MANUALI UMANISTICA – 8 – biblioteca di studi slavistici Comitato scientifico Giovanna Brogi Bercoff (Direttore), Michaela Böhmig, Stefano Garzonio (Presidente AIS), Nicoletta Marcialis, Marcello Garzaniti (Direttore Esecutivo), Krassimir Stantchev Comitato di redazione Alberto Alberti, Giovanna Brogi Bercoff, Marcello Garzaniti, Stefano Garzonio, Giovanna Moracci, Marcello Piacentini, Donatella Possamai, Giovanna Siedina titoli già pubblicati 1. Nicoletta Marcialis, Introduzione alla lingua paleoslava, 2005 2. Ettore Gherbezza, Dei delitti e delle pene nella traduzione di Michail M. Ščerbatov, 2007 3. Gabriele Mazzitelli, Slavica biblioteconomica, 2007 4. Maria Grazia Bartolini, Giovanna Brogi Bercoff (a cura di), Kiev e Leopoli: il “testo” culturale, 2007 5. Maria Bidovec, Raccontare la Slovenia. Narratività ed echi della cultura popolare in Die Ehre Dess Hertzogthums Crain di J.W. Valvasor, 2008 6. Maria Cristina Bragone, Alfavitar radi učenija malych detej. Un abbecedario nella Russia del Seicento, 2008 7. Alberto Alberti, Stefano Garzonio, Nicoletta Marcialis, Bianca Sulpasso, Contributi italiani al XIV Congresso Internazionale degli Slavisti, 2008 NICOLETTA MARCIALIS Introduzione alla lingua paleoslava Firenze University Press 2007 Introduzione alla lingua paleoslava / Nicoletta Marcialis. – Firenze : Firenze university press, 2007. (Manuale umanistica, 8) http://digital.casalini.it/9788884536624 Stampa a richiesta disponibile su http://epress.unifi.it ISBN978-88-6453-114-4 (online) ISBN 978-88-8453- 661-7 (print) 491.81701 (ed. 20) Lingua slava antica © 2007 Firenze University Press Università degli Studi di Firenze Firenze University Press Borgo Albizi, 28 50122 Firenze, Italy http://epress.unifi.it/ Printed in Italy INDICE Premessa V1 Introduzione 1. Paleoslavo e evangelizzazione degli slavi 3 2. Costantino e Metodio 6 3. La missione morava tra impero romano (Roma e Bisanzio) e impero franco 16 4. La lingua paleoslava 31 5. Cirillico e glagolitico 33 6. Il canone paleoslavo 37 7. Paleoslavo e slavo ecclesiastico nella Slavia orientale 46 8. Lo slavo ecclesiastico ibrido 59 9. La II influenza slava meridionale 63 10. Redazione rutena e redazione moscovita dello slavo ecclesiastico 69 11. La reinvenzione della grammatica 72 12. La riforma di Nikon e la creazione di una norma panrussa dello slavo ecclesiastico 73 Fonetica 1. Dal protoindoeuropeo al protoslavo 77 2. Consonantismo 77 3. Vocalismo 79 4. Apofonia 79 5. Trasformazioni del consonatismo (occlusive e fricative) 81 6. Trasformazioni del consonantismo (sonoranti) 84 7. Intonazione 85 8. Trasformazioni del vocalismo 85 9. Dal protoslavo antico allo slavo comune tardo 86 10. La I palatalizzazione 87 11. La iodizzazione 88 12. Metafonia palatale 89 13. Monottongazione dei dittonghi in semivocale 89 14. La II palatalizzazione 91 15. Consonantizzazione delle semivocali 92 16. Semplificazione dei nessi consonantici 93 II Il paleoslavo 17. Dittonghi in nasale 95 18. Sviluppo di jod protetico 96 19. Dittonghi in liquida 97 20. La III palatalizzazione 101 21. Nuova metafonia palatale 103 22. Slavia settentrionale e slavia meridionale 103 23. Fine della parola 104 24. Trasformazione della quantità in timbro 105 25. Nuove alternanze vocaliche 107 26. Gli jer 108 Morfologia 1. Le parti del discorso 111 2. Il nome 112 3. Temi in *a- 116 4. Temi in *ŏ 118 5. Principali suffissi derivativi dei nomi in *ŏ e in *a- 122 6. Temi in *ı̆ 129 7. Temi in *ŭ 132 8. Temi in consonante 9. Temi in *u- 138 10. L’aggettivo 139 133 11. Comparativo e superlativo 141 12. Il pronome 144 13. Sostantivi pronominali 145 14. Aggettivi pronominali 147 15. I numerali 152 16. Il verbo 156 17. I tempi verbali 159 18. Modo, diatesi, persona e numero 161 19. Suffissi tematici e derivativi 162 20. Classificazione 164 21. L’aoristo 177 22. L’imperfetto 184 23. I participi 186 24. I tempi composti 193 25. Il modo condizionale 194 Indice III 26. Il modo imperativo 194 27. Infinito e supino 196 28. Infinito sostantivato e sostantivo verbale 196 Sintassi 1. Il paleoslavo e il greco 199 2. La sintassi della proposizione: il soggetto 200 3. Il predicato 202 4. I complementi 204 5. Uso delle preposizioni 211 6. La sintassi del periodo 228 7. Proposizioni completive 232 8. Proposizioni completive implicite 235 9. Proposizioni relative 237 10. Proposizioni circostanziali 240 11. Proposizioni ipotetiche e periodo ipotetico 241 12. Proposizioni causali 242 13. Proposizioni concessive 243 14. Proposizioni consecutive 244 15. Proposizioni finali 244 16. Proposizioni temporali 245 17. Proposizioni circostanziali implicite 246 Appendici 1. La normalizzazione 251 2. Tavole morfologiche 259 Premessa Chiunque voglia conoscere in modo non superficiale il mondo slavo deve fare i conti con la sua più antica scripta: strumento indispensabile per la ricostruzione delle protolingue, prezioso testimone della differenziazione dialettale dello slavo comune, veicolo di una tradizione culturale fondante ed esso stesso simbolo identitario, il paleoslavo delle prime traduzioni cirillometodiane cresce nei secoli, occupando l’intero spazio letterario di grande parte della Slavia medievale. Ricercatori appartenenti a diversi ambiti disciplinari hanno studiato il paleoslavo (e lo slavo ecclesiastico che ne rappresenta la naturale evoluzione) dal punto di vista dell’indoeuropeista, dello specialista di linguistica slava, dello storico delle lingue letterarie, del filologo: il loro impegno ha prodotto ottimi manuali, quali la Geschichte der Altkirchenslavischen Sprache di Nicolaus Van Wijk (Berlin und Leipzig 1931), i due volumi di Staroslavjanskij jazyk di A. M. Seliev (Moskva 1951 e 1952), il Manuel du Vieux Slave di André Vaillant (Paris 1964), Old Church Slavonic Grammar di Horace G. Lunt (The Hague 1968), Uebnice jazyka staroslov nského di Josef Kurz (Praha 1969), Altbulgarische Grammatik als Einführung in die Slavische Sprachwissenschaft di Rudolf Aitzetmüller (Freiburg 1978), Wstp do filologii sowiaskiej di Leszek Moszyski (Warszawa 1984), Staroslavjanskij jazyk di G. A. Chaburgaev (2ª ed. Moskva 1986), The Dawn of Slavic di Alexander M. Schenker (New Haven and London, 1995) e numerosissimi altri. La manualistica in lingua italiana, che non è certo altrettanto ricca, esprime tuttavia la medesima varietà di angolazioni: ricordo gli ormai introvabili lavori di Natalino Radovich (Slavo ecclesiastico antico, Napoli 1965) e Carlo 2VI Il paleoslavo Verdiani (Manuale di slavo antico, Firenze 1956), i Lineamenti di fonologia slava di Aldo Cantarini (Brescia 1979) e il più recente Corso di lingua paleoslava di Lilia Skomorochova Venturini (Pisa 2000). Frutto di lunghi anni di insegnamento della Filologia slava presso l’Università di Roma Tor Vergata, anche questa Introduzione alla lingua paleoslava nasce dal combinarsi degli interessi dell’autrice e di esigenze didattiche, ovvero dalla constatazione che tra tutte le lingue slave gli studenti conoscono prevalentemente il russo, e che la maggioranza è interessata ad approfondire aspetti di storia della lingua piuttosto che questioni di grammatica slava comparata: il manuale si rivolge quindi elettivamente a studenti russisti, in una prospettiva diacronica che prelude a studi di storia dello slavo ecclesiastico e di storia della lingua russa. Tuttavia, l’ampio spazio dedicato alle ascendenze indoeuropee e al protoslavo, nonché l’assoluto privilegio accordato alla norma ricostruita in base ai manoscritti del cosiddetto “canone” (anche a spese dell’attenzione all’individualità degli stessi) dovrebbero garantirne l’utilità e la fruibilità da parte di chi affronti lo studio della Filologia slava partendo da qualsiasi lingua slava moderna. L’Introduzione alla lingua paleoslava non avrebbe potuto essere scritta senza la collaborazione degli studenti, le cui domande e i cui dubbi mi hanno consentito di correggere imperfezioni di varia natura nella presentazione del materiale. Oltre che a loro, la mia riconoscenza va ai colleghi che hanno letto questo lavoro nelle sue diverse stesure preliminari: Sergio Bonazza, Giovanna Brogi, Giuseppe Dell’Agata, Mario Enrietti, Krasimir Stanchev. Gli errori ovviamente sono tutti miei. Introduzione 1. Paleoslavo e evangelizzazione degli slavi Si definisce paleoslavo, o slavo ecclesiastico antico, la lingua in cui i fratelli Costantino (Cirillo) e Metodio, missionari tra gli slavi, tradussero i libri sacri per quei popoli, sino ad allora privi di scrittura. La storia delle culture e delle letterature slave prende avvio da questa evangelizzazione. Nel IX secolo gli slavi, etnicamente e linguisticamente ancora poco differenziati, erano disseminati su un territorio vastissimo dell’Europa centroorientale, dal corso superiore del Volga sino al mare Adriatico, dal Baltico orientale al mar Nero. In conseguenza della loro espansione intere provincie storiche dell’impero romano, la Tracia, la Mesia, la Dacia, la Macedonia, le Pannonie, il Norico, la Dalmazia, si erano profondamente slavizzate e si stavano dando forme embrionali di organizzazione statale: chiesa e impero si trovano a fronteggiare il problema dell’assimilazione delle popolazioni slave all’interno dei propri confini e quello dei rapporti diplomatici con le nuove élites dirigenti della Moravia, della Pannonia e della Bulgaria. Se gli slavi penetrati nel cuore dell’impero bizantino erano da tempo cristiani, l’evangelizzazione delle periferie, dopo alcuni episodi che avevano visto protagonisti missionari soprattutto irlandesi, si attua a partire dalla metà del VIII secolo1 per iniziativa del clero franco delle diocesi di Frisinga (Freising), Ratisbona (Regensburg), Passavia (Passau), Salisburgo (Salzburg) e del patriarcato di Aquileia (Cividale del Friuli). Minacciati dall’espansionismo dei Franchi vittoriosi contro gli Avari, dai Bizantini, dai loro stessi fratelli 1 Nel 743 il principe Borut, attaccato dagli Avari, chiede ai bavaresi di intervenire in Carantania. Per suo desiderio vengono battezzati il figlio Gorazd e il nipote Hotimir: M. Kos (ed.), Conversio Bagoariorum et Carantanorum, Ljubljana 1936, p. 24 e p. 130. 4 Il paleoslavo slavi, i principi si difendono con alleanze mutevoli, e tentano di sfruttare i crescenti conflitti giurisdizionali tra le chiese (romana, franca e bizantina) per governarne le ingerenze. In questo quadro complesso e instabile si collocano la missione cirillometodiana e la nascita della scrittura slava2. La ricostruzione dell’operato di Cirillo e Metodio si basa su fonti di carattere eterogeneo, la cui attendibilità storica è spesso dubbia, vuoi per la 2 Imponente è la bibliografia sulla missione cirillo-metodiana, ulteriormente arricchita dalle celebrazioni per i 1100 anni dalla creazione degli alfabeti slavi (1963), i 1100 dalla morte di Cirillo (1969), i 1100 dalla morte di Metodio (1985), il millenario del battesimo della Rus’ (1988). Grande fervore di studi si è registrato in Bulgaria, che ha celebrato nel 1981 i 1300 anni della sua storia. Ricorderemo almeno la Kirilo-Metodievska Enciklopedija, i cui quattro volumi sono usciti a Sofija negli anni 1985 (vol. I), 1995 (vol. II), 2003 (voll. III e IV). Tra le pubblicazioni meno recenti occorre menzionare il corpus delle fonti, raccolto in Constantinus et Methodius Thessalonicenses. Fontes. Recensuerunt et illustraverunt F. Grivec et F. Tomšič, Radovi staroslavenskog instituta, Knjiga 4, Zagreb 1960. I 1100 anni dalla morte di Metodio sono stati ricordati con una ricca edizione in facsimile delle Vite (Žitija Kirilla i Mefodija, Moskva-Sofija 1986), che comprende Prostrannoe žitie Konstantina-Kirilla Filosofa, Prostrannoe žitie Mefodija, Pochval’noe slovo Kirillu i Mefodiju, Kratkoe žitie Kirilla, Kratkoe žitie Mefodija. Ad uno dei curatori, B. Florja, si doveva l’edizione commentata delle Vite nel più agile volumetto Skazanija o načale slavjanskoj pis’mennosti, Moskva 1981. Una notevole bibliografia si lega alla discussione delle tesi di I. Boba sulla collocazione della Moravia (Moravia’s History Reconsidered. A Reinterpretation of Medieval Sources, The Hague 1971), cui è stata dedicata parte del XI Congresso Internazionale degli Slavisti tenutosi a Bratislava nel 1993. Per la traduzione italiana delle Vite si veda: Cirillo e Metodio. Le biografie paleoslave. Introduzione, traduzione e note a cura di Vittorio Peri, Edizioni O.R., Milano 1981, e la più recente traduzione di Marcello Garzaniti in A.-E. N. Tachiaos, Cirillo e Metodio. Le radici cristiane della cultura slava. Edizione italiana a cura di Marcello Garzaniti, Jaca Book, Milano 2005. Tra i contributi in lingua italiana ricordiamo N. Radovich, Testi del Vangelo in Slavo ecclesiastico antico, Napoli 1964 e Id., Le pericopi glagolitiche della Vita Constantini e la tradizione manoscritta cirillica, Napoli 1968; F. Dvornik, Gli slavi. Storia e civiltà dalle origini al secolo XIII, Liviana Editrice, Padova 1974; R. Jakobson, Premesse di storia letteraria slava, Il Saggiatore, Milano 1975 (in particolare “La missione bizantina tra gli Slavi”); M. Lacko, Cirillo e Metodio, Apostoli degli Slavi, ed. “La casa di Matriona”, Milano 1981; F. Grivec, Santi Cirillo e Metodio. Apostoli degli Slavi e compatroni d’Europa, Urbaniana University Press, Roma 1984; J. Vodopivec, I santi fratelli Cirillo e Metodio compatroni d’Europa, Urbaniana University Press, Roma 1985; V. Peri, Da Oriente e da Occidente. Le chiese cristiane dall’impero romano all’Europa moderna, a cura di M. Ferrari, voll. I-II, Roma, Padova 2002 (in particolare “Il mandato missionario e canonico di Metodio e l’ingresso della lingua slava nella liturgia”). Introduzione 5 tendenziosità insita nella fonte stessa, vuoi per le vicissitudini di una tradizione manoscritta soggetta a guasti, lacune e interpolazioni. Al primo posto figurano naturalmente le Vite, Vita Constantini (VC) e Vita Methodii (VM), composte presumibilmente già nel IX secolo, ma pervenuteci in copie tarde. Sulla loro datazione esistono tra gli studiosi pareri discordi, in particolar modo per ciò che riguarda VC, i cui testimoni più antichi risalgono al XV secolo: schematizzando i diversi punti di vista, possiamo dire che gli uni ritengono che il testo della Vita a noi pervenuta sia quello composto nel IX secolo da un diretto partecipante alle vicende narrate (si pensa addirittura a Metodio quale biografo del fratello), gli altri credono viceversa di avere a che fare con un archetipo contaminato, slavo orientale e tardo. Gli argomenti del contendere sono di varia natura, linguistici, filologici, letterari, storici. Fondamentale è il giudizio sull’attendibilità delle informazioni contenute nelle Vite, giacché certo a Metodio o ai diretti discepoli dei fratelli non si possono attribuire imprecisioni del tutto naturali per un agiografo vissuto secoli più tardi. Accanto alle Vite figurano come possibili fonti testi slavi, latini e greci: i Sermoni panegirici (uno in lode di Cirillo, l’altro in lode di Cirillo e Metodio), le Vite brevi, gli uffici liturgici, due opere che Anastasio Bibliotecario attribuisce allo stesso Costantino (Inventio s. Clementis e Sermo de translatione s. Clementis, note in versione slava in codici del XV sec.), le Vite di Clemente e di Naum, la cosiddetta Legenda italica del vescovo di Velletri Gauderico (Vita cum translatione s. Clementis, XII sec.), la Legenda Boema (Vita et passio s. Venceslai et s. Ludmilae, aviae eius, XIV sec.), la Legenda Morava (incipit: “Tempore Michaelis imperatoris”, XIV sec.), il cosiddetto Memorandum di Salisburgo dell’870-871 (Conversio Bagoariorum et Carantanorum, XIII sec.), i documenti superstiti della Curia papale (il Liber Pontificalis e i Registri delle lettere spedite dai papi)3. 3 Se ne può vedere la descrizione in F. Grivec, Santi Cirillo e Metodio. Apostoli degli Slavi e compatroni d’Europa, cit., pp. 211-239. 6 Il paleoslavo 2. Costantino e Metodio Nati a Salonicco, i due fratelli erano figli del drungario Leone, un alto funzionario alle dipendenze dello stratega della regione. Costantino, nato nel 827, era il più piccolo di sette figli. Salonicco era all’epoca città bilingue: nel convincerli ad accettare la missione tra gli slavi l’imperatore bizantino Michele III dice: “Voi siete infatti di Salonicco e tutti i Tessalonicesi parlano correttamente lo slavo” (VM V; Garzaniti4 214). I fratelli ricevono un’educazione accurata, di profilo giuridico Metodio, che ancor giovane riceve l’incarico di amministrare una provincia popolata da slavi (VM II); di profilo filologico e filosofico Costantino, che arso dalla sete di sapere impara a memoria le opere di Gregorio Nazianzeno, di cui traccia sulla parete della propria stanza un encomio che lo definisce “illuminatore e maestro” (VC III; Garzaniti 173). La fama dei meriti di Costantino giunge alla capitale, e il logoteta Teoctisto, molto vicino all’imperatrice reggente Teodora, madre di Michele III, lo prende sotto la propria protezione (VC III). Costantino studia grammatica, dialettica, retorica, aritmetica, geometria, astronomia, musica, sotto la guida di maestri quali Leone Matematico e Fozio, futuro patriarca, con risultati stupefacenti. Gli vengono offerti onori e alte cariche, di cui lui accetta solo quella di bibliotecario del patriarcato; fugge però anche da questa, per nascondersi in un monastero sul Bosforo, dove lo trovano dopo sei mesi. Accetta allora l’incarico di professore di filosofia, e torna a Costantinopoli (VC IV). Oltre che per l’erudizione, Costantino è celebre come abilissimo polemista: a lui viene affidato il compito di affrontare il deposto patriarca Giovanni VII Grammatico, sostenitore degli iconoclasti, in una disputa nella quale si ricopre di gloria (VC V). In seguito, a soli ventiquattro anni, viene inviato in ambasceria presso il califfo arabo al-Mutawakkil per discutere dello scambio di prigionieri di guerra, e vi sostiene una abile disputa sulla Trinità (sopravvivendo miracolosamente a un tentativo di avvelenamento) (VC VI). Al ritorno dalla missione Costantino trova grandi cambiamenti: suo fratello ha 4 Tutti i passi di VC e VM saranno citati nella traduzione di Marcello Garzaniti posta in appendice in A.-E. N. Tachiaos, Cirillo e Metodio. Le radici cristiane della cultura slava, cit. Introduzione 7 lasciato la carica di arconte e si è ritirato in un monastero sul monte Olimpo, in Bitinia, dove si è fatto monaco con il nome di Metodio (suo nome di battesimo sarebbe stato Michele5). Costantino lo raggiunge (VC VII). Qui, lontano dai torbidi della capitale (il loro protettore Teoctisto viene ucciso alla fine del 855) i due fratelli potrebbero aver concepito il primo progetto di una missione tra gli slavi: Nel silenzio del chiostro è poco probabile che Cirillo e Metodio si siano dedicati esclusivamente all’ascesi e all’istruzione dei discepoli. Metodio aveva lavorato quasi un decennio tra gli slavi e ne aveva preso alcuni più svegli con sé. Cirillo aveva una passione innata per la filologia, e come bibliotecario era entrato in contatto con le lingue e le scritture di molti popoli. Il suo maestro Fozio, futuro stratega dell’espansione culturale bizantina, non poteva non aver condiviso con i suoi pupilli l’idea di attirare nella cristianità popoli vicini e meno vicini, servendosi della predicazione nella loro lingua madre. E lungo l’intera frontiera europea l’impero confinava con popolazioni e tribù slave, alcune delle quali avevano già costituito organizzazioni statali stabili (la Bulgaria e la Grande Moravia). In presenza di un siffatto complesso di fattori oggettivi e soggettivi è logico che i due fratelli abbiano pensato alla creazione di un alfabeto slavo e alla traduzione dei fondamentali libri cristiani nella lingua degli slavi6. L’ascesa di Fozio alla dignità patriarcale (858) ha immediata ripercussione sulla sorte di Costantino, cui viene affidata una missione politico-religiosa nel khanato dei Chazari. Popolo di stirpe turca e provenienza asiatica, i Chazari dominavano il territorio compreso tra il Caucaso e la Crimea, lungo il corso 5 F. Grivec, F. Tomšič, Fontes, cit., p. 35. 6 K. Stančev, G. Popov, Kliment Ochridski, Sofija 1988, pp. 28-29. Nella trattazione dei due studiosi far iniziare il progetto slavo in Bitinia valeva a corroborare la tesi del carattere “bulgaro” della lingua cirillometodiana: “Le fonti non ci forniscono dati concreti, ma la logica, confortata anche dal successivo evolvere degli eventi, suggerisce che già nella seconda metà degli anni ‘50 Cirillo e Metodio, approfittando delle condizioni di vita monastica, abbiano messo a punto i principi fondamentali dell’alfabeto slavo (glagolitico) e della più antica lingua letteraria degli slavi, formata sulla base delle parlate bulgare meridionali diffuse intorno a Salonicco e a loro note. Parlanti nativi di quella lingua erano anche i discepoli di Metodio provenienti dall’arcontato di Struma, che indubbiamente presero parte, come informatori e come aiutanti, all’opera. Tra loro, se la nostra ricostruzione biografica è corretta, si trovavano anche Clemente, Naum e Angelario” (Ivi, p. 29). L’ipotesi è ampiamente condivisa da studiosi non bulgari quali Grivec e Tachiaos. 8 Il paleoslavo inferiore del Volga; una minoranza era cristiana, e questa appunto avrebbe mandato un’ambasceria a Costantinopoli con la preghiera di inviare loro un uomo capace di sconfiggere in una disputa religiosa i predicatori ebrei e musulmani, che stavano cercando di convertirli rispettivamente al giudaismo e all’islam. A Costantino si unisce Metodio (VM IV). Lungo il viaggio di andata (861) l’ambasceria si ferma a Chersoneso Taurico (Crimea), dove Costantino impara a leggere e scrivere l’ebraico, dove conversa con un samaritano e decifra i libri che questi gli mostra, e dove infine ha luogo il famoso episodio del Vangelo scritto in lettere “russe”: “allora, intrapreso il viaggio e giunto a Cherson, vi imparò la parlata e le lettere ebraiche, dopo aver tradotto le otto parti della grammatica così da ricavarne una maggiore conoscenza. Là viveva un Samaritano che, venendo da lui, discuteva con lui e portò i libri samaritani e glieli mostrò. Dopo averglieli chiesti, il Filosofo, rinchiusosi nella (sua) stanza, si mise a pregare e ricevuta(ne) da Dio la comprensione cominciò a leggere i libri senza errore […] Là trovò un Vangelo e un Salterio, scritto in lettere ‘russe’, e trovò un uomo che si esprimeva in quella parlata e conversò con lui e, compresa la forza del discorso, accostando per mezzo della propria parlata le diverse lettere, vocali e consonanti, ed elevando la preghiera a Dio, cominciò subito a leggere e parlare” (VC VIII; Garzaniti 182-183). L’aggettivo “russo” (rusßsk∞) è stato interpretato in vari modi: alcuni studiosi, tra cui R. Picchio7, propongono di vedere nel passo un’interpolazione slava orientale volta a sottolineare l’autonomia dell’ingresso della Rus’ nella cristianità, al di fuori della tutela di Bisanzio; secondo altri (da M. Pogodin e I. Sreznevskij sino a N. Nikol’skij, I. Ogienko, P. Černych, E. Georgiev, V. Istrin) il passo va inteso alla lettera e proverebbe la presenza presso gli slavi orientali di un alfabeto cui si sarebbe poi ispirato Costantino. Altri ancora (da P. Šafařik a F. Dvornik, G. Il’inskij) riferiscono l’aggettivo alla Bibbia tradotta per i Goti da Wulfila, ponendo proprio l’interesse suscitato in Costantino dalla bibbia gota all’origine 7 R. Picchio, “Compilazione e trama narrativa nelle «Vite» di Costantino e di Metodio”, in Ricerche Slavistiche, VIII, 1960, pp. 61-95. L’ipotesi, che era già di A. V. Gorskij e O. M. Bodjanskij, è stata recentemente difesa da Dimo Češmedžiev nel suo Kiril i Metodij v bălgarskata istoričeska pamet prez srednite vekove, Sofija 2001. Introduzione 9 del progetto di una bibbia slava. A tal fine Il’inskij legge fruškyj («franco», cioè germanico, gotico), mentre i più riferiscono direttamente l’etnonimo a popolazioni germaniche: l’interpretazione di «rusßskyj» nel senso indicato da G. Il’inskij è plausibile anche senza dover supporre la forma «fro˛škyj»: nei testi russi antichi, questo aggettivo è spesso usato per indicare i Normanni; l’impiego del termine anche per i Goti, che occupavano allora la Russia meridionale e possedevano una traduzione della Bibbia, non fa quindi difficoltà8. Oggi la maggior parte di chi non crede alla interpolazione tarda sembra concordare con la lettura di A. Vaillant, approfondita da R. Jakobson e da D. Gerhardt, secondo cui rusßsk∞ vale surßsk∞ col significato di “siriaco”, e tutto il passo servirebbe all’agiografo per sottolineare la conoscenza delle lingue semitiche da parte di Costantino. La missione in Crimea è un successo, sia per le rinnovate profferte di amicizia da parte del khan, sia per il ritrovamento, avvenuto a Chersoneso durante il viaggio di andata, delle reliquie di Clemente papa, che una leggenda voleva esiliato e martirizzato nel 101 per ordine di Traiano. Saranno queste relique a garantire ai fratelli, molti anni dopo, una accoglienza calda e solenne da parte del papa in occasione del loro viaggio a Roma. Tornati a Costantinopoli, Metodio rifiuta la carica di arcivescovo offertagli da Fozio, diventando egumeno del monastero di Polichron, in Bitinia, sul suo amato monte Olimpo (VM IV); Costantino “viveva nel silenzio, pregando Dio, risiedendo nella Chiesa dei Santi Apostoli” (VC XIII; Garzaniti 195). In questo periodo di serenità mette a profitto le competenze acquisite in Crimea per decifrare la misteriosa iscrizione in lettere ebraiche e samaritane su un prezioso calice, opera di Salomone, conservato a Costantinopoli nella chiesa di Santa Sofia9. 8 N. Radovich, Testi del Vangelo in Slavo ecclesiastico antico, Napoli 1964, p. VI. 9 R. Picchio, “Chapter 13 of «Vita Constantini»: Its Text and Contestual Function”, in Slavica Hierosolymitana. Slavic Studies of the Hebrew University, VII, 1985, pp. 133-152; Id., “Alle prese con la Vita Costantini”, in AION Slavistica, 1, 1993, pp. 29-63; M. Capaldo, “Sulla datazione di un’iscrizione pseudo-salomonica ad opera di Costantino il Filosofo”, in Filologia e letteratura nei paesi slavi. Studi in onore di Sante Graciotti, Roma 1990, pp. 945-969; Id., 10 Il paleoslavo Ma la loro pace non dura a lungo. Nell’862 due principi slavi, Rastislav e Sventopluk (VM), o il solo Rastislav (VC), mandano un’ambasceria a Costantinopoli per chiedere che gli si invii un vescovo e un maestro capace di spiegare le leggi cristiane in lingua slava: “da quando il nostro popolo ha rigettato il paganesimo e osserva la legge cristiana, non abbiamo un maestro, che ci interpreti nella nostra lingua la vera fede cristiana, così che anche gli altri paesi, vedendo questo, diventino simili a noi. Mandaci dunque, signore, un tale vescovo e maestro” (VC XIV; Garzaniti 196). Cfr. il passo di VM: “sono venuti fra noi molti maestri cristiani, dai Valacchi e dai Greci e dai Germani, insegnandoci in modo diverso, mentre noi Slavi siamo persone semplici e non abbiamo chi ci guidi nella verità e renda nota la conoscenza. Allora, buon signore, manda un uomo che adempia ogni giustizia” (VM V; Garzaniti 213-214). Secondo l’agiografo la richiesta coglie i due fratelli di sorpresa. Quando l’imperatore Michele lo prega di accettare la missione Costantino esita: “«Anche se sono affaticato nel corpo e malato, sono felice di andare là, se hanno un alfabeto per la loro lingua». E gli disse l’imperatore: «Mio nonno e mio padre e molti altri, cercatolo, non lo trovarono, come posso trovarlo io?». Il Filosofo allora disse: «Chi può scrivere un discorso sull’acqua e ricavarne per sé la taccia di eretico?». Gli rispose di nuovo l’imperatore insieme a Barda, suo zio: «Se tu vorrai, te lo concederà Dio, che dà a tutti quelli che chiedono senza dubitare e apre a coloro che bussano»” (VC XIV; Garzaniti 196-197). Costantino si ritira allora in preghiera, e “subito Dio, che ascolta le preghiere dei suoi servi, gli si manifestò. E allora compose le lettere e cominciò a scrivere un discorso evangelico: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio»” (VC XIV; Garzaniti 197). Più probabilmente, come si diceva, i due fratelli avevano già intrapreso l’elaborazione di un alfabeto e di una lingua per la predicazione tra gli slavi, di cui Metodio aveva avuto diretta conoscenza nella sua qualità di arconte di una provincia che ne “Rispetto del testo tràdito o avventura congetturale? Su una recente interpretazione di VC 13”, in Europa orientalis, IX, 1990, pp. 541-644; Id., “Ancora sul calice di Salomone”, in Ricerche Slavistiche 39/40 (1992-93)1, pp. 105-125. Introduzione 11 contava grande numero. La data dell’863 segna comunque, se non l’inizio della attività missionaria, il momento della sua ufficializzazione da parte di principi slavi desiderosi di consolidare il proprio potere con una gerarchia ecclesiastica indipendente dai Franchi10. Dalla Moravia, dove si sarebbero trattenuti 40 mesi (VC XV; altre fonti indicano periodi diversi, rispettivamente tre anni la VM e quattro anni e mezzo la Legenda italica), i due fratelli ripartono insieme a un gruppo di discepoli (probabilmente Clemente, Naum, Angelario, Savva e Gorazd) allo scopo di ottenerne l’ordinazione. Prima tappa del viaggio, la cui meta finale è ancora oggetto di discussione tra gli studiosi11, è presso Kocel, principe della Pannonia, che si appassiona alle lettere slave e affida ai fratelli cinquanta giovani da educare. Quindi il gruppo si dirige a Venezia, dove Costantino fronteggia in una disputa i sostenitori della “eresia pilatiana”, secondo cui solo le tre lingue dell’iscrizione di Pilato (greco, latino, ebraico) possono essere usate per lodare Dio (VC XVI): Si trattava di rispondere al quesito, teologicamente scabroso, se rientrasse o meno nei disegni della Provvidenza il piano di diffondere il Verbo della salvezza per via graduale e mediata, scegliendo cioè nella autorità dell’Impero lo strumento principe dell’apostolato, e fissando in tal modo un confine d’autorità fra i recipienti diretti del messaggio di Cristo, e coloro che invece erano destinati ad essere redenti «nell’ultima età», non più per apostolato diretto, ma soltanto per estensione subordinata dell’apostolato primitivo. La accettazione di questa ultima tesi implicava una subordinazione gerarchica dei nuovi convertiti sia sul piano spirituale che su quello amministrativo e sociale. In pratica, era questo il fondamento dell’interpretazione della cristianizzazione come latinizzazione e come ellenizzazione, ossia come annessione di nuove genti e paesi nelle giurisidizioni, teocraticamente concepite, di Roma e di Bisanzio. Come v’erano «poteri sacri» così si potevano fissare, mediante 10 G. A. Chaburgaev, Pervye stoletija slavjanskoj pis’mennoj kul’tury. Istoki drevnerusskoj knižnosti, Moskva 1994, p. 60. 11 Un sunto della discussione si può vedere in Skazanija o načale slavjanskoj pis’mennosti, cit., pp. 132-133. Le tre tesi principali sulla meta del viaggio e sull’autorità ecclesiastica cui i fratelli intendevano rivolgersi per l’ordinazione dei discepoli si possono così riassumere: i fratelli si dirigono a Venezia per imbarcarsi colà per Costantinopoli e presentare i discepoli al patriarca, i fratelli si dirigono via Venezia a Roma, i fratelli si dirigono dal patriarca di Aquileia, nella regione di Venezia. 12 Il paleoslavo un’analoga interpretazione della manifestazione del Verbo, corrispondenti «lingue sacre» […] l’«ideologia cirillometodiana» è in notevole misura una diretta confutazione di questa concezione esclusivista e stativa. I punti essenziali della polemica in favore dell’autonomia slava nella Chiesa di Cristo riguardano infatti l’essenza e la continuità dell’apostolato, la illegittimità del principio delle «tre lingue», la parità di diritti della lingua slava, la funzione dei nuovi «poteri sacri» (dai reggitori di Moravia a quelli di Bulgaria, secondo una continuità provvidenziale che poi si estenderà alla Serbia e alla Russia sino a trasportarsi su tutta la Slavia ortodossa) creatisi come effetto della continua diffusione del Verbo, la fonte dell’ortodossia (che dovrà essere cercata nei testi sacri e nell’esempio della retta tradizione piuttosto che nel potere giurisdizionale di autorità precostituite)12. A Venezia raggiunge i fratelli un messo del papa Nicola I, che li invita a relazionare sulla loro attività missionaria. A Roma però vengono accolti dal nuovo papa Adriano II (Nicola I era morto alla fine dell’867), cui recano in dono le reliquie di papa Clemente. Il papa benedice i libri slavi sull’altare di Santa Maria Maggiore: “il papa accolse i libri slavi, li consacrò e li depose nella chiesa di Santa Maria, che si chiama Pathne” (VC XVII; Garzaniti 203), e incarica due vescovi, Formoso, appena rientrato dalla Bulgaria, e Gauderico, autore della già ricordata Vita cum translatione S. Clementis, di consacrare i discepoli slavi: “Multis itaque gratiarum actionibus prefato Philosopho pro tanto beneficio redditis, consacraverunt fratrem eius Methodium in sacerdotem, nec non et ceteros eorum discipulos in presbiteros et dyaconos” (Legenda italica13). Costantino si ammala gravemente e, fattosi monaco con il nome di Cirillo, muore il 14 febbraio 869. Viene sepolto nella chiesa di S. Clemente, vicino alle reliquie da lui stesso portate a Roma (VC XVIII). La morte di Costantino non significa la fine della missione cirillometodiana: nell’869 Kocel cessa di essere un margravio franco, e come principe slavo indipendente si rivolge al papa, chiedendo il ritorno di Metodio. Adriano soddisfa prontamente la richiesta, inviando non solo a Kocel, ma a tutti i paesi slavi Metodio, ora sacerdote, “come maestro [...] nostro figlio, 12 R. Picchio, “Questione della lingua e Slavia cirillometodiana”, in Letteratura della Slavia Ortodossa, Dedalo, Bari 1991, pp. 176-177. 13 F. Grivec, F. Tomšič, Fontes, cit., p. 63. Introduzione 13 uomo perfetto nella conoscenza e ortodossa, perché vi insegni, come avete chiesto, interpretando i libri nella vostra lingua” (VM VIII; Garzaniti 215216). Se Kocel lo accoglie con grandi onori, non così il clero della Baviera e della Carinzia, che dall’incarico missionario affidato “al greco” vede lesi i diritti giurisdizionali esercitati da almeno un secolo sui sudditi slavi di principi tributari o vassalli dei Franchi. Nel crescere della tensione, mentre a Salisburgo si stende una preoccupata relazione degli avvenimenti (la Conversio Bagoariorum et Carantanorum composta tra l’870 e l’871), Kocel rispedisce Metodio a Roma con la richiesta che venga consacrato vescovo residenziale per la Pannonia “sulla cattedra di sant’Andronico apostolo” (VM VIII; Garzaniti 215-216) cioè col titolo dell’antica metropoli di Sirmio (oggi Sremska Mitrovica)14. Anche questa volta Adriano esaudisce solo in parte il desiderio del principe, e nomina Metodio arcivescovo “pro fide”, affidandogli la cura missionaria di tutti gli slavi dell’antica Pannonia (regione dai confini indeterminati e dalla denominazione puramente convenzionale, a metà strada tra la geografia antica e il diritto canonico), e non solo di quella concretamente retta da Kocel, che era la “Pannonia inferiore”: il suo titolo ecclesiastico non era quello di una sede determinata, né Sirmium né altra, bensì un titolo esteso a tutta l’antica «diocesi» pannonica; ciò rifletteva la natura ancora missionaria del suo incarico episcopale nei confini di tutto un antico e tradizionale territorio canonico, privo da secoli di una organizzazione ecclesiastica regolare, benché si stessero moltiplicando in esso le comunità cristiane. Scrivendo a lui, il papa gli si rivolge come «Archiepiscopo Pannoniensis ecclesiae» oppure come «Archiepiscopo pro fide»15. La reazione dell’episcopato franco a questa nuova mossa di Roma è violentissima: catturato sulla via del ritorno da Roma a Mosaburg, la capitale 14 La richiesta di Kocel può far pensare che Sirmio si trovasse all’epoca sul suo territorio, ma Vlasto ritiene invece che tutta la zona si trovasse in mano ai Bulgari dall’827 (A. P. Vlasto, The Entry of the Slavs into Christendom, cit., p. 68). Questa ipotesi escluderebbe che la proposta di Sirmio sia partita dal principe slavo, e ne restituisce la scelta ad Adriano II. 15 V. Peri, “Il mandato missionario e canonico di Metodio e l’ingresso della lingua slava nella liturgia”, in Da Oriente e da Occidente. Le chiese cristiane dall’impero romano all’Europa moderna, cit., vol. II, p. 925. 14 Il paleoslavo di Kocel sul lago Balaton, o, secondo un’altra ipotesi, durante il primo viaggio pastorale che avrebbe compiuto in Moravia ignorandone la nuova situazione politica a lui sfavorevole, o forse ancora espressamente convocato dalla Pannonia, Metodio è sottoposto a un duro e umiliante interrogatorio alla presenza di Ludovico il Germanico e quindi rinchiuso nel convento di Ellwangen16 (VM IX). Non è ostacolo alla persecuzione Sventopluk, che nel frattempo con l’aiuto dei Franchi ha accecato e deposto lo zio Rastislav (870). Liberato nell’873 grazie al vigoroso intervento di papa Giovanni VIII, che succeduto nell’872 a Adriano II vagheggia una lega anti-franca, e dello stesso Sventopluk, che nel frattempo è divenuto nuovamente ostile ai Franchi e ha espulso dal suo territorio il clero germanico, Metodio viene accompagnato dal legato pontificio Paolo, vescovo di Ancona, in Moravia17, dove si dispone ad affrontare il periodo più duro della sua vita. Solo la promessa fatta al fratello morente lo trattiene dal ritornare all’amato Olimpo (VM VII), spronandolo a una quasi miracolosa attività traduttoria (VM XV) interrotta da viaggi a Roma e a Costantinopoli. Nell’874 Kocel, che era stato diffidato dal riaccogliere Metodio, è deposto e forse ucciso dai Franchi: la Pannonia torna sotto la giurisdizione di Salisburgo, apertamente ostile al vescovo slavo. Anche in Moravia si comincia a perdere entusiasmo. Scontenti sono soprattutto i magnati, che preferivano agli usi bizantini il sistema franco delle “chiese proprietarie”18. Sacerdoti franchi sono nuovamente attivi, e costituiscono una 16 La storia dell’arresto, del processo e della detenzione di Metodio non è priva di punti oscuri: alcune ipotesi sono riassunte in Skazanija o načale slavjanskoj pis’mennosti, cit., pp. 157-159. 17 V. Peri, “Il mandato missionario e canonico di Metodio e l’ingresso della lingua slava nella liturgia”, cit., p. 928. Secondo altri studiosi Metodio si sarebbe ritirato dalla Pannonia solo alla morte di Kocel (874-875), quando la regione venne assorbita dal Regno Franco (H. Birnbaum, “Where was the centre of the Moravian State?”, in American contributions to the eleventh international congress of slavists, Columbus 1993, pp. 11-23 e F. Grivec, Santi Cirillo e Metodio, cit., pp. 126-129). 18 “… le Chiese proprietarie, uso germanico che era stato introdotto nei paesi di recente conquista, facevano della conversione dei pagani un’impresa reddittizia per i vescovi e gli abati che in tal modo divenivano grandi proprietari terrieri. Durante il IX secolo i vescovi e i baroni franchi si prodigavano in un’intensa attività evangelizzatrice e colonizzatrice nell’Antica Introduzione 15 fronda, guidata da un prete di nome Viching, cui obiettivo principale è screditare Metodio a qualunque costo e con qualunque mezzo. Le loro calunnie costringono Giovanni VIII a richiamare a Roma Metodio per averne spiegazioni (879). Trovandolo perfettamente ortodosso, il papa decide tuttavia di prendere atto della persistente ostilità del clero franco e dei mutati equilibri politici nelle Pannonie: la carica di Metodio, che Adriano II aveva consacrato arcivescovo pannonico e legato apostolico “ad gentes fungens”, cioè missionario, viene trasformata in quella di arcivescovo residenziale di una nuova chiesa morava, con l’istituzione di una gerarchia episcopale locale di almeno due suffraganei, primo dei quali sarà lo stesso Viching, consacrato vescovo di Nitra: Appare manifesto il disegno pontificio di istituire una gerarchia episcopale locale e stabile per il principato moravo, capace di riunire sotto una nuova gerarchia vescovile mista e unita le due componenti etniche del popolo cristiano della zona. In virtù di simile prospettiva anche la giurisdizione episcopale precedentemente attribuita a Metodio da Adriano II si estende in modo significativo. Essa non è più quella di un arcivescovo missionario «etnico» pro fide, preposto a tutti gli Slavi, clero e fedeli, viventi nell’antica «diocesi» pannonica, ma limitata ad essi; è allargata e circoscritta a tutti i cristiani sudditi di Svatopluk e viventi nel suo territorio a prescindere dalla loro origine etnica19. Coraggiosa ma infelice, questa scelta di Giovanni VIII segna l’inizio della fine. Le novità introdotte da Metodio, gli usi bizantini in fatto di tempi sacri, digiuni e festività, la recita del simbolo di fede senza il Filioque, la celebrazione di parti della liturgia in slavo potevano essere tollerate, sia a pure a denti stretti, quando circoscritte a poche comunità integralmente slave, ma non nel momento in cui divenivano attuali ovunque nel principato. Nell’881 Giovanni VIII deve scrivere a Metodio per consolarlo delle ulteriori angherie da parte del nuovo vescovo (“iamdictus episcopus”) e per assicurarlo di non Pannonia. Era quindi naturale che la gerarchia franca vedesse in pericolo l’espandersi della sua influenza in seguito ai nuovi metodi missionari introdotti in Moravia dai Bizantini” (F. Dvornik, Gli Slavi, cit., p. 73). 19 V. Peri, “Il mandato missionario e canonico di Metodio e l’ingresso della lingua slava nella liturgia”, cit., p. 933. 16 Il paleoslavo avere mai intrattenuto con Sventopluk corrispondenza segreta a suo danno: “neque aliae litterae nostrae ad eum directe sunt, neque episcopo illi palam vel secreto aliud faciendum iniunximus”20. Nel frattempo l’interesse per una chiesa slava coinvolge tanto Roma quanto Bisanzio21: nell’881 il nuovo imperatore, Basilio I, manda a chiamare Metodio, e lo accoglie con grandi onori. Fozio, patriarca per la seconda volta, approva il suo operato, e chiede di lasciare a Costantinopoli un sacerdote e un diacono con libri sacri in slavo per svolgere azione missionaria tra gli slavi dell’impero (VM XIII). Tornato in Moravia, Metodio riprende l’opera febbrile di traduzione sino alla morte, che lo coglie il 6 aprile dell’anno 885, tre giorni dopo la domenica delle Palme, nel compianto generale: “i suoi discepoli, dopo averlo preparato (per le esequie) e aver(gli) reso degno onore, celebrarono il servizio ecclesiastico in latino, greco e slavo e lo deposero nella chiesa cattedrale” (VM XVII; Garzaniti 222). Orfani del loro pastore, i discepoli subiscono l’ultimo, decisivo attacco da parte del clero franco, che ne ottiene finalmente l’espulsione da tutte le terre di Sventopluk. 3. La missione morava tra impero romano (Roma e Bisanzio) e impero franco Evento cruciale nella storia degli slavi, oggetto di studio per generazioni di slavisti, la vicenda cirillometodiana presenta ancora molti punti oscuri, che riguardano persino la collocazione geografica dell’azione missionaria dei due fratelli. Dove si dirigono Costantino e Metodio? La testimonianza delle Vite sembra chiara: la Vita Constantini racconta come all’imperatore Michele giunga da Rastislav, “principe moravo”, la richiesta di un vescovo per la sua gente, come, 20 F. Grivec, F. Tomšič, Fontes, cit., p. 74. 21 Sembra che il patriarca Ignazio, irritato per l’invio di vescovi romani in Bulgaria, avesse consacrato un certo Agatone arcivescovo etnico per gli slavi moravi. La convocazione a Costantinopoli di Metodio, ormai arcivescovo residenziale della chiesa morava, riempie di gioia i Franchi, che gli pronosticano una brutta fine (V. Peri, “Il mandato missionario e canonico di Metodio e l’ingresso della lingua slava nella liturgia”, cit., pp. 942-945 passim). Introduzione 17 prima di rivolgersi a Costantinopoli, Rastislav si fosse riunito in consiglio con i suoi “moravi” (VC XIV; Garzaniti 196), e come infine il principe accolga con tutti gli onori Costantino al suo arrivo “in Moravia” (VC XV; Garzaniti 197). La Vita Methodii racconta che Rastislav, “principe slavo”, assieme a Sventopluk avrebbe inviato all’imperatore un’ambasceria “dalla Moravia” (VM V; Garzaniti 213). La tradizione colloca questa Moravia, intesa come realtà etno-politica, in una zona a nord del Danubio attraversata dal fiume Morava, con capitale Velehrad: Costantino e Metodio incominciarono la loro attività nella Grande Moravia, una formazione statale di cui facevano parte territori che oggi diciamo cechi, moravi, sorabici e slovacchi ed era governato prima da Rastislav e poi dal suo successore Svatopluk (Sventopl∞k∞), rappresentanti di una dinastia iniziata dal capo locale Mojmir (818-846). Operarono anche in Pannonia, che comprendeva territori sloveni, su invito di Kocel (Koc∞l∞, figlio di Pribina, già sovrano di Nitra, in territorio oggi slovacco), vassallo di Ludovico il Germanico22. Trent’anni fa questa tesi è stata rigettata, sulla base della reinterpretazione di tutte le fonti medievali, dallo studioso Imre Boba23, secondo cui con “Morava” non si intende una entità statale ma una città, Morava appunto, non lontana dall’antica sede episcopale di Sirmio (oggi Sremska Mitrovica, in Serbia), di cui Metodio sarebbe stato nominato arcivescovo nell’870. Dalla città il nome sarebbe passato alla regione circostante, così da indicare il territorio controllato da Rastislav all’interno della “terra Sclavonica” sita tra l’Adriatico e il fiume Drava, a sud del Danubio. Rastislav, tradizionalmente ritenuto principe della Moravia con capitale Velehrad, Sventopluk, tradizionalmente ritenuto principe di Nitra (da cui Mojmir aveva scacciato il padre di Kocel, Pribina) prima del colpo di mano con cui si libera dello zio e riunifica le terre, e Kocel, tradizionalmente ritenuto principe della Pannonia Inferiore con capitale Mosaburg sul lago Balaton, avrebbero invece posseduto 22 R. Picchio, “Lo slavo ecclesiastico”, in Letteratura della Slavia Ortodossa, cit., p. 112. 23 I. Boba, Moravia’s History Reconsidered. A Reinterpretation of Medieval Sources, The Hague 1971. 18 Il paleoslavo allodialmente diversi territori di questa Sclavonia balcanica, e tutta la missione cirillometodiana si sarebbe svolta a sud del Danubio. La tesi di Boba ha suscitato consensi e opposizioni, in una discussione che impegna storici, archeologi, linguisti, ed è ancora aperta. Se infatti l’identificazione in Sirmio del titolo episcopale assegnato a Metodio è oggi largamente condivisa, spostare a sud la Moravia di Rastislav rappresenta una novità di tale portata da richiedere prove inconfutabili, quali nessuno è ancora riuscito a produrre, e d’altra parte collocare la sede episcopale di Metodio a Sirmio senza discutere la collocazione settentrionale della Moravia appare a molti fonte di insanabili contraddizioni: Nel 1971 è uscita la monografia dello studioso americano I. Boba Moravia’s History Reconsidered. A Reinterpretation of Medieval Sources (The Hague 1971), in cui l’autore fornisce una serie di prove aggiuntive (e molto convincenti) della tesi secondo cui la residenza di Metodio si trovava a Sirmio. Tuttavia, trasportato dall’entusiasmo per questa localizzazione della residenza di Metodio, che risulta essere lontana dalla Moravia tradizionale (settentrionale, a sinistra del Danubio), e avendo scovato non lontano da Sirmio un villaggio chiamato Morava – toponimo piuttosto diffuso nella Slavia – il professor Boba commette lo stesso errore “logico-geografico” degli altri studiosi del problema cirillometodiano, supponendo che la residenza dell’arcivescovo dovesse necessariamente trovarsi nei territori allodiali di Rastislav o di Svjatopolk! Sposta così la Moravia dei principi slavi che hanno “chiamato” i fratelli tessalonicensi a sud del Danubio, in Bosnia e nella Pannonia sud-orientale (Pannonia Orientalis), mentre Nitra e tutta la Moravia “settentrionale” viene “concessa” a Svjatopolk solo a partire dall’anno 890, dopo la guerra con il re Arnolfo24. Il problema della collocazione territoriale della Moravia25 ci porta nel vivo 24 G. A. Chaburgaev, Pervye stoletija slavjanskoj pis’mennoj kul’tury. Istoki drevnerusskoj knižnosti, cit., p. 69. 