imperfetto,
160
Il paleoslavo
che rappresenta una sorta di presente nel passato e del presente ha la maggiore
ricchezza prospettica. Non a caso già in epoca paleoslava l’imperfetto, che
normalmente dovrebbe formarsi, come tutti i tempi passati, dal tema
dell’infinito, si forma con crescente frequenza dal tema del presente, di cui già
spesso condivideva (per esempio per tutti i verbi del gruppo Ia e IIIa del tipo
brati ) la veste fonica, grazie al comune carattere vocalico dei suffissi tematici
del presente e dell’imperfetto.
Fuori dall’opposizione presente/aoristo si colloca il perfetto, che indica uno
stato, o una azione avvenuta nel passato ma le cui conseguenze sono attuali per
il momento presente (è morto, cioè non c’è più, è impazzito, cioè adesso è
pazzo, è arrivato, cioè è qui adesso, è andato via, cioè non è più qui).
Inizialmente il perfetto era, come negli esempi, intransitivo. Successivamente,
divenuto transitivo e risultativo, tende a coincidere con l’aoristo, che
progressivamente sostituisce. Il futuro esiste piuttosto come categoria modale
che come realtà temporale: non esistono forme proprie del futuro semplice,
escluso un relitto isolato di participio futuro (b¨{(}i ‘che sarà’) e le forme
del verbo b¨ti ‘essere’ (b\d\ ). In paleoslavo il futuro può essere espresso
dal presente del verbo perfettivo, o con l’ausilio di verbi servili che esprimono
la modalità e che non sono ancora divenuti un elemento grammaticale: voglio
scrivere, devo scrivere, ho da scrivere, comincio a scrivere. Se l’asse temporale
si sposta nel passato il rapporto presente/perfetto si realizza come imperfetto
(presente nel passato)/piuccheperfetto (azione che si è realizzata prima ma che
è attuale per il momento passato espresso dall’imperfetto). Sia il perfetto che il
piuccheperfetto sono tempi composti, formati dal participio perfetto in unione
rispettivamente con il presente e l’imperfetto (o il perfetto) del verbo essere.
Altro tempo composto del paleoslavo, analogo nella modalità di formazione a
questi, è il futuro composto (futurum exactum), che esprime l’anteriorità nel
futuro (“vedremo se avrò avuto torto”). Manca invece l’equivalente del
trapassato remoto, il tempo che esprime l’anteriorità rispetto all’aoristo in una
dimensione di passato assoluto (“quando ebbi capito bene la situazione
intervenni”): questa viene espressa in paleoslavo da una costruzione con il
dativo assoluto (v. p. 246).
161
Morfologia
nel presente
nel passato
nel futuro
passato assoluto
io fui
aæ) b¨h)
anteriorità relativa
io sono stato
aæ) &sm| b¨l)
io ero stato
aæ) b:h) b¨l)
io sarò stato
aæ) b\d\ b¨l)
contemporaneità
io sono
aæ) &sm|
io ero
aæ) b:h)
io sarò
aæ) b\d\
futuro
io sarò
aæ) b\d\
18. Modo, diatesi, persona e numero
L’espressione del modo (della realtà, della possibilità, della irrealtà) non è
ben sviluppata in paleoslavo: accanto all’indicativo, unico modo caratterizzato
dal sistema dei tempi, i modi della non realtà (congiuntivo, imperativo,
ottativo), ampiamente rappresentati in greco, si riducono al solo imperativo,
erede slavo dell’ottativo. Vestigia dell’ottativo possono essere ricercate anche
in una costruzione perifrastica tradizionalmente detta “modo condizionale”,
che si forma con il participio perfetto e l’ausiliare essere (v. p. 194).
La diatesi non è sviluppata: mancano forme specifiche per il medio e per il
passivo (che vengono espressi con verbi riflessivi o con participi passivi).
Le forme personali del verbo (presente, imperativo, aoristo, imperfetto)
mutano secondo il numero (singolare, duale, plurale) e la persona (prima,
seconda, terza); le forme nominali (participio presente attivo, participio
presente passivo, participio passato attivo, participio passato passivo, participio
perfetto) mutano secondo il genere, il numero e il caso; le forme perifrastiche,
costituite da una parte nominale e da un verbo ausiliare (perfetto,
piuccheperfetto, condizionale, futuro anteriore) mutano secondo il numero
(singolare, duale, plurale), la persona (prima, seconda, terza), e il genere
(maschile, neutro, femminile). Il sostantivo verbale muta secondo il numero e
il caso; l’infinito e il supino, che erano in origine nomi, sono invariabili.
Le desinenze personali distinguono nove persone, tre per ogni numero.
Esistono due sistemi di desinenze personali: quelle primarie, che servono a
formare il tempo presente, e quelle secondarie, che formano l’aoristo,
l’imperfetto e l’imperativo:
162
Il paleoslavo
sg
du
pl
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
-a- n; -mı̆
-šı-; -sı-tŭ
-ve-ta
-te
-mŭ (< mŏs)
-te
-ntŭ
Primarie
Secondarie
-n
-s
-t
-ve-ta
-te
-mŭ (< mŏs)
-te
-nt
Per quanto riguarda la 1ª persona sg, la desinenza *-mı̆ serve solo a formare
il presente dei verbi atematici (v. p. 164), tutti gli altri verbi (tematici)
utilizzano la desinenza *-a- n (propriamente desinenza del congiuntivo: cfr.
latino “quid agam?”, “cur non dicam?”).
La desinenza della 2ª sg *-sı-, propria dei verbi atematici, e *-šı-, propria dei
verbi tematici, si discosta da quella i.e. con vocale breve (*-sı̆). La desinenza in
scibilante rivela gli effetti della legge di Pedersen: ¢osi{i ‘tu porti’ < *nosixi
(x > š per I palatalizzazione davanti a vocale anteriore) < *nosisi (s > x per la
legge di Pedersen). La trasformazione della fricativa deve essere partita dai
verbi della II coniugazione per poi diffondersi anche ai verbi della I, dove le
condizioni per la retroflessione individuata da Pedersen non sussistono: re~e{i
‘tu dici’ (*rek-e-si).
La desinenza della 3ª sg e pl è frutto del processo di indebolimento della
fine della parola: i.e. *-tı̆ > *-tŭ, con perdita della mollezza.
La desinenza della 1ª pl può assumere forma -m¨ per analogia con il
pronome personale; alla stessa analogia si deve la desinenza della 1ª duale -v: .
19. Suffissi tematici e derivativi
Le forme del verbo si costruiscono su due temi, il tema del presente e il
tema dell’infinito, che possono coincidere (verbi in *ı- della II coniugazione),
ma generalmente divergono sia per il diverso suffisso tematico che li forma,
sia per la presenza di diversi gradi vocalici nella radice.
163
Morfologia
Eccettuato un piccolo gruppo di verbi atematici (cinque in tutto), il tema del
presente si forma con l’ausilio delle vocali tematiche *ĕ per la I coniugazione e
*ı- per la II. La vocale *ĕ alterna con *ŏ (1ª persona sg e 3ª persona plurale). La
I coniugazione presenta tre sottotipi:
sg
du
pl
1ª
2ª
3ª
e/o
o
e
e
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
e
e
e
e
e
o
I coniugazione
ne/no
no
ne
ne
ne
ne
ne
ne
ne
no
je/jo
jo
je
je
II coniugazione
i
i
i
i
je
je
je
je
je
jo
i
i
i
i
i
i
Dal tema del presente si formano, oltre al tempo presente, l’imperativo
(tramite il suffisso *ı-, formante del modo ottativo) e i participi presenti attivi e
passivi (tramite i suffissi *nt e *m): sia i participi presenti sia l’imperativo dei
verbi della I coniugazione generalizzano la vocale tematica *ŏ.
Il tema dell’infinito si forma per mezzo dei suffissi *ø, *a- , *no˛, *e- , *ı-.
Dal tema dell’infinito si formano per suffissazione l’aoristo, l’imperfetto
(tramite il suffisso *e- ax) e i participi passati (tramite i suffissi *ŭs, *n, *t, *l).
Si è soliti dire che dal tema dell’infinito si forma il supino, ma in verità infinito
e supino hanno in comune l’origine sostantivale: il supino era anticamente un
accusativo, usato dopo i verbi di moto per indicare lo scopo dell’azione.
Le vocali tematiche dei tempi passati coincidono con quelle del presente in
tutte le persone esclusa la 1ª persona duale e plurale:
sg
1ª
2ª
3ª
e/o
o
e
e
I coniugazione
ne/no
no
ne
ne
je/jo
jo
je
je
II coniugazione
i
i
i
i
164
Il paleoslavo
du
pl
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
o
e
e
o
e
o
I coniugazione
no
ne
ne
no
ne
no
jo
je
je
jo
je
jo
II coniugazione
i
i
i
i
i
i
20. Classificazione
Il verbo si può classificare a partire dal tema del presente o a partire dal
tema dell’infinito. All’interno di queste scelte i criteri di classificazione
possono variare: alcuni studiosi elencano quali coniugazioni diverse ciò che
altri classificano quali sottotipi di un’unica coniugazione e così via. In ogni
caso, a prescindere dalle scelte classificatorie, la suddivisione del materiale in
sé non è oggetto di discussione (ad eccezione di pochissimi verbi del tipo
piti , biti 7), e si basa su una preliminare suddivisione tra verbi atematici e
verbi tematici.
I verbi atematici sono dati ‘dare’ (*dad-), qsti ‘mangiare’ (*(j)e- d-),
v:d:ti ‘sapere’ (*u‡oi‡d-) e b¨ti ‘essere’, che si caratterizza per il suo
suppletivismo: infinito b¨ti , participio presente b¨{(}i e aoristo b¨h) dalla
radice *bhu- -; presente imperfettivo &sm| dalla radice *(j)e- s-, 3ª pl del presente
7 Alcuni studiosi ritengono che tutti i verbi il cui tema dell’infinito sia uguale alla radice e la
radice sia in vocale (del tipo æ¢ati, biti, liti, piti, kr¨ti, m¨ti) appartengano alla
classe IIIa, ovvero formino il presente con le vocali tematiche je/jo: biti, 1ª sg *bi-jo˛ > *bß•-jo˛
(A. M. Seliščev, Staroslavjanskij jazyk, II, Moskva 1952, p. 147). Altri studiosi distinguono
invece tra verbi della classe Ia con radice in semivocale *pß•i‡-, *u‡ei‡-, *lß•i‡- (piti, viti, liti)
e verbi della classe IIIa con radice in vocale (po~iti, {iti, g¢iti, biti): così Van Wijk
ipotizza una diversa intonazione deducendola dalla diversa modalità di formazione dell’aoristo e
del participio passato passivo: 2ª e 3ª sg dell’aoristo pit), vit), lit) e participio passato
passivo pit), vit), lit) contro 2ª e 3ª sg dell’aoristo bi, po~i, e participio passato passivo
bie¢), po~|te¢) (N. Van Wijk, Istorija staroslavjanskogo jazyka, Moskva 1957, p. 339). Cfr.
anche i deverbali pitie vs bie¢ie, po~|te¢ie. Per ciò che riguarda l’esistenza di un gruppo
di verbi caratterizzato dalla predilezione per il suffisso *t, v. p. 178 e p. 191.
Morfologia
165
imperfettivo s\t) e participio presente attivo s¨ dalla radice *s-, presente
perfettivo b\d\ e imperativo b\di dalla radice *bond-.
La 1ª sg esce in -m| da *mı̆, desinenza che forma solo il presente di questi
verbi atematici opponendoli a tutti i verbi tematici che escono in -\ da *a- n:
dam| (*da-mı̆, senza alcun suffisso tematico), qm| , v:m| e &sm| .
La desinenza della 2ª sg -si (&si , dasi , qsi , v:si ) si distingue da quella
dei verbi tematici, che escono in -{i (v. p. 162).
Il verbo im:ti ‘avere’ (*em-/*m
÷ -) è atematico solo alla 1ª sg imam| (2ª
persona sg ima{i dal tema del presente *jßm-a- -).
I verbi tematici si suddividono in quattro gruppi che corrispondono ai tre
sottotipi della I coniugazione (vocale tematica -e/o-, -ne/no-, -je/jo-) e alla II
coniugazione (vocale tematica -i-). Questi quattro gruppi sono ulteriormente
suddivisi al loro interno in sottogruppi, legati al suffisso tematico dell’infinito:
I
e/o
II
ne/no
III
je/jo
IV
i
a. suffisso dell’infinito -øb. suffisso dell’infinito -aa. radice in consonante e suffisso dell’infinito -no˛b. radice in vocale e suffisso dell’infinito -no˛a1. suffisso dell’infinito -øa2. imperfettivi derivati con suffisso dell’infinito -a-, -va-, -ěb. suffisso dell’infinito -aa. suffisso dell’infinito -ib. suffisso dell’infinito -ě-, -a- (< *e- )
Ia. Il sottogruppo Ia è un gruppo non produttivo cui appartengono pochi
verbi con il tema dell’infinito monosillabo e la radice in consonante. Si divide
in quattro sottotipi:
1. Verbi con radice in occlusiva o fricativa (p, b, v, t, d, k, g, s, z) senza
alternanza vocalica radicale; presentano tutti assimilazione, dissimilazione o
caduta della consonante radicale davanti alla dentale della desinenza
dell’infinito -ti : vesti , 1ª sg ved\ ‘condurre (a piedi)’; vesti , 1ª sg veæ\
‘condurre (con un mezzo)’.
2. Verbi con radice in occlusiva o fricativa con alternanza vocalica radicale.
Sono caratterizzati, oltre che dalla assimilazione, dalla dissimilazione o dalla
caduta della consonante radicale davanti alla dentale della desinenza
166
Il paleoslavo
dell’infinito -ti , dalla apofonia radicale. La vocale radicale presenta il grado
pieno nel tema dell’infinito e il grado ridotto nel tema del presente: i/ß (*ei‡/*ı̆),
u/∞ (*ou‡/*ŭ), er/ßr davanti a vocale e rě/rß davanti a consonante (*er/*r÷), el/ßl
davanti a vocale e lě/lß davanti a consonante (*el/*l÷). Questi verbi (con la sola
eccezione di ¢ebr:{ti ‘non curarsi’, 1ª sg ¢ebr:g\ e vl:{ti ‘trascinare’, 1ª
sg vl:k\ che presentano il grado vocalico ridotto soltanto nella formazione
dei tre participi passati), utilizzano la radice di grado normale per la
formazione dell’infinito e del supino e la radice di grado ridotto per la
formazione di presente, participi presenti, imperativo, imperfetto, aoristo forte,
aoristo sigmatico II, participi passati.
3. Verbi con radice in consonante liquida o nasale (n, m, l, r) o in
semivocale (i‡, u‡) con e senza alternanza vocalica radicale. Sono caratterizzati
da metatesi delle liquide, formazione di vocali nasali e monottongazione di
dittonghi: mr:ti ‘morire’ (*mer-ti), 1ª sg m|r\ (*mßr-o˛); kl(ti ‘giurare’
(*klßn-ti), 1ª sg kl|¢\ (*klßn-o˛); p:ti ‘cantare’ (*poi‡-ti), 1ª sg po+ (*poi‡-o˛);
viti ‘torcere’ (*vß• j-ti < *u‡ei‡-ti), 1ª sg vi+ (*vß• j-o˛ < *u‡ei‡-o˛); plouti
‘galleggiare’ (*plou‡-ti), 1ª sg plov\ (*plou‡-o˛).
I verbi del tipo mr:ti formano l’infinito e il supino con la radice di grado
vocalico normale e tutte le altre forme con la radice di grado ridotto come i
verbi del sottotipo 2 (del tipo vr:{ti ‘lanciare’, 1ª sg vr|g\ ). Diversamente da
quelli però formano il participio passato passivo con il suffisso *t8, e ciò li
accomuna ai verbi di questo sottotipo (viti ‘torcere’, participio passato vit) ,
rasp(ti ‘distendere’, participio passato rasp(t) , p:ti ‘cantare’, participo
passato p:t) ).
Sono tutti verbi primitivi, né denominali né deverbali, durativi.
4. Verbi irregolari con infisso nasale del tipo s:sti , 1ª sg s(d\ ‘sedersi’;
con formante *d- del tipo iti ‘andare’, 1ª sg id\ ; con estensione della radice
*u‡ del tipo jiti ‘vivere’, 1ª sg jiv\ .
8 Forma il participio passato passivo con il suffisso *t anche un verbo del sottogruppo 2,
otvr:sti, otvr|æ\, otvr|st). Per ciò che riguarda l’esistenza di un gruppo di verbi
caratterizzato dalla predilezione per il suffisso *t, v. la nota precedente.
Morfologia
167
I verbi del gruppo Ia formano tutti l’imperfetto dal tema del presente, per
mezzo del suffisso *e- ax (v. p. 184). Nella formazione dell’aoristo conservano
modalità di formazione arcaiche e non più produttive in paleoslavo (v. p. 179).
I coniugazione – vocali tematiche e/o – suffisso dell’infinito -ø- (Ia)
Radici in occlusiva e fricativa
Radici in occlusiva e fricativa
senza apofonia:
con apofonia radicale: ei/i
vesti, ved\
condurre (a piedi)
~isti, ~|t\
leggere
vesti, veæ\
condurre
cvisti, cv|t\
fiorire
¢esti, ¢es\
portare
pro¢isti,
trafiggere
pro¢|æ\
bl<sti, bl<d\
osservare
greti, greb\
remare
Radici in occlusiva e fricativa
con apofonia radicale: ou/u
gr¨sti, gr¨æ\
rosicchiare
souti, s)p\ 9
spargere (grani)
s:}i, s:k\
tagliare
je}i, jeg\
ardere
Radici in occlusiva e fricativa
con apofonia radicale: er/r÷ (r: /r| )
mesti, met\
gettare
¢ebr:}i, ¢ebr:g\ curarsi di
g¢esti, g¢et\
opprimere
otvr:sti, otvr|æ\ aprire
stri}i, strig\
tosare
~r:sti, ~r|t\
tratteggiare
pe}i, pek\
cuocere
~r:ti, ~r|p\
attingere,
mescere
plesti, plet\
intrecciare
vr:}i, vr|g\
lanciare
re}i, rek\
dire
vr:}i, vr|h\
triturare
te}i, tek\
scorrere
g\sti, g\d\
suonare (strumento a
Radici in occlusiva e fricativa
corde)
con apofonia radicale: el/l÷ (l: /l| )
jl:sti, jl:d\
ricompensare
ml:sti, ml|æ\
emulsionare
str:}i, str:g\
sorvegliare
tl:}i, tl)k\
colpire
bl(sti, bl(d\
parlare a vanvera
vl:}i, vl:k\
trascinare
ouv(sti, ouv(æ\ inghirlandare
æv(}i, æv(g\
raccontare
Radici in n, m, r, i‡, u‡
con e senza apofonia
æ(ti, æ(b\
strappare
kl(ti, kl|¢\
giurare
9 Questo verbo, che non è attestato nei codici del canone, è presente nel Salterio del
Monastero dei Miracoli (Čudovskaja psaltyr’, XI sec.): casi analoghi, per altro non numerosi,
qui come di seguito saranno elencati senza ulteriore precisazione. Cfr. N. Van Wijk, Istorija
staroslavjanskogo jazyka, Moskva 1957.
168
Il paleoslavo
I coniugazione – vocali tematiche e/o – suffisso dell’infinito -ø- (Ia)
l(}i, l(k\
curvare
m(ti, m|¢\
follare, gualcare
m(sti, m(t\
scuotere
p(ti, p|¢\
stendere,
allungare
pr(}i, pr(g\
tendere
t(ti, t|¢\
fendere
pr(sti, pr(d\
filare
¢a~(ti, ¢a~|¢\
cominciare
pris(}i, -s(g\
avvicinarsi a toccare
j(ti, j|m\
premere
tr(sti, tr(s\
scuotere
`ti, im\
prendere
bosti, bod\
trafiggere
d\ti, d)m\
soffiare
mo}i, mog\
potere
vlasti, vlad\
dominare
pojr:ti, poj|r\
inghiottire
rasti, rast\
crescere
mr:ti, m|r\
morire
teti, tep\
flagellare
v)vr:ti, v|r\
trafiggere
v)l:sti, v)l:æ\ entrare
opr:ti s(, op|r\
appoggiarsi
s(
klasti, klad\
mettere
raskvr:ti,
far fondere
raskv|r\
krasti, krad\
rubare
prostr:ti, -st|r\ estendere
pasti, pad\
cadere
pasti, pas\
pascolare
jr|ti, j|r\
sacrificare
tr|ti, t|r\
strofinare
Estensione della radice -u‡-:
viti, vi+
torcere
pl:ti, pl:v\
sarchiare
g¢iti, g¢i+
marcire
jiti, jiv\
vivere
liti, li+
versare
piti, pi+
bere
Infisso nasale e formante dentale:
v)piti, v)pi+
chiamare
s:sti, s(d\
sedersi
p:ti, po+
cantare
le}i, l(g\
coricarsi
plouti, plov\
galleggiare
b¨ti, b\d\
essere
r<ti, r&v\
muggire, ruggire
gr(sti, gr(d\
venire
routi, rov\
muggire, ruggire
iti, id\
andare (a piedi)
slouti, slov\
avere fama di
pr:qhati,
attraversare (con un
trouti, trov\
consumare
pr:qd\
mezzo)
Ib. I verbi del gruppo Ib hanno il tema dell’infinito sempre bisillabo, che si
forma aggiungendo alla radice il suffisso -a- (che non compare nel tema del
presente). Sono tutti verbi primitivi, né denominali né deverbali, durativi. Dal
tema dell’infinito formano l’imperfetto e l’aoristo sigmatico I di tipo più
recente (v. p. 181).
Morfologia
169
Il gruppo Ib è ulteriormente diviso in quattro sottotipi, tutti rappresentati da
pochi verbi:
1. radice in r, n e alternanza vocalica radicale (tipo b|rati ‘raccogliere’, 1ª
sg ber\ );
2. vocale radicale ∞ (tipo s)sati ‘succhiare’, 1ª sg s)s\ );
3. altre radici con e senza alternanza (tipo æ)vati ‘chiamare’, 1ª sg æov\ );
4. radici con apofonia radicale i/ěj (*i/*e- i) del tipo æiqti ‘spalancare’
(*zi-a-ti), 1ª sg æ:+ (*ze- i-o˛).
I coniugazione – vocali tematiche e/o – suffisso dell’infinito -a- (Ib)
Radici in r, n con apofonia:
Altre radici:
b|rati, ber\
raccogliere
kovati, kov\
d|rati, der\
strappare
os¢ovati, os¢ov\
p|rati, per\
innalzare
æ)vati, æov\
g)¢ati, je¢\
seguire, inseguire
iskati, isk\
j|dati, jid\
metati, met\
Radici in vocale con apofonia i/e- i:
priqti, pr:+
favorire
Radici contenenti ∞:
liqti, l:+
versare
ot)r)vati, ot)r)v\
smiqti s(, sm:+ s(
ridere
s)sati, s)s\
æiqti, æ:+
spalancare
t)kati, t)k\
forgiare
fondare
chiamare
cercare
aspettare
gettare
strappare
succhiare
spingere
IIa e IIb. I verbi del gruppo II sono quasi tutti non durativi (cfr. nel gruppo
Ia i verbi non durativi con infisso nasale); molti sono derivati perfettivi di verbi
imperfettivi. In qualità di non durativi non formavano originariamente
l’imperfetto. Successivamente, in contesti in cui si sottolinea il carattere
abituale e ripetuto dell’azione, adottano le forme del nuovo imperfetto slavo
formato dal tema del presente con il suffisso *e- ax (v. p. 184).
Il suffisso -no˛- alterna, raramente, con il suffisso -nu-. I participi passivi del
tipo dvig¢ove¢) ‘mosso’ (v. p. 192) e i deverbali del tipo prikos¢ove¢ie
‘contatto’ (v. p. 197) fanno pensare all’alternanza *nou‡/*nov anche laddove
l’infinito ci è noto con il suffisso -no˛- (potrebbe trattarsi di una nasalizzazione
più tarda di un originario suffisso *nou‡). I verbi del gruppo II era divisi in due
sottotipi diversi, quelli con radice in consonante e quelli con radice in vocale.
170
Il paleoslavo
I verbi con radice in consonante possono conservare o meno il suffisso:
l’aoristo, i participi passati e il sostantivo verbale sono formati senza suffisso;
l’aoristo è quello forte tematico (v. p. 179):
I coniugazione - vocali tematiche ne/no – radice in consonante + suffisso -no˛- (IIa)
dvig¢\ti, dvig¢\
muovere
kos¢\ti, kos¢\
toccare
v)sklik¢\ti,
esclamare
pob:g¢\ti, pob:g¢\
darsi alla fuga
v)sklik¢\
ot)rig¢\ti, ot)rig¢\ eruttare
ouv(æ¢\ti, ouv(æ¢\
impigliarsi
tl)k¢\ti, tl)k¢\
dare un colpo ougas¢\ti, ougas¢\
estinguersi
v¨k¢\ti, v¨k¢\
abituarsi
pogr(æ¢\ti,
affondare
pogr(æ¢\
dr)æ¢\ti, dr)æ¢\
osare
pog¨b¢\ti, pog¨b¢\
perire
v)æd)h¢\ti, -d)h¢\
soffiare
v)k¨s¢\ti, v)k¨s¢\
fermentare
oujaæ¢\ti, -jaæ¢\ s( spaventarsi
mr)k¢\ti, mr)k¢\
imbrunire
proæ(b¢\ti, -æ(b¢\
germogliare
pomr)æ¢\ti, -mr)æ¢\ gelare
v)skr(s¢\ti, -kr|s¢\
resuscitare
prom)k¢\ti s(,
diffondersi
prom)k¢\ s(
ouml)k¢\ti, oml)k¢\ tacersi
pri¢ik¢\ti, -¢ik¢\
sporgersi
oum(k¢\ti, oum(k¢\
diventar molle posag¢\ti, posag¢\
andare sposa
popl)æ¢\ti s(,
scivolare
ohr)(m)¢\ti, ohr)m¢\ diventare
popl)æ¢\ s(
zoppo
osl|p¢\ti, osl|p¢\
divenire cieco v)æb)¢\ti, v)æb)¢\
svegliarsi
postig¢\ti, postig¢\ raggiungere
ouv(¢\ti, ouv(¢\
sfiorire
ous)h¢\ti, ous)h¢\
seccarsi
s)g)¢\ti, s)g)¢\
piegare
is(k¢\ti, is(k¢\
prosciugarsi
ous)¢\ti, ous)¢\
addormentarsi
isto(p)¢\ti, istop¢\
essere
ougl|b¢\ti, ougl|b¢\ sprofondare
sommerso
rastr)g¢\ti, -tr)g¢\
lacerare
prisv(¢\ti, prisv(¢\ appassire
t)k¢\ti, t)k¢\
bussare
i}eæ¢\ti, i}eæ¢\
sparire
prot(g¢\ti, -t(g¢\
tirare
I verbi con radice in vocale conservano il suffisso in tutte le forme, ad
eccezione del verbo stati ‘diventare’, 1ª sg sta¢\ , aoristo stah) ; l’aoristo è
quello sigmatico I di tipo più recente (v. p. 181):
I coniugazione - vocali tematiche ne/no – radice in vocale + suffisso -no˛- (IIb)
mi¢\ti, mi¢\
passare
poma¢\ti, -ma¢\
fare un segno
povi¢\ti, -vi¢\
sottomettere
pom:¢\ti, -m:¢\
ricordare
dou¢\ti, dou¢\ gonfiare
isou¢\ti, -sou¢\
sguainare
171
Morfologia
pok¨¢\ti, -k¨¢\
v)spla¢\ti s(,
-pla¢\ s(
æi¢\ti, æi¢\
fare un cenno
infiammarsi
spalancare
ot)ri¢\ti, -ri¢\
pli¢\ti, pli¢\
(pl<¢\ti, pl<¢\)
stati, sta¢\
rigettare
sputare
diventare
IIIa. Il gruppo IIIa è diviso in due sottotipi:
1. verbi primitivi con radice t, l, r, n (tipo brati ‘lottare’, 1ª sg bor+ ) o in
vocale (tipo æ¢ati ‘sapere’, 1ª sg æ¢a+ );
2. verbi derivati frequentativi e denominali (tipo d:lati ‘fare’, 1ª sg
d:la+ ).
Del gruppo IIIa1 fanno parte:
– cinque verbi con radice in consonante, suffisso dell’infinito -ø-, che
strutturalmente dovrebbero far parte della classe Ia, ma invece seguono il tipo
molle della I coniugazione: ml:ti ‘macinare’, 1ª sg mel+ , klati ‘sgozzare’,
1ª sg kol+ , brati ‘lottare’, 1ª sg bor+ , j(ti ‘mietere’, 1ª sg j|¢+ ,
obr:sti ‘trovare’, 1ª sg obr(}\ .
Come i loro simili del gruppo Ia questi verbi formano l’imperfetto dal tema
del presente. L’aoristo invece è sigmatico I del tipo più recente (v. p. 181).
– verbi primitivi con radice in vocale e tema dell’infinito uguale alla radice
del tipo æ¢ati ‘sapere’, 1ª sg æ¢a+ :
I coniugazione – vocali tematiche je/jo – suffisso dell’infinito -ø- (IIIa1)
Radici in consonante:
brati, bor+
lottare
ml:ti, mel+
macinare
j(ti, j|¢+
mietere obr:sti, obr(}\
trovare
klati, kol+
sgozzare
Radici in vocale:
æ¢ati, æ¢a+
sapere
kr¨ti, kr¨+
coprire
siqti, siq+
brillare m¨ti, m¨+
lavare
oup)vati, oup)va+
confidare ou¢¨ti, ou¢¨+
scoraggiarsi
sp:ti, sp:+
maturare r¨ti, r¨+
scavare
v)æd:ti, -d:jd\ e -d:+ fare
¢adouti, ¢adou+ s( gonfiarsi, inorgoglirsi
s:ti, s:+
seminare ~outi, ~ou+
sentire
s)m:ti, s)m:+
osare
obouti, obou+
calzare
biti, bi+
battere
po~iti, po~i+
riposare
s){iti, s){i+
cucire
172
Il paleoslavo
Del gruppo IIIa2, molto produttivo, fanno parte verbi derivati (imperfettivi,
denominali, deverbali) in -ě-, -a-, -va- che conservano il suffisso del tema
dell’infinito nel tema del presente.
Suffisso -ě-: serve a derivare verbi denominali del tipo oum:ti ‘avere la
capacità’ (oum) ‘mente’), 1ª sg oum:+ .
Suffisso -a-: serve a derivare verbi denominali del tipo d:lati ‘fare’
(d:lo ‘affare’), 1ª sg d:la+ ; con l’allungamento della vocale radicale forma
frequentativi di verbi imperfettivi e deriva imperfettivi da verbi perfettivi:
privoditi impf. ‘arrecare’ e privajdati impf. ‘citare (un passo)’, 1ª sg
privajda+ ; v)prositi pf. ‘chiedere’ e v)pra{ati impf. ‘interrogare’, 1ª sg
v)pra{a+ .
Suffisso -va-: forma frequentativi di verbi imperfettivi e deriva imperfettivi
da verbi perfettivi senza allungamento della vocale radicale: b¨ti impf.
‘essere’, b¨vati impf. ‘trovarsi abitualmente’, 1ª sg b¨va+ ; oubiti pf.
‘uccidere’, oubivati impf. ‘uccidere’, 1ª sg oubiva+ ; s)gr:ti s( pf.
‘accalorarsi’, s)gr:vati impf. ‘scaldare’, 1ª sg s)gr:va+ .
Tutti questi verbi formano dal tema dell’infinito l’aoristo sigmatico I di tipo
recente (d:lah) ) e l’imperfetto (d:laah) ).
IIIb. Il gruppo IIIb è un gruppo numeroso ma poco produttivo (è produttivo
solo il sottogruppo 5), che comprende cinque sottogruppi accomunati dal fatto
di formare l’infinito con il suffisso -a- e di non conservare questo suffisso nel
tema del presente:
1. Radici in consonante occlusiva e fricativa del tipo glagolati ‘parlare’,
1ª sg glagol+ ;
2. Radici in l, r, m, n del tipo s)lati ‘inviare’, 1ª sg s)l+ ;
3. Radici con apofonia radicale: alternanza ß/e del tipo imati (*jßm-)
‘prendere’, 1ª sg &ml+ ; alternanza ß/i del tipo æ|dati ‘costruire’, 1ª sg
æijd\ ; alternanza rß/rě (*r÷/*er) del tipo tr|æati ‘strappare’, 1ª sg tr:j\ ;
alternanza ßv/ju del tipo pl|vati ‘sputare’ (*pl’ŭu‡ati < *pj-u- -a-ti), 1ª sg
pl<+ (*pl’-u- -jo˛ < *pj-ou‡-jan);
4. Radici in vocale del tipo kaqti s( ‘pentirsi’, 1ª sg k a+ s( ;
Morfologia
173
5. Verbi denominali derivati con il suffisso -ova- del tipo v:rovati
‘credere’, 1ª sg v:rou+ (v:ra ‘fede’). Il suffisso *ŏu‡ davanti a vocale si
dentalizza (-ov-), davanti alla semiconsonante -j- del suffisso tematico si
monottonga (-u-). Sottotipo molto produttivo, non è incluso nella tabella.
I coniugazione – vocali tematiche je/jo – suffisso dell’infinito -a- (IIIb)
Radici in occlusiva e fricativa:
alkati, al~\
avere fame
maæati, maj\
ungere
v(æati, v(j\
legare
metati, me}\
lanciare
gasati, ga{\
estinguere
mr|cati, mr|~\
oscurarsi
glagolati, glagol+
parlare
¢icati, ¢i~\
sorgere
g¨bati, g¨bl+
perire
plakati, pla~\
piangere
dvi™ati, dvij\
muovere
pleskati, ple}\
battere le mani
douhati, dou{\
soffiare
pl(sati, pl({\
danzare
j(dati, j(jd\
avere sete
ristati, ri}\
correre
æobati, æobl+
mangiare
r)æati, r)j\
nitrire
æ¨bati, æ¨bl+
vacillare
r)p)tati, r)p)}\
mormorare
iskati, i}\
cercare
r:æati, r:j\
intagliare
kaæati, kaj\
sembrare
skakati, ska~\
saltare
kapati, kapl+
gocciolare
skr|j|tati,
digrignare
skr|j|}\
klevetati, kleve}\
calunniare
stradati, strajd\ soffrire
klepati, klepl+
segnalare
str:kati, str:~\
pungolare
kl|~|tati, kl|~|}\
battere i denti
s¨pati, s¨pl+
spargere
klicati, kli~\
gridare
cs(æati, os(j\
toccare
klokotati, kloko}\
ribollire
tesati, te{\
tagliare con
l’accetta
kol:bati, kol:bl+
oscillare
tratati, tra}\
inseguire
k\pati, k\pl+
bagnare
trepetati, trepe}\ tremare
liæati, lij\
leccare
v)st(æati, -t(j\
accusare
lob)æati, lob)j\
baciare
hapati, hapl+
mordere
l)gati, l)j\
mentire
~esati, ~e{\
raccogliere (frutta)
l:gati, l:j\
coricarsi
{|p)tati, {|p)}\ sussurrare
l(cati, l(~\
spargere
poqsati, -q}\
cingere
trappole
Alcune radici con apofonia radicale:
Alcune radici in vocale:
imati, &ml+
prendere
v:(q)ti, v:+
soffiare
æ|dati, æijd\
costruire
d:(q)ti, d:+
fare
v)sl|pati, sl:pl+
sgorgare
r:qti, r:+
spingere
p|sati, pi{\
scrivere
174
Il paleoslavo
pl|æati, pl:j\
str)gati, strouj\
st|lati, stel+
tr|æati, tr:j\
~r|pati, ~r:pl+
bl|vati, bl<+
pl|vati, pl<+
kl|vati, kl<+
arrampicarsi
raschiare
stendere
strappare
attingere
vomitare
sputare
beccare
Alcune radici in l, r, m, n:
mr)m)rati, mr)m)r+
orati, or+
s)lati, s)l+
ste¢ati, ste¢+
v)ædr:mati,
v)ædr:ml+
mormorare
arare
inviare
gemere
sonnecchiare
gr:(q)ti, gr:+
s:(q)ti, s:+
sp:(q)ti, sp:+
scaldare
seminare
prosperare
baqti, ba+
vaqti, va+
da(q)ti, da+
graqti, gra+
kaqti s(, ka+ s(
laqti, la+
maqti, ma+
sta(q)ti, sta+
taqti, ta+
~aqti, ~a+
raccontare
scolpire
dare
gracchiare
pentirsi
abbaiare
fare segnali
stare diritto
fondersi
attendere
Ai gruppi Ia, Ib, IIa, IIb, IIIa e IIIb appartiene la totalità dei verbi con
apofonia radicale.
IVa. Del gruppo IVa fanno parte verbi fattitivi, frequentativi, denominali. Il
tema dell’infinito si forma con il suffisso -i-. Il tema del presente ha vocale
tematica -i- (II coniugazione). La derivazione di fattitivi per il tramite del
suffisso -i- non è produttiva: si tratta quindi di un numero finito di verbi10. Per
esprimere il concetto del “far fare” il paleoslavo calca sul greco la costruzione
(s) )tvoriti + infinito del verbo. Anche la derivazione di frequentativi con il
suffisso -i- non è produttiva: questa funzione è assolta nella maggioranza dei
casi dal suffisso -a-. Ciò favorisce la confusione dei frequentativi in -i- con gli
imperfettivi, e il loro utilizzo nella formazione di coppie prefissate: ¢esti
(impf. determinato), ¢ositi (frequentativo indeterminato) > pri¢esti (pf.),
10 Riportiamo i verbi da cui i fattitivi e gli frequentativi della lista sono derivati, nell’ordine
di elencazione. I fattitivi sono derivati rispettivamente da go¢eæ¢\ti, iæb¨ti, le}i,
pol:ti, s:sti, mr:ti, b)d:ti, te}i, piti, is(k¢\ti, v¨k¢\ti, mr)k¢\ti,
v)skr|s¢\ti, pril|p:ti, v is:ti, g¨b¢\ti, stati, sv|t:ti, pogr(æ¢\ti. I
frequentativi sono derivati rispettivamente da m(sti, v)l:sti, ¢esti, vesti, g)¢ati,
vl:}i, iti, vesti, bl(sti.
175
Morfologia
pri¢ositi (impf.). Indefinitamente produttiva è invece la derivazione di
denominali in -i- di cui pochi sono perfettivi.
II coniugazione – vocale tematica i – suffisso dell’infinito -i- (IVa)
Verbi derivati da aggettivi e sostantivi:
Verbi fattitivi:
moliti, mol+
pregare
go¢oæiti, go¢oj\
liberare
hra¢iti, hra¢+
custodire
iæbaviti, iæbavl+ salvare
raæoriti, raæor+
distruggere
polojiti, poloj\ mettere a giacere
bogatiti s(,
arricchirsi
paliti, pal+
dare fuoco
boga}\ s(
iskaæiti, iskaj\
guastare
posaditi, posajd\ far sedere, piantare
m:riti, m:r+
misurare
oumoriti, oumor+ far morire
stroiti, stro+
mettere ordine
bouditi, boujd\
svegliare
l<biti, l<bl+
amare
to~iti, to~\
far colare
loviti, lovl+
cacciare
poiti, po+
abbeverare
gostiti, go}\
offrire (a un ospite) is\~iti, is\~\
far asciugare
lomiti, loml+
spezzare
v)æv:siti, -v:{\
appendere
m\~iti, m\~\
tormentare
pomra~iti, -mra~\ oscurare
m¨sliti, m¨{l+
pensare
v)skr:siti, -kr:{\ far resuscitare
blaæ¢iti, blaj¢+ scandalizzare
pril:piti, -l:pl+ incollare
poustiti, pou}\
allentare, liberare
ou~iti, ou~+
far imparare
prigvoæditi,
inchiodare
goubiti, goubl+
far perire
prigvojd\
s)motriti,
osservare
staviti, stavl+
mettere (ritto)
s)mo}r+
m\driti s(,
atteggiarsi a saggio pogr\æiti,
affondare (trans.)
m\jdr\ s(
pogr\j\
ostriti, o}r+
affilare
sv:titi, sv:}\
illuminare
blagoslovestiti,
benedire
ou~iti, ou~+
far imparare
blagoslove}\
qæviti, qjvl+
ferire
Verbi frequentativi:
m\titi, m\}\
v)laæiti, v)laj\
¢ositi, ¢o{\
voæiti, voj\
go¢iti, go¢+
turbare, agitare
entrare
portare
portare (con un
mezzo)
cacciare
vla~iti, vla~\
hoditi, hojd\
voditi, vojd\
bl\diti, bl\jd\
trascinare
andare
condurre
errare
176
Il paleoslavo
IVb. Del gruppo IVb fanno parte verbi primitivi che formano il tema
dell’infinito con il suffisso -ě-, -’a- (< *e- ) e il tema del presente con il suffisso
-i-. La loro funzione originaria è quella di indicare uno stato: sono quindi
intransitivi e imperfettivi. Si distinguono tre sottotipi:
– verbi con radice in vocale: boqti s( ‘temere’ (a < *e- dopo jod), 1ª sg
bo+ s( ;
– verbi con radice in velare: kri~ati ‘gridare’ < *krik-e- -ti (*e- provoca la I
palatalizzazione delle velari), 1ª sg kri~\ ;
– verbi con radice in consonante non velare: gor:ti ‘ardere’, 1ª sg gor+ .
Di questo gruppo fanno parte anche un unico verbo in -a- (< *a- ): s)pati
‘dormire’, 1ª sg s)pl+ , e due verbi a paradigma misto: hot:ti ‘volere’, 1ª sg
ho}\ , e dov|l:ti ‘essere sufficiente’, 1ª sg dov|l+ : hot:ti segue la II
coniugazione alla 3ª persona pl (hot(t) ) e al N maschile e neutro del
participio presente attivo (hot( ), mentre nei casi obliqui del participio e per
tutto il resto si comporta come un verbo della I coniugazione (1ª sg ho}\ , 2ª
sg ho}e{i ); dov|l:ti segue la II coniugazione esclusivamente alla 3ª
persona pl (dov|l(t) ) e in generale tende a passare al tipo IIIa2 (dov|l:+ ,
dov|l:&{i ).
II coniugazione – vocale tematica i – suffisso dell’infinito -ě- (IVb)
ě (< *e- dopo consonante non velare)
’a (< *e- dopo vocale)
bol:ti, bol+
essere malato boqti s(, bo+ s(
temere
b)d:ti, b)jd\
vegliare
stoqti, sto+
stare ritto
vel:ti, vel+
prescrivere
vid:ti, vijd\
vedere
a (< *e- dopo velare)
vis:ti, vi{\
essere sospeso dvijati, dvij\
muovere
vr|t:ti, vr|}\ s(
rigirarsi
dr|jati, dr|j\
tenere
v|r:ti, v|r+
bollire
kl(~ati, kl(~\
essere
inginocchiato
gor:ti, gor+
ardere
kri~ati, kri~\
gridare
gr|m:ti, gr|ml+
tuonare
lejati, lej\
essere coricato
æ|r:ti, æ|r+
guardare
l|}ati s(, l|}\ brillare
s(
j(d:ti, j(jd\
desiderare
ml|~ati, ml|~\
tacere
k)s¢:ti, k){¢+
tardare
m)~ati, m)~\
scuotere
k¨p:ti, k¨pl+
ribollire
sl¨{ati, sl¨{\
udire
177
Morfologia
let:ti, le}\
pril|p:ti, -l|pl+
volare
essere
incollato
mr|æ:ti, mr|j\
essere odioso
m|¢:ti, m|¢+
pensare
pl|æ:ti, pl|j\
strisciare
pol:ti, pol+
incendiare
p|r:ti s(, p|r+ s(
disputare
sv|t:ti s(, sv|}\ s(
brillare
skr)b:ti, skr)bl+
essere afflitto
smr|d:ti, smr|jd\
puzzare
st¨d:ti s(, styjd\ vergognarsi
s(
s:d:ti, s:jd\
essere seduto
tr|p:ti, tr|pl+
sopportare
}(d:ti, }(jd\
spargere
b:jati, b:j\
fuggire
t)}ati s(, t)}\ affrettarsi, sforzarsi
s(
s)t(jati, s)t(j\ acquistare
s)pati, s)pl+
dormire
21. L’aoristo
In paleoslavo si conoscono quattro tipi di aoristo, un tipo produttivo
(sigmatico II) e tre tipi improduttivi (forte atematico, forte tematico, sigmatico
I), derivati con modalità non più attive in paleoslavo e rappresentati da un
numero limitato di verbi ad altissima frequenza di uso del tipo re}i ‘dire’, iti
‘andare’ e pochi altri.
L’aoristo forte è il più antico; può essere tematico o atematico.
L’aoristo forte atematico funge da controparte non durativa del presente
durativo. Privo di suffissi tematici, si forma unendo le desinenze secondarie
direttamente alla radice dei verbi non durativi. Progressivamente emarginato
dallo sviluppo dell’aoristo forte tematico e dell’aoristo sigmatico, l’aoristo
forte atematico è testimoniato in paleoslavo soltanto dalla 2ª e 3ª sg di un
numero ristrettissimo di verbi:
a) i verbi atematici dati ‘dare’, qsti ‘mangiare’ e b¨ti ‘essere’;
b) alcuni verbi del gruppo Ia che contengono nella radice un dittongo e
sono caratterizzati da un probabile accento circonflesso sulla vocale radicale:
viti ‘torcere’, piti ‘bere’, p:ti ‘cantare’, oumr:ti ‘morire’, prostr:ti
178
Il paleoslavo
‘estendere’, jr:ti ‘sacrificare’, k l(ti ‘giurare’, rasp(ti ‘distendere’, `ti
‘prendere’, ¢a~(ti ‘cominciare’.
In tutte le altre persone questi verbi hanno le forme dell’aoristo sigmatico:
sg
2ª
3ª
`ti
`t)
`t)
oumr:ti
oumr:t)
oumr:t)
piti
pit)
pit)
dati
dast)
dast)
Quando la desinenza della 2ª e 3ª persona sg -t) (la cui provenienza è
tuttora oggetto di discussione) viene omessa, la flessione di questo aoristo
coincide interamente con quella di un aoristo sigmatico. Tuttavia, i verbi
caratterizzati da questa estensione della 2ª e 3ª sg formano nel loro complesso
un gruppo ben individuato: oltre alla 2ª e 3ª persona dell’aoristo in -t) essi
formano infatti il participio passato passivo con il suffisso *t e sostantivi
verbali in -tie (v. p. 164, nota 7 e p. 191)11.
L’aoristo forte tematico nasce come aoristo perfettivo; si formava da verbi
non durativi dei gruppi Ia e IIa, unendo le vocali tematiche e le desinenze
secondarie alla consonante radicale (i verbi in -no˛- perdevano il suffisso):
Sg
1ª
2ª
3ª
id-o-n
id-e-s
id-e-t
Du
id-o-vě
id-e-ta
id-e-te
Pl
id-o-mus
id-e-te
id-o-nt
Con la perdita di importanza dell’aoristo forte atematico, aoristo forte
tematico e aoristo sigmatico divengono complementari: l’aoristo forte
11 L’appartenenza a questo gruppo dei verbi che contengono nella radice un dittongo in
liquida è debole e senza futuro, mentre costante appare la presenza dei verbi che contengono
nella radice un dittongo in nasale e in aumento l’appartenenza dei verbi con radice monosillaba
in vocale. I sostantivi neutri deverbali in -тие elencati dal Grammatičeskij slovar’ russkogo
jazyka risalgono ai verbi j(ti, rasp(ti, prokl(ti, ¢a~(ti, `ti; poviti, proliti,
biti, iti, piti, jiti; r¨ti, kr¨ti, b¨ti, *pl¨ti, douti. L’elenco dei sostantivi in
-тьë comprende витьё, житьё, литьё, питьё, бритьё, шитьё, дутьё, гнутьё, чутьё, вытьё,
мытьё, нытьё, рытьё, мятьё, che ci riportano ai seguenti ulteriori infiniti: *briti, {iti,
g)¢\ti, ~outi, *v¨ti, m¨ti, ¢¨ti, m(ti (* non sono attestati in paleoslavo, ma in testi
più tardi).
179
Morfologia
tematico, che inizialmente indicava un momento (puntuale) di inizio o di fine
di una azione di per sé durativa (per esempio, “cantare una canzone”: cantare è
di per sé un’azione durativa, che prevede una sequenza di note; ma
l’esecuzione di un canto è un’azione finita), amplia la propria funzione a quella
di aoristo puntuale in generale (a spese dell’aoristo atematico), e si oppone così
all’aoristo sigmatico, durativo.
In paleoslavo l’aoristo forte tematico, non più produttivo, è attestato da:
a) non durativi del gruppo Ia che hanno all’infinito suffisso -ø-, al presente
vocale tematica -e- (v. p. 167 e pp. 181-182);
b) il verbo obr:sti ‘trovare’ (gruppo IIIa; v. p. 171);
c) non durativi prefissati del gruppo IIa (v. p. 170), di cui sono attestate
anche forme di aoristo sigmatico del tipo più recente, formato sia con, sia
senza il suffisso -no˛12-:
forte tematico
ougl|b¢\ti
v)sk¨s¢\ti
prisv(¢\ti
ohr)¢\ti
pribeg¢\ti
iæb:g¢\ti
ot)beg¢\ti
pog¨b¢\ti
¢av¨k¢\ti
v)skr|s¢\ti
v)æ¢ik¢\ti
i}eæ¢\ti
v)ædvig¢\ti
proæ(b¢\ti
ougleb)
ougl|b\
v)sk¨s\
prisv(d\
ohr)m\
prib:g)
iæb:g)
ot)b:g\
pog¨b\
¢av¨k\
v)skr|s\
v)æ¢ik\
i}eæete
i}eæ\, i~eæ\
v)ædvig)
v)ædvig\
proæ(b\
sigmatico II
sigmatico II
(senza suffisso -no˛-) (con suffisso -no˛-)
sprofondare
fermentare
appassire
azzopparsi
accorrere
sfuggire
scappare
perire
adusarsi
levarsi
sorgere
ot)bego{(
pog¨bo{(
¢av¨ko{(
v)skr)so{(
v)æ¢iko{(
i}eæo{(
sparire
v)ædvigo{(
proæ(bo{(
erigere
proæ(b¢\{(
spuntare
12 L’elenco di queste forme è tratto da H. Lunt, Old Church Slavonic Grammar, Mouton,
The Hague 1968, pp. 91-92.
180
Il paleoslavo
forte tematico
oujas¢\ti s(
ouml)k¢\ti
is)h¢\ti
s)s)h¢\ti
ous)h¢\ti
outo¢\ti
isto¢\ti
pot)k¢\ti s(
oujasete s(
oujas\ s(
ouml)k\
isoh)
is)h\
sos)h)
outop\
istop\
pot)k\ s(
sigmatico II
sigmatico II
(senza suffisso -no˛-) (con suffisso -no˛-)
oujasoste s(
oujas¢\ste s(
atterrirsi
oujaso{( s(
oujas¢\{( s(
ouml)ko{(
zittirsi
seccarsi
is)ho{(
outopo{(
istopo{(
pot)ko{( s(
seccarsi
seccarsi
annegare
annegare
inciampare
ous)h¢\ (3 sg)
istop¢\{(
pot)k¢\{( s(
Parimenti improduttivo e poco rappresentato è l’aoristo sigmatico I (così
detto per distinguerlo dal più tardo sigmatico II), che si forma dai verbi
durativi del gruppo Ia. Alla consonante radicale si unisce il suffisso *s (*so alla
1ª sg, du e pl) e le desinenze secondarie. La vocale radicale presenta il grado
allungato (e > ě; o > a). La 2ª e 3ª sg sono date con l’asterisco perché questi
aoristi conservano qui la forma dell’aoristo forte tematico: la vocale radicale è
di grado normale, la vocale tematica è -e-:
1ª
2ª
3ª
Sg
ne- s-so-n
*ne- s-s-s (nese)
*ne- s-s-t (nese)
ne- s-so-vě
ne- s-s-ta
ne- s-s-te
Du
ne- s-so-mus
ne- s-s-te
ne- s-s-n÷t
Pl
L’uso di questo tipo di aoristo è inizialmente limitato a verbi del gruppo Ia:
a) radice in fricativa, sonorante e occlusiva non velare con e senza
apofonia;
b) radice in occlusiva velare con e senza apofonia; la velare radicale s > x
(legge di Pedersen). Davanti alla vocale anteriore sviluppata dalla *n÷ della 3ª
pl (*sn÷t > *sı̆nt) x > š (per I palatalizzazione):
1ª
2ª
3ª
Sg
Du
re- k-so-n > re- k-x-∞ > rĕx∞ re- k-so-vě > rĕxově
(rek-e > reče)
re- k-s-ta > rĕsta
(rek-e > reče)
re- k-s-te > rĕste
Pl
re- k-so-mus > rĕxom∞
re- k-s-te > rĕste
re- k-s-n÷t > re- xı̆nt > rĕše˛
181
Morfologia
Ricapitolando, forme non produttive di aoristo forte e sigmatico I sono
attestate in paleoslavo per i seguenti verbi13:
iti
-qhati
s:sti
v)æle}i
-l:sti
pasti
oukrasti
-mo}i
ou¢isti
-vr:}i
-r:sti
s)tr(sti
-¢esti
-vesti
aoristo forte tematico
id)
idete
idom)
idete
id\
v):d\, pr::d\
s:d)
s:dom)
s:d\
v)æleg\
v)l:æ\, iæl:æ\
pad\
oukrad\
v)æmog)
iæ¢emojete
v)æmogom)
v)æmog\
ou¢|æ\
iævr|g\, ot)vr|g\
obr:t)
obr:tete, s)r:tete
obr:tom)
obr:t\, s)r:t\
s)tr(s) s(
s)tr(s\ s(
aoristo sigmatico (s)
s)tr(s( s(
v)æ¢:s)
v)æ¢:ste
v)æ¢:s(, pri¢:s(
priv:s)
priv:ste, v)v:ste,
iæv:ste
v)v:som)
priv:ste
v:s(, priv:s(
13 L’elenco di queste forme è tratto da H. Lunt, op. cit., pp. 91-92.
aoristo sigmatico (x)
182
otvr:sti
procvisti
probosti
s)bl<sti
pogreti
kl(ti
-p(ti
-~(ti
-(ti
-~isti
-m(sti
-qsti
re}i
te}i
-vl:}i
ras:}i
s)l(}i
Il paleoslavo
aoristo forte tematico
aoristo sigmatico (s)
otvr:s)
otvr:ste s(
otvr:s(
procvis(
probas(
s)bl<s)
s)bl<s(
pogr:s(
kl(s) s(
prop(s(, rasp(s(
¢a~(s)
¢a~(s(
po`s), pri`s)
`som)
`s(, v)æ(s(
~is(, i~is(
s)m(s) s(
s)m(som)
v)æm(s(, s)m(s(
qs)
qst), po:st),
s)¢:st)
iæ:
po:s(, s)¢:s(
aoristo sigmatico (x)
~i{(
v)æm({(, s)m({(
qh)
qhom)
r:h)
r:ste
r:sta
r:hom)
r:ste
r:{(
t:h)
t:ste
t:{(
v)vl:h)
s)vl:{(, iævl:{(,
obl:{(
ras:{(
s)l(h)
s)l({(
¢al({(
183
Morfologia
aoristo forte tematico
v)je}i
aoristo sigmatico (s)
aoristo sigmatico (x)
v)j:{(
Successivamente, questo aoristo sigmatico I si estende a verbi durativi del
tipo b|rati ‘raccogliere’ (Ib), klati ‘sgozzare’, æ¢ati ‘sapere’ (IIIa),
alkati ‘avere fame’ (IIIb), ¢ositi ‘portare’ (IVa), vid:ti ‘vedere’, stoqti
‘essere in piedi’, lejati ‘essere disteso’ (IVb) e non durativi del tipo mi¢\ti
‘passare’ (IIb). Come dopo la velare radicale dei verbi del tipo re}i , aoristo
r:h) , così dopo le vocali u, i la fricativa s > x (per Pedersen). Davanti alla
vocale anteriore sviluppata dalla *n÷ della 3ª pl (*sn÷t > *sı̆nt) x > š (per I
palatalizzazione). La vocale radicale è di grado normale. Alla 2ª e 3ª sg questi
verbi imitano la forma dell’aoristo forte tematico, ma la vocale della
terminazione è quella del tema dell’infinito :
1ª
2ª
3ª
Sg
nosi-so-n > nosix∞
(nosi)
(nosi)
Du
nosi-so-vě > nosixově
nosi-s-ta
nosi-s-te
Pl
nosi-so-mus > nosixom∞
nosi-s-te
nosi-s-n÷t > nosixı̆nt > nosiše˛
Il passaggio s > x si generalizza quindi a tutti i verbi che presentino nella
radice o nel tema dell’infinito una vocale: è questo il tipo più recente di aoristo
sigmatico I, caratterizzato dalla maggiore regolarità. Cfr. l’aoristo del verbo
b¨ti ‘essere’:
1ª
2ª
3ª
b¨h)
b¨
b¨
Sg
b¨hov:
b¨sta
b¨ste
Du
b¨hom)
b¨ste
b¨{(
Pl
Da questo tipo si differenziano ormai pochi verbi appartenenti a due
categorie arcaiche, quella durativa dell’aoristo sigmatico del tipo v:s) , ved\ e
quella non durativa dell’aoristo forte tematico del tipo id) , id\ ,
caratterizzati dalla mancanza della velare aspirata x. Per procedere alla loro
analogizzazione non occorreva altro che inserire il suffisso -s-/-x-, preceduto
dalla vocale di raccordo -o-: id) > idoh) . Nasce così l’aoristo sigmatico II,
184
Il paleoslavo
destinato a essere l’unico produttivo, con uno schema unico di coniugazione
per tutti i verbi e le seguenti terminazioni:
1ª -ox∞
2ª
3ª
Sg
idox∞
(ide)
(ide)
-oxově
-osta
-oste
Du
idoxově
idosta
idoste
-oxom∞
-oste
-oše˛
Pl
idoxom∞
idoste
idoše˛
22. L’imperfetto
L’imperfetto slavo non ha nulla in comune con l’imperfetto i.e. Si tratta di
una formazione originale slava, forse addirittura dialettale, che rivela un forte
influsso da parte dell’aoristo sigmatico.
La maggioranza dei verbi, e precisamente tutti quelli il cui tema
dell’infinito esce in -a o in -: , formano l’imperfetto con il suffisso *ax: si tratta
dei verbi del gruppo Ib (tipo æ)vati , imperfetto æ)vaah) ‘chiamavo’), IIIb
(tipo kaæati , imperfetto k aæaah) ‘sembravo’), IVb (tipo tr|p:ti , imperfetto
tr|p:ah) ‘sopportavo’), di quei verbi del gruppo IIIa1 che hanno radice in *a-,
*-e- (tipo æ¢ati , imperfetto æ¢aah) ‘sapevo’, s:ti , imperfetto s:ah)
‘seminavo’), di tutti i verbi del gruppo IIIa2 (suffisso dell’infinito -ě-, -a-, -va-:
oum:ah) ‘ero capace’, d:laah) ‘facevo’, bivaah) ‘uccidevo’).
Tutti i verbi di cui né il tema dell’infinito né la radice escano in -a o in -:
formano l’imperfetto dal tema del presente con il suffisso *e- ax, dove *erappresenta l’allungamento della vocale tematica del presente: si tratta di tutti i
verbi del gruppo Ia (tipo ¢esti , imperfetto ¢es:ah) ‘portavo’) di tutti i verbi
del gruppo II (tipo dvig¢\ti , imperfetto dvig¢:ah) ‘muovevo’), dei verbi
del gruppo IIIa1 il cui infinito esce in vocali diverse da -a e da -: (tipo biti ,
imperfetto bi:ah) ‘battevo’; kr¨ti , imperfetto kr¨:ah) ‘coprivo’; m¨ti ,
imperfetto m¨:ah) ‘lavavo’; ~outi , imperfetto ~ou:ah) ‘sentivo’).
Formano inoltre l’imperfetto con il suffisso *e- ax tutti i verbi il cui tema
dell’infinito esca in -a e in -: a seguito di metatesi, monottongazione del
dittongo radicale e formazione di vocali nasali. Dopo *-i‡ e dopo consonante
palatale *e- ax > *’aax. Si tratta dei verbi del gruppo Ia del tipo vr:}i ,
imperfetto v|rjaah) ‘lanciavo’, mr:ti , imperfetto m|r:ah) ‘morivo’, kl(ti ,
185
Morfologia
imperfetto kl|¢:ah) ‘giuravo’, p:ti , imperfetto poqah) ‘cantavo’, piti ,
imperfetto piqah) ‘bevevo’, e dei cinque verbi in consonante del gruppo
IIIa1: ml:ti , tema del presente *mel’-, imperfetto melqah) ‘macinavo’,
klati , tema del presente *kol’-, imperfetto kolqah) ‘sgozzavo’, brati , tema
del presente *bor’-, imperfetto borqah) ‘lottavo’, j(ti , tema del presente
*žßn’-, imperfetto j|¢qah) ‘mietevo’, obr:sti , tema del presente *obre˛št’-,
imperfetto obr(}aah) ‘trovavo’.
L’imperfetto dei verbi in -i- (IVa), formato anch’esso con il suffisso *e- ax,
si confonde in grafia cirillica con l’imperfetto dei verbi frequentativi da loro
derivati tramite suffisso -a-: per esempio l’imperfetto di saditi ‘mettere in
terra una piantina’ e l’imperfetto del suo iterativo sajdati (< *sadi-a-ti),
ancorchè formati con suffissi diversi (rispettivamente *sadi-e- ax e *sadi-a-ax)
hanno lo stesso imperfetto sajdaah) .
La forma -’aax- si estende successivamente a tutti i verbi ai verbi del tipo
biti , verosimilmente per analogia con i verbi del tipo piti (sulla diversa
classificazione di *vi-ti e *pß• i‡-ti v. nota 7), e quindi a tutti i verbi del sotto
gruppo IIIa1 con radice in vocale diversa da -a e da -: : biti , imperfetto
biqah) ‘battevo’; kr¨ti , imperfetto kr¨qah) ‘coprivo’; m¨ti , imperfetto
m¨qah) ‘lavavo’; ~outi , imperfetto ~ouqah) ‘sentivo’.
Il suffisso *ax, *e- ax è seguito dalle vocali tematiche dei tempi passati e
dalle desinenze secondarie:
1ª
2ª
3ª
Sg
Du
vedě-ax-o-n > veděax∞ vedě-ax-o-vě > veděaxově
vedě-ax-e-s > veděaše vedě-ax-e-ta > veděašeta
vedě-ax-e-t > veděaše vedě-ax-e-te > veděašete
Pl
vedě-ax-o-mŭs > veděaxom∞
vedě-ax-e-te > veděašete
vedě-ax-o-nt > veděaxo˛
Il verbo b¨ti forma l’imperfetto dalla radice *be- - coniugata come un
aoristo sigmatico. Successivamente, per analogia con l’imperfetto, compaiono
varianti derivate con il suffisso -ax-:
1ª
2ª
3ª
Sg
b:h) e b:ah)
b:
b: e b:a{e
Du
b:hov:
b:sta
b:ste e b:a{ete
Pl
b:hom)
b:ste
b:{( e b:ah\
186
Il paleoslavo
Nei testi del canone paleoslavo si incontrano imperfetti di verbi dei gruppi
Ib e IIIb formati dal tema del presente: si tratta di innovazioni che testimoniano
la crescente tendenza a vedere nell’imperfetto un equivalente del presente in
un contesto passato e il progressivo avvicinamento tra il tema dell’imperfetto e
il tema del presente: nell’XI secolo troviamo la forma æov:a{e accanto a
æ)vaa{e quali imperfetti di æ)vati (presente æov\ ).
Nel contempo le terminazioni -{eta e -{ete (2ª e 3ª du, 2ª pl) tendono già
nei testi del canone a confondersi con quelle dell’aoristo sigmatico: -sta , -ste :
nel passo ta bes:dovaa{ete k) seb: o vs:h) sih) prikl<~|{iih) s( sih)
(“kai; aujtoi; wJmivloun pro;" ajllhvlou" peri; pavntwn tw`n sumbebhkovtwn
touvtwn”, “et ipsi loquebantur ad invicem de his omnibus, quae acciderant”,
Luca 24:14) il Vangelo di Assemani registra bes:dovaasta .
Infine, già nei testi del canone le vocali tematiche e suffissali tendono ad
assimilarsi e fondersi: ved:ah) > ved:h) ‘sapevo’, mojaah) > mojah)
‘potevo’.
23. I participi
I participi appartengono alla categoria morfologica del nome aggettivo e
mutano secondo il genere, il numero e il caso. In paleoslavo esistono cinque
participi: participio presente attivo, participio presente passivo, participio
passato attivo, participio passato passivo, participio perfetto (detto anche
participio passato attivo II).
Il participio presente attivo e il participio passato attivo, come gli aggettivi
di grado comparativo (v. p. 141), appartenevano in origine alla classe dei temi
in consonante (suffissi *nt, *ŭs); successivamente migrati nelle classi dei temi
in *jŏ (maschili e neutri) e in *ja- (femminili), serbano tracce della loro origine
nella formazione dei casi diretti (NA).
Il participio presente passivo, il participio passato passivo e il participio
perfetto, formati per mezzo dei suffissi *m, *n, *t, *l, appartengono alle classi
in *ŏ (maschili e neutri) e in *a- (femminili).
187
Morfologia
Tutti i participi seguono la flessione nominale, ma possono essere
determinati e seguire la flessione degli aggettivi di forma articolata (v. Tavole
morfologiche).
Il participio presente attivo si forma dal tema del presente con l’aggiunta
del suffisso *nt (cfr. italiano amante, studente, sapiente). La vocale tematica è
-o- (o/no/je, senza alternanza e/o) per i verbi atematici e per quelli della I
coniugazione, -i- per i verbi della II coniugazione: *s-o-nt-, *im-o-nt-, *nes-ont-, *pros-i-nt-.
La derivazione del participio presente attivo coincide con quella del grado
comparativo dell’aggettivo: si tratta di un tema in consonante migrato nelle
classi dei temi in *jŏ (maschili e neutri) e in *ja- (femminili), ma il NA sg m e n
non ha suffisso tematico e il N pl m si forma con la desinenza *-es. Il
femminile ha in comune con i comparativi la terminazione del N sg f -i (cfr. i
sostantivi formati per mezzo del suffisso *jƒ, p. 118).
Il N sg femminile è fortemente caratterizzato dalla presenza della dentale
iodizzata (*o-nt-ji > -\}i , *i-nt-ji > -(}i ), assente nel N sg m e n: ¢es¨ ,
¢es¨ , ¢es\}i ‘portante’; pros( , pros( , pros(}i ‘chiedente’:
N
G
D
A
L
S
NA
GL
DS
N
G
D
A
L
S
m
nes - o - nt - s
nes - o - nt - jŏ - ad
nes - o - nt - jŏ - u
nes - o - nt - n
nes - o - nt - jŏ - i
nes - o - nt - jŏ - mı̆
nes - o - nt - jones - o - nt - jŏ - ous
nes - o - nt - jŏ - mones - o - nt - jŏ - es
nes - o - nt - j(ŏ) - ŏn
nes - o - nt - jŏ - mŭs
nes - o - nt - jŏ - ns
nes - o - nt - jŏi‡- sŭ
nes - o - nt - jŏ - is
n
nes - o - nt - n
nes - o - nt - jŏ - ad
nes - o - nt - jŏ - u
nes - o - nt - n
nes - o - nt - jŏ - i
nes - o - nt - jŏ - mı̆
nes - o - nt - joi‡
nes - o - nt - jŏ - ous
nes - o - nt - jŏ - mones - o - nt - jones - o - nt - j(ŏ) - ŏn
nes - o - nt - jŏ - mŭs
nes - o - nt - jones - o - nt - jŏi‡- sŭ
nes - o - nt - jŏ - is
f
nes - o - nt - ji
nes - o - nt - ja- - ns
nes - o - nt - ja- - i
nes - o - nt - ja- - n
nes - o - nt - ja- - i
nes - o - nt - ja- - jan
nes - o - nt - jai‡
nes - o - nt - ja- - ous
nes - o - nt - ja- - mones - o - nt - ja- - ns
nes - o - nt - j(a- ) - ŏn
nes - o - nt - ja- - mŭs
nes - o - nt - ja- - ns
nes - o - nt - ja- - sŭ
nes - o - nt - ja- - mis
188
Il paleoslavo
Al N sg neutro la forma ¢es¨ è poco chiara, e si spiega con l’analogia
morfologica (N sg m ¢es¨ < *nesŏnt-s): foneticamente *nes-ŏnt-ø avrebbe
dovuto dare *-o˛, come nella coniugazione dell’aoristo: *padŏnt > 1ª sg pad\ .
Come nel paradigma del comparativo, agisce qui la tendenza al
livellamento del tema, che porta a formare l’A sg m e n con il suffisso *jŏ:
¢es\}| e ¢es\}e . Successivamente questa forma si generalizza anche al N n.
Il N sg dei verbi con vocale tematica -jo- (*zna-je-nt-s) è æ¢a` ; in tutte le
altre forme del paradigma (f æ¢a+}i ) il suffisso -o˛št’- è frutto di analogia con
il participio dei temi in -o- (*znajo˛št- come *neso˛št-).
I verbi della II coniugazione hanno N sg m e n hval( , N sg f hval(}i . La
nasale del N sg m si spiega probabilmente con l’analogia morfologica
(foneticamente *ı-ns > -ı-). Anche qui agisce la tendenza al livellamento del
tema, che porta a formare l’A sg m e n con il suffisso *jŏ: hval(}| e hval(}e .
Successivamente questa forma si generalizza anche al N n.
Nella forma articolata il participio presente attivo può fungere da soggetto
della proposizione: se iæide s:`i da s:&t) (“ijdou; ejxh`lqen oJ speivrwn
tou` speivrein”, “ecce exiit qui seminat seminare” Matteo 13:3); da i s:`i
v) koup: radou&t) s( i j|¢`i (“i{na oJ speivrwn oJmou` caivrh/ kai; oJ
qerivzwn”, “ut et qui seminat simul gaudeat et qui metit”, Giovanni 4:36).
Il participio passato attivo si forma dal tema dell’infinito con il suffisso *ŭs
se il verbo appartiene al gruppo Ia (suffisso -ø- e radice in consonante) e IIa
(suffisso -no˛- e radice in consonante); si forma dal tema dell’infinito con il
suffisso *u‡ŭs se il tema dell’infinito è in vocale (suffisso -ø- e radice in vocale,
suffisso -no˛- e radice in vocale, suffissi -a-, -ě-).
I verbi del gruppo IV (II coniugazione) formano il participio passato attivo
con il suffisso *ŭs; successivamente, per analogia con gli altri temi in vocale,
si generalizza l’uso del suffisso *u‡ŭs.
La derivazione del participio passato attivo ha le stesse caratteristiche della
derivazione del participio presente attivo (temi in *jŏ e in *ja- ): il NA sg m e n
non ha suffisso tematico, il N pl m si forma con la desinenza *-es. Il femminile
esce al N sg f in -i .
189
Morfologia
Al N sg m n la consonante finale cade, la semiconsonante si dentalizza, e il
suffisso assume il seguente aspetto: *ŭs > -) ; *u‡ŭs > -v) : vesti ‘portare’, ved)
‘avente portato’; vesti ‘condurre’, veæ) ‘avente condotto’; krasti ‘rubare’,
krad) ‘avente rubato’; re}i ‘dire’, rek) ‘avente detto’; dvig¢\ti
‘muovere’, dvig) ‘avente mosso’; æ)vati ‘chiamare’, æ)vav) ‘avente
chiamato’; d:lati ‘fare’, d:lav) ‘avente fatto’; vid:ti ‘vedere’, vid:v)
‘avente visto’; stati ‘diventare’, stav) ‘essente diventato’; mi¢\ti
‘passare’, mi¢\v) ‘essente passato’; moliti ‘pregare’, mol∞| e moliv)
‘avente pregato’.
Il N sg femminile è invece fortemente caratterizzato dalla presenza della
fricativa iodizzata (*ŭs-ji > -){i , *u‡ŭs-ji > -)v{i ), assente nel N sg m e n:
¢es) , ¢es) , ¢es){i ‘che ha portato’; stav) , stav) , stav){i ‘che è diventato’.
Il suffisso *jŏ/*ja- si generalizza a tutti i generi e casi, esclusi NA sg m e n
(in seguito si generalizzerà al A sg m e n).