25 Nelle fonti bulgare medievali il termine sembra riferirsi a una zona non lontana dal lago di Ocrida, in Macedonia, con una confusione sempre più evidente tra questa Moravia e quella “superiore”, o “grande”, collocata a nord del Danubio, nell’Europa centrale: “è molto probabile che i biografi di Costantino e di Metodio abbiano fuso insieme due Moravie: quella balcanica, che comprende la zona del lago di Ocrida, e quella transdanubiana del principe Rastislav” (G. A. Chaburgaev, Pervye stoletija slavjanskoj pis’mennoj kul’tury, cit., p. 69). Introduzione 19 di un’altra questione spinosa, relativa alla giurisdizione sui territori interessati alla missione cirillometodiana, ai loro rapporti con le chiese di Roma, di Bisanzio e dei Franchi e in definitiva alla paternità culturale della loro impresa. Lungamente dominante è stato il pregiudizio che contrapponeva una Bisanzio plurietnica e aperta al plurilinguismo a una Roma inflessibile nel difendere l’uso esclusivo del latino nella pratica amministrativa civile e religiosa. Se Bisanzio aveva favorito la nascita della Slavia, Roma ne aveva voluto negare l’identità: un sottaciuto corollario voleva che gli slavi “romani” fossero meno slavi degli altri, veri, ortodossi, legittimi eredi della missione cirillometodiana assurta a mito identitario fondante. La politica linguistica di Bisanzio, e non solo considerazioni di opportunità politica, avrebbero quindi spinto i principi slavi a rivolgersi all’imperatore Michele per avere un vescovo che insegnasse loro “nella loro lingua”, e con la missione di fondare una chiesa di lingua slava i fratelli si sarebbero messi in viaggio, recando seco libri liturgici slavi, e altri traducendone in Moravia. Per questo Costantino e Metodio avrebbero suscitato sospetti e poi aperta ostilità da parte dei Franchi e della chiesa di Roma. Le fonti permettono però di intravedere un quadro alquanto diverso. Passi della Vita Methodii e della Legenda italica fanno intendere che Rastislav avrebbe rivolto a Roma, ancor prima che a Bisanzio, la richiesta di stabilire in Moravia una gerarchia ecclesiastica indipendente da quella franca, esattamente come pochi anni dopo (866) Boris di Bulgaria, appena battezzato da Bisanzio, invierà un’ambasceria al papa per chiedere una gerarchia ecclesiastica indipendente da Costantinopoli26. La politica linguistico-religiosa delle due chiese non doveva apparire differente agli occhi dei principi slavi, e poco diversa appare anche oggi a bizantinisti esperti di culture slave (Sevčenko, Obolensky, Vavřinek) e slavisti (Grivec) che dall’inizio degli anni ’60 hanno riesaminato la questione. Alla politica linguistica della cristianità greco-latina al cospetto di “popoli nuovi” dedica numerosi interventi Riccardo Picchio27, 26 M. Lacko, The Popes and Great Moravia in the light of Roman documents, Slovak Institute, Cleveland-Rome 1972, pp. 20-22. 27 Accanto al già citato “Questione della lingua e Slavia cirillometodiana” (prima 20 Il paleoslavo che sottolinea come nel IX secolo i due centri della cristianità convergessero pienamente sull’opportunità di utilizzare a fini apostolici le parlate delle popolazioni da catechizzare (traduzioni del catechismo, delle preghiere, dei formulari per la confessione), e come proprio la chiesa di Roma avesse regolamentato, sin dal VI secolo, il problema del rapporto tra latino e lingue rustiche (parlate da popolazioni ancora pagane di territori già amministrati dalla chiesa) e barbare (parlate da popolazioni esterne alla giurisdizione ecclesiastica e imperiale), così come quello del rapporto tra latino e linguae vernaculae: … la chiesa romana si impegnò nel IX secolo in una diffusa azione in favore dell’uso delle parlate popolari … Il clero latino non solo poteva, ma doveva servirsi delle lingue locali per far sì che l’insegnamento della chiesa fosse capito da tutti28. Il problema si poneva per l’uso di queste lingue “nuove” (vernacole, rustiche e barbare) nei settori tradizionalmente destinati a lingue dotate di conclamata dignità e di una norma certa, quali la traduzione delle Scritture e l’uso liturgico. Certo Bisanzio poteva vantare maggiore dimestichezza con lingue diverse dal greco, in virtù del più raffinato e complesso panorama culturale dell’Oriente: Se, nei territori ad ovest della Grecia, la «romanizzazione» del cristianesimo implicava quasi automaticamente la «latinizzazione» linguistica poiché il latino era l’unica lingua di prestigio, ad oriente il greco non poteva imporsi con altrettanta autorità su lingue di antica tradizione religiosa quali il siriaco e, soprattutto, l’ebraico29. Ma questo atteggiamento non si estendeva affatto alle lingue “nuove”, anzi: pubblicazione in Studi sulla questione della lingua presso gli Slavi, Roma 1972, pp. 7-120) ricordiamo almeno “Lingua d’apostolato e lingua liturgica nella chiesa latina e nel Primo Impero bulgaro,” in Atti dell’8° Congresso internazionale di studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1983, pp. 269-279. 28 R. Picchio, “Il posto della letteratura bulgara antica nella cultura europea del medioevo”, in Letteratura della Slavia Ortodossa, cit., p. 267. 29 R. Picchio, “Questione della lingua e Slavia cirillometodiana”, cit., pp. 172-173. Cfr. anche F. Grivec, Santi Cirillo e Metodio, cit., p. 63: “è vero che nelle chiese orientali esistevano parecchie liturgie nazionali, ma si trattava di liturgie sorte nei primi secoli e tra popoli che vantavano una cultura plurisecolare. Dopo il predominio greco, ciò non ebbe più luogo”. Introduzione 21 il pregiudizio ellenistico contro i “barbari” era ancora vivo, gli slavi residenti nella penisola greca erano stati completamente grecizzati30, e Bisanzio era ben poco favorevole all’uso liturgico di lingue diverse dal latino e dal greco. In questo quadro, il progetto slavo di Costantino e Metodio appare in tutta la sua straordinaria audacia, capziosamente offuscata da Costantino nella disputa veneziana: Promuovere una lingua «barbara», ancora priva di una propria scrittura, a lingua sacrale, dotandola di un alfabeto, di un sistema ortografico, di una costanza grammaticale e sintattica e di una dignità espressiva adeguata a contenuti universali corrispondeva ad abilitarla per tale via a trasmettere la Rivelazione cristiana. Era una scelta tradizionalmente insolita, innovativa e coraggiosa in tutto l’ambito della civiltà greco-latina. Nella cristianità imperiale l’idea e il progetto non avevano precedenti. Non corrisponde infatti alla realtà, per quanto ripetuta e diffusa, la tesi che tra il VI e il IX secolo la Chiesa greca dell’Impero d’Oriente, a differenza di quella romana che impose a tutti i popoli convertiti al cristianesimo il latino nella liturgia e nella cultura, fosse propensa a riconoscere o addirittura a incoraggiare e concedere l’introduzione di lingue nazionali diverse dal greco nell’uso liturgico31. Ma quale uso della nuova lingua aveva in mente Costantino? 30 A. P. Vlasto, The Entry of the Slavs into Christendom, cit., p. 12: “nothing suggests that Byzantine policy could favour the raising of their barbarous tongue to civilised use”. Cfr. anche M. Lacko, Cirillo e Metodio, cit., p. 71: “I greci ordinariamente non permettevano che la lingua slava venisse usata nelle ufficiature liturgiche degli Slavi che si erano insediati nell’impero bizantino”. 31 V. Peri, “Il mandato missionario e canonico di Metodio e l’ingresso della lingua slava nella liturgia”, cit., p. 959. L’uso di lingue diverse dal latino e dal greco si era spesso accompagnato, tra l’altro, a posizioni eterodosse: “In the ninth century the Orthodox and the Catholic Church, still undivided, conducted its worship and read its Scriptures almost exclusively in Greek and Latin, with a small number of believers in the Caucasus making use of Georgian for those purposes, and with various individuals – mostly in Western Europe – having vernacular translations of parts of the Bible at their disposal for private use. The conduct of Christian worship and the public reading of the Scriptures in languages such as Syriac, Arabic, Persian, Sogdian, Armenian, Albanian (in the Caucasus), Coptic, Ethiopic, Nubian and Gothic had long been the virtual monopoly of Arians, Nestorians and several kinds of nonChalcedonian Christians, all of whom the Orthodox and Catholic Church regarded as heretics”: R. Mathiesen, “The Church Slavonic Language Question: an Overview (IX-XX Centuries)”, in Aspects of the Slavic Language Question, ed. by R. Picchio, H. Goldblatt, New Haven 1984, volume I: Church Slavonic – South Slavic – West Slavic, p. 51. 22 Il paleoslavo L’episodio della chiamata a Roma da parte di Nicola I, l’appassionata disputa con i partigiani della “eresia trilinguista” hanno generato la convinzione che in Moravia Costantino avesse già inaugurato la liturgia slava. La maggior parte degli studiosi esclude però che Costantino possa aver agito in tal senso: Durante la missione morava (863-866) Cirillo e Metodio erano missionari, predicatori cristiani che si servivano di una nuova lingua e di un nuovo alfabeto creato appositamente per quella. Predicavano in una lingua comprensibile al popolo e preparavano quadri locali capaci di fare altrettanto. Né i compiti affidati loro né la loro carica permetteva che pensassero a officiare in slavo32. D’altra parte, non è certo che la convocazione del papa corrisponda a verità: la circostanza che Costantino e Metodio recassero seco le reliquie di papa Clemente martire potrebbe infatti attestare una loro autonoma volontà di recarsi a Roma, dove li aspetta l’accoglienza trionfale di Adriano II, succeduto nel frattempo a Nicola I, e ben deciso a ribadire i diritti giurisdizionali romani sulle Pannonie, sul Norico e sull’Illirico. Quattro sono i papi interessati alla “questione della lingua slava”: Nicola I, che muore senza mai incontrare i fratelli, Adriano II, Giovanni VIII e Stefano V. Di questi, Adriano II è descritto nelle nostre fonti come il più convinto sostenitore dell’uso liturgico della nuova lingua sacra, colui che non solo benedice sull’altare di S. Maria Maggiore i “libri slavi”, ma celebra “con essi” la liturgia: “E il papa accolse i libri slavi, li consacrò e li depose nella chiesa di Santa Maria, che si chiama Pathne. E cantarono con essi la liturgia” (VC XVII; Garzaniti 203). Dopo la consacrazione dei discepoli slavi “allora cantarono la liturgia nella Chiesa di San Pietro in lingua slava. Nel giorno seguente la cantarono nella chiesa di Santa Petronilla, e il terzo giorno la cantarono nella chiesa di Sant’Andrea e (partendo) da lì di nuovo presso l’Apostolo Paolo, il grande maestro delle genti, in chiesa di notte cantarono la santa liturgia in slavo sul santo sepolcro, coadiuvati dal vescovo Arsenio, che era uno dei sette vescovi, e da Anastasio Bibliotecario” (VC XVII; Garzaniti 203). 32 K. Stančev, G. Popov, Kliment Ochridski, cit., p. 33. Introduzione 23 Diversamente da Nicola I, e vicino in questo alla chiesa d’oriente, Adriano II sembra non condividere le convinzioni del clero franco-germanico e latinoaquileiese, cui appariva “contra fidem et mores, per diritto rivelato e per tradizione apostolica, qualsiasi possibilità che la Sacra Scrittura fosse tradotta e i sacri misteri fossero celebrati in una lingua «barbara», esclusa, con tutte le rimanenti dello stesso tipo, dall’iscrizione trilingue della croce”33: la posizione difesa brillantemente a Venezia da Costantino coincideva dunque con la sua. Parimenti favorevole ai libri slavi è l’epistola con cui Adriano II accompagna l’invio di Metodio, ora sacerdote missionario, a Kocel, Rastislav e Sventopluk, conservatasi purtroppo solo come citazione interna alla Vita Methodii (VM VIII) e nota come Gloria in excelsis Deo: “abbiamo pensato, dopo aver esaminato (la questione), di mandare nei vostri paesi Metodio, dopo averlo consacrato, insieme ai discepoli, come nostro figlio, uomo perfetto nella conoscenza e ortodosso, perché vi insegni, come avete chiesto, interpretando i libri nella vostra lingua, realizzando (le celebrazioni) secondo l’officiatura ecclesiastica completa e con la santa messa, cioè con il servizio liturgico, e con il battesimo, come aveva cominciato Constantino filosofo per grazia di Dio e le preghiere di san Clemente […] Serbate, tuttavia, solo questa consuetudine, che nella messa si legga per primo l’Apostolo e il Vangelo in romano, poi in slavo” (VM VIII; Garzaniti 215-216). Il passo può essere letto in due modi diversi, a seconda che “nella vostra lingua” si riferisca o meno all’officiatura completa. Anche nel primo caso, tuttavia, la richiesta di salvaguardare la consuetudine ‘romana’ (ovvero l’utilizzo di una delle due lingue dell’impero, latino e greco34) sarebbe fondamentale per fissare all’uso liturgico della lingua slava limiti che Metodio è chiamato a non oltrepassare. Di fatto, pur ritenendo che la liturgia slava non fosse in contrasto con la retta fede e con la dottrina (come dimostravano del 33 V. Peri, “Il mandato missionario e canonico di Metodio e l’ingresso della lingua slava nella liturgia”, cit., p. 966. 34 Alla convincente interpretazione in tal senso dell’avverbio rimßsky dedica alcune pagine Vittorio Peri: “Tre schede cirillo-metodiane”, in Filologia e letteratura nei paesi slavi. Studi in onore di Sante Graciotti, Roma 1990, pp. 919-929. 24 Il paleoslavo resto le celebrazioni in slavo nelle basiliche romane), Adriano II riafferma a livello di pratica pastorale il primato del latino (e del greco) quale garanzia della corretta interpretazione del Verbo, serbando alla Chiesa (romana e bizantina) la funzione di “filtro apostolico”. La formulazione di Adriano ritorna nelle epistole di Giovanni VIII, che costituiscono il capitolo più ricco nella storia dei rapporti tra il papato e la missione cirillometodiana. Di Giovanni VIII si sono conservate numerose epistole: un primo gruppo, dell’873, riguarda la liberazione di Metodio e la giurisdizione sull’Illirico. Sono indirizzate a Ludovico il Germanico, a Carlomanno, ad Adalvino, il vescovo di Salisburgo autore della Conversio Bagoariorum et Carantanorum, a Ermanrico, vescovo di Passavia, ad Annone, vescovo di Frisinga, e a Paolo, vescovo di Ancona e legato pontificio in Germania e in Pannonia, cui il Papa affida le missive. Di questo gruppo doveva fare parte anche un’epistola, perduta, indirizzata allo stesso Metodio. Due successive, dell’879, sono indirizzate a Sventopluk e a Metodio. Ancora a Sventopluk, nell’880, Giovanni VIII scrive la più importante presa di posizione in merito alla liturgia slava, l’epistola indirizzata “Dilecto filio Sfentopulcho glorioso comiti” e nota con il nome di Industriae tuae. Nell’881 l’ultima, indirizzata a Metodio, vuole consolarlo delle persecuzioni di Viching (“iamdictus episcopus”), ma non aggiunge niente sul tema che qui ci interessa. Nell’epistola dell’879 a Sventopluk il papa esprime meraviglia e preoccupazione per le voci che gli sono giunte in merito alla presunta eresia del suo arcivescovo, esorta il principe a restare saldo nella vera fede, e lo informa di avere convocato Metodio a Roma35. In quella, più dettagliata e 35 “… Si autem aliquis vobis vel episcopus vester vel quilibet sacerdos aliter adnuntiare aut predicare presumpserit, zelo Dei accensi omnes uno animo unaque voluntate doctrinam falsam abicite stantes et tenentes traditionem sedis apostolicae. Quia vero audivimus, quia Methodius vester archiepiscopus ab antecessore nostro, Adriano scilicet papa, ordinatus vobisque directus aliter doceat, quam coram sede apostolica se credere verbis et litteris professus est, valde miramur; tamen propter hoc direximus illi, ut absque omni occasione ad nos venire procuret, quatenus ex ore eius audiamus, utrum sic teneat et credat, sicut promisit, aut non”: F. Grivec, F. Tomšič, Fontes, cit., p. 71. Introduzione 25 severa, a Metodio, elenca le accuse che gli sono state rivolte, errori dottrinali e uso della lingua slava nella liturgia: Predicationis tuae doctrinis populum Domini tibi quasi spiritale pastori commissum salvare instruereque cum debeas, audivimus, quod non ea, quae sancta Romana ecclesia ab ipso apostolorum principe didicit et cottidie predicat, tu docendo doceas et ipsum populum in errorem mittas. Unde his apostolatus nostri litteris tibi iubemus, ut omni occasione postposita ad nos de presenti venire procures, ut ex ore tuo audiamus et veraciter cognoscamus doctrinam tuam, utrum sic teneas et sic predices, sicut verbis et litteris te sanctae Romanae ecclesiae credere promisisti, aut non. Audimus etiam, quod missas cantes in barbara, hoc est in Sclavina lingua, unde iam litteris nostris per Paulum episcopum Anconitanum tibi directis prohibuimus, ne in ea lingua sacra missarum sollemnia celebrares, sed vel in Latina vel in Greca lingua, sicut ecclesia Dei toto terrarum urbe diffusa et in omnibus gentibus dilatata cantat. Praedicare vero aut sermonem in populo facere tibi licet, quoniam psalmista omnes ammonet Dominum gentes laudare et apostolus: «Omnis – inquit, – lingua confiteatur, quia dominus Iesus in gloria est Dei patris»36. A Metodio dunque Giovanni VIII contesta di non rispettare quanto affermato a voce e per scritto: l’arcivescovo professerebbe dottrine diverse da quelle dichiarate a Roma e celebrerebbe la messa in slavo, nonostante l’esplicita proibizione contenuta nell’epistola che gli era stata trasmessa da Paolo d’Ancona (nell’873). Poiché si tratta di un testo che non ci è pervenuto, non è facile capire di quali proibizioni si tratti: forse nel momento della sua liberazione il papa gli consigliava di attenersi strettamente agli usi linguistici tradizionali. Certo, la posizione di Giovanni VIII sembra contrastare sia con quella del suo predecessore Adriano II, sia con quello che lo stesso Giovanni terrà in seguito. Dell’apparente incongruenza si è occupato a più riprese Riccardo Picchio, che propone di analizzare questo passo dell’epistola indirizzata a Metodio (“Reverendissimo Methodio archiepiscopo pro fide”) alla luce della distinzione tra liturgia della parola e liturgia eucaristica: Vale la pena di rileggere il testo di quella lettera tenendo presente la distinzione [...] fra misteri liturgici accessibili unicamente al sacerdote e parti cerimoniali che implicavano la legittima partecipazione del popolo alla 36 F. Grivec, F. Tomšič, Fontes, cit., pp. 71-72. 26 Il paleoslavo funzione liturgica. Il papa scriveva a Metodio, vescovo di Santa Roma Chiesa e suo legato: «Audimus etiam […] dilatata cantat». Cerchiamo di tradurre e di interpretare: «Abbiamo anche sentito che tu canti le messe in una lingua barbara, ossia in lingua slava. In relazione a ciò, già nelle nostre lettere che ti abbiamo inviato per mezzo di Paolo vescovo anconitano, ti abbiamo proibito di celebrare in quella lingua le parti sacre e solenni delle messe e [ti abbiamo invece chiesto di celebrarle in lingua] o latina o anche greca, così come le canta la chiesa di Dio diffusa in tutto il mondo ed espansa fra tutte le genti». Il papa romano, in questa lettera, non solleva alcuna obiezione contro l’uso, introdotto in Moravia da Metodio, di cantare la messa in slavo [...] salvo restando il diritto di un missionario romano di servirsi della parlata locale per quelle parti della messa che erano esclusivamente «liturgiche», ossia «popolari» nel senso etimologico ed originario del termine (leitourgiva da lewv" [laov"] + e[rgon) – il latino e il greco restavano le sole lingue da usarsi nella celebrazione dei misteri veri e propri (sacra missarum sollemnia)37. Questa lettura spiegherebbe il successo della difesa di Metodio, giunto a Roma nell’880: evidentemente, l’accusa di celebrare in slavo i sacri misteri era infondata. Nella ricordata epistola Industriae tuae il papa, oltre ad assolverlo da qualunque accusa di poca ortodossia, caldeggia la liturgia slava, riprendendo la raccomandazione a far precedere la lettura del vangelo in latino già formulata, e negli stessi termini, da Adriano II nella Gloria in excelsis Deo: Litteras denique Sclavinas a Constantino quondam philosopho reppertas, quibus Deo laudes debite resonent, iure laudamus et in eadem lingua Christi domini nostri preconia et opera enarrentur, iubemus; neque enim tribus tantum sed omnibus linguis Dominum laudare auctoritate sacra monemur […] Nec sanae fidei vel doctrinae aliquid obstat sive missas in eadem Sclavinica lingua canere sive sacrum evangelium vel lectiones divinas novi et officia omnia psallere, quoniam, qui fecit tres linguas principales, Hebream scilicet, Grecam et Latinam, ipse creavit et alis omnes ad laudem et gloriam suam. Iubemus tamen, ut in omnibus ecclesiis terrae vestrae propter maiorem honorificentiam evangelium Latine legatur et postmodum Sclavinica lingua translatum in auribus populi Latina verba non intellegentis adnuntietur, sicut in quibusdam ecclesiis fieri videtur; et, si tibi et iudicibus tuis placet missas Latina lingua magis audire, precipimus, ut Latine missarum tibi sollemnia celebrentur38. 37 R. Picchio, “Il posto della letteratura bulgara antica nella cultura europea del medioevo”, cit., p. 269. 38 F. Grivec, F. Tomšič, Fontes, cit., p. 73. Chaburgaev ipotizza che a convincere il papa della legittimità dell’operato di Metodio e della liturgia slava sia stata una accurata analisi Introduzione 27 Purtroppo, anche la giusta distinzione introdotta da Picchio non risolve del tutto le apparenti incongruenze dei messaggi papali: se infatti la celebrazione dei misteri (missarum sollemnia) in lingue diverse dal latino e dal greco fosse stato l’unico e vero problema insormontabile per Roma, che senso avrebbe avuto la finale autorizzazione a celebrarli in latino, qualora a Sventopluk fosse così maggiormente piaciuto? Più convincente è l’interpretazione che di tutta la politica papale relativa alla lingua slava dà Vittorio Peri, basandosi sulla netta distinzione, sempre operata dalla chiesa, tra i principi teorici affermati, la disciplina canonica e la prassi quotidiana. Non solo, come affermava anche Picchio, gli slavisti hanno a lungo ignorato la differenza tra l’uso catechetico di una lingua parlata e l’uso liturgico di una lingua sacra: gli studiosi moderni tendono a ignorare ciò che appare chiaro al personale ecclesiastico di tutti i tempi, ovvero la necessità continua per la chiesa di coniugare la difesa di principi universali (la fede e la dottrina) con la concreta situazione storica: ciò ha generato accuse sconcertate e ipotesi avventurose di documenti falsi e carte trafugate39. Secondo Peri, Il testo di Giovanni VIII dice semplicemente che nessuno dei tre comportamenti liturgici elencati in ordine decrescente d’importanza (messe, lezioni bibliche, salmodia), attuato col ricorso alla lingua slava seguendo una traduzione fedele all’originale, è di per sé in contrasto con la retta fede e con la dottrina insegnata dalla Chiesa, poiché Dio non ha creato solo tre ma tutte le lingue del mondo. L’asserzione, capitale per scagionare Metodio dall’accusa insidiosa di eresia, non significa tuttavia che l’autorità pontificia intendeva autorizzare una loro introduzione immediata ed incondizionata nell’uso testologica e teologica delle traduzioni slave (Pervye stoletija slavjanskoj pis’mennoj kul’tury, cit., pp. 74-79). Adriano II non avrebbe proceduto ad alcuna verifica, nell’868, per la fama di santità che accompagnava Costantino, e qui si sarebbe celata, secondo questa ricostruzione, la debolezza dei libri slavi agli occhi del clero bavarese. 39 Tra i sostenitori dell’esistenza di vari documenti falsi ricordiamo A. Lapôtre (L’Europe et le Saint-Siège à l’époque Carolingienne. Première partie: Le pape Jean VIII, Paris 1895), L. K. Goetz, che considera false tutte le epistole meno quelle di condanna della liturgia slava di Stefano V (Geschichte der Slavenapostel Cyrillus und Methodius, Gotha 1897) e N. Laehr, curatore dell’edizione critica della lettera di Stefano V a Sventopluk (Monumenta Germaniae Historica. Epistolae, VII, n. 1, pp. 353-358), le cui tesi sono accolte in toto da Grivec (Santi Cirillo e Metodio, cit., p. 198). 28 Il paleoslavo liturgico dei cristiani slavi. [...] Tutti e tre i papi della seconda metà del IX secolo, che hanno dovuto affrontare il problema dottrinale e pratico, costituito dalla nuova introduzione della lingua slava nella vita della Chiesa e nel suo culto liturgico, hanno mantenuto la stessa attitudine di fondo. Analizzando i loro documenti, si può tuttavia notare una certa differenza d’accento nel modo di esprimerla. Il ricorso alle subordinate avversative, condizionali o concessive lo denota chiaramente. I papi, i quali, come Adriano II e Giovanni VIII, vollero dare maggiore enfasi e rilievo alla legittimità dottrinale di promuovere la lingua slava a lingua sacra, hanno introdotto le disposizioni restrittive d’ordine pratico e disciplinare con locuzioni correttive dell’affermazione positiva, quali: «tuttavia», «soltanto», oppure precisando con gli avverbi «prima» e «dopo» la priorità obbligatoria del latino (o del greco) sullo slavo nella lettura tollerata limitatamente all’epistola e al vangelo della messa. Quando invece, come Giovanni VIII nell’873 e nell’879, o Stefano V nell’885, hanno inteso dare più netto rilievo al persistere del divieto dell’uso generalizzato dello slavo nella celebrazione della messa e dei sacramenti, lo hanno affermato nella proposizione principale, ma hanno poi contemperato la proibizione con congiunzioni avversative o limitative come: «invece», «eccetto che», atte ad assicurare che restavano lecite ed approvate tali letture e la predicazione omiletica e catechistica in lingua slava. Ma non per questo la sostanza della posizione può dirsi cambiata40. A determinare il mutato atteggiamento dei papi, e quindi i destini religiosi e linguistici della Moravia, non è un voltafaccia di Stefano V sull’uso dello slavo, ma l’abbandono del tentativo di compromesso ideato per la Moravia da Giovanni VIII alla luce di una mutata valutazione del sistema di alleanze della chiesa di Roma, stretta tra minacce di scisma a occidente come ad oriente. Dovendo cercare l’accordo con la chiesa di Costantinopoli o con quella franca, Adriano II e Giovanni VIII si mossero nella prima e più tradizionale prospettiva. Marino I e poi Stefano V, sulla scia di Nicola I, si mostrarono invece favorevoli alla seconda41. La prima opzione significava, oltre che normalizzare i rapporti su una serie di questioni legate alla dottrina e alla giurisdizione, condividere con Bisanzio l’iniziativa della promozione della scrittura slava, riconoscere una certa autonomia ai principati slavi e legarli a Roma con una politica anti-franca 40 V. Peri, “Il mandato missionario e canonico di Metodio e l’ingresso della lingua slava nella liturgia”, cit., pp. 988-989. 41 Ivi, p. 991. Introduzione 29 basata sull’autorità personale di Metodio “arcivescovo per tutti gli Slavi”. La seconda significava al contrario fare proprie le posizioni politiche e pastorali dei Franchi, compresa l’esclusività della lingua e della cultura latina per tutti i popoli dell’Impero carolingio, riconoscere la loro giurisdizione sui nuovi cristiani di stirpe slava e affermare, contro un Oriente bizantino fertile di eresie, la funzione universale del Sacro Romano Impero d’Occidente42. Come si è detto, alla morte di Metodio Viching, successore di Metodio designato da Sventopluk contro la candidatura di Gorazd, riesce a convincere il nuovo papa a fare suo “il punto di vista della Chiesa franca per quanto concerneva la recita obbligatoria del Filioque nel simbolo e l’insegnamento catechistico che vi era legato, oltre che l’uniformizzazione dei tempi e dei giorni di digiuno sull’uso della Chiesa latina e non di quella greca. Ciò corrispondeva all’aperta sconfessione, su questi due punti capitali, dell’opera pastorale portata avanti da Metodio con l’approvazione di Giovanni VIII”43. Il papa scrive a Sventopluk una lettera in cui dimostra di credere che Metodio abbia oltrepassato i limiti impostigli dai suoi precedessori in merito all’uso liturgico della lingua slava44 e lo condanna severamente: Divina autem officia et sacra mysteria ac missarum sollemnia, quae idem Methodius Sclavorum lingua celebrare praesumpsit […] nullo modo deinceps a quolibet praesumatur. Dei namque nostraque apostolica auctoritate sub anathematis vinculo interdicimus, excepto quod ad simplicis populi et non intelligentis aedificationem attinet, si evangelii vel apostoli expositio ab eruditis eadem lingua annuntietur, et largimur et exhortamur et ut frequentissime fiat monemus, ut omnis lingua laudet Deum et confiteatur ei45. 42 Ivi, p. 992. 43 Ivi, p. 952. 44 Per ciò che riguarda la possibilità che Metodio avesse effettivamente trasgredito così scrive Peri: “l’esistenza di tutti i libri liturgici necessari al culto divino e la presumibile ignoranza del latino e del greco di buona parte dei nuovi sacerdoti slavi formati su questi libri hanno probabilmente determinato un’estensione di fatto della concessione pontificia all’intera celebrazione della messa, all’amministrazione dei sacramenti e alla recita delle ore [...] è lecito chiedersi se e quanto l’arcivescovo fosse personalmente responsabile di questo allargato impiego dello slavo nella messa oppure quanto egli fosse in grado di impedirlo”: V. Peri, “Il mandato missionario e canonico di Metodio e l’ingresso della lingua slava nella liturgia”, cit., p. 983. 45 Zventopolco Regi Sclavorum, 885. F. Grivec, F. Tomšič, Fontes, cit., p. 77. Posizioni 30 Il paleoslavo Le conseguenze di questa nuova politica papale sono pesantissime per la piccola comunità cirillometodiana: i discepoli più anziani vengono perseguitati, imprigionati, e poi cacciati da tutto il territorio, i più giovani, quelli ordinati sacerdoti dallo stesso Metodio, venduti schiavi. Clemente, Angelario e Naum trovano rifugio in Bulgaria, Sava e Gorazd, indicato da Metodio quale suo successore, ripararono probabilmente in Polonia, altri si dispersero in Boemia e in Dalmazia. La Chiesa di Roma non revocherà il suo divieto alla liturgia slava (pur senza riuscire a impedirne la sopravvivenza) sino alla metà del XIII secolo, quando Innocenzo IV ne concede esplicita autorizzazione a due vescovi croati, Filippo e Fruttuoso, nel 1248 e nel 125246. La Chiesa di Costantinopoli non è meno riluttante all’introduzione della liturgia slava nei territori di sua giurisdizione. Ma la crescente potenza politica e militare della Bulgaria, che aveva accolto a braccia aperte i discepoli di Cirillo e Metodio in fuga dalla Moravia e ottenuto la proclamazione dell’autocefalia47 la costringono infine a cedere: nell’893, quasi trent’anni dopo il battesimo di Boris-Michele, la liturgia slava si sostituisce ufficialmente a quella greca: L’anno 893 segna profondamente la storia bulgara. Dopo quattro anni di regno (889-893) Rasate-Vladimir, figlio primogenito di Boris, è deposto e sostituito da Simeone. Le cause non ci sono tutte chiare, ma conosciamo la principale: aver deviato dalla linea politica tracciata da Boris. Non a caso la sostituzione al vertice si compie sotto l’egida del principe Boris-Michele, che nel analoghe il papa esprime nel Commonitorium Dominico Episcopo Iohanni et Stefano [presbyteri]s euntibus ad sclavos dell’885: “Missas et sacratissima illa ministeria, quae Sclavorum lingua idem Methodius celebrare praesumpsit, quamvis decessoris sui temporibus, domni videlicet Iohannis sanctissimi papae iuraverit se ea ulterius non praesumere, apostolica auctoritate, ne aliquo modo praesumatur, penitus interdicit. Verumtamen si aliquis Sclavorum lingua tam doctus invenitur, ut post sacratissimam evengelicam apostolicam lectionem eius explicationem doctus sit dicere ad aedificationem eorum, qui non intelligunt, et laudat, si fiat, et concedit et approbat” (F. Grivec, F. Tomšič, Fontes, cit., p. 75). 46 Alla base del mutato atteggiamento sta anche la convinzione che a inventare il glagolitico fosse stato S. Girolamo, il traduttore della Vulgata: I. Banac, “Main Trends in the Croat Language Question”, in Aspects of the Slavic Language Question, cit., I, p. 197. 47 G. A. Chaburgaev, Pervye stoletija slavjanskoj pis’mennoj kul’tury, cit., p. 60. Introduzione 31 frattempo aveva scelto la via del monastero e si era fatto monaco. La presa di potere da parte di Simeone è accompagnata da importanti novità, che da tempo si andavano preparando. La vecchia capitale Pliska, nata come cittadella pagana, fortezza dell’aristocrazia protobulgara, è abbandonata in favore di Preslav, che si sviluppa come moderna città cristiana. Si proclama ufficialmente l’adozione del paleoslavo come lingua dello stato e della chiesa. Questo significa la progressiva sostituzione del clero greco con clero bulgaro, e dei libri liturgici greci con libri slavi […] Ha inizio il secolo d’oro della cultura bulgara medievale, destinato a giocare un ruolo inestimabile nell’ulteriore evoluzione dei popoli slavi appartenenti alla Slavia Orthodoxa48. 4. La lingua paleoslava Spentesi già a fine Ottocento le dispute sulla “origine” bulgara o pannonica del paleoslavo, oggi gli studiosi concordano nel riconoscere la base dialettale bulgaro-macedone della nuova scripta. Sia che si dati l’insorgere del suo interesse per gli slavi agli anni 856-860, trascorsi in Bitinia con il fratello, sia che lo si dati agli anni 861-863, trascorsi a Costantinopoli, Costantino si muove nel meridione della slavia balcanica, tra le genti slave di cui suo fratello Metodio è stato per anni arconte: a quelle parlate rimandano la semplificazione dei nessi formati dalle dentali con la liquida (*dl, *tl > l) la presenza della l epentetica, forme verbali quali il condizionale del tipo bim| , gli aoristi sigmatici arcaici, l’imperfetto. Grafemi glagolitici quali R, z ([šč] < *tj; [≈] < *g per II e per III palatalizzazione), così come l’uso di A per indicare un suono vocalico che continua sia *(’)e- sia *’a- , suggeriscono addirittura una localizzazione ristretta alla zona di Salonicco49. Nata in area bulgaro-macedone, cresciuta in Moravia e in Pannonia, durante i quindici anni di arcivescovato di Metodio, la lingua paleoslava raggiunge la piena maturità nella Bulgaria di Simeone, dove un nuovo strato bulgaro, questa volta di provenienza anche bulgaro-orientale, si sovrappone e si salda a quello originario bulgaro-occidentale (macedone). Questa stratificazione non contraddice le finalità del nuovo strumento 48 K. Stančev, G. Popov, Kliment Ochridski, cit., pp. 41-42. 49 Si veda il capitolo “Soluňská staroslověnština” in G. A. Chaburgaev, Pervye stoletija slavjanskoj pis’mennoj kul’tury. Istoki drevnerusskoj knižnosti, cit., pp. 36-42. 32 Il paleoslavo linguistico, nato per un uso apostolico e permeato dell’“ideologia cirillometodiana” della molteplicità delle lingue: operando in zone della Slavia che da diversi decenni conoscono il cristianesimo, Costantino e Metodio si erano misurati con una terminologia cristiana presistente, che la loro esperienza missionaria consigliava di non modificare, né nel lessico né nella fonetica. Nel paleoslavo vengono così accolti sia lessemi greci che gli slavi cristiani della zona di Salonicco avevano appreso oralmente nella loro pronuncia popolare (parask ’evg ’ii ‘venerdì’ dal greco popolare paraskeughv vs greco colto paraskeuhv, s\bota ‘sabato’ dal greco popolare savmbaton vs greco colto savbbaton) sia lessemi di origine slava occidentale, latina e germanica, introdotti in Moravia e in Pannonia dai missionari tedeschi: apostolik) ‘apostolicus’ (appellativo del papa), kom)kati ‘comunicare, dare la comunione’, m|{a ‘messa’, papej| ‘papa’, post) ‘digiuno’, r:s¢ota ‘verità’. Accanto a questi cosiddetti ‘moravismi’ lessicali la nuova lingua può accogliere ‘moravismi’ fonetici, quali per esempio gli esiti [c] < *tj, *kt’; [z] < *dj, attestati nei Fogli di Kiev (v. ultra). Dopo la morte di Metodio i discepoli dei fratelli conservano la stessa apertura e disponibilità al cambiamento linguistico: the principles which Constantine had enunciated to justify the creation of Church Slavonic could be taken as warranting, or even as mandating, the existence of such local varieties of the language50. La disponibilità a innovare tocca persino la più simbolica delle creature di Costantino, l’alfabeto glagolitico: nell’uso della corte, negli scriptoria di Preslav, gli si affianca un alfabeto più semplice, un greco modificato con l’aggiunta dei grafemi necessari a rendere suoni propri alla fonetica slava. Nel nuovo alfabeto, chiamato cirillico in onore di Costantino-Cirillo, nuovi grafemi esprimono l’esistenza delle vocali iodizzate e una distinzione degli esiti di *e- e di *’a- ignoti al glagolitico. A questa capacità di evolvere funge da contrappeso il tradizionalismo delle lingue scritte: è solo dalla fine dell’XI secolo che variazioni sensibili 50 R. Mathiesen, “The Church Slavonic Language Question”, cit., pp. 55-56. Introduzione 33 diversificano la lingua dei codici esemplati in zone diverse della Slavia. Assorbiti in sé elementi delle parlate bulgare, macedoni, serbe, slave orientali, il paleoslavo (ormai “medioslavo”) può funzionare per altri cinquecento anni come lingua letteraria di tutta la Slavia orthodoxa: e soltanto con l’affermarsi delle moderne lingue nazionali perderà terreno, riducendosi, a partire dall’Ottocento, alla funzione di lingua sacra. Ciò si riflette sul nome con cui viene designato dalla neonata filologia russa (e, a seguire, da tutta la tradizione slavistica): slavo ecclesiastico51. Nato con la missione cirillo-metodiana (paleoslavo o slavo ecclesiastico antico), utilizzato sino alla nascita delle lingue moderne quale lingua “colta” (parallela a altri registri – scriptae – di minor prestigio culturale e più aderenti alle realtà dialettali locali), limitato oggi all’ambito della Chiesa, lo slavo ecclesiastico è dunque tra le lingue slave quella che vanta la tradizione più lunga e più ricca: it is thus simultaneously the oldest Slavic standard language and the eldest of the contemporary Slavic standard languages52. 5. Cirillico e glagolitico Se anche non rivelato da Dio in una notte di preghiera, il glagolitico è indubbiamente frutto del lavoro coerente di una mente. Altamente simbolico, si apre con la croce e utilizza quale elemento grafico caratterizzante il cerchio, segno dell’eternità e della perfezione divina. Un valore fonetico sembra assumere il triangolo che ricorre nel disegno delle vocali anteriori. Le sue fonti sono state ricercate nel minuscolo greco (Isaak Taylor, Jagić), 51 Non manca oggi chi contesta questa denominazione, che non dà conto del reale funzionamento dello slavo quale lingua letteraria di una parte rilevante dell’Europa medievale. Già N. I. Tolstoj scriveva: “Accogliamo in luogo del termine largamente diffuso ‘slavo ecclesiastico’ il termine ‘slavo antico’ [drevneslavjanskij. N.M.], giacchè lo slavo ecclesiastico era utilizzato non solo nella sfera ecclesiastica, ma in un ambito ben più vasto, e portava in passato la semplice denominazione di ‘slavo’ [slovenskij. N.M.]”: N. I. Tolstoj, Istorija i struktura slavjanskich literaturnych jazykov, Moskva 1988, p. 48, n. 1. Lo stesso Tolstoj è però costretto a specificare di volta in volta e a ogni menzione se la lingua ‘drevneslavjanskij’ oggetto del discorso sia il paleoslavo (staroslavjanskij) o lo slavo ecclesiastico (cerkovnoslavjanskij). 52 R. Mathiesen, “The Church Slavonic Language Question”, cit., p. 45. 34 Il paleoslavo in alfabeti crittografici e tra i simboli astronomici, magici e alchemici greci (Granstrem), nell’antico ebraico (in particolare nel samaritano), nel copto (Seliščev), nell’albanese, nel georgiano, nell’armeno, nel chazaro, nel latino. L’ordine delle lettere è ricostruito: al risultato oggi canonico si è giunti attraverso la comparazione di pochi abbecedari giunti sino a noi, di preghiere alfabetiche, del trattato O pismenech del monaco Chrabr53: glagolitico valore cirillico b 1 2 w 3 g 4 d 5 6 a e Z z X 1P j Q k l m n o p r s 7 8 9 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 200 nome ipotesi per le fonti dei grafemi glagolitici a b az∞ buky g glagoli la lettera ebraica aleph o la croce forse ispirata al grafema samaritano per /m/ forse ispirata alla <v> latina o per inversione di d: dw = Davide forse dal gamma corsivo greco j ™ ™ dobro estß forse dal delta greco forse dal grafema samaritano per /he/ živěte ≈ělo forse dal copto giangia fonte sconosciuta zemlja i forse dal greco theta forse dal greco iota con dieresi iže g’erv forse dall’ebraico ajin forse dal samaritano yod kako ljudie dall’ebraico koph forse dal lambda corsivo greco myslite našß forse dal mü corsivo greco fonte sconosciuta on∞ pokoi fonte sconosciuta forse da un pi greco (arcaico) rßci slovo forse da un rho corsivo greco forse come inversione di <i> (cfr. js = Gesù), o dal grafema antico ebraico samech v d e æ z " i (á) k l m ¢ o p r s vedy 53 Tra gli innumerevoli lavori dedicati agli alfabeti slavi ricordo un volumetto di V. A. Istrin, 1100 let slavjanskoj azbuki, Moskva 1988; non tutte le tesi dello studioso sono condivisibili, ma la rassegna delle principali ipotesi relative all’origine e alla storia del glagolitico e del cirillico, ancorché ferma al 1963, anno della prima pubblicazione del lavoro, non ha perso la sua utilità. Di facile consultazione le pagine dedicate agli alfabeti da A. Schenker nel suo The Dawn of Slavic. An Introduction to Slavic Philology, New Haven and London, 1995, pp. 165-180. Introduzione glagolitico valore cirillico nome t 300 t tvrßdo u U v (400) (500) O (600) (700) R (800) c (900) (1000) x E ou, £ f h w 56 D A c ~ ci črßvß ¨ | ša er∞ forse dall’ebraico shin probabile modificazione di o ery erß digramma formato da B più j, P probabile variante di B jatß forse dall’alpha epigrafico greco fonte sconosciuta nasale anteriore; funziona come marca di nasalità nelle altre vocali nasali digramma formato da e + nasalità : < (800) 7 I M q J ( uk∞, ižica uk∞ è un digramma composto da o più U frßt∞ probabilmente dal phi greco Á \ + chěr∞ ot∞ šta { ) B ipotesi per le fonti dei grafemi glagolitici forse dal tau corsivo greco lontana analogia con il grafema h latino digramma ottenuto col raddoppiamento di o digramma ottenuto dalla sovrapposizione di S e di t (ma forse di S e di E) forse dall’ebraico tsade forse dal copto scei } S 35 ` digramma formato da o + nasalità digramma formato forse da una variante di 7 + nasalità Ben diversa la natura del cirillico: le lettere a , v , g , d , e , æ , z , ™ , i , " , k , l , m , ¢ , o , p , r , s , t , ou , f , h , w , ¶ , $ , # , £ sono prese direttamente dal greco. Dipende dal greco la presenza di due grafemi per [i] (in epoca bizantina la lettera h ‘eta’, [e] nel greco classico, si pronunciava [i] come la i ‘iota’) e di due grafemi per [o] (in greco o ‘omicron’ e w ‘omega’; letteralmente ‘o piccolo’ e ‘o grande’, valevano rispettivamente ŏ e o- ). Uguale a quella del greco è la resa grafica di [u] tramite il digramma <ou >. Il valore numerico delle lettere segue quello delle lettere greche, utilizzando a tal fine anche grafemi del tutto inutili per la fonetica slava, quali x e y54. Solo i grafemi che corrispondono a suoni tipici dello slavo non si basano sul greco, ma riprendono, adattandoli, i corrispondenti grafemi del glagolitico. 54 In greco hanno valore esclusivamente numerico: ϛ ‘stigma’ (6), ϙ ‘coppa’ (90) e ϡ ‘sampi’ (900). 36 Il paleoslavo greco a nome alfa valore 1 trascrizione a b g d e beta gamma delta epsilon 2 3 4 5 b g d e ϛ stigma zeta eta theta iota kappa lambda mü nü ksi omicron pi coppa ro sigma tau üpsilon phi chi psi omega sampi 6 7 8 9 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 200 300 400 500 600 700 800 900 ≈ z e th i k l m n ks o p z h q i k l m n x o p ϙ r s t u f c y w ϡ r s t ü f ch ps o cirillico a b v g d e j ™ ™ æ z i # " k l m ¢ ¶ o p ~ r s t ou, £ f h $ w c } { ) ¨ | : < q & ( Á \ ` + valore 1 – 2 3 4 5 – 6 7 8 9 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 200 300 400 500 600 700 800 900 – – – – – – – – – 900 – – – Introduzione 37 Ogni grafema glagolitico può essere translitterato in cirillico: i manoscritti glagolitici sono stati translitterati in cirillico a mano a mano che quest’ultimo soppiantava il glagolitico, e poi nuovamente dai loro editori moderni. Ma nel loro uso autonomo i due alfabeti testimoniano realtà fonetiche che rimandano ad aree geografiche e a periodi diversi. In particolare, differiscono nei due alfabeti l’inventario delle vocali nasali, l’inventario delle vocali iodizzate, la presenza di un grafema per la palatovelare sonora [g’], la presenza dei grafemi di origine greca ¶ , $ nella resa dei nomi propri (in glagolitico ‘k∞s’ e ‘p∞s’). Per qualche secolo (X e XI) i due alfabeti coesistono, il glagolitico più diffuso in Macedonia, dove operano i discepoli di Clemente e Naum, il cirillico più diffuso nella zona della nuova capitale Preslav (Bulgaria orientale). Poi il cirillico prevale definitivamente (con parziale esclusione dell’area croata), 6. Il canone paleoslavo Nella Bulgaria di Boris e di suo figlio Simeone (893-927) la cultura cirillometodiana si avvia a una rapida evoluzione: le traduzioni vengono riviste e completate, l’omiletica riceve nuovo impulso, l’eredità di Cirillo e Metodio, fecondata dalla situazione politica e culturale favorevole, dà vita a un modello culturale e a una lingua che determina lo sviluppo di gran parte delle letterature slave sino alle soglie dell’epoca moderna. Purtroppo, di tanta ricchezza nessuna testimonianza diretta è pervenuta sino a noi: Dell’epoca che dagli anni sessanta del IX secolo arriva alla fine degli anni venti del secolo successivo – e che abbraccia dunque la missione moravopannonica, la prima diffusione della letteratura slava ecclesiastica antica in Bulgaria, il ‘periodo aureo’ di Simeon e la riforma dell’alfabeto, con il passaggio dal glagolitico al cirillico –, di quell’epoca, che sul piano letterario fu estremamente fertile, non si è conservato nell’originale nemmeno un frustolo manoscritto55. La grammatica paleoslava, intesa quale sistema di norme sotteso alla lingua delle prime traduzioni, è pertanto ricostruita: sono stati gli studiosi moderni a 55 A. Turilov, “La letteratura slava ecclesiastica delle origini. Storia e geografia della tradizione manoscritta”, in Incontri linguistici 28 (2005), pp. 11-29; qui p. 11. 