N
G
D
A
L
S
NA
GL
DS
N
G
D
A
L
S
m
nes - ŭs - s
nes - ŭs - jŏ - ad
nes - ŭs - jŏ - u
nes - ŭs - n
nes - ŭs - jŏ - i
nes - ŭs - jŏ - mı̆
nes - ŭs - jones - ŭs - jŏ - ous
nes - ŭs - jŏ - mones - ŭs - jŏ - es
nes - ŭs - j(ŏ) - ŏn
nes - ŭs - jŏ - mŭs
nes - ŭs - jŏ - ns
nes - ŭs - jŏi‡- sŭ
nes - ŭs - jŏ - is
n
nes - ŭs - n
nes - ŭs - jŏ - ad
nes - ŭs - jŏ - u
nes - ŭs - n
nes - ŭs - jŏ - i
nes - ŭs - jŏ - mı̆
nes - ŭs - jŏi‡
nes - ŭs - jŏ - ous
nes - ŭs - jŏ - mones - ŭs - jones - ŭs - j(ŏ) - ŏn
nes - ŭs - jŏ - mŭs
nes - ŭs - jones - ŭs - jŏi‡- sŭ
nes - ŭs - jŏ - is
f
nes - ŭs - ji
nes - ŭs - ja- - ns
nes - ŭs - ja- - i
nes - ŭs - ja- - n
nes - ŭs - ja- - i
nes - ŭs - ja- - jan
nes - ŭs - jai‡
nes - ŭs - ja- - ous
nes - ŭs - ja- - mones - ŭs - ja- - ns
nes - ŭs - j(a- ) - on
nes - ŭs - ja- - mŭs
nes - ŭs - ja- - ns
nes - ŭs - ja- - sŭ
nes - ŭs - ja- - mis
I verbi del gruppo Ia presentano alcune particolarità:
a) quando il tema dell’infinito esce in vocale a seguito di monottongazione
di dittongo il participio passato attivo si forma con il suffisso *u‡ŭs per analogia
con i temi in vocale del gruppo IIIa (del tipo biti ): p:ti ‘cantare’, p:v)
190
Il paleoslavo
‘avente cantato’; piti ‘bere’, piv) ‘avente bevuto’; plouti ‘galleggiare’,
plouv) ‘avente galleggiato’.
b) alcuni verbi formano il participio passato attivo dalla radice di grado
vocalico debole. Di questi uno forma con la radice di grado debole anche il
presente e l’aoristo forte, altri presentano la vocale ridotta anche nel presente,
due usano la radice debole esclusivamente per formare il participio passato:
infinito
iævr:}i
opr:ti s(
raskvr:ti
oumr:ti
prostr:ti
po~r:ti
kl(ti
`ti
¢a~(ti
¢ebr:}i
iævl:}i
aoristo forte
iævr|g\ (3ª pl)
presente
iævr|g\
op|r\ s(
raskv|r\
oum|r\
prost|r\
po~r|p\
kl|¢\
im\
¢a~|¢\
¢ebr:g\
iævl:k\
part. passato
iævr|g)
op|r) s(
raskv|r)
oum|r)
prost|r)
po~r|p)
kl|¢)
im)
¢a~|¢)
¢ebr|g)
iævl|k)
‘avente respinto’
‘essendosi poggiato’
‘avente fuso’
‘essente morto’
‘avente esteso’
‘avente attinto’
‘avente maledetto’
‘avente preso’
‘avente iniziato’
‘avente trascurato’
‘avente trascinato’
Il participio passato attivo è utilizzato in paleoslavo per indicare la
anteriorità di un’azione passata rispetto a un’altra (i priim) ~a{\ hval\
v)ædav) dast) im), “kai; labw;n pothvrion eujjcaristhvsa" e[dwken
aujtoi`"”, “et accepto calice, gratias agens dedit eis”, Marco 14:23) o anche la
coincidenza di due azioni in una: o¢) je ot)v:}av) re~e (“oJ de; ei\pen
aujtoi`"”, “quid ait illis”, Marco 14:20).
Il participio presente passivo si forma con l’ausilio del suffisso *m dal
tema del presente. La vocale tematica è -o- (o/no/je, senza alternanza e/o) per i
verbi della I coniugazione, -i- per i verbi della II coniugazione: *nes-o-m-,
*děla-je-m-, *pros-i-m-. I verbi atematici possono formare il participio
presente passivo come verbi della I o della II coniugazione, con la vocale
tematica -o- e con quella -i-: *věd-o-m- e *věd-i-m-, *jad-o-m- e *jad-i-m-.
Il participio si declina come un nome in *ŏ (maschile e neutro) e in *a(femminile): ¢esom) , ¢esomo , ¢esoma ‘che è portato’, d:la&m) , d:la&mo ,
d:la&ma ‘che è fatto’, prosim) , prosima , prosimo ‘che è chiesto’, v:dom) ,
191
Morfologia
v:domo , v:doma e v:dim) , v:dimo , v:dima ‘che è risaputo’, qdom) ,
qdomo , qdoma e qdim) , qdimo , qdima ‘che è mangiato’.
Il participio passato passivo si forma dal tema dell’infinito con l’ausilio dei
suffissi *t e *n seguiti dalle vocali tematiche e dalle desinenze dei nomi in *ŏ
(maschile e neutro) e dei nomi in *a- (femminile).
Formano il participio passato con il suffisso *t alcuni verbi del gruppo Ia,
caratterizzati dal tema dell’infinito monosillabo e contenente al suo interno un
dittongo, nonché, probabilmente, dall’intonazione discendente (si tratta per lo
più degli stessi verbi che hanno l’estensione -t) nell’aoristo: v. p. 164, nota 7,
e p. 178). I verbi che presentano nel tema dell’infinito metatesi delle liquide
formano il participio passato passivo dalla radice di grado ridotto:
infinito
rasp(ti
prokl(ti
¢a~(ti
`ti
prostr:ti
s)tr:ti
jr:ti
otvr:sti
v)sp:ti
poviti
proliti
presente
rasp|¢\
prokl|¢\
¢a~|¢\
im\
prost|r\
s)t|r\
j|r\
otvr|æ\
v)spo+
povi+
proli+
participio passato passivo
ras-pe˛ t∞
rasp(t)
pro-kle˛-t∞
prokl(t)
na-če˛ t∞
¢a~(t)
je˛-t∞
`t)
pro-stßr-t∞ > prostr÷tß
prostr|t)
s∞tßr-t∞ > s∞tr÷t∞
s)tr|t)
žßr-t∞ > žr÷t∞
jr|t)
ot-vßrz-t∞ > otvr÷st∞
otvr|st)
v∞s-pě-t∞
v)sp:t)
po-vi-t∞
povit)
pro-li-t∞
prolit)
‘crocifisso’
‘maledetto’
‘cominciato’
‘preso’
‘steso’
‘distrutto’
‘offerto’
‘aperto’
‘cantato’
‘avvolto’
‘versato’
Formano il participio passato con il suffisso *n i verbi che hanno tema
dell’infinito in -a , -: (radicale o suffissale): vid:ti ‘vedere’, vid:¢) ‘visto’;
æ¢ati ‘conoscere’, æ¢a¢) ‘conosciuto’.
Formano il participio passato con il suffisso *en:
– i verbi del gruppo Ia (radice in consonante e suffisso -ø-: ¢esti ‘portare’,
¢ese¢) ‘portato’; vesti ‘condurre’, veæe¢) ‘condotto’; re}i ‘dire’, re~e¢)
‘detto’.
I verbi con radice in occlusiva o fricativa con alternanza vocalica radicale
(gruppo Ia, sottotipo 2) formano il participio passato passivo dalla radice di
grado ridotto: ¢ebr:}i ‘non curarsi’, ¢ebr|je¢) ‘trascurato’; vl:}i
192
Il paleoslavo
‘trascinare’, vl|~e¢) ‘trascinato’; ot)vr:}i ‘respingere’, ot)vr|je¢)
‘respinto’.
I verbi con radice in consonante liquida o nasale (n, m, l, r) o in semivocale
(i‡, u‡) con e senza alternanza vocalica radicale (gruppo Ia, sottotipo 3) formano
il participio passato passivo dalla radice di grado vocalico ridotto, sia con il
suffisso *t, sia con il suffisso *en: jr:ti ‘offrire in sacrificio’, jr|t) e
j|re¢) ‘offerto in sacrificio’; s)tr:ti ‘distruggere’, s)tr|t) e s)t|re¢)
‘distrutto’.
– i verbi del gruppo II (con alternanza -no˛/nov-): dvig¢\ti ‘muovere’,
dvig¢ove¢) ‘mosso’; mi¢\ti ‘passare’, mi¢ove¢) ‘passato’. I verbi del
gruppo IIa (radice in consonante) possono formare il participio direttamente
dalla radice (senza il suffisso -no˛-): dvig¢\ti > dvije¢) ;
– i verbi del gruppo IV (II coniugazione): roditi ‘generare’, rojde¢)
‘generato’; ¢ositi ‘portare’, ¢o{e¢) ‘portato’.
I verbi del gruppo IIIa1 con radice in consonante possono formare il
participio dal tema dell’infinito con il suffisso *n o dal tema del presente con il
suffisso *en: æaklati ‘sgozzare’, æakole¢) e æakla¢) ‘sgozzato’.
I verbi del gruppo IIIa1 in vocale diversa da -a , -: possono formare il
participio con il suffisso *t e con il suffisso *en: biti ‘colpire’, bit) e bie¢)
‘colpito’; æab¨ti ‘dimenticare’, æab¨t) e æab)ve¢) ‘dimenticato’; s)kr¨ti
‘nascondere’, s)kr¨t) e s)kr)ve¢) ‘nascosto’.
Il participio perfetto, o risultativo, si forma dal tema dell’infinito con il
suffisso *l e si declina come un nome in *ŏ (maschile e neutro) e in *a(femminile): vesti ‘portare’, vel) ‘avente portato’ (< *vedl∞); krasti
‘rubare’, kral) ‘avente rubato’ (< *kradl∞); re}i ‘dire’, rekl) ‘avente detto’;
dvig¢\ti ‘muovere’, dvigl) ‘avente mosso’; æ)vati ‘chiamare’, æ)val)
‘avente chiamato’; d:lati ‘fare’, d:lal) ‘avente fatto’; vid:ti ‘vedere’,
vid:l) ‘avente visto’; stati ‘diventare’, stal) ‘essente diventato’; mi¢\ti
‘passare’, mi¢\l) ‘essente passato’; moliti ‘pregare’, molil) ‘avente
pregato’; p:ti ‘cantare’, p:l) ‘avente cantato’; piti ‘bere’, pil) ‘avente
bevuto’; plouti ‘galleggiare’, ploul) ‘avente galleggiato’.
Morfologia
193
Alcuni verbi formano il participio perfetto, così come il participio passato
attivo, dalla radice di grado ridotto: iævr|g) > iævr|gl) , oum|r) > oum|rl) ,
prost|r) > prost|rl) , ¢ebr|g) > ¢ebr|gl) , iævl|k) > iævl|kl) .
Il participio perfetto si usa solo in funzione predicativa al caso nominativo.
Coniugato con l’ausiliare b¨ti ‘essere’ forma i tempi composti.
24. I tempi composti: perfetto, piuccheperfetto, futuro anteriore
I tempi composti (per il loro significato temporale v. p. 160) si formano con
il participio perfetto e l’ausiliare b¨ti coniugato al presente, all’imperfetto (o
al perfetto) e al futuro:
– perfetto: pri{|l) &sm| (pri{|la &sm| , pri{|lo &sm| ) “sono arrivato” (e
quindi sono qui);
– piuccheperfetto I: pri{|l) b:h) “ero arrivato” (e quindi ero lì);
– piuccheperfetto II: pri{|l) &sm| b¨l) lett. “sono stato [in quel momento]
arrivato” (e quindi ero lì);
– futuro anteriore: pri{|l) b\d\ “sarò arrivato” (quando qualcosa si
verificherà io sarò arrivato e dunque in quel momento sarò lì).
Il piuccheperfetto si può formare con l’imperfetto o con il perfetto
dell’ausiliare b¨ti ed esprime anteriorità nel passato. In russo assume una
sfumatura semantica di ‘azione mancata’, esprime cioè non la mera anteriorità
di una azione rispetto all’altra, ma la mancata realizzazione di un’azione
‘sconfessata’ da quella successiva (in russo я пошла было туда “stavo
andandoci [ma non ci sono andata]”; я хотел было “avrei voluto”). Alcuni
studiosi (Chaburgaev) ritengono che questa sfumatura fosse propria già del
piuccheperfetto paleoslavo: ideje b: lejalo t:lo isousovo (“o{pou e[keito
to; sw`ma tou` jIhsou`”,”ubi positum fuerat corpus Iesu”, Giovanni 20:12)
significa che nel sepolcro il corpo non c’è più.
Il futuro anteriore assume in russo una sfumatura ipotetica, che si realizza
nella semantica della preposizione, oggi desueta, буде = ‘se’: аще ся где буду
описалъ, или переписалъ или дописалъ, чтите исправливая “e se in
qualche punto ho sbagliato a scrivere, ho scritto due volte la stessa cosa, ho
aggiunto sillabe, nel leggere correggete”.
194
Il paleoslavo
25. Il modo condizionale
Si definisce tradizionalmente ‘modo condizionale’ (uslovnoe naklonenie)
una costruzione perifrastica formata dal participio perfetto e dall’ausiliare
essere coniugato in un modo particolare, che potrebbe risalire all’antico
ottativo i.e.:
1ª
2ª
3ª
bim|
bi
bi
Sg
bim)
biste
b\
Pl
Queste forme, che forse avevano diffusione regionale, tendono ben presto a
confondersi con quelle dell’aoristo, soprattutto nei codici paleoslavi più tardi e
poi in quelli di provenienza slava orientale. Diversamente dal modo
condizionale italiano, che esprime solo la conseguenza di premesse date (“io
sarei, o sarei stato … se …”) questa costruzione perifrastica conserva una forte
sfumatura ottativa, che la colloca all’incrocio di condizionale e congiuntivo:
aæ) v)æ(l) bim| “io prenderei” o “io avrei preso”; a}e bi raæoum:l) t¨
“se tu capissi”; a}e ¢e bi b¨l) s| æ)lod:i. ¢e bim) pr:dali &go teb:
(“eij mh; h\n [eij + imperfetto indicativo: irrealtà nel presente] ou|to" kako;n
poiw`n, oujk a[n soi paredwvkamen aujtovn”, “si non esset hic malefactor, non
tibi tradidissemus eum”, Giovanni 18:30).
26. Il modo imperativo
Il modo imperativo del paleoslavo discende dall’ottativo indoeuropeo. Si
forma dal tema del presente con le desinenze secondarie (le stesse dell’aoristo
e dell’imperfetto). I verbi tematici formano l’imperativo aggiungendo alla
vocale tematica del presente il suffisso *ı-, antico formante del modo ottativo.
La vocale tematica è -o- per i verbi della I coniugazione, -i- per i verbi della II.
I verbi atematici formano l’imperativo aggiungendo alla radice il suffisso *jß
per la 2ª e la 3ª persona sg, il suffisso *ı- per tutte le altre persone.
L’unico verbo a conservare intatta la flessione è b¨ti , che forma
l’imperativo dalla radice *bo˛d-:
195
Morfologia
1ª
2ª
3ª
b\d:m|
b\di
b\di
Sg
b\d:v:
b\d:ta
b\d:te
Du
b\d:m)
b\d:te
b\d\
Pl
Le uniche forme ben attestate nei codici sono tuttavia la 2ª sg, du e pl: la 1ª
persona sg e la 3ª pl sono sempre sostituite da costrutti esortativi formati con la
preposizione da + presente indicativo: da ¢es\ “che io porti”, da ¢es\t)
“che portino” (anche nel caso di b¨ti la costruzione abituale della 3ª pl è da
b\d\t) ); la 3ª sg e la 1ª duale e plurale sono attestate, ma possono essere
sostituite anch’esse da costrutti esortativi del tipo da ¢eset) “che lui porti”.
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
nesti
—
nes-o-i-s
nes-o-i-t
nes-o-i-vě
nes-o-i-ta
(nes-o-i-te)
nes-o-i-m∞
nes-o-i-te
—
pěti
—
poi-o-i-s
poi-o-i-t
poi-o-i-vě
poi-o-i-ta
(poi-o-i-te)
poi-o-i-m∞
poi-o-i-te
—
znati
—
zna-jo-i-s
zna-jo-i-t
zna-jo-i-vě
zna-jo-i-ta
(zna-jo-i-te)
zna-jo-i-m∞
zna-jo-i-te
—
dvigno˛ti
—
dvig-no-i-s
dvig-no-i-t
dvig-no-i-vě
dvig-no-i-ta
(dvig-no-i-te)
dvig-no-i-m∞
dvig-no-i-te
—
nositi
—
nos-i-i-s
nosi-i-t
nosi-i-vě
nosi-i-ta
(nosi-i-te)
nosi-i-m∞
nosi-i-te
—
dati
—
dad-jß-s
dad-jß-t
dad-i-vě
dad-i-ta
(dad-i-te)
dad-i-m∞
dad-i-te
Il dittongo *oi‡, nato dall’unione tra vocale tematica -o- dei verbi della I
coniugazione in e/o e ne/no e suffisso *ı- dell’antico ottativo, si monottonga
diversamente al singolare da un lato, al plurale e duale dall’altro (v. p. 90).
Nella coniugazione del singolare *oi‡ > i; nella coniugazione del plurale e del
duale *oi‡ > ě:
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
¢esti
p:ti
æ¢ati
dvig¢\ti
¢ositi
dati
¢esi
¢esi
¢es:v:
¢es:ta
¢es:te
¢es:m)
¢es:te
poi
poi
poiv:
poita
poite
poim)
poite
æ¢ai
æ¢ai
æ¢aiv:
æ¢aita
æ¢aite
æ¢aim)
æ¢aite
dvig¢i
dvig¢i
dvig¢:v:
dvig¢:ta
dvig¢:te
dvig¢:m)
dvig¢:te
¢osi
¢osi
¢osiv:
¢osita
¢osite
¢osim)
¢osite
dajd|
dajd|
dadiv:
dadita
dadite
dadim)
dadite
196
Il paleoslavo
3ª
Il verbo im:ti si comporta come i verbi tematici del tipo oum:ti (IIIa2):
im:i , im:ite . Al contrario, il verbo vid:ti forma la 2ª e la 3ª persona sg
con il suffisso *jß, le altre persone con il suffisso *ı-, comportandosi come i
verbi atematici qsti (*jad-jß-s > qjd| , *jad-i-te > qdite ), dati (*dad-jß-s
> dajd| , *dad-i-te > dadite ), v:d:ti (*vĕd-jß-s > v:jd| , *vĕd-i-te >
v:dite ): *vid-jß-s > vijd| , *vid-i-te > vidite .
27. Infinito e supino
Come si è detto, infinito e supino sono nomi sostantivi. L’infinito si forma
per mezzo dei suffissi tematici *ø, *a- , *no˛ , *e- , *ı-. La radice può presentare un
grado apofonico diverso da quello del tema del presente. La terminazione -ti
rimanda forse a un antico dativo sg (temi in *ı̆).
Anche il supino era anticamente un nome. La sua struttura è identica a
quella dell’infinito, ma la terminazione è -t) , probabilmente un antico
accusativo (temi in *ŭ). È usato in paleoslavo dopo i verbi di moto per indicare
lo scopo dell’azione: i id:ah\ v|si k)j|do ¢ap|sat) s( v) svoi grad)
(“kai; ejporeuvonto pavnte" ajpogravfesqai, e{kasto" eij" th;n eJautou`
povlin”, “et ibant omnes ut profiterentur singuli in suam civitatem”, Luca 2:3);
in quanto sostantivo regge il genitivo del complemento oggetto: s\pr\g)
volov|¢¨ih) koupih) p(t). i gr(d\ iskousit) ih) (“zeuvgh bow`n
hjgovrasa pevnte, kai; poreuvomai dokimavsai aujtav”, “iuga boum emi
quinque et eo probare illa”, Luca 14:19).
28. Infinito sostantivato e sostantivo verbale
All’infinito sostantivato dell’italiano (“tra il dire e il fare c’è di mezzo il
mare”) corrispondono in paleoslavo due costruzioni. La prima, un vero e
proprio infinito sostantivato, dimostra con la presenza di &je (v. p. 149 e p.
248) in veste di articolo determinativo la propria dipendenza dal greco: a &je
s:sti o des¢\+ i o {ou+ me¢e ¢:st) m|¢: sego dati (“to; de; kaqivsai
ejk dexiw`n mou h[ ejx eujwnuvmwn oujk e[stin ejmo;n tou`to dou`nai”, “sedere
Morfologia
197
autem ad dexteram meam vel sinistram non est meum dare”, Matteo 20:23). La
seconda consiste invece in un sostantivo deverbale neutro derivato dal tema del
participio passato passivo di verbi transitivi e intransitivi per mezzo del
suffisso -ß•j-: vid:ti ‘vedere’, vid:¢) ‘visto’, vid:¢ie ‘il vedere’; b¨ti
‘essere’, b¨tie ‘l’essere’.
Dai verbi che hanno una doppia forma di participio passato passivo possono
derivare due diversi sostantivi verbali: æab¨ti ‘dimenticare’, æab¨t) e
æab)ve¢) ‘dimenticato’, æab¨tie e æab)ve¢ie ‘smarrimento, oblio, stupore’.
Questo tipo di sostantivi verbali tende a accentuare la propria natura nominale
a scapito di quella verbale: æ¢ati ‘conoscere’, æ¢a¢) ‘conosciuto’, æ¢a¢ie
‘conoscenza’.
Sintassi*
1. Il paleoslavo e il greco
La sintassi del paleoslavo non presenta particolari difficoltà per un parlante
italiano che abbia qualche dimestichezza con il greco classico, o almeno con le
strutture del latino classico e cristiano e dell’italiano colto. Modellata su quella
greca, la lingua paleoslava ne riproduce da vicino la struttura, l’ordine delle
parole, la punteggiatura. Difficoltà possono nascere semmai con testi slavi per
i quali non esistano o non siano noti paralleli greci: prendiamo una frase come
æ atvori o ¢em| dv|ri loj< ego (Eucologio sinaitico 36a,5-6), tradotta da
Frček “ferme sur lui la porte de son gite”. Siamo nella parte finale di una
preghiera per scacciare i dolori dalle gambe, il Signore è supplicato di fermare
il male, di “inchiodargli il cuore”, di condannarlo, di proibirgli l’accesso alle
carni del sofferente, infine di chiuderlo fuori dal giaciglio del malato perché
non ritorni. Ma chiudere come? La preposizione o ha come significato
primario quello di “intorno a” (luogo e argomento). L’uso però ce ne mostra
l’allargamento a significati diversi: relazione (“in relazione a”), rapporto (“a
* Tutti gli esempi di questo capitolo sono tratti da codici del canone, anche se l’indicazione
relativa è omessa nel caso di passi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Data la finalità
didattica, questi ultimi sono trascritti in forma normalizzata e accompagnati dalla traduzione
greca e latina (da Novum Testamentum graece et latine. Apparatu critico instructum edidit
Augustinus Merk S. J., editio undecima, Romae 1992). I rimanenti esempi, tratti dai codici
Cloziano e Suprasliense, dal Salterio sinaitico, dal Libro di Savva e dall’Apostolo di Enino,
rispecchiano invece la grafia del codice, e sono accompagnati dal testo parallelo greco, laddove
ne esista uno, e da una traduzione italiana di servizio. Le edizioni utilizzate per il Salterio sono:
Septuaginta. Id est Vetus Testamentum graece iuxta LXX interpretes. Edidit Alfred Rahlfs, vol.
II: Libri poetici et prophetici, Stuttgart 1935; Nova Vulgata Bibliorum Sacrorum editio, Roma
1986. Quando la numerazione dei versetti del Salterio sinaitico non coincide con quella
dell’edizione di Rahlfs è quella slava a essere indicata.
200
Il paleoslavo
favore” e “contro”), fine, scopo, causa, mezzo, strumento, misura (v. p. 219).
La nostra frase può quindi significare “chiudi per lui” nel senso di “sia chiusa
per ciò che lo riguarda”, oppure “chiudigli contro”, quasi “sbattigli in faccia”,
o addirittura “rinchiudilo”: “la porta si richiuda su di lui e lo imprigioni”. Lo
Staroslavjanskij Slovar’1 ci offre un’ulteriore interpretazione: all’interno del
significato fondamentale di “relazione” si individua un sottotipo così definito:
“ , -. ”.
Non è facile dire quanto l’aderenza ai modelli greci abbia significato una
forzatura degli abiti linguistici slavi, né quali fossero questi abiti; i modi di
esprimere alcuni concetti dovevano avere carattere quasi sperimentale: si
confronti la reggenza della preposizione p r:d) in due contesti identici: ¢ e ?
pr:d) v)ædvig) kr–– s ta (“la domenica prima [della festa] dell’Esaltazione
della croce”, p r:d) + accusativo: Apostolo di Enino 30a,2-3); v ) s\ ? . pr:d)
v)ædvigom) krs–– t a (“sabato, prima [della festa] dell’Esaltazione della croce”,
p r:d) + strumentale, Libro di Savva 127a,5). La storia ulteriore dello slavo
ecclesiastico è fatta del ciclico rigetto e reimmissione di grecismi, accusati di
estraneità o viceversa invocati a testimonianza della struttura primigenia della
lingua slava, “naturalmente” consustanziale con quella greca. In ogni caso, la
fedeltà al greco conosce da subito alcune significative eccezioni, tra cui la
preferenza accordata al dativo rispetto al genitivo, l’uso dell’aggettivo
possessivo invece del genitivo di specificazione, l’uso del possessivo s voi
riferito al soggetto al posto di m oi , t voi , la concordanza del pronome relativo
nelle proposizioni relative.
2. La sintassi della proposizione: il soggetto
La proposizione paleoslava è formata di soggetto, predicato e
complemento. Come in italiano, il soggetto può essere rappresentato da
qualsiasi parte del discorso, variabile o invariabile, o da un sintagma, generalmente al caso nominativo (più raramente al caso dativo). Il sintagma può
1 Staroslavjanskij slovar’ (po rukopisjam X-XI vekov), pod redakciej R. M. Cejtlin, R.
Veerki i E. Blagovoj, Moskva 1994.
Sintassi
201
essere costituito da soggetto e attributo o da soggetto e apposizione. L’infinito
sostantivato può essere accompagnato dal pronome & je con funzione di
articolo. Lo stesso pronome accompagna, con la stessa funzione, parti
invariabili del discorso quali congiunzioni o interiezioni:
a) il soggetto è un sostantivo: p ride je¢a im\}
} i alavastr) hriæm¨
¢ard|¢¨ pistiki` drag¨ (“h\lqen gunh; e[cousa ajlavbastron muvrou
navrdou pistikh`" polutelou`"”, “venit mulier habens alabastrum unguenti
nardi spicati pretiosi”, Marco 14:3);
b) il soggetto è un pronome: i t) vama pokajet) gor|¢ic\ v eli+
(“kajkei`no" uJmi`n deivxei ajnavgaion mevga”, “et ipse ostendet vobis
caenaculum magnum”, Luca 22:12);
c) il soggetto è un aggettivo sostantivato: r e~e beæoume¢) v) srd– c "
svoem) ¢:st) ba–– (“ei\\pen a]frwn ejn kardiva/ aujtou`, oujk e]stin qeov"”,
“dixit insipiens in corde suo: «Non est Deus»”, Salmo 52(53):1);
d) il soggetto è un infinito sostantivato: m ¢: bo &je jiti h–– s . i &je
o umr:ti priobr:t:l| (Suprasliense 166,7; cfr. Filippesi 1:21: “ejmoi; ga;r
to; zh`n Cristo;" kai; to; ajpoqanei`n kevrdo"”, “mihi enim vivere Christus
est et mori lucrum”);
e) il soggetto è un numerale: v )ævrati{( je s( sedm| des(t) s)
radosti+ (“uJpevstreyan de; oiJ eJbdomhvkonta meta; cara`"”, “reversi sunt
autem septuaginta duo cum gaudio”, Luca 10:17);
f) il soggetto è un participio: s e pribliji s( pr:da`i m( (“ijdou;
h[ggiken oJ paradidouv" me”, “ecce appropinquavit qui me tradet”, Matteo
26:46);
g) il soggetto è un neutro plurale (pronome, aggettivo o participio)
sostantivato: v |sq t:m| b¨{( (“pavnta di aujtou` ejgevneto”, “omnia per
ipsum facta sunt”, Giovanni 1:3);
h) il soggetto è una particella invariabile: b \d
d i je slovo va{e. ei ei. i
¢i ¢i (“e[stw oJ lovgo" uJmw`n nai; naiv, ou] ou[”, “sit autem sermo vester: est,
est; non, non”, Matteo 5:37);
i) il soggetto è un sintagma: i i<da iskariot|sk¨i . & di¢) ot) obo<
¢a des(te . i de k) arhiereom) (“kai; jIouvda" jIskariwvq, oJ ei|" tw`n
202
Il paleoslavo
dwvdeka, ajph`lqen pro;" tou;" ajrcierei`"”, “et Iudas Iscariotes unus de
duodecim abiit ad summos sacerdotes”, Marco 14:10); s l¨{av) je irod)
c:sar| s)m\
\ ti s( (“ajkouvsa" de; oJ basileu;" JHrw/vdh" ejtaravcqh”,
“audiens autem Herodes rex turbatus est”, Matteo 2:3).
Il soggetto può essere sottointeso. Il pronome personale di 1ª e 2ª persona,
diversamente di quanto non avvenga in russo moderno, può essere omesso, se
non utilizzato con particolare enfasi.
3. Il predicato
Il predicato può essere verbale o nominale. Il predicato verbale può essere
espresso da qualunque verbo, concordato con il soggetto, o dal sintagma
verbale costituito da verbo ausiliare e verbo all’infinito. Il predicato nominale
è formato dal verbo essere e da una parte nominale, rappresentata da qualsiasi
parte declinabile del discorso, posta sempre al caso nominativo (e non
strumentale, come oggi in russo) e concordante per genere e numero con il
soggetto (per quanto riguarda predicati in casi diversi dal nominativo v. i
costrutti impliciti con il soggetto al caso accusativo e dativo alle pp. 235-236).
Casi particolari di concordanza si hanno con i nomi collettivi o con una
pluralità di soggetti.
Il sostantivo collettivo b ratiq (b ratriq ) concorda sempre con il verbo al
plurale. I sostantivi ¢ arod) , g rad) , d om) , m )¢oj|stvo , s )b|ra¢i& reggono
il verbo al singolare o più raramente al plurale:
a) il predicato precede o segue immediatamente il soggetto, con cui
concorda al singolare (concordanza grammaticale): i se v|s| grad) iæide
protiv\
\ isousovi (“kai; ijdou; pa`sa hJ povli" ejxh`lqen eij" uJpavnthsin tw`/
jIhsou`”, “ecce tota civitas exiit obviam Iesu”, Matteo 8:34);
b) il predicato è separato dal soggetto, con cui concorda al plurale
(concordanza logica): ¢ ) ¢arod) s|. ije ¢e v:st) æako¢a. prokl(ti s\tt )
(“ajlla; oJ o[clo" ou|to" oJ mh; ginwvskwn to;n novmon ejpavratoiv eijsin”,
“sed turba haec, quae non novit legem, maledicti sunt”, Giovanni 7:49);
c) il predicato precede o segue immediatamente il soggetto, costituito da un
sintagma in cui è presente anche un sostantivo plurale. La concordanza può
Sintassi
203
essere al singolare o al plurale: i v)stav){e v|se m)¢oj|stvo ih). v:s( i
k ) pilatou (“kai; ajnasta;n a{pan to; plh`qo" aujtw`n h[gagon aujto;n ejpi;
to;n Pila`ton”, “et surgens omnis multitudo eorum duxerunt illum ad
Pilatum”, Luca 23:1); v |se m)¢oj|stvo l<dii b:. molitv\ d :` (“kai;
pa`n to; plh`qo" h\n tou` laou` proseucovmenon”, “et omnis multitudo populi
erat orans”, Luca 1:10).
In presenza di più soggetti il predicato può concordare al singolare con il
soggetto più vicino, oppure al plurale, soprattutto se i soggetti sono diversi per
genere grammaticale:
a) il predicato precede il primo soggetto con cui concorda al singolare:
æ )va¢) je b¨st) isous) i ou~e¢ici &go ¢a brak) (“ejklhvqh de; kai; oJ
jIhsou`" kai; oiJ maqhtai; aujtou` eij" to;n gavmon”, “vocatus est autem et
Iesus et discipuli eius ad nuptias”, Giovanni 2:2);
b) il predicato si colloca tra il primo soggetto, con cui concorda al
singolare, e i soggetti seguenti: d a i s:`i v) koup: radou&t) s( i j|¢`i
(“ i{na oJ speivrwn oJmou` caivrh/ kai; oJ qerivzwn”, “ut et qui seminat simul
gaudeat et qui metit”, Giovanni 4:36);
c) il predicato, concordato al singolare, si riferisce separatamente a ognuno
dei soggetti compresi nell’elenco: a }e li r\kk a tvoq. li ¢oga tvoq.
s)blaj¢q&t) t( (“eij de; hJ ceivr sou h] oJ pouv" sou skandalivzei se”,
“si autem manus tua vel pes tuus scandalizat te”, Matteo 18:8);
d) il predicato si riferisce a più nomi inanimati; la concordanza può essere
al singolare come al plurale: i v:tr) i mor& poslou{a+t) i (“kai; oJ
a[nemo" kai; hJ qavlassa uJpakouvei aujtw`/”, “et ventus et mare oboediunt ei”,
Marco 4:41); ¢ ebo i æemlq mimo idet) (“oJ oujrano;" kai; hJ gh`
pareleuvsetai”, “caelum et terram transibunt”, Matteo 24:35);
e) il predicato concorda al duale o al plurale quando i nomi sono animati: i
pr:d) ¢im| idete iqkov) i ioa¢¢) (“kai; prosporeuvontai aujtw`/
jIavkwbo" kai; jIwavnnh"”, “et accedunt ad eum Iacobus et Iohannes”, Marco
10:35);
f) quando i soggetti si collocano tra un participio e un verbo di modo finito
la concordanza diverge: il participio si concorda al singolare e il verbo al
204
Il paleoslavo
plurale, o più raramente, viceversa: i b: ot|c| i mati &go ~oud(}a s(
(“kai; h\n oJ path;r aujtou` kai; hJ mhvthr qaumavzonte"”, “et erat pater eius
et mater mirantes”, Luca 2:33);
g) se il predicato è costituito da un verbo reciproco la concordanza è al
duale, o al plurale: m "lost| i r:s¢ota s)r:tete s`. prav)da i m"r)
obob)æaste s` (“e]leo" kai; ajlhvqeia sunhvnthsan, dikaiosuvnh kai; eijrhvnh
katefivlhsan”, “misericordia et veritas obviaverunt sibi, iustitia et pax
osculatae sunt”, Salmo 84(85):11-12).
In paleoslavo, come in russo moderno e parzialmente in italiano, è
possibile l’omissione del verbo essere, sia quando è predicato verbale, sia
quando è copula di un predicato nominale:
a) quando l’avvenimento narrato è introdotto dalla particella s e , i se
(“ecco”, “ed ecco”): s e glas) s) ¢ebes) glagol` (“kai; ijdou; fwnh; ejk tw`n
oujranw`n levgousa”, “et ecce vox de caelis dicens”, Matteo 3:17); i se vam)
æ¢ame¢i& (“kai; tou`to uJmi`n shmei`on”, “et hoc vobis signum”, Luca 2:12);
b) in alcune ottative: m ir) vam) (“eijrhvnh uJmi`n”, “Pax vobis”, Giovanni
20:19); g ospod| s) tobo+ (“oJ Kuvrio" meta; sou`”, “Dominus tecum”, Luca
1:28);
c) con sostantivi quali i m( , g or& , v rem( , p otr:ba , p ol|™a e simili: i m(
&mou ioa¢¢) (“o[noma aujtw`/ jIwavnnh"”, “cui nomen erat Iohannes”,
Giovanni 1:6); k aq bo pol|æa r|ci mi (“tiv ga;r o[felo", eijpev moi”,
“quale è il vantaggio, dimmi”, Suprasliense 494,19).
4. I complementi
I complementi indicano le circostanze e le modalità dell’avvenimento
narrato: possono riferirsi sia al soggetto che al predicato, e sono espressi dai
casi semplici o accompagnati da preposizioni semplici o improprie2.
2 Le preposizioni improprie (avverbiali) sono in genere sintagmi nominali: per esempio
v )m:sto + genitivo (“al posto di”) è formato dalla preposizione v ) + A di m :sto
(complemento di stato in luogo: “al posto”) + genitivo di specificazione: “al posto di che cosa?”;
parimenti p osr:d: + genitivo (“nel mezzo di”) è formato dalla preposizione p o + L di s r:da
+ G di specificazione.
Sintassi
205
L’utilizzo di casi semplici (non accompagnati da preposizioni) è molto più
comune di quanto non lo sia nelle lingue slave moderne. In paleoslavo tutti i
casi possono essere utilizzati senza preposizione, con valori che non si
discostano da quelli che conosciamo: l’accusativo semplice ha valore specifico
di complemento oggetto, ma può essere complemento di tempo continuato; il
genitivo semplice ha valore specifico di complemento di specificazione e di
genitivo partitivo, ma può essere complemento oggetto (nelle frasi negative, o
quando l’oggetto sia animato), e può esprimere un complemento di tempo
determinato; il dativo semplice indica il termine, la destinazione di un’azione;
lo strumentale la modalità e lo strumento con cui si compie l’azione o, come
complemento di tempo, la durata e la ripetitività; il locativo ne indica luogo e
momento esatto. Sono possibili però costrutti e reggenze differenti da quelli
moderni.
Mutuato dal greco e molto diffuso in paleoslavo è il cosiddetto doppio
accusativo: una sorta di predicato del complemento oggetto del tipo ~ |to m(
glagol&{i blagg a÷ (“tiv me levgei" ajgaqovn…”, “quid me dicis bonum?”,
Marco 10:18). Reggono il secondo accusativo verbi di percezione, verba
dicendi e verbi che indicano la manipolazione dell’oggetto (per esempio
“rendere lucido”, oppure “lasciare sporco”): i mimo id¨ isous) vid:
~ lov:ka sl:pa ot) rojd|stva (“kai; paravgwn ei\den a[nqrwpon tuflo;n
ejk geneth`"”, “et praeteriens Iesus vidit hominem caecum a nativitate”,
Giovanni 9:1); v ¨ je r:h) droug¨ (“uJma`" de; ei[rhka fivlou"”, “vos autem
dixi amicos”, Giovanni 15:15); v ¨ je s)tvoriste i vr|t)p) raæboi¢ikom)
(“uJmei`" de; aujto;n poiei`te sphvlaion lh/stw`n”, “vos autem fecistis illam
speluncam latronum”, Matteo 21:13).
Quando la frase è negativa il doppio accusativo si trasforma in doppio
genitivo: ¢ e tvorite domou ot|ca mo&go domou koupl|¢a&go (“mh;
poiei`te to;n oi\kon tou` patrov" mou oi\kon ejmporivou”, “nolite facere
domum Patris mei domum negotiationis”, Giovanni 2:16).
Quando tra il complemento oggetto e il suo predicato si trovi l’infinito del
verbo essere, o quando il predicato sia un participio, il doppio accusativo
costruisce una proposizione dichiarativa implicita (v. accusativo con l’infinito
206
Il paleoslavo
e participio congiunto alle p. 235 e 237): k ogo m( glagol+t) ~lov:ci
b¨ti÷ (“tivna me levgousin oiJ a[nqrwpoi ei\nai…”, “quem me dicunt esse
homines?”, Marco 8:27); o ¢i je vid:v){e i po mor< hod(}| (“oiJ de;
ijdovnte" aujto;n ejpi; th`" qalavssh" peripatou`nta”, “at illi ut viderunt eum
ambulantem supra mare”, Marco 6:49).
Il dativo è uno dei casi più utilizzati in paleoslavo. Oltre alla funzione
specifica di complemento di termine, esso può esprimere sia il possesso
(dativo di possesso), sia la relazione soggettiva tra un avvenimento e una
persona, di cui si sottolinea il coinvolgimento (dativo etico, dativo di
vantaggio, dativo di relazione: cfr. il costrutto esortativo dell’italiano
meridionale “mangia a mamma”, o l’italiano standard “mangiarsi una mela”):
i m( &mou ioa¢¢) (“o[noma aujtw`/ jIwavnnh"”, “cui nomen erat Iohannes”,
Giovanni 1:6); ~ |to &st) m|¢: i teb: isouse (“tiv ejmoi; kai; soiv, jIhsou`”,
“quid mihi et tibi est, Iesu”, Luca 8:28); ~ |to &st) m|¢: i teb: je¢o÷ (“tiv
ejmoi; kai; soiv, guvnai…”, “quid mihi et tibi est, mulier?”, Giovanni 2:4)÷ ¢) ¢e
b\
\ det) pol|æ
æ Á t voim) koumirem). a{te tou pridem) (“all ouj
sumfevrei sou toi`" eijdwvloi" i{na ejkei` e[lqwmen”, “non porterà giovamento
ai tuoi idoli se andiamo là”, Suprasliense 131,6-7).
A queste accezioni, tutte riconducibili al greco, si assomma quella di dativo
di specificazione che, come le costruzioni dette dativo assoluto (v. p. 246) e
dativo con l’infinito (v. p. 236) testimonia della preferenza accordata dal
paleoslavo al dativo rispetto al genitivo e dunque costituisce un raro esempio
di autonomia dai modelli greci: s e pribliji s( godi¢a. i s¨¢)
~ lov:~|sk¨i pr:da&t) s( v) r\kk ¨ gr:{|¢ikom) (“ijdou; h[ggiken hJ w{ra,
kai; oJ uiJo;" tou` ajnqrwvpou paradivdotai eij" cei`ra" aJmartwlw`n”, “ecce
appropinquavit hora, et Filius hominis tradetur in manus peccatorum”, Matteo
26:45); æ atvori … d v|ri loj< ego (“chiudi … le porte della stanza”,
Eucologio sinaitico 36a,5-6). Il confine tra le diverse potenzialità semantiche
non è sempre netto: così la frase ~ lov:kou eterou bogatou. ougob|æi s(
¢i va (“ajnqrwvpou tino;" plousivou eujfovrhsen hJ cwvra”, “hominis cuiusdam
divitis uberes fructus ager attulit”, Luca 12:16), che traduciamo “la campagna
di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto” (quindi dativo di possesso o di
Sintassi
207
specificazione), esprime nel contempo una relazione, un vantaggio: “a un
uomo ricco la campagna aveva dato un buon raccolto”. Verosimilmente,
proprio la possibilità di esprimere molteplici significati è causa della fortuna
del dativo. Quando il sostantivo al caso dativo sia retto da un verbo all’infinito
si ha una proposizione dichiarativa implicita del tipo m |¢: podoba&t)
d:lati d:la pos)lav){a&go m( (“hJma`" dei` ejrgavzesqai ta; e[rga tou`
pevmyantov" me”, “me oportet operari opera eius, qui misit me”, Giovanni
9:4), detta dativo con l’infinito, che equivale all’accusativo con l’infinito del
greco (v. p. 236).
Accanto a questi costrutti occorre menzionare, quali caratteristiche del
d iti , b ra¢iti ,
paleoslavo, alcune reggenze. Per esempio, i verbi s \d
p o¢ositi , ¢ asiliti , s miqti s( , t |rp:ti , o dol:ti , h ot:ti reggono il
dativo: ¢ e s\d
d ite da ¢e s\d
d (t) vam) (“kai; mh; krivnete, kai; ouj mh;
kriqh`te”, “nolite iudicare, et non iudicabimini”, Luca 6:37).
Il complemento oggetto è espresso solitamente dal caso accusativo nelle
} iih)
frasi positive, dal caso genitivo nelle frasi negative: i se &di¢) ot) s\}
s) isousom|. prost|r) r\
\ k\
\ iævl:~e ¢oj| svoi (“kai; ijdou; ei|" tw`n
meta; jIhsou` ejkteivna" th;n cei`ra ajpevspasen th;n mavcairan aujtou`”, “et
ecce unus ex his, qui erant cum Iesu, extendens manum exemit gladium
suum”, Matteo 26:51); ~ |to je vidi{i s\~~ |c| ije &st) v) oc: bratra
tvo&go . a br|v|¢a &je &st) v) oc: tvo&m| ¢e ~ou&{i÷ (“tiv de; blevpei"
to; kavrfo" to; ejn tw`/ ojfqalmw`/ tou` ajdelfou` sou, th;n de; ejn tw`/ sw`/
ojfqalmw`/ doko;n ouj katanoei`"…”, “quid autem vides festucam in oculo fratris
tui, et trabem in oculo tuo non vides?”, Matteo 7:3); ¢ :si oubo dostoi¢‘¢)
sl¨{ati tai¢) bj–– i "! (“oujk ei\ a[xio" ajkou`sai to; musthvrion tou` qeou`”`,
“non sei infatti degno di conoscere i misteri divini”, Suprasliense 8,20-21).
Non si tratta però di una regola che non conosca eccezioni, soprattutto al
plurale: cfr. nel Libro di Savva ¢ e dadite sv(}e¢iq p|som) (“mh; dw`te to;
a{gion toi`" kusi;n”, “nolite dare sanctum canibus”, Matteo 7:6). Con lo
svilupparsi della categoria di animatezza il caso accusativo è progressivamente
sostituito dal genitivo dei nomi maschili (propri o comuni) indicanti esseri
umani, soprattutto al singolare: i oudar| raba arhi&reova. our:æa &mou
208
Il paleoslavo
ouho (“kai; patavxa" to;n dou`lon tou` ajrcierevw" ajfei`len aujtou` to;
wjtivon”, “et percutiens servum principis sacerdotum amputavit auriculam eius”,
Matteo 26:51).
Il complemento oggetto può essere espresso dal caso genitivo con valore
partitivo (“assaggiare del vino”, “chiedere del pane”, “avere bisogno di
testimoni”, “dare da bere dell’aceto”) in frasi del tipo q ko je v)kousi
arhitrikli¢) vi¢a b¨v){ago ot) vod¨ (“wJ" de; ejgeuvsato oJ
ajrcitrivklino" to; u{dwr oi\non gegenhmevnon”, “ut autem gustavit
architriclinius aquam vinum factam”, Giovanni 2:9), k otora&go je ot) vas)
ot|ca v)prosit) s¨¢) hl:ba (“tivna de' ejx uJmw`n patevra aijthvsei oJ
uiJo;" a[rton”, “quis autem ex vobis patrem petit panem”, Luca 11:11) ~ |to
&}e t r:bouem) s)v:d:tel| ÷ (“tiv e[ti creivan e[comen martuvrwn…”, “quid
adhuc egemus testibus?, Matteo 26:65); v | j Á jd\
\ mo+ ¢apoi{ Á m Á oc|ta
(“nella sete [quando ho avuto sete] mi hanno dato da bere aceto”, Suprasliense
478,19-20; cfr. Salmo 68(69):22 “kai; eij" th;n divyan mou ejpovtisavn me
o[xo"”, “in siti mea potaverunt me aceto”). Il partitivo ha in paleoslavo un
utilizzo più ampio di quanto lo abbia oggi in russo: così la frase s )motrite
kri¢) sel|¢¨h) (“katamavqete ta; krivna tou` ajgrou`”, “considerate lilia
agri”, Matteo 6:28), che potremmo interpretare nel senso che non occorre
guardare la totalità dei gigli, ma basta guardarne una parte, è tradotta oggi in
russo .
L’uso del genitivo può essere motivato dalla semantica dell’allontanamento
(o t) + G) in frasi del tipo p riimi raba tvoego sego. ot)meta+}aago s(
vs :h) sih) (“accogli il tuo servo, questo qui, che si ritrae da tutte queste
cose”, Eucologio sinaitico 80b,8-9).
Inoltre, reggono il genitivo verbi che esprimono dolore e timore:
t repetati , p lakati e simili: i ¢e ot)me{t\
\ s Á sv Á taago d ouha. ¢)
trepe{t\
\ &go kr:posti (“kai; oujk ajrnou`mai to;n a{gion Pneu`ma: ajlla;
trevmw aujtou` th;n ijscu;n”, “e non rifiuto lo Spirito Santo, ma temo la sua
forza”, Suprasliense 115,17-18); r ¨daah\ j e v|si i plakaah\ & `
(“e[klaion de; pavnte" kai; ejkovptonto aujth;n”, “flebant autem omnes et
plangebant illam”, Luca 8:52).
Sintassi
209
Quando il complemento oggetto è retto da un sostantivo deverbale (del tipo
“la distruzione di Cartagine”, che equivale a “il distruggere Cartagine”) in
paleoslavo, come in italiano, l’oggetto dell’azione è espresso dal caso
genitivo: æ a oum)¢oje¢i& beæako¢iq (“dia; to; plhqunqh`nai th;n
ajnomivan”, “quoniam abundavit iniquitas”, Matteo 24:12).
Il complemento di agente e, più raramente, il complemento di causa
efficiente si esprimono con il caso genitivo retto dalla preposizione o t) :
k r|}aah\ s ( … o t) ¢&go (“ejbaptivzonto … uJp aujtou`”, “baptizabantur ab
eo”, Matteo 3:6); o upi+t)s` ot)ob"l": domou tvoego (“mequsqhvsontai
ajpo; piovthto" tou` oi]kou sou”, “inebriabuntur ab ubertate domus tuae”,
Salmo 35(36):9); k ol:ba{e s Á ak¨ ovo{te æ¨blle mo ot) m¢oga v:tra
(“ondeggiava come un frutto scosso da un forte vento”, Suprasliense 570,910). Parimenti utilizzato è il caso strumentale: il complemento di agente e di
causa efficiente coincide così con quello di mezzo e strumento: p r:da¢i je
b\
\ dete roditelli i bratri&+ i rodom| i droug¨
¨ (“paradoqhvsesqe de;
kai; uJpo; gonevwn kai; ajdelfw`n kai; suggenw`n kai; fivlwn”, “trademini
autem a parentibus et fratribus et cognatis et amicis”, Luca 21:16).
Il complemento di specificazione, che può riferirsi tanto al soggetto quanto
ai complementi, si esprime in paleoslavo sia con il caso genitivo sia con il caso
dativo: p ride gospodi¢) rab) t:h) (“e[rcetai oJ kuvrio" tw`n douvlwn
ejkeivnwn”, “venit dominus servorum illorum”, Matteo 25:19); a rhierei je i
k)¢ij|¢ici iskaah\
\ &go pogoubiti. i star:i{ii ¢¨ l<d|m) (“oiJ de;
ajrcierei`" kai; oiJ grammatei`" ejzhvtoun aujto;n ajpolevsai kai; oiJ prw`toi
tou` laou`”, “principes autem sacerdotum et scribae et principes plebis
quaerebant illum perdere”, Luca 19:47); i s¨¢) ~lov:~|sk¨i pr:da&t) s(
v) r\
\ k¨ gr:{|¢¢ ikom) (“oJ uiJo;" tou` ajnqrwvpou paradivdotai eij" cei`ra"
aJmartwlw`n”, “Filius hominis tradetur in manus peccatorum”, Matteo 26:45).
L’uso del dativo, che caratterizza il paleoslavo e poi lo slavo ecclesiastico sino
a tutto il XVII secolo, verrà abbandonato soltanto all’epoca delle riforme
nikoniane, in nome di una maggiore aderenza ai modelli sintattici greci: la
formula v ) v:k¨ v:kom) si trasforma allora nell’attuale v o v:ki v:kov)
(“eij" tou;" aijw`na" tw`n aijwvnwn”, “in saecula saeculorum”).
210
Il paleoslavo
I complementi di tempo (determinato e continuato), oltre che da avverbi di
tempo, possono essere espressi da ben cinque casi diversi:
a) il caso genitivo retto dalle preposizioni o t) e d o indica una porzione
delimitata di tempo (da quando, sino a quando, da quando a quando);
b) il caso accusativo determina il tempo in cui si svolge l’azione: semplice
esprime il complemento di tempo continuato: i s)pit) i v)sta&t) ¢o}| i
d|¢| (“kai; kaqeuvdh/ kai; ejgeivrhtai nuvkta kai; hJmevran”, “et dormiat, et
exsurgat nocte et die”, Marco 4:27; m il) mi &st) ¢arod) s|. qko ouje tri
d|¢i pris:d(t) m|¢:. i ¢e im\
\ t) ~eso qsti (“splagcnivzomai ejpi; to;n
o[clon, o{ti h[dh hJmevrai trei`" prosmevnousivn moi kai; oujk e[cousin tiv
favgwsin”, “misereor super turbam, quia ecce iam triduo sustinent me nec
habent quod manducent”, Marco 8:2). Retto dalle preposizioni indica tempo
determinato con valenza momentanea (v ) + A), tempo determinato con idea di
ripetizione (p o , ¢ a + A), tempo determinato con idea di approssimazione
(p od) + A);
c) il caso dativo retto dalla preposizione k ) indica un tempo delimitato da
un momento successivo (prima di quando);
d) il caso strumentale semplice esprime la durata e la ripetitività: i t¨ li
tr|mi d|¢|mi v)ædvig¢e{i +÷ (“kai; su; ejn trisi;n hJmevrai" ejgerei`"
aujto;n…”, “et tu in tribus diebus excitabis illud?”, Giovanni 2:20) significa che
l’opera di ricostruzione dura tre giorni; a ¢o}i+ oudvarqa{e s( ishod(
v) gor: (“ta;" de; nuvkta" ejxercovmeno" hujlivzeto eij" to; o[ro"”, “noctibus
vero exiens morabatur in monte”, Luca 21:37) significa che l’operazione si
svolge di notte e si ripete ogni notte (ogni primavera, ogni mattina, eccetera);
e) il caso locativo è estraneo all’opposizione duratività / momentaneità: può
essere retto dalle preposizioni v ) (quando, in quale arco di tempo: tempo
determinato con idea di durata: cfr. v ) d|¢| , nel giorno e v ) d|¢e , di giorno),
p o (tempo determinato: dopo quando).
I complementi di luogo (stato in luogo, moto a luogo, moto attraverso
luogo, moto entro luogo circoscritto, moto da luogo), oltre che da avverbi di
luogo, possono essere espressi da un gran numero di preposizioni, che reggono
in genere un solo caso, a volte due, raramente tre. Quando la preposizione
Sintassi
211
regge un unico caso, per esempio v r|hou + genitivo (spesso si tratta di
preposizioni improprie), la differenza tra stato in luogo e moto a luogo è solo
logica ma non formale: i concetti del ‘portare qualcosa sopra qualcosa’ e dello
‘stare sopra qualcosa’, in teoria due complementi differenti, si esprimono nello
stesso modo. Diverso è il caso delle preposizioni con due reggenze: in genere il
caso accusativo sottolinea la direzionalità, il movimento e la trasformazione da
un luogo o da uno stato in un altro luogo e in un altro stato, i casi locativo e
strumentale esprimono invece staticità. La preposizione p o con valore di luogo
regge tre casi: accusativo, dativo, locativo, conservando sempre il suo valore
distributivo e limitativo (una cosa succede in differenti punti di una superficie,
qua e là, a intervalli regolari).
5. Uso delle preposizioni3
Come si è detto, l’utilizzo di casi semplici era comune in paleoslavo. Tutti i
casi possono essere però utilizzati con preposizione, con valori che non si
discostano da quelli delle lingue slave moderne:
b eæ + genitivo
– esclusione: h rami¢\ … b eæ os¢ova¢iq (“oijkivan … cwri;" qemelivou”,
“domum … sine fundamento”, Luca 6:49)
b liæ) + genitivo
– luogo: b liæ) m:sta ideje qs( hl:b¨ (“ejggu;" tou` tovpou o{pou
e[fagon to;n a[rton”, “iuxta locum, ubi manducaverant panem”, Giovanni
6:23)
3 Non sono comprese in questo elenco accezioni attestate una sola volta o in passi dubbi.
Per esempio: v )æ + accusativo con valore di stato in luogo ricorrerebbe nell’Eucologio
sinaitico (48a,24-26): e goje petr) vid: m\~~ ima. sto` v)s koure¢i: (“lo vide Pietro
mentre lo torturavano, stando lui vicino al fuoco (lett.: fumo”), ma secondo Frek potrebbe
trattarsi di un guasto (congettura: v ) s)krou{e¢ii); p o + accusativo con valore di limitazione
ricorrerebbe anch’esso nell’Eucologio sinaitico (106b,20): s )v(æav){e i po r\c
c : i po
¢oæ: (“avendolo legato per le mani e per i piedi”), ma il passo, tratto da Matteo, è privo della
preposizione p o negli altri codici così come in greco.
212
Il paleoslavo
bliæ) + dativo
– luogo: w ba~e bliæ) bo`{t"m) s` ego s p¢¢ "e e go (“plh;n ejggu;" tw`n
foboumevnwn aujto;n to; swthvrion aujtou`”, “vere prope timentes eum salutare
ipsius”, Salmo 84(85):10)
v r|hou + genitivo
– luogo: p oloji{( vr|hou glav¨ &go vi¢\ ¢ ap|sa¢\ (“ejpevqhkan
ejpavnw th`" kefalh`" aujtou` th;n aijtivan aujtou` gegrammevnhn”,
“imposuerunt super caput eius causam ipsius scriptam”, Matteo 27:37)
v ) + accusativo
– luogo (moto, direzione): i v)sp:v){e iæid\ v ) gor\ e leo¢|sk\ (“kai;
uJmnhvsante" ejxh`lqon eij" to; o[ro" tw`n jElaiw`n”, “et hymno dicto, exierunt
in montem Oliveti”, Matteo 26:30); " b¨h) "m) v) prit)~\ (“kai; ejgenovmhn
aujtoi`" eij" parabolhvn”, “et factus sum illis in parabolam”, Salmo
68(69):12); d |¢| v| ¢o{t) s( pr:obl:~e (“il giorno si trasformò in notte”,
Suprasliense 475,16); a }e k)to t( oudarit) v)) des¢¢ \+
+ la¢it\ (“ajll
o{sti" se rJapivzei eij" th;n dexia;n siagovna”, “si quis te percusserit in
dexteram maxillam”, Matteo 5:39)
– relazione o rapporto (contro): a }e sedmorice+ d|¢|m| s)gr:{it) v )
t ( (“eja;n eJptavki" th`" hJmevra" aJmarthvsh/ eij" se;”, “si septies in die
peccaverit in te”, Luca 17:4)
– modo o maniera: a }e kt o bratra svoego v) g¢¢ :v) prokl)) ¢et) (“se
qualcuno nell’ira maledirà il fratello”, Eucologio Sinaitico 104b,15-16); v )
isti¢¢ \ b ogat) (“ajleqw`" plouvsio"”, “veramente ricco”, Cloziano 14a,2014b,21); v ) isti¢¢ \ b ogat) (“o[ntw" plouvsio"”, “nella realtà [essendo]
ricco”, Cloziano 14b,26)
– misura: v ) ¢+je m:r\
\ m:rite ¢am:rit) s ( vam) (“ejn w|/ mevtrw/
metrei`te metrhqhvsetai uJmi`n”, “in qua mensura mensi fueritis, remetietur
vobis”, Marco 4:24)
– tempo: i i{|d) v)) treti+
+ godi¢\ (“kai; ejxelqw;n peri; trivthn
w{ran”, “et egressus circa horam tertiam”, Matteo 20:3); v |si v¨ s)blaæ¢ite
Sintassi
213
s( o m|¢: v) s i+ ¢o}| (“pavnte" uJmei`" skandalisqhvsesqe ejn ejmoi; ejn
th`/ nukti; tauvth/”, “omnes vos scandalum patiemini in me in ista nocte”,
Matteo 26:31); v ) t)) ~as) r e~e isous) ¢ arodom) (“ejn ejkeivnh/ th`/ w{ra/
ei\pen oJ jIhsou`" toi`" o[cloi"”, “in illa hora dixit Iesus turbis”, Matteo
26:55)
– fine: v )met:te mr:j( va{( v) lovitv\
\ (“calavsate ta; divktua
uJmw`n eij" a[gran”, “laxate retia vestra in capturam”, Luca 5:4)
v ) + locativo
– luogo (stato): s mok)v|¢ic\ i m:a{e eter) v) v i¢ograd: svo&m|
v )sajde¢\ (“sukh`n ei\cevn ti" pefuteumevnhn ejn tw`/ ajmpelw`ni aujtou`”,
“arborem fici habebat quidam plantatam in vinea sua”, Luca 13:6); { |d){e v)
okr|| st|¢iih) sel:
: h) (“ajpelqovnte" eij" tou;" kuvklw/ ajgrou;"”, “euntes in
proximas villas”, Marco 6:36); s e a¢ge l) gospod|| ¢| sta v) ¢i h) (“kai; ijdou;
a[ggelo" Kurivou ejpevsth aujtoi`"”, “et ecce angelus Domini stetit iuxta
illos”, Luca 2:9); j e¢a etera s\}
} i v) to~~ e¢ii kr)ve (“gunh; ou\sa ejn
rJuvsei ai{mato"”, “mulier, quae erat in profluvio sanguinis”, Marco 5:25); v o
psal)t¨r" dee s`t|strou¢|¢: po"te emou (“ejn yalthrivw/ dekacovrdw/
yavlate aujtw`/”, “in psalterio decem chordarum psallite illi”, Salmo 32(33):2)
– tempo: b : je v) d|| ¢e ou~( v) cr|| k)ve. a ¢o}i+ oudvarqa{e s(
ishod( v) g or: (“h\n de; ta;" hJmevra" ejn tw`/ iJerw`/ didavskwn, ta;" de;
nuvkta" ejxercovmeno" hujlivzeto eij" to; o[ro"”, “erat autem diebus docens in
templo, noctibus vero exiens morabatur in monte”, Luca 21:37)
– modo o maniera: d a b\d
d et) milost¨
¨ ¢i tvoq v) tai¢¢ : (“o{pw" h/\
sou hJ ejlehmosuvnh ejn tw`/ kruptw`/”, “ut sit eleemosyna tua in abscondito”,
Matteo 6:4)
– relazione o rapporto: ~ |to v) pro~~ iih) pe~~ ete s(÷ (“tiv peri; tw`n
loipw`n merimna`te…”, “quid de ceteris sollicit estis?”, Luca 12:26); : ko
blagoiævoli v ¢"h) (“o}ti eujdovkhsa" ejn aujtoi`"”, “quoniam complacuisti
in eis”, Salmo 43(44):4)
– fine o scopo: ¢ i v) æemli ¢ i v) g¢¢ oi tr:b: &st) (“ou[te eij" gh`n
ou[te eij" koprivan eu[qetovn ejstin”, “neque in terram neque in sterquilinium
utile est”, Luca 14:35)
214
Il paleoslavo
v)æ + accusativo
– scambio: v )ædaah\ m i æ)laa v)æ dobraa (“ajntapedivdosavn moi
ponhra; ajnti; kalw`n”, “retribuebant mihi mala pro bonis”, Salmo 34(35):12)
– accumulazione: o t) ispl|| ¢&¢iq &go m¨ v|si pri`hom). blagod:t|
v)æ blagod:t|| (“ejk tou` plhrwvmato" aujtou` hJmei`" pavnte" ejlavbomen,
kai; cavrin ajnti; cavrito"”, “de plenitudine eius nos omnes accepimus, et
gratiam pro gratia”, Giovanni 1:16)
v )m:sto + genitivo
– scambio: s )¢:da+}e" l<d" mo` v) hl:: ba m:sto (“oiJ e{sqonte" to;n
laovn mou brwvsei a]rtou”, “qui devorant plebem meam ut cibum panis”,
Salmo 52(53):5)
v )¢) + genitivo
– luogo (moto): i {ed){ema je ima v)¢) grada (“ejlqovntwn de; aujtw`n
... e[xw th`" povlew"”, “usciti fuori città”, Suprasliense 14,12-13)
v )¢: + genitivo
– luogo (stato): i ¢ikomou ot)toli s|m:ti po sl)¢e~|¢::m) æahod::
v|¢: domou svo&go obr:sti s Á (“kai; mhkevti mhdevna tolma`n meta;
hJlivou duvsin e[xw tou` oi[kou aujtou` euJreqh`nai”, “che nessuno da allora
osasse trovarsi dopo il tramonto del sole fuori di casa”, Suprasliense 53,3-5)
v )skrai + genitivo
– luogo (stato): v )skrai je b:a{e &æera ba¢: (“ejggu;" de; th`" livmnh"
h\n balanei`on”, “lungo il lago si trovava una piscina”, Suprasliense 76,17)
v )sl:d) + genitivo
– luogo (moto, direzione): s e m¨ ostavihom) v |sq i v)ss l:d) t ebe
idom) (“ijdou; hJmei`" ajfhvkamen pavnta kai; hjkolouqhvsamevn soi”, “ecce
nos reliquimus omnia et secuti sumus te”, Matteo 19:27); o t)pousti +. qko
v)pi&t) v )sl:d) ¢ as) (“ajpovluson aujthvn, o{ti kravzei o[pisqen hJmw`n”,
“dimitte eam, quia clamat post nos”, Matteo 15:23)
Sintassi
215
do + genitivo
– luogo: i prid\ d o ¢&go (“kai; h\lqon e{w" aujtou`”, “et venerunt usque
ad ipsum”, Luca 4:42); v :s( i do vr|hou gor¨ (“h[gagon aujto;n e{w"
ojfruvo" tou` o[rou"”, “duxerunt illum usque ad supercilium montis”, Luca
4:29); p etr) je i d:a{e po ¢&m| iædale~e. do dvora arhiereova (“oJ de;
Pevtro" hjkolouvqei aujtw`/ ajpo; makrovqen e{w" th`" aujlh`" tou`
ajrcierevw"”, “Petrus autem sequebatur eum a longe usque in atrium principis
sacerdotum”, Matteo 26:58)
– limite: p riskr)b|¢a &st) dou{
{ a moq do s)mr|ti (“perivlupov" ejstin
hJ yuchv mou e{w" qanavtou”, “tristis est anima mea usque ad mortem”,
Matteo 26:38); d ajd| im) m|| æd\.. ¢a~|¢) ot)) posl:: d|¢iih) do
p r|v¨ih) (“ajpovdo" aujtoi`" to;n misqovn, ajrxavmeno" ajpo; tw`n ejscavtwn
e{w" tw`n prwvtwn”, “redde illis mercedem incipiens a novissimis usque ad
primos”, Matteo 20:8); o u~( po v|sei i<dei. ¢a~|¢) ot)) galile`
` do s|de
(“didavskwn kaq o{lh" th`" jIoudaiva", kai; ajrxavmeno" ajpo; th`"
Galilaiva" e{w" w|de”, “docens per universam Iudaeam incipiens a Galilaea
usque huc”, Luca 23:5)
– tempo: o t){est¨` je godi¢¨. t|ma b¨st) po v|sei æemli . do
dev(t¨` godi¢¨ (“ajpo; de; e{kth" w{ra" skovto" ejgevneto ejpi; pa`san
th;n gh`n e{w" w{ra" ejnavth"”, “a sexta autem hora tenebrae factae sunt super
universam terram usque ad horam nonam”, Matteo 27:45)
– relazione o rapporto (contro): a {te ima{i ~to do vraga svo&go (“eja;n
e[ch/" ti kata; tou` ejcqrou`”, “se hai qualcosa contro il tuo nemico”,
Suprasliense 421,26)
d :lq + genitivo (sempre posposto)
– causa: t ogo d:lq i protiv\ & mou iæide ¢arod) (“dia; tou`to kai;
uJphvnthsen aujtw`/ oJ o[clo"”, “propterea et obviam venit ei turba”, Giovanni
12:18)
æ a + accusativo
– luogo: i di æa m( soto¢o (“u{page, Satana`”, “Vade Satana”, Matteo
216
Il paleoslavo
4:10); a }e je¢a poustiv){i m\j
j a si. i posag¢et) æa i¢) (“kai; eja;n
ajpoluvsh/ gunh; to;n a[ndra aujth`" kai; gamhvsh/ a[llon”, “et si uxor
dimiserit virum suum et alii nupserit”, Marco 10:12)
– limitazione: i sous) je im) i æa r\kk \ v )ædvije i (“oJ de; jIhsou`"
krathvsa" th`" ceiro;" aujtou` h[geiren aujtovn”, “Iesus autem tenens manum
eius elevavit eum”, Marco 9:27); v )~era æa ouho oudare¢) b¨vaa{e (“cqe;"
ejrrapivzeto”, “ieri era colpito sull’orecchio”, Suprasliense 449,25)
– scambio: o ko æa oko i æ\
\ b) æa æ\
\ b) (“ojfqalmo;n ajnti; ojfqalmou`
kai; ojdovnta ajnti; ojdovnto"”, “oculum pro oculo, et dentem pro dente”,
Matteo 5:38)
– causa: a }e komou oum|ret) d:ti}| ¢ekr)}e¢) æa l:¢ost| (“se a
qualcuno muore un figlio non battezzato per prigrizia”, Eucologio sinaitico
104b,7)
æ a + strumentale
– luogo: i di æa m)¢o+ soto¢o (“u{page ojpivsw mou, satana`”, “vade
post me satana”, Matteo 16:23)
æ a + genitivo
– vantaggio: m olitv\ s )tvor\ æ a v¨. i æa v|sego roda kr|stiq¢|ska
(“presbeuvsw uJpe;r uJmw`n kai; uJpe;r o{lou tou` e[qnou" tw`n cristianw`n”,
“una preghiera dirò per voi e per tutta la stirpe cristiana”, Suprasliense 17,1)
i æ + genitivo
– luogo: i shod(}e iæ domou li iæ grada togo (“ejxercovmenoi e[xw
th`" oijkiva" h] th`" povlew" ejkeivnh"”, “exeuntes foras de domo vel civitate”,
Matteo 10:14)
– origine e provenienza: g – | iæ mr|tv¨ih) v)stal) (“oJ kuvrio" ejk
nekrw`n ejghvgertai”, “il Signore resuscitò dai morti”, Suprasliense 479,8)
– tempo: v |sq si s)hra¢ih) iæ <¢osti mo&` (“tau`ta pavnta ejfuvlaxa
ejk neovthtov" mou”, “haec omnia custodivi a iuventute mea”, Luca 18:21)
– materia: v r)t)p) "s kame¢e. "deje h)– p orajdaet) s( (“sphvlaion ejk
pevtra" e[nqa Cristo;" gegevnnhtai”, “la grotta di pietra dove nasce Cristo”,
Cloziano 14a,10)
Sintassi
217
krom: + genitivo
– luogo (fuori, lontano da): ¢ e v)æmoj|¢o &st) prorokou pog¨b¢\tt i
i&rousalima (“oujk ejndevcetai profhvthn ajpolevsqai e[xw
jIerousalhvm”, “non capit prophetam perire extra Hierusalem”, Luca 13:33)
– esclusione (senza): t ¨ bo edi¢) vs ego gr:ha k rom: esi (“su; ga;r
movno" pavsh" aJmartiva" ejkto;" uJpavrcei"”, “tu solo sei senza alcun
peccato”, Eucologio sinaitico 57a,11-12)
krom:
k ) + dativo
– luogo (moto verso una persona): i prist\pp i k) ¢&mou &di¢a rab¨¢i
(“kai; prosh`lqen aujtw`/ miva paidivskh”, “et accessit ad eum una ancilla”,
Matteo 26:69)
– termine: r e~e k) simo¢ou (“tw`/ Sivmwni e[fh”, “dixit Simoni”, Luca
7:44); i v:rou+t) k) rojd){ououmou s Á o t) mari( (“kai; pisteuvousin
eij" to;n ejk Mariva"”, “credono a colui che Maria ha generato”, Suprasliense
216,2)
– relazione o rapporto: a k) bogou l<b¨ beæ m:r¨ (“kai; pro;" Qeo;n
e[rw" ajneivkasto"”, “e verso Dio amore senza misura”, Suprasliense 275,1);
a }e je s)gr:{it) k) teb: bratr) tvoi (“eja;n de; aJmarthvsh/ eij" se; oJ
ajdelfov" sou”, “si autem peccaverit in te frater tuus”, Matteo 18:15)
– tempo: p o¢&je b: paraskev|gi i. &je &st) k) s\bb ot: (“ejpei; h\n
paraskeuhv, o{ ejstin prosavbbaton”, “quia erat parasceve, quod est ante
sabbatum”, Marco 15:42)
– fine o scopo: s i bol:æ¢| ¢:st) k) s)m|rti (“au{th hJ ajsqevneia oujk
e[stin pro;" qavnaton”, “infirmitas haec non est ad mortem”, Giovanni 11:4)
¢ a + accusativo
– tempo: i æm¨+ ¢a v|s:k\ ¢ o}) loje moe (“louvsw kaq eJkavsthn
nuvkta th;n klivnhn mou”, “lavabam per singulas noctes lectum meum”,
Salmo 6:7)
– luogo: i v)æv:q{( v:tri i ¢apad\ ¢ a hrami¢\ t \ (“kai;
e[pneusan oiJ a[nemoi kai; prosevpesan th`/ oijkiva/ ejkeivnh/”, “et flaverunt
218
Il paleoslavo
venti et irruerunt in domum illam”, Matteo 7:25); & gda æ)va¢) b\d
d e{i ¢a
brak) (“o{tan klhqh`/" eij" gavmou"”, “cum invitatus fueris ad nuptias”, Luca
14:8)
– relazione o rapporto (contro): r )p)taah\ ¢ a gospodi¢) (“ejgovgguzon
kata; tou` oijkodespovtou”, “murmurabant adversus patrem familias”, Matteo
20:11);
i skaah\
l )jas)v:d:tel|stva
¢a
isousa
(“ejzhvtoun
yeudomarturivan kata; tou` jIhsou`”, “quaerebant falsum testimonium contra
Iesum”, Matteo 26:59)
¢ a + locativo
– luogo: i pride i}( ploda ¢a ¢&i (“kai; h\lqen zhtw`n karpo;n ejn
aujth`/”, “et venit quaerens fructum in illa”, Luca 13:6); ¢ a moseov: s:dali}i
s:d\
\ k)¢ij|¢ici i farisei (“ejpi; th`" Mwu >sevw" kaqevdra" ejkavqisan
oiJ grammatei`" kai; oiJ farisai`oi”, “super cathedram Moysi sederunt