38 Il paleoslavo desumere il codice (la langue) dalla comparazione di alcuni dei testimoni più antichi tra quelli a noi giunti, selezionando quelli che meglio corrispondevano alle caratteristiche fonetiche ricostruite per i dialetti bulgaro-macedoni e che nel contempo meno riflettevano mutamenti fonetici già riconoscibili quali mediobulgari. Il concetto di un corpus di testi così composto, il cosiddetto canone paleoslavo, risale ad August Leskien: Fu lo studioso tedesco, infatti, a isolare fra tutti i più antichi codici slavi ecclesiastici quei pochi che in ragione sia della loro veneranda età—in quanto esemplati entro la fine dell’XI secolo —, sia di determinati tratti linguistici — di là dalla resa dei nessi consonantici protoslavi *dj e *tj come žd e št, anzitutto la conservazione degli jer e delle vocali nasali — dovevano dar vita al cosiddetto canone. Quella delimitazione si rivelò utilissima per risolvere definitivamente la vexata quaestio dell’origine dell’antico slavo ecclesiastico che tanto aveva appassionato i filologi e linguisti slavi della prima metà dell’Ottocento, e quindi per creare i presupposti di una descrizione grammaticale esauriente del suo stadio più antico, di cui lo stesso Leskien doveva fornire un modello esemplare56. L’inventario dei codici rispondenti ai criteri suesposti e inclusi nel canone comprende tradizionalmente dodici manoscritti (Zografense, Mariano, Assemani, Suprasliense, Libro di Savva, Salterio Sinaitico, Eucologio Sinaitico, Glagolita Cloziano, Fogli di Kiev, Fogli di Rila, Fogli di Ocrida, Fogli di Hilandar), tutti di origine bulgaro-macedone e tutti risalenti ai secoli X e XI a eccezione dei Fogli di Kiev, che pur presentando evidenti moravismi (quali gli esiti /c/ < *tj, *kt’; /z/ < *dj) sono accolti nel canone per la loro antichità, e per la presumibile contiguità con la fase morava della missione cirillo-metodiana. Accanto a questi si collocano codici di più recente acquisizione, o la cui appartenenza al canone è discussa, quali l’Apostolo di Enina, il Messale Sinaitico, il Palinsesto di Bojana, il Palinsesto Zografense, il Palinsesto Vaticano, i Fogli di Undol’skij, i Fogli Zografensi57: 56 G. Ziffer, “Per (e contro) il canone paleoslavo”, in Slavia orthodoxa & Slavia romana. Essays presented to Riccardo Picchio by his Students on the Occasion of his Eightieth Birthday, September 7, 2003, ed. by Harvey Goldblatt and G. Dell’Agata, K. Stančev, G. Ziffer, New Haven (in corso di stampa nella collana “Yale Slavic and East European Publications”), p. 320. 57 Un’accurata disamina dei criteri di costituzione del canone si può vedere in V. Živov, “Pervyj literaturnyj jazyk slavjan”, in Ricerche slavistiche XLV-XLVI (1998-1999), pp. 99-136. Introduzione CODICE Fogli di Kiev, X sec., glagolitico. Contiene frammenti (7 ff) di liturgia di rito romano 39 COLLOCAZIONE E EDIZIONI Ritrovato a Gerusalemme, si conserva nella Biblioteca scientifica centrale di Kiev. Ed.: V. Jagić, Glagolitica. Würdigung neuentdeckter Fragmente, Wien 1890 (Denkschriften der K. Akademie der Wissenschaften in Wien, Hist. - Phil. Kl., XXXVIII); C. Mohlberg, Il missale glagolitico di Kiovo (sec. IX), Roma 1928 (con paralleli latini); V. Nimčuk, Kiïvsßki glagolični listki, Kiïv, 1983; J. Schaeken, Die Kiever Blatter, Amsterdam 1987 Palinsesto (Vangelo) Vaticano, X Scoperto nel 1982 tra i codici greci della Biblioteca sec., cirillico. 99 ff. Evangelario Vaticana, il palinsesto è stato decifrato e edito da Tr. Kr∞stanov, A.-M. Totomanova e I. Dobrev, Vatikansko Evangelie (Starob∞lgarski kirilski aprakos ot X v. v palimpsesten kodeks Vat. Gr. 2502), Sofija 1996 Codice Mariano, fine X - inizio XI, Rinvenuto nel monastero della Vergine sul Monte glagolitico. Tetravangelo (inizio: Mt Athos, si conserva nella Biblioteca Statale Russa 5:23, fine Gv 21:17), 173 ff (RGB) a Mosca. Ed.: V. Jagić, Quattuor evangeliorum Codex Marianus glagoliticus, SPb. 1883; 2ª ed. Graz 1960 Codice Zografense, fine X - inizio Rinvenuto nel monastero Zogràphos sul Monte XI, glagolitico. Tetravangelo (inizio: Athos, si conserva nella Biblioteca Nazionale Mt 3:11) 271 ff + 33 ff di (RNB) di Pietroburgo. Ed.: V. Jagić, Quattuor composizione più tarda (v. Palinsesto evangeliorum Codex glagoliticus olim zographensis zografense) nunc Petropolitanus, Berlin 1879; 2ª ed. Graz 1954 Codice Assemani, XI sec., Rinvenuto a Gerusalemme, si conserva nella glagolitico. Evangelario, 158 ff Biblioteca Vaticana di Roma. Ed.: J. Vajs, J. Kurz, Evangeliorum Assemani, T. I, Praha 1929; T. II, Praga 1955; V. Ivanova-Movrodinova, A. Džurova, Assemanievo Evangelie, Sofija 1981 (con edizione in facsimile) Salterio sinaitico, XI sec., Rinvenuto nel monastero di S. Caterina sul Monte glagolitico. Salterio (salmi 1-137). Sinai, dove si conserva. Ed.: M. Altbauer, 177 ff. Nel 1975 furono ritrovati altri Psalterium sinaiticum. An 11th Century Glagolitic 32 ff contenenti i salmi 138-151, inni Manuscript from St. Catherine’s Monastery, Mt. e preghiere del mattutino e del vespro Sinai, Skopje 1971 (ed. fototipica). I trentadue fogli rinvenuti nel 1975 nello stesso monastero sono riprodotti in I. C. Tarnanidis, The slavonic manuscripts discovered in 1975 at the St. Catherine’s Monastery on Mount Sinai, Thessaloniki 1988 40 CODICE Eucologio sinaitico, XI sec., glagolitico. Traduzione dal greco e dal medio-altotedesco di un Rituale e di Precetti dei Padri (trad. dal latino). 106 ff, di cui 3 ff contengono un frammento della Liturgia di Crisostomo. Nel 1975 furono ritrovati altri 28 ff contenenti le preghiere del ciclo giornaliero (le ore, il vespro, il mattutino) e alcuni altri testi liturgici Messale sinaitico, XI sec., glagolitico. 80 ff. Sacramentario, contiene testi liturgici tratti dal messale romano relativi alle principali festività Glagolita cloziano, XI sec., glagolitico. 14 ff. Raccolta di omelie per la settimana santa, di cui una attribuita a Metodio Codice suprasliense, metà XI sec., cirillico. 285 ff. Sinassario per il mese di marzo e omelie (24 vite e 24 omelie) Libro di Savva, XI sec., cirillico. Evangelario, 129 ff Il paleoslavo COLLOCAZIONE E EDIZIONI Rinvenuto nel monastero di S. Caterina sul Sinai, dove si conserva. Ed.: R. Nahtigal, Euchologium Sinaiticum, V. I-II, Ljubljana 1941-1942; J. Frček, Euchologium Sinaiticum. Texte slave avec sources grecques et traduction française (Patrologia Orientalis, XXIX, 5, XXV, 3), Paris 1933, 1939. I fogli ritrovati nel 1975 nello stesso monastero sono riprodotti in I. C. Tarnanidis, The slavonic manuscripts discovered in 1975 at the St. Catherine’s Monastery on Mount Sinai, Thessaloniki 1988. Il frammento della Liturgia di Crisostomo (Sinajskij služebnik) si conserva oggi a Pietroburgo, due fogli nella Biblioteca Nazionale (RNB, Glag. 2), un foglio nella Biblioteca dell’Accademia delle Scienze (BAN 24.4.8). Rinvenuto nel 1975 nel Monastero di S. Caterina in cattive condizioni di conservazione, questo codice è solo parzialmente descritto e riprodotto in I. C. Tarnanidis, The slavonic manuscripts discovered in 1975 at the St. Catherine’s Monastery on Mount Sinai, Thessaloniki 1988. Si conserva in parte nel Museo civico di Trento, in parte (2 ff) nel museo “Ferdinandeum” a Innsbruck. Ed.: V. Vondrák, Glagolita Clozův, Praha 1893; A. Dostál, Clozianus. Staroslověnský, hlaholský sborník tridentský a innsbrucký, Praha 1959 Rinvenuto nel monastero di Supraśl (Polonia) e quindi smembrato. I primi 118 ff sono conservati nella Biblioteca dell’università di Lubiana, i 16 ff seguenti nella Biblioteca Nazionale (RNB) di Pietroburgo, l’ultima parte nella Biblioteca Nazionale di Varsavia. Ed.: S. Sever’janov, Supraslßskaja rukopisß, SPb., 1904 (Pamjatniki staroslavjanskogo jazyka II, 1); J. Zaimov, M. Capaldo, Supras∞lski ili Petkov sbornik, T. I-II. Sofija 1982-1983. Conservato a Mosca nell’Archivio Statale Russo degli Atti antichi (RGADA). Ed.: V. N. Ščepkin, Savvina kniga, SPb. 1903 (Pamjatniki staroslavjanskogo jazyka I, 2); 2ª ed. Graz 1959; Savvina Kniga, “Indrik”, Moskva 1999 Introduzione CODICE Fogli di Ocrida, XI sec., glagolitico. Contiene un frammento (2 ff) di Evangelario Fogli di Rila, XI sec., glagolitico. Contiene frammenti (8 ff) di un perduto libro liturgico e della Parenesis di Efrem Siro Frammenti di Hilandar, XI sec., cirillico. Contiene un frammento (2 ff) delle omelie di S. Cirillo di Alessandria Fogli zografensi, XI sec., cirillico. Contiene un frammento (2 ff) delle Regole monastiche di Basilio Magno Apostolo di Enina, XI sec., cirillico. Contiene un frammento (39 ff) dell’Apostolo Fogli di Undol’skij, XI sec., cirillico. Contiene un frammento (2 ff) di Evangelario Palinsesto zografense, fine XI sec., glagolitico. Contiene un frammento (16 ff) di Evangelario 41 COLLOCAZIONE E EDIZIONI Rinvenuti a Ocrida, si conservano nella Biblioteca (Gor’kij) dell’università di Odessa. Ed.: G. Il’inskij, Ochridskie glagoličeskie listki. Otryvok drevnecerkovnoslavjanskogo evangelija XI v., Pg. 1915 (Pamjatniki staroslavjanskogo jazyka III, 2) Ritrovati nel monastero di Rila, si conservano in parte a Rila, in parte nella Biblioteca dell’Accademia delle scienze di Pietroburgo. Ed.: G. Il’inskij, Makedonskij glagoličeskij listok, SPb. 1909 (Pamjatniki staroslavjanskogo jazyka I, 6); I. Gošev, Rilski glagoličeski listove, Sofija 1956 Rinvenuti nel monastero di Hilandar sul monte Athos, si conservano nella Biblioteca Statale di Odessa. Ed.: S. Kul’bakin, Chilandarskie listki, SPb. 1900 (Pamjatniki staroslavjanskogo jazyka I, 1); A. Minčeva, Starob∞lgarski kirilski otk∞sleci, Sofija 1978 Rinvenuti nel monastero Zogràphos del Monte Athos, dove si conservano. Ed.: A. Minčeva, Starob∞lgarski kirilski otk∞sleci, Sofija 1978 Rinvenuto nel villaggio di Enina (Kazanl∞k), si conserva nella Narodna Biblioteka di Sofija. Ed.: K. Mirčev, Ch. Kodov, Eninski Apostol. Starob∞lgarski pametnik ot XI v., Sofija 1965 Appartenuti a V. M. Undols’skij, i due ff si trovano ora a Mosca, nella Biblioteca Statale Russa (RGB). Ed.: E. F. Karskij, Listki Undol’skago. Otryvok kirillovskogo evangelija XI v., SPb. 1904 (Pamjatniki staroslavjanskogo jazyka I, 3); A. Minčeva, Starob∞lgarski kirilski otk∞sleci, Sofija 1978 Composto alla fine del XII sec. e inserito a integrare una parte mancante del codice Zografense, il testo glagolitico sovrascritto è noto come Zografense B e non fa parte del canone. Il testo glagolitico sottostante è stato decifrato e pubblicato da I. Dobrev. Ed.: I. Dobrev, “Palimpsestovite časti na Zografskoto evangelie”, in: Konstantin-Kiril Filosof. Dokladi ot simpoziuma, posveten na 1100-godišnata ot sm∞rtta mu, Sofija 1971 42 CODICE Palinsesto di Bojana, fine XI sec., glagolitico. Contiene un frammento (26 ff) di Evangelario Il paleoslavo COLLOCAZIONE E EDIZIONI Rinvenuto a Bojana nel 1845, il codice cirillico (Bojanskoe evangelie-aprakos, XII-XIII secc.) si conserva a Mosca nella Biblioteca Statale Russa (RGB). Il palinsesto è stato decifrato da I. Dobrev. Ed.: Glagoličeskijat tekst na Bojanskija palimpsest, Sofija 1972 Come si vede, la rigidità della cernita ha portato a escludere tutti i codici di provenienza slava orientale, tutti i codici di provenienza slava occidentale (per esempio i Fogli di Praga, frammento glagolitico di redazione ceca, i famosi Frammenti di Frisinga, datati fine X-inizio XI sec., i Frammenti di Vienna, codice croato composto a cavallo tra XI e XII sec.), tutti i codici che mostrino innovazioni mediobulgare (per esempio il Vangelo di Dobromir del XII sec., il Foglio macedone cirillico). Eppure, nessuno dei testi canonici interpreta in toto la norma ricostruita: i manoscritti del canone si presentano tutti come interpretazioni individuali, come atti di parola riconducibili certamente alla stessa langue, ma ben lontani dalla uniforme correttezza che oggi siamo soliti aspettarci da un testo ispirato a norme grammaticali (in particolare fonetiche e ortografiche) chiaramente definite. Prendiamo per esempio il Codice Zografense, datato fine X-inizio XI secolo, di base dialettale macedone (bulgaro occidentale). Il codice si distingue per il conservatorismo dell’ortografia, che rispecchia le norme ricostruite per l’epoca cirillo-metodiana, e tuttavia presenta numerose innovazioni: sostituzioni di \ con ( , denasalizzazione \ > ou , sostituzioni (rarissime) di ( con e ; vocalizzazioni di jer in posizione forte (tem|¢ic\ , cr|kov| ) e caduta degli jer in posizione debole in alcuni nessi (vs: , sl:pca , ~to , m¢ogo , kto ); passaggio ) > | davanti a sillaba contenente vocale anteriore (v|æ(ti ) e passaggio | > ) davanti a sillaba contenente vocale posteriore (m)æda ) per la cosiddetta regola di Jagić; resa non etimologica delle sonoranti: *r÷, *r÷’ indiscriminatamente r) (più raramente *r÷’ > r| , a volte r ), *l÷, *l÷’ indiscriminatamente l) (più raramente l| ); frequente assenza della liquida epentetica davanti a | , i (æemi , prist\p| , korab| ); frequente sostituzione di ™ [dz] con æ [z]. Introduzione 43 Innovazioni analoghe si riscontrano in tutti i codici del canone58, e mettono in discussione i principi stessi della cernita: come stabilire il grado di deviazione dalla norma ammissibile all’interno del canone? Come utilizzare i codici esemplati dopo il fatidico spartiacque del 1100 che, pur riflettendo fasi più tarde di evoluzione linguistica, tramandano materiale linguistico risalente ai primi due secoli e mezzo di vita del paleoslavo? Come considerare i codici che, ancorché antichi, riflettono una base dialettale diversa da quella bulgaromacedone59? Prendiamo quale esempio i codici di provenienza slava orientale, condannati dalla propria provenienza alla extra-canonicità: constatato il fatto che il Vangelo di Ostromir, il più antico manoscritto slavo datato (1056-1057), presenta un tasso di deviazione dalla norma ricostruita addirittura inferiore a quello di codici unanimente considerati canonici, esso viene incluso nel canone da molti filologi russi. Questa inclusione porta con sé quella di altri codici slavo-orientali, quali per esempio il Salterio di Sluck (5 ff) e i Fogli di Novgorod (due fogli di un Evangelario), che ancor meno del Vangelo di Ostromir si discostano dall’ipotetico originale slavo meridionale. Assolto alla sua fondamentale funzione di permettere una descrizione della grammatica paleoslava come sistema omogeneo, rispetto al quale casi particolari di disomogeneità possono figurare quali deviazione dalla norma, il concetto di canone quale espressione di una realtà dialettale concreta è presto sottoposto a critiche. Negli anni ’20, anticipando una più moderna concezione funzionale della lingua letteraria, N. Durnovo propone una visione del canone paleoslavo aperto ab origine alla presenza di due redazioni (dialekty), una ceco-morava e una bulgara, di cui la seconda rappresentata da codici bulgari, macedoni, serbi e russi (varianty): il paleoslavo sarebbe nato come lingua programmaticamente 58 Se ne può vedere una descrizione nelle pagine introduttive dello Staroslavjanskij slovar’ (po rukopisjam X-XI vekov), pod redakciej R. M. Cejtlin, R. Večerki i E. Blagovoj, Moskva 1994, pp. 29-40. 59 L’utilità del concetto stesso di canone è discussa da Giorgio Ziffer nel saggio “Per (e contro) il canone paleoslavo”, cit., pp. 319-328. 44 Il paleoslavo aperta alle realtà locali, nessuna variante è “più paleoslava” delle altre60, né possiamo oggi stabilire quale fosse quella propria di Cirillo e Metodio61. Rientrano così nel canone due testimoni della redazione ceca: Fogli di Kiev e Frammenti di Praga; quindici testimoni slavomeridionali: Zografense, Mariano, Assemani, Glagolita Cloziano, Salterio Sinaitico, Eucologio Sinaitico, Libro di Savva, Suprasliense, Fogli di Rila, Foglio glagolitico di Grigorovič, Fogli di Ocrida, Fogli di Hilandar, Fogli di Undol’skij, Fogli Zografensi e Salterio di Pogodin; nove di provenienza slava orientale: i Fogli di Novgorod (Kuprjanovskie listki), il Vangelo di Ostromir, i Fogli di Turov (Turovskie evangel’skie listki), le tredici Omelie di Gregorio Nazianzeno, l’Izbornik del 1073, le Pandette di Antioco, il Salterio del Monastero dei Miracoli (Čudovskaja psal’tyr’) parte dei Sermoni di Cirillo di Gerusalemme e parte del Vangelo di Archangel’sk62. Pur caratterizzati da norme specifiche63, questi codici russi non rappresentano che varianti della redazione bulgara: norme ortografiche specifiche dei codici russi, e diverse da quelle slave meridionali, si vanno elaborando nell’XI secolo […] Tuttavia, queste caratteristiche dei testi russi più antichi non hanno affatto la stessa importanza di quelle che individuano i testi paleoslavi di redazione ceco-morava, e non disegnano con la dovuta nettezza un dialetto letterario russo del paleoslavo64. 60 “L’uso documentato dai codici qui considerati [Zografense, Ostromir e Fogli di Kiev] è del tutto conseguente, e riflette evidentemente la norma di varianti locali del paleoslavo; noi non abbiamo ragioni sufficienti per ritenere che sola una di queste varianti sia paleoslava, mentre le altre rappresenterebbero deviazioni dal paleoslavo corretto”: N. N. Durnovo, “K voprosu o staroslavjanskom jazyke”, in Izbrannye raboty po istorii russkogo jazyka, Moskva 2000, p. 695. 61 “Non abbiamo motivi di credere che le regole iniziali della lingua cirillometodiana siano identiche a quelle dei più antichi codici slavi meridionali, non più di quanti ne avremmo per ritenere che queste regole sovraintendano all’ortografia del più antico codice ceco, i Fogli di Kiev”: N. N. Durnovo, “K voprosu o staroslavjanskom jazyke”, cit., p. 698. 62 N. N. Durnovo, “Mysli o proischoždenii staroslavjanskogo jazyka i slavjanskich alfavitov”, in Izbrannye raboty po istorii russkogo jazyka, cit. pp. 605-606. 63 Durnovo ne individua cinque: la resa delle sonoranti (<)r>, <)r)> eccetera), l’esito /ž/ < *dj, la terminazione S sg m -)m|, -|m|, la 3ª sg e pl -t|, il suffisso di appartenenza -q¢- invece di -:¢- (N. N. Durnovo, “Mysli o proischoždenii staroslavjanskogo jazyka i slavjanskich alfavitov”, cit., p. 589). 64 Ibidem. Introduzione 45 Alla classificazione di Durnovo possono essere accostate le periodizzazioni proposte da F. V. Mareš e da R. Mathiesen: entrambe distinguono tra una prima fase strettamente cirillometodiana e una successiva; entrambe ammettono nel paleoslavo la presenza di diverse varianti; entrambe si basano su criteri funzionali e non cronologici. Mareš distingue una lingua protoanticoslava (prastaroslověnština), quella dei testi cirillo-metodiani tradotti prima della partenza per la Moravia e non pervenutici, e il vero e proprio paleoslavo (staroslověnština), distinto nelle varianti morava, bulgaromacedone, bulgara orientale, eventualmente russa e forse slovena. Al paleoslavo subentra, in epoche che sono diverse nelle diverse zone della Slavia, lo slavo ecclesiastico (církevna slovanština), articolato in sei redazioni (ceca, mediobulgara, russa, serba, croato-glagolitica e slavo-rumena), destinate a ridursi nel periodo neo-slavo ecclesiastico a due tipi: quello russo (con le varianti pre-nikoniana, rutena, vecchio-credente, sinodale) e quello croato65. Mathiesen individua a sua volta nello slavo ecclesiastico dei secoli IX-X la presenza di due tipi linguistici differenti, un più antico slavo ecclesiastico (Earliest Church Slavonic), legato all’attività di Cirillo e Metodio, e lo slavo ecclesiastico antico (Early Church Slavonic) del periodo in cui la lingua cirillometodiana si diffonde per la Slavia, caratterizzati entrambi dalla ‘ideologia cirillometodiana’ della molteplicità delle lingue, in base alla quale there could not be no objection in principle to the existence of local varieties of the language, especially if the variation was limited to matters of pronunciation (and spelling), as was in fact largely the case in Early Church Slavonic66. Questo atteggiamento avrebbe favorito, verso la fine del XII secolo, la nascita di ben dodici varietà locali: pannonica, boema, soraba, croata, dioclea, 65 F. V. Mareš, “Vajsova česká redakce nové církevní slovanštiny”, in Studia paleoslovenica, Praha 1971, p. 221. Come osserva giustamente A. Naumow, liberarsi della cronologia permette a Mareš di vedere nell’attività di Emmaus un fenomeno funzionalmente tipico del periodo neo-slavo ecclesiastico: A. Naumow, Idea – Immagine – Testo. Studi sulla letteratura slavo-ecclesiastica, Alessandria 2004, p. 18. 66 Ivi, p. 55. 46 Il paleoslavo bosniaca, serba, bulgara, macedone, galiziana, kieviana, novgorodense67, che non segnano però, secondo Mathiesen, la fine del periodo paleoslavo (ECS). Questa si colloca intorno al XIV secolo, quando un nuovo atteggiamento “metalinguistico” porta con sé profonde e significative revisioni dello standard, che lo studioso collega al nome del Patriarca di Bulgaria Eutimio e a una nuova teoria semiotica. Il “medio slavo ecclesiastico” (Middle Church Slavonic) sarà caratterizzato dalla tendenziale riduzione delle varietà locali a favore di uno standard, soprattutto ortografico, che sia garanzia della correttezza formale e sostanziale dei codici68. 7. Paleoslavo e slavo ecclesiastico nella Slavia orientale L’individuazione dei codici da riferire alla nascita della “redazione” slava orientale dello slavo ecclesiastico (lo “slavone russo”) varia sensibilmente all’interno delle diverse scuole slavistiche, in dipendenza dal fatto che si considerino redazioni e varianti indice dell’avvenuta trasformazione del paleoslavo in slavo ecclesiastico, o che al contrario si creda il paleoslavo già differenziato in redazioni e varianti. Chi considera primi testimoni di una nuova redazione i codici in cui le deviazioni dalla norma sporadicamente presenti anche nei testi del canone assumono (o tendono a assumere) carattere sistematico considera tutti i manoscritti di produzione slava orientale rappresentanti di una nuova redazione russa (a partire dal Vangelo di Ostromir). Chi invece contempla la possibilità di una variante locale di norme complessivamente meridionali (e quindi ancora “paleoslave”) sposta la nascita di una nuova redazione alla fine del XI secolo. L’incertezza deriva dal fatto che al momento della cristianizzazione, e dunque dell’ingresso nella Slavia orientale di missionari e di testi provenienti 67 R. Mathiesen, “The Church Slavonic Language Question”, cit., pp. 46-47. 68 Il problema della periodizzazione si può impostare diversamente se si distingue tra il più antico slavo ecclesiastico (Earliest Church Slavonic) e lo slavo ecclesiastico antico (Early Church Slavonic) in quanto lingua apostolica e dialetto liturgico. Cfr. R. Picchio, “Il posto della letteratura bulgara antica nella cultura europea del medioevo”, cit., pp. 278-279. 47 Introduzione da zone già convertite della Slavia occidentale e meridionale, le differenze tra la variante slava orientale dello slavo comune tardo presente nella Rus’ e la variante slava meridionale dello slavo comune tardo testimoniata dalla lingua paleoslava non sono numerose, e riguardano essenzialmente la fonetica69: Fonetica vocali nasali *tj, *kt + vocale anteriore *dj *sk + vocale anteriore *zdj, *zgj, *zg + vocale anteriore j protetico davanti a [a] j protetico davanti a [u] trattamento di *e iniziale velarizzazione di [l] > [∏] Slavo orientale Paleoslavo denasalizzate: [’a], [(’)u] [t’š’] [ž’] [š’t’š’] [ž’d’ž’] sempre presente raro [o] presente conservate: [(’)e˛], [(’)o˛] [š’t’] [ž’d’] [š’t’] [ž’d’] sporadico sempre presente [e] assente 69 Non bisogna immaginare la variante slava orientale dello slavo comune tardo come un dialetto unitario e compatto, destinato a differenziarsi successivamente al proprio interno. Al contrario, i dialetti dell’area slavo-orientale erano, fin dai tempi più antichi, sostanzialmente eterogenei, e mostravano diversi gradi di transizione verso i dialetti slavi occidentali (per esempio l’antico dialetto dei kriviči, popolazione stanziata nella zona occidentale del territorio di Novgorod, si contrappone per una serie di tratti ai dialetti slavo-orientali meridionali). È l’unificazione delle tribù slave dislocate sul territorio della prima formazione statale antico-russa, la Rus’ di Kiev, a favorire processi di integrazione che determinano l’insorgere di una comunità linguistica slavo-orientale (secoli IX-XI). Ecco le principali varianti dialettali: pronuncia fricativa della velare sonora [g] confusione di [i] e di [ı-] confusione di [u] e di [w] [e] > [o] dopo C palatale davanti a V non anteriore [ß] > [∞] dopo C palatale davanti a V non anteriore assenza della II palatalizzazione confusione delle affricate [č] e [c] (cokan’e) 2ª pleofonia (*C∞rC > C∞r∞C ecc.) confusione di sibilanti e scibilanti GDL sg dei nomi in *a- : -: NA duale e pl dei nomi in *a- : -: N sg m dei nomi in *ŏ: -e (d ome) L sg dei nomi in *ŏ: -e assenza della desinenza 3ª sg e pl -t| parlate meridionali parlate meridionali parlate meridionali (Galizia e Volinia) tutte le parlate meno la Galizia tutte le parlate meno la Galizia Novgorod; Pskov Novgorod; Pskov Novgorod (ipotesi di Sobolevskij) Pskov Novgorod Novgorod Novgorod Novgorod Novgorod; Pskov; parlate meridionali 48 Il paleoslavo *õrt, *õlt sonoranti r÷, r÷’; l÷, l÷’ *telt; *tert *tolt; *tort vocali ridotte Morfologia G sg; NA pl f (*-ja- ns) A pl m (*-jŏns) S sg m (*-ŏmı̆; *-jŏmı̆) N sg m agg. det. G sg f agg. det. DL sg pronome personale desinenza dell’infinito desinenza della 2ª sg Part. pres. attivo m; N sg 3ª sg e pl del presente suffisso di appartenenza Slavo orientale [ro], [lo] [∞r], [ßr]; [∞l] [olo]; [ere] [olo]; [oro] ben conservate Paleoslavo [ra], [la] [rß], [r∞]; [lß], [l∞] [lě]; [rě] [la]; [ra] cadute; vocalizzate; confuse -: (jat’ terzo) -: (jat’ terzo) -)m|; -|m| -)i (> -oi); -|i (> -ei) -o: (-oe); -e: (-ee) m)¢:; tob:; sob: -t| -{| -a -t| -q¢- -( -( -om|; -em| -¨i; -ii -¨q; -iq m|¢:; teb:; seb: -ti -{i -¨ -t) -:¢- In queste condizioni, la lingua dei testi sacri e liturgici viene accolta senza alcuna difficoltà: nei primi decenni della cristianizzazione si ricopiano gli antigrafi slavi meridionali con una certa fedeltà70, di lì a poco la lingua (scritta) dei codici, la lingua usata oralmente in funzione liturgica e apostolica e le diverse parlate locali entrano in correlazione come varianti stilistiche di una stessa lingua. Naturale divenne pronunciare nella vita di tutti i giorni сторона, ma cantare o udire dal pulpito (e considerare più corretto e elegante) страна: no one expects a written style to be identical with speech. For a Kievan to say сторона but write страна became as natural as for an educated Englishman to say (informal) can’t, don’t, I’ll but write (formal) cannot, do not, I shall”71. 70 Così per esempio nel Salterio ligneo rinvenuto a Novgorod (datazione presunta 1006) la grafia presenterebbe tratti tipicamente bulgari come l’uso del solo jer duro (∞) e le quattro nasali (usate però in modo errato dal copista slavo orientale) e nessun russismo morfologico. Un solo jer (ß) caratterizza anche la grafia dello Rejmsskoe Evangelie, composto nella prima metà dell’XI e portato in Francia da Anna Jaroslavna (le cui nozze con il re di Francia Enrico I sono datate da alcuni 19 maggio 1051, da altri 1044), quando gli slavi orientali distinguevano bene all’epoca i due jer nella pronuncia. 71 A. P. Vlasto, A Linguistic History of Russia to the End of the Eighteenth Century, Oxford 1988, p. 345. 49 Introduzione La pronuncia era fondamentale in una società largamente se non esclusivamente basata sull’oralità: la predicazione, la lettura liturgica, il canto dovevano riposare su una solida norma unitaria. Come probabilmente già in Moravia, in Bulgaria, in Macedonia e in Serbia, i nuovi cristiani della Slavia orientale sono disposti a pronunciare parole slave diversamente da come si pronunciano nei loro dialetti, ma non a produrre suoni estranei alla propria fonetica (del tipo [dz] o [dž]; [r÷]; [o˛]; [št’]). La “pronuncia dotta” si colloca così in una posizione di compromesso tra imitazione e rinnovamento: spariscono dalla pronuncia le vocali nasali e le sonoranti; [ž] gradualmente sostituisce [žd] come esito di *dj; [šč] subentra a [št’] come esito di *tj. Funzione dell’ortografia è guidare il lettore alla pronuncia corretta, parimenti rispettosa della tradizione e della fonetica locale: così per esempio la grafia <)r >, <)l > per la resa delle sonoranti, ispirata alla pronuncia viva, era probabilmente dettata dal desiderio di preservare la differenza tra gli esiti di *rŭ e *r÷ nella pronuncia dei missionari (a parità di resa grafica <r) >)72: Slavia meridionale Slavia orientale grafia pronuncia grafia pronuncia <r)> (< *rŭ) [r∞] <r)> (< *rŭ) [r∞] <r)> (< *r÷) [r÷] <)r> (< *r÷) [∞r] Ciò tuttavia non significa che l’alfabeto cirillico avesse ancora il carattere di alfabeto fonologico che gli aveva conferito Costantino: a fargli concorrenza era intervenuto il tradizionalismo grafico. Prendiamo per esempio gli jer: i missionari macedoni, che probabilmente giunsero primi nella Rus’, pronunciavano lo jer molle come [e] e lo jer duro come [o] in posizione forte, e non pronunciavano alcun suono quando gli jer erano in posizione debole73. L’ortografia richiedeva invece che in tutte le posizioni (debole e forte) si 72 N. N. Durnovo, “Slavjanskoe pravopisanie X-XII vv.”, in Izbrannye raboty po istorii russkogo jazyka, cit., pp. 667-668. 73 N. N. Durnovo, “Slavjanskoe pravopisanie X-XII vv.”, cit., pp. 662-665; B. A. Uspenskij, Istorija russkogo literaturnogo jazyka (XI-XVII vv.), Moskva 2002, pp. 147-148. 50 Il paleoslavo scrivesse <∞> e <ß> secondo l’etimologia. Gli slavi orientali, che distinguevano perfettamente gli jer in tutte le posizioni (e non li pronunciavano mai come [o], [e]) adottarono sia la pronuncia [o], [e], estesa alla posizione debole che loro non percepivano come tale (declamazione sillabata e canto detto “chomonija”74) sia la grafia etimologica. In questo come in altri casi era la pronuncia natia a indicare esattamente dove scrivere <| > e dove <) >. Con la comparsa dei primi centri scrittori ha inizio l’elaborazione di una serie di regole, la cui acquisizione forma l’indispensabile competenza professionale del copista, e il cui scopo è controllare la correttezza della copia dal punto di vista della tradizione ortografica e della locale pronuncia dotta: contrariamente a quanto si è a lungo creduto (il copista quale carta carbone sui generis), copiare senza correggere era non solo imperdonabile cialtroneria, ma un vero e proprio peccato. Certo, la mancanza di un centro capace di stabilire e imporre norme universali permetteva la proliferazione di sistemi normativi differenziati per centri e scuole scrittorie. Il copista cercava di darsi regole certe del tipo: “dove pronunci [č] in inizio di parola scrivi sempre <~ >”; oppure “scrivi <\ > nei suffissi e nelle terminazioni verbali e nelle desinenze del femminile; scrivi <ou > nelle desinenze del maschile e del duale”. Ma la regola ipotetica “dove pronunci [ro] oppure [lo] in posizione iniziale di parola scrivi sempre <ra >, <la >” era resa impossibile dal fatto che molte parole con [ro] oppure [lo] in posizione iniziale richiedevano la grafia <ro >, <lo >: per esempio rosa ‘rugiada’, loviti ‘dare la caccia’, lob)æati ‘baciare’. Forme normative quali porok) ‘vizio’, ovo ‘questo’, ov|¢) ‘montone’, ovo}| ‘verdura’, qvl(ti ‘manifestare’, qti ‘prendere’, qæyk) ‘lingua’ rendevano impossibile qualsiasi regola pratica circa la pleofonia, l’oscillazione tra <e > e <o > in inizio di parola, lo jod protetico davanti a <a >. In questi casi il copista rinunciava a correggere (a normalizzare), permettendo alle forme dell’antigrafo, a eventuali errori e a forme slavo orientali di coesistere come varianti ammissibili all’interno della 74 Sul canto detto “chomovoe” o “naonnoe”, e sulle difficoltà specifiche che l’identificazione dei grafemi <o> ed <e> con foni differenti (resp. [o], [∞], [e], [ß]) creava ai copisti russi v. B. A. Uspenskij, Istorija russkogo literaturnogo jazyka, cit., pp. 145 sgg. Introduzione 51 norma (varjativnost’)75: rabota , robota ‘lavoro’, ag¢e , qg¢e ‘agnello’, edi¢) , odi¢) ‘uno’, pered) , pred) ‘davanti’. I mss slavi orientali dell’XI secolo registrati dallo Svodnyj Katalog slavjanorusskich rukopisnych knig, chranjaščichsja v SSSR: XI-XIII vv., sono ventitré76. Citiamo tra i principali il Vangelo di Ostromir (1056-1057), l’Izbornik Svjatoslava (1073), l’Izbornik (1076), il Vangelo di Archangel’sk (1092), diverse Menee, le Pandette di Antioco, il Salterio del Monastero dei Miracoli, le Omelie di Gregorio Nazianzeno, il Paterik sinaitico e diversi frammenti, tra cui il già ricordato Vangelo di Reims: CODICE Ostromirovo evangelie (Vangelo di Ostromir), 1056-1057. Evangelario, 294 ff Rejmsskoe evangelie (Porzione cirillica del Vangelo di Reims), 1ª metà del XI sec. Contiene un frammento di Evangelario (16 ff) Izbornik Svjatoslava, 1073. Contiene Ob obrazech di Giorgio Chirobosco; Letopisec vkratce Nikifora, omelie di Basilio Magno, Crisostomo, Gregorio Nazianzeno, Anastasio ecc.; 266 ff Izbornik 1076. Contiene Slovo o počitanii knižnom; brani da Crisostomo, Nilo, Atanasio, Anastasio ecc.; 277 ff Archangel’skoe evangelie (Vangelo di Archangel’sk), 1092. Evangelario, 178 ff COLLOCAZIONE E EDIZIONI Si conserva a Pietroburgo nella Biblioteca Nazionale (RNB, F.p.I.5). Ed.: Ostromirovo Evangelie 1056-1057, Leningrad 1988 (SK n° 3) Una parte del codice, probabilmente perduto all’epoca della Rivoluzione francese, si conserva nella biblioteca cittadina di Reims, con il n° 91. Ed.: L. P. Žukovskaja, Rejmsskoe Evangelie. Istorija ego izučenija i tekst. Moskva 1978 GIM, Sinodal’noe sobranie n° 1043. Ed.: Izbornik Svjatoslava 1073g., 1-2, Moskva 1983 (SK n° 4) Si conserva a Pietroburgo nella Biblioteca Nazionale (RNB, Ermitažnoe sobranie n° 20). Ed.: Izbornik 1076, Moskva 1965 (SK n° 5) Si conserva a Mosca nella Biblioteca Statale Russa (RGB, Muzejnoe sobranie n° 1666). Ed.: Archangel’skoe Evangelie 1092 goda, Moskva 1997 (SK n° 6) 75 V. M. Živov, Jazyk i kul’tura v Rossii XVIII veka, Moskva 1996, p. 28. 76 Svodnyj Katalog slavjanorusskich rukopisnych knig, chranjaščichsja v SSSR. XI-XIII vv., Moskva 1984 (di seguito SK). 52 Il paleoslavo CODICE Služebnye minei (Menee di Novgorod), 1095, 1096 e 1097. Sinassari di uso liturgico per i mesi di settembre (176 ff), ottobre (127 ff9, novembre (174 ff) COLLOCAZIONE E EDIZIONI Si conservano allo RGADA, f. 381, nn° 84, 89 e 91. Ed.: V. Jagić, Služebnye minei za sentjabr’, oktjabr’ i nojabr’ v cerkovnoslavjanskom perevode po russkim rukopisjam 1095-1097g., SPb. 1886 (SK nn° 7, 8, 9) Čudovskaja psaltyr’ (Salterio dei GIM, Čudovskoe sobranie n° 7. Miracoli), XI sec. Traduzione del Salterio Ed.: V. A. Pogorelov, Čudovskaja psaltyr’ XI v. commentato di Teodoreto di Ciro (V Otryvok tolkovanija Feodorita Kirskogo na sec.), 176 ff psaltyr’ v drevnebolgarskom perevode, SPb. 1910 (Pamjatniki staroslavjanskogo jazyka, III, 1) (SK n° 31) Sinajskij paterik (Paterik sinaitico), XI sec. Traduzione di Leimw;n Pneumatikov" (Leimwnavrion) di Giovanni Mosco, 184 ff Pandekt Antiocha (Pandette di Antioco), XI sec. Traduzione delle Pandette di Antioco (VII sec.), 310 ff Slova Grigorija Bogoslova (Omelie di Gregorio Teologo), XI sec. Traduzione di 13 omelie di Gregorio Nazianzeno, 377 ff Putjatina mineja (Menea di Putjata), XI sec. Canoni per i santi dei giorni 1-10 maggio, 135 ff Mineja Dubrovskogo (Menea di Dubrovskij), XI sec. Canoni per Teodoro Stratilato, per gli apostoli Bartolomeo, Barnaba, Giuda e per Giovanni Battista, 15 ff Sluckaja psaltyr’ (Salterio di Sluck), XI sec. Frammento di Salterio liturgico (salmo 118), 5 ff GIM, Sinodal’noe sobranie n° 551. Ed.: Sinajskij Paterik, Moskva 1967 (SK n° 26) GIM, Sobranie Voskresenskogo monastyrja n° 30. Ed.: Pandekt monacha Antiocha. Po rukopisi XI v., prinadležaščej Voskresenskomu monastyrju, pril. k ČOIDR 1914, 2 (SK n° 24) Si conserva a Pietroburgo nella Biblioteca Nazionale (RNB, Q.p.I.16). Ed.: A. S. Budilovič, XIII Slov Grigorija Bogoslova v drevneslavjanskom perevode po ruk. PB XI v., SPb. 1875 (SK n° 33) Si conserva a Pietroburgo nella Biblioteca Nazionale (RNB, Sofijskoe sobranie n° 202). Ed.: L. I. Ščegoleva, Putjatina mineja (XI vek), 1-10 maja, Moskva 2001 (SK n° 21) Si conserva a Pietroburgo nella Biblioteca Nazionale (RNB, F.p. I. 36). Ed.: E. Granstrem, Grečeskie paralleli k gimnografičeskim tekstam “Minei Dubrovskogo”. In: Russkij Jazyk. Istočniki dlja ego izučenija, Moskva 1971 (SK n° 22) Rinvenuto a Sluck, oggi scomparso. Ed.: M. Weingart, Texty ke studiu jazyka i písemniství staroslověského, Praha 1949 Introduzione CODICE Byčkovskaja psaltyr’ (Salterio di Byčkov), XI sec. Frammento di Salterio liturgico (da 18(17):34 a 25(24):9), 9 ff Evgen’evskaja psaltyr’ (Salterio di Evgenij), XI sec. Frammento della traduzione del Salterio commentato dello pseudo-Attanasio Alessandrino, 20 ff Novgorodskie ili Kuprjanovskie otryvki (Fogli di Novgorod, o di Kuprjanov), XI sec. Frammento di Evangelario, 2 ff Turovskoe Evangelie (Fogli di Turov), Frammento di Evangelario, 10 ff Žitie Kondrata (Vita di Quadrato), XI sec. Frammento relativo alla passione e alla morte del martire, 2 ff Žitie Fekly (Vita di Tecla), XI sec. Frammento relativo ai miracoli della martire, 2 ff 53 COLLOCAZIONE E EDIZIONI Si conserva a Pietroburgo nella Biblioteca Nazionale (RNB, Q.p. I.73). Ed.: I. Toth, Byčkovskaja psaltyr’ XI v., Dissertationes Slavicae VIII, 1972 (SK n° 28) Si conserva a Pietroburgo, 2 ff nella Biblioteca dell’Akademija Nauk (BAN 4.5.7), e 18 ff nella Biblioteca Nazionale (RNB, Pog. 9). Ed.: V. V. Kolesov, Evgen’evskaja psaltyr’. Dissertationes Slavicae VIII, 1972 (SK nn° 29, 30) Si conserva dal 1865 a Pietroburgo nella Biblioteca Nazionale (RNB, F.p.I.58). Ed.: F. Kaminskij, “Otryvki evangel’skich č tenij XI v., imenuemye Kuprjanovskimi (Novgorodskimi)”, in Izvestija otdelenija russkago jazyka i slovesnosti (IORJaS), t. XXVIII, 1923 (SK n° 12) Si conserva a Vilnius nella Biblioteca dell’Accademia delle Scienze, f. 19 n° 1. Ed.: I. Toth, Turovskie listki. Dissertationes Slavicae XIII, 1977 (SK n° 10) Si conserva a Pietroburgo nella Biblioteca Nazionale (RNB, Pog. 64). Ed.: I. Toth, Žitie Kondrata. Studia Slavica XXI, Budapest 1975 (SK n° 16) Si conserva a Pietroburgo nella Biblioteca Nazionale (RNB, Pog. 63). Ed.: I. Toth, Žitie Fekly. Studia Slavica XXII, Budapest 1976 (SK n° 17) Il Vangelo di Ostromir è il più antico manoscritto slavo-orientale datato: in una glossa al manoscritto si dice che il suo copista principale, Grigorij, lo ha scritto per il posadnik di Novgorod Ostromir negli anni 1056-1057: po~ah) je pisati mcß a . okt( v . ka_ . ¢a pam( t . ilar"! o ¢a. a oko¢|~a h mcß a . maiq. v) v"– . ¢a pa t . e“ p ifa¢a “ho cominciato a scrivere il 21 del mese di ottobre, giorno di Ilarione, e ho finito il 12 del mese di maggio, giorno di Epifanio”. Il manoscritto contiene un evangelario (o lezionario, o aprakos), cioè un vangelo in cui il testo è suddiviso in “letture” (pericopi) disposte secondo l’ordine 54 Il paleoslavo dell’anno liturgico. Protografo del Vangelo di Ostromir è un manoscritto cirillico bulgaro orientale che non ci è pervenuto, ma il cui carattere possiamo ricostruire sulla base della copia slavo-orientale. Nel manoscritto si utilizzano i quattro grafemi che indicano le vocali nasali (gli jus: ( , \ , ` , + ) con frequenti errori (cfr. ¢arica&m\< , glagol< , glagolq , æ¢a< , æeml< e viceversa obo+ invece di obo< ). La maggior parte delle deviazioni sono occasionali e non sistematiche: per i riflessi delle ridotte con le liquide cfr. ot)vr|je s( ma ot)v|rje s( , ot)v|rje{i , ot)v|rg\ , sk)rb:ti , prisk)rb|¢a , s)m|rti ; per la desinenza S sg m -)m| , -|m| dei temi in *ŏ cfr. i"sous)m| e i"sousom| , ¢ojem| . Si registrano due soli casi di -: < *ja- ns, *jŏns (jat’ terzo): kapl: per kapl( (N pl f) e mou~e¢ic: per mou~e¢ic( (G sg f). All’antigrafo risalgono probabilmente le forme del pronome personale m)¢: (invece di: m|¢: ), {)d) invece di {|d) (regola di Kul’bakin), ml)~aa{e (forme con ml)~ - nei codici Mariano, Assemani, Savvina, Suprasliense), ecc. Le terminazioni testimoniano l’indurimento delle palatali (cfr. glagol<}ou , i{|d){ou ). L’unico adattamento operato con coerenza è la sostituzione di -t) con -t| nelle desinenze della 3ª persona sg e pl del presente (raæid\t| , mimoidet| ecc.). Adattamenti non voluti troviamo anche nell’aoristo (b¨st| e dast| ), la cui omofonia con la 3ª persona sg del presente trae in inganno il copista. Prevalgono le forme non contratte dell’imperfetto e degli aggettivi di forma piena (iskaah\ , podobaa{e , l<d|sk¨ih) ma s\}ih) ). Gli aoristi sono tutti sigmatici di tipo recente (sigmatico II): Togda gl– a im) i"s– . v|si v¨ s)blaæ¢ite s( o m)¢: v) si+ ¢o}| pisa¢o bo &st) poraj\ past¨rq. i raæid\t| s( ov|c( stada po v)skr|s¢ove¢ii je mo&m| var+ v¨ v) galilei ot)v:}av) je petr) re~e &mou a}e i v|si s)blaæ¢(t| s( o teb: aæ). ¢ikolije ¢e s)blaj¢∞+ s( re~e je &mou i"– s ami¢. gl– + teb:. qko v) si+ ¢o}|. pr:jde daje kour) ¢e v)æglasit|. tri krat¨ ot)v|rje{i s( me¢e gl– a &mou petr) a}e mi s( prilou~it|. s) tobo+ oumr:ti ¢e ot)v|rg\ s( tebe takojde i v|si ou~e¢ici reko{( togda pride s) ¢imi i"s– v) v|s| ¢arica&m\< ge#sima¢ii i gl– a ou~e¢ikom) s(d:te tou. do¢deje {)d). pomol< s( tamo i poim) petra. i oba s¢– a æevedeova. ¢a~(t) t\jiti i sk)rb:ti 55 Introduzione togda gl– a im) i"– s prisk )rb|¢a &st) dou{a moq do s)m|rti pojid:te s|de. i b)dite s) m)¢o+ i pr:{|d) malo. pade ¢ic|. mol( s( i gl– q o~– e moi. a}e v)æmoj|¢o &st). da mimoidet| ot) me¢e ~a{a si oba~e. ¢e qkoje aæ) ho}\. ¢) qkoje t¨. qvi je s( &mou a¢g– l ) s) ¢b–se oukr:plq` i i byv) v) podviæ:. pril:j|¢:q mol:a{esq i byst| pot) &go. qko kapl: kr)vi. kapl+}a` ¢a æeml< i v)stav) ot) molitv¨ pride k) ou~e¢ikom) i obr:te ` s)p(}( i gl– a simo¢ou petrou tako li ¢e v)æmojete &di¢ogo ~asa b)d:ti s) m)¢o+. b)dite i molite s(. da ¢e v)¢idete v) ¢apast| dh– ) bo &st| b)dr) a pl)t| ¢emo}|¢a pak¨ v)toroq {|d). pomoli s( gl– q o~– e moi. a}e ¢e mojet) si ~a{a mimoiti ot) me¢e a}e ¢e pi+ &`. b\di volq tvoq i pri{|d) pak¨ obr:te ` s)p(}( . b:ste bo im) o~i ot(g)~e¢: i ostaviv) `. pak¨ {)d) pomoli s( treti&&. tojde slovo rek) togda pride k) ou~e¢ikom) svoim) i gl– a im) s)pite pro~e& i po~ivaete se pribliji s( ~as) i s¢– ) ~lov:~|sk¨i pr:da&t| s( v) r\c: gr:{|¢yih). v)sta¢:te id:m) se pribliji s( pr:da`i m( i &}e gl– + }ou qmou. se i<da &di¢) ot) obo+ ¢a des(te pride. i s) ¢im| ¢arod) m)¢og). s) or\jii. i dr|kol|mi. ot) arhierei i star|c| l<d|sk¨ih). pr:da`i je &go dast| im) æ¢ame¢ie gl– q . &goje a}e lob)j\. t) &st) im:te &go i abi& prist\pl| k) i"– s ousovi re~e &mou radoui s( rav‘vi i oblob¨æa i. i"– s je re~e prist\pl|{e. &mou drouje ¢a ¢&je &si pri{|l) togda je v)æloji{( r\c: ¢a i"– s a. i `{( &go i se &di¢) ot) s\}ih) s) i"– s )m|. prost|r) r\k\. i iævl:~e ¢oj| svoi i oudar| raba arhiereova. i our:æa &mou ouho t)gda gl– a &mou i"– s v)ævrati ¢oj| tvoi v) svo& m:sto. v|si bo priim){ei ¢oj|. ¢ojem| pog¨b¢\t| ili m|¢it| ti s(. qko ¢e mog\. oumoliti oc– a mo&go i pristavit| m)¢: v(}e ¢ejeli . v"– . legeo¢a a¢g– l ) kako oubo s)b\d\t| s( k)¢ig¨. qko tako podobaa{e b¨ti v) t) ~as). re~e i"– s ¢arodom) qko ¢a raæboi¢ika li iæidoste. s) or\jii i dr|kol|mi `ti m(. po v|s( d|¢i pri vas) s:d:ah) v) crk– v i ou~(. i ¢e `ste me¢e se je v|se b¨st|. da s)b\d\t| s( k)¢ig¨ proro~|sk¨` togda ou~e¢ici v|si. ostavl|{e i b:ja{( o¢i je im){e i"s– a . v:do{( k ) kaiqf: arhiereovi. ideje k)¢(æi i star|ci 56 Il paleoslavo l<d|sci s)b|ra{( s( petr) je id:a{e po ¢&m| iædale~e. do dvora arhiereova. i v){|d) \tr|. s:d:a{e s) slougami. vid:ti ko¢|~i¢\ arhierei je i star|ci. i s)bor) v|s|. iskaah\ l)ja s)v:d:tel|stva ¢a i"– s a. qko da oubi+t| i. i ¢e obr:to{(. i m)¢ogom) l)jem) s)v:d:tel&m) prist\pl|{em). posl:d| je prist\pl|{a d)va l)ja s)v:d:telq r:kosta s| re~e. mog\ raæoriti crk– v | bj– i +. i tr|mi d|¢|mi s)æ)dati + i v)stav) arhierei re~e &mou ¢i~esoje li ¢e ot)v:}ava&{i ~|to si ¢a t( s)v:d:tel|stvou+t|. i"– s je ml)~aa{e. i ot)v:}av) arhierei re~e &mou. æakli¢a+ t( bm– | jiv¨im|. da re~e{i ¢am). a}e t¨ &si hs– ) . s¢– ) bj– i i gl– a &mou i"– s . t¨ re~e oba~e gl– < vam) ot)sel: ouæ|rite s¢– a ~l– ~ |skaago. s:d(}a odes¢\+ sil¨. i id\}a ¢a oblac:h) ¢ebes|¢yih). togda arhierei rastr|æa riæ¨ svo` gl– q . qko houl\ re~e. ~|to &}e tr:bouete s)v:d:tel| se ¢¨¢: sl¨{aste. houl\ &go ~|to s( vam) m|¢it| o¢i je ot)v:}av){e reko{( povi¢|¢) s)m|rti &st| togda æapl|va{( lice &mou. i pakosti &mou d:q{(. ovi je æa la¢it\ oudari{( gl– + }e. pror|ci ¢am) he– . k )to &st) oudarii t( petr) je v)¢: s:d:a{e ¢a dvor: i prist\pi k) ¢&mou &di¢a rab¨¢i. gl– + }i i t¨ b: s) i"s–som| galileisk¨im| o¢) je ot)vr|je s(. pr:d) v|s:mi. gl– q . ¢e v:m| ~|to gl– & {i i i{|d){ou &mou v) vrata ouæ|r: i drougaq. i gl– a im) tou i s| b: s) i"s–)m| ¢aæara¢i¢)m| i pak¨ ot)v|rje s( s) kl(tvo+. qko ¢e æ¢a< ~l– k a ¢e po m)¢ogou je. prist\pl|{e sto`}ii reko{( petrovi. v) isti¢\ i t¨ ot) ¢ih) &si ibo bes:da tvoq. qv: t( tvorit|. togda ¢a~(t) rotiti s( i k l(ti qko ¢e æ¢a< ~lov:ka i abi& kour) v)æglasi i pom(¢\ petr) gl– ) i"– sov). &je re~e &mou. qko pr:jde daje kour) ¢e v)æglasit|. tri krat¨ ot)v|rje{i s( me¢e. i i{|d) v)¢) plaka s( gor|ko (Matteo 26:31-75). I tratti slavo orientali sono molto più evidenti nell’Archangel’skoe evangelie (1092), un aprakos di modesta fattura, destinato evidentemente a essere utilizzato in chiesa. Riporto per un confronto un breve passo: T)gda gl– a im) "s– . vsi v¨ s)blaæ¢ite s( o m¢: v) si< ¢o}|. pisa¢o bo &st) poraj< pastouha. i raæidout| s( ov|ca stad|¢yq. po v)skr|se¢ii je mo&m| var(< vas) v) gagilei. ot)v:}av) je petr) re~e Introduzione 57 &mou. a}e i vsi s)blaæ¢(t| s( o tob: aæ). ¢ikolije ¢e s)blaj¢< s(. re~e je &mou "s– . am– ¢ ) gl– < teb:. qko v) si< ¢o}|. pr:je daje kour) ¢e v)spo&t|. tri{|dou ot)v|rje{i s( me¢e. gl– a &mou petr). a}e mi s( lou~it| s) tobo< oumereti. ¢e ot)v|rgou s( tebe. tako je i vsi ou~e¢ici reko{(. t)gda pride s) ¢imi "s– v) v|s| ¢arica&mu<. ge#sima¢i. i gl– a ou~e¢ikom). s(d:te tou. do¢deje {|d). pomol< s( tamo. i poim) petra i oba s¢– a æevedeova. i ¢a~a sk)rb:ti i toujiti. t)gda gl– a im) "s– ) . prisk |rb|¢a &st) d{– a moq do s)m|rti. preboud:te s|de. i b)dite s) m¢o<. i pre{|d) malo pade ¢ic|. mol( s( i gl– q . o~– e moi. a}e v)æmoj|¢o &st). da premi¢et| ot) me¢e ~a{a si. oba~e ¢e qkoje aæ) ho~<. ¢) qkoje t¨. qvi je s( &mou a¢g– l ) s) ¢b–se. oukr:plqq &go. i b¨v) v) podviæ:. pril:j|¢o mol(q{esq. i b¨ pot) &go. qko kaplq kr)vi. k apl<}e ¢a æeml<. Qui le nasali sono scomparse, il grafema <( > è variante di <q > in posizione post consonantica (var(< , s)blaæ¢(t| , s( , reko{( , mol( ). Gli jer in posizione debole possono mancare (m¢: , m¢o< , vsi ). I riflessi delle ridotte con le liquide sono slavo orientali: ot)v|rje{i , ot)v|rgou , ot)v|rje s( , sk|rb:ti , prisk|rb|¢a , s)m|rti . La terminazione -)m| , -|m| nello S sg dei temi in *ŏ è utilizzata nella totalità delle occorrenze, mentre sono pochi i casi di -: < *ja- ns, *jŏns (jat’ terzo): st–o: m~– ¢ c: per sv(to` mou~e¢ic( , ¢ed:l: , æahari: (G sg f). Ricorrono russismi come pr:je , o tob: , ho~< . Verso la fine dell’XI secolo si stabilizzano criteri di adattamento dei protografi slavo meridionali riguardanti l’ortografia e in misura minore la morfologia (meccanismo detto adaptacija), un sistema di regole che sta a significare la nascita della redazione slava orientale dello slavo ecclesiastico77: 77 I. Toth propone di definire “russkij izvod” la prima fase dell’adattamento del paleoslavo in area slava orientale, caratterizzata dalla comparsa sporadica e non coerente di russismi (Ostromirovo Evangelie, Pandette di Antioco), e “russkaja redakcija” la fase successiva, in cui la russificazione ha carattere coerente e normativo. A questa seconda fase apparterrebbero per esempio l’Archangel’skoe evangelie (1092) e le Menee degli anni 1095-96 (I. Toth, Russkaja redakcija drevnebolgarskogo jazyka v konce XI-načale XII vv., Sofija 1985, p. 333). 