scribae et pharisaei”, Matteo 23:2); ¢ e s(di ¢a pr:d|¢iim| m:st: (“mh;
katakliqh`/" eij" th;n prwtoklisivan”, “non discumbas in primo loco”, Luca
14:8); o s¢ova¢a bo b: ¢a kame¢e (“teqemelivwto ga;r ejpi; th;n pevtran”,
“fundata enim erat super petram”, Matteo 7:25)
¢ ad) + accusativo
– luogo (moto, direzione): s amar:¢i¢) je eter) gr(d¨ pride ¢ad) ¢|
(“samarivth" de; ti" oJdeuvwn h\lqen kat aujto;n”, “samaritanus autem
quidam iter faciens venit secus eum”, Luca 10:33)
¢ ad) + strumentale
– luogo (stato): a mi¢| glagol+ vam). qko ¢ad) v|s:m| im:¢i&m|
postavit) i (“ajmh;n levgw uJmi`n o{ti ejpi; pa`sin toi`" uJpavrcousin aujtou`
katasthvsei aujtovn”, “amen, dico vobis, quoniam super omnia bona
constituet eum”, Matteo 24, 47-48); ¢ :st) ou~e¢ik) ¢ad) ou~itel&m|
svoim| (“oujk e[stin maqhth;" uJpe;r to;n didavskalon”, “non est discipulos
super magistrum”, Luca 6:40)
o + accusativo
– luogo (stato): a &je s:sti o des¢\+
+ me¢e. i o l:v\+
+ . ¢:st) m|¢:
Sintassi
219
dati (“to; de; kaqivsai ejk dexiw`n mou h] ejx eujwnuvmwn oujk e[stin ejmo;n
dou`nai”, “sedere autem ad dexteram meam vel ad sinistram non est meum
dare”, Marco 10:40)
\ kah) v)æ|m\
\ t) t(. da ¢e o kame¢| pr:t)k¢e{i
– luogo (moto): ¢ a r\
¢ og¨ tvo&` (“ejpi; ceirw`n ajrou`sin se, mhvpote proskovyh/" pro;" livqon
to;n povda sou”, “in manibus tollent te, ne forte offendas ad lapidem pedem
tuum”, Luca 4:11)
– tempo: & dva o l:to v)æmogo{ Á s Á p ri(ti sadove (“movli" ejpi;
ejniauto;n i[scusan krath`sai ta; futa;”, “solo durante l’estate i giardini
attecchirono”, Suprasliense 301,22-23)
– rapporto o relazione: r aæd:li{( riæ¨ &go. meta+}e jr:bi` o ¢`
(“diamerivzontai ta; iJmavtia aujtou`, bavllonte" klh`ron ejp aujta;”,
“diviserunt vestimenta eius mittentes sortem super eis”, Marco 15:24)
o + locativo
– relazione: o odejdi ~|to s( pe~ete÷ (“kai; peri; ejnduvmato" tiv
merimna`te…”, “de vestimento quid solliciti estis?”, Matteo 6:28); s | &st) s¨¢)
moi v)æl<
< bl&¢¨i. o ¢&m|je blagovolih) (“ou|tov" ejstin oJ uiJov" mou oJ
ajgaphtov", ejn w/| eujdovkhsa”, “hic est Filius meus dilectus, in quo mihi
complacui”, Matteo 3:17); d :lo bo dobro s)d:la o m|¢: (“e[rgon ga;r
kalo;n hjrgavsato eij" ejmev”, “opus enim bonum operata est in me”, Matteo
26:10)
– rapporto: o v|s:kom) bo kr|st"q¢: kaæ¢| c:sar|ska lejit) (“kata;
ga;r panto;" cristianou` to; dovgma tw`n basilevwn kei`tai”, “contro ogni
cristiano sta infatti l’editto dell’imperatore”, Suprasliense 101,21-22);
m olitv\ d :ite o ¢apast|stvou+}iih) vam) (“proseuvcesqe uJpe;r tw`n
diwkovntwn uJma`"”, “orate pro persequentibus ... vos”, Matteo 5:44)
– luogo: i poqs) ousm:¢) o ~r:sl:h) &go (“kai; zwvnhn dermativnhn
peri; th;n ojsfu;n aujtou`”, “et zona pellicea circa lumbos eius”, Marco 1:6);
v id:v) je isous) m)¢og) ¢arod) o seb: (“ijdw;n de; oJ jIhsou`" o[clon
peri; aujto;n”, “videns autem Iesus turbas multas circum se”, Matteo 8:18);
v id:v){e je i ije b:ah\ o ¢&m|. b¨va&mo& (“ijdovnte" de; oiJ peri;
aujto;n to; ejsovmenon”, “videntes autem hi, qui circa ipsum erant, quod
220
Il paleoslavo
futurum erat”, Luca 22:49); v |sqk\ r oæg\ o m|¢: ¢e tvor(}\ p loda
iæ|met) + (“pa`n klh`ma ejn ejmoi; mh; fevron karpovn, ai[rei aujtov”,
“omnem palmitem in me non ferentem fructum, tollet eum”, Giovanni 15:2);
a }e li k)to hodit) ¢o}i+ pot)k¢et) s(. qko sv:ta ¢:st) o ¢&m|
(“eja;n dev ti" peripath`/ ejn th`/ nukti;, proskovptei, o{ti to; fw`" oujk
e[stin ejn aujtw`/”, “si autem ambulaverit in nocte, offendit, quia lux non est in
eo”, Giovanni 11:10); p r:jde b¨ti v|semou mirou o teb: (“pro; tou` to;n
kovsmon ei\nai para; soiv”, “prius, quam mundus esset, apud te”, Giovanni
17:5)
– argomento: ~ |to se sl¨{\ o teb:÷ v)ædajd| ot)v:t) o
pristavl&¢ii domov|¢:&m| (“tiv tou`to ajkouvw peri; sou`… ajpovdo" to;n
lovgon th`" oijkonomiva" sou”, “Quid hoc audio de te? redde rationem
vilicationis tuae”, Luca 16:2)
– fine o scopo: s i bol:æ¢| ¢:st) k) s)m|rti. ¢) o slav: bojii (“au{th
hJ ajsqevneia oujk e[stin pro;" qavnaton ajll uJpe;r th`" dovxh" tou` Qeou`”,
“infirmitas haec non est ad mortem, sed pro gloria Dei”, Giovanni 11:4)
– causa: o sem| raæoum:+t) v|si. qko moi ou~e¢ici &ste (“ejn
touvtw/ gnwvsontai pavnte" o{ti ejmoi; maqhtaiv ejste”, “in hoc cognoscent
omnes quia discipuli mei estis”, Giovanni 13:35); s lav(}e boga. o v|s:h)
qje sl¨{a{( (“aijnou`nte" to;n Qeo;n ejpi; pa`sin oi|" h[kousan”,
“laudantes Deum in omnibus, quae audierant”, Luca 2:20); v |si v¨
s)blaæ¢ite s( o m|¢: v) si+
+ ¢o}| (“pavnte" uJmei`" skandalisqhvsesqe
ejn ejmoi; ejn th/` nukti; tauvth/”, “omnes vos scandalum patiemini in me in ista
nocte”, Matteo 26:31)
d et) ~lov:k) (“oujk
– mezzo e strumento: ¢ e o hl:b: &di¢om| jiv) b\d
ejp a[rtw/ movnw/ zhvsetai oJ a[nqrwpo"”, “non in solo pane vivit homo”,
Luca 4:4); r oæga ¢e mojet) ploda tvoriti o seb:. a}e ¢e b \d
d et) ¢a
loæ: (“to; klh`ma ouj duvnatai karpo;n fevrein ajf eJautou`, eja;n mh; mevnh/
ejn th`/ ajmpevlw/”, “palmes non potest ferre fructum a semetipso, nisi manserit
in vite”, Giovanni 15:4); o k)¢(™i b:s) iægo¢it) b:s¨ (“ejn tw`/ a[rconti
tw`n daimonivwn ejkbavllei ta; daimovnia”, “in principe daemoniorum eicit
daemones”, Matteo 9:34); v id:hom) etera. o ime¢e tvo&m| iægo¢(}a
Sintassi
221
b:s¨ (“ei[domevn
tina ejn tw`/ ojnovmativ sou ejkbavllonta daimovnia”,
“vidimus quemdam in nomine tuo eicientem daemonia”, Marco 9:38)
– misura: o ¢&m|je s\d
d : s\d
d ite s\d
d (t) s( vam) (“ejn w/| ga;r
krivmati krivnete kriqhvsesqe”, “in quo enim iudicio iudicaveritis,
iudicabimini”, Matteo 7:2)
o b + accusativo
– luogo: i je b: s tobo+ ob o¢) pol) ior)da¢a (“o}" h\n meta; sou`
pevran tou` jIordavnou”, “qui erat tecum trans Iordanem”, Giovanni 3:26)
– tempo: b : ob ¢o}| v) molitv: (“h\n dianuktereuvwn ejn th`/
proseuch`/”, “erat pernoctans in oratione”, Luca 6:12)
o t) + genitivo
– agente e causa efficiente: a æ) tr:bou+ ot) tebe kr|stiti s( (“ejgw;
creivan e[cw uJpo; sou` baptisqh`nai”, “ego a te debeo baptizari”, Matteo
3:14); ¢ ev)æmoj|¢aq ot) ~lov:k) v)æmoj|¢a ot) boga s\
\ t) (“ta;
ajduvnata para; ajnqrwvpoi" dunata; para; tw`/ Qew`/ ejstin”, “quae
impossibilia sunt apud homines, possibilia sunt apud Deum”, Luca 18:27);
s trajd\}
} ei ot) douh) ¢e~ist) (“oiJ ejnoclouvmenoi ajpo; pneumavtwn
ajkaqavrtwn”, “qui vexabantur a spiritibus immundis”, Luca 6:18); ¢ e ouboite
s( ot) oubiva+}iih) t:lo (“mh; fobhqh`te ajpo; tw`n ajpoktennovntwn to;
sw`ma”, “ne terreamini ab his, qui occidunt corpus”, Luca 12:4)
– tempo: o t) {est¨` je godi¢¨. t|ma b¨st) po v|sei æemli . do
dev(t¨`
` godi¢¨ (“ajpo; de; e{kth" w{ra" skovto" ejgevneto ejpi; pa`san
th;n gh`n e{w" w{ra" ejnavth"”, “a sexta autem hora tenebrae factae sunt super
universam terram usque ad horam nonam”, Matteo 27:45)
– luogo: v )æide ot) vod¨ (“ajnevbh ajpo; tou` u{dato"”, “ascendit de
aqua”, Matteo 3:16); i d\ p :{i ot) grada (“hjkolouvqhsan aujtw`/ pezh`/
ajpo; tw`n povlewn”, “secutae sunt eum pedestres de civitatibus”, Matteo
14:13)
– rapporto o relazione: ¢ epovi¢|¢) &sm| ot) kr)ve sego prav|d|¢ika
(“ajqw`/ov" eijmi ajpo; tou` ai{mato" tou` dikaivou touvtou”, “innocens ego sum
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Il paleoslavo
a sanguine iusti huius”, Matteo 27:24)
– origine e provenienza: i sous) je … p ride v) vita¢i+. ideje b:
laæar) oum|r¨i. &goje v)skr:si ot) mr|tv¨ih) isous) (“oJ ou\n jIhsou`"
… h\lqen eij" Bhqanivan, o{pou h\n Lavzaro", o}n h[geiren ejk nekrw`n oJ
jIhsou`"”, “Iesus ergo … venit Bethaniam, ubi Lazarus fuerat mortuus, quem
suscitavit Iesus”, Giovanni 12:1); v :m| qko &goje kolij|do prosi{i ot)
boga dast) teb: bog) (“oi\da o{ti o{sa a]n aijthvsh/ to;n Qeo;n dwvsei soi
oJ Qeov"”, “scio quia quaecumque poposceris a Deo, dabit tibi Deus”, Giovanni
11:22)
– mezzo e strumento: v |sqko oubo dr:vo ot) ploda svo&go poæ¢a&t)
s( (“e{kaston ga;r devndron ejk tou` ijdivou karpou` ginwvsketai”,
“unaquaeque enim arbor de fructu suo cognoscitur”, Luca 6:44)
– causa: o t) radosti &go idet) (“ajpo; th`" cara`" aujtou` uJpavgei”,
“prae gaudio illius vadit”, Matteo 13:44); i æd¨ha+}em) ~lov:kom) ot)
straha i ~aq¢iq (“ajpoyucovntwn ajnqrwvpwn ajpo; fovbou kai;
prosdokiva"”, “arescentibus hominibus prae timore et exspectatione”, Luca
21:26)
– modo: v )æl<bi{i gospoda boga tvo&go ot) v|sego sr|d|ca tvo&go
(“ajgaphvsei" Kuvrion to;n Qeovn sou ejx o{lh" th`" kardiva" sou”, “diliges
Dominum Deum tuum ex toto corde tuo”, Luca 10:27)
– materia: s )plet){e v:¢|c| ot) tr|¢iq (“plevxante" stevfanon ejx
ajkanqw`n”, “plectentes coronam de spinis”, Matteo 27:29)
– separazione: & gda ot)stavl&¢) b\d
d \ o t) stro&¢iq domou (“o{tan
metastaqw` ejk th`" oijkonomiva"”, “cum amotus fuero a vilicatione”, Luca
16:4)
– paragone: o um|¢"l) i esi malom| ~"m| ot) a¢– gl ) (“hjlavttwsa"
aujto;n bracuv ti parJ ajggevlou"”, “minuisti eum paulo minus ab angelis”,
Salmo 8:6)
– partitivo: p (t| je b: ot) ¢i h) boui (“pevnte de; ejx aujtw`n h\san
mwrai;”, “quinque autem ex eis erant fatuae”, Matteo 25:2); d adite ¢am) ot)
ol:q va{ego (“dovte hJmi`n ejk tou` ejlaivou uJmw`n”, “date nobis de oleo
vestro”, Matteo 25:8)
Sintassi
po + accusativo
223
d \tt ) tr\ss i po m:sta (“e[sontai seismoi; kata; tovpou"”,
– luogo: b \d
“erunt terraemotus per loca”, Marco 13:8)
– tempo: p o v|s( d|¢i s:d:ah) s) vami v) cr|k)ve ou~( (“kaq
hJmevran ejn tw`/ iJerw`/ ejkaqezovmhn didavskwn”, “cotidie apud vos sedebam
docens in templo”, Matteo 26:55);
– causa: p o ~|to s) m¨tari i gr:{|¢ik¨ qst) i pi&t)÷ (“tiv, o{ti
meta; tw`n telwnw`n kai; aJmartwlw`n ejsqivei kai; pivnei…”, “qua re cum
publicanis et peccatoribus manducat et bibit?”, Marco 2:16); ¢ e dostoi¢o
&st) v)lojiti &go v) kar)va¢\
\ po ¢&je c:¢a kr)ve &st) (“oujk e[xestin
balei`n aujta; eij" to;n korbana`n, ejpei; timh; ai{matov" ejstin”, “non licet
eos mittere in corbonam, quia pretium sanguinis est”, Matteo 27:6)
– fine o scopo: p os)lav) po æ)va¢¨` im) (“ajposteivla" ejpi; tou;"
klhqevnta" uJp aujtou`”, “avendo mandato [a chiamare] quelli invitati da lui,”
Suprasliense 267,4-5)
p o + dativo
– luogo: p oveli mi priti k) teb: po vodam) (“kevleusovn me ejlqei`n
pro;" se; ejpi; ta; u{data”, “iube me ad te venire super aquas”, Matteo 14:28);
o u~( po v|sei i<dei (“didavskwn kaq o{lh" th`" jIoudaiva"”, “docens per
universam Iudaeam”, Luca 23:5); t |ma b¨st) po v|sei æemli (“skovto"
ejgevneto ejpi; pa`san th;n gh`n”, “tenebrae factae sunt super universam
terram”, Matteo 27:45)
– tempo: ¢ e po m)¢ogou prist\
\ pll| {e sto`}ei r:{( petrovi (“meta;
mikro;n de; proselqovnte" oiJ eJstw`te" ei\pon tw`/ Pevtrw/”, “et post
pusillum accesserunt qui stabant et dixerunt Petro”, Matteo 26:73); v :ste qko
po d)vo< d|¢ou pasha b¨va&t) (“oi[date o{ti meta; duvo hJmevra" to;
pavsca givnetai”, “scitis quia post biduum Pascha fiet”, Matteo 26:2);
– modo o maniera: p o d:lom) je ih) ¢e hodite (“kata; de; ta; e[rga
aujtw`n mh; poiei`te”, “secundum opera vero eorum nolite facere”, Matteo
23:3)
– distributivo: i pri`s( po p:¢(™™ ou (“kai; e[labon to; ajna; dhnavrion”,
“acceperunt autem et ipsi singulos denarios”, Matteo 20:10)
224
Il paleoslavo
po + locativo
– luogo: o ¢a je abi& ostav){a mr:j(. po ¢&m| idoste (“oiJ de;
eujqevw" ajfevnte" ta; divktua hjkolouvqhsan aujtw`/”, “illi continuo relictis
retibus secuti sunt eum”, Matteo 4:20); i di po m|¢: (“ajkolouvqei moi”,
“sequere me”, Luca 5:27)
– tempo: ¢ e po m)¢o™: prist\pp l| {e sto`}ei r:{( petrovi (“meta;
mikro;n de; proselqovnte" oiJ eJstw`te" ei\pon tw`/ Pevtrw/”, “et post
pusillum accesserunt qui stabant et dixerunt Petro”, Matteo 26:73); p o
v)skr|s¢ove¢ii je mo&m| varq+ v¨ v) galilei (“meta; de; to;
ejgerqh`naiv me proavxw uJma`" eij" th;n Galilaivan”, “postquam autem
resurrexero, praecedam vos in Galilaeam”, Matteo 26:32); v ) s\? po
r ojdstv: hv– : (“[lettura] per il sabato dopo il Natale”, Libro di Savva 142b,3)
p od) + accusativo
– tempo: t r(som¨ je da v)kousit) pod) ve~er). malo ka{ic( (“il
febbricitante mangi un poco di semolino verso sera”, Eucologio sinaitico
44a,21-23)
– luogo: k ol| krat¨ v)shot:h) s)b|rati ~(da tvoq. qkoje s)bira&t)
k oko{| p)te¢|c( svo` pod) kril: (“posavki" hjqevlhsa ejpisunagagei`n
ta; tevkna sou, o}n trovpon o[rni" ejpisunavgei ta; nossiva aujth`" uJpo;
ta;" ptevruga"”, “quoties volui congregare filios tuos quemadmodum gallina
congregat pullos suos sub alas”, Matteo 23:37); v )s: pokoril) es" pod)
¢o™: ego. ov|c` " vol¨ v|s` (“pavnta uJpevtaxa" uJpokavtw tw`n podw`n
aujtou`, provbata kai; bova" pavsa"”, “omnia subiecisti sub pedibus eius, oves
et boves universas”, Salmo 8:9)
p od) + strumentale
} a pod) smok)vice+ vid:h) t( (“ei\dovn se uJpokavtw th`"
– luogo: s \}
sukh`"”, “vidi te sub ficu”, Giovanni 1:49); v )æleje mwusii pod)
kam¨kom) velikom) (“oJ Mwsh`", keklikw;" pammegevqou" livqou
uJpokavtw”, “Mosè si distese sotto un grandissimo masso”, Suprasliense
275,16-17)
Sintassi
225
posr:d: (p o sr:d: ) + genitivo
– luogo: k orabl| je b: posr:d: morq (“to; de; ploi`on mevson th`"
qalavssh" h\n”, “navicola autem in medio mari …”, Matteo 14:24); o ¢) je
pro{|d) posr:d: ih) id:a{e (“aujto;" de; dielqw;n dia; mevsou aujtw`n
ejporeuveto”, “ipse autem transiens per medium illorum ibat”, Luca 4:30); p o
sr:d: æeml( (“ejn mevsw/ th`" gh`"”, “nel mezzo della terra”, Cloziano
13b,26)
p osr:d: + dativo
– luogo: p o sr:d: dv:ma jivotoma (“ejn mevsw/ duvo zw/vwn”, “tra due
vite”, Cloziano 13b,26); p osr:d: ¢asto`{ti" j"æ¢" " gr(d\{
{ ti" (“ejn
mevsw/ th`" parouvsh" zwh`" kai; th`" mellouvsh"”, “tra la presente vita e
quella che verrà”, Cloziano 13b,37-38); p o sr:d: d|¢)s) j"v¨"m) "
mr)tv¨m) (“ejn mevsw/ shvmeron zwvntwn kai; nekrw`n”, “tra quelli oggi vivi
e i morti”, Cloziano 13b,39-40)
p ri + locativo
– luogo: l ejaa{e pri vrat:h) &go (“ejbevblhto pro;" to;n pulw`na
aujtou`”, “iacebat ad ianuam eius”, Luca 16:20)
– tempo: o bl(™i s) ¢ama qko pri ve~er: &st) (“mei`non meq hJmw`n,
o{ti pro;" eJspevran ejsti;n”, “mane nobiscum, quoniam advesperascit”, Luca
24:29)
– relazione o rapporto: p ri odejdi ~|to s( pe~ete÷ (“kai; peri;
ejnduvmato" tiv merimna`te…”, “de vestimento quid solliciti estis?”, Matteo
6:28)
p rotiv\ / p rotivo + dativo
– luogo: p rotiv\ m a¢ast¨rou ot|ca isakia. ¢a polou¢o{t) s)æ)da
cr)k)ve sv Á tago pr|vom\
\ ~e¢ika stefa¢a (“ajntikru; tou` monasthrivou
tou` ajbba; jIsaaki;ou kata; mesembrivan e[ktise martuvrion tou` aJgivou
prwtomavrturo" Stefavnou”, “di fronte al monastero di padre Isacco a nord
[in greco: a sud] costruì la chiesa di S. Stefano protomartire”, Suprasliense
208,25-28); i æid\ p rotiv\ j e¢ihou (“ejxh`lqon eij" uJpavnthsin tou`
226
Il paleoslavo
numfivou”, “exierunt obviam sponso”, Matteo 25:1)
– relazione o rapporto: i ovomou dast) .d– . tala¢t) ovomou je .b– .
ovomou je .a–– . komouj|do protiv\
\ sil: svo&i (“kai; w|/ me;n e[dwken
pevnte tavlanta, w|/ de; duvo, w|/ de; e{n, eJkavstw/ kata; th;n ijdivan duvnamin”,
“uni dedit quinque talenta, alii autem duo, alii vero unum, unicuique
{ te protiviti s Á
secundum propriam virtutem”, Matteo 25:15); ¢ e mog\{
p rotiv\ o dr)j Á { tii &go sil: (“non potendo opporre resistenza alla
[contro la] forza che lo sopraffaceva”, Suprasliense 566,29-30)
p r:d) + accusativo
– luogo (moto, direzione): i {|d){< je &mou pr:d) vrata (“ejxelqovnta
de; ej" to;n pulw`na”, “exeunte autem illo ianuam”, Matteo 26:71)
– tempo: ¢ e ? pr:d) v)ædvig) kr– s ta (“la domenica prima [della festa]
dell’Esaltazione della croce”, Apostolo di Enino 30a,2-3)
p r:d) + strumentale
– luogo (stato): p etr) je stoq pr:d) vrat¨ v)¢: (“oJ de; Pevtro"
eiJsthvkei pro;" th`/ quvra/ e[xw”, “Petrus autem stabat ad ostium foris”,
Giovanni 18:16)
– relazione o rapporto: " ! tr)pl\ " m` tvoe :ko blago pr:d) pr:? ¢¨mi
tvoimi (“kai; uJpomenw` to; o}nomav sou, o}ti crhsto;n ejnantivon tw`n
oJsivwn sou”, “et exspectabo nomen tuum, quoniam bonum est, in conspectu
sanctorum tuorum”, Salmo 51(52):11)
– tempo: v ) s\?. pr:d) v)ædvigom) krs–– t a (“il sabato prima [della festa]
dell’Esaltazione della croce”, Libro di Savva 127a,5)
p r:mo + dativo
– luogo: i d:ta v) v|s| qje &st) pr:mo vama (“uJpavgete eij" th;n
kwvmhn th;n katevnanti uJmw`n”, “ite in castellum, quod contra vos est”, Marco
11:2)
r aæv: + genitivo
j | p(t| t¨s(}| raæv: je¢) i
– esclusione: q d){iih) je b: m\j
d :tii (“oiJ de; ejsqivonte" h\san a[ndre" wJsei; pentakiscivlioi cwri;"
Sintassi
227
gunaikw`n kai; paidivwn”, “manducantium autem fuit numerus quinque milia
virorum, exceptis mulieribus et parvulis”, Matteo 14:21)
r adi + genitivo (sempre posposto)
– causa: i b\d
d ete ¢e¢avidim¨ ot) v|s:h) ime¢e mo&go radi (“kai;
e[sesqe misouvmenoi uJpo; pavntwn dia; to; o[nomav mou”, “et eritis odio
omnibus propter nomen meum”, Luca 21:17)
– fine o scopo: ¢ :st) bo ¢i~‘toje tako bo– u l<bo qkoje &je
ob|{taago radi ousp:ha jiti (“ouJde;n ga;r ou{tw" ejstiv tw/` Qew/` fivlon,
wJ" to; koinwfelw`" zh/`n”, “niente è caro a Dio quanto il vivere per il bene
comune”, Suprasliense 379,1-3)
s ) + genitivo
– luogo: s ){|d){em) im) s) gor¨. s)r:te i ¢arod) m)¢og)
(“katelqovntwn aujtw`n ajpo; tou` o[rou" sunhvnthsen aujtw`/ o[clo" poluv"”,
“descendentibus illis de monte, occurrit illis turba multa”, Luca 9:37)
– tempo: s ) ve~era id\{
{ te (“ajpo; eJspevra" ajpiovnte"”, “che si recavano
dalla sera”, Suprasliense 35,8-9)
s ) + strumentale
– compagnia e unione: i s| b: ~lov:k) s) isousom| ¢aæar:¢i¢om|
(“ou|to" h\n meta; jIhsou` tou` Nazwraivou”, “et hic erat cum Iesu Nazareno”,
j iem| i
Matteo 26:71); q ko ¢a raæboi¢ika li iæidete s) or \j
dr|kol|mi (“wJ" ejpi; lh/sth;n ejxhvlqate meta; macairw`n kai; xuvlwn”,
“tamquam ad latronem existis cum gladiis et fustibus”, Matteo 26:55)
– mezzo o strumento: i pak¨ ot)vr|je s( s) kl(tvo+ (“kai; pavlin
hjrnhvsato meta; o{rkou”, “et iterum negavit se cum iuramento”, Matteo
26:72)
– modo o maniera: i v)æ|r:v) ¢a ¢` s) g¢:vom| ... glagola (“kai;
peribleyavmeno" aujtou;" met ojrgh`" … levgei”, “et circumspiciens eos
cum ira … dicit”, Marco 3:5)
– rapporto o relazione (pro e contro): a }e tako &st) vi¢a ~lov:kou s)
je¢o+ (“eij ou{tw" ejsti;n hJ aijtiva tou` ajnqrwvpou meta; th`" gunaikov"”,
228
Il paleoslavo
“si ita est causa hominis cum uxore”, Matteo 19:10); s )tvoriti milost| s)
ot|ci ¢a{imi (“poih`sai e[leo" meta; tw`n patevrwn hJmw`n”, “ad
faciendam misericordiam cum patribus nostris”, Luca 1:72)
– paragone: i t)~|¢) b¨st) s) ¢e oum|r){iimi (“kai; tetartai`o"
i[so" h\n tw`/ mhvte th;n ajrch;n teqnew`ti”, “era uguale [Lazzaro] a quelli che
non sono morti”, Suprasliense 317,21)
o u + genitivo
– luogo: i vid: d)va a¢ge la v) b:lah) s:d(}a &di¢ogo ou glav¨ i
& di¢ogo ou ¢ogou ideje b: lejalo t:lo isousovo (“kai; qewrei` duvo
ajggevlou" ejn leukoi`" kaqezomevnou", e{na pro;" th`/ kefalh`/ kai; e{na
pro;" toi`" posivn, o{pou e[keito to; sw`ma tou` jIhsou`”, “et vidit duos
angelos in albis sedentes, unum ad caput et unum ad pedes, ubi positum fuerat
corpus Iesu”, Giovanni 20:12); a }e ~eso prosite ou ot|ca v) im( mo&
dast) vam) (“a[n ti aijthvshte to;n patevra dwvsei uJmi`n ejn tw`/ ojnovmativ
mou”,“si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis”, Giovanni 16:23);
i je i ou~i s( ou isousa (“o}" kai; aujto;" ejmaqhvteusen tw`/ jIhsou`”, “qui
} e i pi+}e qje s\tt ) ou
et ipse discipulus erat Iesu”, Matteo 27:57); q d\}
¢ih) (“ejsqivonte" kai; pivnonte" ta; par aujtw`n”, “edentes et bibentes
quae apud illos sunt”, Luca 10:7); m olqa{e i farisei eter) da
ob:dou&t) ou ¢&go (“ejrwta`/ aujto;n farisai`o" o{pw" ajristhvsh/ par
aujtw`/”, “rogavit illum quidam pharisaeus ut pranderet apud se”, Luca 11:37)
6. La sintassi del periodo
Le frasi del paleoslavo possono essere semplici o complesse.
La frase semplice è formata da una sola proposizione che, come in italiano,
può essere dichiarativa (enunciativa), interrogativa, esclamativa, volitiva.
Le proposizioni dichiarative enunciano fatti e circostanze: ~ lov:k) eter)
b: bogat) (“a[nqrwpov" tis h\n plouvsio"”, “Homo quidam erat dives”, Luca
16:1); p olou ¢o}i je v)pl| b¨st) (“mevsh" de; nukto;" kraugh; gevgonen”,
“Media autem nocte clamor factus est”, Matteo 25:6).
Le proposizioni interrogative contengono una domanda; sono introdotte da
Sintassi
229
pronomi, avverbi o particelle interrogative (k )to , ~ |to , k ¨i , ~ ii , k ak) ,
k akov) , k )de , k )gda , e da , l i , i li , a }e , eccetera) e si concludono
solitamente con il segno di interpunzione “÷ ”, che corrisponde al moderno
punto di domanda: ~ |to se sl¨{\ o teb:÷ (“tiv tou`to ajkouvw peri; sou`…”,
\ s)
“Quid hoc audio de te?”, Luca 16:2); k )de &st| obit:l| ideje pash\
o u~e¢ik¨ svoimi s)¢:m|÷ (“pou` ejstin to; katavluma o{pou to; pavsca
meta; tw`n maqhtw`n mou favgw…”, “Ubi est diversorium, ubi pascha cum
discipulis meis manducem”, Luca 22:11); ¢ e po p:¢(™ou li s)v:}ah) s)
t obo+÷ (“oujci; dhnarivou sunefwvnhsa" moi…”, “nonne ex denario convenisti
mecum?”, Matteo 20:13); i li ¢:st) mi l:t| s)tvoriti v) svoih) mi &je
ho}\
\ ÷ a}e oko tvo& l\
\ kavo &st). qko aæ) blag) &sm)÷ (“h] oujk
e[xestivn moi o} qevlw poih`sai ejn toi`" ejmoi`"… h] oJ ojfqalmov" sou
ponhrov" ejstin, o{ti ejgw; ajgaqov" eijmi…”, “Aut non licet mihi quod volo
facere? an oculus tuus nequam est, quia ego bonus sum?”, Matteo 20:15);
~ |to je vidi{i s\~~ |c| ije &st) v) oc: bratra tvo&go , a br|v|¢a &je
&st) v) oc: tvo&m| ¢e ~ou&{i÷ li kako re~e{i bratrou tvo&mou.
o stavi i iæ|m\ s \~~ |c| iæ o~ese tvo&go . i se br|v|¢o v) oc: tvo&m|÷
(“tiv de; blevpei" to; kavrfo" to; ejn tw`/ ojfqalmw`/ tou` ajdelfou` sou, th;n
de; ejn tw`/ sw`/ ojfqalmw`/ doko;n ouj katanoei`"… h] pw`" ejrei`" tw`/ ajdelfw`/
sou: a[fe" ejkbavlw to; kavrfo" ejk tou` ojfqalmou` sou, kai; ijdou; hJ doko;"
ejn tw`/ ojfqalmw`/ sou…”, “quid autem vides festucam in oculo fratris tui, et
trabem in oculo tuo non vides? Aut quomodo dicis fratri tuo: Sine, eiciam
festucam de oculo tuo, et ecce trabs est in oculo tuo?”, Matteo 7:3-4).
Le proposizioni esclamative contengono un’esclamazione: s e je¢ih)
gr(det) (“ijdou; oJ numfivo" e[rcetai”, “Ecce sponsus venit”, Matteo 25:6);
g or& je ~lov:kou tomou im|je s¨¢) ~lov:~|sk¨i pr:da&t) s( (“oujai;
de; tw`/ ajnqrwvpw/ ejkeivnw/, di ou| oJ uiJo;" tou` ajnqrwvpou paradivdotai”,
“vae autem homini illi, per quem Filius hominis tradetur”, Marco 14:21).
Proposizioni volitive (o esortative, o ottative) sono quelle che esprimono
un desiderio, una volontà, un ordine: d a v)ævesel"t) s` gora sio¢|ska. i
v)ædradou+t) s` d)}eri "! < d:isk¨ (“eujfranqhvtw to; o}ro" Siw;n,
ajgalliavsqwsan aiJ qugatevre" th`" jIoudaiva"”, “laetetur mons Sion, et
230
Il paleoslavo
exsultent filiae Iudae”, Salmo 47(48):12); o t|~e moi a}e v)æmoj|¢o &st)
da mimoidet) ot) me¢e ~a{a si (“pavter mou, eij dunatovn ejstin,
parelqevtw ajp ejmou` to; pothvrion tou`to”, “Pater mi, si possibile est,
transeat a me calix iste”, Matteo 26:39); i shodite v) s)r:te¢i& &go
(“ejxevrcesqe eij" ajpavnthsin aujtou`”, “exite obviam ei”, Matteo 25:6);
r adoui s( ravvi (“cai`re, rJabbiv”, “Ave Rabbi”, Matteo 26:49); & gda
æ)va¢) b\
\ de{i ¢a brak). ¢e s(di ¢a pr:d|¢iim| m:st: … ¢ ) &gda
æ)va¢) b\
\ de{i. {|d) s(di ¢a posl:d|¢iim| m:st: (“o{tan klhqh`/"
eij" gavmou", mh; katakliqh`/" eij" th;n prwtoklisivan … ajll o{tan
klhqh`/", poreuqei;" ajnavpese eij" to;n e[scaton tovpon”, “cum invitatus
fueris ad nuptias, non discumbas in primo loco … sed cum vocatus fueris,
vade recumbe in novissimo loco”, Luca 14:8-10); ¢ e d:ite d:tii
prihoditi k) m|¢:. i ¢e bra¢ite im) (“a[fete ta; paidiva e[rcesqai
prov" me, mh; kwluvete aujtav”, “sinite parvulos venire ad me, et ne
prohibueritis eos”, Marco 10:14).
La frase complessa è formata da diverse proposizioni, poste tra loro in
rapporti di coordinazione o di subordinazione ed espresse in forma esplicita o
implicita.
Quando si ha coordinazione (paratassi) le proposizioni conservano la
propria autonomia sintattica.
Principali congiunzioni coordinative e nessi correlativi sono:
– con valore copulativo (affermativo o negativo) i - i , ¢ i - ¢ i , t akojde :
s )bira+t) je br:me¢a t(j|ka i ¢eoudob| ¢osima. i v)ælaga+t) ¢a
ple}a ~lov:~|ska (“desmeuvousin de; fortiva bareva kai; dusbavstakta
kai; ejpitiqevasin ejpi; tou;" w[mou" tw`n ajnqrwvpwn”, “alligant enim onera
gravia et importabilia et imponunt in umeros hominum”, Matteo 23:4);
– con valore avversativo j e , a , ¢ ) : a pr|stom| svoim| ¢e hot(t)
dvig¢\
\ ti ih) (“aujtoi; de; tw`/ daktuvlw/ aujtw`n ouj qevlousin kinh`sai
aujtav”, “digito autem suo nolunt ea movere”, Matteo 23:4); o ¢i je im){e
isousa v:s(
( k) kaiqf: arhiereovi. ideje k)¢i j|¢ici i star|ci
s)b|ra{( s(. petr) je id:a{e po ¢&m| iædale~e (“oiJ de; krathvsante"
Sintassi
231
to;n jIhsou`n, ajphvgagon pro;" Kai >avfan to;n ajrciereva, o{pou oiJ
grammatei`" kai; oiJ presbuvteroi sunhvcqhsan. oJ de; Pevtro" hjkolouvqei
aujtw`/ ajpo; makrovqen”, “at illi tenentes Iesum duxerunt ad Caipham principem
sacerdotum, ubi scribae et seniores convenerant. Petrus autem sequebatur eum
a longe”, Matteo 26:58);
– con valore disgiuntivo l i , i li : p okori mi s Á . i &d‘¢ooume¢) mi
b\
\ di. ili æ|l: oum|re{i (“peivqei kai; givnh/ oJ;movfrwn mou h} kakw`"
ajpoqnhvskei"”, “sottomettiti e sii a me conforme, o finirai male”, Suprasliense
65,11-12);
– con valore conclusivo o esplicativo i bo , b o : i s)¢ide d)jd| i prid\
r :k¨ i v)æv:q{( v:tri i ¢apad\ ¢ a hrami¢\ t \.. i ¢e pade s(.
o s¢ova¢a bo b: ¢a kame¢e (“kai; katevbh hJ broch; kai; h\lqon oiJ potamoi;
kai; e[pneusan oiJ a[nemoi kai; prosevpesan th`/ oijkiva/ ejkeivnh/, kai; oujk
e[pesen: teqemelivwto ga;r ejpi; th;n pevtran”, “et descendit pluvia, et
venerunt flumina, et flaverunt venti et irruerunt in domum illam, et non
cecidit: fundata enim erat super petram”, Matteo 7:25); o t|~e ot)pousti
im). ¢e v:d(t) bo s( ~|to tvor(t) (“pavter, a[fe" aujtoi`": ouj ga;r
oi[dasin tiv poiou`sin”, “Pater dimitte illis; non enim sciunt quid faciunt”,
Luca 23:34).
Particolare attenzione si deve prestare a una caratteristica sintattica del
paleoslavo, mutuata dal greco, cioè all’uso frequentissimo delle congiunzioni
i e j e con un valore che solo alla lontana si può considerare copulativo e
avversativo: i , come il kai; greco, ha la funzione di sottolineare l’andamento
della narrazione: i pri{|d) rab) pov:da gospodi¢ou svo&mou … i re~e
rab). gospodi. b¨st) &je povel:. i &}e m:sto &st). i re~e gospod|
r abou … (“kai; paragenovmeno" oJ dou`lo" ajphvggeilen tw`/ kurivw/ aujtou`
… kai; ei\pen oJ dou`lo": kuvrie, gevgonen o{ ejpevtaxa", kai; e[ti tovpo"
ejstivn. kai; ei\pen oJ kuvrio" pro;" to;n dou`lon … ”, “Et reversus servus
nuntiavit haec domino suo … Et ait servus: Domine, factum est ut imperasti, et
adhuc locus est. Et ait dominus servo …”, Luca 14:21-23); j e , come il de;
greco, costituisce un raccordo tematico tra la nuova proposizione e quanto già
detto: p etr) je v)¢: s:d:a{e ¢a dvor:. i prist\pp i k) ¢&mou &di¢a
232
Il paleoslavo
rab¨¢i glagol+}i. i t¨ b: s) isouss om| galileisk¨im|. o¢) je
ot)vr|je s( pr:d) v|s:mi glagol`. ¢e v:m| ~|to glagol&{i. i{|d){<
j e &mou v) vrata. ouæ|r: i drougaq (“oJ de; Pevtro" ejkavqhto e[xw ejn
th`/ aujlh`/: kai; prosh`lqen aujtw`/ miva paidivskh levgousa: kai; su; h\sqa
meta; jIhsou` tou` Galilaivou. oJ de; hjrnhvsato e[mprosqen pavntwn levgwn:
oujk oi\da tiv levgei". ejxelqovnta de; eij" to;n pulw`na ei\den aujto;n a[llh”,
“Petrus vero sedebat foris in atrio, et accessit ad eum una ancilla dicens: Et tu
cum Iesu Galilaeo eras. At ille negavit coram omnibus dicens: Nescio quid
dicis. Exeunte autem illo ianuam, vidit eum alia”, Matteo 26:69-75).
Quando si ha subordinazione (ipotassi) le proposizioni si distinguono in
principali (o reggenti) e subordinate. Nei riguardi della proposizione reggente
le subordinate possono svolgere funzione di soggetto, di predicato, di attributo
o di apposizione, di complemento (oggetto, di specificazione, di tempo, di
luogo, di causa, di scopo eccetera). A seconda della funzione svolta le
subordinate si caratterizzano come completive (che hanno la funzione di
soggetto o di oggetto rispetto al verbo della reggente), relative (che hanno
valore di apposizione rispetto a un membro della reggente) e circostanziali
(che hanno la funzione dei complementi indiretti e degli avverbi). Sono
proposizioni completive le dichiarative soggettive e oggettive e le
interrogative indirette. Sono proposizioni circostanziali le causali, le
temporali, le finali, le consecutive, le concessive, le condizionali, le
comparative eccetera.
7. Proposizioni completive
Proposizioni completive (soggettive, oggettive e interrogative indirette)
sono quelle frasi che fungono da soggetto o da oggetto della principale: in
paleoslavo possono essere introdotte da molteplici congiunzioni e pronomi, tra
cui le più comuni sono le congiunzioni q ko , a }e , & je , d a (con sfumatura
finale e dopo i verbi che indicano volere e disvolere), e da (dopo i verba
timendi, per es. b l<sti e b oqti s( ) e i pronomi ~ |to , k )to : d ov|l&t)
ou~e¢ikou da b\
\ det) qkoje ou~itell| &go (“ajrketo;n tw`/ maqhth`/ i{na
Sintassi
233
gevnhtai wJ" oJ didavskalo" aujtou`”, “sufficit discipulo, ut sit sicut magister
eius”, Matteo 10:25); o t) v:ka ¢:st) sl¨{a¢o qko k)to otvr|æe o~i
sl:pou rojde¢ou (“ejk tou` aijw`no" oujk hJkouvsqh o{ti hjnevw/xevn ti"
ojfqalmou`" tuflou` gegennhmevnou”, “a saeculo non est auditum quia quis
aperuit oculos caeci nati”, Giovanni 9:32); l i m|¢it) ti s( qko ¢e mog\
¢ ¨¢: oumoliti ot|ca mo&go (“h] dokei`" o{ti ouj duvnamai parakalevsai
to;n patevra mou”, “an putas, quia non possum rogare Patrem meum”, Matteo
26:53); v :ste qko po d)vo< d|¢ou pasha b¨va&t) (“oi[date o{ti meta;
duvo hJmevra" to; pavsca givnetai”, “scitis quia post biduum Pascha fiet”,
Matteo 26:2); æ akli¢a+ t( bogom| jiv¨m| da re~e{i ¢am). a}e t¨ &si
hristos) s¨¢)) bojii (“ejxorkivzw se kata; tou` Qeou` tou` zw`nto", i{na
hJmi`n ei[ph/", eij su; ei\ oJ Cristo;" oJ uiJo;" tou` Qeou`”, “adiuro te per Deum
vivum, ut dicas nobis, si tu es Christus Filius Dei”, Matteo 26:63); i
~oujdaah\
\ s( &je m\
\ jdaa{e v) cr|k)ve (“kai; ejqauvmazon ejn tw`/
cronivzein ejn tw`/ naw`/ aujtovn”, “et mirabantur, quod tardaret ipse in templo”,
Luca 1:21); ¢ e hot:a{e da bi k)to ~oul) (“oujdevna h[qelen gnw`nai”,
“neminem voluit scire”, Marco 7:24); b l<di oubo. eda sv:t) ije &st) v)
teb:. t)ma & st) (“skovpei ou\n mh; to; fw`" to; ejn soi; skovto" ejstivn”,
“vide ergo ne lumen, quod in te est, tenebrae sint”, Luca 11:35); ¢ e oum:+
¢i s)v:m). ~|to t¨ glagol&{i (“ou[te oi\da ou[te ejpivstamai su; tiv
levgei"”, “neque scio neque novi quid dicas”, Marco 14:68).
Un tipo particolare di proposizione dichiarativa è costituito dal discorso
indiretto. Diversamente da ciò che accade in italiano, in paleoslavo per
l’assenza della consecutio temporum il discorso indiretto non costituisce una
parafrasi/riscrittura del discorso diretto governata da precise regole di commutazione. La differenza tra i due costrutti è marcata solo dalla presenza della
congiunzione q ko : p etr) je v)¢: s:d:a{e ¢a dvor:. i prist\pp i k)
¢&mou &di¢a rab¨¢i glagol+}i. i t¨ b: s) isousom|| galileisk¨im|.
o¢) je ot)vr|je s( pr:d) v|s:mi glagol`. ¢e v:m| ~|to glagol&{i.
i {|d){< je &mou v) vrata. ouæ|r: i drougaq. i glagola im) tou i
s| b: ~lov:k) s) isousom| ¢aæar:¢i¢om|. i pak¨ ot)vr|je s( s)
234
Il paleoslavo
kl(tvo+. qko ¢e æ¢a+ ~lov:ka. ¢e po m)¢o™
™ : prist\p
p l| {e sto`}ei
r:{( petrovi. v) isti¢\
\ i t¨ ot) ¢i h) &si. ibo i bes:da tvoq av: t(
t vorit). t)gda ¢a~(t) rotiti s( i kl(ti s( qko ¢e æ¢a+ (“oJ de;
Pevtro" ejkavqhto e[xw ejn th`/ aujlh`/: kai; prosh`lqen aujtw`/ miva paidivskh
levgousa: kai; su; h\sqa meta; jIhsou` tou` Galilaivou. oJ de; hjrnhvsato
e[mprosqen pavntwn levgwn: oujk oi\da tiv levgei". ejxelqovnta de; eij" to;n
pulw`na ei\den aujto;n a[llh kai; levgei toi`" ejkei`: ou|to" h\n meta; jIhsou`
tou` Nazwraivou. kai; pavlin hjrnhvsato meta; o{rkou o{ti oujk oi\da to;n
a[nqrwpon. meta; mikro;n de; proselqovnte" oiJ eJstw`te" ei\pon tw`/
Pevtrw/: ajlhqw`" kai; su; ejx aujtw`n ei\, kai; ga;r hJ laliav sou dh`lovn se
poiei`. tovte h[rxato kataqemativzein kai; ojmnuvein o{ti oujk oi\da to;n
a[nqrwpon. kai; eujqevw" ajlevktwr ejfwvnhsen. kai; ejmnhvsqh oJ Pevtro"”;
“Petrus vero sedebat foris in atrio, et accessit ad eum una ancilla dicens: Et tu
cum Iesu Galilaeo eras. At ille negavit coram omnibus dicens: Nescio quid
dicis. Exeunte autem illo ianuam, vidit eum alia ancilla et ait his qui erant ibi:
Et hic erat cum Iesu Nazareno. Et iterum negavit cum iuramento: Quia non
novi hominem. Et post pusillum accesserunt qui stabant et dixerunt Petro:
Vere et tu ex illis es; nam et loquela tua manifestum te facit. Tunc coepit
detestari et iurare, quia non novisset hominem. Et continuo gallus cantavit. Et
recordatus est Petrus verbi Iesu quod dixerat: Prius quam gallus cantet, ter me
negabis. Et egressus foras flevit amare”, Matteo 26:69-75).
Di fatto, la congiunzione q ko funge da equivalente dei due punti, come è
del resto possibile anche in greco (il cosiddetto “ o{ti recitativo”).
Come in greco, il discorso indiretto può avviarsi come dichiarativa
implicita, non introdotta dalla congiunzione q ko , e trapassare in discorso
diretto: i t) æapr:ti &mou ¢ikomouje ¢e glagolati. ¢o {|d) pokaji
s( i&reovi. i pri¢esi o o~i}e¢ii svo&m| (“kai; aujto;" parhvggeilen
aujtw`/ mhdeni; eijpei`n, ajlla; ajpelqw;n dei`xon seauto;n tw`/ iJerei`, kai;
prosevnegke peri; tou` kaqarismou` sou”, “et ipse praecepit illi ut nemini
diceret; sed vade, ostende te sacerdoti et offer pro emundatione tua”, Luca
5:14).
Sintassi
235
8. Proposizioni completive implicite
Tutte le proposizioni completive possono essere implicite: si costruiscono
allora con l’accusativo con l’infinito, con il dativo con l’infinito, con un
participio congiunto in funzione di apposizione (completiva), con l’infinito
semplice.
a) infinito semplice: si usa quando il soggetto della reggente e quello della
subordinata coincidono: i hot: mi¢\tt i ` (“kai; h[qelen parelqei`n
aujtouv"”, “et volebat praeterire eos”, Marco 6:48); ¢ | ¢e hot:a{e ¢oujde+
s)tvoriti dobra (“ajll oujk hjbouvleto ajnavgkh/ poih`sai kalovn”, “ma non
voleva fare il bene a forza”, Suprasliense 408,24).
b) accusativo con l’infinito: come si è detto a proposito del complemento
oggetto, il confine tra doppio accusativo e accusativo con l’infinito è
rappresentato solo dalla presenza del verbo, grazie alla quale la costruzione del
doppio accusativo si trasforma in una proposizione completiva (qui una
interrogativa indiretta) del tipo k ogo m( glagol+t) ~lov:ci b¨ti÷ (“tivna
me levgousin oiJ a[nqrwpoi ei\nai…”, “quem me dicunt esse homines?” Marco
8:27). La corrispondente esplicita suonerebbe: “gli uomini credono che io sia
chi?”. I verbi che reggono una subordinata del tipo accusativo con l’infinito
sono gli stessi che reggono il doppio accusativo: i ¢e ostavi iti po seb: ¢i
& di¢ogo (“kai; oujk ajfh`ken oujdevna met aujtou` sunakolouqh`sai”, “et
non admisit quemquam se sequi”, Marco 5:37); i glouh¨` tvorit)
sl¨{ati. i ¢:m¨` glagolati (“kai; tou;" kwfou;" poiei` ajkouvein kai;
tou;" ajlavlou" lalei`n”, “et surdos fecit audire et mutos loqui”, Marco 7:37); "
crk–– v | tvo+ stt–\ + b¨ti s)podobi i (“kai; nao;n a[giovn sou genevsqai
kataxivwson”, “rendilo degno di essere tuo sacro tempio”, Eucologio sinaitico
81b,3); o s\d
d i{( i b¨ti povi¢|¢a s)mr|ti (“katevkrinan aujto;n e[nocon
ei\nai qanatou`”, “condemnaverunt eum esse reum mortis”, Marco 14:64).
c) dativo con l’infinito: questo costrutto è caratterizzato dal fatto che il
soggetto della subordinata implicita è posto al caso dativo: q ko dobr:& &st)
&di¢omou ~lov:kk ou oumr:ti æa l<di (“o{ti sumfevrei e{na a[nqrwpon
236
Il paleoslavo
ajpoqanei`n uJpe;r tou` laou`”, “quia expedit unum hominem mori pro populo”,
Giovanni 18:14). È chiaro che il vantaggio del mettere a morte un unico uomo
non coinvolge l’uomo in questione, che è quindi soggetto della subordinata
implicita, non certo complemento di termine del verbo “expedit”, che significa
“conviene, giova, è utile”.
In altri contesti l’analisi del caso dativo è meno univoca: p ovel:h)
herovimom) rab)sk¨ str:{ti t Á (“e[taxa ta; Ceroubi;m douloprepw`"
fulavttein se”, “ho ordinato ai cherubini di guardarti come un servo”,
Suprasliense 470,4-5); q k o podoba&t) s¨¢ou ~lov:~|skou&mou m)¢ogo
postradati (“o{ti dei` to;n uiJo;n tou` ajnqrwvpou polla; paqei`n”, “quoniam
oportet Filium hominis pati multa”, Marco 8:31); q koje ¢e b:a{e
v|m:stiti s Á ¢arodou (“w{ste mh; cwrei`sqai aujtou;" pavnta"”, “poiché
non era possibile alla folla starci”, Suprasliense 109,2-3).
Eventuali predicati concordano con il soggetto al caso dativo (doppio
dativo): w ot)da¢|i gr:hov). " o iæb¨t|i pr:gr:{e¢ei. " b¨ti emou
v ¨{){< mir)¢¨h) pe~alei. g <o spod >< pomo <l im)s( > (“uJpe;r ajfevsew"
aJmartiw`n kai; sugcwrhvsew" tw`n plhmmelhmavtwn aujtou` kai; tou`
genevsqai aujto;n uJyhlovteron tw`n tou` kovsmou fronhmavtwn - tou`
Kurivou <dehqw`men>”, “per la remissione dei peccati e per la cancellazione
delle colpe e per essere lui superiore agli affanni di questo mondo, Signore,
preghiamo”, Eucologio sinaitico 98b,8).
Il dativo con l’infinito corrisponde alla costruzione greca dell’accusativo
con l’infinito: cfr. infatti s )tvor\ h erovim) pokla¢qti ti s Á (“poiw` ta;
Ceroubi;m proskunh`saiv se”, “farò che i cherubini ti si inchinino”,
Suprasliense 470,5-6). Il costrutto non va confuso con periodi nei quali il
dativo, sia retto dal verbo della principale sia retto dall’infinito, non costituisca
il soggetto della subordinata esplicita: per esempio nella frase ¢ a~(t) im)
glagolati. &je hot:a{e b¨ti &mou (“h[rxato aujtoi`" levgein ta;
mevllonta aujtw`/ sumbaivnein”, “coepit illis dicere quae essent ei eventura”,
Marco 10:32) non possiamo parlare di dativo con l’infinito perché soggetto
della subordinata non è Gesù, ma le cose che stanno per succedergli.
Sintassi
237
d) participio congiunto: si tratta di un costrutto molto comune in
paleoslavo così come in greco, destinato a divenire marca stilistica di registri
aulici e classicheggianti. A distinguerlo dall’accusativo con l’infinito è solo il
fatto che il predicato sia un participio: i m:i m( ot)re~e¢a (“e[ce me
parh/thmevnon”, “habe me excusatum”, Luca 14:18) i m:i m( ot)rek){a s(
(“e[ce me parh/thmevnon”, “habe me excusatum”, Luca 14:19); o t)sel:
ouæ|rite s¨¢a ~lov:~|ska&go. s:d(}a o des¢\
\ + sil¨. i gr(d\
\ }a ¢a
o blac:h) ¢ebes|sk¨ih) (“ajp a[rti o[yesqe to;n uiJo;n tou` ajnqrwvpou
kaqhvmenon ejk dexiw`n th`" dunavmew" kai; ejrcovmenon ejpi; tw`n nefelw`n
tou` oujranou`”, “amodo videbitis Filium hominis sedentem a dextris virtutis et
venientem in nubibus caeli”, Matteo 26:64); s mok)v|¢ic\ i m:a{e eter) v)
vi¢ograd: svo&m| v)sajde¢\
\ (“sukh`n ei\cevn ti" pefuteumevnhn ejn tw`/
ajmpelw`ni aujtou`”, “arborem fici habebat quidam plantatam in vinea sua”,
Luca 13:6); k ogo glagol+t) ~lov:ci s\}
} a s¨¢a ~lov:~|ska&go÷ (“tivna
levgousin oiJ a[nqrwpoi ei\nai to;n uiJo;n tou` ajnqrwvpou…”, “quem dicunt
homines esse Filium hominis?” Matteo 16:13); k )gda je t( vid:hom)
bol(}a (“povte dev se ei[domen ajsqenh`”, “quando te vidimus infirmum”,
Matteo 25:39); o ¢i je vid:v){e i po mor< hod(}| (“oiJ de; ijdovnte"
aujto;n ejpi; th`" qalavssh" peripatou`nta”, “at illi ut viderunt eum
ambulantem supra mare”, Marco 6:49); i ic:li `. qko ¢arodou diviti
s(. vid(}e ¢:m¨` glagol+}( i b:d|¢¨` s)drav¨ i hrom¨` hod(}(
i sl:p¨` vid(}( (“kai; ejqeravpeusen aujtouv": w{ste tou;" o[clou"
qaumavsai blevponta" kwfou;" lalou`nta", kullou;" uJgiei`" kai; kwlou;"
peripatou`nta" kai; tuflou;" blevponta"”, “et curavit eos, ita ut turbae
mirarentur, videntes mutos loquentes, claudos ambulantes, caecos videntes”,
Matteo 15:31).
9. Proposizioni relative
Le proposizioni relative rappresentano la più antica e più semplice forma di
subordinazione dell’indoeuropeo. Introdotte da pronomi relativi e relativi
indefiniti (i je , i je kolij|do , i je a}e , q k) , q k)je , & lik) ) e da avverbi
relativi e relativi indefiniti (& gda , & gdaje , q moje , q moje kolij|do ,
238
Il paleoslavo
ideje , i deje kolij|do ) le relative proprie, o determinative, specificano un
elemento della reggente, di cui costituiscono una sorta di apposizione: ~ |to je
vidi{i s\
\ ~|c| ije &st) v) o~ese bratra tvo&go , a br|v|¢a &je &st) v)
o~ese tvo&m| ¢e ~ou&{i÷ (“tiv de; blevpei" to; kavrfo" to; ejn tw`/
ojfqalmw`/ tou` ajdelfou` sou, th;n de; doko;n th;n ejn tw`/ ijdivw/ ojfqalmw`/ ouj
katanoei`"…”, “quid autem vides festucam in oculo fratris tui, trabem autem,
quae in oculo tuo est, non consideras?”, Luca 6:41); o t|~e ¢a{| ije &si ¢a
¢ebess |h) (“pavter hJmw`n oJ ejn toi`" oujranoi`"”, “Pater noster, qui es in
caelis”, Matteo 6:9); & goje a}e lob)j\ t ) &st) (“o}n a]n filhvsw, aujtov"
ejstin”, “quemcumque osculatus fuero, ipse est”, Matteo 26:48); i &je a}e
s)v(je{i ¢a æemlli . b\
\ det) s)v(æa¢o ¢ a ¢ebes|h) (“kai; o} eja;n dhvsh/"
ejpi; th`" gh`" e[stai dedemevnon ejn toi`" oujranoi`"”, “et quodcumque
ligaveris super terram, erit ligatum et in caelis”, Matteo 16:19); & mouje
¢:sm| dostoi¢) poklo¢¢| s( raædr:{iti reme¢e sapogou &go (“ou| oujk
eijmi; iJkano;" kuvya" lu`sai to;n iJmavnta tw`n uJpodhmavtwn aujtou`”, “cuius
non sum dignus procumbens solvere corigiam calceamentorum eius”, Marco
1:7); b \d
d et) bo t)gda sk r)b| veliq. qkaje ¢e b¨la. ot) ¢a~ala v|sego
mira. do sel: (“e[stai ga;r tovte qli`yi" megavlh, oi{a ouj gevgonen ajp
ajrch`" kovsmou e{w" tou` nu`n”, “erit enim tunc tribulatio magna, qualis non
fuit ab initio mundi usque modo”, Matteo 24:21); i raæg)¢\vv ) k)¢ig¨
obr:te m:sto. ideje b: ¢apisa¢o (“kai; ajnoivxa" to; biblivon eu|ren to;n
tovpon ou| h\n gegrammevnon”, “Et ut revolvit librum invenit locum ubi
scriptum erat”, Luca 4:17); & liko ho}ete da tvor(t) vam) ~lov:ci. tako
i v¨ tvorite im) (“pavnta ou\n o{sa eja;n qevlhte i{na poiw`sin uJmi`n oiJ
a[nqrwpoi, ou{tw" kai; uJmei`" poiei`te aujtoi`"”, “omnia ergo quaecumque
vultis ut faciant vobis homines, et vos facite illis”, Matteo 7:12); s i v)
vita¢ii b¨{( ob) o¢) pol) ior)da¢a. ideje b: ioa¢¢) kr|st( (“tau`ta
ejn Bhqaniva/ ejgevneto pevran tou` jIordavnou, o{pou h\n oJ jIwavnnh"
baptivzwn”, “haec in Bethania facta sunt trans Iordanem, ubi erat Iohannes
baptizans”, Giovanni 1:28); q moje aæ) id\ ¢ e moje{i ¢¨¢: po m|¢:
iti (“o{pou uJpavgw ouj duvnasaiv moi nu`n ajkolouqh`sai”, “quo ego vado,
non potes me modo sequi”, Giovanni 13:36); o u~itel< id\ p o teb: qmoje
Sintassi
239
kolij|| do ide{i (“didavskale, ajkolouqhvsw soi o{pou eja;n ajpevrch/”,
“magister, sequar te, quocumque ieris”, Matteo 8:19).
Le relative possono avere valore finale, causale, temporale, ipotetico,
concessivo eccetera: si parla in questo caso di relative improprie, o
circostanziali: ¢ o &je a}e dast) s( vam) v) t) ~as). to glagolite
(“ajll o} eja;n doqh`/ [ejavn + congiuntivo: eventualità] uJmi`n ejn ejkeivnh/ th`/
w{ra/, tou`to lalei`te”, “sed quod datum vobis fuerit in illa hora, id
loquimini”, Marco 13:11); v ) to je vr:m Á &g ’d a st– ¨ ` m\~~ aah\.. b:a{e
stoude¢| velika (“kata; de; to;n kairo;n ejkei`non, o{te oiJ a{gioi
ejmartuvrhsan, ei\cen kruvo" mevga”, “in quel tempo, quando i santi subivano
il martirio, faceva molto freddo”, Suprasliense 76,10-12); p rid\tt ) je d|¢e.
& gdaje ot)imet) s( ot) ¢ih) je¢ih) (“ejleuvsontai de; hJmevrai o{tan
ajparqh`/ ajp aujtw`n oJ numfivo"”, “venient autem dies, cum auferetur ab eis
sponsus”, Matteo 9:15).
Come in greco, il pronome relativo può trovarsi in posizione prolettica,
cioè anticipare la proposizione reggente della relativa, e il suo antecedente
dimostrativo può essere taciuto: ¢ a ¢&je &si pri{|l) tvori (“ejf o} pavrei
eJtai`re”, “ad quod venisti, fac”, Matteo 26:50). Ciò avviene in particolare
quando si abbia la cosiddetta “attrazione diretta del pronome relativo”, quando
cioè il pronome relativo, che dovrebbe andare al caso nominativo o accusativo,
viene “attratto” nel caso obliquo del nome cui si riferisce e viene retto dalla
stessa preposizione: i ¢ik)to je ¢e v:st) k)to &st) … o t|c| t)k)mo
s¨¢) i &mouje a}e ho}et) s¨¢) qviti (“kai; oujdei;" ginwvskei tiv"
ejstin … oJ path;r eij mh; oJ uiJo;" kai; w|/ eja;n bouvlhtai oJ uiJo;"
ajpokaluvyai”, “et nemo scit quis sit … Pater nisi Filius et cui voluerit Filius
revelare”, Luca 10:22); p ridet) gospodi¢) raba togo v) d|¢| v) ¢| je ¢e
~a&t). i v) ~as) v) ¢| je ¢e v:st) (“h{xei oJ kuvrio" tou` douvlou ejkeivnou
ejn hJmevra/ h/| ouj prosdoka`/ kai; ejn w{ra/ h|/ ouj ginwvskei”, “veniet dominus
servi illius in die qua non sperat, et hora qua ignorat”, Matteo 24:50).
Diversamente dal greco, da cui questo costrutto è mutuato, il paleoslavo e
successivamente lo slavo ecclesiastico utilizzano di rado e sempre meno
questo tipo di concordanza, che verrà reintrodotta come norma all’epoca delle
240
Il paleoslavo
riforme nikoniane: i glagola ima. id:ta v) v|s| qje &st) pr:mo vama.
i abi& v)hod(}a v) ¢+ obr(}eta jr:b|c| priv(æa¢). ¢a ¢&m|je
¢:st) ¢e ou ¢ik)toje ot) ~lov:k)v) s:l) (“kai; levgei aujtoi`": uJpavgete
eij" th;n kwvmhn th;n katevnanti uJmw`n, kai; eujqu;" eijsporeuovmenoi eij"
aujth;n euJrhvsete pw`lon dedemevnon, ejf o}n oujdei;" ou[pw ajnqrwvpwn
ejkavqisen”, “et ait illis: ite in castellum, quod contra vos est, et statim
introeuntes illuc invenietis pullum ligatum, super quem nemo adhuc hominum
sedit”, Marco 11:2).
10. Proposizioni circostanziali
Le proposizioni circostanziali sono nella frase complessa ciò che i
complementi sono nella frase semplice: servono cioè a specificare le
circostanze nelle quali si svolge l’azione della reggente cui si riferiscono. Le
circostanziali sono definite, in base alla funzione logica che svolgono, causali,
comparative, concessive, consecutive, finali, ipotetiche, temporali eccetera.
Queste definizioni sono tuttavia di scarsa rilevanza, tanto più che il paleoslavo
non possiede strumenti sintattici atti a differenziare le subordinate che siano
paragonabili a quelli del latino e del greco.
Ciò che distingue i vari tipi di subordinata circostanziale è, a livello
formale, la sola congiunzione o avverbio da cui è introdotta; ma molte
congiunzioni introducono diverse subordinate circostanziali: & je , che
abbiamo visto introdurre le completive, introduce anche proposizioni causali,
temporali, ipotetiche; q ko introduce tutto. In quanto al modo verbale, che
tanta importanza ha in greco e in latino, il paleoslavo non possiede la
ricchezza di quelle: le subordinate utilizzano nella grande maggioranza dei
casi il modo indicativo. Quando la proposizione abbia valore ipotetico o
ottativo il paleoslavo ricorre a una costruzione perifrastica, detta ora uslovnoe
naklonenie (letteralmente “modo condizionale”), ora soslagatel’noe
naklonenie (letteralmente “modo congiuntivo”), formata dal participio perfetto
e dall’ausiliare b ¨ti coniugato in un modo particolare, che potrebbe risalire
all’antico ottativo i.e. (v. p. 194).
Sintassi
241
11. Proposizioni ipotetiche e periodo ipotetico
Le proposizioni ipotetiche sono introdotte dalle congiunzioni a }e , & je ,
& l|ma , & gda . Di queste, & je , & l|ma e & gda reggono sempre l’indicativo: i
&je pl|ti+ pob:jde¢i b¨ste. kr:posti+ d{
{–) ¢\+
+ pob:dite (“kai; eij
th`/ sarki; hjtthvqhte, th`/ ejnstavsei th`" yuch`" nikhvsate”, “e se siete stati
vinti nel corpo, vincerete per forza d’animo”, Suprasliense 108,21-22); & lma
gospodi¢) moi gospojde ¢e v:st) ¢i~soje iæ me¢e … k ako mog\ a æ)
s)tvoriti ¢epriqæ¢i¢o& se d:lo (“eij oJ Kuvriov" mou, devspoina, ouj
ginwvskei di ejmev ti … pw`" poihvsw to; ponhro;n tou`to”, “se il mio
Signore, o signora, non sa nulla di me … come posso fare questa cosa
malvagia”, Suprasliense 366,3-8); s ego rad" ¢e oubo"m) s` egda
s)m\
\ }aet) s` æeml: (“di;a tou`to ouj fobhqhsovmeqa ejn tw`/
taravssesqai th;n gh`n”, “propterea non timebimus, dum turbabitur terra”,
Salmo 45(46):3). In quanto ad a }e , la congiunzione di maggior utilizzo nelle
ipotetiche, essa regge l’indicativo o il cosiddetto condizionale in proposizioni
che conviene considerare quali protasi di un periodo ipotetico. L’assenza di
desinenze specifiche per i modi ottativo e congiuntivo fa sì che il periodo
ipotetico non abbia la complessa strutturazione del greco e del latino: protasi e
apodosi, condizioni e conseguenze si costruiscono per mezzo della stessa
costruzione perifrastica. Rispetto ai quattro tipi di periodo ipotetico del greco
classico (realtà, eventualità, possibilità, irrealtà), già peraltro ridotti a tre nel
Nuovo Testamento a causa della “morte” dell’ottativo, il paleoslavo distingue
solo tra realtà (realtà e eventualità) e non realtà (possibilità e irrealtà),
utilizzando la costruzione perifrastica per esprimere i modi della non realtà:
a) realtà e eventualità: a }e k)to imat) ou{i sl¨{ati da sl¨{it) (“ei[
ti" e[cei [eij + indicativo: realtà] w\ta ajkouvein, ajkouevtw”, “si quis habet
aures audiendi, audiat”, Marco 7:16); o t|~e moi a}e ¢e v)æmojet) ~a{a si
mimoiti ot) me¢e. a}e ¢e pi+ &`. b\
\ di volq tvoq (“pavter mou, eij
ouj duvnatai [eij + indicativo: realtà] tou`to parelqei`n, eja;n mh; aujto; pivw
[ejavn + congiuntivo: eventualità], genhqhvtw to; qevlhmav sou”, “Pater mi, si
non potest hic calix transire, nisi bibam illum, fiat voluntas tua”, Matteo
\ piti i "! æ b:g¢\
\ ti. prib:jit) k)
26:42); d a a{te k ’t o ho{tet) prist\
242
Il paleoslavo
ba¢¢i (“o{pw" ejavn ti" qevlh/ [ejavn + congiuntivo: eventualità] parabh`nai,
prosfuvgh/ tw`/ balaneivw/”, “affinché, se qualcuno voleva muoversi e
scappare, corresse nella piscina”, Suprasliense 76,18-19); i a}e vama k)to
r e~et) ~|to se d:&ta. r|c:ta qko gospod| tr:bou&t). i abi& pak¨
pos)l&t) i s:mo (“kai;
ejavn ti" ujmi`n ei[ph/ [ejavn + congiuntivo:
eventualità]: tiv poiei`te tou`to… ei[pate: oJ Kuvrio" aujtou` creivan e[cei,
kai; eujqu;" aujto;n ajpostevllei pavlin w|de”, “et si quis vobis dixerit: quid
facitis? dicite, quia Domino necessarius est, et continuo illum dimittet huc”,
Marco 11:3);
b) possibilità e irrealtà: a }e bo biste v:r\ i mali moseovi. v:r\ b iste
`li i m|¢: (“eij ga;r ejpisteuvete Mwu >sei` [eij + imperfetto indicativo:
irrealtà nel presente], ejpisteuvete a]n ejmoiv”, “si enim crederetis Moysi,
crederetis forsitan et mihi”, Giovanni 5:46); a }e ¢e bi b¨l). s| æ)lod:i. ¢e
bim) pr:dali &go teb: (“eij mh; h\n [eij + imperfetto indicativo: irrealtà
nel presente] ou|to" kako;n poiw`n, oujk a[n soi paredwvkamen aujtovn”, “si
non esset hic malefactor, non tibi tradidissemus eum”, Giovanni 18:30); d obro
bi &mou b¨lo a}e ¢e bi rodil) s( ~lov:k) t) (“kalo;n h\n aujtw`/, eij
oujk ejgennhvqh [eij + aoristo: irrealtà nel passato] oJ a[nqrwpo" ejkei`no"”,
“bonum erat ei, si natus non fuisset homo ille”, Marco 14:21).
Delle restanti proposizioni circostanziali hanno una fisionomia meglio
definita le proposizioni causali, concessive, consecutive, finali e temporali. La
congiunzione più utilizzata è q ko , q koje , al punto che potrebbe essere utile
parlare di un gruppo di subordinate introdotte da un “che subordinante
generico”, o “polivalente”, sul cui sfondo far risaltare le proposizioni dalla
semantica più definita.
12. Proposizioni causali
Le proposizioni causali sono introdotte dalle congiunzioni q ko , & je ,
& l|ma , æ a¢& , æ a¢&je , p o¢& , p o¢&je + indicativo: s ego radi v¨ ¢e
poslou{a&te. qko ¢:ste ot) boga (“dia; tou`to uJmei`" oujk ajkouvete, o{ti
ejk tou` Qeou` oujk ejstev”, “propterea vos non auditis , quia ex Deo non estis”,
Sintassi
243
Giovanni 8:47); r adouite s( i veselite s(. qko m|æda va{a m)¢oga
&st) ¢a ¢ebes|h) (“caivrete kai; ajgallia`sqe, o{ti oJ misqo;" uJmw`n polu;"
ejn toi`" oujranoi`"”, “gaudete et exsultate, quoniam merces vestra copiosa est
in caelis”, Matteo 5:12); r adou+ s Á t akojde. &je vijd\ o trok¨
prostom) (æ¨kom| i d:lesem|. p:s¢| c:sarou tvor Á {t Á (“caivrw me;n
wJsauvtw" oi|" oJrw` pai`da" ejleuqevra/ kai; glwvssh/ kai; pravxei th;n
ajnavrrhsin tou` basilevw" poioumevnou"”, “mi rallegro inoltre perché vedo
fanciulli che con linguaggio e azioni libere cantano le lodi del re”,
Suprasliense 332,30 - 333,3); ¢ ) &l ’m a oubo t){ti{i s Á ¢ a s)mr|t|. jiv)
da iægori{i (“ejpei; ou\n speuvdei" ejpi; to;n qavnaton zw`n kahvsh/”,
“poiché ti affretti alla morte, che tu arda vivo”, Suprasliense 140, 20-21);
& lma oubo domou ¢e im:a{e vlad¨ka. sego d:l ‘m a oubo glagol\ t) …
(“ejpei; ou\n oijkivan oujk ei\cen oJ Despovth", dia; tou`to aujtw`/ levgousi
…”, “poiché dunque a casa non c’era il padrone, per questo dicono …”,
d e{i ml|~(. i ¢e mog¨i proglagolati. do
Suprasliense 416,1-3); i se b\d
¢&goje d|¢e b\
\ det) se. æa¢& ¢e v:rova. sloves|m) moim) (“kai; ijdou;
e[sh/ siwpw`n kai; mh; dunavmeno" lalh`sai, a[cri h|" hJmevra" gevnhtai
tau`ta, ajnq w|n oujk ejpivsteusa" toi`" lovgoi" mou”, “et ecce eris tacens et
non poteris loqui usque in diem, quo haec fiant, pro eo quod non credidisti
verbis meis”, Luca 1:20); ¢ e dostoi¢o &st) v)lojiti &go v) kar)va¢\..
po¢&je c:¢a kr)ve &st) (“oujk e[xestin balei`n aujta; eij" to;n korbana`n,
ejpei; timh; ai{matov" ejstin”, “non licet eos mittere in corbonam, quia pretium
sanguinis est”, Matteo 27:6).
13. Proposizioni concessive
Le proposizioni concessive sono introdotte dalle congiunzioni a }e , a }e i ,
q ko + indicativo o “condizionale”: v :rou`i v) m(. a}e oum|ret) ojivet)
(“oJ pisteuvwn eij" ejme; ka]n ajpoqavnh/ zhvsetai”, “qui credit in me, etiam si
mortuus fuerit, vivet”, Giovanni 11:25); a }e i v|si s)blaæ¢(t) s( o teb:.
aæ) ¢ikolije ¢e s)blaj¢+ s( (“eij pavnte" skandalisqhvsontai ejn soiv,
ejgw; oujdevpote skandalisqhvsomai”, “et si omnes scandalizati fuerint in te,
ego nunquam scandalizabor”, Matteo 26:33); a a{te i &di¢) bi b¨l)
244
~oudim¨i.
Il paleoslavo
dov|l:a{e
¢a{ei
sil: odol:ti
(“eij kai; ei\" h\n oJ
qaumazovmeno", thvn ge tw`n hJmetevrwn lovgwn duvnamin ejxhvrkei
katapalai`sai”, “se anche fosse stato uno solo quello degno di meraviglia,
basterebbe a superare la forza delle nostre parole”, Suprasliense 82,28-29).