58 Il paleoslavo ortoepia (pronuncia dotta) g = [g] # = [f] (e non [t]) } = [šč] e dopo # = [e] nei grecismi e in alcune parole; [je] negli altri casi £ = [u]; [v] dopo V | = [e]; ) = [o] in tutte le posizioni \, + = [u], [ju] ; (, ` = [ja] in tutte le posizioni ortografia *o˛ = <ou> *’o˛ = <<> *e˛ = <q> (<a> dopo scibilanti e c) *’e˛ = <q> (<a> dopo scibilanti e c) *dj = <j> *zdj, *zgj, *zg + V anteriore = <jd> *tj; *kt + V anteriore; *stj; *skj; *sk + V anteriore = <}> *r÷, *r÷’; *l÷, *l÷’ = <)r>, <)r)>, <|r>, <|r|>, <)l>, <)l)> *telt; *tert = <l:>, <re> il grafema <\> viene sporadicamente utilizzato come variante di <<> il grafema <+> scompare <(> viene normalizzato come variante di posizione <(> viene normalizzato come variante di posizione i codici più antichi, che riflettono il protografo slavo meridionale, utilizzano tanto <jd> che <j>, ma questa seconda forma prevale. sono presenti anche le grafie <jg> (Novgorod e Pskov) e <j~> (Rus’ meridionale) la grafia <{t> caratterizza i codici più antichi. Poi prevale il grafema <}> (pronuncia [š’t’š’]) con la variante <{~> (Rus’ meridionale) il nesso <|l> è possibile solo dopo scibilante. Altrimenti la grafia riflette la velarizzazione di [l] > [∏] della lingua parlata. La grafia <)r)>, <|r|>, <)l)> è frutto di contaminazione (<)r> + <r)>) probabilmente dovuto alla pronuncia dura degli slavi meridionali: [re] morfologia *ja- ns (G sg, NA pl f ) = -q, -: (jat’ terzo) *jŏns (A pl m) = -q, -: (jat’ terzo) *ŏmı̆, *jŏmı̆ (S sg m) = -)m|, -|m| D sg m (forma det.) = -omou, -emou 3ª sg e pl del presente = -t| sono ammesse entrambe le varianti sono ammesse entrambe le varianti evoluzione comune allo slavo ecclesiastico di redazione meridionale probabile conservazione di una forma più arcaica Introduzione 3ª sg e pl dell’imperfetto = -t| (vidqa{et|, vidqahout|) 3ª sg dell’aoristo = -t| (ot)idet|, priqt|) tema dell’imperfetto = suffisso -qasuffisso di appartenenza = -q¢- 59 probabile contaminazione di presente e imperfetto NB: sono rarissimi gli aoristi sigmatici I probabile riflesso della pronuncia slavo meridionale di <:a> = [jaa] probabile riflesso della pronuncia slavo meridionale di <:a> = [jaa] Lo slavo ecclesiastico di redazione russa non era unitario: la mancanza di centralizzazione della vita politica e culturale fa sì che centri diversi utilizzino varianti locali che riflettono diverse realtà dialettali e diverse tradizioni scrittorie (diverse modalità di adaptacija): lo slavo ecclesiastico dei testi importati dalla Bulgaria [...] si articolò in diverse lingue. In altre parole, ogni regione diede origine, nei testi slavo ecclesiastici, a una sua propria lingua78. Questo vale naturalmente, più ancora che per i testi ricopiati e adattati da originali slavo meridionali, per quelli composti ex novo nella Slavia orientale: in mancanza di scuole e di grammatiche, la padronanza dello slavo ecclesiastico dipendeva esclusivamente dalla competenza passiva dello scrivente, quindi dalla ricchezza delle sue letture e dalla sua memoria. Questa modalità di apprendimento dello slavo ecclesiastico determina le caratteristiche della lingua in cui vengono scritti i testi “originali”, quelli cioè che non sono copie di un antigrafo. Laddove la memoria non soccorre lo scrivente con materiale testuale già pronto il ricorso all’esperienza linguistica natia, e con quella la penetrazione nel testo di forme locali, è inevitabile79. 8. Lo slavo ecclesiastico ibrido L’ultima trasformazione comune a tutti i dialetti slavi è la caduta delle vocali ridotte (XII secolo). A partire da questo momento la separazione dei dialetti slavo-orientali da quelli occidentali e meridionali si fa definitiva: si conclude il periodo più antico, slavo-comune o, secondo un’altra terminologia, 78 A. I. Sobolevskij, Istorija russkogo literaturnogo jazyka, L. 1980, p. 33. 79 V. M. Živov, Jazyk i kul’tura v Rossii XVIII veka, cit., p. 23. 60 Il paleoslavo alto antico-russo della storia della lingua russa e inizia quello slavo-orientale comune (o tardo antico-russo). Il periodo slavo orientale comune è caratterizzato da una serie di innovazioni comuni a tutti i dialetti slavoorientali: lo sviluppo della correlazione di mollezza, conseguente alla caduta delle vocali ridotte, il passaggio dall’accento tonico a quello intensivo (dinamico) mobile, la riorganizzazione dei paradigmi nominali e pronominali, la perdita del vocativo e del duale, la definitiva scomparsa dalla lingua parlata dell’aoristo e dell’imperfetto, la perdita del supino, la riorganizzazione del sistema dei tempi verbali, la trasformazione dei participi in gerundi eccetera. La caduta e la vocalizzazione degli jer provocano conseguenze nella pronuncia della lingua parlata, che presto si riflettono nella pronuncia dotta e quindi nell’ortografia dotta: se sino alla metà del XII secolo non si osserva omissione degli jer come tradizione ortografica (se non in alcune parole quali kto , m¢ogo , k¢qæ| , k¢iga , vs -) perchè, basandosi sulla pronuncia nativa e non su quella dotta (dove | = [e]; ) = [o] in tutte le posizioni), gli slavi orientali ‘sanno’ dove scrivere jer, alla metà del XIII secolo i copisti, basandosi come prima sulla propria pronuncia nativa, scrivono <e>, <o> laddove gli jer si sono vocalizzati, e non scrivono nulla laddove gli jer sono caduti (se non occasionalmente in fine di parola con funzione separativa, per tradizionalismo grafico o per influsso del protografo)80. Nelle parlate meridionali all’interno delle nuove sillabe chiuse nate dalla caduta degli jer la [e] si chiude e tende a una pronuncia dittongale [ie] riflessa nella grafia <: >: kam:¢| ‘pietra’, ou~it:l| ‘maestro’, prid:t| ‘giungerà’, boud:t| ‘sarà’, moj:t| ‘può’. Nella stessa posizione nasce l’opposizione tra [ɔ] aperta e [o] chiusa, che si riflette nella distribuzione delle grafie <o > e <w >, di cui la seconda indica in molte tradizioni scrittorie la [o] dalla pronuncia lunga e dittongale: [uo]. 80 Laddove la pronuncia dotta prevede il mantenimento degli jer in posizione debole questi continuano a essere pronunciati [o] e [e] e resi graficamente <o> e <e>. Si formano così in russo coppie del tipo востал / встал, che specializzano significati propri (qui ‘levarsi’ nel senso di ‘insorgere’ vs ‘levarsi’ nel senso di ‘alzarsi’): N. N. Durnovo, “Slavjanskoe pravopisanie X-XII vv.”, cit., pp. 671-672. 61 Introduzione parlate meridionali parlate settentrionali [ɔ] <o> o atona o sotto accento automatico o in sillaba aperta ∞ vocalizzato o atona o sotto accento automatico o in sillaba aperta ∞ vocalizzato e dopo C palatale davanti a V non anteriore [o] <w> o dotato di accento autonomo o in sillaba chiusa o dotato di accento autonomo o in sillaba chiusa Il N sg m degli aggettivi assume la terminazione -oi , -ei , che può variare con -¨i , -ii . I participi perfetti del tipo *mogl∞, *pekl∞ semplificano il nesso consonantico della nuova sillaba chiusa: mog) ‘che ha potuto’, pek) ‘che ha cotto’ (lo jer non è più vocale, ma segnala la fine della parola). A livello grafico, si accentua la de-grecizzazione e de-meridionalizzazione delle grafie: <u > (equivalente slavo di u) cessa di essere utilizzato nei grecismi per diventare variante di <ou >, <' > da utilizzare dopo consonante. Cessa definitivamente l’utilizzo del grafema <\ >, il nesso <jd > e così via. Alla metà del XIII secolo si afferma una nuova norma (pozdnerusskaja) ampiamente aperta alle innovazioni locali. Ciò non di meno, la distanza tra la lingua dei codici e l’esperienza linguistica viva del copista aumenta. Nonostante la grande trasformazione che le parlate slave hanno conosciuto dai tempi di Cirillo e Metodio, la comprensione dello slavo ecclesiastico continua a basarsi sostanzialmente sulle competenze linguistiche native. I “punti difficili” (le forme assenti nella lingua viva) vengono mentalmente tradotti, correlati a forme corrispondenti della lingua parlata (meccanismo di peresčet), e si fissano nella memoria come segni caratteristici dei testi scritti in lingua dotta (“indici dotti”). Anche la competenza attiva si avvale esclusivamente dell’esperienza di lettura: non possedendo strumenti grammaticali atti a “generare” paradigmi corretti, lo scrivente riproduce sintagmi e stilemi dei testi che conosce meglio e che considera più autorevoli: Sacre Scritture, libri liturgici. Naturalmente, la buona riuscita dell’impresa dipende, oltre che dalla sua cultura e dalla sua memoria, dal carattere del testo 62 Il paleoslavo che si ripromette di comporre: se si tratta di un testo totalmente convenzionale, di un mosaico di citazioni, il risultato è buono: la lingua sarà praticamente la stessa dei testi modello, salvo occasionali errori. Se si tratta di un testo con un alto tasso di infomatività (narratività), farà fatica a ritrovare nella memoria qualcosa che esprima proprio ciò che ha in mente, dovrà fatalmente ricorrere alla lingua parlata e “correggerla” grazie alle tecniche di conversione (peresčet) che utilizza normalmente nella lettura. Il risultato sarà una lingua molto diversa da quella dei testi modello, uno slavo “ibrido”, caratterizzato dalla presenza di indici dotti. Tratti specifici dello slavo ibrido sono la confusione delle terminazioni -{e (2ª sg imperfetto), -{a (3ª pl aoristo), -{e (N pl participio), -h) (1ª sg aoristo), -hou (3ª pl imperfetto), l’uso sistematico dei participi con funzione di tempo finito, l’accostamento immotivato di perfetto, imperfetto, aoristo nelle sequenze narrative81. A consolidare la distanza tra la lingua dei testi “originali” e quella del corpus dei più autorevoli testi modello interviene un ulteriore fattore: pur costituendo serbatoi di forme linguisticamente corrette, questi ultimi appartengono infatti a “generi letterari” diversi da quelli, più specifici, su cui si orienta 81 V. M. Živov, Jazyk i kul’tura v Rossii XVIII veka, cit., p. 31 sgg. Poco rilevanti ai fini dell’interferenza tra slavo ecclesiastico e parlate slave orientali restano il lessico e la sintassi, per la evidente impossibilità di comparare la sintassi tipicamente orale delle parlate slave orientali e dei testi tradizionali ad essa ispirati (codici giuridici e simili) con quella colta e grecizzante dello slavo ecclesiastico. Gli slavi meridionali utilizzano nelle oggettive la costruzione “da + presente” (del tipo: " i{ed){e propov:daah\ da poka+t) s(, Marco 6:12, Codex Marianus), e nelle finali la costruzione col condizionale (del tipo: " dr)jaah\ i da ¢e bi ot){el) ot) ¢ih), Luca 4:42, Codex Marianus), gli slavi orientali utilizzano il condizionale sia nelle oggettive che nelle finali, ammettendo anche la costruzione con l’infinito (del tipo: aby edi¢omou vlast| priqti: Cronaca Laurenziana, anno 1186). Il famoso slogan да здраствует советская власть, di chiara impronta slavo ecclesiastica, “tradotto” in russo antico suonerebbe a sv:tsk:i volosti ædorov: byti. Tipici russismi (volgarismi) sono il nominativo del complemento oggetto con prolessi (шутка сказать), il nominativo del complemento oggetto nelle elencazioni (il primo oggetto dell’elenco è in accusativo, tutti i successivi in nominativo), la ripetizione delle preposizioni, l’uso della congiunzione ‘a’ con funzione puramente congiuntiva. Si tratta di forme sintattiche del parlato che si riflettono nelle gramoty su betulla di Novgorod e nei testi pratici e amministrativi, ma non in quelli dotti. Introduzione 63 chi scrive: omelie per l’omileta, agiografie per l’agiografo, cronache per il cronista. Si affianca così ai testi modello una tradizione testuale specifica, la cui rilevanza per lo scrivente è duplice: da un lato, omelie, cronache, agiografie costituiscono i modelli retorici a cui guarda, dall’altro incarnano il bagaglio di letture che ne ha formato la competenza professionale. Quando questi modelli concreti sono a loro volta testi “originali”, prodotti cioè nella Slavia orientale, lo scrivente si trova a fare i conti con una tradizione, ai suoi occhi assolutamente autorevole, che presenta tracce anche consistenti di adattamento linguistico. Agiografie e cronache in particolare non si sono orientate, almeno per i primi secoli, su modelli bizantini: l’alto tasso di narratività e la mancanza di modelli hanno generato la necessità di un largo ricorso al meccanismo del peresčet, e quindi a varie forme di contaminazione linguistica, che vengono riprese e perpetuate da agiografi e annalisti quali caratteristiche specifiche di quel tipo di testi. Poco alla volta si costituisce una sorta di tradizione linguistica ibrida, parallela a quella tradizionale orientata sui testi modello, destinata nei secoli a consolidarsi. 9. La II Influenza slava meridionale A partire dalla metà del secolo XIV l’adattamento dello slavo ecclesiastico alla situazione linguistica slava orientale, la nascita di redazioni locali dello slavo ecclesiastico e di diversi registri ibridi vengono percepiti in termini di “corruzione”, come riflesso di secoli di confusione e decadenza. La ridefinizione dell’identità, vuoi per i moscoviti vittoriosi a Kulikovo, vuoi per i ruteni che entrano a far parte di entità statali multietniche quali la Lituania e la Polonia, passa anche attraverso la restaurazione puristica e la tentata riunificazione linguistica. Si tratta di un processo che era già iniziato nei Balcani, con epicentro a Veliko Tărnovo e a Rezava: grazie alla fioritura del II Impero bulgaro e della Serbia dei Nemanja e in virtù dei mai interrotti rapporti con Bisanzio, gli Slavi meridionali stavano vivendo quello che molti studiosi hanno definito prerinascimento, ma che pare più opportuno definire con Picchio “rinascita 64 Il paleoslavo slava ortodossa”82. Al centro di questo rinnovamento spirituale la filologia e la riflessione linguistica si coniugavano infatti alla dottrina esicasta e al controllo scrupoloso delle traduzioni sacre (ispravlenie knig): The Hesychast method of prayer and the doctrinal implications derived from its practice had a decisive impact on the language beliefs and literary activity of the Balkan Slavs. From the monasteries of Mount Athos, Paroria and Kilifarevo emanated a message of spiritual renewal and a new ideological attitude conditioned by the Hesychast’s insistence on the need to restore traditional models of linguistic and literary purity. In these and other centers of Greco-Slavic collaboration questions were raised regarding the prestige of Church Slavonic and its ability to render the conceptual subleties of Christian doctrine. In defence of Orthodoxs dogmas Greek-speaking monks and churchmen demanded a thorough reassessment of the role of Church Slavonic and of its relationship to Greek83. Questa nuova fase evolutiva dello slavo ecclesiastico, che Mathiesen 82 La questione è stata ampiamente dibattuta sotto molti aspetti, che vanno dalla opportunità di definire “rinascimenti” fenomeni culturali diversi dal Rinascimento per antonomasia (quello italiano), alla possibilità specifica di individuare un rinascimento nei paesi slavi ortodossi. Il dibattito, che si è svolto senza soste per un trentennio, dal 1958, quando il punto viene messo all’o.d.g. del MKS, al 1988, quando Graciotti ne tira le somme, non ha prodotto una formulazione accettata da tutti: R. Picchio, “Prerinascimento est-europeo e Rinascita slava ortodossa”, in Ricerche Slavistiche 6 (1958), pp. 185-199; Id., “On Russian Humanism: The Philological Review”, in Slavia, XLIV (1975), 2, 161-171; D. S. Lichačev, “Nekotorye zadači izučenija vtorogo južnoslavjanskogo vlijanija v Rossii”, in Issledovanija po slavjanskomu literaturovedeniju i fo’lkloristike. Doklady sovetskich učenych na IV MSS (1958), Moskva 1960 (ora in D. S. Lichačev, Issledovanija po drevnerusskoj literature, Moskva 1986, pp. 7-56); Id., “Neskol’ko zamečanij po povodu stat’i Rikkardo Pikkio”, TODRL, t. XVII, 1961, pp. 675-680; Id., “Russkoe predvozroždenie v istorii mirovoj kul’tury (konspektivnoe izloženie koncepcii)”, Istoriko-filologičeskie issledovanija. Sbornik statej pamjati akademika N. I. Konrada, Moskva 1974, pp. 17-26; K. Stančev, “Scuola di Evtimij, Slavia orthodoxa e Rinascimento italiano: relazioni e opposizioni tipologiche”, Atti dell’VIII Congresso Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1983, pp. 319-330; S. Graciotti, “Il Rinascimento nei paesi slavi”, Europa Orientalis VII (1988), pp. 215-258; Id., “Introduzione” a: Goleniščev-Kutuzov, Il Rinascimento italiano e le letterature slave dei secoli XV e XVI, Milano 1973, pp. 3-29; V. M. Živov, “Gumanističeskaja tradicija v razvitii grammatičeskogo podchoda k slavjanskim literaturnym jazykam v XV-XVII vv.”, Slavjanskoe jazykoznanie. XI MSS, Moskva 1993, pp. 106-121. 83 H. Goldblatt, “The Church Slavonic Language Question in the Fourteenth and the Fifteenth Centuries: Constantine Kostenečki’s Skazanie izßjavljenno o pismenex”, in Aspects of the Slavic Language Question, cit., vol. I, pp. 67-68. Introduzione 65 classifica come medioslavo (Middle Church Slavonic) si collega tradizionalmente alla figura del Patriarca Eutimio. Dopo aver trascorso molti anni nei monasteri dell’Athos e di Costantinopoli, Eutimio avrebbe animato a Tărnovo una “scuola” impegnata nella restaurazione puristica della lingua e nella verifica delle traduzioni slave sugli originali greci, con la nuova traduzione dei testi giudicati insoddisfacenti e l’introduzione di nuove norme ortografiche e grammaticali intese a garantire alla lingua correttezza e uniformità. Caratteristico della scuola sarebbe stato lo stile detto “intreccio di parole” (pletenie sloves), che mirava a “controllare” la lingua (e il pensiero) attraverso l’uso di frequenti ripetizioni, figure etimologiche, allitterazioni, parallelismi sintattici. Gli studi degli ultimi anni tendono in verità a ridimensionare il ruolo di Eutimio, antedatano l’inizio del processo di revisione dei libri liturgici, sottolineano la continuità tra la scuola di Tărnovo e quella di Preslav, minimizzano l’importanza dell’esicasmo quale stimolo alla riforma della lingua84. Nondimeno, è fuor di dubbio che nella Slavia orientale la “rinascita slava ortodossa” si avvalga dell’esperienza balcanica: la redazione slava meridionale dello slavo ecclesiastico, libera da russismi, appare più “pura”, più aderente all’antico slavo. Normalizzati, verificati sul greco, retoricamente complessi, i testi slavo meridionali sembrano ideali testi modello. Resiste quindi, per caratterizzare questa fase della storia culturale slava orientale, la definizione di “II Influenza slava meridionale” (la prima influenza è quella del 988), anche se vieppiù contestata nella formulazione e nella sostanza, sia alla luce del ridimensionamento della riforma eutimiana, sia per ciò che concerne l’idea stessa di ‘influenza’, ossia di un intervento esterno, quasi meccanico, della Balcania sulla Slavia orientale. Come nel dibattito sul rinascimento, così qui si fa appello alla tipologia della cultura, alla regolarità 84 Tra gli iniziatori di questa linea interpretativa si colloca D. Talev, secondo cui “non ci fu nessuna riforma ortografica ad opera del patriarca Eutimio di Tărnovo. La sua revisione ‘ortografica’ e ‘grammaticale’ della lingua letteraria bulgara è uno dei tanti miti ottocenteschi, creati quando si sapeva molto poco dell’intera epoca” (I. V. Talev, Some problems of the Second South Slavic influence in Russia, München 1973, p. 174). 66 Il paleoslavo con cui, in alcuni frangenti culturali, la permeabilità della lingua colta all’uso viene sentita come corruzione: così viene percepito il greco bizantino dai contemporanei, innamorati della erudizione antica, così viene visto il latino medievale dagli umanisti […] Nella Rus’ moscovita questo frangente si realizza alla fine del XIV secolo, quando la compattezza del mondo ortodosso diviene preoccupazione comune di Costantinopoli e dei paesi slavi […] il processo che ne viene messo in moto si definisce tradizionalmente “seconda influenza slava meridionale”, ma da tempo ormai sarebbe opportuno trovare una definizione più calzante […] elemento fondamentale della seconda influenza slava meridionale è il ribaltamento assiologico del rapporto tra uso e lingua dotta, laddove l’influenza esterna (quella della tradizione dotta slava meridionale) resta sullo sfondo, è un fenomeno secondario provocato dalla ricerca di un modello nuovo, esente da “corruzione”85. L’analisi dei codici esemplati nella Slavia orientale, per esempio quelli contenenti le opere del serbo Pachomio il Logoteta, evidenzia del resto come anche i massimi campioni86 della II influenza si sforzino di adattare le proprie abitudini scrittorie a quelle in uso nelle terre in cui si trovano a operare. Fine dei dotti slavi sarebbe stata dunque non già l’adozione di un’unica norma, obiettivo tecnicamente impossibile per la comunità erudita della Slavia ortodossa, quanto la diffusione di un atteggiamento “responsabile” nei confronti del segno linguistico, di cui si afferma la non convenzionalità: Although Middle Church Slavonic was in theory not only a vehicle of communication and communion with men and God, but also a sort of “icon” for theological orthodoxy, it did not have to be standardized in every detail. What was required was only that potentially heretical ambiguities be avoided. Thus it was necessary to distinguish in every variety of Church Slavonic between the reflex of [je˛zyk∞] with the meaning of Greek e[qno" and the reflex of [je˛zyk∞] with the meaning of Greek glw`ssa, but it was not necessary that all users of Church Slavonic make this distinction in precisely the same way. The Euthymian metalinguistic doctrine was not inherently unfavorable to the continued exixstence of a plethora of different varieties of Church Slavonic, and it allowed each of these varieties as much of its old flexibility to respond 85 V. M. Živov, Jazyk i kul’tura v Rossii XVIII veka, cit., p. 42. 86 Tali sono considerati i due metropoliti di origine bulgara Kiprian (1330-1406) e Grigorij Camblak (1365-1419), Pachomij Logofet (1400-1484) e, unico russo, Epifanij Premudrij (13501422). Introduzione 67 the changes in vernacular Slavic as was compatible with the need to avoid potentially heretical ambiguities87. Le innovazioni legate alla cosiddetta II Influenza slava meridionale sono molteplici, e riguardano numerosi aspetti della organizzazione della cultura, tanto da poter far parlare di una vera e propria “moda”: dalla adozione di una nuova grafica (semionciale inclinato a sinistra e corsivo, nuovo disegno di molte lettere) e di nuovi motivi ornamentali nella confezione dei codici alla introduzione di nuove tecniche iconografiche, dalla organizzazione delle cancellerie alla distinzione funzionale tra codici e rotoli. Per ciò che concerne l’aspetto propriamente linguistico, le novità si articolano su due livelli: da un lato cambia l’atteggiamento nei confronti della lingua dotta, che viene volutamente allontanata da quella viva, depurata dei russismi (cosa che a livello lessicale comporta la creazione di una messe di neologismi dotti), riportata nella misura del possibile alla sua veste originaria con il rinnovato uso del duale, dell’aoristo e delle forme non contratte dell’imperfetto (meccanismo che potremmo definire di “de-adaptacija”), dall’altro si sottolinea il legame tra lo slavo ecclesiastico e il greco, con innovazioni che investono tanto la grafica (si introducono nuovi segni di interpunzione, quali la virgola, il punto e virgola con valore interrogativo, il trattino per segnalare l’andata a capo, si afferma l’utilizzo regolare di accenti e spiriti e una nuova regolamentazione dell’uso delle abbreviature), quanto l’ortografia, la morfologia e la sintassi. Infine, viene importato dalla Slavia meridionale il gusto per una sofisticata organizzazione retorica del discorso (il già ricordato “intreccio di parole”) e un nuovo atteggiamento nei confronti del testo: se prima il copista doveva ricopiare correggendo, ora deve ricopiare fedelmente. Arcaizzazione della grafia e adozione di usi grafici dello slavo ecclesiastico di redazione meridionale - reintroduzione del grafema <\> con valore [u] - reintroduzione del grafema <™> con valore [z] in alcuni lessemi (™:lw; ™lo) - introduzione del grafema <z> variante di <æ> con valore [z] - introduzione del grafema <m> variante di <t> con valore [t] 87 R. Mathiesen, “The Church Slavonic Language Question”, cit., pp. 60-61. 68 Il paleoslavo Arcaizzazione della grafia e adozione di usi grafici dello slavo ecclesiastico di redazione meridionale - reintroduzione del grafema <Θ> (‘o očnoe’) con valore [o] in determinate parole (oko) - codificazione della grafia <y> invece di <¨> per [y] - scomparsa del grafema <&>, che può essere sostituito da <∈> (‘e jakornoe’) - reintroduzione della grafia <r:> invece che <re> negli esiti *tert - reintroduzione di <jd> come esito di *dj - attribuzione del valore numerico 900 alla lettera c (precedentemente 900 = () - ‘zijanie’: <a> invece di <q> in posizione postvocalica (vsea invece di vseq) - distribuzione degli jer: in fine di parola sempre <|> (per ∞ e ß), nel corpo della parola sempre <)> (per ß, ∞, ma anche per e < ß vocalizzato e per o < ∞ vocalizzato). Si ripristina anche la resa grafica delle sonoranti: i nessi <r)>, <l)> sostituiscono quelli tradizionali moscoviti <|r>, <er>, <or>, <ol> - distribuzione dei grafemi <i> e <i> (davanti a vocale sempre <i>) - distribuzione dei grafemi <'>, <ou>, <u>: la vecchia regola, che prevedeva <ou>, <'> dopo #, <u> nelle restanti posizioni, è sostituita da una nuova regola che prevede l’uso di <ou> dopo # e di <'> nelle altre posizioni - regolamentazione della grafia <ou>, <<> in posizione iniziale di parola secondo l’uso slavo meridionale Trascrizione dei grecismi - si ripristina l’uso di <$>, <¶> (per y, x), quasi scomparsi nei secc. XIII-XIV - si regolamenta l’uso di <#>, <£>, <w> (per q, u, w) in piena aderenza alla grafia greca - si ripristina l’uso del grafema <£> (ižica) con pronuncia [u] (precedentemente <u> con pronuncia [u]) - si adotta l’ortografia greca del nesso [ng]: agg– e l| (cfr. a\ggeloß), e£aggelie - si riflette la pronuncia greca dei nessi [nt], [mp]: a¢do¢ii, ol£mb) Innovazioni morfologiche - vocativo con funzione di nominativo - riorganizzazione del paradigma plurale dei temi in *ŭ con la generalizzazione del suffisso -ov- in tutti i casi tranne lo strumentale - nuove forme di possessivo: egov|, egova, egovo; togov|, eccetera - nuove forme del plurale dei numerali: trieh) ecc. Innovazioni sintattiche - negazione semplice - genitivo esclamativo (o + G = o slav¨!) Strumenti per il corretto utilizzo di questa lingua sono come sempre la cultura degli scriventi, la conoscenza del greco e la consuetudine con i testi modello. È solo nel secolo seguente che il problema di possedere vere grammatiche dello slavo ecclesiastico viene riconosciuto e, gradatamente, risolto (il trattato Introduzione 69 di Kostenecki, o l’altrettanto celebre O osmi častech reči, non affrontavano il problema della normalizzazione grammaticale). Nel XV secolo ci si sforza essenzialmente di normalizzare l’ortografia secondo il principio greco dell’ajntivstoicon (‘contrapposizione’): si differenziano graficamente gli omonimi (mir ‘pace’ e m"r ‘cosmo’), le forme grammaticali coincidenti (stol) ‘trono’ N sg e stwl) ‘dei troni’ G pl, agglom| ‘tramite un angelo’ S sg e aggelwm) ‘agli angeli’ D pl), i differenti significati di uno stesso lessema (qæ¨k) ‘popolo’ e (æ¨k) ‘lingua’). In Moscovia le parole che ricevono una nuova forma (accentuale o grafica) si trovano a coesistere con i loro omonimi “non riformati”, dando luogo a una distribuzione complementare a livello semantico (per esempio la specializzazione delle pronunce Màrija e Marìja, Sòfija e Sofìja). Questo poderoso sforzo di normalizzazione porta alle stelle l’idea della non convenzionalità del segno linguistico. Non tutta la produzione letteraria del XV secolo adotta come ideale questo standard di slavo ecclesiastico dotto de-adattato e restaurato puristicamente: parallelamente si continua a ricopiare codici che non presentano tracce di deadattamento (per esempio la Vita di Andrej Jurodivyj) e a utilizzare lo slavo ibrido (per esempio la Vita di Michail Klopskij), separato da quello standard da un fossato sempre più ampio (varjativnost’ vs normalizzazione). 10. Redazione rutena e redazione moscovita dello slavo ecclesiastico Fondamentale per la storia dello slavo ecclesiastico in area orientale è il coagularsi di due entità politiche e culturali ben distinte: la Moscovia e la Lituania. Dopo Kulikovo ha inizio a nord-est l’inarrestabile ascesa del principato di Mosca, che nel XIV secolo consolida il proprio potere sul territorio di Rostov-Suzdal’, nel XV conquista Novgorod e all’inizio del XVI annette Rjazan’ e Pskov, estendendo così il proprio dominio a tutta l’area orientale. Contemporaneamente, le terre occidentali della Slavia orientale sono state integrate nel Granducato di Lituania (tutti i territori dell’odierna Bielorussia, gran parte dei territori ucraini: Volinia, Podolia, Polesia, regione di Kiev, 70 Il paleoslavo Černigov, Novgorod Severskij, i territori russi occidentali: Smolensk, Vjaz’ma) e nel Regno di Polonia (Galizia e parte della Volinia). Ultimato il processo di unificazione delle terre russe orientali, e caduta nel 1453 Costantinopoli in mano ai Turchi ottomani, Mosca si sente protagonista di una translatio imperii che fa di lei la terza Roma; nel 1492 l’attesa fine del mondo attualizza antiche profezie, secondo le quali alla fine dei tempi la Grecia e la Moscovia si sarebbero scambiate di posto. La Moscovia guarda ormai a se stessa come alla guida indiscussa del mondo ortodosso. In questa nuova atmosfera culturale hanno inizio le proteste contro i serbismi, i bulgarismi e i grecismi (cfr. le accuse di Nil Kurljatev a Kiprian e le sue proteste contro le forme slavomeridionali nella prefazione al Salterio tradotto da Maksim Grek88, e le analoghe proteste contro le “parole vecchie e straniere” (starye i inostranskie poslovicy) che oscurerebbero il significato del testo, cioè contro grecismi e slavomeridionalismi, da parte di Dosifej Toporkov nella prefazione al Sinajskij Paterik89). Le affermazioni del monaco Chrabr e di Giovanni Esarca sulle differenze tra slavo e greco oscurano la popolarità del trattato di Kostenecki. L’ortografia e l’ortoepia legati alla II Influenza slavo meridionale perdono terreno: gli accenti tornano a indicare la reale pronuncia moscovita, <e > in posizione iniziale di parola si pronuncia [je], <: > non si pronuncia [i], <i > non si pronuncia [ı-], gli jer si pronunciano come suoni ridotti (mentre sono del tutto muti in Rutenia), il cosiddetto ‘zijanie’ per cui si pronunciava [moa] invece di [moja] viene deprecato e abbandonato, la differenziazione grafica degli omonimi suscita proteste, scompare nuovamente lo jus (<\ >), le forme non contratte dell’imperfetto, i nessi <r) >, <l) > in luogo di <or >, <ol >, il 88 Lo scarso gradimento per forme provenienti da esperienze linguistiche estranee al copista non è una novità nella Slavia ortodossa: cahiers de doléances sono ricostruiti da G. Dell’Agata nel suo “Unità e diversità nello slavo ecclesiastico: il punto di vista del copista” (in Studia Slavica et Humanistica Riccardo Picchio dicata, Roma 1986, vol. I, pp. 176-191). Qui però non si tratta più di copisti che lamentano difficoltà di comprensione, ma della rivendicazione della superiorità dello slavo ecclesiastico di redazione russa su quello di altre redazioni: B. A. Uspenskij, Istorija russkogo literaturnogo jazyka, cit., pp. 342-345. 89 B. A. Uspenskij, Istorija russkogo literaturnogo jazyka, cit., pp. 345-355. Introduzione 71 vocativo con funzione di nominativo. Tra le questioni deliberate dal Concilio del 1555 (Stoglav) al problema della riorganizzazione della chiesa si affianca l’esigenza di un controllo scrupoloso delle traduzioni sacre: si assiste ai primi tentativi di normalizzazione della lingua in vista di alcune colossali imprese editoriali (la traduzione della Tolkovaja Psaltyr’, la raccolta di tutti i testi cronachistici nella Nikonovskaja Letopis’ e di tutti quelli agiografici nei Čet’i Minei di Makarij) e della progettata introduzione della stampa. Maksim Grek, coadiuvato da Nil Kurljatev e Dmitrij Gerasimov, effettua la revisione di alcune vecchie traduzioni, sostituendo a forme marcatamente dotte equivalenti “moderni” (per esempio A=G pl m vs:h) , ih) al posto di vsq , q ; il plurale al posto del duale; il D m¢: al posto di mi ) e introducendo nel paradigma dell’aoristo forme del perfetto. Non essendo uno slavo, Maksim non ha nessuna ragione di preferire forme slave meridionali o rutene a forme moscovite, e anzi in quanto greco critica l’indiscriminata introduzione di strutture del greco nello slavo, così da rappresentare il primo vero paladino dello slavo ecclesiastico di redazione moscovita. La cosiddetta II Influenza slava meridionale si risolve così in Moscovia in una deviazione transitoria dalla via maestra, quella del progressivo adattamento dello slavo ecclesiastico alla realtà linguistica slava orientale e poi moscovita: con la fine del XV secolo si torna di fatto alla norma slava ecclesiastica precedente alla II Influenza : nella produzione scritta moscovita della prima metà del XVI secolo i tratti slavi meridionali sono sopravvivenze non sistematiche. Nella seconda metà del XVI secolo la produzione scritta moscovita si è definitivamente liberata dell’ortografia slava meridionale90. I testi prodotti in questo periodo in Moscovia si dividono dal punto di vista della lingua in tre gruppi: a) testi che si orientano sui testi modello e utilizzano lo slavo ecclesiastico tradizionale; b) testi che si orientano sulla tradizione ormai ben consolidata dello slavo ecclesiastico ibrido (agrammaticalità degli indici dotti; estrema varjativnost’); c) testi che si orientano sulla grammatica, e tentano di utilizzare uno slavo ecclesiastico grammaticalmente normalizzato. 90 V. N. Ščepkin, Russkaja paleografija, Moskva 1999, p. 146. 72 Il paleoslavo Completamente diversa è la situazione rutena: là, in una situazione di maggiore apertura e contatto con il resto della Slavia e con dotti greci, le innovazioni legate alla II Influenza si radicano in profondità, arrivando a modificare non solo l’ortografia, ma l’ortoepia dotta e, attraverso questa, persino la pronuncia viva (per esempio quella dei nomi propri). La diversa recezione della II Influenza slava meridionale determina così la divaricazione dello slavo ecclesiastico russo in due redazioni: una moscovita, che presenta tratti di maggiore continuità, e una rutena, maggiormente aperta alle innovazioni. 11. La reinvenzione della grammatica Alla fine del XVI secolo la questione dello slavo ecclesiastico torna a farsi cruciale. Ancora una volta, come all’epoca di Cirillo e Metodio e poi all’epoca di Eutimio, l’impulso alla riflessione linguistica nasce da uno stimolo religioso: qui si tratta delle controversie che accompagnano la ricattolicizzazione della Polonia-Lituania, quando lo zelo della controriforma si appunta non solo contro i riformati, ma anche contro gli ortodossi. L’accusa è quella classica: i cattolici, per esempio il gesuita Piotr Skarga, nell’affermare l’inferiorità culturale degli ortodossi ne individuano la causa nell’utilizzo dello slavo ecclesiastico, una lingua barbara che nessun grammatico ha mai dotato di una norma stabile, che fosse anche lontanamente paragonabile a quella delle lingue classiche: il greco e il latino. Se la Riforma aveva stimolato in Rutenia l’elaborazione di una lingua rustica (prosta mova) di immediata comprensione popolare, la controriforma stimola la nascita di una nuova “dottrina metalinguistica”, che afferma la “classicità” dello slavo ecclesiastico, la sua dignità e il suo pieno diritto di affiancare il latino e il greco nella loro contrapposizione alle lingue moderne. La necessità di una nuova codificazione “universale” dello slavo ecclesiastico interessa d’altra parte anche i cattolici, impegnati a riportare gli slavi a Roma dopo l’Unione di Brest (1596). Infine, a rendere urgente la necessità di fissare norme certe interviene un altro fenomeno di importanza epocale, legato anch’esso alla controversistica: la diffusione delle tipografie e dei primi testi a stampa. Nel giro di pochi anni Introduzione 73 vedono la luce la grammatica elleno-slava della Confraternita ortodossa della Dormizione di Leopoli, ’Adelfovth" (Leopoli 1591), la Grammatika slovenska di Lavrentij Zizanij (Vilna 1596), e soprattutto il Grammatiki slavenskija pravil’noe sintagma di Meletij Smotrickij (Ev’e 1619), che segna una pietra miliare nella storia dello slavo ecclesiastico: si chiude la fase “eutimiana”, caratterizzata da preoccupazioni essenzialmente teologiche e ortografiche e basata sulla teoria della non convenzionalità del segno linguistico, e se ne apre una nuova, ispirata a criteri storici e filologici, destinata a protrarsi, con qualche cambiamento, sino ai giorni nostri. Nata in Rutenia, questa prima definizione grammaticale dello slavo ecclesiastico accoglie e normalizza tratti che caratterizzavano la redazione rutena rispetto a quella moscovita: maggiore fedeltà alle innovazioni della II Influenza slava meridionale, accoglimento di fenomeni linguistici ruteni (per esempio la pronuncia di <: > come [i]), specifiche modalità di differenziazione della 2ª e della 3ª persona sg dell’aoristo e dell’imperfetto con paradigmi misti del tipo pol<bih) , pol<bil) esi , pol<bi , tentativi di stabilire un legame univoco tra il sistema di tempi passati dello slavo e quello del latino con l’invenzione di un piuccheperfetto del tipo l<blivaah) 91. 12. La riforma di Nikon e la creazione di una nuova norma panrussa dello slavo ecclesiastico Alla metà del XVII secolo i moscoviti hanno bisogno di riorganizzarsi dopo i Torbidi e di assumere a pieno titolo la funzione di una rinata Bisanzio, sede dell’impero e, dal 1589, del patriarcato. Nonostante la sua complessità, legata al succedersi di diverse fasi e di differenti posizioni, la riforma, nota come knižnaja sprava, si lega tradizionalmente al nome del patriarca Nikon. Ancora una volta modello di riferimento è la cultura greca, e tramite ne è ancora una volta lo slavo meridionale, non più i Balcani ma la vicina Rutenia, dove da tempo si studiava il greco, e da tempo era invalsa la pratica di 91 Una sorta di prontuario delle differenze tra slavo ecclesiastico di redazione rutena e moscovita scaturisce dal confronto tra la prima edizione della Grammatica di Smotrickij (1619) e la riedizione della stessa a Mosca nel 1648. 74 Il paleoslavo verificare i manoscritti preparati per la stampa sulle edizioni greche delle tipografie veneziane. A partire dagli anni ’40 si stampano in Moscovia i primi libri ruteni, tra cui numerosi scritti di polemica antiprotestante e la Grammatica di Smotrickij (1648), rivista e adattata alla norma moscovita (con particolare attenzione all’eliminazione delle omonimie). Nel 1649 dotti ruteni vengono invitati a Mosca per lavorare alla traduzione della Bibbia dal greco in slavo ecclesiastico. Nel 1654 Kiev e tutta la riva sinistra del Dnepr sono annesse alla Moscovia, e ha inizio un processo di riavvicinamento tra le due culture che si può paragonare a quello che aveva visto protagoniste Roma e la Grecia: l’Ucraina assoggettata trionfa sul rude vincitore. Mosca è invasa da novità di impronta rutena: l’uso di pronunciare omelie in chiesa, l’introduzione del dramma scolastico, della versificazione, dei sermoni panegirici. Nella scrittura corsiva, nella pittura di icone, nel canto, nei particolari della vita quotidiana degli ecclesiastici si adotta la prassi rutena. Dalla Rutenia si importa l’idea della convenzionalità del segno e della possibilità di usi metaforici della lingua, il gusto barocco, una diversa pronuncia dello slavo ecclesiastico. Uno degli eventi più traumatici della pur tempestosa storia russa consiste dunque, a ben vedere, nel tentativo di livellare le differenze tra le due culture, e, a livello linguistico, nella volontà di fondere la redazione moscovita dello slavo ecclesiastico e quella rutena in una nuova norma panrussa, di abbandonare una politica culturale isolazionista in nome di un nuovo universalismo92. Le principali innovazioni linguistiche rivelano l’adesione a modelli greci per ciò che riguarda la morfologia, la sintassi e il lessico (prestiti e calchi), ruteni per ciò che riguarda la ortoepia e l’ortografia: Innovazioni ortoepiche e ortografiche - Paisìj > Paìsij, Michàil > Michaìl, Feòfan > Feofàn, Avvàkum > Avvakùm, Màrija > Marìja, Manùil > Manuìl, Klimènt > Klìment, Nikola > Nikolaj (S. Nicola), Ivann > Ioann (S. Giovanni) 92 N. N. Zapols’skaja, “Knižnaja sprava v kul’turno-jazykovych prostranstvach Slavia Orthodoxa i Slavia Latina”, in Slavjanskoe jazykoznanie. XIII MKS, Ljubljana 2003. Doklady rossijskoj delegacii, Moskva 2003. Introduzione 75 Innovazioni ortoepiche e ortografiche - vò věki > vo vě̀ki - pronuncia degli jer: sempre muti, ma [o] nelle preposizioni - pronuncia della <e> nei prestiti ebraici greci e latini come [e] - adozione del grafema <ó> (ije s kratkoó) con pronuncia [j] Pronunce rutene successivamente respinte - <y> = [i] - <:> = [i] - <#> = [ft] Scelte morfologiche e sintattiche orientate su modelli greci - G di specificazione in luogo del D di appartenenza: vo v:ki v:kom) > vo v:ki v:kov) - G pl sempre distinto dal N sg con la terminazione -ov) - G di specificazione in luogo dell’aggettivo: iva¢ov) otec| > otec| iva¢a 93 - sostituzione delle forme enclitiche del pronome personale con il possessivo: otec| mi > otec| moó - concordanza del pronome relativo nel caso retto dal verbo della principale (del tipo: “parlami dei libri dei quali hai comprato”) - limitazione nell’uso del possessivo svoó a favore di moó e di tvoó - sostituzione della preposizione “o” + prepositivo con la preposizione “v”94 Le forme eliminate (Avvàkum, vò věki, Màrija, Ivanov otec) assumono per sempre una valenza stilistica bassa. Come è noto, la riforma di Nikon provocò fortissime resistenze, che sfociarono infine nello scisma: la chiesa ortodossa adottò la nuova norma linguistica, fondamentalmente risalente alla codificazione di Meletij, gli scismatici continuarono e continuano tuttora ad utilizzare lo slavo ecclesiastico di redazione moscovita e a ricopiare codici del XVI secolo. Con l’annessione di tutta l’Ucraina all’impero russo la redazione panrussa sostituì anche a Kiev quella rutena, conservata invece dalla chiesa cattolica di 93 In Smotrickij il G del nome è normativo quando il determinativo è a sua volta determinato. 94 L’opportunità di preferire la preposizione ‘v)’ per rendere il greco ejn, sottolineata da Smotrickij e accolta dai correttori nikoniani, suscitò infiammate proteste da parte degli starobrjadcy, che difendevano l’uso tradizionale della preposizione ‘o’: v. B. A. Uspenskij, Istorija russkogo literaturnogo jazyka, cit., pp. 461-462. 76 Il paleoslavo rito greco nata con l’unione di Brest del 1596. Finalmente normalizzato nella grammatica, lo slavo ecclesiastico può ormai essere utilizzato in zone della Slavia anche molto lontane: l’uso dello slavo ecclesiastico di redazione rutena viene imposto da Roma alle chiese glagolite croate, insieme alle pratiche della chiesa uniate, a partire dal 163195. D’altra parte, quando il governo austriaco preme sui serbi di Ungheria, divenuti sudditi degli Asburgo, perché accettino l’unione con Roma, mettendo la chiesa ortodossa serba in difficoltà con restrizioni alla stampa dei libri necessari alla liturgia e alla preparazione del clero, è alla Russia che il metropolita serbo chiede l’invio di maestri: dal 1726 lo slavo ecclesiastico russo diventa lingua della chiesa e della letteratura serba, sacra e profana96. Nel ’700 lo slavo ecclesiastico grecizzato della riforma nikoniana viene progressivamente sottoposto a critiche per la sua “oscurità”: Polikarpov e Prokopovič propongono una semplificazione morfologica e sintattica97 e l’eliminazione di numerosi lessemi. Queste innovazioni sono accolte e trovano applicazione nella cosiddetta Bibbia Elisabettiana (1751), libri sacri destinati alla lettura e non all’uso liturgico. Da questo momento si stabilizzano due registri di slavo ecclesiastico: quello della Bibbia del 1663, che risale alla riforma di Nikon e la cui superiorità viene sancita dal Santo Sinodo nel 1769, e quello elisabettiano, che si utilizza in alcuni testi non destinati all’uso liturgico. Dallo slavo ecclesiastico ibrido, privato degli indici dotti e passato attraverso il vaglio dei dibattiti linguistici del XVIII secolo, nascerà invece il russo moderno. 95 I. Banac, “Main Trends in the Croat Language Question”, in Aspects of the Slavic Language Question, cit., vol. I, p. 205. 96 R. Katičić, “The making of Standard Serbo-Croat”, in Aspects of the Slavic Language Question, cit., vol. I, p. 285. 97 Tra le forme eliminate ricordo il duale, la costruzione “&je con l’infinito”, sostituita dall’infinito semplice, la 2ª persona sg dell’aoristo e dell’imperfetto, regolarmente sostituite dalla 2ª sg del perfetto, alcune terminazioni della flessione pronominale. Fonetica 1. Dal protoindoeuropeo al protoslavo Il processo di dissoluzione dell’unità linguistica indoeuropea, durato millenni, è ancora avvolto nell’oscurità, così come la storia delle migrazioni di popoli cui si è accompagnato. Nel secolo scorso si immaginava che il tronco comune si fosse diviso inizialmente in due rami, e questi ulteriormente in rami, costituendo una sorta di albero genealogico delle lingue storiche. Oggi l’immagine dell’albero, più volte abbandonata e ripresa, si può considerare superata: si ritiene che la lingua comune abbia conosciuto una lunga evoluzione, attraversando diversi stadi e varie forme di divisione dialettale anche prima dell’inizio del processo di smembramento. Gruppi linguistici si sarebbero quindi distaccati da questo tronco comune a scaglioni e, sulla base di differenti stadi evolutivi della lingua comune, avrebbero innovato in modo ora convergente, ora parallelo, con una cronologia su cui non esiste definitivo accordo tra gli studiosi. Lo slavo avrebbe assunto una fisionomia riconoscibile al termine del “periodo baltoslavo”, quando un sottogruppo dialettale (un continuum di parlate) individuatosi nell’indoeuropeo intorno al III millennio a.C., si sarebbe scisso nei due tronconi del protobalto e del protoslavo1. 2. Consonantismo Il sistema fonologico i.e. comprendeva quasi certamente la fricativa dentale 1 Il problema della unità linguistica balto-slava, decisamente negata da molti studiosi in favore della tesi di mutue influenze avvenute durante un lungo periodo di contatto, non ha ancora trovato una soluzione definitiva: per lo status quaestionis si può vedere la “Breve sintesi storica della ‘questione balto-slava’” in Pietro U. Dini, Le lingue baltiche, La Nuova Italia 1997, pp. 127-138. Il paleoslavo 78 sorda *s, quattro sonoranti (due nasali: *n, *m e due liquide: *l, *r)2 e un inventario di occlusive molto discusso: la ricostruzione neogrammaticale3 ne contava venti, prodotte in cinque diversi luoghi e distinte in quattro modalità articolatorie: sorde sonore non aspirate aspirate non aspirate aspirate labiali p ph b bh dentali t th d dh labiovelari kw kwh gw gwh palatovelari k’ k’h g’ g’h velari semplici k kh g gh Questo schema venne presto messo in discussione (da Saussure), con particolare riferimento alle aspirate sorde, poco rappresentate se non in vocaboli onomatopeici e sospettate di essere allofoni. A partire da quel momento il sistema delle occlusive è stato oggetto di numerosi studi, sfociati negli anni ’70 nella teoria glottalica, che elimina dal sistema la serie aspirata in favore di uno schema tripartito nei modi di articolazione sordo, sordo glottalizzato e sonoro. Al suo posto, tuttavia, si preferirà qui lo schema tripartito tradizionale, che prevede un sistema formato da occlusive non aspirate sorde (*p, *t, *k), occlusive non aspirate sonore (*b, *d, *g), occlusive aspirate (*bh, *dh, *gh). Non sarà inoltre considerata la riduzione delle palatovelari, che toglie senso alla visione di una frattura dialettale dell’indoeuropeo in lingue centum e lingue satem4. 