14. Proposizioni consecutive
Le proposizioni consecutive sono introdotte da q ko + indicativo: v l|¢¨ je
v)livaah\
\ s( v) ladi+. qko ouje pogr(æ¢\
\ ti hot:a{e (“ta; kuvmata
ejpevballen eij" to; ploi`on, w{ste h[dh gemivzesqai to; ploi`on”, “fluctus
mittebat in navim, ita ut impleretur navis”, Marco 4:37); s )r:tete i d)va
b :s|¢a … l <ta ™:lo. qk o ¢e mojaa{e ¢ik)toje. mi¢\tt i p\tt |m| t:m|
(“uJphvnthsan aujtw`/ duvo daimonizovmenoi … calepoi; livan, w{ste mh;
ijscuvein tina; parelqei`n dia; th`" oJdou` ejkeivnh"”, “occurrerunt ei duo
habentes daemonia … saevi nimis, ita ut nemo posset transire per viam illam”,
Matteo 8:28); k )to s| &st). qko v:tri. i mor& poslou{a+t) &go÷
(“potapov" ejstin ou|to", o{ti kai; oiJ a[nemoi kai; hJ qavlassa aujtw`/
uJpakouvousin…”, “qualis est hic, quia venti et mare oboediunt ei?”, Matteo
8:27).
15. Proposizioni finali
Le proposizioni finali sono introdotte dalle congiunzioni d a , q ko da , e da ,
e da kako + indicativo o “condizionale”: m olite s( oubo gospodi¢ou
j(tv: da iævedet) d:latel` ¢a j(tv\
\ svo+ (“dehvqvhte ou\n tou`
kurivou tou` qerismou`, o{pw" ejkbavlh/ ejrgavta" eij" to;n qerismo;n aujtou`”,
“rogate ergo Dominum messis, ut mittat operarios in messem suam”, Matteo
9:38); b )dite i molite s( da ¢e v)¢idete v) ¢apast| (“grhgorei`te kai;
proseuvcesqe, i{na mh; eijsevlqhte eij" peirasmo;n”, “vigilate et orate, ut non
intretis in tentationem”, Matteo 26:41); s )v:t) s)tvori{( … q ko da
obl|st(t) i slovom| (“sumbouvlion e[labon o{pw" aujto;n pagideuvswsin
ejn lovgw/”, “consilium inierunt ut caperent eum in sermone”, Matteo 22:15);
m olqa{e i b:s|¢ovav¨i s(. da bi s) ¢i m| b¨l) (“parekavlei aujto;n oJ
daimonisqei;" i{na met aujtou` h/\”, “a daemonio vexatus fuerat, ut esset cum
Sintassi
245
illo”, Marco 5:18); æ akli¢a+ t( bogom| jiv¨im| da re~e{i ¢am). a}e
t¨ &si hristos) s¨¢) bojii (“ejxorkivzw se kata; tou` Qeou` tou`
zw`nto", i{na hJmi`n ei[ph/", eij su; ei\ oJ Cristo;" oJ uiJo;" tou` Qeou`”,
“adiuro te per Deum vivum, ut dicas nobis, si tu es Christus Filius Dei”,
Matteo 26:63); æ apr:ti im). da ¢e av: &go s)tvor(t) (“kai; ejpetivmhsen
aujtoi`", i{na mh; fanero;n aujto;n poihvswsin”, “et praecepit eis ne
manifestum eum facerent”, Matteo 12:16); r abi je r:{( &mou. ho}e{i li
oubo da {|d){e ispl:vem) `. o¢) je re~e ¢i. eda v)str)ga+}e
p l:vel). v)str)g¢ete koup|¢o s) ¢i m| i p|{e¢ic \ (“oiJ de; dou`loi aujtw`/
levgousin: qevlei" ou\n ajpelqovnte" sullevxwmen aujtav… oJ dev fhsin: ou[,
mhvpote sullevgonte" ta; zizavnia ejkrizwvshte a{ma aujtoi`" to;n si`ton”,
“servi autem dixerunt ei: Vis, imus et colligemus ea? Et ait: Non, ne forte
colligentes zizania eradicetis simul cum eis et triticum”, Matteo 13:28-29);
o t)v:}a{( je m\d
d r¨` glagol+}(. eda kako ¢e dosta¢et) ¢am) i
vam). id:te je pa~e k) proda+}iim) i koupite seb: (“ajpekrivqhsan
de; aiJ frovnimoi levgousai: mhv pote ouj mh; ajrkevsh/ hJmi`n kai; uJmi`n:
poreuvesqe ma`llon pro;" tou;" pwlou`nta" kai; ajgoravsate eJautai`"”,
“responderunt prudentes dicentes: Ne forte non sufficiat nobis et vobis, ite
potius ad vendentes et emite vobis”, Matteo 25:9).
16. Proposizioni temporali
Le proposizioni temporali sono introdotte dalle congiunzioni & gda ,
& gdaje , q ko , & je , d a , d o¢| de , d o¢| deje , d okol: , o t)¢&lije , p r:jde
daje , e simili + indicativo: ¢ e oum¨va+t) bo r\kk ) svoih). &gda hl:b)
qd(t) (“ouj ga;r nivptontai ta;" cei`ra", o{tan a[rton ejsqivwsin”, “non
enim lavant manus suas cum panem manducant”, Matteo 15:2); i &gdaje
id:a{e ¢arodi oug¢:taah\
\ i (“ejn de; tw`/ uJpavgein aujto;n oiJ o[cloi
sunevpnigon aujtovn”, “et contigit, dum iret, a turbis comprimebatur”, Luca
8:42); p r:jde daje kokot) ¢e v)æglasit). tri krat¨ ot)vr|je{i s(
m e¢e (“pri;n ajlevktora fwnh`sai tri;" ajparnhvsh/ me”, “prius quam gallus
cantet, ter me negabis”, Matteo 26:75); s :dite tou. do¢| deje {|d)
pomol+ s( tamo (“kaqivsate aujtou` e{w" ou| ajpelqw;n ejkei`
246
Il paleoslavo
proseuvxwmai”, “sedete hic donec vadam illuc et orem”, Matteo 26:36);
p ridet) godi¢a. da v|sqk)i je oubiet) v¨. m|¢it) s( slouj|b\
p ri¢ositi bogou (“e[rcetai w{ra i{na pa`" oJ ajpokteivna" uJma`" dovxh/
latreivan prosfevrein tw`/ Qew`/”, “venit hora, ut omnis, qui interficit vos,
arbitretur obsequium se praestare Deo”, Giovanni 16:2); i b¨st). qko
v)æleje s) ¢i ma. pri&m) hl:b) blagoslovi (“kai; ejgevneto ejn tw`/
katakliqh`nai aujto;n met aujtw`n labw;n to;n a[rton eujlovghsen”, “et
factum est, dum recumberet cum eis, accepit panem et benedixit”, Luca
24:30); t )gda bo &je i v|æ Á h l:b) i<da. tou v)sko~i v| ¢| diqvol)
(“kai; ga;r tovte, meta; to; labei`n th;n prosforavn, ejpephvdhse tw`/ jIouvda/
oJ diavbolo"”, “allora non appena prese il pane Giuda, subito gli si avventò
contro il diavolo”, Suprasliense 421,2).
17. Proposizioni circostanziali implicite
Le proposizioni circostanziali possono essere implicite: si costruiscono
allora con l’infinito, semplice o retto da q ko , d a , oppure con un participio al
caso dativo (dativo assoluto). Questo costrutto, equivalente al genitivo
assoluto del greco, è costituito da un sostantivo o pronome che funge da
soggetto e da un participio che funge da predicato, entrambi declinati al caso
dativo. Il soggetto è per lo più differente da quello della reggente, ma, come in
greco, sono possibili eccezioni a questa norma.
Il dativo assoluto può assumere valore temporale, causale e concessivo.
Le finali implicite sono introdotte da q ko + infinito oppure espresse con il
supino (dopo i verbi di moto): s )v(j:te ` v)s¢op¨. qko s)je}i `
(“dhvsate aujta; eij" devsma" pro;" to; katakau`sai aujtav”, “alligate ea in
fasciculos ad comburendum”, Matteo 13:30); s )v:t) s)tvori{( … q ko
oubiti i (“sumbouvlion e[labon … w{ste qanatw`sai aujtovn”, “consilium
inierunt … ut eum morti traderent”, Matteo 27:1); p ri{l¨ bo b:{ Á q koje
maslo v|liqti (“kai; ga;r h\san paragenovmenai, w{ste e[laion balei`n”,
“erano giunte infatti a versare unguento”, Suprasliense 445,2); i id:ah\
v |si k)j|do ¢ap|sat) s( v) svoi grad) (“kai; ejporeuvonto pavnte"
Sintassi
247
ajpogravfesqai, e{kasto" eij" th;n eJautou` povlin”, “et ibant omnes ut
profiterentur singuli in suam civitatem”, Luca 2:3); s \pp r\gg ) volov|¢¨ih)
k oupih) p(t). i gr(d\ i skousit) ih) (“zeuvgh bow`n hjgovrasa pevnte,
kai; poreuvomai dokimavsai aujtav”, “iuga boum emi quinque et eo probare
illa”, Luca 14:19).
Le consecutive implicite sono introdotte da q ko , d a + infinito: i se tr\ss )
velii b¨st) v) moo ri . qko pokr¨vati s( korabl< vl|¢ami (“kai; ijdou;
seismo;" mevga" ejgevneto ejn th`/ qalavssh/, w{ste to; ploi`on kaluvptesqai
uJpo; tw`n kumavtwn”, “et ecce motus magnus factus est in mari, ita ut navicula
operiretur fluctibus”, Matteo 8:24); i abi& s)b|ra{( s( m)¢o™i. qkoje
k )tomou ¢e v)m:}ati s( ¢i pr:d) dv|r|mi (“kai; sunhvcqhsan polloiv,
w{ste mhkevti cwrei`n mhde; ta; pro;" th;n quvran”, “et convenerunt multi,
ita ut non caperet neque ad ianuam”, Marco 2:2); i ic:li `. qko ¢arodou
diviti s(. vid(}e ¢ :m¨` glagol+}( i b:d|¢¨` s)drav¨ i hrom¨`
hod(}( i sl:p¨` vid(}( (“kai; ejqeravpeusen aujtouv": w{ste tou;"
o[clou" qaumavsai blevponta" kwfou;" lalou`nta", kullou;" uJgiei`" kai;
kwlou;" peripatou`nta" kai; tuflou;" blevponta"”, “et curavit eos, ita ut
turbae mirarentur, videntes mutos loquentes, claudos ambulantes, caecos
videntes”, Matteo 15:31); t olika bo sila b:a{e ou~itelq. da i
bl\
\ d¢ica privl:}i ¢a svo& poslou{a¢ie (“tosauvth ga;r h\n hJ
duvnami" tou` didaskavlou, wJ" kai; povrna" ejpispa`sqai eij" th;n oijkeivan
uJpakohvn”, “tale era la forza del maestro, da costringere anche le prostitute ad
ascoltarlo”, Suprasliense 408, 20-21).
Le temporali, le causali e le concessive implicite sono espresse nella
maggioranza dei casi con un dativo assoluto: p oæd: je b¨v){i. &gdaje
æ ahojdaa{e sl)¢|ce. pri¢o{aah\ k ) ¢&mou v|s( ¢ed\j
j |¢¨` (“ojyiva"
de; genomevnh", o{te e[dusen oJ h{lio", e[feron pro;" aujto;n pavnta" tou;"
kakw`" e[conta"”, “vespere autem facto, cum occidisset sol, afferebant ad eum
omnes male habentes”, Marco 1:32); i jdiv){ou je &mou v|sq. b¨st)
glad) kr:p)k) ¢a stra¢: toi (“dapanhvsanto" de; aujtou` pavnta
ejgevneto limo;" ijscura; kata; th;n cwvran ejkeivnhn”, “et postquam omnia
248
Il paleoslavo
consummasset, facta est fames valida in regione illa”, Luca 15:14); i {|d){ou
j e &mou v) vrata. ouæ|r: i drougaq (“ejxelqovnta de; eij" to;n pulw`na
ei\den aujto;n a[llh”, “exeunte autem illo ianuam, vidit eum alia”, Matteo
26:71); m \d
d (}ou je je¢ihou. v)ædr:ma{( s( v|s( i s)paah\
(“cronivzonto" de; tou` numfivou ejnuvstaxan pa`sai kai; ejkavqeudon”,
“moram autem faciente sponso, dormitaverunt omnes et dormierunt”, Matteo
25:5-6); i ¢edostav){ou vi¢ou. glagola mati isousova k) ¢&mou. vi¢a
¢e im\
\ t) (“kai; uJsterhvsanto" oi[nou levgei hJ mhvthr tou` jIhsou` pro;"
aujtovn: oi\non oujk e[cousin”, “et deficiente vino, dicit mater Iesu ad eum:
vinum non habent”, Giovanni 2:3); t olika je æ¢ame¢iq s)tvor|{ou &mou
pr:d) ¢i mi. ¢e v:rovaah\
\ v)¢| (“tosau`ta de; aujtou` shmei`a
pepoihkovto" e[mprosqen aujtw`n oujk ejpivsteuon eij" aujtovn”, “cum autem
tanta signa fecisset coram eis, non credebant in eum”, Giovanni 12:37); i
tolikou s\
\ }<. ¢e protr)je s( mr:ja (“kai; tosouvtwn o[ntwn oujk
ejscivsqh to; divktuon”, “et cum tanti essent, non est scissum rete”, Giovanni
21:11).
Sono possibili anche costruzioni con l’infinito (che si faranno più frequenti
nella storia ulteriore dello slavo ecclesiastico, spesso con la congiunzione & je ,
v o &je , in virtù di una maggiore subalternità al greco)4:
– con valore causale: " ouliq¢ou t)gda pri{ed){ou v) a¢tiohiisk¨i
grad). ¢e bo
& st) c:sarem) togo ¢are{ti.
dov|l:&t) bo
&mou
beæako¢¢ikom) i pr:st\
\ p|¢ikom) æ)vati i. æa¢¢e æapov:di boji`
p r:st\p
p iv){ou
&mou
koumirom)
jr|ti
(“Ijoulianou` tovte …
paragenomevnou kata; th;n jAntiovcou povlin, ei[ ge basileva crh; ejkei`non
ejponomavsai, ajrkei` ga;r aujtw`/ to;n paravnomon kai; parabavthn …
kalei`sqai aujto;n, dia; to; ta;" ejntola;" tou` qeou` parabavnta aujto;n
4 “Gli alti pregi della primitiva traduzione slavo ecclesiastica del Vangelo andarono
progressivamente diminuendo nel corso della trasmissione del testo: i copisti e i revisori,
incuranti del valore letterario ed esegetico della traduzione di Cirillo e Metodio, si sforzarono di
conformarla sempre più pedissequamente all’originale greco, spesso sacrificandone le alte
qualità stilistiche, per ottenere una traduzione letterale”: N. Radovich, Testi del Vangelo in
Slavo ecclesiastico antico, Napoli 1964, p. XVI.
Sintassi
249
eijdwvloi" qu`sai”, “giunto allora Giuliano nella città di Antiochia, infatti non
si deve chiamarlo cesare, basta per lui che lo si dica fuorilegge e apostata,
poiché, infranti i comandamenti divini, sacrificava agli idoli”, Suprasliense
214,1-6);
– con valore finale: s :d:a{e s) slougami. vid:ti ko¢|~i¢\ (“ejkavqhto
meta; tw`n uJphretw`n ijdei`n to; tevlo"”, “sedebat cum ministris, ut videret
finem”, Matteo 26:58); b ¨st) je oumr:ti ¢i}ou&mou. i ¢ese¢ou b¨ti
a¢gge l¨ ¢a lo¢o avraaml& (“ejgevneto de; ajpoqanei`n to;n ptwco;n kai;
ajpenecqh`nai aujto;n uJpo; tw`n ajggevlwn eij" to;n kovlpon jAbraavm”,
“factum est autem ut moreretur mendicus et portaretur ab angelis in sinum
Abrahae”, Luca 16:22); o b¨ti ¢am) hramou. i jili}<. pr:staa–a go emou
d––h a. g<oo spod><
< pomo<ll im)s(> (“per essere noi la casa e il tempio del suo
santo spirito preghiamo il signore”, Eucologio sinaitico 60a,7).
APPENDICE 1
La normalizzazione
Normalizzare significa riportare ogni singola parola storicamente attestata
dai testi del canone alla sua forma “corretta”. L’esigenza di normalizzare
nasce da motivazioni diverse, scientifiche, didattiche, catalografiche.
Normalizzati devono essere i lemmi di un vocabolario, le forme dei paradigmi,
gli esempi di un manuale. La normalizzazione serve anche a descrivere le
caratteristiche di un manoscritto, ma qui la norma del testo entra in
concorrenza con quella della lingua.
La normalizzazione può essere fondamentalmente di due tipi:
a) glagolizzante, orientata cioè sull’alfabeto glagolitico e sui più antichi
manoscritti del canone;
b) cirillica, cioè orientata sull’alfabeto cirillico e sui manoscritti più recenti.
Sono possibili anche scelte differenti, necessarie a studiosi che hanno a che
fare con le caratteristiche di singoli manoscritti o propongono una propria
ricostruzione del sistema linguistico di una epoca data.
La normalizzazione può riguardare i livelli grafico, fonetico, morfologico.
Per normalizzazione grafica si intende l’uso di uniformare differenti grafie
di uno stesso fonema. Qui la scelta di un tipo di normalizzazione non ha
nessuna rilevanza, i criteri possono essere dettati da considerazioni pratiche,
quali la migliore leggibilità, o tecnici, quali il concreto inventario di caratteri
offerto dal computer.
Qui si sono seguiti i criteri dello Staroslavjanskij slovar’ (po rukopisjam XXI vekov), edito a Mosca nel 1994:
252
Appendice 1
– le diverse rese grafiche di /i/ (i , " , oppure " ! ) si normalizzano come i (a
eccezione del caso in cui il grafema abbia valore di cifra);
– le diverse rese grafiche di /o/ (o , w ) si normalizzano come o (a eccezione
del caso in cui il grafema abbia valore di cifra e della interiezione: w !);
– le diverse rese grafiche di /u/ (o u , ' , u ) si normalizzano come o u ;
– le diverse rese grafiche di /y/ (y , ¨ , @ , ) i ) si normalizzano come ¨ ;
– le diverse rese grafiche di /e˛ / (( , Á , A) si normalizzano come ( ;
– le diverse rese grafiche degli jer tesi davanti a i o a jod (ß• e • ) si
normalizzano rispettivamente come i e ¨ evitando le oscillazioni del tipo
a b|& / a bi& ‘subito’, s )kaæa¢|& / s )kaæa¢i& ‘racconto’, v ¨i¢\ / v )i¢\
‘sempre’;
– le diverse rese grafiche di /z/ (æ
æ , z ) si normalizzano come æ ;
– le diverse rese grafiche di // (™ , ™ ) si normalizzano come ™ ;
– le diverse rese grafiche di /št/ ({ t , } ) si normalizzano come } .
Per normalizzazione fonetica si intende la restituzione della forma
ortografica e fonetica “ideale”, corrispondente alla norma del canone
paleoslavo:
a) si restituisce la forma etimologicamente corretta di ß e , cioè: si elimina
la confusione di jer molle e jer duro; si ripristinano gli eventuali jer caduti in
posizione debole o vocalizzati in posizione forte; si ripristina la corretta resa
delle sonoranti in funzione sillabica (esempi: d |jd) , d ojd) > d )jd)
‘pioggia’; { )d) , { ed) > { |d) ‘che è andato’; m ¢og) > m )¢og) ‘molto’;
p r)v) , p |rv) > p r|v) ‘primo’);
b) si restituisce la forma etimologicamente corretta di i e y: b iti ‘battere’,
b ¨ti ‘essere’;
c) si restituisce la forma etimologicamente corretta di e e ě: i me¢e ‘del
nome’ (G sg), i m:¢i& ‘le proprietà’;
d) si restituisce la forma etimologicamente corretta di z e : æ v:r| ‘fiera’,
™ :lo ‘molto’;
e) si restituiscono gli esiti corretti delle iodizzazioni: p r:jde ‘prima’,
h o}\ ‘io voglio’;
La normalizzazione
253
f) si restituisce la forma etimologicamente corretta delle vocali nasali, sia
nel caso di confusione tra le vocali nasali stesse, sia nel caso di loro
sostituzione con vocali orali; in quanto al loro inventario, se si segue la
normalizzazione glagolizzante, viene usato un sistema grafico a tre elementi
che prevede l’uso di un grafema unico per la vocale nasale anteriore iodizzata
e non iodizzata (glag. M traslitterato con ( ) e di due grafemi per la resa della
vocale posteriore iodizzata e non iodizzata (glag. q, J traslitterati con \ ,
+ ); se si segue la normalizzazione cirillica, viene usato un sistema grafico a
quattro elementi che prevede l’uso di due grafemi tanto per la vocale nasale
anteriore (non iodizzata e iodizzata: ( , ` oppure I, M) quanto per quella
posteriore (non iodizzata e iodizzata: \ , + oppure q, J).
g) si normalizza l’uso delle vocali iodizzate a seconda del tipo di
normalizzazione prescelto. In glagolitico, e nei manoscritti cirillici
glagolizzanti, non vi è una coerente modalità di individuazione grafematica
della presenza di jod: le uniche vocali “iodizzate” (sulla cui natura fonetica
peraltro esistono opinioni divergenti) sono ju (V) e jo˛ (J). La normalizzazione
dell’uso delle vocali iodizzate può dunque essere diversa se si scelga il tipo
glagolizzante o cirillico.
La normalizzazione glagolizzante opera con un inventario di due vocali
iodizzate (ju, jo˛ ):
– u, ju (o u per u, < per 7): in inizio di parola si normalizzano
etimologicamente, ma con concessioni a criteri statistici (o utro ‘mattina’ e
tutti i derivati di questa radice che significa ‘presto’, ‘di buon ora’ si
normalizzano con la iniziale non iodizzata; la radice < ¢ - ‘giovane’ e tutti i
suoi derivati si normalizzano con la iniziale iodizzata); nelle terminazioni la
vocale iodizzata si usa dopo vocale, dopo jod e dopo tutte le consonanti
iodizzate e palatalizzate: æ ¢ame¢i< ‘al segno’, k o¢< ‘al cavallo’, m \j
j<
‘all’uomo’, o t|c< ‘al padre’;
– o˛ , jo˛ (\ per q, + per J): in inizio di parola si usa esclusivamente la
vocale non iodizzata (eccezione: l’A sg f del pronome anaforico: + ‘lei’ e
l’avverbio + douje , + d:je ‘dove’); per il resto la vocale iodizzata si usa
254
Appendice 1
dopo vocale, dopo jod e dopo tutte le consonanti iodizzate e palatalizzate:
m o+ ‘mia’ (A sg f), g lagol+ ‘io dico’, o u~e¢ic+ ‘allieva’ (A sg f);
– e, je sono indicate in tutte le posizioni con e , che traslittera e;
– e˛ , je˛ sono indicate in tutte le posizioni con ( , che traslittera M;
– ě, ja sono indicate in tutte le posizioni con : , che traslittera A.
La normalizzazione orientata sul cirillico opera con un inventario di cinque
vocali iodizzate (q , & , ` , + , < ):
– u, ju (o u , < ): in inizio di parola si normalizzano etimologicamente, ma
con concessioni ai criteri statistici di cui si è detto. Per il resto, la
normalizzazione cirillica può accogliere o meno il progressivo indurimento
delle palatali con conseguente arretramento di ju: la vocale iodizzata,
obbligatoria dopo vocale, dopo jod e dopo consonante liquida, nasale o labiale
iodizzata (r’, l’, n’, ml’, pl’, bl’, vl’), non è sempre utilizzata anche dopo le
restanti consonanti palatali: ~ oudo e ~ <do ‘miracolo’. Nelle terminazioni:
æ ¢ame¢i< ‘al segno’, k o¢< ‘al cavallo’, m \j
j < o m \j
j ou ‘all’uomo’, o t|c< o
o t|cou ‘al padre’.
– o˛ , jo˛ (\ , + ): in inizio di parola si usa esclusivamente la vocale non
iodizzata con le eccezioni di cui si è detto; per il resto la vocale iodizzata si usa
dopo vocale, dopo jod e dopo consonante liquida, nasale o labiale iodizzata
(r’, l’, n’, ml’, pl’, bl’, vl’): m o+ ‘mia’ (A sg f), g lagol+ ‘io dico’, mentre
dopo le altre palatali la normalizzazione cirillica può accogliere la vocale non
iodizzata: d :vic+ e d :vic\ ‘fanciulla’ (A sg f);
– e, je (e , & ): si usa la vocale non iodizzata dopo consonante (escluse le
liquide, nasali e labiali iodizzate); si usa la vocale iodizzata dopo silenzio,
dopo vocale, dopo jod e dopo le liquide, nasali e labiali iodizzate: r’, l’, n’,
ml’, pl’, bl’, vl’ (fanno eccezione i prestiti, per esempio e va¢ge li& ‘vangelo’ e
alcune poche parole slave: e da ‘se’, e i ‘sì’, e se ‘ecco’, e ter) ‘un tale’);
– e˛ , je˛ (( , ` ): si usa la vocale non iodizzata dopo consonante (escluse le
palatali nate dalla jodizzazione di liquide, nasali e labiali); si usa la vocale
iodizzata dopo silenzio, dopo vocale, dopo jod e dopo le liquide, nasali e
labiali iodizzate (r’, l’, n’, ml’, pl’, bl’, vl’).
255
La normalizzazione
– ě, ja (: , q ): mentre il sistema grafico del glagolitico rispecchia la totale
omofonia di *e- in tutte le posizioni, indicando questo suono con il grafema A
(cirillico : ), la normalizzazione cirillica utilizza : per indicare *e- e *e- 2 dopo
consonante dura e dopo c’, ’, z’, s’ frutto della II e della III palatalizzazione,
q per indicare *e- dopo vocale, dopo silenzio, dopo jod e dopo le consonanti
palatali, a (ma anche q ) per indicare *e- dopo č’, ž’, š’, št’, žd’: v :d:ti
‘sapere’, c :¢a ‘prezzo’, q d| ‘cibo’, s l¨{ati e s l¨{qti ‘ascoltare’:
e- dopo consonante
e- dopo c’, ’, z’, s’ (II e III pal.)
e- dopo č’, ž’, š’, št’, žd’
e- dopo j,
r’, l’, n’, ml’, pl’, bl’, vl’
e- dopo silenzio
e- dopo vocale
norm. glaglitica
v:d:ti ‘sapere’
c:¢a ‘prezzo’
kri~:ti ‘gridare’
bo:ti s(‘temere’
p omy{l:a{ete ‘pensavate’
(2ª pl. impf.)
:d| ‘cibo’
kr¨:ah) ‘coprivo’ (1ª sg impf.)
norm. cirillica
v:d:ti
c:¢a
kri~ati
k ri~qti
boqti s(
p omy{lqa{ete
qd|
kr¨qah)
– a, ja (a , q ): mentre il sistema grafico del glagolitico rispecchia la
metafonizzazione di *a- dopo jod (anche protetico) e dopo consonante palatale,
indicando questo suono con il grafema A (cirillico : ), la normalizzazione
cirillica utilizza a per indicare *a- dopo vocale, dopo silenzio (con rarissime
eccezioni1) e dopo consonante non palatale, q per indicare *a- dopo jod e dopo
le liquide, nasali e labiali iodizzate. Dopo le altre consonanti palatali (c’, ’, z’,
s’, č’, ž’, š’, št’, žd’) la normalizzazione cirillica accoglie preferibilmente la
vocale non iodizzata:
1
In quanto alla oscillazione tra a e ja in inizio di parola, poiché si tratta dello
sviluppo non conseguente di jod protetico davanti a *a- etimologica iniziale di parola,
la normalizzazione si avvale di criteri statistici: una parola che in paleoslavo sia
presente più spesso senza lo jod protetico viene normalizzata con la iniziale non
jodizzata (esempio: a æ) ‘io’), una parola che in paleoslavo sia presente più spesso con
lo jod protetico viene normalizzata con la iniziale jodizzata (esempio: q ko ‘come’),
ovvero : in normalizzazione glagolizzante, q in normalizzazione cirillica.
256
a- dopo consonante
a- dopo c’, ’, z’, s’ (III pal.)
a- dopo č’, ž’, š’, št’, žd’
a- dopo j
r’, l’, n’, ml’, pl’, bl’, vl’
a- dopo silenzio
a- dopo vocale
Appendice 1
norm. glaglitica
¢oga ‘gamba’
d:vic: ‘fanciulla’
o t|c: ‘del padre’ (G sg m)
k )¢(™: ‘del principe’ (G sg m)
m|{: ‘messa’
mo: ‘mia’
v ol: ‘libertà’
ak¨ ‘come se’
: ko ‘come’
kaæaah)) ‘dicevo’ (1ª sg impf.)
norm. cirillica
¢oga
d:vica (-c
c q)
o t|ca (-c
c q)
k )¢(™a (-™
™ q)
m|{a (-{
{ q)
moq
v olq
ak¨
q ko
kaæaah)
Volendo indicare la presenza di jod, la normalizzazione di tipo
glagolizzante può ricorrere all’archetto, usato anche nella normalizzazione di
tipo cirillico davanti a i e davanti a ß:
volja ‘libertà’
morje ‘mare’
zemlje˛ ‘della terra’
konjß ‘cavallo’
bogynji ‘dea’
norm. glagolitica
voll:
morre
æemll(
ko¢¢|
bog¨¢¢i
norm. cirillica
volq
mor&
æeml`
ko¢¢|
bog¨¢¢i
Un capitolo particolare nel discorso sulla normalizzazione spetta ai prestiti.
Le parole di origine non slava presentano spesso varianti di carattere grafico
(generate dalla possibilità di scegliere diverse rese grafiche) o di carattere
fonetico (generate dalla diversa modalità del prestito, per via orale, con
conseguente adattamento, o per via scritta, nel caso di prestiti dotti). Nel
normalizzare si sceglierà la variante che si incontra con maggior frequenza nei
manoscritti:
– alla lettera greca q (theta) possono corrispondere i grafemi slavi t ,
normativo per esempio in a ti¢¨ ‘Atene’, oppure # , normativo in a #i¢ei
‘ateniese’;
– alla lettera greca f (phita) possono corrispondere i grafemi slavi p , v , f
(normativi per esempio in k aper)¢aoum) ‘Cafarnao’, p rosvora ‘ostia’,
r afail) ‘Raffaele’);
La normalizzazione
257
– alla lettera greca u (üpsilon) possono corrispondere i grafemi cirillici £ ,
o u , < , v , i , di cui < è l’unico soggetto a regolare normalizzazione (< > £ :
k <pr) > k£ pr) ‘Cipro’). Gli altri sono normativi per esempio in v £sso¢)
‘bisso’, t oum|pa¢) ‘timpano’, e va¢ge li& ‘evangelo’, m £ra ‘mirra’, m iro¢)
‘Mirone’. Va osservato che già il grafema greco si riferisce a una realtà
fonetica complessa: in aderenza alle norme ortoepiche del greco bizantino
üpsilon si pronuncia [i] per itacismo quando è vocale, ma suona come u‡
dentalizzato [v] nei dittonghi.
– alla lettera greca y (psi) possono corrispondere il grafema $ o il
digramma p s , che verrà preferito nella normalizzazione;
– alla lettera greca x (ksi) possono corrispondere il grafema ¶ o il digramma
k s , che verrà preferito nella normalizzazione.
Ci sono casi in cui la forma accepita è unica:
– si normalizzano le diverse rese grafiche delle velari in posizione davanti a
vocale anteriore (k , k , g , g nei manoscritti cirillici, il grafema † , introdotto
dallo studioso Jagić come traslitterazione del glagolitico Q, nelle moderne
edizioni di manoscritti glagolitici) in k , g (k esar| > ke sarr| ‘cesare’,
e va¢| †e li& > e va¢ge li& ‘evangelo’. Le grafie g g , g k , che corrispondono al
greco gg, gk, sono normalizzate in ¢ g , ¢ k : a ¢ge l) ‘angelo’, a ¢k£ra ‘áncora’;
– si normalizza in posizione iniziale di parola e : e pisk oup) ‘episcopo’;
– si normalizza in posizione finale di parola la forma -e i : f arisei (e non
f aris:i ) ‘fariseo’.
Per ciò che riguarda le forme “adattate”, cioè i prestiti in cui l’inserimento
di vocali (in genere ß, ) scioglie gruppi consonantici impropri alla fonetica
slava, esse vengono accolte e considerate normative qualora maggioritarie (per
esempio p sal)m) , ‘salmo’, ma non p )s)l)m) ).
Infine, la normalizzazione morfologica opera con criteri differenti a
seconda delle finalità che si propone, ripristinando le forme paradigmatiche, o
eliminando errori e incongruenze all’interno della norma ricostruita per un
dato testo.