2 Le sonoranti (o sonanti, in opposizione a non sonoranti, o ostruenti) funzionano come consonanti quando sono precedute o seguite da una vocale (cioè in posizione di margine di sillaba) e funzionano come vocali in posizione interconsonantica (cioè quando sono centro di sillaba): m ÷ , n÷, ÷l, r÷. Sonoranti si possono considerare anche i foni i, u, che hanno allofoni asillabici postvocalici (le semivocali i‡, u‡) e prevocalici (le semiconsonanti j, w). 3 La scuola neogrammaticale fu fondata negli anni ’70 del XIX secolo da A. Leskien, H. Osthoff, K. Brugmann e D. Delbrück. La definizione di “giovani grammatici” (Junggrammatiker) si deve a studiosi non appartenenti alla scuola, che intendevano così sottolineare ironicamente la giovane età e la scarsa esperienza dei colleghi. 4 L’indoeuropeo avrebbe avuto in realtà due sole serie, velare e labiovelare (come le lingue centum); le lingue satem avrebbero innovato. 79 Fonetica 3. Vocalismo Anche sul vocalismo i.e. più antico non c’è accordo tra gli studiosi, che ipotizzano inventari di una, due o quattro vocali più un numero variabile di vocali ultrabrevi e dal timbro poco definito dette schwa. Per quanto riguarda l’indoeuropeo tardo, invece, si postula la presenza di dieci fonemi vocalici, cinque lunghi e cinque brevi: *a- , *e- , *o- , *ı-, *u- , *ă, *ĕ, *ŏ, *ı̆, *ŭ, classificati secondo l’altezza in alti (*i, *u), medi (*e, *o) e bassi (*a) e secondo il luogo di articolazione in anteriori, centrali e posteriori: *-ı , *ı̆ *u- , *ŭ *e, *ĕ *o, *ŏ *a- , *ă Le vocali non alte in combinazione con le sonoranti potevano originare trentasei dittonghi: *a- i‡, *ăi‡ *e- i‡, *ĕi‡ *o- i‡, *ŏi‡ *a- u‡, *ău‡ *e- u‡, *ĕu‡ *o- u‡, *ŏu‡ *a- m, *ăm *e- m, *ĕm *o- m, *ŏm *a- n, *ăn *e- n, *ĕn *o- n, *ŏn *a- l, *ăl *e- l, *ĕl *o- l, *ŏl *a- r, *ăr *e- r, *ĕr *o- r, *ŏr 4. Apofonia La lingua indoeuropea era caratterizzata da un sistema di alternanza vocalica grammaticalizzata, nota con il nome di ‘apofonia’, o ‘gradazione vocalica’, o ‘alternanza vocalica’, o ‘Ablaut’ (in russo: čeredovanie glasnych). “L’alternanza vocalica consiste nel fatto che nelle differenti unità morfologiche (radici, suffissi e desinenze) le sonanti e le consonanti sono gli elementi fissi, mentre le vocali sono quelli mutevoli. Se si sostituisce o si sopprime una sola delle sonanti o delle consonanti che compongono radice, suffisso o desinenza, se ne altera l’identità. Le vocali [invece] possono alterarsi o essere sostituite senza altre conseguenze se non un cambiamento della funzione morfologica di questa stessa unità”5. Per esempio, variazioni apofoniche sono quelle del latino pendo ‘io peso’ vs pondus ‘peso’, tego ‘io copro’ vs toga ‘toga’; analogamente in greco fero ‘io porto’ vs -foro ‘portatore’ (cfr. semaforo, termoforo), lego ‘io parlo’ vs logos ‘parola’. 5 F. Villar, Gli indoeuropei e le origini dell’Europa, Bologna 1997, p. 243. 80 Il paleoslavo All’apofonia si deve l’alternanza del tipo facio (‘faccio’, presente) vs feci (‘feci’, perfetto), sto (‘sto’, presente) vs steti (‘stetti’, perfetto), che dal latino passa all’italiano. Grazie all’apofonia si formano i paradigmi verbali inglesi del tipo drink, drank, drunk. “Alternanza vocalica significa, dunque, la capacità che hanno le vocali di alternarsi in uno stesso elemento morfologico senza che questo perda la sua identità. Tuttavia, non tutte le vocali sono in grado di far parte di questo gioco alternativo. La modalità principale, che potremmo definire standard, comprende e/o/e- /o- /ø, che deve essere inteso come l’inventario massimo”6. Le variazioni apofoniche all’interno di uno stesso elemento morfologico si definiscono ‘gradi vocalici’. Una stessa radice, quando la serie è completa, 6 Ibidem. L’esistenza di catene apofoniche “anomale” (a/o/a-/o-; a-/o-/ƒ; o-/ƒ), sommata alla anomalia nella correlazione tra vocali brevi in alcune lingue indoeuropee (che veniva spiegata con la presenza di vocali i.e. ultrabrevi e dal timbro poco definito: ƒ1 e ƒ2), e rapportata all’anomalia nella struttura di certe radici (CV oppure VC invece di CVC) ha portato Saussure a intuire la presenza di un antico fonema successivamente eliminato: “La lucida intuizione di Saussure consistette nel rendersi conto che i tre tipi di anomalia erano in relazione tra loro ed erano suscettibili di una spiegazione complessiva. Infatti, le radici nelle quali manca la prima consonante sono le stesse nelle quali si verifica il tipo di alternanza vocalica anomala a/o/a-/o-. E le radici nelle quali manca la seconda consonante sono le stesse nelle quali si verifica il tipo di alternanze anomale o-/ƒ. Infine, le corrispondenze vocaliche anomale che davano luogo alla ricostruzione dello, o degli, schwa sono quelle stesse nelle quali si verificano le alternanze anomale e nelle quali manca soprattutto la seconda consonante” (Ivi, p. 244). Il fonema misterioso x, che Saussure chiama “coefficiente sonantico”, avrebbe occupato i margini della radice (xVC; CVx), restituita così alla sua struttura abituale, e nello scomparire avrebbe avuto la capacità di alterare il timbro della vocale che lo precedeva o lo seguiva. Questa ipotesi di Saussure permette di ridurre tutte le serie alternanti irregolari al tipo standard: “a-/o-/ƒ sarebbero state in uno stadio anteriore ex/ox/øx; e a/o/a-/o- sarebbero state xe/xo/xe-/xo-. Da ciò si potevano trarre varie deduzioni: 1) le vocali lunghe delle serie irregolari (a-, o-) derivavano dalla contrazione (o dall’allungamento compensativo?) di un’antica vocale breve della serie regolare (e, o) con i fonemi in questione; 2) tali fonemi potevano alterare il timbro di tali vocali (per es. *ex > a-); 3) nel grado ø (zero) dell’alternanza regolare (cioè quando non c’è nessuna vocale), x era capace di assumere la funzione di vocale, apparendo di fatto nelle lingue storiche trasformata in una vocale, generalmente /a/, ma in sanscrito /i/ e in greco a volte /a/, a volte /o/” (Ivi, p. 245). La teoria dei “coefficienti sonantici”, successivamente battezzati “consonanti laringali” da Møller, ha trovato una formulazione oggi classica in Benveniste, che ipotizza un inventario di tre laringali responsabili dei seguenti mutamenti fonetici: ƒ1e > e, ƒ2e > a, ƒ3e > o; eƒ1 > e-, eƒ2 > a-, eƒ3 > o-. 81 Fonetica presenta tre gradi: normale (o medio), forte (o pieno) e ridotto. Il grado normale è rappresentato dalla vocale e (e, ei, eu); il grado forte dalla vocale o (o, oi, ou; per questo viene anche definito ‘grado o’); il grado ridotto presenta sonoranti o esiti di schwa, ma può anche essere caratterizzato dall’assenza di qualsiasi vocale (‘grado zero’). Esiste infine il ‘grado allungato’, in rapporto di apofonia quantitativa con il grado medio (e/e- ) e forte (o/o- ). 5. Trasformazioni del consonantismo (occlusive e fricative) Il primo passo verso la dissoluzione dell’unità i.e. è costituito dal diverso trattamento delle occlusive aspirate: baltoslavo, iranico, celtico e albanese perdono l’aspirazione (le occlusive aspirate confluiscono con le sonore); in greco le aspirate si conservano e si assordano, in latino si trasformano in fricative sorde (*bh > [Φ], *dh > [Θ], *gh > [x], *gwh > [xw]); in seguito in latino [Φ], [Θ], [xw] in posizione iniziale confluiscono nella fricativa labiodentale sorda f, mentre in posizione interna [Φ] > b, [Θ] > d, [xw] > v (ma gu dopo nasale); [x] si conserva in tutte le posizioni (ma > g dopo nasale) ed è resa graficamente con <h>. Il germanico conosce una serie di trasformazioni nota come “I rotazione consonantica”, che trasforma le occlusive sorde in aspirate, le occlusive sonore in sorde e le occlusive aspirate in sonore: PIE t d dh germanico th t d greco t d th baltoslavo, iranico, celtico e albanese t d d latino t d f, d Alle occlusive velari è legata la grande frattura dell’area indoeuropea in due sottoinsiemi: il gruppo delle lingue centum (tocario, anatolico, greco, italico, celtico e germanico) e il gruppo delle lingue satem (indoiranico, baltoslavo, armeno e albanese). Nel primo gruppo le palatovelari confluiscono con le velari semplici (*k’ > *k; *g’ > *g; *g’h > *gh) e le labiovelari si conservano distinte: *k ↓ ↙ *k *k’ *kw ↓ *kw Il paleoslavo 82 Nel secondo le labiovelari si fondono con le velari semplici (*kw > *k; *gw > *g; *gwh > *gh), mentre le palatovelari passano da occlusive a fricative (*k’ > *š; *g’ > *ž; *g’h > *ž). Quindi, mentre le lingue centum possiedono due serie di occlusive velari (*k, *g, *gh e *kw, *gw, *gwh), le lingue satem ne possiedono solo una (*k, *g, *gh): *k’ ↓ *š *k ↓ *k *kw ↙ Le fricative palatali (scibilanti) *š, *ž, comparse in baltoslavo come esito di *k’, *g’ e mantenute tali dal lituano, si trasformeranno (nelle altre lingue baltiche e slave) nelle fricative dentali (sibilanti) s, z (cfr. hiems, bulgaro зима, lituano žiemà ‘inverno’; decem, bulgaro десет, lituano dešimt ‘dieci’). Prima che il processo si compia ha luogo però, nell’area orientale del gruppo satem (indoiranica e baltoslava), la ‘retroflessione della *s’: la fricativa dentale sorda preceduta da *i, *u, *r, *k e seguita da vocale o da sonorante sposta il proprio luogo di articolazione all’indietro, verso il palato: *s > *ś. Gli esiti ulteriori segnano la fine del periodo baltoslavo nel consonantismo. La *ś infatti passa a š nelle lingue indoiraniche e in lituano; torna a s nelle altre lingue baltiche (lettone e antico prussiano), passa a x in slavo (legge di Pedersen): lingue indoiraniche e lituano *s > *ś > š lettone, anticoprussiano *s > *ś > s protoslavo *s > *ś > x La retroflessione della *s indica che il processo di satemizzazione si è compiuto in fasi diverse. Se essa fosse avvenuta dopo la trasformazione delle scibilanti in sibilanti, le nuove dentali ne avrebbero seguito le sorti e si sarebbero retroflesse. Si suppone dunque una fase in cui le occlusive palatali i.e. si trasformano in fricative e la dentale i.e. è ancora al suo posto: occlusive fricative sorde sonore sorde sonore labiali p b dentali t d s palatali (k’)↓ (g’)↓ š ž velari k g 83 Fonetica una fase intermedia, in cui la fricativa dentale preceduta da *i, *u, *r, *k e seguita da vocale o da sonorante si retroflette (*s > *ś) e si trasforma (in protoslavo) in fricativa velare: occlusive sorde sonore sorde labiali p b dentali t d s→ fricative sonore palatali →→→→→ š ž velari k g →x e una finale, in cui il processo di satemizzazione si conclude, e le fricative palatali si trasformano in dentali: occlusive fricative sorde sonore sorde sonore labiali p b dentali t d s← z← palatali velari k g x ← (š) ← (ž) Il consonantismo del protoslavo si presenta dunque così modificato: occlusive fricative labiali p b sorde sonore sorde sonore dentali t d s z velari k g x Alcuni esempi: indoeuropeo7 latino *p pater pes *b de-bilis *bh fero frater *t tres *d duo greco pathvr pwv" (dorico) beltivwn fevrw trei`" duvo germanico father Fuss (ted.) bring brother three two slavo пеший (agg.) ‘a piedi’ более ‘più’ беру ‘prendo’ брат ‘fratello’ три ‘tre’ два ‘due’ 7 Quando non diversamente indicato (ted. = tedesco, got. = gotico, bulg. = bulgaro) si tratta di voci inglesi (per le lingue germaniche) e russe (per quelle slave). Il paleoslavo 84 *dh *k *k’ *kw *g *g’ fumus cruor centum cor, cordis quis iugum ego co-gnosco *gw *gh *g’h *gwh vita hostis hortus hiems formus qumov" kreva" eJkatovn kardiva tiv" zugovn ejgwv gi-gnwvskw gunhv bivo" hundred heart who yoke ik (got.) know queen guest garden cei`ma qermov" warm дым ‘fumo’ кровь ‘sangue’ сто ‘cento’ серд(це) ‘cuore’ к(то) ‘chi’ иго ‘giogo’ аз ‘io’ (bulg.) знаю ‘so’ жена < *g-ena ‘donna’ жизнь < *g-iznß ‘vita’ гость ‘ospite’ город ‘città’ зима ‘inverno’ гор(ячий) ‘ardente’ 6. Trasformazioni del consonantismo (sonoranti) La natura della sonorante (funzione sillabica, cioè vocalica, o non sillabica, cioè consonantica) è determinata dal contesto: in presenza di altre vocali la sonorante si comporta come una consonante; inserita in posizione interconsonantica diventa apice di sillaba (funzione vocalica): r÷, ÷l (cfr. croato smrt ‘morte’). Verso la fine del periodo baltoslavo le sonoranti liquide e nasali in posizione sillabica sviluppano vocali d’appoggio (*ı-,*u- ,*ı̆,*ŭ) generando sedici nuovi dittonghi che si aggiungono ai trentasei della lingua comune indoeuropea: *ı-m, *ı-n, *ı-l, *ı-r, *u- m, *u- n, *u- l, *u- r, *ı̆m, *ı̆n, *ı̆l, *ı̆r, *ŭm, *ŭn, *ŭl, *ŭr. La nasale labiale si dentalizza quindi in baltoslavo in posizione finale di parola: cfr. i.e. *sm ÷ -, *som, protoslavo *sŭ(n) ‘con’; i.e. *kom-, protoslavo *kŭ(n) ‘verso’. In protoslavo, secondo la ricostruzione della maggioranza degli studiosi, la vocale lunga dei trentasei dittonghi i.e. e dei sedici più recenti sarebbe divenuta breve (ad esclusione dei casi in cui il dittongo in posizione davanti a vocale si era sciolto nella sequenza VC), mentre la lunghezza avrebbe caratterizzato il dittongo nella sua interezza. L’inventario dei dittonghi si sarebbe quindi ridotto a ventisei, tutti lunghi, ma diversi dal punto di vista dell’intonazione. 85 Fonetica 7. Intonazione Il protoslavo conosce due tipi di intonazione, una acuta o ascendente (´), per cui la vocale accentata si pronuncia con un lieve innalzamento del tono della voce, e una circonflessa o discendente (~), per cui la vocale accentata si pronuncia con un lieve abbassamento della voce. Tutte le vocali brevi erano circonflesse (discendenti) e tutte le vocali lunghe erano acute (ascendenti): l’intonazione era quindi un fatto automatico e non marcato. I dittonghi potevano avere intonazione sia acuta che circonflessa: in presenza di vocali etimologicamente lunghe l’accento cadeva sulla vocale stessa, prima componente del dittongo, che riceveva così un’intonazione acuta. In presenza di vocali brevi l’accento si distribuiva in modo più uniforme sulle due componenti del dittongo, che riceveva così una intonazione circonflessa. 8. Trasformazioni del vocalismo La fine del periodo baltoslavo è segnata dall’apertura dei suoni vocalici: in protoslavo le vocali *o e *a confluiscono nella vocale posteriore bassa e labializzata [å]; la *e si apre trasformandosi nella vocale anteriore bassa [æ]8. Il vocalismo del tardo indoeuropeo alto medio basso anteriore *ı-, *ı̆ *e- , *ĕ *a- , *ă *o- , *ŏ posteriore *u- , *ŭ si trasforma nel seguente9: alto basso anteriore (non labializzato) *ı-, *ı̆ *e-, *ĕ posteriore (labializzato) *u-, *ŭ *a-, *ă Il nuovo sistema vocalico si riflette sui dittonghi: *o- i‡, *o- u‡ ecc. > *a- i‡, *a- u‡ ecc. 8 Il valore di questa nuova vocale aperta è poco chiaro. Gli studiosi indicano questo suono con ä, ea, ia, eä, eäa. Cfr. M. Enrietti, “Il protoslavo *ě in Grecia”, in Europa Orientalis, XI (1992: 2), pp. 157-170. 9 Per indicare le nuove vocali basse utilizzeremo i grafemi <a> per [å] e <e> per [æ]. Il paleoslavo 86 Successivamente, ossia quando si compie la perdita della quantità vocalica, il vocalismo subisce un’ulteriore modifica, legata alla trasformazione della quantità in timbro (v. p. 105): chiuse *ı- > *ı̆ > *e- > aperte *ĕ > (’)i (’)ß ’a (’)ě (’)e *u- > *ŭ > *a- > y ∞ a *ă > o Nel corso della nostra trattazione avremo a che fare con entrambi gli stadi del vocalismo: quello antico interessato alle mutazioni descritte, e quello più recente, testimoniato dal paleoslavo o da lingue slave moderne. 9. Dal protoslavo allo slavo comune tardo Due principi sovraintendono a tutte le mutazioni dello slavo: la tendenza all’armonia sillabica e la tendenza alla sonorità crescente, di cui è manifestazione cruciale la legge della sillaba aperta. La sonorità crescente implica che all’interno di ogni sillaba gli elementi più sonori devono trovarsi alla fine della sillaba stessa. In altre parole, tutte le sillabe devono terminare per vocale o per sonorante, e quella finale di parola sempre in vocale. Per ottenere questo risultato, quando non sia possibile spostare i confini di sillaba, si rendono necessarie le seguenti trasformazioni: a) i nessi consonantici in inizio di sillaba si semplificano e si assimilano, le consonanti finali di parola cadono; b) i dittonghi costituiti da vocale-semivocale si trasformano in vocali lunghe (monottonghi); c) i dittonghi costituiti da vocale-consonante nasale si trasformano in monottonghi nasalizzati; d) i dittonghi formati da vocale-consonante liquida si trasformano in sequenze consonante-vocale con processi di metatesi e/o allungamento e/o pleofonia; e) i dittonghi derivati dallo sviluppo di una vocale protetica davanti a sonorante si trasformano nuovamente in sonoranti. 87 Fonetica In queste nuove sillabe aperte l’interazione tra vocale e consonante si fa più stretta: i suoni di una sillaba si influenzano, tendono a avvicinare il proprio luogo di articolazione in una nuova armonia sillabica (sinarmonismo). Si realizzano le seguenti mutazioni: a) palatalizzazione delle velari davanti a vocale anteriore; b) iodizzazione (palatalizzazione delle consonanti davanti a jod); c) metafonia delle vocali posteriori dopo consonante palatale. 10. La I palatalizzazione Si definisce I palatalizzazione la trasformazione operata dalle vocali anteriori *ı-, *ı̆, *e- , *ĕ sulla consonante velare che le precede. Il fenomeno riguarda le due velari k e g e la fricativa velare x, nata dalla retroflessione della fricativa dentale i. e.: k > č, g > ≈ˇ > ž, x > š: *gwe- n- > *ge- n- > *žĕn- (je¢a ‘donna’); *kwe- tu- r- > *ke- tu- r- > *čĕtyr- (~et¨re ‘quattro’); *teis- > *tis- > *tix(legge di Pedersen) *tix-in- > *tiš-in- (ti{i¢a ‘silenzio’; cfr. tih) ‘calmo’). Successivamente, unica eccezione alla tendenza all’armonia endosillabica, dopo queste nuove consonanti palatali *e- > [’a] in tutti i dialetti slavi, esclusi quelli macedoni cui si ispira l’alfabeto glagolitico (v. p. 106): *krik-e- -ti ‘gridare’ > glagolitico: kriEAti (kričěti) cirillico: kri~ati (kričati) La palatalizzazione riguarda anche i nessi *sk, *zg, *kt (*gt) davanti a vocale anteriore, con esiti differenziati che in paleoslavo coincidono con quelli della iodizzazione delle dentali: *sk > š’t’; *kt > š’t’; *zg > ž’d’10. 10 In altre aree slave questo è vero solo per il nesso *kt: *sk > *sč’ > *š’č’ > *zg > *z≈ˇ ’ > *ž’≈ˇ ’ > *kt > *t’t’ > *š’t’š’ > *s’t’s’ > š’č’ [š’t’š’] š’t’ ž’≈ˇ ’ [ž’d’ž] ž’d’ slavo orientale + polacco slavo meridionale + ceco e slovacco slavo orientale + polacco slavo meridionale + ceco e slovacco š’t’ t’š’ t’s’ slavo meridionale slavo orientale slavo occidentale Dubbi sono stati avanzati relativamente all’esito di *sk e *kt nei dialetti macedoni: sia il grafema glagolitico R (combinazione di S e di E), sia l’ortoepia dello slavo ecclesiastico di Il paleoslavo 88 11. La iodizzazione Contemporanea alla I palatalizzazione è la iodizzazione, cioè la palatalizzazione di tutte le consonanti davanti alla semiconsonante j (iodizzazione viene appunto dal nome del grafema <j>: jod), allofono di i (i‡) consonantizzato in posizione prevocalica (tautosillabica) (v. nota 2). a) le consonanti velari si comportano come davanti a vocale anteriore, cioè il loro comportamento non è diverso in posizione davanti a *ı-, *ı̆ o davanti a j < *i‡: *pre- dŭ-tek-ja > pr:d)te~a ‘precursore’; *vĕlı̆-mog-ja > vel|moja ‘uomo di potere’; *dux-ja > dou{a ‘anima’. I nessi *sk, *zg, *kt davanti a jod si comportano come davanti a vocale anteriore, cioè coincidono in paleoslavo con gli esiti della iodizzazione delle dentali (ma non in altre lingue slave: v. note 10 e 11). b) le fricative dentali (sibilanti) si trasformano nelle fricative palatali (scibilanti) š, ž, che a seguito di ciò cessano di funzionare come allofoni (varianti di posizione) delle velari e diventano fonemi indipendenti: cfr. N sg f ¢oga ‘gamba’ vs G sg m ¢oja ‘del coltello’; G sg m douha ‘dello spirito’ vs N sg f dou{a ‘anima’. c) le labiali sviluppano una l epentetica: questo fenomeno riguarda la totalità della Slavia in posizione iniziale di parola (*bheudh- > russo блюдо, bulgaro блюдо, antico polacco bluda ‘piatto’) mentre è diffusa solo in alcune zone della Slavia nel confine di morfema: *g’hem-ja > russo земля, bulgaro antico земля, bulgaro moderno земя, polacco ziemia ‘terra’. Successivamente alla piena consonantizzazione di u‡ (v. p. 92) lo stesso processo coinvolge la labiodentale v: loviti ‘dare la caccia’, 1ª sg lovl+ ‘io do la caccia’. d) le dentali producono riflessi diversi nelle varie zone della Slavia11, con redazione orientale [šč’] farebbero pensare che nella zona di Salonicco l’esito *kt, *sk + vocale anteriore fosse [š’č’], e che missionari originari di quella zona possano aver importato questa pronuncia nella Slavia orientale (v. B. A. Uspenskij, Istorija russkogo literaturnogo jazyka, Moskva 2002, p. 134). 11 Gli esiti delle lingue slave moderne sono i seguenti: slavo occidentale c’e ≈’ (z’ in Ceco e in Sorabo); slavo orientale č’e ž. Lo slavo meridionale è molto variegato: bulgaro macedone št, žd k’, g’ serbo e croato sloveno ć’, ∂’ č’, j 89 Fonetica un processo tardo, forse preceduto da una fase comune in cui *tj > *t’ (o *ć’) e *dj > *d’ (o *dź’). In paleoslavo *tj > št’, *dj > žd’. I nessi *stj, *zdj si comportano come *skj, *zgj : š’t’, ž’d’. Le liquide, la labiovelare e la nasale dentale, iodizzate, possono iodizzare la consonante che le precede: *slj > *zlj > *snj > *znj > *trj > *drj > *strj > *zvj > šl’ žl’ šn’ žn’ štr’ ždr’ štr’ žvl’ *mysljo˛ > myšl’o˛ *v∞zljubjo˛ > v∞žl’ubl’o˛ *k∞snjo˛ > k∞šn’o˛ *k∞znjo˛ > k∞žn’o˛ *xytrjo˛ > xyštr’o˛ *mo˛drjo˛ > mo˛ždr’o˛ *ostrjo˛ > oštr’o˛ *jazvljo˛ > jažvl’o˛ m¨{l+ v|jl<bl+ k){¢+ k)j¢+ h¨{tr+ m\jdr+ s( o{tr+ qjvl+ ‘io penso’ ‘io amo’ ‘io ritardo’ ‘io tramo’’ ‘io escogito’ ‘io faccio il furbo’ ‘io acuisco’ ‘io ferisco’ 12. Metafonia palatale In protoslavo l’anteriorità è incompatibile con il tratto di labialità12. Dopo j le vocali labializzate (posteriori) spostano la propria articolazione in avanti e si delabializzano: *ju- > *jı-, *ja- > *je- , *jŭ > *jı̆, *jă > *jĕ: *ju-go-m > *jigo > igo ‘giogo’. 13. Monottongazione dei dittonghi in semivocale La tendenza alla sonorità crescente e la conseguente legge della sillaba aperta determinano la necessità di abolire le sequenze vocale-semivocale. L’elemento semivocalico si sposta all’inizio della sillaba seguente se questa inizia in vocale: *poi‡-e-t∞ > po&t) (po-i‡e-t∞) ‘lui canta’13. Se invece la sillaba seguente comincia in consonante, il dittongo si trasforma in una vocale lunga anteriore, se la semivocale è anteriore, in una vocale lunga posteriore se la semivocale è posteriore: 12 Sono intrinsecamente labializzati i foni vocalici posteriori (u, o); i foni vocalici anteriori possono esserlo in altre lingue (i, e, e arrotondate: y, ø, œ), ma non in protoslavo. 13 La vocale che cessa di essere componente di un dittongo di intonazione ascendente, e che come si è visto avrebbe ridotto secondo alcuni studiosi la propria quantità vocalica all’interno del dittongo, in questa circostanza si riallunga. Il paleoslavo 90 *a- i‡, *ăi‡ *a- u‡, *ău‡ *e- i‡, *ĕi‡ *e- u‡, *ĕu‡ > > > > anteriore *e- , *ı*ı- posteriore *u*’u- La nuova *u- (*u- 2), fortemente labializzata, non viene metafonizzata da jod: sviluppa invece un intacco molle, venendo così a coincidere con l’esito della monottongazione dei dittonghi *e- u‡, *ĕu‡: al D sg bratou (brat-u) corrisponde il D sg pol< (pol’-u). *a- i‡ *ăi‡ *e- i‡ *ĕi‡ *a- u‡ *ău‡ *e- u‡ *ĕu‡ +V aj +C ě ě oj i ěj i *ej > ßj i av u ov u ěv ju ev ju kaqti s( ‘pentirsi’ // c:¢a ‘prezzo’ (radice *kwo- i- : *kwei-) g¢oi (gnojß) ‘marciume’ // g¢:v) ‘collera’ stoli (*stol-o-i) N pl m ‘troni’; ¢esi (*nes-o-i-s) imperativo sg. ‘porta’ s:qti ‘seminare’ // sito (radice *se- i-) ‘setaccio’ viti ‘avvitare’ // 1ª sg v|+ (radice *u‡ei-) ‘io avvito’ slava ‘fama’ // slouti ‘avere fama, essere detto’ slovo ‘parola’ // slouti ‘avere fama, essere detto’ r<ti ‘ruggire’ // rev\ ‘io ruggisco’14 La vecchia *u- indoeuropea, scalzata dal suo luogo articolatorio, si delabializza. In posizione davanti a C e # si trasforma nella vocale centrale alta non arrotondata [ı--], resa in cirillico con il grafema <y >, <¨ > (‘jery’), in translitterazione <y>: *u- + C, # > *ŭŭ > *ŭi <∞i> l<b¨ (‘amore’ N sg f). In posizione davanti a vocale si trasforma in un dittongo: *u- + V > *ŭŭ > *ŭu‡ <∞v > l<bov| (‘amore’ A sg f). Delabializzandosi, la vocale rigetta la propria labialità alla propria sinistra. Nel corpo della parola questo può riflettersi sulla articolazione della 14 L’alternanza tra gli esiti del dittongo davanti a vocale e davanti a consonante nel confine tra morfemi (del tipo p:ti ‘cantare’, po+ ‘io canto’, verovati ‘credere’, verou+ ‘io credo’, plouti ‘navigare’, plov\ ‘io navigo’) non va confusa con l’alternanza vocalica radicale (v. p. 79). Esempio: il tema dell’infinito *smi- alterna con il tema del presente *sme-i- nel verbo smiqti s( ‘ridere’, 1ª sg sm:+ s( ‘io rido’. Dal grado forte della stessa radice *smoi- si forma invece per monottongazione il sostantivo sm:h) ‘riso’. Fonetica 91 consonante che precede (v. p. 101 per la mancata palatalizzazione delle velari in posizione di III palatalizzazione se seguite da ∞, y < *u- , *ŭ). In posizione iniziale (dopo silenzio) la labialità riceve una articolazione autonoma sotto forma di protesi (approssimante labiovelare e poi fricativa labiodentale, v. p. 92 e nota 25). Nessuna parola slava inizia con ∞, y < *u- , *ŭ. La monottongazione dei dittonghi ha conseguenze sull’intonazione, giacché le nuove vocali lunghe che derivano da dittonghi con intonazione circonflessa la conservano su di sé: se prima le vocali brevi erano tutte circonflesse (discendenti) e le vocali lunghe erano tutte acute (ascendenti), e quindi l’intonazione era un fatto automatico e non marcato, adesso si oppongono vocali lunghe ascendenti a vocali lunghe discendenti. 14. La II palatalizzazione Davanti alle nuove vocali anteriori nate da monottongazione (*e- 2, *ı-2) le velari subiscono nuovi processi di palatalizzazione: k > c’, g > ≈’ (z’), x > s’: kaisar (< caesar) > *ke- sar > c:sar| (russo царь) ‘zar’; *kwoi‡n- > c:¢a ‘prezzo da pagare’ (cfr. greco poinhv, lat. poena). La affricata sonora ≈’ (dz’), che forse conosce ab origine una diffusione areale, si semplifica presto in fricativa dentale sonora (z’): il N pl m m)¢o™i (< *mŭnog-ı-2) ‘molti’ può ricorrere nei testi del canone nella forma m)¢oæi . Nella Slavia meridionale la II palatalizzazione si verifica anche quando tra le velari e le nuove vocali *e- 2, *ı-2 si frapponga la labiodentale v: *ku‡ > cv, *gu‡ > zv: cv:t) ‘fiore’, æv:æda ‘stella’. La II palatalizzazione di k, g, x interessa soprattutto la flessione nominale (N pl m, L sg e pl m, DL sg f, NA duale f, L sg e pl n, NA duale n): N sg m vl|k) ‘lupo’, pl. vl|ci . Diversamente da quanto era avvenuto davanti alle vocali anteriori indoeuropee, davanti a *e- 2, *ı-2 la palatalizzazione non riguarda l’elemento fricativo dei nessi sk, zg: k) gor: eleo¢|sc : ‘verso il monte degli Ulivi’. Si osserva però l’esito sk > st, e zg > zd dovuto alle semplificazione delle affricate: sk > sc’ (sts’) > st, zg > z≈’ (zdz’) > zd: rim|st:i cr|k)vi ‘alla chiesa romana’. 92 Il paleoslavo 15. Consonantizzazione delle semivocali Come abbiamo visto, le vocali alte i, u si comportano come sonoranti: in posizione interconsonantica o tra consonante e silenzio (inizio e fine di parola) sono apice di sillaba, in posizione pre- e postvocalica realizzano gli allofoni j e w, i‡ e u‡ asillabici. A seguito dei processi sin qui esaminati in protoslavo lo statuto delle due vocali si modifica: *i‡ e *u‡ semivocali postvocaliche (ricorrenti come secondo elemento di dittongo) scompaiono, assorbite nel nuovo monottongo o spostate all’inizio della sillaba seguente. Si conservano invece le semiconsonanti jod (approssimante palatale), se non inglobata nella consonante iodizzata (infinito *nos-i-ti, part. pass. passivo *nos-i-en- > *no-sjen- > ¢o{e¢) ‘portato’) e wau (approssimante labiovelare) in posizione prevocalica. Non più allofoni di i, u, queste semiconsonanti hanno destini diversi: jod resta un’approssimante palatale, non sempre evidenziata a livello grafico; wau si dentalizza, trasformandosi nella labiodentale v (*medŭ-e- dß > *me-dwědß > medv:d| ‘orso’): sequenza C-j-V V-i‡-C V-i‡-V C-w-V V-u‡-C V-u‡-V tipo di mutamento iodizzazione della consonante e metafonia palatale della vocale (se posteriore) monottongazione del dittongo spostamento del confine di sillaba, trasformazione di i‡ > j, metafonia della vocale (se posteriore), trasformazione di ĕ > ß (ej > ßj) spostamento del confine di sillaba e dentalizzazione w > v monottongazione del dittongo spostamento del confine di sillaba e dentalizzazione di u‡ > v La dentalizzazione riguarda anche la *u‡ protetica che si sviluppa in posizione iniziale di parola davanti a ∞, y < *u: *u- k- > *u‡u- k- > *vyk-: ¢av¨k¢\ti ‘imparare’ (cfr. russo навык ‘abito mentale’ e привычка ‘abitudine’; la radice *u- k- alterna con *ouk- da cui ou~iti , ‘insegnare, ammaestrare’, cfr. russo наука ‘scienza’); *u- ps- > *u- s- > *u‡u- s- > *vys-: v¨sok) ‘alto’; *ŭp-, *u‡ŭp- > *v∞p-: v)piti ‘gridare, lamentarsi’ e v)pl| ‘grido, lamento’ (cfr. italiano upupa, l’uccello diurno così chiamato per il grido lugubre e monotono che emette). Fonetica 93 16. Semplificazione dei nessi consonantici La sillaba slava nel periodo della apertura della sillaba può terminare esclusivamente in vocale se è finale di parola: droug) ‘amico’ (dru-gŭ), je¢a ‘donna’ (že-na), selo ‘villaggio’ (se-lo). Può terminare anche in sonorante se è interna alla parola: vr|h) ‘sommità’ (vr÷-xŭ). Le consonanti che seguono l’ultima vocale in fine assoluta di parola cadono, modificando a volte timbro o quantità della vocale (v. p. 104). Le consonanti che si trovano alla fine della sillaba nel corpo della parola passano alla sillaba successiva e si comportano a seconda della sequenza di consonanti che viene così a crearsi. La vocale può essere preceduta da un numero massimo di quattro consonanti (di cui la quarta può essere esclusivamente jod). Non esistono consonanti doppie. La sequenza di consonanti nella sillaba deve rispettare il principio della sonorità crescente: nessuna consonante che venga a trovarsi davanti alla consonante di un gruppo situato alla sua sinistra (cioè meno sonora) o davanti a una consonante del suo stesso gruppo (cioè di uguale sonorità) può rimanere in quella posizione (eccezione: gd). minima sonorità =============================== > massima sonorità s, z, š, ž p, b, t, d, k, v, m, n l, r j vocali g, x, č, c, ≈ In qualità di quarta consonante può ricorrere solo jod, e solo dopo n, r, l, che si palatalizzano. Le consonanti palatalizzate n’, r’, l’ non vengono indicate da grafemi appositi né in glagolitico né in cirillico, ma possono essere segnalate dalla vocale iodizzata; inoltre, la sequenza che termina in n’, r’, l’ non può iniziare con una fricativa dentale (sibilante), ma solo con le fricative palatali (scibilanti) š, ž. Nei nessi che comprendono consonanti dei primi due gruppi queste devono essere entrambe sonore o entrambe sorde (st, št, sk, sp / zd, žd, zg, zb). Le altre consonanti (v, m, n, l, r, j) non sono interessate alla opposizione sordità vs sonorità. 94 Il paleoslavo Davanti a s, z, š, ž qualunque altra consonante cade: bes)mr|t|¢) ‘immortale’, v:s) (*ved-s-∞) ‘portai’, 1ª sg dell’aoristo sigmatico di vesti ‘portare’ (v. p. 180), i{|d) (*iæ{|d) ) ‘uscito fuori’, ostoqti (*obstoqti ) ‘circondare’, ost\piti (*otst\piti ) ‘fare un passo indietro’, ra{iriti (*raæ{iriti ) ‘allargare’. La semplificazione ha luogo anche nei sintagmi composti da preposizione e sostantivo: beæ)lob¨ (*beæ æ)lob¨ ) ‘senza cattiveria’, besrama (*beæ srama ) ‘senza vergogna’, is¨¢a (*iæ s¨¢a ) ‘dal figlio’. Unica eccezione: zž > žd: *raæje}i > rajde}i ‘infiammare’. Se una fricativa del primo gruppo precede una consonante del secondo in una parola composta o in un sintagma avvengono le seguenti trasformazioni: – davanti a p, t, k, x la fricativa sonora si desonorizza (z > s): ispasti (*iæpasti ) ‘decadere’, iskoupiti ‘riscattare’, ishoditi ‘uscire’, vesti (*veæti ) ‘condurre’, bestrouda (*beæ trouda ) ‘senza sforzo’, v)s ~|to (*v)æ ~|to ) ‘di che cosa’; – davanti a c [ts] la fricativa sonora si desonorizza in fricativa sorda (z > s), la fricativa sorda può mantenersi al suo posto o cadere, ovvero l’intero nesso si semplifica (sts > st): *iz-cěliti > isc:liti , ic:liti , ist:liti ‘risanare’; – davanti a č [tš] la fricativa tende a cadere, oppure l’intero nesso si desonorizza e si semplifica (stš > št): *bez-čislßn∞ > be~isl|¢) , be}isl|¢) ‘innumerevole’; Se una fricativa del primo gruppo precede una consonante del terzo (r, l) davanti alla vibrante r l’articolazione del nesso è aiutato dalla inserzione di una dentale sorda o sonora (sr > str, zr > zdr): *s-ru-ja > strouq ‘corrente’, *os-r-∞ > ostr) ‘acuto’; raædr:{iti (*raær:{iti ) ‘sciogliere, assolvere’, beædr\kou (*beæ r\kou ) ‘senza le mani’. Se due consonanti del secondo gruppo si vengono a trovare vicine, la prima delle due cade: *othoditi > ohoditi ‘andare via’, *otkr¨ti > okr¨ti ‘scoprire’, *pogrebti > pogreti ‘seppellire’, con tre importanti eccezioni: – due dentali contigue si dissimilano (tt, dt > st): *ved-ti > vesti ‘portare’; – il nesso kt (gt) davanti a vocale anteriore > št: *rek-ti > re}i ‘dire’, *mog-ti > mo}i ‘potere’; – nel nesso bv cade la labiodentale (bv > b): *obviti > obiti ‘avvolgere’. Fonetica 95 Se le consonanti del secondo gruppo precedono consonanti nasali e liquide si verificano le seguenti semplificazioni: – il nesso skn si semplifica con la caduta della velare (skn > sn): *těskn∞ (< *toi‡sk-n-∞) > t:s¢) ‘stretto’; – p, b, t, d cadono davanti a m, n: s)¢) < *s∞p-n-∞, ‘sonno’; v:m| < * vědmı̆ ‘io so’. Fa eccezione il prefisso ob: ob¢oviti ‘rinnovare’, ob¢ajiti ‘denudare’; – i nessi dl, tl > l in slavo meridionale e orientale. Successivamente alla metatesi e alla ricomparsa delle sonoranti si riformano gruppi tla, tlě, dla, dlě, tl÷, dl÷, quando ormai nessi del tipo tl, dl sono ammissibili e perciò non soggetti a semplificazione. Davanti a un’altra consonante nasale la prima cade senza lasciare traccia: ko¢∞| ‘cavallo’ < *kon- < *komn-. 17. Dittonghi in nasale A partire dalla fine del periodo baltoslavo il protoslavo conosce sedici dittonghi in nasale, di cui otto continuano le sonoranti *n÷ e *m ÷ 15: *a- n; *e- n; *ı-n < *n÷’; *u- n < *n÷; *a- m; *e- m; *ı-m < *m ÷ ’; *u- m < *m ÷ ; *ăn; *ĕn; *ı̆n < *n÷’; *ŭn < *n÷; *ăm; *ĕm; *ı̆m < *m ÷ ’; *ŭm < *m ÷. Davanti a vocale il dittongo viene reinterpretato come sequenza vocaleconsonante (VC), e la consonante è inglobata nella sillaba seguente: *sŭpn-ŭ-s > s)¢) ‘sonno’. Davanti a jod si formano le palatali n’, ml’, che entrano a far parte della sillaba che segue: *g’hem-ja > æemlq ‘terra’. Davanti alle restanti consonanti e davanti a silenzio (#) il comportamento del dittongo varia a seconda della sua collocazione nella parola. In posizione interconsonantica il dittongo si monottonga formando una vocale nasale anteriore se l’elemento vocalico del dittongo era anteriore, 15 Come abbiamo detto (v. p. 84) secondo la ricostruzione di alcuni studiosi la vocale che compone il dittongo in posizione davanti a consonante e silenzio (cioè in tutti i casi in cui il dittongo non si scioglie in una sequenza VC) è sempre breve, mentre il dittongo nel complesso è sempre lungo. 96 Il paleoslavo posteriore nell’altro caso: *e- n, *e- m, *ı-n, *ı-m, *ĕn, *ĕm, *ı̆n, *ı̆m si monottongano in e˛: *mems- > m(so ‘mensa’ e ‘carne’; *kn÷- > *čin- > ¢a~(ti (< *na-čin-ti; cfr: *na-čin-a-ti > ¢a~i¢ati ) ‘cominciare’; *a- n, *a- m, *u- n, *u- m, *ăn, *ăm, *ŭn, *ŭm si monottongano in o˛16: *ang- > \g)l) ‘angolo’. Questa nuova vocale posteriore, come *u- 2, non è metafonizzata da jod: a ¢og\ (nog-o˛) ‘piede’ (A sg f) corrisponde æeml+ (zeml’o˛) ‘terra’ (A sg f). In posizione finale di parola (davanti a silenzio) la nasale viene assimilata nella articolazione della vocale che la precede se questa è lunga, cade senza lasciare traccia se questa è breve (ulteriori modifiche del vocalismo che intervengono in posizione finale di parola davanti a nasale v. p. 106): *n÷-me- n > *ı̆n-me- n > *ı̆-me- n > *jı̆me- n > im( ‘nome’17; *ŭn > *u‡ŭn > v) ‘in’. La n di *v∞n, *s∞n, *k∞n si conserva tuttavia in un contesto particolare, ovvero nell’unione con il pronome dimostrativo *i (< *jß; v. p. 150). Nell’unità accentuale costituita dal sintagma preposizione-pronome la nasale si iodizza e passa a fare parte delle forme del pronome: k) ¢&mou ‘verso di lui’, v) ¢&m| ‘in lui’, s) ¢∞i m| ‘con lui’. Quando *v∞n, *s∞n sono prefissi fusi con il sostantivo in una sola parola (esempio: v)¢\tr| avv. ‘dentro’) la n si conserva anche davanti a vocale: v)¢(ti , s)¢(ti . 18. Sviluppo di jod protetico La tendenza alla sonorità crescente favorisce lo sviluppo di una protesi davanti alle vocali in posizione iniziale di parola (dopo #): non potendo più fare sillaba con la consonante che segue, la vocale rimane isolata e fa sillaba a sé. Può sviluppare allora a sinistra uno jod protetico che ne permetta l’andamento crescente. Questa protesi si sviluppa regolarmente davanti alle vocali anteriori indoeuropee (*ı-,*ı̆,*e- ,*ĕ) e davanti alla nuova vocale nasale anteriore e˛, anche se la presenza dello jod non è sempre evidenziata a livello grafico: 16 I grafemi e˛, o˛ sono frutto di una convenzione che si basa sull’alfabeto glagolitico; in realtà non è detto che in tutte le aree della Slavia le nasali fossero fonemi medio-alti. 17 Questa etimologia non è accettata da tutti gli studiosi. 97 Fonetica iti (jiti) ‘andare’ im\ (jßmo˛) ‘io prendo’ :dro / qdro ‘nucleo’ est| / &st| ‘è’ (æ¨k) / `æ¨k) ‘lingua’ j+i=i j+ß=i j + e- = ’ě (glagolitico) /ja j + ĕ = je j + e˛ = je˛ Quanto alle vocali posteriori, alcuni studiosi (Seliščev) ipotizzano che tutte le parole in *a- abbiano sviluppato in protoslavo uno jod protetico, perdendolo poi in alcuni dialetti, che quelle in *u- 2 e in *o˛ lo abbiano sviluppato saltuariamente (o dialettalmente) e che quelle in *ă non lo abbiano sviluppato mai18. Nei codici paleoslavi la grafia : (q ) è sporadica (qko ‘come’); può ricorrere dopo la congiunzione i , soprattutto quando intervocalica (i > j): v)pro{\ i :æ) v¨ per v)pro{\ i aæ) v¨ , “interrogherò anche io voi”19. 19. Dittonghi in liquida. Il protoslavo conosce due tipi di dittonghi in liquida: quelli formati con le vocali alte *ı-, *u- , *ı̆, *ŭ, che continuano le sonoranti i.e. *r÷, *l÷, e quelli formati con le vocali basse *a- , *e- , *ă, *ĕ, che continuano i dittonghi i.e. *a- l, *a- r, *e- l, *e- r, *o- l, *o- r, *ăl, *ăr, *ĕl, *ĕr, *ŏl, *ŏr20. 18 Svilupperanno più tardi protesi labiodentali in alcune lingue (cfr. osm| ‘otto’ > russo восемь). 19 Nella Slavia orientale sono rarissime le parole senza protesi (solo alcuni prestiti, la congiunzione a, l’interiezione ah), pochi esiti anomali della metatesi delle liquide del tipo alkati ‘essere affamato, digiunare’). La presenza e l’assenza di jod protetico servono a contrapporre lessemi dotti quali aæ) ‘io’, ag¢ec) ‘agnello’, <rod) ‘folle santo’ (in paleoslavo \rod) ‘scemo’), <tro ‘mattina’, e lessemi popolari quali q(æ)), qg¢ec), ourod), outro (la contrapposizione di <ou> e <<> assume valore solo dopo la II influenza slavo meridionale). 20 Come abbiamo detto (v. p. 84) non c’è omogeneità di vedute sulla quantità della vocale che compone i dittonghi. Secondo Seliščev, Chaburgaev, Aitzetmüller essa diventa sempre breve nel momento in cui entra a far parte del dittongo, e si riallunga in alcuni dialetti nel corso della risoluzione dello stesso. Van Wijk parla di metatesi o pleofonia dei dittonghi or, ol, er, el. Schenker, Radovich, Enrietti ricostruiscono la risoluzione dei dittonghi in liquida distinguendo tra vocali lunghe e brevi: *a-r → *ra- (> ra) *ar → *ăr → *ră (> ro) 98 Il paleoslavo I dittonghi in liquida (VR, dove R indica qualsiasi liquida21) potevano occorrere in posizione iniziale (dopo silenzio), internamente alla parola (davanti a vocale o davanti a consonante) o in fine di parola. In fine di parola (davanti a silenzio) il dittongo è risolto con la caduta delle consonanti liquide. Davanti a vocale è reinterpretato come sequenza vocale-consonante (VC) con spostamento del confine di sillaba: *měr-i-ti > m:riti (mě-ri-ti) ‘misurare’. Davanti a jod si formano le palatali r’, l’ che fanno sillaba con la vocale seguente: *měr-i-o˛ > m:r+ (mě-r’o˛) ‘io misuro’. Davanti a consonante l’anomalia della loro posizione, contraria alla legge della sonorità crescente, viene risolta mediante il ricorso alla metatesi: *mel-ti > ml:ti (mlě-ti) ‘macinare’, *mel-jo˛ > mel+ (me-l’o˛) ‘io macino’. La metatesi si verifica inizialmente in posizione iniziale di parola (#VRC) con esiti poco differenziati nelle diverse lingue slave: la sequenza #a- RC, #ăRC (unico esempio attestato della formula #VRC) viene risolta come *Ra- C, *RăC. La differenziazione dialettale riguarda la quantità vocalica, e viene descritta diversamente (fatta salva la coincidenza degli esiti) in base alla ricostruzione della quantità della vocale all’interno del dittongo. Secondo la ricostruzione di chi assume la diversa quantità vocalica delle sequenze #a- RC, #ăRC i dialetti slavi settentrionali mantengono la distinzione tra vocale lunga e vocale breve, mentre quelli meridionali allungano la vocale breve conservandone l’intonazione circonflessa. Chi crede nella riduzione *a- R > *ăR afferma invece che in posizione dopo silenzio la metatesi delle liquide è complicata nei dialetti slavi orientali e occidentali (cioè in tutti i dialetti settentrionali) dall’allungamento sotto intonazione acuta (ex vocali lunghe), mentre nei dialetti meridionali l’allungamento si verifica sotto entrambe le intonazioni: 21 Sono possibili diversi sistemi di simbolizzazione, che riflettono diverse convenzioni: a) le vocali possono essere indicate nella loro forma protoslava più antica (*a, *e, *i, *o, *u) in quella intermedia (*æ, *å, *i, *u) o in quella tarda, slavo-comune (a, o, i, ß, y, ∞, e, ě); b) le consonanti possono essere indicate con t, T, oppure C; c) le liquide possono essere indicate con un solo simbolo: R. Le sigle *ort, *tolt sono equivalenti alle sigle #VRC (silenzio + vocale + liquida + consonante), CVRC (consonante + vocale + liquida + consonante). 99 Fonetica protoslavo *ăruı̆n*ălkŭt*a- rdl*a- lkăm- russo рóвный лóкоть рáло лáкомый polacco równy ∏okieć rad∏o ∏akomy ceco rovný loket rádlo lakomý serbo rávan la£kat ra¥lo la¥kom paleoslavo rav|¢) lak)t| ralo lakom) Uno stadio successivo vede la soluzione dei dittonghi generati da sonoranti, ovvero delle sequenze del tipo Cı-RC, Cu- RC, Cı̆RC, CŭRC. In una prima fase, comune a tutte le lingue slave, la vocale si perde e la funzione vocalica (sillabica) ritorna sulla sonorante, che può essere dura o molle22 a seconda della qualità della vocale perduta e di intonazione acuta o circonflessa a seconda della lunghezza (quantità) della vocale perduta23. La trasformazione ulteriore si colloca alla fine del periodo slavo comune, quando la legge della sillaba aperta comincia a non essere più operante e i dialetti di alcune aree della Slavia sviluppano nuovamente vocali protetiche. Le sequenze del tipo Ce- RC, Ca- RC, CĕRC, CăRC (CVRC) sono tra le ultime a mutare. I loro esiti sono differenziati dialettalmente, e testimoniano da un lato la contrapposizione di una slavia meridionale e di una slavia settentrionale, dall’altro la frattura di questa seconda in due grandi aree, orientale e occidentale. Nei dialetti slavi meridionali e in quelli occidentali del sud (progenitori del ceco e dello slovacco) i dittonghi sono eliminati tramite metatesi. Secondo la ricostruzione di chi assume la effettiva presenza di una diversa quantità vocalica nelle sequenze Ca- RC, CăRC, la metatesi è complicata con l’allungamento della vocale breve: CRe- C, CRa- C. Chi crede alla riduzione *a- R > *ăR afferma che in posizione interconsonantica la metatesi delle liquide è complicata dall’allungamento sotto entrambe le intonazioni. 22 Si definiscono dure le consonanti la cui articolazione può coesistere con l’articolazione delle vocali posteriori all’interno della stessa sillaba; si definiscono molli le consonanti (palatali e palatalizzate) che formano sillaba esclusivamente con le vocali anteriori, o con le nuove vocali del protoslavo che pur essendo posteriori possono sviluppare un intacco molle. 23 Queste sonoranti vengono rese graficamente in paleoslavo dai nessi <r|> <r)> <l|> <l)>. Il paleoslavo 100 In area settentrionale i dittonghi sono risolti con l’introduzione di una vocale epentetica che crea una sequenza bisillaba del tipo CVRVC (trasformazione nota con il nome di “pleofonia” (polnoglasie): – in slavo orientale la sequenza è del tipo CV1RV2C, dove V1 è la vocale originaria, sempre breve, mentre V2 è una vocale epentetica breve alta, omorganica a V1, il cui sviluppo successivo coincide con quello degli jer in posizione forte (v. p. 108). La diversa intonazione si riflette nella diversa accentazione: laddove l’intonazione dei dittonghi era acuta (vocale lunga) oggi in russo abbiamo la pronuncia -oró-, -eré-, -oló- (ворóна, вперëд, болóто)24. Laddove l’intonazione dei dittonghi era circonflessa (vocale breve) oggi in russo abbiamo la pronuncia -óro-, -ére-, -ólo- (гóрод, бéрег, гóлод). – in slavo occidentale (esclusi i dialetti del sud, progenitori del ceco e dello slovacco) la sequenza è del tipo CV2RV1C, dove V1 è la vocale originaria e V2 una vocale epentetica breve alta, omorganica a V1, il cui sviluppo successivo coincide con quello degli jer in posizione debole (v. p. 108): protoslavo *gărd*u‡a- rn*bĕrg*be- rz*găld*ba- lt*mĕlk- russo гóрод вoрóна бéрег берëза гóлод болóто молокó polacco gród wrona brzeg brzoza g∏ód b∏oto mleko serbo gra£d vra¥na bre£g bre¥za gla£d bla¥to mléko paleoslavo grad) *vra¢a br:g) *br:æa glad) blato ml:ko In questa ultima fase dello slavo comune tardo una nuova trasformazione attende anche le sequenze del tipo Cı-RC, Cu- RC, Cı̆RC, CŭRC. Nei dialetti slavi meridionali e in quelli occidentali del sud (progenitori del ceco e dello slovacco) le sonoranti si conservano e le molli confluiscono con le dure: r÷, ÷l. In slavo orientale le sonoranti non si conservano, *r÷ e *r÷’ hanno esiti distinti [∞r], [ßr], mentre *l÷’ confluisce con *l÷ per la velarizzazione della liquida: [∞∏]; gli jer si vocalizzano come jer forti ([e], [o]). In slavo occidentale le sonoranti 24 Ce-lC, CĕlC confluiscono con Ca-lC, CălC in slavo orientale, in polabo e in casciubo (per la velarizzazione della liquida). 101 Fonetica non si conservano, gli esiti di *r÷’, *l÷’ non sono uguali a quelli di *r÷, *l÷, gli jer si mantengono molto a lungo e si vocalizzano con criteri diversi da quelli degli jer forti e dipendenti dal contesto articolatorio: protoslavo *sr÷’p*tr÷g*vl÷’k*sl÷n-ı̆k*gr-÷dl*plø÷’n- slavo or. sßrp∞ t∞rg∞ v∞lk∞ s∞lnßce g∞rlo p∞ln- russo сéрп тóрг вóлк сóлнце гóрло пóлный polacco sierp targ wilk s∏ońce gard∏o pe∏ny serbo sr£p tr£g vu£k su£nce gr¥lo pu¥n paleoslavo sr|p) tr)g) vl|k) sl)¢|ce gr)lo pl|¢) 20. La III palatalizzazione Lo stesso esito che si ottiene per II palatalizzazione davanti alle nuove vocali anteriori si può ottenere quando la velare viene a trovarsi dopo le vocali anteriori indoeuropee *ı-, *ı̆, dopo le nuove vocali anteriori *ı-2, e˛ (< *in, *im), dopo la nuova sonorante r÷ (< *ir; questa ultima condizione non è accettata da tutti gli studiosi) e non è seguita da consonante o da *u- , *ŭ25: k > c’, g > ≈’ (z’), x > s’. Se nelle altre due palatalizzazioni l’azione della vocale è regressiva (agisce cioè da destra verso sinistra), qui la vocale anteriore ha un’azione progressiva, agisce cioè sulla velare che la segue. L’identità degli esiti della II e della III palatalizzazione e la difficoltà di definire le condizioni della realizzazione di quella progressiva hanno ingenerato grandi discussioni sulla cronologia relativa delle palatalizzazioni (chiamate I, II, III da Baudouin de Courtenay). Alcuni ritengono che la cosiddetta III palatalizzazione sia anteriore alla II, o addirittura sia la più antica delle tre. A favore citano igo (< *i‡ug-ŏ-m) ‘giogo’, che dimostrerebbe come la palatalizzazione progressiva non sia più operante nel momento in cui le vocali posteriori si metafonizzano dopo jod: 25 Le vocali alte posteriori *u-, *ŭ, che sono in via di delabializzazione, rigettano la loro labialità sulla consonante velare che le precede; la labializzazione (che corrisponde acusticamente a una bemollizzazione, cioè all’abbassamento del secondo formante), rende impossibile la palatalizzazione (che corrisponde acusticamente alla diesizzazione, cioè all’innalzamento del secondo formante). In posizione dopo silenzio la labialità ‘rigettata’ si manifesta sotto forma di protesi: *u‡∞- > v|-, *u‡y > v¨-. 102 Il paleoslavo per questo igo e non *i™o . Argomentazione topica a favore del fatto che la III palatalizzazione avrebbe preceduto la II sono le forme del tipo ot|ci (L sg di ot|c| ‘padre’). Questo sostantivo in *ŏ (*ŏtikŏs) dovrebbe avere al L sg la terminazione -ě < *ai‡. La terminazione -i sarebbe prova della metafonia *ă > *ĕ dopo consonante palatalizzata per III palatalizzazione (*ăi‡ > *ĕi‡ > -i): *otßkăi‡ > *otßc’ăi‡ > *otßc’ĕi‡ > ot|ci . Se la velare si fosse palatalizzata per II palatalizzazione (k > c’ davanti a ě < *ai‡) si sarebbe ottenuto *ot|c:. La maggior parte degli studiosi è però di opinione contraria. Forme tipo r:ka , k)¢(™| , mr|cati valgono a corroborare la tesi secondo cui la III palatalizzazione sarebbe una trasformazione tarda: se infatti la palatalizzazione avesse preceduto la monottongazione dei dittonghi avremmo avuto *r:ca (< *răi‡ca < *răi‡ka); ugualmente in k)¢(™| , mr|cati le condizioni per la III palatalizzazione si creano solo dopo l’apertura delle sillabe e la conseguente formazione di nuove vocali nasali e nuove sonoranti (prima la velare è preceduta da consonanti: *kŭningos, *mı̆rkati). Per quanto riguarda la forma ot|ci , i sostenitori dell’anteriorità della II palatalizzazione ritengono trattarsi di analogia morfologica (dopo il passaggio k > c’ sostantivi del tipo ot|c| seguono in tutto la declinazione di tipo molle) e citano a proprio favore forme quali v|s:h) (G pl del pronome v|s| ): se fosse vera l’ipotesi dell’anteriorità della III palatalizzazione dovremmo avere G pl *v|sih) (< *vßs’ĕi‡x∞ < *vßs’ăi‡x∞ < *vßx-ŏi‡x∞). La forma v|s:h) dimostra invece che il passaggio *ăi‡ > ě e la palatalizzazione di x > s’ per II palatalizzazione (davanti a vocale di origine dittongale) è precedente alla III palatalizzazione. I sostenitori della prima ipotesi spiegano le forme del tipo v|s:h) come frutto di analogia morfologica. Il livellamento del tema è invocato dagli studiosi di questo orientamento a spiegare il comportamento dei paradigmi nominali in generale: se condizione di non realizzazione della III palatalizzazione è la presenza di ∞, y < *u- , *ŭ dopo consonante velare dovremmo avere N sg *k)¢(g| , *ot|k) , di contro ai G sg k)¢(™q (k∞ne˛≈’a) e ot|cq (otßc’a). La scarsa economicità di un paradigma in cui la consonante radicale appare ora come occlusiva velare, ora come affricata dentale, è evidente. Meno evidente è perché in alcuni casi si generalizzi l’occlusiva, in altri l’affricata. L’analogia morfologica potrebbe Fonetica 103 forse combinarsi a considerazioni di carattere semantico: così il suffisso -ikcompare in entrambe le forme (-ik- e -ic-), specializzandosi per generi (occlusiva velare per il maschile, affricata dentale per il femminile26). 21. Nuova metafonia palatale Dopo le nuove consonanti molli le vocali posteriori di ascendenza indoeuropea diventano anteriori: *a- > *e- , *u- > *ı-; *ă > *ĕ, *ŭ > *ı̆. Successivamente nei dialetti che si riflettono nell’alfabeto cirillico la *ederivata dalla metafonizzazione di *a- si aprirà in una nuova realizzazione, [’a], indicata con <a > o con il nuovo grafema: <q > (v. p. 107): 22. Slavia settentrionale e Slavia meridionale La II e la III palatalizzazione non riguardano la totalità della Slavia; come la semplificazione del nesso tl, dl, o la presenza di l epentetica nel confine di morfema, esse riflettono la frattura della Slavia in due zone, una meridionale (sud-orientale) e una settentrionale (nord-occidentale), più arcaica27, periferica rispetto al centro propulsore delle innovazioni: Slavia sud-orientale II pal.: k > c’, g > ≈’ (z’), x > s’ c:l) ‘intero’; ¢a rouc: ‘sul braccio’; ¢a ¢o™: ‘sulla gamba’; s:r) ‘grigio’ *ku‡ > cv, *gu‡ > zv cv:t) ‘fiore’; æv:æda ‘stella’ III pal.: k > c’, g > ≈’ (z’), x > s’ *vı̆x- > *vı̆s’> v|s| ‘tutto’ Slavia nord-occidentale II pal.: k > k, g > g, x > x (Novgorod) k:le ‘intero’; ¢a rouk: ‘sul braccio’; ¢a ¢og: ‘sulla gamba’; h:re ‘grigio’ *ku‡ > kv, *gu‡ > gv kv:te ‘fiore’, gv:æda ‘stella’ (Novgorod) květ, hvězda (ceco), kwiat, gwiazda (polacco) III pal.: k > c’, g > ≈’ (z’), x > x, š’ x = x: v|h| (Novgorod) x > š’: wszystek, wszystko (polacco) 26 Alla luce del comportamento del suffisso -ik- Chaburgaev propone questa riformulazione delle condizioni della III palatalizzazione: dopo i, ß, e˛, r÷ davanti alla vocale aperta a. 27 Cfr. F. V. Mareš, “Die Tetrachotomie und doppelte Dichotomie der slavischen Sprachen”, in Wiener Slavistische Jahrbuch 26 (1980), pp. 33-45; M. Enrietti, “L’apertura e la richiusura delle vocali in protoslavo”, in Europa Orientalis VI, 1987, pp. 7-24, e Id., “Di una concordanza dello slavo settentrionale col baltico (a proposito di jat’ terzo)”, in Res Balticae, 1996, pp. 39-49. Il paleoslavo 104 A questo punto il sistema consonantico del protoslavo presenta il seguente aspetto (assumo la tesi di una fase intermedia *t’, *d’, non considero l’esito dei nessi *sk, *zg, ecc. davanti a vocale anteriore e j, indico tra parentesi i fonemi presenti solo in parti della Slavia): occlusive fricative affricate nasali liquide approssimanti labiali p b v m dentali t d s(’) z(’) c’ ≈’ n rl palatali t’ d’ š’ ž’ č’ (≈ˇ ’) n’ r’ l’ j k x velari g (g) 23. Fine della parola In fine di parola si notano alcune particolarità, legate all’indebolimento dell’articolazione. Come si è già detto, dentali, fricative e liquide finali di parola cadono, la nasale viene assimilata nell’articolazione della vocale che la precede se questa è lunga, cade senza lasciare traccia se questa è breve. Le vocali tendono a chiudersi: *mate- r > mati ‘madre’ N sg28, le consonanti molli induriscono, metafonizzando le vocali che le seguono: *-t’ı̆ antica desinenza della 3ª persona sg e pl diventa *-tŭ (v. p. 162). Davanti alle desinenze *-s (N sg m) e *-n (A sg e G pl di tutte le classi flessive) la vocale posteriore breve *ă (*å < *ŏ) aumenta la labializzazione: *brat-ăs > *brat-ŭs > brat) N sg e *bratăn > *bratŭn > brat) ‘fratello’ A sg e G pl. Davanti alla desinenza *-ns (A pl di tutte le classi flessive) la vocale posteriore breve *ă (*å < *ŏ) aumenta la labializzazione: *ă > *ŭ, la vocale posteriore breve *ŭ si allunga: *ŭ > *u- . La vocale anteriore breve *ı̆ si allunga: *ı̆ > *ı-. Quando la desinenza *-ns si trova dopo consonante (Cns) la nasale interconsonantica diventa sillabica: l’elemento vocalico sviluppato dalla sonorante diventa anch’esso lungo: Cns > Cn÷s > Cı̆ns > Cı-ns > Cı-: 28 Alcuni studiosi ritengono invece che la terminazione del nominativo singolare *-te- < *-te- r sia stata rimpiazzata da -ti per analogia con i femminili in *i. 105 Fonetica *ŏ *a*ŭ *ı̆ *C -ăns > -u- ns > u-a- ns > u- ns > u-ŭns > -u- ns > u-ı̆ns > -ı-ns > -ı -Cns > -Cn÷s > -Cı̆ns > Cı- *bratăns > bratu*gora- ns > goru*su- nŭns > su- nu*kostı̆ns > kostı*materns > materı- brat¨ gor¨ s¨¢¨ kosti materi ‘fratelli’ ‘montagne’ ‘figli’ ‘ossa’ ‘madri’ Per ciò che riguarda i temi in *jŏ, *ja- , il comportamento della vocale dopo jod e davanti a s, n, ns non è coerente: davanti a s, n la labializzazione precede la metafonia, ovvero lo jod interviene al termine del processo di labializzazione e perdita della nasalità, metafonizzando la terminazione del tipo duro: *jăs > *jŭs > *j∞ > ’ß; *jăn > *jŭn > *j∞˛ > *j∞ > ’ß; *ja- n > *jo˛ > ’o˛. Davanti a ns la metafonia precede la labializzazione, che non ha luogo. La vocale anteriore breve *jĕ (< *jŏ) si allunga, quindi *je- ns (< *jŏns) e *je- ns (< *ja- ns) > -je˛29: *jŏ *ja- -jăs > -jŭs > -j∞ -jăn > -jŭn > -j∞˛ > -j∞ -jăns > -jĕns > -je- ns > -je˛ -ja- n > -jo˛ -ja- ns > -je- ns > -je˛ *konjăs > kon’ß *konjăn > kon’ß *konjăns > kon’e˛ *zemja- n > zeml’o˛ *zemja- ns > zeml’e˛ ko¢∞| ko¢∞| ko¢` æeml+ æeml` ‘cavallo’ N sg ‘cavallo’ A sg ‘cavalli’ A pl ‘terra’ A sg ‘terre’ A pl Nella declinazione agisce fortissimo il principio dell’analogia morfologica, così che spesso la spiegazione di una terminazione non va ricercata nei processi fonetici: per esempio il N sg dei sostantivi neutri in *ŏ dovrebbe coincidere con l’A sg m: *sel) < *sel-ŏ-n. Invece i neutri adottano la terminazione -o della flessione pronominale: selo ‘villaggio’ (v. p. 120). 24. Trasformazione della quantità in timbro L’ultima mutazione del tardo protoslavo è legata alla defonologizzazione dell’opposizione di quantità (non è più possibile l’esistenza di una coppia lunga/breve con i medesimi tratti distintivi di tensione30, compattezza31, 29 La vocale anteriore lunga si comporta diversamente nella Slavia orientale, dove *je- ns > *je (jat’ terzo): *konjăns > ko¢:, ‘cavalli’ A pl, *zemja- ns > æeml:, ‘terre’ A pl. 30 Si definisce teso un segmento prodotto con maggiore energia articolatoria e con caratteristiche acustiche (di intensità, timbro, durata) maggiormente rilevate rispetto al suo corrispettivo non teso (o rilassato). Il paleoslavo 106 labialità). La differenza tra le due vocali (differenza che si lega a diversi significati: per esempio *su- nŭ ‘figlio’, *sŭnŭ ‘sonno, sogno’) deve essere fondata sulla qualità del suono. La diversificazione qualitativa delle vocali alte avviene in base al tratto di tensione: le vocali lunghe più tese, quelle brevi meno tese: *ı- > i, *ı̆ > ß, *u- > y, *ŭ > ∞. La diversificazione qualitativa delle vocali basse avviene secondo diverse modalità. Per le vocali posteriori tratto distintivo è la labialità: *ă > o (accentuazione della labializzazione) *a- > a (perdita della labializzazione e aumento dell’apertura). In quanto alla coppia *ĕ / *e- , i dialetti riflessi nell’alfabeto glagolitico mostrano i seguenti esiti: la breve più chiusa (*ĕ > e), la lunga più aperta (*e- > æ)32. Il grafema A indica in glagolitico un suono vocalico aperto che continua sia *e- dopo consonante non palatale (m:sto < *me- t-t-o ‘posto’, cfr. latino me- ta), sia *e- dopo consonante palatale (kri~:ti < *krik-e- -ti), sia *e- 2 di origine dittongale (c:¢a < *ka- i‡-na), sia *e- derivante dalla metafonizzazione di *a- dopo consonante palatale (mo: < *măi‡-a): *ı- > *ı̆ > *ĕ > *e- > (’)i (’)ß (’)e (’)ä *u- > *ŭ > *ă > *a- > y ∞ o a Diversa è la realtà descritta dai creatori dell’alfabeto cirillico, per i quali m:sto non si pronuncia affatto come moq . In posizione dopo consonante palatale la *e- indoeuropea e la *e- derivante dalla metafonizzazione di *acoincidono in una nuova vocale molto aperta, [’a], che può stare solo dopo vocale, dopo jod o dopo consonante palatale e si indica con un nuovo grafema: <q > (o anche <a > dopo č, ž, š, št, žd, c): moq , kri~ati . Rispetto a questa 31 Si definisce compatto un segmento caratterizzato da concentrazione di energia nella parte centrale dello spettro acustico: /a/ è più compatta di /e/, che è più compatta di /i/. 32 Questo processo sembra divergere da quello spontaneo, per cui a chiudersi sono le vocali lunghe. Un’interessante spiegazione, che ipotizza un influsso straniero, e specificamente quello del latino di Dacia, sullo slavo, è proposta da Enrietti: M. Enrietti, “La caduta degli jer quarta ‘legge’ del protoslavo?”, in Ricerche slavistiche XLV-XLVI (1998-1999), pp. 87-97. 107 Fonetica vocale, sia la *e- i.e. dopo consonante non palatale sia *e- 2 ha una articolazione meno aperta, non possiede correlato posteriore, e non può mai trovarsi dopo consonante palatale (ad eccezione delle palatali frutto di II e III palatalizzazione c’, ≈’, z’, s’): a indicarla si usa il grafema <: >33: *ı- > *ı̆ > *ĕ > *e- > *e- > (’)i (’)ß (’)e ě ’a *u- > *ŭ > *ă > y ∞ o *a- > a 25. Nuove alternanze vocaliche Il nuovo vocalismo si riflette naturalmente sui fenomeni apofonici ereditati dalle più antiche alternanze indoeuropee, qualitative e quantitative: alternanze quantitative: alternanze qualitative: alternanze quantitativo-qualitative: *ŏ/*o- > o/a; *ĕ/*e- > e/ě; *ı̆/*ı- > ß/i; *ŭ/*u- > ∞/y *e- /*o- > ě/a; *ĕ/*ŏ > e/o *ĕ/*ı̆ > e/ß; *e- /*ı̆ > ě/ß; *ă/*ŭ > o/∞; *ŭ/*ou‡ > ∞/u Tutte queste alternanze hanno valore tematico, oppongono temi verbali a temi nominali, formano coppie aspettuali (verbi perfettivi e verbi imperfettivi), servono a individuare azioni brevi e unidirezionali (ex vocale breve) e azioni di durata indefinita, o più volte ripetuta (ex vocale lunga), differenziano il tema del presente dal tema dell’infinito: s)b|rati ‘raccogliere’ perf., s)ber\ ‘io raccolgo’ perf., s)birati ‘raccogliere’ imperf., s)bor) ‘raccolta’; pos)lati ‘inviare’ perf., pos¨lati ‘inviare’ imperf.; sko~iti ‘fare un salto’, skakati ‘saltare’; ¢esti , ¢ositi ‘portare’, ¢osila ‘barella’; s:d:ti ‘essere seduti’, saditi ‘piantare’; æ)vati ‘chiamare’, æov\ ‘io chiamo’, g)¢ati ‘inseguire’, je¢\ ‘io inseguo’, go¢iti ‘perseguitare’; sv:titi ‘illuminare’, sv:t) ‘luce’, sv|t:ti s( ‘illuminarsi’; douhati e d¨hati ‘respirare’, douh) ‘spirito’, d)h¢ove¢ie ‘respiro’. 33 L’evoluzione ulteriore di ě nelle diverse lingue slave è varia: in slavo orientale è sospinto in alto, contrapponendosi a [e] (fonema medio-basso, aperto come “è” in italiano) come fonema medio-alto chiuso, dalla probabile pronuncia dittongale [ıe Ø ]. In ucraino la chiusura si accentua ancora: [i]. Alla diversa pronuncia dello jat’ si deve la suddivisione del serbo e del croato in ikavo, ekavo e ijekavo. 108 Il paleoslavo 26. Gli jer Si chiamano jer (dal nome del grafema in paleoslavo) le vocali ridotte nate nel momento in cui la quantità si perde e le vocali si differenziano per timbro: si distingue uno jer posteriore, detto jer duro (∞ < *ŭ) e uno jer anteriore, detto jer molle (ß < *ı̆). Diversamente da quanto si è detto delle altre vocali, il valore delle vocali ridotte dipende dalla loro posizione: in posizione forte la loro pronuncia doveva essere più netta, in posizione debole più indistinta. Gli jer sono deboli in tre posizioni: 1) alla fine di una parola (o meglio di unità accentuale) non monosillaba; 2) in posizione atona, davanti a una sillaba che contenga una vocale piena; 3) in posizione atona, davanti a una sillaba che contenga ∞, ß in posizione forte (che cioè valgono come una vocale piena). Gli jer sono forti in due posizioni: 1) sotto accento34; 2) a prescindere dall’accento, quando precedono una sillaba che contiene ∞, ß in posizione debole. Quando precedono jod, anche nel confine di due parole, gli jer si tendono, riacquistando il valore della vocale piena. Infatti, se lo jer davanti a jod si tende, le vocali, al contrario, si riducono35, così che /y/ e /∞/, /i/ e /ß/ davanti a jod coincidono in un unico suono, che indichiamo con ∞• , ß• o più raramente con y• , •ı: ∞j > ∞• [y], ßj > ∞• [i] L’equivalenza fonetica delle sequenze (ßj = ij e ∞j = yj) può dare luogo a oscillazioni nella grafia: cfr. i sostantivi neutri formati con il suffisso -ß• je del tipo æ¢ame¢i& / æ¢ame¢|& ‘segno’, e i collettivi in -ß• ja del tipo bratiq / brat|q ‘confraternita’ (morfologicamente femminili singolari); delle due grafie è normativa la prima. Già nel periodo paleoslavo gli jer tendono a confondersi (la scelta tra ∞ e ß non è più etimologica e dipende dalle scuole scrittorie) o a essere omessi (quasi sempre nella prima sillaba: m)¢ogo > m¢ogo ). In alcuni manoscritti del 34 Ma cfr. l’opinione contraria di A. Zaliznjak, Nezavisimost’ evoljucii reducirovannyx ot udarenija v vostočnoslavjanskom. Struktura teksta-81. Tezisy simpoziuma. M. 1981, pp. 28-31. 35 Ricordiamo l’esito del dittongo *ei‡ davanti a V, con l’assimilazione della vocale e > i > ß (cfr. N pl m dei nomi in *i *gost-ĕi‡-es > gostß•je con doppia grafia gosti& / gost|&). 109 Fonetica canone si nota la tendenza a usare ß davanti a sillaba che contenga vocale anteriore, ∞ davanti a sillaba che contenga vocale posteriore (assimilazione detta ‘legge di Jagić); ∞ prevale in posizione finale e dopo š, č, ž, št, žd, c, z < dz (labiovelarizzazione detta ‘legge di Kul’bakin’). Al momento della dissoluzione dello slavo comune la sorte degli jer varia nelle diverse zone della Slavia, con alcune costanti: gli jer (tesi e non) in posizione debole cadono (al loro posto può comparire ß o più raramente ∞ con funzione grafica); gli jer (tesi e non) in posizione forte sono sostituiti da altre vocali (si vocalizzano): ß > [e], ∞ > [o] nello slavo orientale e nei dialetti macedoni. Questo si riflette sulla morfologia: N sg m degli aggettivi di tipo duro *∞jß > -oi, N sg m degli aggettivi di tipo molle *ßjß > -ei. In molti dialetti bulgari ∞ > [ƒ] (graficamente <∞>), ß > [e], in altri ∞ e ß > [ƒ] (graficamente <∞>) in tutte le posizioni. In serbo e in croato ∞ e ß > [ƒ] (graficamente <ß>, sino al XIV secolo) e poi quasi sempre [a] (graficamente <a>). In sloveno entrambi gli jer danno [ƒ] (graficamente <e>) quando la vocale è breve, danno [a] quando la vocale è lunga. In slovacco gli esiti sono molto differenziati: per ß prevale l’esito [e] accanto agli esiti [a], [a:], graficamente <á>) e [o]; per ∞ prevale l’esito [o] accanto agli esiti [e], [a], [a:]: protoslavo paleoslavo bulgaro macedone serbo croato sloveno slovacco ceco polacco ucraino bielorusso russo ß *dı̆n-ı̆-s dßnß den den dan dan dan dnes den dzień denß dzenß denß ∞ *sŭn-ŭ-s s∞n∞ s∞n son san san sen sen sen sen son son son Morfologia 1. Le parti del discorso Le parole del protoslavo appartengono a due fondamentali categorie, quella del nome e quella del verbo. I nomi si declinano. I verbi si coniugano. Comuni al nome e al verbo sono le categorie di genere (maschile, femminile, neutro) e numero (singolare, duale, plurale). Inoltre, il nome muta secondo la categoria di caso, il verbo secondo quelle di persona, di tempo e di modo. Alla categoria del nome appartengono sostantivi e aggettivi, che seguono la flessione nominale. Al suo interno si individua una classe chiusa formata da alcuni sostantivi e da alcuni aggettivi che seguono un tipo particolare di flessione, detta flessione pronominale. L’una e l’altra sono articolate in tre generi, tre numeri e sei casi: nominativo (N), genitivo (G), dativo (D), accusativo (A), strumentale (S) e locativo (L). Al singolare la flessione nominale conosce una particolare forma allocutiva: il caso vocativo (V). I verbi possono essere attivi, riflessivi (con l’aggiunta del pronome di 3ª persona al caso accusativo: s( ) o passivi (costruzione analitica con il participio passivo). Dei quattro modi verbali dell’indoeuropeo il protoslavo conserva il modo indicativo e quello ottativo, le cui forme vengono reinterpretate quali forme dell’imperativo. Il sistema dei tempi finiti, comune alla maggior parte delle lingue i.e. (presente, futuro, imperfetto, aoristo, perfetto, piuccheperfetto) è arricchito dallo svilupparsi di un complesso sistema di opposizioni aspettuali. Sia i nomi che i verbi sono analizzabili in tema e desinenza. La desinenza (o flessione) è un elemento variabile che si aggiunge al tema ed esprime il numero, il genere e il caso (per i nomi), la persona, il tempo e il numero (per i verbi). Ciò che resta della parola, eliminata la desinenza, è il tema. Questo è composto dalla radice e da eventuali suffissi. 112 Il paleoslavo I suffissi possono essere vocalici o consonantici, tematici o non tematici. I suffissi tematici determinano l’appartenenza dei nomi e dei verbi a diverse classi: i nomi si classificano in nove tipi flessivi; i verbi si classificano in due coniugazioni in base al suffisso tematico del presente, mentre il suffisso dell’infinito individua un sistema complesso di gruppi e sottotipi. Le desinenze si uniscono direttamente alla radice in pochi casi eccezionali, per esempio *kry, in russo кровь ‘sangue‘, che si usa ancora oggi in alcune parlate slave occidentali, oppure *bry, in russo бровь ‘sopracciglio’: di norma tra la radice e la desinenza è sempre presente un suffisso tematico. L’insieme costituito dalla desinenza e dal suffisso tematico si chiama ‘terminazione’. Nella flessione nominale sono numerosi i suffissi non tematici che si inseriscono tra la radice e la vocale tematica e, non incidendo sulla appartenenza del nome a una classe di declinazione, ne modificano il significato: possono formare diminutivi o peggiorativi, derivare da un nome un aggettivo, da un’azione il nome di colui che la compie ecc. Se chiamiamo P un eventuale prefisso, R la radice, S eventuali suffissi non tematici, VT i suffissi tematici vocalici, CT i suffissi tematici consonantici, D la desinenza otteniamo le seguenti possibili combinazioni: per i temi vocalici (P)-R-(S)-VT-D, per i temi consonantici (P)-R-CT-D. 2. Il nome Il sistema della flessione nominale slavo comune, già in crisi nella fase testimoniataci dal paleoslavo, si compone di quattro classi con tema vocalico (*ŏ, *a- , *ı̆, *ŭ), una classe con tema vocalico al N sg (*u- ) e consonantico nel resto della declinazione (-∞v- < *ŭu‡), quattro classi con tema consonantico (*n, *nt, *s, *r). Le classi più ricche e produttive, quelle dei temi in *ŏ e in *a- , contengono al proprio interno un sottotipo, detto ‘tipo molle’, caratterizzato dalla presenza del suffisso -j-: i temi in *jŏ e i temi in *ja- . La legge della sillaba aperta, e le conseguenti modificazioni che interessano la fine della parola (caduta di consonanti, monottongazione di dittonghi, formazione di vocali nasali), hanno determinato la fusione della vocale 113 Morfologia tematica e della desinenza in un sistema di terminazioni, che, pur derivando da quella i.e., si presenta nel paleoslavo in una veste fonetica nuova1: N G maschile neutro -) -o -’| -a -a -’a rab), raba -’e -’a -ii -ie -iq -iq jr:bii, jr:biq -a -y vo&voda, vo&vod¨ -’a -’( qd|ca, qd|c( -’i -iq -i(i) -’( -i` -i` s\dii, s\di` ko¢∞| , ko¢q m\j|, m\ja femminile l:to, l:ta pol&, polq s)¢|mi}e, s)¢|mi}a æ¢ame¢i&, æ¢ame¢iq je¢a, je¢¨ æemlq, æeml` dou{a, dou{( bog¨¢∞i , bog¨¢` æmiq, æmi` ml)¢i(i), ml)¢i` 1 Cfr. la Tabella delle desinenze indoeuropee proposta da A. Schenker in The dawn of Slavic. An Introduction to Slavic Philology, cit., p. 124: consonante Sg N -s, -ø G -ĕs D -ĕi‡ A -m ÷ L -ı̆ S -mı̆ V -ø Du NA -ı-, -eGL -ŏu‡s DS -moPl N -ĕs G -ŏm/-o-m D -mŭs A -n÷s L -sŭ S -mı-s -ŭ-ŭ-s -ŏu‡-s -ŏu‡-ĕi‡ -ŭ-m -ŏu‡-ø -ŭ-mı̆ -ŏu‡-ø -ŭ-ĕ > -u-ŏu‡-ŏu‡s -ŭ-mo-ŏu‡-ĕs -ŏu‡-ŏm -ŭ-mŭs -ŭ-n÷s -ŭ-sŭ -ŭ-mı-s -ı̆-ı̆-s -ĕi‡-s -ĕi‡-ĕi‡ -ı̆-m -e-i‡-ø -ı̆-mı̆ -ĕi‡-ø -ı̆-ĕ > -ı-ĕi‡-ŏu‡s -ı̆-mo-ĕi‡-ĕs -e-i‡-ŏm -ı̆-mŭs -ı̆-n÷s -ı̆-sŭ -ı̆-mı-s -ŏ-ŏ-s -ŏ-ad > -a-d (Abl.) -ŏ-ĕi‡> -o-i‡ -ŏ-m -ŏ-ı̆ -ŏ-mı̆ -ĕ-ø -ŏ-ĕ > -o-ŏ-ŏu‡s > -o-u‡s -ŏ-mo-ŏ-ĕs -ŏ-ŏm > -o-m -ŏ-mŭs -ŏ-n÷s -ŏi‡-sŭ -ŏ-ŏi‡s > -o-i‡s -a--a--ø -a-s -a--ĕi‡ > -a-i‡ -a--m -a--ı̆ -a--m -ă-ø -a--i‡ -a--ŏu‡s > -a-u‡s -a--mo-a--ĕs > -a-s -a--ŏm > -a-m -a--mŭs -a--n÷s -a--sŭ -a--mı-s 114 Il paleoslavo N G maschile neutro femminile -| -i p\t|, p\ti -) -ou s¨¢), s¨¢ou -y -( -( -e¢e -e¢e -(te kam¨, kame¢e -o -ese -y -)ve cr|k¨, cr|k)ve -i -ere mati, matere kost|, kosti im(, ime¢e otro~(, otro~(te slovo, slovese La fonetica storica permette tuttavia di risalire dalle terminazioni paleoslave elencate alle desinenze indoeuropee, e dunque di continuare a classificare i sostantivi nelle classi flessive tradizionali (nomi in *ŏ, nomi in *a- ecc.). Il nominativo singolare dell’indoeuropeo aveva ha tre possibili marche: 1) *-s (lupus, amicus); 2) *-ø (femina); 3) allungamento dell’ultima vocale (*matĕr- > mate- r; *patĕr- > pate- r). Delle tre, la prima elencata è probabilmente la più recente: un più antico nominativo, uguale al puro tema, ci sarebbe testimoniato oggi dal vocativo, nato per scissione dall’antico nominativo al momento della comparsa della marca *-s. L’accusativo singolare ha un’unica marca utilizzata da tutti i tipi flessivi, la consonante nasale i.e. *-m (o *-n), che il neutro generalizza al caso nominativo (castrum). Proprie della lingua comune sono anche le desinenze del plurale: nominativo plurale *-es, accusativo plurale *-ns. La situazione è più complessa nei casi obliqui. Il genitivo singolare i.e. aveva due marche: 1) *-s: nox, noctis; dux, ducis; familia, familias (cfr. il genitivo sassone, o cognomi spagnoli del tipo Sanchez ‘figlio di Sancho’); 2) *-i: lupus, lupi; amicus, amici; terra, *terrai > terrae (cfr. cognomi italiani del tipo Paoli, Agostini ‘figlio di Paolo, figlio di Agostino’. Da questo genitivo in *-i sarebbe anche derivato il suffisso -i quale marca del femminile singolare, figlia, moglie o sorella ‘di qualcuno’). 115 Morfologia Il dativo aveva parimenti due marche, una di maggiore diffusione: *-i; una di uso limitato ai temi in *ŏ e dall’origine discussa: *-o- (cfr.: “quo vadis”, moto a luogo). Il locativo, lo strumentale e l’ablativo (per limitare il nostro inventario a sette casi) non sono presenti con altrettanta costanza nelle diverse lingue i.e., e anche le loro desinenze non si possono far risalire alle fasi più arcaiche della lingua comune. Con un processo detto sincretismo le diverse lingue hanno accorpato e ridistribuito le funzioni svolte da casi diversi in base a diversi processi logici: così il latino ha riunito nel solo ablativo le funzioni svolte da locativo e strumentale, il greco ha accorpato dativo, locativo e strumentale in un unico caso dativo, e ha fuso insieme genitivo e ablativo; il baltico e lo slavo hanno fuso insieme genitivo e ablativo. Il protoslavo, che non ha il caso ablativo, ne utilizza la desinenza i.e. *-ad per il genitivo singolare maschile e neutro dei temi in *ŏ (tutti gli altri temi utilizzano la desinenza i.e. *-s). Il locativo utilizza la desinenza i.e. *-i, uguale a quella del dativo, per i temi con suffisso tematico vocalico, e generalizza la desinenza *-en a tutti i temi con suffisso tematico consonantico. Questa *-en non è in realtà una desinenza, ma una preposizione posposta (“Italia in”), come preposizioni posposte erano probabilmente quelle utilizzate quali desinenze dello strumentale singolare *-mı̆, duale *-mo- e plurale *-mı-s, e del dativo plurale *-mŭs. Al genitivo plurale il protoslavo utilizza la desinenza *-ŏn (i.e. *-o- n) generalizzata a tutti i tipi flessivi con processi di analogia morfologica. L’inventario delle desinenze è comune a tutte le classi. Il significato casuale può essere espresso dalla vocale tematica, che si allunga (*ŏ > *a- , *ı̆ > *ı-, *ŭ > *u- ) e si dittonga (*ŏ > *ŏi‡, *ı̆ > *ĕi‡, *ŭ > *ou‡): N G D A S L temi in *ŏ -ŏi‡ temi in *a-ăi‡ -ăi‡ temi in *ı̆ -ĕi‡ -ĕi‡ -ĕi‡ temi in *ŭ -ŏu‡ -ŏu‡ -ŏu‡ 116 Il paleoslavo NA GL DS N G D A S L temi in *ŏ -a- (m); -ŏi‡ (n) -ŏi‡ (maschili) -ŏi‡ temi in *a-ăi‡ - temi in *ı̆ -ı-ĕi‡ -ĕi‡ (maschili) -ĕi‡ - temi in *ŭ -u-ŏu‡ -ŏu‡ -ŏu‡ - Per alcune forme si danno diverse ricostruzioni: la terminazione -: del L sg dei temi in *ŏ e in *a- può originarsi da *ŏi‡ e desinenza *ø, o dall’unione di vocale tematica *ŏ e desinenza *-i, e analogamente potrebbero essersi formati il D sg dei temi in *a- e il N pl dei temi in *ŏ, la cui terminazione sarebbe frutto di analogia con la flessione pronominale (v. p. 145). 3. Temi in *aLa classe di declinazione in *a- comprende nomi femminili e alcuni nomi maschili, formati con l’ausilio dei suffissi tematici *a- , *ja- . 1) Il suffisso *a- forma il cosiddetto tipo duro, che comprende nomi femminili (aggettivi e sostantivi): dobra je¢a ‘buona donna’, sv(ta gora ‘montagna sacra’, e sostantivi maschili come vlad¨ka ‘signore’, voevoda ‘condottiero’, slouga ‘servo’. La vocale tematica *a- alterna con *ă (> o) al caso vocativo e con il dittongo *ăi‡ al caso strumentale sg e NA duale: N G D A L S V *nog - a- - ø *nog - a- - ns *nog - a- - ei‡ *nog - a- - n *nog - a- - i *nog - ăi‡ - o˛ *nog - ă NA GL DS *nog - ăi‡ *nog - a- - ou‡s *nog - a- - mo- (åns > u- ns > u- ; analogia N pl) (ăi‡ > ě; g > ™) (ån > o˛) (ăi‡ > ě; g > ™) (cfr. decl. pronominale) (ăi‡ > ě; g > ™) (åu > åu‡ > u- ) ¢oga ¢og¨ ¢o™: ¢og\ ¢o™: ¢ogo+ ¢ogo ¢o™: ¢ogou ¢ogama 117 Morfologia N G D A L S *nog - a- - ns *nog - a- - ŏn *nog - a- - mŭs *nog - a- - ns *nog - a- - sŭ *nog - a- - mı-s (åns > u- ns > u- ; analogia A pl) (ŏn > ŭn > ∞; analogia temi in -C) (åns > u- ns > u- ) (s > x per analogia) ¢og¨ ¢og) ¢ogam) ¢og¨ ¢ogah) ¢ogami La desinenza *-ns (A pl) è estesa al G sg e al N pl per analogia con i temi in *ı̆, e per evitare la coincidenza della terminazione di N sg e N pl *-a- (< *-a- s). La terminazione dello S sg è frutto di analogia con la flessione pronominale (v. p. 145). La terminazione originaria dei temi in *a- (*-o˛ < *-a- -m) si innesta sul suffisso tematico dello S sg f della flessione pronominale, il dittongo *ăi‡, e non si metafonizza (*-oje˛) in forza del principio di analogia morfologica. Diversamente S sg e A sg coinciderebbero nella terminazione: -\ < *-a- -m. La terminazione -ah) del L pl (s > x) è dovuta a livellamento analogico: in tutte le altre classi di declinazione la fricativa è infatti preceduta da *ı̆, *i‡, *ŭ (scatta cioè la legge di Pedersen). Lo slavo è l’unica lingua i.e. a utilizzare la desinenza *-ŏn (invece di *-o- n) al G pl. La terminazione -) si estende dai temi in consonante a quelli in vocale. 2) Il suffisso *ja- forma il cosiddetto tipo molle, che comprende nomi femminili e un piccolo gruppo di nomi maschili, spesso indicanti professioni: dr:vod:lq ‘falegname’, pr:d)te~a ‘precursore’. Lo jod palatalizza le consonanti della radice, che provocano la metafonia palatale della vocale tematica: N G D A L S V *zem - ja- - ø *zem - ja- - ns *zem - ja- - ĕi‡ *zem - ja- - n *zem - ja- - i *zem - jăi‡ - o˛ *zem - jă NA GL DS *zem - jăi‡ *zem - ja- - ou‡s *zem - ja- - mo- (je- ns > je˛) (je- i‡ > ’i) (jån > jo˛) (jăi‡ > jĕi‡ > ’i) (cfr. decl. pronominale) (jĕi‡ > ’i) (je- u > jĕu‡ > ’u- ) æemlq (æeml:) æeml` æeml∞i æeml+ æeml∞i æeml&+ æeml& æeml∞i æeml< æemlqma 118 N G D A L S Il paleoslavo *zem - ja- - ns *zem - ja- - ŏn *zem - ja- - mŭs *zem - ja- - ns *zem - ja- - sŭ *zem - ja- - mı-s (je- ns > je˛) (∞ > ß; analogia temi in -C) (je- ns > je˛) (s > x per analogia) æeml` æeml∞| æemlqm) æeml` æemlqh) æemlqmi A questo sottotipo appartengono anche i nomi femminili in consonante palatalizzata per III palatalizzazione: *ŏwı̆ka- > ov|ca ‘pecora’, *pŭtika- > p)tica ‘uccello’. La affricata dentale c’ provoca la metafonia della vocale tematica, cosicché le terminazioni di questo gruppo di nomi tendono a coincidere con quelle del tipo molle. Il livellamento analogico porta quindi alla totale identità delle forme (L sg ov|ci invece che *ov|c: ; cfr. p. 102). Diverse grafie rimandano a diverse tradizioni (glagolitiche e cirilliche) e al progressivo indurimento delle consonanti molli: owDcA, ov|c: , ov|cq , ov|ca ‘pecora’. Due gruppi di sostantivi femminili e maschili hanno terminazione -i . Si tratta di nomi che seguono la declinazione molle, formati forse per mezzo del suffisso *-jƒ, che rappresenta il grado ridotto di *-ja- , e dei suffissi -ß- e -yn- (v. p. 123 e p. 127): s\dii ‘giudice’, balii ‘medico’, v:tii ‘oratore, poeta’, korab|~ii ‘marinaio’, kr)m|~ii ‘timoniere’, k)¢ig)~ii ‘uomo di lettere’, lov|~ii ‘cacciatore’; gr)d¨¢∞i ‘orgoglio’, rab¨¢∞i ‘schiava’ (< *orb-u- n-jƒ), k)¢(g¨¢∞i ‘principessa’ (< *kŭning-u- n-jƒ), poust¨¢∞i ‘deserto’. Mentre i sostantivi in -¨¢∞i sono tutti femminili, i sostantivi formati per mezzo del suffisso -ß- (*-ßjƒ > *-ß•-ı > -ii ) sono prevalentemente maschili (con due sole eccezioni: *old-ßjƒ > ladii ‘barca’, *ml÷n-ßjƒ > ml)¢ii ‘fulmine’). La presenza dello jer impedisce allo jod di iodizzare la consonante precedente (cfr. s\dii e non *so˛žd’i). 4. Temi in *ŏ La classe di declinazione in *ŏ comprende nomi maschili e neutri; la vocale tematica è *ŏ, che alterna nel corso della declinazione con *o- (NA duale m, NA pl n), con *ĕ (V sg m) e con il dittongo *ŏi‡ (NA duale n, L pl m n). La classe si divide in due tipi, duro e molle (nomi in *ŏ e nomi in *jŏ). 119 Morfologia 1) Al tipo duro appartengono nomi maschili (che escono al N sg in -) : l<t) vrag) ‘fiero nemico’, ¢ov) grad) ‘nuova città’) e nomi neutri (che escono al N sg in -o : staro selo ‘vecchio villaggio’, t(j|ko igo ‘pesante giogo’): N G D A L S V *vrag - ŏ - s *vrag - ŏ - ad *vrag - ŏ - ou‡ *vrag - ŏ - n *vrag - ŏ - i *vrag - ŏ - mı̆ *vrag - e NA GL DS *vrag - o*vrag - ŏ - ou‡s *vrag - ŏ - mo- N G D A L S *vrag - ŏ - i *vrag - ŏ - ŏn *vrag - ŏ - mŭs *vrag - ŏ - ns *vrag - ŏi‡ - sŭ *vrag - ŏ - is (ŭs > ŭ) (a- d > a- ) (o- u‡ > u- ) (ŭn > ŭ) (oi‡ > ě; g > ™) (g > ž) (o- u‡ > u- ) (oi‡ > i; g > ™; cfr. decl. pron.) (ŭn > ŭ > ∞; analogia temi in -C) (ŭns > u- ns > u- ) (s > x per Pedersen) vrag) vraga vragou vrag) vra™: vragom| vraje vraga vragou vragoma vra™i vrag) vragom) vrag¨ vra™:h) vrag¨ Non tutte queste forme hanno una spiegazione soddisfacente: non c’è accordo sul precoce passaggio *-ŏs > *-ŭs > -). Secondo Enrietti, Schenker e altri la terminazione -) del N sg dei temi in *ŏ è originariamente terminazione dei temi in *ŭ (*ŭ > -) ), estesa ai temi in *ŏ per analogia, come ‘marca’ del genere maschile2. Di difficile spiegazione è anche la forma del D sg, che dovrebbe essere *-ŏi‡ > -: , e quella dello S pl (la ricostruzione di Seliščev, per cui *-ŭis > *-ŭi > -¨ , non è accettata da tutti). Le terminazioni di N e L pl sono invece di sicura origine pronominale: N pl *-ŏi‡ > -i (invece di *-ŏ-es > *-o- s), L pl *-ŏi‡-sŭ > -:h) (invece di *-ŏ-sŭ > *-os∞). Poiché in paleoslavo l’ordine delle parole nella frase non fornisce indicazioni utili a individuare la direzione dell’azione, la coincidenza delle terminazioni dei casi N e A sg rende sintatticamente ambigui gli enunciati in 2 Se non si ipotizza un precoce passaggio *kŭningŏs > *kŭningŭs anche la forma k∞ne˛≈∞, con la sua III palatalizzazione attiva davanti a ŭ, cessa di costituire un problema. 120 Il paleoslavo cui soggetto e complemento oggetto siano esseri animati cui si riconosce la potenzialità di essere effettivamente soggetti (dunque non servi, non figli minorenni, non animali e non oggetti): se ~lov:k) eter) pos)la rab) può solo significare che un tale ha inviato il suo servo, e pri`t) isous) hl:b) può solo significare che Gesù ha preso il pane, petr) pos)la ioa¢¢) può essere intepretata tanto nel senso che Pietro ha inviato Giovanni, quanto al contrario nel senso che Giovanni ha inviato Pietro. Per disambiguare queste proposizioni si elabora in paleoslavo una categoria che avrà larga fortuna nelle lingue slave moderne, quella della animatezza (in russo одушевленность). Quando complemento oggetto è un sostantivo maschile animato, potenzialmente capace di essere soggetto dell’azione, questa sua funzione sintattica viene espressa dal caso genitivo, che in slavo poteva già sostituirsi all’accusativo in diversi contesti (per esempio nelle frasi negative, o con valore partitivo): si dirà petr) pos)la ioa¢¢a nel caso che Pietro abbia inviato Giovanni, petra pos)la ioa¢¢) nel caso che Giovanni abbia inviato Pietro. La declinazione di un nome neutro del tipo duro si dovrebbe differenziare da quella maschile nei soli casi NA duale e plurale. L’analogia morfologica estende però ai nomi neutri di questa classe le terminazioni dei pronomi neutri al NA sg: to < *tod (cfr. latino istud): NA G D L S *sel - ŏ - n *sel - ŏ - ad *sel - ŏ - ou‡ *sel - ŏ - i *sel - ŏ - mı̆ (ŭn > ŭ; ma per an. morf. -o) (a- d > a- ) (o- u‡ > u- ) (oi‡ > ě) selo sela selou sel: selom| NA GL DS *sel - ŏi‡ *sel - ŏ - ou‡s *sel - ŏ - mo- (oi‡ > ě) (o- u‡ > u- ) sel: selou seloma NA G D L S *sel - o*sel - ŏ - ŏn *sel - ŏ - mŭs *sel - ŏi‡ - sŭ *sel - ŏ - is (ŭn > ŭ> ∞; analogia temi in -C) (s > x per Pedersen) sela sel) selom) sel:h) sel¨ 121 Morfologia Fanno morfologicamente parte di questo sottotipo anche nomi maschili in vocale del tipo krai < *krai-ŏs. Tuttavia, poiché la i in posizione intervocalica si riduce a i‡, la declinazione di questi nomi segue in tutto il tipo molle: N *krai-os > *krai‡-ß > krai , G *krai-oad > *krai‡-a- > kraq . 2) Il suffisso *jŏ forma il cosiddetto tipo molle: jod iodizza le consonanti della radice, che provocano la metafonia palatale delle vocali posteriori: N G D A L S V *kon - jŏ - s *kon - jŏ - ad *kon - jŏ - ou‡ *kon - jŏ - n *kon - jŏ - i *kon - jŏ - mı̆ *kon - jou‡ (∞ > ß) (a > æ/ja) (u > ’u) (∞ > ß) (ě > i) (o > e) (analogia temi in -ŭ) ko¢∞| ko¢q (ko¢∞:) ko¢< ko¢∞| ko¢∞i ko¢&m| ko¢< NA GL DS *kon - jo*kon - jŏ - ou‡s *kon - jŏ - mo- (a > æ/ja) (u > ’u) (o > e) ko¢q (ko¢∞:) ko¢< ko¢&ma N G D A L S *kon - jŏ - i *kon - jŏ - ŏn *kon - jŏ - mŭs *kon - jŏ - ns *kon - jŏi‡ - sŭ *kon - jŏ - is (ei‡ > i; cfr. decl. pron.) (∞ > ß; analogia temi in -C) (o > e) (je- ns > je˛) (ě > ’i) (y > ’i) ko¢∞i ko¢∞| ko¢&m) ko¢` ko¢∞ih) ko¢∞i La declinazione di un nome neutro del tipo molle presenta rispetto a quella maschile le stesse differenze del tipo duro; l’analogia morfologica estende ai nomi neutri di questa classe le terminazioni dei pronomi neutri al NA sg: NA G D L S *pol - jŏ - n *pol - jŏ - ad *pol - jŏ - ou‡ *pol - jŏ - i *pol - jŏ - mı̆ NA GL DS *pol - jŏi‡ *pol - jŏ - ou‡s *pol - jŏ - mo- (∞ > ß; ma per an. morf. -e) pol& polq pol< pol∞i pol&m| pol∞i pol< pol&ma 122 NA G D L S Il paleoslavo *pol - jo *pol - jŏ - ŏn *pol - jŏ - mŭs *pol - jŏi‡ - sŭ *pol - jŏ - is polq pol∞| pol&m) pol∞i h) pol∞i A questo sottotipo appartengono anche i nomi maschili e neutri in velare palatalizzata (III palatalizzazione): *kŭning-ŏs > k)¢(™| ‘principe’, *kr÷dı̆k-ŏn > sr|d|ce ‘cuore’. Le consonanti molli c’ e ≈’ provocano la metafonia delle terminazioni, che vengono a coincidere in larga misura con quelle del tipo molle. Il livellamento analogico porta quindi alla totale identità delle forme (cfr. L sg ot|ci invece che *ot|c: ; v. p. 101). Al G sg diverse grafie rimandano a diverse tradizioni (glagolitiche e cirilliche) e al progressivo indurimento delle consonanti molli: otDcA, ot|c: , ot|cq , ot|ca ‘del padre’. Quando lo jod è preceduto da vocale, sia che questa appartenga alla radice (*krai-), sia che appartenga al suffisso (cfr. infra) il nome esce in -i : *krai-ŏs > *krai‡-ß > krai ‘fine’, *žrěb-ßj-ŏs > *žrěb-ß•jß > jr:bii ‘sorte’, *gvozd-ßj-ŏs > *gvozd-ß•jß > gvoædii ‘chiodo’, *ob-vu- k-e- jŏs > *obyč-ajß > ob¨~ai ‘uso’, s)lu~ai ‘caso’, *xod-atajŏs > *xod-atajß > hodatai ‘intercessore’, ratai ‘aratore’. 5. Principali suffissi derivativi dei nomi in *ŏ e in *aTra i suffissi utilizzati per la derivazione nominale nelle classi flessive *ŏ e in *a- il primo posto spetta al suffisso -j-, che come abbiamo detto forma i temi in *jŏ e in *ja- . Nella derivazione dei nomi aggettivi il suffisso -j- ha valore possessivo: così da iqkov) si forma il possessivo iqkovl∞| (*ijakov-j-ŏs) ‘di Giacomo’, da k)¢(™| si forma k)¢(j| (*kŭning-j-ŏs) ‘principesco’, da ot|c| il possessivo ot|~| (*ŏtı̆k-j-ŏs) ‘paterno’. Il suffisso -j- può essere preceduto dai suffissi -ß-, -ě-, -ata- e altri. Il più importante di questi composti è -ß•j-, che forma nomi aggettivi e nomi sostantivi. Nella derivazione di nomi aggettivi -ß•j- ha lo stesso significato di appartenenza del suffisso -j-: p|sii (*pßs-ß• j-ß), p|si& (*pßs-ß• j-e), p|siq Morfologia 123 (*pßs-ß• j-a), ‘canino’; bojii (*bog-ß• j-ß), boji& , bojiq ‘divino’. Nella derivazione di nomi sostantivi forma femminili (-ß•j-a- ) con valore collettivo del tipo bratriq o bratiq ‘confraternita’ (lo stesso sostantivo passerà poi a significare il N pl di bratr) o brat) ‘fratello’), alcuni maschili in -ii del tipo vrabii ‘passero’ (-ß•j-ß < *-ß•j-ŏs), jr:bii ‘sorte’, e quattro categorie di sostantivi neutri: a) collettivi: listvie ‘fogliame’ (< *list-v-ß•je), loæie ‘tralci di vite’, vr|bie ‘l’insieme dei rami’; b) deverbali (nomina actionis, derivati dal participio passato passivo): pro}e¢ie ‘il perdonare’, vid:¢ie ‘il vedere’; c) astratti deaggettivali: s)dravie ‘salute’, veli~ie ‘la grandezza’; d) concreti denominali: rasp\tie ‘crocevia’, pod)¢ojie ‘i piedi del monte’. Lo stesso suffisso forma alcuni sostantivi maschili e femminili con terminazione N sg -ii (-ß•j-i) che successivamente normalizzano il nominativo: s\dii (< *so˛d-ß•ji ‘giudice’), balii ‘medico’ (v. anche suffissi in -l-), v:tii ‘oratore, poeta’ e altri. Di questo gruppo fanno parte anche due nomi femminili: al)dii (ladii ) ‘barca’ e ml)¢ii ‘fulmine’. Degli altri suffissi che contengono jod ricordiamo -ějß / -ajß (< *-e- j-ŏs), che forma sostantivi maschili del tipo s)lou~ai ‘caso’, ob¨~ai ‘uso’ (a < *edopo consonante palatale) e serve a formare il grado comparativo degli aggettivi (v. p. 141) -atajß (< *-ataj-ŏs) che forma sostantivi maschili del tipo hodatai ‘intercessore’. Al secondo posto per produttività è un gruppo di suffissi che contiene -k-, presente sia come occlusiva velare, sia come affricata palatale (per I palatalizzazione) o dentale (per II e III palatalizzazione): -k- forma sostantivi maschili deverbali (æ|r:ti ‘vedere’ > ærak) ‘vista’; b|rati ‘raccogliere’ > brak) ‘matrimonio’) e serve al trasferimento da una classe di declinazione ad un’altra di nomi sostantivi (kam¨ > kam¨k) ‘pietra’; *je˛zy < *n÷g’u- -s > `æ¨k) ‘lingua’). Molto produttivo nella derivazione di aggettivi, serve a derivare aggettivi in *ŏ e in *a- da primitivi appartenenti ad altre classi di declinazione: *soldŭ-s > slad)k) ‘dolce’, *gorı̆-s > gor|k) ‘amaro’. Forma aggettivi di grado positivo da radici altrimenti attestate solo al grado comparativo: t(j|k ) (*te˛g-) ‘pesante’ (cfr. t(jii ‘più pesante’, forma 124 Il paleoslavo cui si deve probabilmente, per analogia, la palatalizzazione g∞ > žß), gl\bok) (*g∏o˛b-) ‘profondo’ (cfr. gl\bl∞i i ‘più profondo), {irok) (*šir-) ‘largo’ (cfr. {ir∞i i ‘più largo’), v¨sok ) (*vys-) ‘alto’ (cfr. v¨{ii ‘più alto’). Serve ad ampliare aggettivi derivati con modalità poco produttive: da kr:p) ‘forte’ (comparativo kr:pl∞i i ‘più forte’) deriva kr:p)k) , morfologicamente analogo alla folta categoria di aggettivi in occlusiva velare. -č- forma sostantivi maschili deverbali: biti ‘colpire’ > bi~| ‘flagello’. -ik- serve a derivare da aggettivi (con suffisso -ßn-) e participi (con suffisso -en-) il nome del possessore delle qualità indicate dall’aggettivo o dal participio: k) ¢ ig¨ ‘i libri’ > k)¢ij|¢) ‘del libro’ > k) ¢ ij|¢ik) ‘erudito’, ‘scriba’, gr:h) ‘peccato’ > gr:{| ¢ ) ‘peccaminoso’ > gr:{|¢ik) ‘peccatore’; ou~iti ‘ammaestrare’ > ou~e ¢ ) ‘ammaestrato’ > ou~e ¢ ik) ‘discepolo’, m\~iti ‘tormentare’ > m\~e¢) ‘tormentato’ > m\~e¢ik) ‘martire’. -∞k- serve a derivare sostantivi maschili da verbi e aggettivi: s)vit)k) ‘rotolo, cartiglio’ (s)viti ‘arrotolare’), ostat)k) ‘avanzo’ (v. anche il suffisso -t-), ~etvr|t)k) ‘giovedì’ (cioè ‘il quarto giorno’), p(t)k) ‘venerdì’ (cioè ‘il quinto giorno’). -ßk- forma sostantivi femminili che alterano, spesso in senso diminutivo, il sostantivo di partenza: kl:t| ‘cella’ > kl:t|k a ‘celletta’ (‘cellula’). Scarsamente produttivo in paleoslavo, lo diventerà successivamente (cfr. in russo ручка ‘manina’, ножка ‘piedino’, книжка ‘libriccino’ ecc.). -ic- forma sostantivi femminili e (rari) maschili diminutivi e vezzeggiativi: korabl| ‘nave’ > korabic| ‘navicella, d:va ‘vergine’ > d:vica ‘verginella’, ‘fanciulla’, v|dova ‘vedova’ > v|dovica ‘vedovella’. Serve inoltre a derivare sostantivi femminili da aggettivi e participi: t|m| ¢ ) ‘scuro’ > t|m| ¢ ica ‘gattabuia’, ‘prigione’, star) ‘vecchio’ > starica ‘donna anziana’; ou~e ¢ ) ‘ammaestrato’ > ou~e ¢ ica ‘discepola’. -ßc- forma sostantivi maschili deverbali e deaggetivali: bor|c| ‘lottatore’, lov|c| ‘pescatore’, star|c| ‘anziano’, e sostantivi neutri (il cui valore era forse originariamente diminutivo): sl)¢|ce ‘sole’, sr|d|ce ‘cuore’. Forma inoltre alcuni sostantivi maschili e femminili della classe in *a- : ov|ca f ‘pecora’, m¨{|ca f ‘braccio, spalla’; qd|ca m ‘mangione’. Morfologia 125 -ßsk- è suffisso molto produttivo per la formazione di aggettivi: mir) ‘mondo’ > mir|sk) ‘mondano’, ~lov:k) ‘uomo’ > ~lov:~|sk) ‘umano’, ecc. -išt’- (< *ı-sk-jŏ) forma sostantivi neutri che indicano il nome di un posto, un sito dove ha luogo o si trova la cosa designata dalla radice: jili}e ‘luogo dove si vive’, s)krovi}e ‘luogo dove è nascosto qualcosa’, ‘nascondiglio’, ‘tesoro’, tr)ji}e ‘luogo dove si commercia’. Tra gli altri suffissi (elencati secondo l’ordine alfabetico della consonante finale) ricordiamo: -ßb- e -ob- formano sostantivi femminili astratti: drouj|ba ‘amicizia’, slouj|ba ‘servizio’, mol|ba ‘preghiera’, tat|ba ‘furto’, al)~|ba ‘digiuno’; æ)loba ‘cattiveria’, \troba ‘grembo’. -d- serve a formare sostantivi neutri concreti: stado ‘branco’, ~oudo ‘miracolo’. -ßd- forma sostantivi femminili astratti deaggettivali e denominali: prav|da ‘giustizia’; vraj|da ‘inimicizia’. Meno produttivi i suffissi -od(svoboda ‘libertà’), -e˛d- (gov(do ‘manzo’; cfr. russo говядина ‘carne di manzo’), -zd- (braæda ‘il solco lasciato dall’aratro’). -g- forma sostantivi maschili (in *jŏ e in *a- ) e femminili (in *a- ): m\j| ‘uomo’ (< *man-g-jŏ-s; cfr. nelle lingue germaniche man, Mann); slouga m ‘servo’, strouga ‘corrente’. -og- forma sostantivi maschili del tipo sapog) ‘stivale’, ostrog) ‘recinto’. Con altro vocalismo: -ig- (veriga ‘catena’); -eg(kov|~eg) ‘arca’), -ěg- (pot|p:ga ‘donna ripudiata’), -yg- (kot¨ga ‘tunica’, kr|k¨ga ‘carro’). La velare è palatalizzata per III palatalizzazione nel suffisso -e˛≈- (g > dz (≈); in seguito alla semplificazione di ≈ > z il suffisso assume forma -e˛z-), che costituisce la resa slava del suffisso germanico -ing-: klad(™| ‘pozzo’, ‘nascondiglio’, ‘tesoro’ (cfr. germanico *kalding-), k)¢(™| ‘principe’ (cfr. antico alto-tedesco kuning); p:¢(™| ‘moneta’ (cfr. antico altotedesco pfenning), vit(™| ‘prode combattente’, ‘eroe’ (cfr. germanico *viking-, k > c per palatalizzazione e c (ts) > t per dissimilazione). 