Tavole morfologiche
1. Temi in *a-: sostantivi femminili
N
G
D
A
L
S
V
NA
GL
DS
N
G
D
A
L
S
N
G
D
A
L
S
V
NA
GL
DS
N
G
D
A
L
S
je¢a
je¢¨
je¢:
je¢\
je¢:
je¢o+
je¢o
je¢:
je¢ou
je¢ama
je¢¨
je¢)
je¢am)
je¢¨
je¢ah)
je¢ami
bog¨¢∞i
bog¨¢`
bog¨¢∞i
bog¨¢+
bog¨¢∞i
bog¨¢e+
bog¨¢&
bog¨¢∞i
bog¨¢<
bog¨¢qma
bog¨¢`
bog¨¢∞|
bog¨¢qm)
bog¨¢`
bog¨¢qh)
bog¨¢qmi
æemlq
æeml`
æeml∞i
æeml+
æeml∞i
æeml&+
æeml&
æeml∞i
æeml<
æemlqma
æeml`
æeml∞|
æemlqm)
æeml`
æemlqh)
æemlqmi
æmiq
æmi`
æmii
æmi+
æmii
æmi&+
æmi&
æmii
æmi<
æmiqma
æmi`
æmii
æmiqm)
æmi`
æmiqh)
æmiqmi
dou{a
dou{(
dou{i
dou{\
dou{i
dou{e+
dou{e
dou{i
dou{ou
dou{ama
dou{(
dou{|
dou{am)
dou{(
dou{ah)
dou{ami
ml)¢i(i)
ml)¢i`
ml)¢ii
ml)¢i+
ml)¢ii
ml)¢e+
ml)¢i&
ml)¢ii
ml)¢i<
ml)¢iqma
ml)¢i`
ml)¢ii
ml)¢iqm)
ml)¢i`
ml)¢iqh)
ml)¢iqmi
260
Appendice 2
2. Temi in *a-: sostantivi maschili
N
G
D
A
L
S
V
NA
GL
DS
N
G
D
A
L
S
vo&voda
vo&vod¨
vo&vod:
vo&vod\
vo&vod:
vo&vodo+
vo&vodo
vo&vod:
vo&vodou
vo&vodama
vo&vod¨
vo&vod)
vo&vodam)
vo&vod¨
vo&vodah)
vo&vodami
qd|ca
qd|c(
qd|ci
qd|c\
qd|ci
qd|ce+
qd|ce
qd|ci
qd|cou
qd|cama
qd|c(
qd|c|
qd|cam)
qd|c(
qd|dcah)
qd|cami
s\dii
s\di`
s\dii
s\di+
s\dii
s\die+
s\di&
s\dii
s\di<
s\diqma
s\di`
s\dii
s\diqm)
s\di`
s\diqh)
s\diqmi
3. Temi in *o- : sostantivi maschili
N
G
D
A
L
S
V
NA
GL
DS
N
G
D
A
L
S
rab)
raba
rabou
rab)
rab:
rabom|
rabe
raba
rabou
raboma
rabi
rab)
rabom)
rab¨
rab:h)
rab¨
ko¢∞|
ko¢q
ko¢<
ko¢∞|
ko¢∞i
ko¢&m|
ko¢<
ko¢q
ko¢<
ko¢&ma
ko¢∞i
ko¢∞|
ko¢&m)
ko¢`
ko¢∞i h)
ko¢∞i
m\j|
m\ja
m\jou
m\j|
m\ji
m\jem|
m\jou
m\ja
m\jou
m\jema
m\ji
m\j|
m\jem)
m\j\
m\jih)
m\ji
jr:bii
jr:biq
jr:bi<
jr:bii
jr:bii
jr:bi&m|
jr:bi<
jr:biq
jr:bi<
jr:bi&ma
jr:bii
jr:bii
jr:bi&m)
jr:bi`
jr:biih)
jr:bii
261
Tavole morfologiche
4. Temi in *o- : sostantivi neutri
N
G
D
A
L
S
NA
GL
DS
N
G
D
A
L
S
l:to
l:ta
l:tou
l:to
l:t:
l:tom|
l:t:
l:tou
l:toma
l:ta
l:t)
l:tom)
l:ta
l:t:h)
l:t¨
pol&
polq
pol<
pol&
pol∞i
pol&m|
pol∞i
pol<
pol&ma
polq
pol∞|
pol&m)
polq
pol∞i h)
pol∞i
s)¢|mi}e
s)¢|mi}a
s)¢|mi}ou
s)¢|mi}e
s)¢|mi}i
s)¢|mi}em|
s)¢|mi}i
s)¢|mi}ou
s)¢|mi}ema
s)¢|mi}a
s)¢|mi}|
s)¢|mi}em)
s)¢|mi}a
s)¢|mi}ih)
s)¢|mi}i
æ¢ame¢i&
æ¢ame¢iq
æ¢ame¢i<
æ¢ame¢i&
æ¢ame¢ii
æ¢ame¢i&m|
æ¢ame¢ii
æ¢ame¢i<
æ¢ame¢i&ma
æ¢ame¢iq
æ¢ame¢ii
æ¢ame¢i&m)
æ¢ame¢iq
æ¢ame¢iih)
æ¢ame¢ii
5. Temi in *ŭ: sostantivi maschili
N
G
D
A
L
S
V
NA
GL
DS
N
G
D
A
L
S
s¨¢)
s¨¢ou
s¨¢ovi
s¨¢)
s¨¢ou
*s¨¢)m| (s¨¢om|)
s¨¢ou
s¨¢¨
s¨¢ovou
s¨¢)ma
s¨¢ove
s¨¢ov)
*s¨¢)m) (s¨¢om))
s¨¢¨
*s¨¢)h) (s¨¢oh))
s¨¢)mi
dom)
domou
domovi
dom)
domou
pol)
polou
polou
pol¨
pol)ma
domov)
262
Appendice 2
6. Temi in *ı̆: sostantivi maschili e femminili
N
G
D
A
L
S
V
NA
GL
DS
N
G
D
A
L
S
p\t|
p\ti
p\ti
p\t|
p\ti
p\t|m|
p\ti
p\ti
p\ti<
p\t|ma
p\ti&
p\tii
p\t|m)
p\ti
p\t|h)
p\t|mi
l<di&
l<dii
l<d|m)
l<di
l<d|h)
l<d|mi
kost|
kosti
kosti
kost|
kosti
kosti+
kosti
kosti
kosti<
kost|ma
kosti
kostii
kost|m)
kosti
kost|h)
kost|mi
7. Temi in *n (sostantivi maschili e neutri) e in *nt (sostantivi neutri)
N
G
D
A
L
S
NA
GL
DS
N
G
D
A
L
S
kam¨
kame¢e
kame¢i
kame¢|
kame¢e
kame¢|m|
kame¢i
kame¢ou
kame¢|ma
kame¢e
kame¢)
kame¢|m)
kame¢i
kame¢|h)
kame¢|mi
vr:m(
vr:me¢e
vr:me¢i
vr:m(
vr:me¢e
vr:me¢|m|
vr:me¢:
vr:me¢ou
vr:me¢|ma
vr:me¢a
vr:me¢)
vr:me¢|m)
vr:me¢a
vr:me¢|h)
vr:me¢¨
otro~(
otro~(te
otro~(ti
otro~(
otro~(te
otro~(t|m|
otro~(t:
otro~(tou
otro~(t|ma
otro~(ta
otro~(t)
otro~(t|m)
otro~(ta
otro~(t|h)
otro~(t¨
263
Tavole morfologiche
8. Temi in *s (sostantivi neutri), in *r e in *u- (sostantivi femminili)
NV
G
D
A
L
S
NA
GL
DS
N
G
D
A
L
S
slovo
slovese
slovesi
slovo
slovese
sloves|m|
sloves:
slovesou
sloves|ma
slovesa
sloves)
sloves|m)
slovesa
sloves|h)
sloves¨
mati
matere
materi
mater|
materi
materi+
*materi
*materou
*mater|ma
materi
mater)
mater|m)
materi
mater|h)
mater|mi
svekr¨
svekr)ve
svekr)vi
svekr)v|
svekr)ve
svekr)vi+
svekr)vi
svekr)vou
svekr)vama
svekr)vi
svekr)v)
svekr)vam)
svekr)vi
svekr)vah)
svekr)vami
9. Aggettivi possessivi
m
N
G
D
A
L
S
NA
GL
DS
N
G
D
A
L
S
moi
mo&go
mo&mou
moi
mo&m|
moim|
moq
mo&<
moima
moi
moih)
moim)
mo`
moih)
moimi
n
mo&
mo&go
mo&mou
mo&
mo&m|
moim|
moi
mo&<
moima
moq
moih)
moim)
moq
moih)
moimi
f
moq
mo&`
mo&i
mo+
mo&i
mo&+
moi
mo&<
moima
mo`
moih)
moim)
mo`
moih)
moimi
264
Appendice 2
m
N
G
D
A
L
S
NA
GL
DS
N
G
D
A
L
S
n
¢a{|
¢a{ego
¢a{emou
¢a{|
¢a{em|
¢a{im|
¢a{a
¢a{e<
¢a{ima
¢a{i
¢a{ih)
¢a{im)
¢a{(
¢a{ih)
¢a{imi
¢a{e
¢a{ego
¢a{emou
¢a{e
¢a{em|
¢a{im|
¢a{i
¢a{e<
¢a{ima
¢a{a
¢a{ih)
¢a{im)
¢a{a
¢a{ih)
¢a{imi
f
¢a{a
¢a{e`
¢a{ei
¢a{\
¢a{ei
¢a{e+
¢a{i
¢a{e<
¢a{ima
¢a{(
¢a{ih)
¢a{im)
¢a{(
¢a{ih)
¢a{imi
10. Aggettivi di grado comparativo
maschile
N
G
D
A
L
S
NA
GL
DS
N
G
D
A
L
S
bol∞i i
bol∞| {a
bol∞| {ou
bol∞i i
bol∞| {i
bol∞| {em|
bol∞| {a
bol∞| {ou
bol∞| {ema
bol∞| {e
bol∞| {|
bol∞| {em)
bol∞| {(
bol∞| {ih)
bol∞| {i
maschile di forma lunga
bol∞i i
bol∞| {a&go
bol∞| {ou&mou
bol∞i i
bol∞| {iim|
bol∞| {iim|
bol∞| {aq
bol∞| {ou<
bol∞| {iima
bol∞| {ei
bol∞| {iih)
bol∞| {iim)
bol∞| {(`
bol∞| {iih)
bol∞| {iimi
265
Tavole morfologiche
neutro
N
G
D
A
L
S
NA
GL
DS
N
G
D
A
L
S
bol&
bol∞| {a
bol∞| {ou
bol&
bol∞| {i
bol∞| {em|
bol∞| {i
bol∞| {ou
bol∞| {ema
bol∞| {a
bol∞| {|
bol∞| {em)
bol∞| {a
bol∞| {ih)
bol∞| {i
bol&&
bol∞| {a&go
bol∞| {ou&mou
bol&&
bol∞| {iim|
bol∞| {iim|
bol∞| {ii
bol∞| {ou<
bol∞| {iima
bol∞| {aq
bol∞| {iih)
bol∞| {iim)
bol∞| {aq
bol∞| {iih)
bol∞| {iimi
femminile
N
G
D
A
L
S
NA
GL
DS
N
G
D
A
L
S
bol∞| {i
bol∞| {(
bol∞| {i
bol∞| {\
bol∞| {i
bol∞| {e+
bol∞| {i
bol∞| {ou
bol∞| {ama
bol∞| {(
bol∞| {|
bol∞| {am)
bol∞| {(
bol∞| {ah)
bol∞| {ami
neutro di forma lunga
femminile di forma lunga
bol∞| {iq
bol∞| {(`
bol∞| {ii
bol∞| {\+
bol∞| {ii
bol∞| {e+
bol∞| {ii
bol∞| {ou<
bol∞| {iima
bol∞| {(`
bol∞| {iih)
bol∞| {iim)
bol∞| {(`
bol∞| {iih)
bol∞| {iimi
266
Appendice 2
11. Coniugazione dei verbi atematici: b¨ti e v:d:ti
infinito
sg
presente
du
pl
sg
futuro
du
pl
sg
imperativo
du
pl
participio pres. attivo
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
m
n
f
b¨ti
&sm|
&si
&st)
&sv:
&sta
&ste
&sm)
&ste
s\t)
b\d\
b\de{i
b\det)
b\dev:
b\deta
b\dete
b\dem)
b\dete
b\d\t)
v:d:ti
v:m|
v:si
v:st)
v:v:
v:sta
v:ste
v:sm)
v:ste
v:d(t)
b\di
b\di
b\d:v:
b\d:ta
v:jd|
v:jd|
v:div:
v:dita
b\d:m)
b\d:te
v:dim)
v:dite
s¨
s¨
s\}i
v:d¨
v:d¨
v:d\}i
267
Tavole morfologiche
infinito
participio pres. passivo
sg
aoristo
du
pl
sg
imperfetto
du
pl
condizionale
sg
pl
participio pass. attivo
participio perfetto
participio pass. passivo
supino
m
n
f
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
m
n
f
b¨ti
b¨h)
b¨ / b¨st)
b¨ / b¨st)
b¨hov:
b¨sta
b¨ste
b¨hom)
b¨ste
b¨{(
b:h)
b:
b: / b:a{e
b:hov:
b:sta
b:ste / b:a{ete
b:hom)
b:ste
b:{( / b:ah\
bim) / bih)
bi
bi
bim) / bihom)
biste
b\ / bi{(
b¨v)
b¨v)
b¨v){i
b¨l), -o, -a
v:d:ti
v:dom) e v:dim)
v:domo e v:dimo
v:doma e v:dima
v:d:h)
v:d:
v:d:
v:d:hov:
v:d:sta
v:d:ste
v:d:hom)
v:d:ste
v:d:{(
v:d:ah)
v:d:a{e
v:d:a{e
v:d:ahov:
v:d:a{eta
v:d:a{ete
v:d:ahom)
v:d:a{ete
v:d:ah\
v:d:v)
v:d:v)
v:d:v){i
v:d:l), -o, -a
v:d:¢), -o, -a
v:d:t)
268
Appendice 2
12. Coniugazione dei verbi atematici: dati , qsti e im:ti
infinito
sg
presente
du
pl
sg
presente
con valore di futuro
du
pl
sg
imperativo
du
pl
participio
presente
attivo
participio presente
passivo
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
m
n
f
dati
dam|
dasi
dast)
dav:
dasta
daste
dam)
daste
dad(t)
qsti
qm|
qsi
qst)
qv:
qsta
qste
qm)
qste
qd(t)
im:ti
imam|
ima{i
imat)
imav:
imata
imate
imam)
imate
im\t)
dajd|
dajd|
dadiv:
dadita
qjd|
qjd|
qdiv:
qdita
im:i
im:i
im:iv:
im:ita
dadim)
dadite
qdim)
qdite
im:im)
im:ite
dad¨
dad¨
dad\}i
qd¨
qd¨
qd\}i
qdom) e
qdim), -o,
-a
im¨ / im:`
im¨ / im:`
im\}i / im:+}i
269
Tavole morfologiche
infinito
sg
aoristo
du
pl
sg
imperfetto
du
pl
condizionale
sg
pl
participio
passato
attivo
participio
perfetto m n f
participio presente
passivo m n f
supino
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
m
n
f
dati
dah)
da / dast)
da / dast)
dahov:
dasta
daste
dahom)
daste
da{(
dad:ah)
dad:a{e
dad:a{e
dad:ahov:
dad:a{eta
dad:a{ete
dad:ahom)
dad:a{ete
dad:ah\
qsti
qs) / qh)
q / qst)
q / qst)
qsov: / qhov:
qsta
qste
qsom) / qhom)
qste
qs( / q{(
qd:ah)
qd:a{e
qd:a{e
qd:ahov:
qd:a{eta
qd:a{ete
qd:ahom)
qd:a{ete
qd:ah\
im:ti
im:h)
im:
im:
im:hov:
im:sta
im:ste
im:hom)
im:ste
im:{(
im:ah)
im:a{e
im:a{e
im:ahov:
im:a{eta
im:a{ete
im:ahom)
im:a{ete
im:ah\
dav)
dav)
dav){i
qd)
qd)
qd){i
im:v)
im:v)
im:v){i
dal), -o, -a
ql), -o, -a
im:l), -o, -a
da¢), -o, -a
qde¢), -o, -a
dat)
qst)
im:t)
270
Appendice 2
13. Coniugazione dei verbi tematici con tema del presente in -e-: vesti ,
mo}i (re}i ) e p(ti
infinito
sg
presente
du
pl
sg
imperativo
du
pl
participio
presente
attivo
participio
presente
passivo
sg
aoristo
asigmatico
du
pl
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
m
n
f
m
n
f
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
vesti
ved\
vede{i
vedet)
vedev:
vedeta
vedete
vedem)
vedete
ved\t)
mo}i (re}i)
mog\
moje{i
mojet)
mojev:
mojeta
mojete
mojem)
mojete
mog\t)
p(ti
p|¢\
p|¢e{i
p|¢et)
p|¢ev:
p|¢eta
p|¢ete
p|¢em)
p|¢ete
p|¢\t)
vedi
vedi
ved:v:
ved:ta
mo™i
mo™i
mo™:v:
mo™:ta
p|¢i
p|¢i
p|¢:v:
p|¢:ta
ved:m)
ved:te
mo™:m)
mo™:te
p|¢:m)
p|¢:te
ved¨
ved¨
ved\}i
vedom)
vedomo
vedoma
ved)
ved)
vede
vedov:
vedeta
vedete
vedom)
vedete
ved\
mog¨
mog¨
mog\}i
(rekom)
rekomo
rekoma)
mog)
moje
moje
mogov:
mojeta
mojete
mogom)
mojete
mog\
p|¢¨
p|¢¨
p|¢\}i
p|¢om)
p|¢omo
p|¢oma
Tavole morfologiche
271
vesti
mo}i (re}i) p(ti
v:s)
r:h)
p(s)**
sg
[vede]
[re~e]
p(
[vede]
[re~e]
p(
v:sov:
r:hov:
p(sov:
aoristo
du
v:sta
r:sta
p(sta
sigmatico I
v:ste
r:ste
p(ste
v:som)
r:hom)
p(som)
pl
v:ste
r:ste
p(ste
v:s(
r:{(
p(s(
vedoh)
mogoh)
sg
[vede]
[moje]
[vede]
[moje]
vedohov:
mogohov:
aoristo
du
vedosta
mogosta
sigmatico II
vedoste
mogoste
vedohom)
mogohom)
pl
vedoste
mogoste
vedo{(
mogo{(
ved:ah)
mojaah)
p|¢:ah)
sg
ved:a{e
mojaa{e
p|¢:a{e
ved:a{e
mojaa{e
p|¢:a{e
ved:ahov:
mojaahov:
p|¢:ahov:
imperfetto
du
ved:a{eta
mojaa{eta
p|¢:a{eta
ved:a{ete
mojaa{ete
p|¢:a{ete
ved:ahom)
mojaahom) p|¢:ahom)
pl
ved:a{ete
mojaa{ete
p|¢:a{ete
ved:ah\
mojaah\
p|¢:ah\
participio
ved)
mog)
p|¢)
passato
ved)
mog)
p|¢)
attivo
ved){i
mog){i
p|¢){i
participio perfetto m n f
vel), -o, -a
mogl), -o, -a p(l), -o, -a
participio pass.ato
vede¢),
(re~e¢),
p(t),
passivo m n f
-o, -a
-o, -a)
-o, -a
supino
vest)
mo}|
p(t)
* con semplificazione del nesso consonantico [dz] > [z]: moæi eccetera.
** con trasformazione della fricativa dentale [s] > [x]: p(h), p(hov:, p(hom), p({(.
infinito
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
m
n
f
272
Appendice 2
14. Coniugazione dei verbi tematici con tema del presente in -e-: mr:ti
(tr|ti ), plouti e æ)vati
infinito
sg
presente
du
pl
sg
imperativo
du
pl
participio
presente
attivo
participio
presente
passivo
sg
aoristo
asigmatico
du
pl
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
m
n
f
m
n
f
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
mr:ti
(tr|ti)
m|r\
m|re{i
m|ret)
m|rev:
m|reta
m|rete
m|rem)
m|rete
m|r\t)
plouti
æ)vati
plov\
plove{i
plovet)
plovev:
ploveta
plovete
plovem)
plovete
plov\t)
æov\
æove{i
æovet)
æovev:
æoveta
æovete
æovem)
æovete
æov\t)
m|ri
m|ri
m|r:v:
m|t:ta
plovi
plovi
plov:v:
plov:ta
æovi
æovi
æov:v:
æov:ta
m|r:m)
m|r:te
plov:m)
plov:te
æov:m)
æov:te
m|r¨
m|r¨
m|r\}i
(t|rom)
t|romo
t|roma)
plov¨
plov¨
plov\}i
æov¨
æov¨
æov\}i
æovom)
æovomo
æovoma
(ot|re)
273
Tavole morfologiche
infinito
sg
aoristo
sigmatico I
du
pl
sg
aoristo
sigmatico II
du
pl
sg
imperfetto
du
pl
participio
passato
attivo
participio
perfetto m n f
participio pass.
passivo m n f
supino
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
m
n
f
mr:ti
(tr|ti)
mr:h)
mr:
mr:
mr:hov:
mr:sta
mr:ste
mr:hom)
mr:ste
mr:{(
m|r:ah)
m|r:a{e
m|r:a{e
m|r:ahov:
m|r:a{eta
m|r:a{ete
m|r:ahom)
m|r:a{ete
m|r:ah\
m|r)
m|r)
m|r){i
plouti
æ)vati
plouh)
plou
plou
plouhov:
plousta
plouste
plouhom)
plouste
plou{(
æ)vah)
æ)va
æ)va
æ)vahov:
æ)vasta
æ)vaste
æ)vahom)
æ)vaste
æ)va{(
plov:ah)
plov:a{e
plov:a{e
plov:ahov:
plov:a{eta
plov:a{ete
plov:ahom)
plov:a{ete
plov:ah\
plouv)
plouv)
plouv){i
ploul), -o, mr|l),-o, -a
a
t|re¢) /
plove¢), -o, tr|t), -o, -a a
mr:t)
plout)
æ)vaah)
æ)vaa{e
æ)vaa{e
æ)vaahov:
æ)vaa{eta
æ)vaa{ete
æ)vaahom)
æ)vaa{ete
æ)vaah\
æ)vav)
æ)vav)
æ)vav){i
æ|val), -o, -a
æ)va¢), -o, -a
æ)vat)
274
Appendice 2
15. Coniugazione dei verbi tematici con tema del presente in -ne-: dvig¢\ti
(kos¢\ti ), mi¢\ti (ri¢\ti ) e stati
infinito
sg
presente
du
pl
sg
imperativo
du
pl
participio
presente
attivo
participio presente
passivo m n f
sg
aoristo
asigmatico
du
pl
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
m
n
f
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
dvig¢\ti
(kos¢\ti)
dvig¢\
dvig¢e{i
dvig¢et)
dvig¢ev:
dvig¢eta
dvig¢ete
dvig¢em)
dvig¢ete
dvig¢\t)
mi¢\ti
(ri¢\ti)
mi¢\
mi¢e{i
mi¢et)
mi¢ev:
mi¢eta
mi¢ete
mi¢em)
mi¢ete
mi¢\t)
dvig¢i
dvig¢i
dvig¢:v:
dvig¢:ta
mi¢i
mi¢i
mi¢:v:
mi¢:ta
sta¢i
sta¢i
sta¢:v:
sta¢:ta
dvig¢:m)
dvig¢:te
mi¢:m)
mi¢:te
sta¢:m)
sta¢:te
dvig¢¨
mi¢¨
dvig¢¨
mi¢¨
dvig¢\}i
mi¢\}i
(¢eistr|g¢om),
-o, -a)
dvig)
dvije
dvije
dvigov:
dvijeta
dvijete
dvigom)
dvijete
dvig\
sta¢¨
sta¢¨
sta¢\}i
stati
sta¢\
sta¢e{i
sta¢et)
sta¢ev:
sta¢eta
sta¢ete
sta¢em)
sta¢ete
sta¢\t)
275
Tavole morfologiche
infinito
sg
aoristo
sigmatico I
du
pl
sg
aoristo
sigmatico II
du
pl
sg
imperfetto
du
pl
participio
passato
attivo
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
m
n
f
dvig¢\ti
(kos¢\ti)
(kos¢\h)
[kos¢\]
[kos¢\]
kos¢\hov:
kos¢\sta
kos¢\ste
kos¢\hom)
kos¢\ste
kos¢\{()
dvigoh)
[dvije]
[dvije]
dvigohov:
dvigosta
dvigoste
dvigohom)
dvigoste
dvigo{(
-dvig¢:ah)
-dvig¢:a{e
-dvig¢:a{e
-dvig¢:ahov:
-dvig¢:a{eta
-dvig¢:a{ete
-dvig¢:ahom)
-dvig¢:a{ete
-dvig¢:ah\
dvig)
dvig)
dvig){i
participio perfetto m n f
dvigl), -o, -a
participio passato
passivo m n f
supino
dvig¢ove¢) e
dvije¢), -o, -a
mi¢\ti
(ri¢\ti)
mi¢\h)
[mi¢\]
[mi¢\]
mi¢\hov:
mi¢\sta
mi¢\ste
mi¢\hom)
mi¢\ste
mi¢\{(
(ri¢:ah)
ri¢:a{e
ri¢:a{e
ri¢:ahov:
ri¢:a{eta
ri¢:a{ete
ri¢:ahom)
ri¢:a{ete
ri¢:ah\)
mi¢\v)
mi¢\v)
mi¢\v){i
mi¢\l),
-o, -a
stati
stah)
[sta]
[sta]
stahov:
stasta
staste
stahov:
staste
sta{(
-sta¢:ah)
-sta¢:a{e
-sta¢:a{e
-sta¢:ahov:
-sta¢:a{eta
-sta¢:a{ete
-sta¢:ahom)
-sta¢:a{ete
-sta¢:ah\
stav)
stav)
stav){i
stal), -o, -a
stat)
276
Appendice 2
16. Coniugazione dei verbi tematici con tema del presente in -je-: æ¢ati ,
brati (klati ) e ml:ti
sg
presente
du
pl
sg
imperativo
du
pl
participio
presente
attivo
participio presente
passivo m n f
sg
aoristo
sigmatico I
æ¢a+
æ¢a&{i
æ¢a&t)
æ¢a&v:
æ¢a&ta
æ¢a&te
æ¢a&m)
æ¢a&te
æ¢a+t)
brati
(klati)
bor+
bor&{i
bor&t)
bor&v:
bor&ta
bor&te
bor&m)
bor&te
bor+t)
æ¢ai
æ¢ai
æ¢aiv:
æ¢aita
bor∞i
bor∞i
bor∞i v:
bor∞i ta
mel∞i
mel∞i
mel∞i v:
mel∞i ta
æ¢aim)
æ¢aite
bor∞i m)
bor∞i te
mel∞i m)
mel∞i te
æ¢a`
æ¢a`
æ¢a+}i
æ¢a&m),
-o, -a
æ¢ah)
æ¢a
æ¢a
æ¢ahov:
æ¢asta
æ¢aste
æ¢ahom)
æ¢aste
æ¢a{(
bor`
bor`
bor+}i
(kol&m),
-o, -a)
brah)
bra
bra
brahov:
brasta
braste
brahom)
braste
bra{(
mel`
mel`
mel+}i
mel&m),
-o, -a
ml:h)
ml:
ml:
ml:hov:
ml:sta
ml:ste
ml:hom)
ml:ste
ml:{(
æ¢ati
infinito
du
pl
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
m
n
f
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
ml:ti
mel+
mel&{i
mel&t)
mel&v:
mel&ta
mel&te
mel&m)
mel&te
mel+t)
277
Tavole morfologiche
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
m
n
f
sg
imperfetto
du
pl
participio
passato
attivo
participio
perfetto m n f
participio passato
passivo m n f
supino
æ¢aah)
æ¢aa{e
æ¢aa{e
æ¢aahov:
æ¢aa{eta
æ¢aa{ete
æ¢aahom)
æ¢aa{ete
æ¢aah\
æ¢av)
æ¢av)
æ¢av){i
borqah)
borqa{e
borqa{e
borqahov:
borqa{eta
borqa{ete
borqahom)
borqa{ete
borqah\
brav)
brav)
brav){i
melqah)
melqa{e
melqa{e
melqahov:
melqa{eta
melqa{ete
melqahom)
melqa{ete
melqah\
ml:v)
ml:v)
ml:v){i
æ¢al), -o, -a
bral), -o, -a
ml:l), -o, -a
æ¢a¢), -o, -a
bore¢), -o, -a ml:¢), -o, -a
æ¢at)
brat)
ml:t)
17. Coniugazione dei verbi tematici con tema del presente in -je-: glagolati ,
plakati e v:rovati
infinito
sg
presente
du
pl
sg
imperativo
du
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
glagolati
glagol+
glagol&{i
glagol&t)
glagol&v:
glagol&ta
glagol&te
glagol&m)
glagol&te
glagol+t)
plakati
pla~\
pla~e{i
pla~et)
pla~ev:
pla~eta
pla~ete
pla~em)
pla~ete
pla~\t)
v:rovati
v:rou+
v:rou&{i
v:rou&t)
v:rou&v:
v:rou&ta
v:rou&te
v:rou&m)
v:rou&te
v:rou+t)
glagol∞i
glagol∞i
glagol∞i v:
glagol∞i ta
pla~i
pla~i
pla~iv:
pla~ita
v:roui
v:roui
v:rouiv:
v:rouita
278
Appendice 2
infinito
pl
participio
presente
attivo
participio presente
passivo m n f
sg
aoristo
sigmatico I
du
pl
sg
imperfetto
du
pl
participio
passato
attivo
participio
perfetto m n f
participio passato
passivo m n f
supino
1ª
2ª
3ª
m
n
f
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
m
n
f
glagolati
glagol∞i m)
glagol∞i te
plakati
pla~im)
pla~ite
v:rovati
v:rouim)
v:rouite
glagol`
glagol`
glagol+}i
glagol&m),
-o, -a
glagolah)
glagola
glagola
glagolahov:
glagolasta
glagolaste
glagolahom)
glagolaste
glagola{(
glagolaah)
glagolaa{e
glagolaa{e
glagolaahov:
glagolaa{eta
glagolaa{ete
glagolaahom)
glagolaa{ete
glagolaah\
glagolav)
glagolav)
glagolav){i
glagolal),
-o, -a
glagola¢),
-o, -a
glagolat)
pla~(
pla~(
pla~\}i
v:rou`
v:rou`
v:rou+}i
v:rou&m),
-o, -a
v:rovah)
v:rova
v:rova
v:rovahov:
v:rovasta
v:rovaste
v:rovahom)
v:rovaste
v:rova{(
v:rovaah)
v:rovaa{e
v:rovaa{e
v:rovaahov:
v:rovaa{eta
v:rovaa{ete
v:rovaahom)
v:rovaa{ete
v:rovaah\
v:rovav)
v:rovav)
v:rovav){i
v:roval),
-o, -a
v:rova¢),
-o, -a
v:rovat)
plakah)
plaka
plaka
plakahov:
plakasta
plakaste
plakahom)
plakaste
plaka{(
plakaah)
plakaa{e
plakaa{e
plakaahov:
plakaa{eta
plakaa{ete
plakaahom)
plakaa{ete
plakaah\
plakav)
plakav)
plakav){i
plakal),
-o, -a
plaka¢),
-o, -a
plakat)
279
Tavole morfologiche
18. Coniugazione dei verbi tematici con tema del presente in -i-: s)pati ,
dr|jati e tr|p:ti
infinito
sg
presente
du
pl
sg
imperativo
du
pl
participio
presente
attivo
participio presente
passivo m n f
sg
aoristo
sigmatico I
du
pl
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
m
n
f
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
s)pati
s)pl+
s)pi{i
s)pit)
s)piv:
s)pita
s)pite
s)pim)
s)pite
s)p(t)
dr|jati
dr|j\
dr|ji{i
dr|jit)
dr|jiv:
dr|jita
dr|jite
dr|jim)
dr|jite
dr|j(t)
tr|p:ti
tr|pl+
tr|pi{i
tr|pit)
tr|piv:
tr|pita
tr|pite
tr|pim)
tr|pite
tr|p(t)
s)pi
s)pi
s)piv:
s)pita
dr|ji
dr|ji
dr|jiv:
dr|jita
tr|pi
tr|pi
tr|piv:
tr|pita
s)pim)
s)pite
dr|jim)
dr|jite
tr|pim)
tr|pite
s)p(
s)p(
s)p(}i
s)pah)
s)pa
s)pa
s)pahov:
s)pasta
s)paste
s)pahom)
s)paste
s)pa{(
dr|j(
dr|j(
dr|j({i
dr|jim), -o,
-a
dr|jah)
dr|ja
dr|ja
dr|jahov:
dr|jasta
dr|jaste
dr|jahom)
dr|jaste
dr|ja{(
tr|p(
tr|p(
tr|p(}i
tr|pim), -o,
-a
tr|p:h)
tr|p:
tr|p:
tr|p:hov:
tr|p:sta
tr|p:ste
tr|p:hom)
tr|p:ste
tr|p:{(
280
Appendice 2
infinito
sg
imperfetto
du
pl
participio
passato
attivo
participio perfetto
mnf
participio passato
passivo m n f
supino
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
m
n
f
s)pati
s)paah)
s)paa{e
s)paa{e
s)paahov:
s)paa{eta
s)paa{ete
s)paahom)
s)paa{ete
s)paah\
s)pav)
s)pav)
s)pav){i
s)pal),
-o, -a
s)pat)
dr|jati
dr|jaah)
bdr|jaa{e
dr|jaa{e
dr|jaahov:
dr|jaa{eta
dr|jaa{ete
dr|jaahom)
dr|jaa{ete
dr|jaah\
dr|jav)
dr|jav)
dr|jav){i
dr|jal),
-o, -a
dr|ja¢),
-o, -a
dr|jat)
tr|p:ti
tr|p:ah)
tr|p:a{e
tr|p:a{e
tr|p:ahov:
tr|p:a{eta
tr|p:a{ete
tr|p:ahom)
tr|p:a{ete
tr|p:ah\
tr|p:v)
tr|p:v)
tr|p:v){i
tr|p:l),
-o, -a
tr|p:¢),
-o, -a
tr|p:t)
19. Coniugazione dei verbi tematici con tema del presente in -i-: hoditi ,
hvaliti e prositi
infinito
sg
presente
du
pl
sg
imperativo
du
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
hoditi
hojd\
hodi{i
hodit)
hodiv:
hodita
hodite
hodim)
hodite
hod(t)
hvaliti
hval+
hvali{i
hvalit)
hvaliv:
hvalita
hvalite
hvalim)
hvalite
hval(t)
prositi
pro{\
prosi{i
prosit)
prosiv:
prosita
prosite
prosim)
prosite
pros(t)
hodi
hodi
hodiv:
hodita
hvali
hvali
hvaliv:
hvalita
prosi
prosi
prosiv:
prosita
281
Tavole morfologiche
infinito
pl
participio
presente
attivo
participio presente
passivo m n f
sg
aoristo
sigmatico I
du
pl
sg
imperfetto
du
pl
participio
passato
attivo
participio
perfetto m n f
participio passato
passivo
supino
1ª
2ª
3ª
m
n
f
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3ª
1ª
2ª
3
1ª
2ª
3ª
m
n
f
hoditi
hodim)
hodite
hvaliti
hvalim)
hvalite
prositi
prosim)
prosite
hod(
hod(
hod(}i
hval(
hval(
hval(}i
pros(
pros(
pros(}i
hvalim), -o, -a
prosim), -o, -a
hodih)
hodi
hodi
hodihov:
hodista
hodiste
hodihom)
hodiste
hodi{(
hojdaah)
hojdaa{e
hojdaa{e
hojdaahov:
hojdaa{eta
hojdaa{ete
hojdaahom)
hojdaa{ete
hojdaah\
hodiv)
hodiv)
hodiv){i
hvalih)
hvali
hvali
hvalihov:
hvalista
hvaliste
hvalihom)
hvaliste
hvali{(
hvalqah)
hvalqa{e
hvalqa{e
hvalqahov:
hvalqa{eta
hvalqa{ete
hvalqahom)
hvalqa{ete
hvalqah\
hval∞|
hval∞|
hval∞| {i
prosih)
prosi
prosi
prosihov:
prosista
prosiste
prosihom)
prosiste
prosi{(
pro{aah)
pro{aa{e
pro{aa{e
pro{aahov:
pro{aa{eta
pro{aa{ete
pro{aahom)
pro{aa{ete
pro{aah\
pro{|
pro{|
pro{|{i
hodil), -o, -a
hvalil), -o, -a
prosil), -o, -a
hval&¢), -o, -a
pro{e¢), -o, -a
hvalit)
prosit)
hodit)
282
Appendice 2
20. Participio presente attivo (tema del presente e/o)
m
N
G
D
A
L
S
NA
GL
DS
N
G
D
A
L
S
¢es¨
¢es\}a/:
¢es\}</ou
¢es\}|
¢es\}i
¢es\}em|
¢es\}a/:
¢es\}</ou
¢es\}ema
¢es\}e
¢es\}|
¢es\}em)
¢es\}(
¢es\}ih)
¢es\}i
n
¢es¨
¢es\}a/:
¢es\}</ou
¢es\}e
¢es\}i
¢es\}em|
¢es\}i
¢es\}</ou
¢es\}ema
¢es\}a
¢es\}|
¢es\}em)
¢es\}a
¢es\}ih)
¢es\}i
f
¢es\}i
¢es\}(
¢es\}i
¢es\}\
¢es\}i
¢es\}e+
¢es\}i
¢es\}</ou
¢es\}ama
¢es\}(
¢es\}|
¢es\}am)
¢es\}(
¢es\}ah)
¢es\}ami
21. Participio presente attivo di forma articolata (tema del presente e/o)
m
N
G
D
A
L
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283
Tavole morfologiche
22. Participio presente attivo (tema del presente je/jo)
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23. Participio presente attivo di forma articolata (tema del presente je/jo)
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284
Appendice 2
24. Participio presente attivo (tema del presente i)
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25. Participio presente attivo di forma articolata (tema del presente i)
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285
Tavole morfologiche
26. Participio passato attivo (tema del presente e/o)
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27. Participio passato attivo di forma articolata (tema del presente e/o)
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286
Appendice 2
28. Participio passato attivo (tema del presente je/jo)
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G
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N
G
D
A
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29. Participio passato attivo di forma articolata (tema del presente je/jo)
m
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G
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D
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287
Tavole morfologiche
30. Participio passato attivo (tema del presente i)
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31. Participio passato attivo di forma articolata (tema del presente i)
m
N
G
D
A
L
S
NA
GL
DS
N
G
D
A
L
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manuali
Biomedica
Policicchio F., Lineamenti di infrastrutture ferroviarie
Branchi R., Le impronte nel paziente totalmente edentulo
Umanistica
Rossetti R., Manuale di batteriologia
clinica. Dalla teoria alla pratica in Bertini F., Risorse, conflitti, continenti e
nazioni. Dalla rivoluzione industriale
laboratorio
alle guerre irachene, dal RisorgimenRucci L., Testo Atlante di embriologia
to alla conferma della Costituzione
clinica della Laringe. La chirurgia
repubblicana
conservativa compartimentale della
Bombi A.S., Pinto G., Cannoni E., Pictoregione glottica
rial Assessment of Interpersonal
Relationships (PAIR). An analytic
Scienze
system for understanding children’s
Bart J.C.J., Polymer Additive Analytics.
drawings
Industrial Practice and Case Studies
Caramelli D., Antropologia molecolare. Borello E., Mannori S., Teoria e tecnica
delle comunicazioni di massa
Manuale di base
Scialpi A., Mengoni A. (a cura di), La Brandi L., Salvadori B., Dal suono alla
parola. Percezione e produzione del
PCR e le sue varianti. Quaderno di
linguaggio tra neurolinguistica e
laboratorio
psicolinguistica
Simonetta M.A., Short history of Biology
from the Origins to the 20th Century Coniglione F., Lenoci M., Mari G., Polizzi
G. (a cura di), Manuale di base di StoSpinicci R., Elementi di chimica
ria della filosofia
Spinicci R., Elementi di chimica (nuova
Marcialis
N., Introduzione alla lingua
edizione)
paleoslava
Michelazzo F., Nuovi itinerari alla scoScienze Sociali
perta del greco antico. Le strutture
Ciampi F., Fondamenti di economia e gefondamentali della lingua greca: fostione delle imprese
netica, morfologia, sintassi, semantiGiovannini P. (a cura di), Teorie socioloca, pragmatica
giche alla prova
Maggino F., L’analisi dei dati nell’inda- Peruzzi A., Il significato inesistente. Lezioni sulla semantica
gine statistica. Volume 1. La realizzazione dell’indagine e l’analisi prelimi- Peruzzi A., Modelli della spiegazione
scientifica
nare dei dati
Maggino F., L’analisi dei dati nell’indagi- Sandrini M.G., Filosofia dei metodi induttivi e logica della ricerca
ne statistica. Volume 2. L’esplorazione
Trisciuzzi L., Zappaterra T., Bichi L., Tedei dati e la validazione dei risultati
nersi per mano. Disabilità e formaMagliulo A., Elementi di economia del
zione del sé nell’autobiografia
turismo
Visentini L., Bertoldi, M., Conoscere le
organizzazioni. Una guida alle prospettive analitiche e alle pratiche
gestionali
Scienze Tecnologiche
Borri C., Pastò S., Lezioni di ingegneria
del vento
Borri C., Betti M., Marino E., Lectures on
Solid Mechanics
Gulli R., Struttura e costruzione / Structure and Construction
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