126 Il paleoslavo -l- è attivo soprattutto come nella derivazione del participio ‘risultativo’ o ‘perfetto’ (v. p. 193); lo ricordiamo tra i suffissi nominali per la non infrequente aggettivizzazione di questi participi (del tipo æ|r:l) ‘maturo’). Forma inoltre sostantivi maschili, femminili e neutri che non sono direttamente riconducibili al significato verbale precedente: balii ‘medico’ (*ba-l-ßj-ß; cfr. baqti ‘parlare), jila ‘vena’, d:lo ‘affare’. Il suffisso può presentare un diverso vocalismo: -ßl- (k oæ|l) ‘capro), -∞l- (\g)l) ‘angolo’, cfr. latino angulus), -yl- (kob¨la ‘cavalla’). Il suffisso -l- non va confuso con il suffisso -dl- (che tra gli Slavi orientali e meridionali si semplifica in -l-, v. p. 93): -dl- е il suo simile -sl- formano sostantivi neutri che indicano lo strumento con cui si compie l’azione espressa dal verbo da cui derivano: ralo ‘aratro’ (orati ‘arare’), pravilo ‘regola’ (praviti ‘regolare’), veslo ‘remo’ (*vez-sl-o, cfr. vesti < *vez-ti ‘portare’), maslo ‘unto’ (< *maz-sl-o, cfr. maæati ‘ungere, spalmare con sostanza unta’). -m- è il formante di tutti gli aggettivi derivati dal participio presente passivo del tipo l<bim) ‘amato’ (v. p. 191). Forma inoltre alcuni sostantivi maschili, femminili e neutri: d¨m) ‘fumo’ (*dhu- -: *dhou-; cfr. douh) ‘spirito, alito’, e d¨ha¢ie ‘respiro’), {oum) ‘rumore’, oum) ‘mente’, qr|m) ‘giogaia, kr)ma ‘cibo’, ramo ‘spalla’. -n- è molto produttivo nella formazione dei participi passati passivi (v. p. 191). Nella derivazione nominale serve a formare aggettivi qualificativi (sla¢) ‘salato’, t:s¢) ‘stretto’) e sostantivi maschili, femminili e neutri: sta¢) ‘accampamento’ (stati ‘stare’); s)¢) ‘sonno’ (< *s∞p-n-∞; cfr. s)pati ‘dormire’); stra¢a ‘lato, parte, paese’ (*stor-n-a; cfr. russo простор ‘spazio’); c:¢a ‘pena, prezzo da pagare’ (< *kai‡-n-a; cfr. kaqti ‘fare vendetta’ e kaqti s( ‘fare penitenza’); ær|¢o ‘chicco’, ‘granello’ (*g’r÷-n-om; cfr. latino granum e inglese corn). -in- funge da singolativo, cioè serve a formare sostantivi maschili che indicano l’individuo all’interno di una collettività del tipo grajda¢i¢) (cfr. p. 138) e sostantivi femminili che indicano una frazione del tipo des(ti¢a Morfologia 127 ‘decima parte’, godi¢a ‘momento’. Serve inoltre a derivare sostantivi femminili deaggetivali astratti (gl\bi¢a ‘profondità’, ti{i¢a ‘tranquillità’, ot|~i¢a ‘patria’) e aggettivi con funzioni di genitivo di possesso, fungendo da corrispettivo femminile del suffisso -ov-: petr) ‘Pietro’ > petrov) ‘di Pietro’, a¢¢a ‘Anna’ > a¢¢i¢) ‘di Anna’, rab¨¢∞i ‘schiava’ > rab¨¢∞i ¢) ‘della schiava’. -ßn- è un suffisso molto produttivo che forma sia aggettivi che sostantivi. I sostantivi sono maschili, femminili e neutri del tipo duro e del tipo molle: ov|¢) ‘montone’; bra{|¢o ‘farina’; ve~er|¢q ‘vespro’. Gli aggettivi sono denominali: r\ka ‘mano’ > r\~|¢) ‘manuale’, v:k) ‘era’ > v:~|¢) ‘eterno’, k)¢ig¨ ‘libri’ > k)¢ije¢) ‘libresco’. Unito al suffisso -j- forma aggettivi di appartenenza (genitivo di possesso): bratr|¢) ‘del fratello’ (< *bratr-ßn-jŏ-s). -un- forma sostantivi maschili deverbali che designano colui che compie l’azione: p:stou¢) ‘educatore’. -yn- forma sostantivi femminili (con terminazione -i ) derivati da nomi personali maschili, o da aggettivi dei quali astraggono la qualità: rab¨¢∞i ‘schiava’, k)¢(g¨¢∞i ‘principessa’, poust¨¢∞i ‘deserto’, gr)d¨¢∞i ‘orgoglio’, blag¨¢∞i ‘bontà’ e ‘bene’, blagost¨¢∞i ‘bontà’, ‘benevolenza’. -r- è un formante di aggettivi e sostantivi: b)dr) ‘sveglio’ (cfr. b)d:ti ‘vegliare’), dar) ‘dono’ (cfr. dati ‘dare’), dobr) ‘buono’ (cfr. podobati ‘essere opportuno’), m\dr) ‘saggio’ (*mondh-; cfr: tedesco munter ‘sveglio’, ‘vispo’), mokr) ‘bagnato’ (< *mok-; cfr. mo~iti e omakati ‘bagnare’), pir) ‘festino’ (cfr. piti ‘bere’), rebro ‘costola’ (*rebh-, cfr. inglese rib), m:ra ‘misura’ (*me- - ‘misurare’). -s- forma alcuni sostantivi maschili: b:s) ‘demonio’ (< *bhŏi‡-dh-s-; cfr. boqti s( ‘avere paura’ e latino foedus ‘ripugnante, infame’), glas) ‘voce’ (< *gol-s-; cfr. glagolati ‘parlare’ < *gol-gol-a-ti), klas) ‘filo d’erba, spiga’ (cfr. klati ‘accoltellare’). -x- è lo stesso suffisso di cui sopra, ma trasformato per Pedersen: sm:h) ‘riso’ (< *smoi-s-ŏs), ousp:h) ‘successo’ (cfr. sp:ti ‘maturare’), gr:h) 128 Il paleoslavo ‘peccato’ (< *groi-s-ŏs; cfr. gr:æa ‘fantasia, chimera, inganno’ e gr:ti ‘scaldare’), slouh) ‘udito’ (dalla radice *slu- -/*slou-, cfr. slouti ‘avere fama’, slou{ati ‘ascoltare’, sl¨{ati ‘udire’, slava ‘fama’, slovo ‘parola’), je¢ih) ‘sposo’ (je¢iti ‘sposare’); lih) ‘eccessivo’ (*leikw-s-ŏs cfr. russo лихой ‘ardito’ e лихачь ‘cocchiere, autista rompicollo’3). -t- forma sostantivi di tutti i generi; i maschili sono spesso ulteriormente espansi con il suffisso -k-: s\postat) ‘nemico’, ostat)k) ‘avanzo’; ¢ev:sta ‘sposa’ (forse contaminazione di *ne-věd-t-a ‘sconosciuta’ o ‘innocente’ e *nev-ved-t-a ‘nuova venuta, portata da fuori’), vr|sta ‘generazione’, ‘età della vita’ (cfr. in russo верста ‘versta’. Entrambi i significati vengono dalla radice *u‡er-/*u‡r÷’ ‘girare, vertere’ da cui *u‡er-me- n > vr:m( ‘il tempo’ e *u‡r÷’-t-t-a > vr|sta , letteralmente ‘giro completo’); blato ‘palude’, vrata ‘porte’. -ot- forma sostantivi femminili astratti, in generi deaggettivali: ~istota ‘pulizia’, dobrota ‘bontà’, pravota ‘giustezza’, sl:pota ‘cecità’; alcuni denominali: rabota ‘lavoro’ (< rab) ‘schiavo’), sramota ‘vergogna’ (< sram) ‘fatto vergognoso’). Appartiene a questo gruppo anche un sostantivo maschile: jivot) ‘vita’. -∞t- forma sostantivi maschili, spesso onomatopeici: r)p)t) ‘rumorio’ e altri. Ne esistono varianti -ßt-, -ut-, -yt-, -ot-: skr|j|t) ‘stridore’, trepet) ‘tremito’, kokot) ‘gallo’. -it- forma aggettivi che indicano parentela, in particolare i figli: d:ti}| ‘bambino’. La iodizzazione della dentale dà esiti diversi in slavo meridionale (št’) e orientale (č’). Questa seconda forma ci è resa molto familiare dal patronimico russo del tipo иванович ‘figlio di Ivan’ (cfr. in russo королевич ‘figlio di re’, княжич ‘principino’, попович ‘figlio di prete’ contro l’esito meridionale di sostantivi quali детище ‘creatura prediletta’ < *det-it-je). 3 Suffissi che contengono -x- e -š- (frutto della palatalizzazione di x) sono particolarmente produttivi nelle lingue slave moderne, dove caratterizzano il parlato. Cfr. russo старуха e старушка (< *starux-ßk-a) ‘vecchietta’; мачеха ‘matrigna’; малыш ‘piccoletto’, пройдоха ‘paraculo’, ‘furbacchione’; чернуха ‘nerume’; рубаха ‘camiciotto’; кожух ‘pellicciotto’; бабеха ‘donnetta noiosa’; Олеха ‘Aleša’ e numerosissimi altri. Morfologia 129 -tv- forma sostantivi femminili deverbali: molitva ‘preghiera’, britva ‘rasoio’, jr|tva ‘vittima sacrificale’, kl(tva ‘giuramento’, j(tva ‘mietitura’. -v- forma sostantivi maschili e neutri: g¢:v) ‘ira’ (cfr. g¢oi ‘pus’), pivo ‘bevanda’, ~r:vo ‘ventre’, dr:vo ‘albero’. -av-, -iv-, -ěv- formano sostantivi femminili (d\brava ‘querceto’, t(tiva ‘corda dell’arco’, po¢qva ‘manto’) e aggettivi denominali o deverbali (formati dal participio perfetto): kr)vav) ‘sanguinoso’, l\kav) ‘maligno’ (da l\ka ‘inganno’), l:¢iv) ‘pigro’, l|stiv) ‘adulatore’, prav|div) ‘giusto’, jiv) ‘vivo’, g¢:v|liv) ‘iracondo’, ml|~aliv) ‘taciturno’, tr|p:liv) ‘paziente’. -ov- deriva aggettivi possessivi da sostantivi maschili. Oggi improduttivo, ha dato origine alla gran massa dei cognomi slavi: pavlov) ‘di Paolo’, petrov) ‘di Pietro’, popov) ‘di prete’. -ßstv- forma sostantivi neutri astratti (denominali e deaggettivali) in *ŏ e in *jŏ: boj|stvo ‘divinità’, bogat|stvo ‘ricchezza’, m)¢oj|stvo ‘moltitudine’, ot|~|stvo ‘patria’; ot|~|stvie ‘patria’, podob|stvie ‘somiglianza’. 6. Temi in *ı̆ La classe di declinazione in *ı̆ comprende nomi maschili e femminili che escono al N sg in -| . Anticamente comprendeva anche nomi neutri: cfr. le forme duali dei sostantivi oko ‘occhio’ e ouho ‘orecchio’: NA ou{i , o~i , GL ou{i< (ou{|< ), o~i< (o~|< ), DS ou{ima , o~ima e il pronome dimostrativo s| ‘questo’. In paleoslavo costituisce l’approdo di molti temi in consonante. I femminili, che costituiscono il gruppo più numeroso e oggi meglio conservato, sono formati sia con, sia senza l’ausilio di suffissi. Al primo tipo appartengono sostantivi concreti (dv|r) ‘porta’, kost| ‘osso’, sol| ‘sale’) e sostantivi astratti derivati da verbi, aggettivi e participi: bol| ‘dolore’ (bol:ti ‘dolere’), l:torasl| ‘germoglio’ (cfr. participio perfetto di rasti ‘crescere’: rasl) ‘cresciuto’), stoude¢| ‘gelo, inverno’ (stoude¢) agg. ‘freddo’). Alcuni sostantivi escono in consonante palatale (I palatalizzazione delle velari e del nesso *kt davanti a vocale anteriore): r:~| ‘parola’ (*rek-), r)j| ‘segale’ (*rugh-), m¨{| ‘topo’ (*mu- s- > *myx- per Pedersen; x > š 130 Il paleoslavo davanti a vocale anteriore; cfr. latino mu- s, inglese mouse); mo}| (*mokt-ı̆-s) ‘forza’, ¢emo}| ‘debolezza’, pomo}| ‘aiuto’, ¢o}| (*nokt-ı̆-s) ‘notte’. Al secondo tipo appartengono nomi astratti e concreti derivati con il suffisso -t-: æavist| ‘invidia’, ~est| ‘onore’, v:st| ‘notizia’; nomi astratti deaggettivali derivati con il suffisso -ost-: starost| ‘vecchiaia’, <¢ost| ‘giovinezza’; sostantivi deverbali derivati con i suffissi -ěl-, -n-, -sn-, -zn-: g¨b:l| ‘rovina’, ‘distruzione’, pe~al| ‘afflizione’, da¢| ‘tributo’, bra¢| ‘combattimento’, p:s¢| ‘canzone’, jiæ¢| ‘vita’, boqæ¢| ‘paura’. Anche qui si verificano casi di palatalizzazione del nesso *kt: pe}| (*pek-t-ı̆-s) ‘stufa’. Gli aggettivi appartenenti a questa classe di declinazione sono pochi e indeclinabili: svobod| ‘libero’, oudob| ‘facile’, ispl|¢| ‘pieno’, pr:prost| ‘semplice’, raæli~| ‘diverso’. Alcuni hanno valore avverbiale: tai (< *taj-ß) ‘in segreto’, prav| ‘in verità’. Estesi per mezzo del suffisso -ßn- migrano verso la classe in *ŏ per il maschile e per il neutro, in *a- per il femminile: svobod|¢) , svobod|¢o , svobod|¢a . Alcuni, estesi per mezzo del suffisso -k-, sono già migrati in paleoslavo verso la classe in *ŏ per il maschile e per il neutro, in *a- per il femminile: *gorı̆-s > gor|k) , gor|ko , gor|ka ‘amaro’. La vocale tematica *ı̆ alterna nel corso della declinazione con *ĕi‡ (nei casi GDLV sg, GL duale, NVG plurale), che ha esiti diversi davanti a consonante, silenzio o vocale: *ĕi‡ > *ı- in fine di parola o di sillaba (davanti a consonante), *ĕi‡ > *ßi‡ davanti a vocale. La vocale tematica *ı̆ > *ı- al caso NA duale e al caso A pl m e NA pl f (davanti a *-ns): N G D A L S V *gost - ı̆ - s *gost - ei‡ - s *gost - ei‡ - ei‡ *gost - ı̆ - n *gost - ei‡ - ø *gost - ı̆ - mı̆ *gost - ei‡ NA GL DS *gost - -ı *gost - ei‡ - ou‡s *gost - ı̆ - mo- (ei‡ > -ı) (ß•i‡i > -ı) (ß•i‡ + u- ) gost| gosti gosti gost| gosti gost|m| gosti gosti gosti< (-|<) gost|ma 131 Morfologia N G D A L S *gost - ei‡ - es *gost - ei‡ - ŏn *gost - ı̆ - mŭs *gost - ı̆ - ns *gost - ı̆ - sŭ *gost - ı̆ - mis (ß•i‡ + es > ß•’e) (ß•i‡ + ∞ > ß•jß > ß•i) (ı̆ns > -ıns > -ı) (s > x per Pedersen) gosti& (-|&) gostii (-|i) gost|m) gosti gost|h) gost|mi La declinazione del femminile si discosta da quella dei maschili solo allo S sg, frutto dell’estensione della terminazione pronominale -+ a tutti i sostantivi femminili, e al N pl: N G D A L S V *kost - ı̆- ø *kost - ei‡ - s *kost - ei‡ - ei‡ *kost - ı̆ - n *kost - ei‡ - ø *kost - ı̆ - jan *kost - ei‡ NA GL DS *kost - -ı *kost - ei‡ - ou‡s *kost - ı̆ - mo- N G D A L S *kost - ı̆ - ns *kost - ei‡ - ŏn *kost - ı̆ - mŭs *kost - ı̆ - ns *kost - ı̆ - sŭ *kost - ı̆ - mis (-ijo˛/-ßjo˛; cfr. decl. pronominale) kost| kosti kosti kost| kosti kosti+ (-|+) kosti kosti kosti< (-|<) kost|ma (ı-ns > -ı) (ı-ns > -ı) (s > x per Pedersen) kosti kostii (-|i) kost|m) kosti kost|h) kost|mi I sostantivi maschili che appartengono a questa declinazione non sono più di una ventina, e tendono a migrare verso i temi in *ŏ: ~r|v| ‘verme’, gvoæd| ‘chiodo’, gol\b| ‘piccione’ (cfr. latino columba e russo голубой ‘grigioazzurro’), gospod| ‘signore’, gost| ‘ospite’, ‘mercante’ (cfr. latino hostis, hostis ‘nemico’), g\s| ‘oca’, gr)ta¢| ‘laringe’ (suffisso -an-, oggi femminile), dr|kol| ‘bastone’, m(tej| ‘tumulto’ (derivato con il suffisso -ež-) lak)t| ‘gomito’ (suffisso -t-), ¢og)t| ‘unghia’, og¢| ‘fuoco’ (cfr. latino ignis, ignis), \gl| ‘carbone’, pe~at| ‘sigillo’ (suffisso -ět-), p\t| ‘via, cammino’ (cfr. 132 Il paleoslavo latino pons, pontis ‘ponte’), tat| ‘ladro’, t|st| ‘suocero’, æ:t| ‘genero’, ou{id| ‘fuggitivo’, æv:r| ‘fiera’ (cfr. greco qhvr e latino ferus). I maschili in *ı̆ si distinguono da quelli in *jŏ (tipo ko¢∞| ) perché al N sg la consonante che precede ß non è palatalizzata (come sarebbe davanti a jod): escono in -d| (non *-žd’ß), -t| (non *-št’ß), -v| (non *-vl’ß), -b| (non *-bl’ß), -s| (non *-š’ß). Problemi di attribuzione a una classe flessiva (in *ı̆ oppure in *jŏ) sono posti da nomi del tipo æv:r| , og¢| , \gl| , giacché la palatalizzazione delle consonanti liquide e nasali non è segnalata graficamente. Ciò favorisce la precoce confusione tra maschili in *ı̆ e maschili in *jŏ: og¢| ha G sg og¢q , D sg og¢< accanto a G sg e D sg og¢i . D’altra parte, sostantivi maschili in *jŏ possono prendere forme dei temi in *ı̆: G pl vra~ei invece che vra~| (oppure vra~ev) , v. infra). 7. Temi in *ŭ Il suffisso *ŭ forma un piccolo gruppo di sostantivi maschili, per lo più già migrati in epoca paleoslava verso i temi in *ŏ, di cui nessuno attestato nei manoscritti del canone in tutte le forme del paradigma: dom) ‘casa’ (cfr. latino domus), s¨¢) ‘figlio’, vr|h) ‘cima’, med) ‘miele’, mir) ‘mondo’, pol) ‘metà’, ~i¢) ‘rango’, vol) ‘bue’, forse sa¢) ‘dignità’, dar) ‘dono’ e pochi altri. Originariamente appartenevano a questo tipo diversi aggettivi che già in paleoslavo appaiono estesi per mezzo del suffisso -k- e migrati verso la classe in *ŏ per il maschile e per il neutro, in *a- per il femminile: bliæ)k) ‘vicino’, ¢iæ)k) ‘basso’, l|g)k) ‘leggero’, m(k)k) ‘morbido’, slad)k) ‘dolce’ e altri. La vocale tematica *ŭ alterna nel corso della declinazione con *ou‡ (nei casi GDLV sg, GL duale, NVG plurale). Il dittongo *ou‡ si monottonga in fine di parola o di sillaba (davanti a consonante e silenzio), si dentalizza davanti a vocale. Notiamo inoltre l’allungamento della vocale tematica *ŭ > *u- al caso NA duale e al caso A plurale (davanti a *-ns): N G D A L *sun - ŭ - s *sun - ou‡ - s *sun - ou‡ - ei‡ *sun - ŭ - n *sun - ou‡ - ø (ou‡ > u- ) (ou‡i > ovi) (ŭn > ŭ) s¨¢) s¨¢ou s¨¢ovi s¨¢) s¨¢ou 133 Morfologia S V *sun - ŭ - mı̆ *sun - ou‡ NA GL DS *sun - u*sun - ou‡ - ŏu‡s *sun - ŭ - mo- N G D A L S *sun - ou‡ - es *sun - ou‡ - ŏn *sun - ŭ - mŭs *sun - ŭ - ns *sun - ŭ - sŭ *sun - ŭ - mis s¨¢)m| s¨¢ou (ŏu‡u- > ovu) (ou‡e > ove) (ou‡∞ > ov∞) (u- ns > u- ) (s > x per Pedersen) s¨¢¨ s¨¢ovou s¨¢)ma s¨¢ove s¨¢ov) s¨¢)m) s¨¢¨ s¨¢)h) s¨¢)mi Temi in *ŏ e temi in *ŭ cominciano ben presto a contaminarsi; ne derivano da una parte forme del tipo S sg s¨¢om| , domom| , D pl s¨¢om) , L pl s¨¢oh) , domoh) (che sono le uniche storicamente attestate), e dall’altra l’enorme fortuna di molte terminazioni dei temi in *ŭ nelle diverse lingue slave: G sg -u, L sg -u, D sg -ovi, N pl -ove, G pl -ov (cfr. in russo il cosiddetto ‘secondo genitivo’ con valore partitivo o di provenienza del tipo много народу, выйти из дому, е il ‘secondo prepositivo’ del tipo в саду, на дому, nonché il G pl dei nomi maschili: домов, городов). L’estensione delle terminazioni della classe in *ŭ ai nomi in *ŏ, *jŏ porta alla comparsa di una variante molle (del tipo *jŭ) quando a prendere le terminazioni di questo tipo è un nome originariamente in *jŏ: vra~| , G pl vra~ev) ; æmii , N pl æmi&ve , G pl æmi&v) ; æ¢oi , N pl æ¢o&ve , G pl æ¢o&v) . 8. Temi in consonante I temi in consonante appartengono alle classi flessive in *n, *s, *nt, *r. Appartengono a queste classi di declinazione nomi formati dalla radice e da un suffisso tematico consonantico. Il sistema delle desinenze non è identico a quello dei temi vocalici: segnaliamo il L sg -e e la vocale breve della desinenza del G pl, che da qui si espande ai temi vocalici. Numerosi sono i casi di influenza delle classi con suffisso vocalico su questi in consonante, con forte preponderanza delle forme proprie dei temi in *ı̆. 134 Il paleoslavo 1) La classe in *n comprende nomi maschili e neutri formati con i suffissi *mo- n/*mĕn, *me- n/*mĕn, *e- n/*ĕn. *mo- n/*mĕn forma un piccolo gruppo di sostantivi maschili che escono al N sg in -¨ < *-o- n-s: kam¨ ‘pietra’. Tendono a generalizzare al nominativo la forma accusativa e a migrare verso classi di declinazione in vocale: kam¨ (< *kamo- n-s4), kame¢e ‘pietra’ (NA kame¢| , G kame¢i , cfr. russo камень); *rem¨ , reme¢e ‘cintura’ (NA reme¢| , cfr. russo ремень); plam¨ (< *pol-mo- ns), plame¢e ‘fiamma’ (NA plame¢| ; cfr. russo пламень, m arcaico, e пламя n, per analogia con i neutri in *me- n). *me- n/*mĕn forma un gruppo di sostantivi neutri che escono al N sg in -( < *-e- n: br:m( , br:me¢e ‘peso’ (< *ber-men, radice *ber-, ‘portare’); vr:m( , vr:me¢e ‘tempo’ (< *vert-men, radice *vert-, ‘girare in tondo’); im( , ime¢e ‘nome’ (< *n÷-men, cfr. latino nomen); plem( , pleme¢e ‘tribù’ (<*pled-men, radice *pled, cfr. plod) ‘frutto’, ‘prodotto generato’); s:m( , s:me¢e ‘seme’ (< *se- -men, cfr. latino semen); ~ism( , ~isme¢e ‘numero’, eccetera. Il gruppo è ben conservato oggi in russo (имя, имени). *e- n/*ĕn forma, come il precedente, sostantivi maschili che escono al N sg in -( < *-e- n-s; anche questi tendono a generalizzare al nominativo la forma accusativa (-¢| < *-nı̆n < *-nn÷) e a migrare verso classi di declinazione in vocale: *pr|st( (< *pr÷’st-e- ns), pr|ste¢e ‘anello’ (NA pr|ste¢| , cfr. russo перстень); *&l( , &le¢e ‘cervo’ (NA &le¢| , cfr. russo олень); *kor( , kore¢e ‘radice’ (NA kore¢| ; cfr. russo корень); *step( , stepe¢e ‘passo’, ‘gradino’ (NA stepe¢| ; cfr. russo степень). N G D A L S *kamo- n - s *kamĕn - es *kamĕn - ei‡ *kamĕn - n÷ *kamĕn - en *kamĕn - ı̆ - mı̆ (u- ns > u- ) (ı̆n > ı̆) (cfr. temi in *ı̆) kam¨ kame¢e kame¢i kame¢| kame¢e kame¢|m| 4 La marca del nominativo dei nomi di questa classe dovrebbe essere l’allungamento della vocale; l’esito del tipo kam¨ induce però a credere che si sia generalizzata a questi sostantivi la marca più caratteristica del maschile singolare, *-s. 135 Morfologia NA GL DS *kamĕn - -ı *kamĕn - ou‡s *kamĕn - ı̆ - mo- N G D A L S *kamĕn - es *kamĕn - ŏn *kamĕn - ı̆ - mŭs *kamĕn - n÷s *kamĕn - ı̆ - sŭ *kamĕn - ı̆ - mı-s (cfr. temi in *ı̆) kame¢i kame¢ou kame¢|ma (cfr. temi in *ı̆) (ı̆ns > -ıns > -ı) (cfr. temi in *ı̆) (cfr. temi in *ı̆) kame¢e kame¢) kame¢|m) kame¢i kame¢|h) kame¢|mi (cfr. temi in *ı̆) Alcuni sostantivi sono attestati con forme duplici, che indicano incertezza sull’appartenenza alla classe flessiva dei temi in consonante e rivelano la tendenza a migrare: per esempio S pl di d|¢| è attestato come d|¢|mi (*dßn-ı̆ -mı-s, cfr. temi in *ı̆) e come d|¢¨ (*dßn-oi‡s, cfr. temi in *ŏ). I sostantivi neutri si differenziano dai nomi maschili nei casi NA (singolare, duale e plurale). Le desinenze NA duale e plurale sono quelle dei temi in *ŏ: NA G D L S *ime- n *imĕn - es *imĕn - ei‡ *imĕn - en *imĕn - ı̆ - mı̆ NA GL DS *imĕn - oi‡ *imĕn - ou‡s *imĕn - ı̆ - mo- (cfr. temi in *ŏ e decl. pron.) NA G D L S *imĕn - o*imĕn - ŏn *imĕn - ı̆ - mŭs *imĕn - ı̆ - sŭ *imĕn - ŏ - i‡s (cfr. temi in *ŏ e decl. pron.) (cfr. temi in *ı̆) (cfr. temi in *ı̆) (cfr. temi in *ı̆) (cfr. temi in *ı̆) (cfr. temi in *ŏ) im( ime¢e ime¢i ime¢e ime¢|m| ime¢: ime¢ou ime¢|ma ime¢a ime¢) ime¢|m) ime¢|h) ime¢¨ 2) La classe di declinazione in *s comprende nomi neutri formati con il suffisso *ŏs/*ĕs che escono al N in -o (< *-ŏs-ø) e al G in -ese (< *-ĕs-ĕs): slovo , slovese ‘parola’; ~oudo , ~oudese ‘miracolo’; kolo , kolese ‘ruota’; ¢ebo , ¢ebese ‘cielo’ (cfr. con lo stesso etimo ‘nube’ e ‘nebbia’); t:lo , t:lese ‘corpo’; dr:vo (< *dervŏs), dr:vese ‘albero’, divo , divese ‘prodigio’, oko , 136 Il paleoslavo o~ese ‘occhio’, ouho , ou{ese ‘orecchio’, d:lo , d:lese ‘atto’, lice (e < *ŏ dopo c’ palatalizzata per III palatalizzazione), li~ese ‘persona’ (cfr. le forme degli aggettivi russi словесный ‘verbale’, чудесный ‘miracoloso’, небесный ‘celeste’, телесный ‘corporale’, il neologismo колесо ‘ruota’, singolare di колеса, e il collettivo древесина, ‘legname’). Il tema è caratterizzato dall’alternanza vocalica radicale qualitativa (o/e), il N sg ha desinenza zero. Le desinenze NA duale e plurale sono quelle dei temi in *ŏ: NA G D L S *slovos *sloves - es *sloves - ei‡ *sloves - en *sloves - ı̆ - mı̆ NA GL DS *sloves - ŏi‡ *sloves - ou‡s *sloves - ı̆ - mo- (cfr. temi in *ŏ e decl. pron.) NA G D L S *sloves - o*sloves - ŏn *sloves - ı̆ - mŭs *sloves - ı̆ - sŭ *sloves - ŏ - i‡s (cfr. temi in *ŏ e decl. pron.) (cfr. temi in *ı̆) (cfr. temi in *ı̆) (cfr. temi in *ı̆) (cfr. temi in *ı̆) (cfr. temi in *ŏ) slovo slovese slovesi slovese sloves|m| sloves: slovesou sloves|ma slovesa sloves) sloves|m) sloves|h) sloves¨ 3) La classe di declinazione in *nt comprende nomi neutri formati con il suffisso *e- nt/*ĕnt5 che escono al N in -( < *-e- nt e al G in -(te (< *-ĕnt-ĕs) e designano cuccioli (di animale o d’uomo): ag¢( , ag¢(te ‘agnellino’, jr:b( , jr:b(te ‘puledro’, koæ|l( , koæ|l(te ‘capretto’, os|l( , os|l(te ‘asinello’, otro~( , otro~(te ‘bambino’ (cfr. russo отрочество ‘adolescenza’). Il N sg ha desinenza zero. Le desinenze NA duale e plurale sono quelle dei temi in *ŏ: NA G D *agn - e˛t *agn - e˛t - es *agn - e˛t - ei‡ ag¢( ag¢(te ag¢(ti 5 Delle due forme del suffisso la prima è quella che forma il nominativo singolare, l’altra quella che ricorre in tutto il resto della flessione. 137 Morfologia L S *agn - e˛t - en *agn - e˛t - ı̆ - mı̆ NA GL DS *agn - e˛t - oi‡ *agn - e˛t - ou‡s *agn - e˛t - ı̆ - mo- (cfr. temi in *ŏ e decl. pron.) NA G D L S *agn - e˛t - o*agn - e˛t - ŏn *agn - e˛t - ı̆ - mŭs *agn - e˛t - ı̆ - sŭ *agn - e˛t - ŏ - i‡s (cfr. temi in *ŏ e decl. pron.) (cfr. temi in *ı̆) (cfr. temi in *ı̆) (cfr. temi in *ı̆) (cfr. temi in *ı̆) (cfr. temi in *ŏ) ag¢(te ag¢(t|m| ag¢(t: ag¢(tou ag¢(t|ma ag¢(ta ag¢(t) ag¢(t|m) ag¢(t|h) ag¢(t¨ 4) La declinazione in *r comprende nomi femminili formati con il suffisso *ter/*těr che escono al N sg in -i e al G sg in -ere . In paleoslavo appartengono a questo tipo due soli sostantivi: d)}i (*dŭkti < *dŭkte- r), d)}ere ‘figlia’ (cfr. tedesco Tochter); mati (< *mate- r), matere ‘madre’. Le forme del duale non sono attestate: NA G D A L S *mate- r *matĕr - es *matĕr - ei‡ *matĕr - n÷ *matĕr - en *matĕr - ı̆ - jan N G D A L S *matĕr - n÷s *matĕr - ŏn *matĕr - ı̆ - mŭs *matĕr - n÷s *matĕr - ı̆ - sŭ *matĕr - ı̆ - mis (cfr. temi in -ı̆-) (cfr. temi in -ı̆-) (cfr. temi in -ı̆-) (cfr. temi in -ı̆-) mati matere materi mater| matere materi+ materi mater) mater|m) materi mater|h) mater|mi Altri tre suffissi consonantici formano sostantivi che al singolare sono già migrati, in epoca paleoslava, verso la classe di declinazione più produttiva (quella dei temi in *ŏ), mentre al plurale si comportano ancora come temi consonantici (N pl *-es): *tĕl è un suffisso estremamente produttivo per formare nomina agentis (sostantivi deverbali che indicano chi compie l’azione): pravitele ‘i 138 Il paleoslavo governanti’, d:latele ‘i lavoratori’, jitele ‘gli abitanti’. Al singolare i nomi in *tĕl seguono il tipo flessivo in *jŏ (ou~itel| , G ou~itelq ). *a- r forma sostantivi maschili che indicano un’occupazione costante, una professione. Molti sono prestiti dal germanico: r¨bare ‘pescatori’ (cfr. r¨ba ‘pesce’); kl<~are ‘detentori delle chiavi’, ‘guardiani’ (cfr. kl<~| ‘chiave’); vi¢are ‘vinai’; m¨tare ‘pubblicani’, cioè esattori delle imposte (cfr. m¨to ‘dazio’, ‘gabella’). Anche questi al singolare sono migrati e seguono il tipo flessivo in *jŏ (r¨bar| , G r¨barq ). *je- n, *e- n forma sostantivi maschili che indicano persone appartenenti a una collettività: *slov-e- n-es > slov:¢e , ‘gli slavi’, *rim-je- n-es > rimlq¢e , ‘gli abitanti di Roma’, *gord-je- n-es > grajda¢e , ‘gli abitanti di una città’. Al singolare questi sostantivi aggiungono al tema del plurale il suffisso singolativo -in-, che risale all’i.e. *ĕı-n ‘uno’, a indicare uno degli appartenenti a un luogo o una comunità, e si declinano come i temi in *ŏ: *slov-e- n-in-o-s > slov:¢i¢) , ‘uno slavo’; *rim-je- n-in-o-s > rimlq¢i¢) , ‘un abitante di Roma’; *gord-je- n-in-o-s > grajda¢i¢) , ‘un abitante di una città’. 9. Temi in *uLa classe comprende nomi formati con il suffisso *u- / *ŭu‡ che escono al N sg in -¨ (< *-u- ) e presentano in tutta la declinazione come elemento tematico il suffisso -∞v- (< *-ŭu‡). Sono due gruppi di sostantivi tutti femminili, gli uni indoeuropei, gli altri entrati nello slavo comune dalle lingue germaniche. Come i sostantivi maschili in consonante, anche questi tendono a generalizzare la forma accusativa al nominativo e a migrare verso classi di declinazione con tema vocalico: l<b¨ , l<b)ve ‘amore’ (cfr. tedesco Liebe ‘amore’; NA l<b)v| , russo любовь), svekr¨ , svek)rve ‘suocera’ (cfr. latino socru- s; NA svek)rv| , russo свекровь), cr|k¨ , cr|k)ve ‘chiesa’ (cfr. germanico *kir(i)ko- , russo церковь); brad¨ (< *bordy), brad)ve ‘ascia’ (cfr. germanico *bardo- , russo брадва), bouk¨ , bouk)ve ‘lettera’ (cfr. tedesco Buch, gotico bo- ka, russo буква); jr|¢¨ , jr|¢)ve ‘macina’ (cfr. russo жёрнов, m), lok¨ , lok)ve ‘pozzanghera’ (bulgaro локва), ¢eplod¨ , ¢eplod)ve ‘donna sterile’ (cfr. plod) ‘frutto’), hor\g¨ , hor\g)ve ‘scettro’ (cfr. russo хоругвь), c:l¨ , 139 Morfologia c:l)ve ‘guarigione’. Appartengono a questa classe anche *kry, *kr∞ve (cfr. russo кровь, i.e. *kru- s, e *bry, *br∞ve (cfr. russo бровь e inglese brow, i.e. *bhru- s). NA G D A L S *svekr - u- - s *svekr - ∞v - es *svekr - ∞v - ei‡ *svekr - ∞v - n÷ *svekr - ∞v - en *svekr - ∞v - ı̆ - jan NA GL DS *svekr - ∞v - -ı *svekr - ∞v - ou‡s *svekr - ∞v - a- - mo- N G D A L S *svekr - ∞v - n÷s *svekr - ∞v - ŏn *svekr - ∞v - a- - mŭs *svekr - ∞v - n÷s *svekr - ∞v - a- - sŭ *svekr - ∞v - a- - mis (cfr. temi in *ı̆) svekr¨ svekr)ve svekr)vi svekr)v| svekr)ve svekr)vi+ (cfr. temi in *a- ) svekr)vi svekr)vou svekr)vama (ı̆n > ı̆) (ı̆ns > -ı) (cfr. temi in *a- ; s > x per analogia) (ı̆ns > -ı) (cfr. temi in *a- ) (cfr. temi in *a- ) svekr)vi svekr)v) svekr)vam) svekr)vi svekr)vah) svekr)vami La presenza del suffisso -∞v- fa sì che questi temi si comportino come temi in consonante, condividendone tutte le terminazioni (fatta salva l’analogia morfologica con i nomi femminili in *a- e in *ı̆). Si preferisce quindi inserire questi nomi tra i nomi in consonante, portando queste classi flessive a cinque, contro quattro classi in vocale. 10. L’aggettivo I nomi aggettivi si formano come i nomi sostantivi con tema in *ŏ, *jŏ per il maschile e per il neutro e con tema in *a- , *ja- per il femminile: dobr) , dobro , dobra ‘buono’ si declina come droug) ‘amico’, selo ‘villaggio’, gora ‘monte’; si¢∞| , si¢& , si¢q ‘azzurro’ si declinano come ko¢∞| ‘cavallo’, pol& ‘campo’, volq ‘libertà’. Dei nomi aggettivi appartenenti ad altre classi di declinazione si sono conservati soltanto alcuni aggettivi indeclinabili in *ı̆ (svobod| ‘libero’, oudob| ‘facile’, ispl|¢| ‘pieno’, raæli~| ‘diverso’) e 140 Il paleoslavo alcuni avverbi in *ı̆ e in *ŭ (pr:prost| ‘semplicemente’, prav| ‘in verità’, ¢iæ) ‘in basso’). La maggior parte degli aggettivi si forma per mezzo di suffissi, tra cui i più diffusi sono -j-, -ßj-, -ok-, -∞k-, -ßk-, -ßsk-, -ßn- (v. § 5, p. 122). Già in epoca preistorica le forme nominali prendono ad essere utilizzate in composizione con le forme del pronome dimostrativo *i , & , q (*i < *jß < *jŏs, *jŏn, *ja- ) ‘quello’ (v. p. 149). Il significato di questa associazione, in principio non grammaticalizzata, era l’individuazione, la determinazione. Si sottraggono infatti a questa composizione gli aggettivi formati con il suffisso -ßj-, già determinati dall’idea di appartenenza: bojii (< *bog-ß• j-ß), boji& , bojiq ‘che è di Dio’ (non *bojiii < *bog-ß• j-ß• -jß!, *boji&& , *bojiqq ): N G D nov∞-jß nova-jego novu-jemu novo-je nova-jego novu-jemu nova-ja novy-jeje˛ nově-jei Con la progressiva morfologizzazione del pronome dimostrativo l’aggettivo determinato cessa di essere percepito come un composto. Nel confine tra nome e pronome si realizzano assimilazioni e contrazioni, che conferiscono all’aggettivo determinato una nuova forma ‘lunga’, o ‘piena’, o ‘articolata’, che accoglie le terminazioni proprie della flessione pronominale, ma che si distingue da questa per il vocalismo del suffisso tematico (v. p. 145): N G D A L S NA GL DS N G D m n ¢ov¨i ¢ovo& ¢ova&go > ¢ovaago > ¢ovago ¢ovou&mou > ¢ovououmou > ¢ovoumou ¢ov¨i ¢ovo& ¢ov:&m| > ¢ov:m| ¢ov¨im| > ¢ov¨m| ¢ovaq ¢ov:i ¢ovou< ¢ov¨ima > ¢ov¨ma ¢ovii ¢ovaq ¢ov¨ih) > ¢ov¨h) ¢ov¨im) > ¢ov¨m) f ¢ovaq ¢ovy` ¢ov:i ¢ov\+ ¢ov:i ¢ovo+ ¢ov:i ¢ov¨` 141 Morfologia A L S ¢ov¨` ¢ovaq ¢ov¨ih) > ¢ov¨h) ¢ov¨imi > ¢ov¨mi ¢ov¨` Al N sg m e nel G pl di tutti i generi la vocale -¨ - indica la presenza di uno jer teso (∞• ) davanti a *jß, nei casi NA pl f (desinenza poi estesa al G sg f), A pl m, S pl m n rappresenta la regolare terminazione dei temi maschili e neutri in *ŏ, femminili in *a- , ai casi S sg m n, DS duale, DL pl, è frutto di analogia morfologica (livellamento del tema). Nei casi GDL sg f e GL duale la forma articolata non viene usata nella sua interezza, ma limitatamente alla seconda sillaba. Al L sg gli aggettivi maschili e neutri con tema molle escono in -im| per assonanza con la terminazione della parte nominale: *obßšti-jemß > ob|}iim| . Il caso L sg m e n viene così a coincidere con il caso S sg m e n. Nel caso S sg f la forma articolata può coincidere con quella inarticolata: *novojo˛-jo˛ > ¢ovo+ , oppure coincidere con l’accusativo articolato: ¢ov\+ . 11. Comparativo e superlativo I nomi aggettivi formano il grado comparativo per mezzo dei suffissi *jßs (*jes per il NA sg n), *e- jßs (*e- jes per il NA sg n) inseriti tra la radice e il suffisso tematico *jŏ per i nomi maschili e neutri, *ja- per i nomi femminili. L’aggettivo di grado comparativo rappresenta un antico tema in consonante, migrato verso le classi in *ŏ, *ja- ; di questa sua primitiva natura conserva tracce al nominativo e accusativo singolare maschile e neutro e al nominativo plurale maschile: – il N sg m e n non ha suffisso tematico: *dobr-e- jßs-ø-s, *dobr-e- jes-ø-n, *bol-jßs-ø-s, *bol-jes-ø-n. In fine di parola, davanti a silenzio, le consonanti cadono: dobr:i , dobr:& ‘più buono’, *bol∞| , bol& ‘maggiore’. La forma *bol∞| non è attestata, perché il N sg m dei comparativi derivati con il suffisso *jßs assume la forma bol∞i i (bol’ßi) per analogia con il N sg m del comparativo formato con il suffisso *e- jßs: dobr:i . – l’A sg m e n non ha suffisso tematico: *dobr-e- jßs-ø-n, *dobr-e- jes-ø-n, *bol-jßs-ø-n, *bol-jes-ø-n. In fine di parola, davanti a silenzio, la nasale e la 142 Il paleoslavo fricativa cadono: dobr:i , dobr:& ‘più buono’, *bol∞| , bol& ‘maggiore’. La forma *bol∞| non è attestata, perché anche l’A sg m dei comparativi derivati con il suffisso *jßs assume la forma bol∞i i (bol’ßi) per analogia con l’A sg m del comparativo formato con il suffisso *e- jßs: dobr:i . Inoltre, è evidente in paleoslavo la tendenza al livellamento del tema, che porta a formare anche l’A sg m e n con il suffisso *jŏ: *dobr-e- jßs-jŏ-n > dobr:i{| , *dobr-e- jes-jŏ-n > dobr:i{e ; *bol-jßs-jŏ-n > bol∞| {| , *bol-jes-jŏ-n > bol∞| {e . – il N pl m si forma con la desinenza *-es: *dobr-e- jßs-jŏ-es, *bol-jßs-jŏ-es. La fricativa del suffisso si iodizza, quella della desinenza cade: dobr:i{e ‘più buoni’, bol∞| {e ‘maggiori’. Caratterizza inoltre i comparativi la terminazione del N sg f -i (cfr. i sostantivi femminili formati per mezzo del suffisso *-jƒ, p. 118). N G D A L S NA GL DS N G D A L S N G D A L S NA GL DS m bol - jßs - s bol - jßs - jŏ - ad bol - jßs - jŏ - ou‡ bol - jßs - n bol - jßs - jŏ - -ı bol - jßs - jŏ - mı̆ bol - jßs - jobol - jßs - jŏ - ou‡s bol - jßs - jŏ - mobol - jßs - jŏ - es bol - jßs - j(ŏ) - ŏn bol - jßs - jŏ - mŭs bol - jßs - jŏ - ns bol - jßs - joi‡ - sŭ bol - jßs - jŏ - -ıs m dobr - e- jßs - s dobr - e- jßs - jŏ - ad dobr - e- jßs - jŏ - ou‡ dobr - e- jßs - n dobr - e- jßs - jŏ - -ı dobr - e- jßs - jŏ - mı̆ dobr - e- jßs - jodobr - e- jßs - jŏ - ou‡s dobr - e- jßs - jŏ - mo- n bol - jes - n bol - jßs - jŏ - ad bol - jßs - jŏ - ou‡ bol - jes - n bol - jßs - jŏ - -ı bol - jßs - jŏ - mı̆ bol - jßs - jo-i‡ bol - jßs - jo- - ou‡s bol - jßs - jŏ - mobol - jßs - jobol - jßs - j(ŏ) - ŏn bol - jßs - jŏ - mŭs bol - jßs - jobol - jßs - joi‡ - sŭ bol - jßs - jŏ - -ıs n dobr - e- jes - s dobr - e- jßs - jŏ - ad dobr - e- jßs - jŏ - ou‡ dobr - e- jes - n dobr - e- jßs - jŏ - -ı dobr - e- jßs - jŏ - mı̆ dobr - e- jßs - jo- i‡ dobr - e- jßs - jo- - ou‡s dobr - e- jßs - jŏ - mo- f bol - jßs - jıbol - jßs - ja- - ns bol - jßs - ja- - i bol - jßs - ja- - n bol - jßs - ja- - -ı bol - jßs - ja- - ja-n bol - jßs - ja-i‡ bol - jßs - ja- - ou‡s bol - jßs - ja- - mobol - jßs - ja- - ns bol - jßs - j(a-) - ŏn bol - jßs - ja- - mŭs bol - jßs - ja- - ns bol - jßs - ja- - sŭ bol - jßs - ja- - mı-s f dobr - e- jßs - jıdobr - e- jßs - ja- - ns dobr - e- jßs - ja- - -ı dobr - e- jßs - ja- - n dobr - e- jßs - ja- - -ı dobr - e- jßs - ja- - ja- n dobr - e- jßs - ja- i‡ dobr - e- jßs - ja- - ou‡s dobr - e- jßs - ja- - mo- 143 Morfologia N G D A L S m dobr - e- jßs - jŏ - es dobr - e- jßs - j(ŏ) - ŏn dobr - e- jßs - jŏ - mŭs dobr - e- jßs - jŏ - ns dobr - e- jßs - joi‡ - sŭ dobr - e- jßs - jŏ - -ıs n dobr - e- jßs - jodobr - e- jßs - j(ŏ) - ŏn dobr - e- jßs - jŏ - mŭs dobr - e- jßs - jodobr - e- jßs - joi‡ - sŭ dobr - e- jßs - jŏ - -ıs f dobr - e- jßs - ja- - ns dobr - e- jßs - j(a- ) - ŏn dobr - e- jßs - ja- - mŭs dobr - e- jßs - ja- - ns dobr - e- jßs - ja- - sŭ dobr - e- jßs - ja- - mı-s La grande maggioranza degli aggettivi forma il grado comparativo con il suffisso *e- jßs, (*e- jes per il NA sg neutro). La vocale anteriore palatalizza le consonanti velari per I palatalizzazione: *ke- > *če- , *ge- > *že- . Successivamente čě > č’a, žě > ž’a in tutti i dialetti slavi, esclusi quelli macedoni cui si ispira l’alfabeto glagolitico (v. p. 107): m)¢og) ‘numeroso’ > m)¢ojai ‘più numeroso’. Il suffisso *jßs (*jes per il NA sg neutro) è più arcaico, e viene utilizzato da un piccolo gruppo di aggettivi, la cui radice era forse caratterizzata dalla intonazione discendente. Si tratta di nomi primitivi, il cui grado positivo spesso non è attestato, o ha assunto valore di preposizione o di avverbio, o si è ampliato con suffissi derivativi migrando verso classi e categorie morfologiche più produttive. Tra i comparativi di genere neutro, derivati con il suffisso *jes, molti hanno assunto valore avverbiale. a) aggettivi primitivi (cioè senza suffisso derivativo) di cui è attestato il grado positivo: lih) ‘eccedente’ > li{ii , houd) ‘magro’, ‘debole’ > houjdii , gr\b) ‘rozzo’, ‘ignorante’ > gr\bl∞i i , drag) ‘caro’, ‘prezioso’ > drajii , kr:p) ‘forte’ > kr:pl∞i i (ma al grado positivo è maggiormente attestato kr:p)k) ); b) aggettivi primitivi il cui grado positivo ha valore di preposizione o di avverbio: ¢iæ) avv. ‘giù’ > ¢ije , pr:d) prep. e pr:di avv. ‘davanti’, ‘prima’ > pr:jde , posl:d| e posl:di avv. ‘poi’, ‘da ultimo’ > posl:jde . Dal grado comparativo derivano per suffissazione nuovi aggettivi: pr:jd|¢∞| ‘precedente’, ¢ij|¢∞| ‘basso’. c) aggettivi che formano il grado positivo per mezzo di suffissi: t(j|k) (*te˛g-) ‘pesante’ > t(jii , gor|k) (*gor-) ‘amaro’ > gor∞i i , slad)k) (*sold-) 144 Il paleoslavo ‘dolce’ > slajdii , gl\bok) (*g∏o˛b-) ‘profondo’ > gl\bl∞i i , {irok) (*šir-) ‘largo’ > {ir∞i i , v¨sok) (*vys-) ‘alto’ > v¨{ii ; d) aggettivi e avverbi il cui grado positivo non è comunque attestato: bol∞i i ‘più grande’, m|¢∞i i ‘più piccolo’, lou~ii ‘migliore’, v(}ii ‘più grande’, ou¢∞i i ‘migliore’; drevl& avv. ‘anticamente’, soul& avv. ‘meglio’, pa~e avv. ‘più’. Dal grado comparativo derivano nuovi aggettivi: drevl∞| ¢∞| ‘antico’. Gli aggettivi di grado comparativo possono avere la forma articolata: bol∞i i , bol&& , bol∞| {iq (v. Tavole morfologiche); il NA sg m di forma articolata coincide con quello di forma non articolata, ma se quello è frutto di analogia morfologica, questo rispecchia la tensione dello jer in posizione davanti a *jß (bol’ß-jß). Il grado superlativo non viene formato per mezzo di suffissi derivativi. Il paleoslavo, che spesso traduce con aggettivi positivi il superlativo greco, ricorre piuttosto a prefissi rafforzativi, quali pr: - e ¢ai -, usato questo secondo con gli avverbi: pr:velik) ‘grandissimo’, ¢aipa~e ‘soprattutto’. Il superlativo relativo può essere espresso accompagnando il comparativo con la specificazione v|s:h) ‘di tutti’: bol∞i i v|s:h) ‘maggiore di tutti’. 12. Il pronome Interna alla categoria del nome ma caratterizzata da una diversa flessione è una classe chiusa di sostantivi pronominali e aggettivi pronominali. Il sistema della flessione pronominale slavo comune comprende due classi con tema vocalico *ŏ e *a- . Come quella nominale, la flessione pronominale può essere di tipo duro e di tipo molle (pronomi in *jŏ e in *ja- ). Esiste inoltre una declinazione mista seguita dai pronomi in velare palatalizzata (per III palatalizzazione) v|s| ‘tutto’ (< *vix-), e sic| ‘tale’ (< *sik-). Apparteneva originariamente alla classe di declinazione in *ı̆ il pronome dimostrativo s| ‘questo’, derivato da *k’i (cfr. latino cis + A, ‘da questa parte’, e citer, ‘che sta da questa parte’). La flessione pronominale si differenzia da quella nominale sia per ciò che riguarda la vocale tematica, che si dittonga al caso S sg maschile e neutro, in tutti i casi obliqui del paradigma femminile e in tutti i casi obliqui duali e 145 Morfologia plurali maschili e neutri, sia l’inventario delle desinenze (N sg n, GDL sg maschile e neutro, N pl maschile e G pl di tutti i generi): m NA G D L S NA GD LS N A G D L S VOCALE TEMATICA n f ŏi‡ ŏi‡ ŏi‡ ŏi‡ ŏi‡ ŏi‡ ŏi‡ ŏi‡ ŏi‡ ŏi‡ ŏi‡ ŏi‡ m -go (-so) -mu -mı̆ DESINENZE n -d -go (-so) -mu -mı̆ f -i ŏi‡ ŏi‡ ŏi‡ ŏi‡ ŏi‡ ŏi‡ ŏi‡ ŏi‡ ŏi‡ ŏi‡ ŏi‡ ŏi‡ -son -son -son La declinazione pronominale influisce su quella nominale: la terminazione S sg f dei temi in *a- -\+ invece di *-o˛, mostra la caratteristica terminazione bisillaba del paradigma pronominale. La terminazione -i del N pl m dei temi in *ŏ nasce dalla monottongazione del dittongo formato dall’incontro della vocale tematica e della desinenza pronominale *-i (*ŏ-i > *ŏi‡ > *ı-2) che sostituisce la desinenza N pl della flessione nominale *-es. Di origine pronominale è la terminazione NA sg -o (< *od) dei neutri in *ŏ e in *ŏs (altrimenti al N sg *sel-ŏ-n > *sel∞, *slovŏs-ø > *slov∞). 13. Sostantivi pronominali I sostantivi pronominali si differenziano dai restanti nomi sostantivi per importanti caratteristiche morfologiche, lessicali e sintattiche: a) seguono la flessione pronominale; b) non mutano né per genere né per numero; c) non possiedono un significato proprio (del tipo ‘fratello’) d) hanno quale funzione principale quella di sostituire nella frase altri nomi sostantivi di cui fanno le veci (pronome significa “che si colloca al posto del nome”). Si dividono nelle 146 Il paleoslavo seguenti categorie: pronomi interrogativi (k)to ‘chi?’, ~|to ‘che cosa?’), pronomi relativi (k)to ‘il quale’, ~|to ‘la qual cosa’), pronomi indefiniti (k)to ‘qualcuno’, k)jdo ‘ognuno’) e indefiniti-negativi (¢:k)to ‘qualcuno’, ¢:~|to ‘qualcosa’, ¢ik)to ‘nessuno’, ¢i~)to ‘nulla’). Sono sostantivi pronominali i pronomi personali (aæ) ‘io’, t¨ ‘tu’, m¨ ‘noi’, v¨ ‘voi’, il riflessivo s( ‘sé’). I pronomi k)to ‘chi’ e ~|to ‘che cosa’ sono di origine indoeuropea. In protoslavo le radici *kwŏ- e *kwei- (cfr. latino qui, quae, quod; quis, quid) si sono specializzate: l’occlusiva velare caratterizza i pronomi che si riferiscono a persone, l’affricata palatale caratterizza i pronomi che si riferiscono a cose. Il nominativo dei pronomi k)to ‘chi’ e ~|to ‘che cosa’ è composto dal pronome vero e proprio (*kwŏ- e *kwei-) e da un rafforzativo che risale al dimostrativo i.e. *tod, assente nel resto della declinazione. Il pronome k)to generalizza all’A la desinenza del G -go , dando un forte impulso allo sviluppo della categoria della animatezza (v. pp. 119-120). Il pronome ~|to (la cui radice alterna nella flessione: *kwei-/*kwe-) forma il G con una desinenza rara: -so , che in seguito si tematizza, dando origine alle forme trisillabe G ~|sogo , ~esogo , D ~|somou , ~esomou . Allo S l’occlusiva velare si palatalizza per II palatalizzazione: c:m| < *k-e- 2-mß < *kw-ŏi‡-mı̆: N G D A L S k)to k)to kogo komou kogo kom| c:m| ~|to ~|to ~|so, ~|sogo, ~esogo ~emou, ~|somou, ~esomou ~|to ~em| ~im| I pronomi personali in paleoslavo indicano la 1ª persona (il soggetto) e la 2ª persona (l’interlocutore). L’oggetto di cui si parla (che può essere una cosa oppure una 3ª persona) è indicato con i pronome dimostrativi s| (‘questo qui vicino a me che parlo’), t) (‘codesto lì vicino a te che ascolti’) o più frequentemente *i (*jß < *j-ŏs) e o¢) (‘quello lì lontano da tutti e due’), che si grammaticalizzeranno quali pronomi di 3ª persona dal paradigma polimorfo. Esiste una forma riflessiva che manca del nominativo (non può essere 147 Morfologia soggetto) e si usa solo al singolare (cfr. italiano sé). I pronomi personali non sono differenziati per genere. Caratteristica di questi paradigmi è il supplettivismo (cfr. latino ego, mihi). Il pronome di 1ª persona può ricevere uno jod protetico. Esistono cioè le due forme aæ) e qæ) . Dalla seconda, per la progressiva caduta di ∞ e della consonante finale, si ottiene il pronome di 1ª persona di molte lingue slave moderne: я. Il caso D ha due forme, una lunga (m|¢:, teb:, seb: ) e una breve enclitica mi (< *moi), ti (< *toi), si (< *soi). Il caso A aveva in origine le sole forme m( (< *men), t( (< *ten), s( (< *sen), ¢¨ , v¨ ; successivamente e parallelamente allo svilupparsi dell’animatezza (v. p. 119-120) a queste, che cominciano a essere utilizzate come enclitiche, si affiancano nella funzione di complemento diretto le forme del caso G: N G D A L S N GD LS A N G D A L S aæ) me¢e m)¢: (m|¢:)6; mi m( m)¢: (m|¢:) m)¢o+ v: ¢a< ¢ama ¢a; ¢¨ m¨ ¢as) ¢am); ¢¨ ¢¨ ¢as) ¢ami t¨ tebe teb:; ti t( teb: tobo+ va va< vama va; v¨ v¨ vas) vam); v¨ v¨ vas) vami — sebe seb:; si s( seb: sobo+ 14. Аggettivi pronominali Gli aggettivi pronominali concordano con il sostantivo cui si riferiscono in numero, genere e caso. Si possono dividere in due gruppi: il primo comprende aggettivi pronominali che si differenziano dai restanti nomi aggettivi dal punto 6 Le forme date tra parentesi sono varianti testimoniate dai codici. 148 Il paleoslavo di vista morfologico e sintattico: a) costituiscono una classe chiusa; b) non ammettono gradi di comparazione; c) non possono essere alterati per suffissazione; d) seguono esclusivamente la flessione pronominale; e) possono sostituire nella frase nomi sostantivi di cui fanno le veci. Il secondo comprende aggettivi pronominali che, pur differenziandosi dai restanti nomi aggettivi per le suddette caratteristiche non seguono (o seguono in modo non esclusivo) la flessione pronominale e non possono pertanto caratterizzarsi quali pronomi dal punto di vista flessivo. Al primo gruppo appartengono aggettivi possessivi (moi ‘mio’, tvoi ‘tuo’, svoi ‘suo’, ¢a{| ‘nostro’, va{| ‘vostro’), dimostrativi (t) ‘questo qui’, *i < *jß ‘quello là’, s| ‘questo da questa parte’, sam) ‘lo stesso’), indefiniti (v|s| ‘tutto’, i¢) ‘un altro’, sic| ‘un simile’, tak) ‘tale’, kak) ‘quale’), interrogativi (kak) ‘quale’), relativi (ije ‘il quale’, qk) ‘quale’). Di questi alcuni seguono la flessione di tipo duro (del tipo t) , to , ta ), altri la flessione di tipo molle (del tipo ¢a{| , ¢a{e , ¢a{a ), altri ancora una flessione mista, con terminazioni di tipo debole e di tipo forte (i pronomi in velare palatalizzata v|s| ‘tutto’ < *vix- e sic| ‘un simile’ < *sik). a) Seguono la flessione pronominale di tipo duro i pronomi t) ‘questo qui’, ov) ‘questo e non quello’, o¢) ‘quello e non questo’, tak) ‘siffatto’, kak) ‘quale’, qk) ‘quale’, v|sqk ) ‘ogni’, sam) ‘lo stesso’, i¢) ‘un altro’. L’occlusiva velare si palatalizza per II palatalizzazione davanti a *e- 2 < *ŏi‡ nei casi S sg, DS du, e in tutto il plurale (con l’esclusione del caso accusativo): N G D A L S NA GL DS m t) togo tomou t) tom| t:m| ta to< t:ma n to togo tomou to tom| t:m| t: to< t:ma f ta to` toi t\ toi to+ t: to< t:ma m tak) takogo takomou tak) takom| tac:m| taka tako< tac:ma n tako takogo takomou tako takom| tac:m| tac: tako< tac:ma f taka tak¨ takoi tak\ takoi tako+ tac: tako< tac:ma 149 Morfologia N G D A L S ti t:h) t:m) t¨ t:h) t:mi ta t:h) t:m) ta t:h) t:mi t¨ t:h) t:m) t¨ t:h) t:mi taci tac:h) tac:m) tak¨ tac:h) tac:mi taka tac:h) tac:m) taka tac:h) tac:mi tak¨ tac:h) tac:m) tak¨ tac:h) tac:mi b) Seguono la flessione pronominale di tipo molle i pronomi possessivi moi ‘mio’, tvoi ‘tuo’, svoi ‘suo’, ¢a{| ‘nostro’, va{| ‘vostro’ (derivati con il suffisso -j-: *nas-j-ŏ-s), l’interrogativo ~ii ‘di chi’ (derivato con il suffisso -j-: *čß-j-ß, *čß-j-e, *čß-j-a) e il pronome anaforico *i (< *j-ŏs, *j-ŏn, *j-a- ). In origine dimostrativo (radice *j-) con il significato di ‘quello lì lontano da tutti e due’, *i assume in paleoslavo la funzione di pronome di 3ª persona. Le forme monosillabe del N vengono però sostituite da quelle del dimostrativo di tipo duro o¢) ; quelle dell’A sono attestate come enclitiche: pos)la i ‘lo mandò’. Unito alla particella je il pronome assume funzioni di relativo: N G D A L S N A GL DS N G D A L S m o¢) &go &mou i &m| im| o¢a q &< ima o¢i ih) im) ` ih) imi n o¢o &go &mou & &m| im| o¢: i &< ima o¢a ih) im) q ih) imi o¢a &` &i + &i &+ o¢: i &< ima o¢¨ ih) im) ` ih) imi f m ije &goje &mouje ije &m|je im|je qje qje &<je imaje ije ih)je im)je `je ih)je imije n &je &goje &mouje &je &m|je im|je ije ije &<je imaje qje ih)je im)je qje ih)je imije f qje &`je &ije +je &ije &+je ije ije &<je imaje `je ih)je im)je `je ih)je imije Oltre che pronome relativo, &je può essere congiunzione, o fungere da equivalente dell’articolo greco: così nella frase m|¢: bo &je jiti hristos). i &je oumr:ti priobr:te¢i& &st) (“per me infatti il vivere è Cristo, e il 150 Il paleoslavo morire un guadagno”, Filippesi 1:21) gli infiniti sostantivati &je jiti e &je oumr:ti traducono il greco to; z/h`n e to; ajpoqanei`n. Nella frase: b\di je vam) &je ei ei. i &je ¢i ¢i (“sia il vostro sì, sì, e il vostro no, no”, Giacomo 5:12) &je ei ei. i &je ¢i ¢i traduce il greco to; nai; naiv, kai; to; ou] ou[. Se il pronome è in combinazione con la preposizione *v∞n si forma un’unità accentuale all’interno della quale la nasale non cade, ma si iodizza (v. p. 96): *v∞n-jß > *v∞-n’ß (v)¢∞| ). Con il passare del tempo la nasale cessa di essere percepita come facente parte della preposizione, che in tutti gli altri contesti figura come v) , e viene reinterpretata quale protesi del pronome: v) ¢∞| ‘contro di lui’, v) ¢&m| ‘in lui’. Lo stesso processo di ridistribuzione tocca le preposizioni *k∞n con il dativo e *s∞n con lo strumentale: *k∞n-jemu > *k∞n’emu > k) ¢&mou ‘verso di lui’, *s∞n-jimß > *s∞-n’imß > s) ¢∞i m| ‘con lui’. Si rafforza quindi la tendenza a introdurre una n epentetica dopo qualsiasi preposizione: æa ¢∞| ‘dietro a lui’. Segue la flessione pronominale di tipo molle anche il dimostrativo s| , si , se ‘questo da questa parte’. La fricativa, nata per satemizzazione (< *k’i/*k’e, cfr. latino cis prep. ‘da questa parte’), doveva essere inizialmente dura, e l’aggettivo pronominale apparteneva forse alla classe dei temi in *ı̆ (NA sg m s| come gost| , NA du f si come kosti NA pl n) anche se resta oscura l’origine della forma si al N sg f e NA pl n. Successivamente *s > *s’, con metafonia di tutte le terminazioni. I casi A sg f, NA du m e NA pl m e f sono formati dal tema *s’-ßj-: N G D A L S NA GL DS s| sego semou s| sem| sim| siq se< sima m se sego semou se sem| sim| si se< sima n si se` sei si+ sei se+ si se< sima f 151 Morfologia N G D A L S sii sih) sim) si` sih) simi si sih) sim) si sih) simi si` sih) sim) si` sih) simi c) La flessione pronominale mista, con terminazioni di tipo debole e di tipo forte, è seguita dai pronomi in velare palatalizzata v|s| ‘tutto’ < *vix- e sic| ‘siffatto’ < *sik-: N G D A L S N G D A L S m v|s| v|sego v|semou v|s| v|sem| v|s:m| v|si v|s:h) v|s:m) v|s( v|s:h) v|s:mi n v|se v|sego v|semou v|se v|sem| v|s:m| v|sq v|s:h) v|s:m) v|sq v|s:h) v|s:mi f v|sq v|se` v|sei v|s+ v|sei v|se+ v|s( v|s:h) v|s:m) v|s( v|s:h) v|s:mi m sic| sicego sicemou sic| sicem| sic:m| sici sic:h) sic:m) sic( sic:h) sic:mi n sice sicego sicemou sice sicem| sic:m| sica sic:h) sic:m) sica sic:h) sic:mi f sica sic( sicei sic\ sicei sice+ sic( sic:h) sic:m) sic( sic:h) sic:mi Un secondo gruppo di aggettivi pronominali è costituito da aggettivi che seguono la flessione nominale, quali eter) ‘un certo, un tale’, kakov) ‘quale, di che genere’, takov) ‘tale, di tal genere’, o forme miste di flessione nominale e pronominale quali kolik ) ‘quanto grande’, tolik) ‘tanto grande’, selik) ‘tanto grande’, &lik) ‘quanto grande’: D &likou e &likomou , S sg &likom| e &lic:m| . Gli aggettivi che seguono la flessione nominale possono avere la forma articolata: kakov) , kakov¨i . Esclusivamente come aggettivo di forma articolata si declina il pronome relativo kotor¨i , kotoro& , kotoraq ‘il quale’ (formato dalla radice *kwŏ- con il suffisso *ter/*tor). Il pronome interrogativo k¨i ‘quale’ e l’indefinito ¢:k¨i ‘qualche’ hanno al NA di tutti i generi e numeri le terminazioni di un aggettivo di forma piena 152 Il paleoslavo (*k∞-jß, *ko-je, *ka-ja) ma formano i casi obliqui da temi diversi per assonanza con il dimostrativo t) : dal tema *koj- nei casi G, D e L sg (come togo , tomou , tom| ) dal tema *k߶j- nei restanti casi (cfr. S sg t:m| , G pl t:h) , D pl t:m) , L pl t:h) , S pl t:mi): N G D A L S NA GL DS N G D A L S k¨i ko&go ko&mou k¨i ko&m| k¨im| – – – cii k¨ih) k¨im) k¨` k¨ih) k¨imi m ko& ko&go ko&mou ko& ko&m| k¨im| – – – kaq k¨ih) k¨im) kaq k¨ih) k¨imi n kaq ko&` ko&i k\+ ko&i ko&+ c:i – – k¨` k¨ih) k¨im) k¨` k¨ih) k¨imi f 15. I numerali Niente identifica dal punto di vista morfologico o sintattico i numerali paleoslavi, nomi sostantivi e nomi aggettivi che seguono in parte la flessione nominale (articolata e non articolata), in parte la flessione pronominale. Ad individuarli come categoria è la caratteristica di indicare quantità numerabili e traducibili in cifre (per l’uso delle lettere con valore di cifra numerica v. p. 35). Al gruppo dei numerali cardinali appartengono quattro nomi aggettivi e otto nomi sostantivi: &di¢) , &di¢o , &di¢a (&d|¢) , &d|¢o , &d|¢a ) ‘uno’ è un aggettivo pronominale che concorda in numero, genere e caso con il sostantivo cui si riferisce. Segue la declinazione pronominale (del tipo t) , to , ta ). Nel significato di indefinito può avere anche il duale e il plurale. d)va , d)v: ‘due’ è un aggettivo pronominale che si riferisce sempre a sostantivi di numero duale; ha pertanto solo le forme del duale, distinguendo in 153 Morfologia quanto a genere il maschile (d)va ) dal femminile e dal neutro (d)v: ) nei casi NA. Segue la declinazione pronominale (del tipo t) , to , ta ). Lo stesso numero può essere indicato con l’aggettivo pronominale oba , ob: ‘ambo’, ‘entrambi’. NA GL DS m d)va d)vo< d)v:ma n d)v: f d)v: m oba obo< ob:ma ob: n ob: f tri& , tri ‘tre’ è un aggettivo pronominale che si riferisce sempre a sostantivi plurali; ha pertanto solo le forme del plurale, distinguendo in quanto a genere il maschile (trie ) dal femminile e dal neutro (tri ) al N. Segue la flessione nominale (temi in *ı̆). ~et¨re , ~et¨ri ‘quattro’ è un aggettivo pronominale che si riferisce sempre a sostantivi plurali; ha pertanto solo le forme del plurale, distinguendo in quanto al genere il maschile (~et¨re ) dal femminile e dal neutro (~et¨ri ) al N. Segue la declinazione nominale (temi in consonante). N G D A L S m tri& trii tr|m) tri tr|h) tr|mi tri n tri f m n ~et¨re ~et¨ri ~et¨r) ~et¨r|m) ~et¨ri ~et¨r|h) ~et¨r|mi f ~et¨ri I restanti numerali cardinali sono nomi sostantivi: p(t| ‘cinque’, {est| , ‘sei’, sedm| ‘sette’, osm| ‘otto’ e dev(t| ‘nove’ sono sostantivi femminili con tema in *ı̆; des(t| è un sostantivo maschile in consonante che, per analogia con le altre unità, viene reinterpretato come un femminile in *ı̆; s)to ‘cento’ è un sostantivo neutro con tema in *ŏ; t¨s(}a è un sostantivo femminile con tema in *ja- . A questi si possono aggiungere due sostantivi dal significato di ‘un numero incalcolabile’: t|ma , propriamente ‘oscurità’, e ¢es)v:da ‘da non sapersi’, che traducono le miriadi del greco. Poichè indicano un insieme di unità (una cinquina, una sestina eccetera), tutti i sostantivi numerali reggono il G pl (partitivo) dell’oggetto cui si 154 Il paleoslavo riferiscono. L’eventuale attributo (aggettivo o pronome) concorda sempre con il numerale al singolare: v|sq sedm| oumr: (“kai; oiJ eJpta; [...] kai; ajpevqanon”, “et omnes septem [...] et mortui sunt”, Luca 20:31), pri&m) sedm| t\ hl:b) (“kai; labw;n tou;" eJpta; a[rtou"”, “et accipiens septem panes”, Marco 8:6), se droug\+ p(t| tala¢t) priobr:toh) (“i[de a[lla pevnte tavlanta ejkevrdhsa”, “ecce alia quinque superlucratus sum”, Matteo 25:20). I nomi dei numeri da undici a diciannove sono sintagmi composti dal nome dell’unità e dal nome della decina, che funge da ‘base’ di una sovrapposizione: &di¢) ¢a des(te ‘undici’ indica l’unità ‘poggiata sopra’ la decina, che viene declinata al L secondo l’originaria flessione del sostantivo (anticamente un tema maschile in consonante) e retta dalla preposizione ¢a ‘sopra’. Allo stesso modo si formano d)va (oppure oba ) ¢a des(te ‘dodici’, trii ¢a des(te ‘tredici’ eccetera. Il sintagma ¢a des(te non muta quando il numerale sia declinato: i i<da iskariot|sk¨i . &di¢) ot) obo< ¢a des(te . ide k) arhiereom) (“kai; jIouvda" jIskariwvq, oJ ei|" tw`n dwvdeka, ajph`lqen pro;" tou;" ajrcierei`"”, “et Iudas Iscariotes unus de duodecim abiit ad summos sacerdotes”, Marco 14:10). Il sostantivo retto dal numerale concorda con l’unità (e ne determina il genere): &di¢) ¢a des(te regge il nominativo singolare, d)va (oppure oba ) ¢a des(te regge il nominativo duale, tri& ¢a des(te e ~et¨re ¢a des(te reggono il nominativo plurale, p(t| ¢a des(te e gli altri cardinali sino a diciannove reggono il genitivo plurale (partitivo). Nei casi obliqui il sostantivo retto dal numerale concorda con questo in numero e caso quando il nome dell’unità sia un aggettivo (da uno a quattro e composti): æapov:da` ob:ma ¢a des(te ou~e¢ikoma svoima (“diatavsswn toi`" dwvdeka maqhtai`" aujtou`”, “praecipiens duodecim discipulis suis”, Matteo 11:1). Conserva invece la concordanza al G pl con i sostantivi numerali. I nomi dei numeri delle decine (da venti a novanta), delle centinaia (da duecento a novecento) e delle migliaia sono sintagmi formati dal nome Morfologia 155 dell’unità e dai sostantivi des(t| , s)to , t¨s(}a : d)va des(ti (N du m) ‘venti’, p(t| des(t) (G pl m) cinquanta’; d)v: s)t: (N du n) duecento’, p(t| s)t) (G pl n) ‘cinquecento’; d)v: t¨s(}i (N du f) ‘duemila’, p(t| t¨s(}| (G pl f) ‘cinquemila’. All’interno di questi sintagmi des(t| può conservare le sue antiche forme maschili. Si ottiene così un paradigma misto con desinenze alternative: al N d)va des(ti , tri& des(te , ~et¨re des(te concorrono con le forme femminili d)v: des(ti , tri des(ti , ~et¨ri des(ti . Il G pl è sempre des(t) (maschile in consonante). Il sintagma nel suo complesso regge il G pl del sostantivo cui si riferisce (d)va des(ti let) ‘vent’anni’). Le unità si sommano alle decine, alle centinaia e alle migliaia per mezzo delle congiunzioni i e ti : p(t| des(t) ti p(t| ‘cinquantacinque’. Il sostantivo si accorda con l’ultimo numero (d)va des(ti i d)v: let: ‘ventidue anni’). Nei casi obliqui le componenti del sintagma concordano in numero e caso quando i nomi delle unità sono aggettivi (da uno a quattro e composti): ~et¨r|mi des(t¨ (S pl) i {esti+ (S sg) l:t) s)æ|da¢a b¨st) cr|k¨ si (“tesseravkonta kai; e{x e[tesin oijkodomhvqh oJ nao;" ou|to"”, “quadraginta et sex annis aedificatum est templum hoc”, Giovanni 2:20); quando i nomi delle unità sono sostantivi reggono des(t| , s)to , t¨s(}a al G pl: &di¢) b: dl)j|¢) p(ti+ s)t) di¢ar| a droug¨ p(ti+ des(t) (“oJ ei|" w[feilen dhnavria pentakovsia, oJ de; e{tero" penthvkonta”, “unus debebat denarios quingentos et alius quinquaginta”, Luca 7:41). Il sintagma nel suo complesso regge il G pl del sostantivo cui si riferisce (~et¨r|mi des(t¨ l:t) ). Il sostantivo può tuttavia essere declinato nello stesso caso del sintagma, cui funge da apposizione: a}e sil|¢) &st) s) des(ti+ t¨s(}) (t¨s(}\ Zografense) s)r:sti gr(d\}aago s) d)v:ma des(t)ma t¨s(}ama ¢a ¢∞| (“eij dunatov" ejstin ejn devka ciliavsin uJpanth`sai tw`/` meta; ei[kosi ciliavdwn ejrcomevnw/ ejp’ aujtovn”, “si possit cum decem milibus occurrere ei, qui cum viginti milibus venit ad se”, Luca 14:31), o dev(ti des(t) i dev(ti prav|d|¢ic :h) (“ejpi; ejnenhvkonta ejnneva dikaivoi"”, “super nonagintanovem iustis”, Luca 15:7). 156 Il paleoslavo I numeri da uno a dieci possono essere espressi da numerali collettivi, non tutti attestati in paleoslavo, ma presenti nelle lingue slave moderne: d)voi ‘due’, oboi ‘entrambi’, troi ‘tre’ si declinano come il pronome moi ; ~etvor) è un nome aggettivo in *ŏ, sedmoro ‘sette volte’ e des(toro ‘dieci volte’ sono avverbi (cfr. in russo i collettivi двое, трое, четверо, пятеро, шестеро, семеро, восьмеро, девятеро, десятеро, che reggono tutti il G pl). I numerali ordinali sono nomi aggettivi che seguono la flessione nominale (temi in *ŏ e in *a- ): pr|v) , pr|vo , pr|va ‘primo’, v)tor) ‘secondo’, tretii , treti& , tretiq ‘terzo’, ~etvr|t) ‘quarto’, p(t) ‘quinto’, {est) ‘sesto’, sedm) ‘settimo’, osm) ‘ottavo’, dev(t) ‘nono’, des(t) ‘decimo’. Per la seconda decina il numerale ordinale può essere derivato con tre diverse modalità, non tutte attestate in paleoslavo per ogni ordinale: &d|¢) ¢a des(te ‘undecimo’, &d|¢o¢ades(t) ‘undicesimo’, v)tor) ¢a des(te ‘duodecimo’, tri¢ades(t) ‘tredicesimo’, dev(t|¢ades(t|¢) ‘diciannovesimo’. Gli ordinali delle decine sono derivati con il suffisso -ßn-: d)vodes(t|¢) e d)vades(t|¢) ‘ventesimo’. Non tutti sono attestati in paleoslavo. 16. Il verbo Le categorie fondamentali del verbo slavo, sia antico che moderno, sono l’aspetto, il tempo, il modo, la diatesi. Il verbo paleoslavo è inoltre caratterizzato dalla espressione ben definita della categoria di determinatezza / indeterminatezza. La categoria dell’aspetto serve a contrapporre verbi che si riferiscono a un’azione conclusa e verbi che descrivono un’azione a prescindere dal fatto che essa venga portata a conclusione, o azioni (stati) che per loro natura non tendono al raggiungimento di un risultato, non sono caratterizzati da alcun limite interno. In altre parole, i verbi imperfettivi indicano un’azione in svolgimento o uno stato in atto, ne descrivono la durata e la ripetibilità, senza porre un limite o specificare le frontiere temporali della sua realizzazione: tvoriti ‘fare’, bol:ti ‘essere ammalati’. I verbi perfettivi indicano invece Morfologia 157 un’azione che ha ottenuto il fine per il quale era stata intrapresa e che spesso implica un cambiamento di stato: s)tvoriti significa ‘creare, portare a compimento, realizzare una cosa che non c’era e adesso c’è’. I verbi perfettivi possono anche indicare un determinato segmento temporale, in genere il momento dell’inizio o della fine di un’azione, del passaggio di stato: raæbol:ti s( vuol dire ‘ammalarsi, passare decisamente dallo stato di salute a quello di malattia’. La correlazione aspettuale è un tratto caratteristico e fondamentale della grammatica slava; ancora in formazione in epoca paleoslava, essa affonda le sue radici in epoca protoslava e si perfeziona successivamente in tutte le lingue slave moderne. In epoca paleoslava la correlazione di coppie aspettuali convive con aspetti tipici della derivazione verbale indoeuropea: verbi dalla stessa radice (a volte con diversa gradazione vocalica) designano (grazie a temi verbali differenti, non prefissati) diverse modalità di realizzazione di un’azione (aktionsart), che può essere vista nel suo sviluppo (durativa) o concentrata in un unico punto (puntuale, momentanea), può tendere a un obiettivo (determinata) o al contrario essere senza oggetto (indeterminata), può ripetersi una volta sola, più volte o abitualmente, con frequenza più o meno ravvicinata. Per esempio, la presenza congiunta dell’apofonia radicale e di diversi suffissi tematici costruisce la serie le}i , pf. ‘mettersi a giacere’ (radice *leg-, suffisso *ø), l:gati , impf. ‘coricarsi abitualmente’ (radice *le- g-, suffisso *a- ), lejati , stativo impf. ‘essere coricato’ (radice *leg-, suffisso *e- ), lojiti , fattitivo impf. ‘mettere a giacere’ (radice *log-, suffisso *ı-). Con i verbi di moto l’opposizione determinato / indeterminato si realizza come opposizione tra un movimento che si compie una sola volta e in una direzione precisa e un movimento che si compie in momenti e direzioni differenti (o alla semplice capacità di movimento): iti e hoditi ‘andare’; bresti e broditi ‘vagare’, vesti e voditi ‘condurre’, ¢esti e ¢ositi ‘portare’ (*i-d-/*sod-; *bred/*brod; *ved/*vod; *nes/*nos). Entrambi i verbi della coppia sono imperfettivi. Solo in unione a preposizioni (temi verbali prefissati) che ne modifichino il significato il tema che esprime l’azione determinata acquista valore perfettivo, e viceversa il tema che esprime quella 158 Il paleoslavo indeterminata assume il valore di imperfettivo: iæiti e ishoditi ‘uscire’, pri¢esti e pri¢ositi ‘apportare’. Con verbi non di moto l’opposizione determinato / indeterminato può opporre verbi che indicano lo stato del soggetto (stativi) e verbi che indicano la modifica dello stato dell’oggetto (fattitivi): anche qui, come nel caso dei verbi di moto, abbiamo temi verbali non prefissati derivati da una stessa radice con apofonia radicale. In paleoslavo il verbo fattitivo si forma per mezzo del suffisso *ı-, il verbo stativo per mezzo del suffisso *e- : bouditi ‘svegliare’ e b)d:ti ‘vegliare’; v:siti ‘appendere’ e vis:ti ‘pendere’; variti ‘far bollire’ e v|r:ti ‘bollire’ (intr.); lojiti ‘mettere a giacere’ e lejati ‘giacere’; saditi ‘mettere a sedere’ e s:d:ti ‘essere seduti’ (*bu- d/*bŭd; *ve- s/*vis; *var/*vr÷; *log/*leg; *sad/*se- d). Tutti questi verbi sono imperfettivi. Se prefissati i fattitivi sono sempre perfettivi (¢asaditi ‘piantare per terra’, pov:siti ‘appendere’, v)ævariti ‘portare a bollore’), gli stativi possono essere sia perfettivi che imperfettivi: v)ælejati impf. ‘stare sdraiato’, pos:d:ti pf. ‘rimanere seduto per un po’ e poi alzarsi’. Quando la condizione del soggetto non è statica come nei casi suindicati ma dinamica (‘imbrunire’, ‘asciugarsi’) il suffisso tematico dell’infinito è -no˛(forse frutto della nasalizzazione di un originario suffisso *nou‡, v. p. 169): gasiti ‘spegnere’ e gas¢\ti ‘spegnersi’; goubiti ‘perdere, rovinare’ e g¨b¢\ti ‘andare in rovina’; (o )mra~iti ‘oscurare’ e mr|k¢\ti ‘imbrunire’; sou{iti ‘asciugare’ e s)h¢\ti ‘seccarsi’; ou~iti ‘insegnare, dare un’abitudine’ e v¨k¢\ti ‘prendere un’abitudine’ (*gas/*gas; *gou‡b/*gu- b; *mor-k/*mr÷-k; *sou‡x/*sŭx; *ou‡k/*u- k). Tutti questi verbi sono imperfettivi e formano perfettivi per prefissazione: ougas¢\ti ‘spegnersi’, pog¨b¢\ti ‘perire’, pomr|k¢\ti ‘oscurarsi’, s)s)h¢\ti s( ‘prosciugarsi’, ¢av¨k¢\ti ‘imparare’. Sono però perfettivi i verbi non prefissati caratterizzati dall’idea della momentaneità di un’azione (un grido, un salto, uno sputo, uno spintone) la cui durata è espressa da verbi imperfettivi con suffisso *a- , *e- : dvig¢\ti ‘spostare’ e dvijati ‘muovere’, krik¢\ti ‘lanciare un grido’ e kri~ati ‘gridare’, d)h¢\ti ‘soffiare’ e d¨hati ‘respirare’. Di tutti gli altri verbi primitivi, sono perfettivi: Morfologia 159 – tra i verbi atematici: dati ‘dare’ (che infatti sviluppa subito il suo imperfettivo daqti ); – tra i verbi della I coniugazione solo quei pochi che indicano un’azione intrinsecamente momentanea: vr:}i ‘gettare’ (impf. metati ), d:ti ‘fare’ (impf. d:qti ), le}i ‘stendersi’ (impf. l:gati ), pasti ‘cadere’ (impf. padati ), re}i ‘dire’ (impf. glagolati ), s:sti ‘sedersi’ (impf. s:dati s( ), `ti ‘prendere’ (impf. imati ). – tra i verbi della II coniugazione alcuni verbi in *ı-, non frequentativi e non fattitivi, derivati da nomi e aggettivi: aviti ‘manifestare’ (impf. avlqti ), variti ‘raggiungere, precedere’ (impf. varqti ), vratiti s( ‘ritornare’ (impf. vra}ati s( ), desiti ‘trovare, sorprendere’, kl<~iti s( ‘trovarsi’ (impf. kl<~ati s( ), lou~iti s( ‘trovarsi’ (impf. lou~ati s( ), koupiti ‘acquistare’ (impf. koupovati ), m|stiti ‘vendicare’ (impf. m|}ati ), pl:¢iti ‘prendere prigioniero’ (impf. pl:¢qti ), prostiti ‘perdonare’ (impf. pra}ati ), poustiti ‘lasciar andare’ (impf. pou}ati ), roditi ‘generare’ (impf. rajdati ), svoboditi ‘liberare’ (impf. svobajdati ), sko~iti ‘saltare’ (impf. skakati ), sramiti ‘coprire d’onta’ (impf. sramlqti ), st\piti ‘mettere piede’ (impf. st\pati ). Tutti imperfettivi sono i verbi formati con i suffissi *e- , *a- , *u‡a- , *ŏu‡a(gruppi IVb, Ib, IIIb, IIIa2). Il più produttivo è il suffisso *a- , largamente utilizzato in paleoslavo per derivare verbi imperfettivi e frequentativi da perfettivi prefissati e non prefissati: pasti e padati ‘cadere’, stati ‘ergersi’ e stoqti ‘stare in piedi’, v)skr:siti e v)skr:{ati ‘resuscitare’, v)prositi ‘chiedere’ e v)pra{ati ‘interrogare’. 17. I tempi verbali La categoria del tempo (passato, presente, futuro) è espressa in paleoslavo con l’ausilio di suffissi tematici. Asse della concezione temporale è il presente, che considera l’azione nel suo sviluppo, e si oppone generalmente all’aoristo, che la considera nel suo carattere puntuale di evento realizzato. La valutazione dell’importanza e dell’interesse della durata dell’azione è soggettiva: se la durata nel passato merita di essere sottolineata si ricorre al tempo imperfetto, 160 Il paleoslavo che rappresenta una sorta di presente nel passato e del presente ha la maggiore ricchezza prospettica. Non a caso già in epoca paleoslava l’imperfetto, che normalmente dovrebbe formarsi, come tutti i tempi passati, dal tema dell’infinito, si forma con crescente frequenza dal tema del presente, di cui già spesso condivideva (per esempio per tutti i verbi del gruppo Ia e IIIa del tipo brati ) la veste fonica, grazie al comune carattere vocalico dei suffissi tematici del presente e dell’imperfetto. Fuori dall’opposizione presente/aoristo si colloca il perfetto, che indica uno stato, o una azione avvenuta nel passato ma le cui conseguenze sono attuali per il momento presente (è morto, cioè non c’è più, è impazzito, cioè adesso è pazzo, è arrivato, cioè è qui adesso, è andato via, cioè non è più qui). Inizialmente il perfetto era, come negli esempi, intransitivo. Successivamente, divenuto transitivo e risultativo, tende a coincidere con l’aoristo, che progressivamente sostituisce. Il futuro esiste piuttosto come categoria modale che come realtà temporale: non esistono forme proprie del futuro semplice, escluso un relitto isolato di participio futuro (b¨{(}i ‘che sarà’) e le forme del verbo b¨ti ‘essere’ (b\d\ ). In paleoslavo il futuro può essere espresso dal presente del verbo perfettivo, o con l’ausilio di verbi servili che esprimono la modalità e che non sono ancora divenuti un elemento grammaticale: voglio scrivere, devo scrivere, ho da scrivere, comincio a scrivere. Se l’asse temporale si sposta nel passato il rapporto presente/perfetto si realizza come imperfetto (presente nel passato)/piuccheperfetto (azione che si è realizzata prima ma che è attuale per il momento passato espresso dall’imperfetto). Sia il perfetto che il piuccheperfetto sono tempi composti, formati dal participio perfetto in unione rispettivamente con il presente e l’imperfetto (o il perfetto) del verbo essere. Altro tempo composto del paleoslavo, analogo nella modalità di formazione a questi, è il futuro composto (futurum exactum), che esprime l’anteriorità nel futuro (“vedremo se avrò avuto torto”). Manca invece l’equivalente del trapassato remoto, il tempo che esprime l’anteriorità rispetto all’aoristo in una dimensione di passato assoluto (“quando ebbi capito bene la situazione intervenni”): questa viene espressa in paleoslavo da una costruzione con il dativo assoluto (v. p. 246). 161 Morfologia nel presente nel passato nel futuro passato assoluto io fui aæ) b¨h) anteriorità relativa io sono stato aæ) &sm| b¨l) io ero stato aæ) b:h) b¨l) io sarò stato aæ) b\d\ b¨l) contemporaneità io sono aæ) &sm| io ero aæ) b:h) io sarò aæ) b\d\ futuro io sarò aæ) b\d\ 18. Modo, diatesi, persona e numero L’espressione del modo (della realtà, della possibilità, della irrealtà) non è ben sviluppata in paleoslavo: accanto all’indicativo, unico modo caratterizzato dal sistema dei tempi, i modi della non realtà (congiuntivo, imperativo, ottativo), ampiamente rappresentati in greco, si riducono al solo imperativo, erede slavo dell’ottativo. Vestigia dell’ottativo possono essere ricercate anche in una costruzione perifrastica tradizionalmente detta “modo condizionale”, che si forma con il participio perfetto e l’ausiliare essere (v. p. 194). La diatesi non è sviluppata: mancano forme specifiche per il medio e per il passivo (che vengono espressi con verbi riflessivi o con participi passivi). Le forme personali del verbo (presente, imperativo, aoristo, imperfetto) mutano secondo il numero (singolare, duale, plurale) e la persona (prima, seconda, terza); le forme nominali (participio presente attivo, participio presente passivo, participio passato attivo, participio passato passivo, participio perfetto) mutano secondo il genere, il numero e il caso; le forme perifrastiche, costituite da una parte nominale e da un verbo ausiliare (perfetto, piuccheperfetto, condizionale, futuro anteriore) mutano secondo il numero (singolare, duale, plurale), la persona (prima, seconda, terza), e il genere (maschile, neutro, femminile). Il sostantivo verbale muta secondo il numero e il caso; l’infinito e il supino, che erano in origine nomi, sono invariabili. Le desinenze personali distinguono nove persone, tre per ogni numero. Esistono due sistemi di desinenze personali: quelle primarie, che servono a formare il tempo presente, e quelle secondarie, che formano l’aoristo, l’imperfetto e l’imperativo: 162 Il paleoslavo sg du pl 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª -a- n; -mı̆ -šı-; -sı-tŭ -ve-ta -te -mŭ (< mŏs) -te -ntŭ Primarie Secondarie -n -s -t -ve-ta -te -mŭ (< mŏs) -te -nt Per quanto riguarda la 1ª persona sg, la desinenza *-mı̆ serve solo a formare il presente dei verbi atematici (v. p. 164), tutti gli altri verbi (tematici) utilizzano la desinenza *-a- n (propriamente desinenza del congiuntivo: cfr. latino “quid agam?”, “cur non dicam?”). La desinenza della 2ª sg *-sı-, propria dei verbi atematici, e *-šı-, propria dei verbi tematici, si discosta da quella i.e. con vocale breve (*-sı̆). La desinenza in scibilante rivela gli effetti della legge di Pedersen: ¢osi{i ‘tu porti’ < *nosixi (x > š per I palatalizzazione davanti a vocale anteriore) < *nosisi (s > x per la legge di Pedersen). La trasformazione della fricativa deve essere partita dai verbi della II coniugazione per poi diffondersi anche ai verbi della I, dove le condizioni per la retroflessione individuata da Pedersen non sussistono: re~e{i ‘tu dici’ (*rek-e-si). La desinenza della 3ª sg e pl è frutto del processo di indebolimento della fine della parola: i.e. *-tı̆ > *-tŭ, con perdita della mollezza. La desinenza della 1ª pl può assumere forma -m¨ per analogia con il pronome personale; alla stessa analogia si deve la desinenza della 1ª duale -v: . 19. Suffissi tematici e derivativi Le forme del verbo si costruiscono su due temi, il tema del presente e il tema dell’infinito, che possono coincidere (verbi in *ı- della II coniugazione), ma generalmente divergono sia per il diverso suffisso tematico che li forma, sia per la presenza di diversi gradi vocalici nella radice. 163 Morfologia Eccettuato un piccolo gruppo di verbi atematici (cinque in tutto), il tema del presente si forma con l’ausilio delle vocali tematiche *ĕ per la I coniugazione e *ı- per la II. La vocale *ĕ alterna con *ŏ (1ª persona sg e 3ª persona plurale). La I coniugazione presenta tre sottotipi: sg du pl 1ª 2ª 3ª e/o o e e 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª e e e e e o I coniugazione ne/no no ne ne ne ne ne ne ne no je/jo jo je je II coniugazione i i i i je je je je je jo i i i i i i Dal tema del presente si formano, oltre al tempo presente, l’imperativo (tramite il suffisso *ı-, formante del modo ottativo) e i participi presenti attivi e passivi (tramite i suffissi *nt e *m): sia i participi presenti sia l’imperativo dei verbi della I coniugazione generalizzano la vocale tematica *ŏ. Il tema dell’infinito si forma per mezzo dei suffissi *ø, *a- , *no˛, *e- , *ı-. Dal tema dell’infinito si formano per suffissazione l’aoristo, l’imperfetto (tramite il suffisso *e- ax) e i participi passati (tramite i suffissi *ŭs, *n, *t, *l). Si è soliti dire che dal tema dell’infinito si forma il supino, ma in verità infinito e supino hanno in comune l’origine sostantivale: il supino era anticamente un accusativo, usato dopo i verbi di moto per indicare lo scopo dell’azione. Le vocali tematiche dei tempi passati coincidono con quelle del presente in tutte le persone esclusa la 1ª persona duale e plurale: sg 1ª 2ª 3ª e/o o e e I coniugazione ne/no no ne ne je/jo jo je je II coniugazione i i i i 164 Il paleoslavo du pl 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª o e e o e o I coniugazione no ne ne no ne no jo je je jo je jo II coniugazione i i i i i i 20. Classificazione Il verbo si può classificare a partire dal tema del presente o a partire dal tema dell’infinito. All’interno di queste scelte i criteri di classificazione possono variare: alcuni studiosi elencano quali coniugazioni diverse ciò che altri classificano quali sottotipi di un’unica coniugazione e così via. In ogni caso, a prescindere dalle scelte classificatorie, la suddivisione del materiale in sé non è oggetto di discussione (ad eccezione di pochissimi verbi del tipo piti , biti 7), e si basa su una preliminare suddivisione tra verbi atematici e verbi tematici. I verbi atematici sono dati ‘dare’ (*dad-), qsti ‘mangiare’ (*(j)e- d-), v:d:ti ‘sapere’ (*u‡oi‡d-) e b¨ti ‘essere’, che si caratterizza per il suo suppletivismo: infinito b¨ti , participio presente b¨{(}i e aoristo b¨h) dalla radice *bhu- -; presente imperfettivo &sm| dalla radice *(j)e- s-, 3ª pl del presente 7 Alcuni studiosi ritengono che tutti i verbi il cui tema dell’infinito sia uguale alla radice e la radice sia in vocale (del tipo æ¢ati, biti, liti, piti, kr¨ti, m¨ti) appartengano alla classe IIIa, ovvero formino il presente con le vocali tematiche je/jo: biti, 1ª sg *bi-jo˛ > *bß•-jo˛ (A. M. Seliščev, Staroslavjanskij jazyk, II, Moskva 1952, p. 147). Altri studiosi distinguono invece tra verbi della classe Ia con radice in semivocale *pß•i‡-, *u‡ei‡-, *lß•i‡- (piti, viti, liti) e verbi della classe IIIa con radice in vocale (po~iti, {iti, g¢iti, biti): così Van Wijk ipotizza una diversa intonazione deducendola dalla diversa modalità di formazione dell’aoristo e del participio passato passivo: 2ª e 3ª sg dell’aoristo pit), vit), lit) e participio passato passivo pit), vit), lit) contro 2ª e 3ª sg dell’aoristo bi, po~i, e participio passato passivo bie¢), po~|te¢) (N. Van Wijk, Istorija staroslavjanskogo jazyka, Moskva 1957, p. 339). Cfr. anche i deverbali pitie vs bie¢ie, po~|te¢ie. Per ciò che riguarda l’esistenza di un gruppo di verbi caratterizzato dalla predilezione per il suffisso *t, v. p. 178 e p. 191. Morfologia 165 imperfettivo s\t) e participio presente attivo s¨ dalla radice *s-, presente perfettivo b\d\ e imperativo b\di dalla radice *bond-. La 1ª sg esce in -m| da *mı̆, desinenza che forma solo il presente di questi verbi atematici opponendoli a tutti i verbi tematici che escono in -\ da *a- n: dam| (*da-mı̆, senza alcun suffisso tematico), qm| , v:m| e &sm| . La desinenza della 2ª sg -si (&si , dasi , qsi , v:si ) si distingue da quella dei verbi tematici, che escono in -{i (v. p. 162). Il verbo im:ti ‘avere’ (*em-/*m ÷ -) è atematico solo alla 1ª sg imam| (2ª persona sg ima{i dal tema del presente *jßm-a- -). I verbi tematici si suddividono in quattro gruppi che corrispondono ai tre sottotipi della I coniugazione (vocale tematica -e/o-, -ne/no-, -je/jo-) e alla II coniugazione (vocale tematica -i-). Questi quattro gruppi sono ulteriormente suddivisi al loro interno in sottogruppi, legati al suffisso tematico dell’infinito: I e/o II ne/no III je/jo IV i a. suffisso dell’infinito -øb. suffisso dell’infinito -aa. radice in consonante e suffisso dell’infinito -no˛b. radice in vocale e suffisso dell’infinito -no˛a1. suffisso dell’infinito -øa2. imperfettivi derivati con suffisso dell’infinito -a-, -va-, -ěb. suffisso dell’infinito -aa. suffisso dell’infinito -ib. suffisso dell’infinito -ě-, -a- (< *e- ) Ia. Il sottogruppo Ia è un gruppo non produttivo cui appartengono pochi verbi con il tema dell’infinito monosillabo e la radice in consonante. Si divide in quattro sottotipi: 1. Verbi con radice in occlusiva o fricativa (p, b, v, t, d, k, g, s, z) senza alternanza vocalica radicale; presentano tutti assimilazione, dissimilazione o caduta della consonante radicale davanti alla dentale della desinenza dell’infinito -ti : vesti , 1ª sg ved\ ‘condurre (a piedi)’; vesti , 1ª sg veæ\ ‘condurre (con un mezzo)’. 2. Verbi con radice in occlusiva o fricativa con alternanza vocalica radicale. Sono caratterizzati, oltre che dalla assimilazione, dalla dissimilazione o dalla caduta della consonante radicale davanti alla dentale della desinenza 166 Il paleoslavo dell’infinito -ti , dalla apofonia radicale. La vocale radicale presenta il grado pieno nel tema dell’infinito e il grado ridotto nel tema del presente: i/ß (*ei‡/*ı̆), u/∞ (*ou‡/*ŭ), er/ßr davanti a vocale e rě/rß davanti a consonante (*er/*r÷), el/ßl davanti a vocale e lě/lß davanti a consonante (*el/*l÷). Questi verbi (con la sola eccezione di ¢ebr:{ti ‘non curarsi’, 1ª sg ¢ebr:g\ e vl:{ti ‘trascinare’, 1ª sg vl:k\ che presentano il grado vocalico ridotto soltanto nella formazione dei tre participi passati), utilizzano la radice di grado normale per la formazione dell’infinito e del supino e la radice di grado ridotto per la formazione di presente, participi presenti, imperativo, imperfetto, aoristo forte, aoristo sigmatico II, participi passati. 3. Verbi con radice in consonante liquida o nasale (n, m, l, r) o in semivocale (i‡, u‡) con e senza alternanza vocalica radicale. Sono caratterizzati da metatesi delle liquide, formazione di vocali nasali e monottongazione di dittonghi: mr:ti ‘morire’ (*mer-ti), 1ª sg m|r\ (*mßr-o˛); kl(ti ‘giurare’ (*klßn-ti), 1ª sg kl|¢\ (*klßn-o˛); p:ti ‘cantare’ (*poi‡-ti), 1ª sg po+ (*poi‡-o˛); viti ‘torcere’ (*vß• j-ti < *u‡ei‡-ti), 1ª sg vi+ (*vß• j-o˛ < *u‡ei‡-o˛); plouti ‘galleggiare’ (*plou‡-ti), 1ª sg plov\ (*plou‡-o˛). I verbi del tipo mr:ti formano l’infinito e il supino con la radice di grado vocalico normale e tutte le altre forme con la radice di grado ridotto come i verbi del sottotipo 2 (del tipo vr:{ti ‘lanciare’, 1ª sg vr|g\ ). Diversamente da quelli però formano il participio passato passivo con il suffisso *t8, e ciò li accomuna ai verbi di questo sottotipo (viti ‘torcere’, participio passato vit) , rasp(ti ‘distendere’, participio passato rasp(t) , p:ti ‘cantare’, participo passato p:t) ). Sono tutti verbi primitivi, né denominali né deverbali, durativi. 4. Verbi irregolari con infisso nasale del tipo s:sti , 1ª sg s(d\ ‘sedersi’; con formante *d- del tipo iti ‘andare’, 1ª sg id\ ; con estensione della radice *u‡ del tipo jiti ‘vivere’, 1ª sg jiv\ . 8 Forma il participio passato passivo con il suffisso *t anche un verbo del sottogruppo 2, otvr:sti, otvr|æ\, otvr|st). Per ciò che riguarda l’esistenza di un gruppo di verbi caratterizzato dalla predilezione per il suffisso *t, v. la nota precedente. Morfologia 167 I verbi del gruppo Ia formano tutti l’imperfetto dal tema del presente, per mezzo del suffisso *e- ax (v. p. 184). Nella formazione dell’aoristo conservano modalità di formazione arcaiche e non più produttive in paleoslavo (v. p. 179). I coniugazione – vocali tematiche e/o – suffisso dell’infinito -ø- (Ia) Radici in occlusiva e fricativa Radici in occlusiva e fricativa senza apofonia: con apofonia radicale: ei/i vesti, ved\ condurre (a piedi) ~isti, ~|t\ leggere vesti, veæ\ condurre cvisti, cv|t\ fiorire ¢esti, ¢es\ portare pro¢isti, trafiggere pro¢|æ\ bl<sti, bl<d\ osservare greti, greb\ remare Radici in occlusiva e fricativa con apofonia radicale: ou/u gr¨sti, gr¨æ\ rosicchiare souti, s)p\ 9 spargere (grani) s:}i, s:k\ tagliare je}i, jeg\ ardere Radici in occlusiva e fricativa con apofonia radicale: er/r÷ (r: /r| ) mesti, met\ gettare ¢ebr:}i, ¢ebr:g\ curarsi di g¢esti, g¢et\ opprimere otvr:sti, otvr|æ\ aprire stri}i, strig\ tosare ~r:sti, ~r|t\ tratteggiare pe}i, pek\ cuocere ~r:ti, ~r|p\ attingere, mescere plesti, plet\ intrecciare vr:}i, vr|g\ lanciare re}i, rek\ dire vr:}i, vr|h\ triturare te}i, tek\ scorrere g\sti, g\d\ suonare (strumento a Radici in occlusiva e fricativa corde) con apofonia radicale: el/l÷ (l: /l| ) jl:sti, jl:d\ ricompensare ml:sti, ml|æ\ emulsionare str:}i, str:g\ sorvegliare tl:}i, tl)k\ colpire bl(sti, bl(d\ parlare a vanvera vl:}i, vl:k\ trascinare ouv(sti, ouv(æ\ inghirlandare æv(}i, æv(g\ raccontare Radici in n, m, r, i‡, u‡ con e senza apofonia æ(ti, æ(b\ strappare kl(ti, kl|¢\ giurare 9 Questo verbo, che non è attestato nei codici del canone, è presente nel Salterio del Monastero dei Miracoli (Čudovskaja psaltyr’, XI sec.): casi analoghi, per altro non numerosi, qui come di seguito saranno elencati senza ulteriore precisazione. Cfr. N. Van Wijk, Istorija staroslavjanskogo jazyka, Moskva 1957. 168 Il paleoslavo I coniugazione – vocali tematiche e/o – suffisso dell’infinito -ø- (Ia) l(}i, l(k\ curvare m(ti, m|¢\ follare, gualcare m(sti, m(t\ scuotere p(ti, p|¢\ stendere, allungare pr(}i, pr(g\ tendere t(ti, t|¢\ fendere pr(sti, pr(d\ filare ¢a~(ti, ¢a~|¢\ cominciare pris(}i, -s(g\ avvicinarsi a toccare j(ti, j|m\ premere tr(sti, tr(s\ scuotere `ti, im\ prendere bosti, bod\ trafiggere d\ti, d)m\ soffiare mo}i, mog\ potere vlasti, vlad\ dominare pojr:ti, poj|r\ inghiottire rasti, rast\ crescere mr:ti, m|r\ morire teti, tep\ flagellare v)vr:ti, v|r\ trafiggere v)l:sti, v)l:æ\ entrare opr:ti s(, op|r\ appoggiarsi s( klasti, klad\ mettere raskvr:ti, far fondere raskv|r\ krasti, krad\ rubare prostr:ti, -st|r\ estendere pasti, pad\ cadere pasti, pas\ pascolare jr|ti, j|r\ sacrificare tr|ti, t|r\ strofinare Estensione della radice -u‡-: viti, vi+ torcere pl:ti, pl:v\ sarchiare g¢iti, g¢i+ marcire jiti, jiv\ vivere liti, li+ versare piti, pi+ bere Infisso nasale e formante dentale: v)piti, v)pi+ chiamare s:sti, s(d\ sedersi p:ti, po+ cantare le}i, l(g\ coricarsi plouti, plov\ galleggiare b¨ti, b\d\ essere r<ti, r&v\ muggire, ruggire gr(sti, gr(d\ venire routi, rov\ muggire, ruggire iti, id\ andare (a piedi) slouti, slov\ avere fama di pr:qhati, attraversare (con un trouti, trov\ consumare pr:qd\ mezzo) Ib. I verbi del gruppo Ib hanno il tema dell’infinito sempre bisillabo, che si forma aggiungendo alla radice il suffisso -a- (che non compare nel tema del presente). Sono tutti verbi primitivi, né denominali né deverbali, durativi. Dal tema dell’infinito formano l’imperfetto e l’aoristo sigmatico I di tipo più recente (v. p. 181). Morfologia 169 Il gruppo Ib è ulteriormente diviso in quattro sottotipi, tutti rappresentati da pochi verbi: 1. radice in r, n e alternanza vocalica radicale (tipo b|rati ‘raccogliere’, 1ª sg ber\ ); 2. vocale radicale ∞ (tipo s)sati ‘succhiare’, 1ª sg s)s\ ); 3. altre radici con e senza alternanza (tipo æ)vati ‘chiamare’, 1ª sg æov\ ); 4. radici con apofonia radicale i/ěj (*i/*e- i) del tipo æiqti ‘spalancare’ (*zi-a-ti), 1ª sg æ:+ (*ze- i-o˛). I coniugazione – vocali tematiche e/o – suffisso dell’infinito -a- (Ib) Radici in r, n con apofonia: Altre radici: b|rati, ber\ raccogliere kovati, kov\ d|rati, der\ strappare os¢ovati, os¢ov\ p|rati, per\ innalzare æ)vati, æov\ g)¢ati, je¢\ seguire, inseguire iskati, isk\ j|dati, jid\ metati, met\ Radici in vocale con apofonia i/e- i: priqti, pr:+ favorire Radici contenenti ∞: liqti, l:+ versare ot)r)vati, ot)r)v\ smiqti s(, sm:+ s( ridere s)sati, s)s\ æiqti, æ:+ spalancare t)kati, t)k\ forgiare fondare chiamare cercare aspettare gettare strappare succhiare spingere IIa e IIb. I verbi del gruppo II sono quasi tutti non durativi (cfr. nel gruppo Ia i verbi non durativi con infisso nasale); molti sono derivati perfettivi di verbi imperfettivi. In qualità di non durativi non formavano originariamente l’imperfetto. Successivamente, in contesti in cui si sottolinea il carattere abituale e ripetuto dell’azione, adottano le forme del nuovo imperfetto slavo formato dal tema del presente con il suffisso *e- ax (v. p. 184). Il suffisso -no˛- alterna, raramente, con il suffisso -nu-. I participi passivi del tipo dvig¢ove¢) ‘mosso’ (v. p. 192) e i deverbali del tipo prikos¢ove¢ie ‘contatto’ (v. p. 197) fanno pensare all’alternanza *nou‡/*nov anche laddove l’infinito ci è noto con il suffisso -no˛- (potrebbe trattarsi di una nasalizzazione più tarda di un originario suffisso *nou‡). I verbi del gruppo II era divisi in due sottotipi diversi, quelli con radice in consonante e quelli con radice in vocale. 170 Il paleoslavo I verbi con radice in consonante possono conservare o meno il suffisso: l’aoristo, i participi passati e il sostantivo verbale sono formati senza suffisso; l’aoristo è quello forte tematico (v. p. 179): I coniugazione - vocali tematiche ne/no – radice in consonante + suffisso -no˛- (IIa) dvig¢\ti, dvig¢\ muovere kos¢\ti, kos¢\ toccare v)sklik¢\ti, esclamare pob:g¢\ti, pob:g¢\ darsi alla fuga v)sklik¢\ ot)rig¢\ti, ot)rig¢\ eruttare ouv(æ¢\ti, ouv(æ¢\ impigliarsi tl)k¢\ti, tl)k¢\ dare un colpo ougas¢\ti, ougas¢\ estinguersi v¨k¢\ti, v¨k¢\ abituarsi pogr(æ¢\ti, affondare pogr(æ¢\ dr)æ¢\ti, dr)æ¢\ osare pog¨b¢\ti, pog¨b¢\ perire v)æd)h¢\ti, -d)h¢\ soffiare v)k¨s¢\ti, v)k¨s¢\ fermentare oujaæ¢\ti, -jaæ¢\ s( spaventarsi mr)k¢\ti, mr)k¢\ imbrunire proæ(b¢\ti, -æ(b¢\ germogliare pomr)æ¢\ti, -mr)æ¢\ gelare v)skr(s¢\ti, -kr|s¢\ resuscitare prom)k¢\ti s(, diffondersi prom)k¢\ s( ouml)k¢\ti, oml)k¢\ tacersi pri¢ik¢\ti, -¢ik¢\ sporgersi oum(k¢\ti, oum(k¢\ diventar molle posag¢\ti, posag¢\ andare sposa popl)æ¢\ti s(, scivolare ohr)(m)¢\ti, ohr)m¢\ diventare popl)æ¢\ s( zoppo osl|p¢\ti, osl|p¢\ divenire cieco v)æb)¢\ti, v)æb)¢\ svegliarsi postig¢\ti, postig¢\ raggiungere ouv(¢\ti, ouv(¢\ sfiorire ous)h¢\ti, ous)h¢\ seccarsi s)g)¢\ti, s)g)¢\ piegare is(k¢\ti, is(k¢\ prosciugarsi ous)¢\ti, ous)¢\ addormentarsi isto(p)¢\ti, istop¢\ essere ougl|b¢\ti, ougl|b¢\ sprofondare sommerso rastr)g¢\ti, -tr)g¢\ lacerare prisv(¢\ti, prisv(¢\ appassire t)k¢\ti, t)k¢\ bussare i}eæ¢\ti, i}eæ¢\ sparire prot(g¢\ti, -t(g¢\ tirare I verbi con radice in vocale conservano il suffisso in tutte le forme, ad eccezione del verbo stati ‘diventare’, 1ª sg sta¢\ , aoristo stah) ; l’aoristo è quello sigmatico I di tipo più recente (v. p. 181): I coniugazione - vocali tematiche ne/no – radice in vocale + suffisso -no˛- (IIb) mi¢\ti, mi¢\ passare poma¢\ti, -ma¢\ fare un segno povi¢\ti, -vi¢\ sottomettere pom:¢\ti, -m:¢\ ricordare dou¢\ti, dou¢\ gonfiare isou¢\ti, -sou¢\ sguainare 171 Morfologia pok¨¢\ti, -k¨¢\ v)spla¢\ti s(, -pla¢\ s( æi¢\ti, æi¢\ fare un cenno infiammarsi spalancare ot)ri¢\ti, -ri¢\ pli¢\ti, pli¢\ (pl<¢\ti, pl<¢\) stati, sta¢\ rigettare sputare diventare IIIa. Il gruppo IIIa è diviso in due sottotipi: 1. verbi primitivi con radice t, l, r, n (tipo brati ‘lottare’, 1ª sg bor+ ) o in vocale (tipo æ¢ati ‘sapere’, 1ª sg æ¢a+ ); 2. verbi derivati frequentativi e denominali (tipo d:lati ‘fare’, 1ª sg d:la+ ). Del gruppo IIIa1 fanno parte: – cinque verbi con radice in consonante, suffisso dell’infinito -ø-, che strutturalmente dovrebbero far parte della classe Ia, ma invece seguono il tipo molle della I coniugazione: ml:ti ‘macinare’, 1ª sg mel+ , klati ‘sgozzare’, 1ª sg kol+ , brati ‘lottare’, 1ª sg bor+ , j(ti ‘mietere’, 1ª sg j|¢+ , obr:sti ‘trovare’, 1ª sg obr(}\ . Come i loro simili del gruppo Ia questi verbi formano l’imperfetto dal tema del presente. L’aoristo invece è sigmatico I del tipo più recente (v. p. 181). – verbi primitivi con radice in vocale e tema dell’infinito uguale alla radice del tipo æ¢ati ‘sapere’, 1ª sg æ¢a+ : I coniugazione – vocali tematiche je/jo – suffisso dell’infinito -ø- (IIIa1) Radici in consonante: brati, bor+ lottare ml:ti, mel+ macinare j(ti, j|¢+ mietere obr:sti, obr(}\ trovare klati, kol+ sgozzare Radici in vocale: æ¢ati, æ¢a+ sapere kr¨ti, kr¨+ coprire siqti, siq+ brillare m¨ti, m¨+ lavare oup)vati, oup)va+ confidare ou¢¨ti, ou¢¨+ scoraggiarsi sp:ti, sp:+ maturare r¨ti, r¨+ scavare v)æd:ti, -d:jd\ e -d:+ fare ¢adouti, ¢adou+ s( gonfiarsi, inorgoglirsi s:ti, s:+ seminare ~outi, ~ou+ sentire s)m:ti, s)m:+ osare obouti, obou+ calzare biti, bi+ battere po~iti, po~i+ riposare s){iti, s){i+ cucire 172 Il paleoslavo Del gruppo IIIa2, molto produttivo, fanno parte verbi derivati (imperfettivi, denominali, deverbali) in -ě-, -a-, -va- che conservano il suffisso del tema dell’infinito nel tema del presente. Suffisso -ě-: serve a derivare verbi denominali del tipo oum:ti ‘avere la capacità’ (oum) ‘mente’), 1ª sg oum:+ . Suffisso -a-: serve a derivare verbi denominali del tipo d:lati ‘fare’ (d:lo ‘affare’), 1ª sg d:la+ ; con l’allungamento della vocale radicale forma frequentativi di verbi imperfettivi e deriva imperfettivi da verbi perfettivi: privoditi impf. ‘arrecare’ e privajdati impf. ‘citare (un passo)’, 1ª sg privajda+ ; v)prositi pf. ‘chiedere’ e v)pra{ati impf. ‘interrogare’, 1ª sg v)pra{a+ . Suffisso -va-: forma frequentativi di verbi imperfettivi e deriva imperfettivi da verbi perfettivi senza allungamento della vocale radicale: b¨ti impf. ‘essere’, b¨vati impf. ‘trovarsi abitualmente’, 1ª sg b¨va+ ; oubiti pf. ‘uccidere’, oubivati impf. ‘uccidere’, 1ª sg oubiva+ ; s)gr:ti s( pf. ‘accalorarsi’, s)gr:vati impf. ‘scaldare’, 1ª sg s)gr:va+ . Tutti questi verbi formano dal tema dell’infinito l’aoristo sigmatico I di tipo recente (d:lah) ) e l’imperfetto (d:laah) ). IIIb. Il gruppo IIIb è un gruppo numeroso ma poco produttivo (è produttivo solo il sottogruppo 5), che comprende cinque sottogruppi accomunati dal fatto di formare l’infinito con il suffisso -a- e di non conservare questo suffisso nel tema del presente: 1. Radici in consonante occlusiva e fricativa del tipo glagolati ‘parlare’, 1ª sg glagol+ ; 2. Radici in l, r, m, n del tipo s)lati ‘inviare’, 1ª sg s)l+ ; 3. Radici con apofonia radicale: alternanza ß/e del tipo imati (*jßm-) ‘prendere’, 1ª sg &ml+ ; alternanza ß/i del tipo æ|dati ‘costruire’, 1ª sg æijd\ ; alternanza rß/rě (*r÷/*er) del tipo tr|æati ‘strappare’, 1ª sg tr:j\ ; alternanza ßv/ju del tipo pl|vati ‘sputare’ (*pl’ŭu‡ati < *pj-u- -a-ti), 1ª sg pl<+ (*pl’-u- -jo˛ < *pj-ou‡-jan); 4. Radici in vocale del tipo kaqti s( ‘pentirsi’, 1ª sg k a+ s( ; Morfologia 173 5. Verbi denominali derivati con il suffisso -ova- del tipo v:rovati ‘credere’, 1ª sg v:rou+ (v:ra ‘fede’). Il suffisso *ŏu‡ davanti a vocale si dentalizza (-ov-), davanti alla semiconsonante -j- del suffisso tematico si monottonga (-u-). Sottotipo molto produttivo, non è incluso nella tabella. I coniugazione – vocali tematiche je/jo – suffisso dell’infinito -a- (IIIb) Radici in occlusiva e fricativa: alkati, al~\ avere fame maæati, maj\ ungere v(æati, v(j\ legare metati, me}\ lanciare gasati, ga{\ estinguere mr|cati, mr|~\ oscurarsi glagolati, glagol+ parlare ¢icati, ¢i~\ sorgere g¨bati, g¨bl+ perire plakati, pla~\ piangere dvi™ati, dvij\ muovere pleskati, ple}\ battere le mani douhati, dou{\ soffiare pl(sati, pl({\ danzare j(dati, j(jd\ avere sete ristati, ri}\ correre æobati, æobl+ mangiare r)æati, r)j\ nitrire æ¨bati, æ¨bl+ vacillare r)p)tati, r)p)}\ mormorare iskati, i}\ cercare r:æati, r:j\ intagliare kaæati, kaj\ sembrare skakati, ska~\ saltare kapati, kapl+ gocciolare skr|j|tati, digrignare skr|j|}\ klevetati, kleve}\ calunniare stradati, strajd\ soffrire klepati, klepl+ segnalare str:kati, str:~\ pungolare kl|~|tati, kl|~|}\ battere i denti s¨pati, s¨pl+ spargere klicati, kli~\ gridare cs(æati, os(j\ toccare klokotati, kloko}\ ribollire tesati, te{\ tagliare con l’accetta kol:bati, kol:bl+ oscillare tratati, tra}\ inseguire k\pati, k\pl+ bagnare trepetati, trepe}\ tremare liæati, lij\ leccare v)st(æati, -t(j\ accusare lob)æati, lob)j\ baciare hapati, hapl+ mordere l)gati, l)j\ mentire ~esati, ~e{\ raccogliere (frutta) l:gati, l:j\ coricarsi {|p)tati, {|p)}\ sussurrare l(cati, l(~\ spargere poqsati, -q}\ cingere trappole Alcune radici con apofonia radicale: Alcune radici in vocale: imati, &ml+ prendere v:(q)ti, v:+ soffiare æ|dati, æijd\ costruire d:(q)ti, d:+ fare v)sl|pati, sl:pl+ sgorgare r:qti, r:+ spingere p|sati, pi{\ scrivere 174 Il paleoslavo pl|æati, pl:j\ str)gati, strouj\ st|lati, stel+ tr|æati, tr:j\ ~r|pati, ~r:pl+ bl|vati, bl<+ pl|vati, pl<+ kl|vati, kl<+ arrampicarsi raschiare stendere strappare attingere vomitare sputare beccare Alcune radici in l, r, m, n: mr)m)rati, mr)m)r+ orati, or+ s)lati, s)l+ ste¢ati, ste¢+ v)ædr:mati, v)ædr:ml+ mormorare arare inviare gemere sonnecchiare gr:(q)ti, gr:+ s:(q)ti, s:+ sp:(q)ti, sp:+ scaldare seminare prosperare baqti, ba+ vaqti, va+ da(q)ti, da+ graqti, gra+ kaqti s(, ka+ s( laqti, la+ maqti, ma+ sta(q)ti, sta+ taqti, ta+ ~aqti, ~a+ raccontare scolpire dare gracchiare pentirsi abbaiare fare segnali stare diritto fondersi attendere Ai gruppi Ia, Ib, IIa, IIb, IIIa e IIIb appartiene la totalità dei verbi con apofonia radicale. IVa. Del gruppo IVa fanno parte verbi fattitivi, frequentativi, denominali. Il tema dell’infinito si forma con il suffisso -i-. Il tema del presente ha vocale tematica -i- (II coniugazione). La derivazione di fattitivi per il tramite del suffisso -i- non è produttiva: si tratta quindi di un numero finito di verbi10. Per esprimere il concetto del “far fare” il paleoslavo calca sul greco la costruzione (s) )tvoriti + infinito del verbo. Anche la derivazione di frequentativi con il suffisso -i- non è produttiva: questa funzione è assolta nella maggioranza dei casi dal suffisso -a-. Ciò favorisce la confusione dei frequentativi in -i- con gli imperfettivi, e il loro utilizzo nella formazione di coppie prefissate: ¢esti (impf. determinato), ¢ositi (frequentativo indeterminato) > pri¢esti (pf.), 10 Riportiamo i verbi da cui i fattitivi e gli frequentativi della lista sono derivati, nell’ordine di elencazione. I fattitivi sono derivati rispettivamente da go¢eæ¢\ti, iæb¨ti, le}i, pol:ti, s:sti, mr:ti, b)d:ti, te}i, piti, is(k¢\ti, v¨k¢\ti, mr)k¢\ti, v)skr|s¢\ti, pril|p:ti, v is:ti, g¨b¢\ti, stati, sv|t:ti, pogr(æ¢\ti. I frequentativi sono derivati rispettivamente da m(sti, v)l:sti, ¢esti, vesti, g)¢ati, vl:}i, iti, vesti, bl(sti. 175 Morfologia pri¢ositi (impf.). Indefinitamente produttiva è invece la derivazione di denominali in -i- di cui pochi sono perfettivi. II coniugazione – vocale tematica i – suffisso dell’infinito -i- (IVa) Verbi derivati da aggettivi e sostantivi: Verbi fattitivi: moliti, mol+ pregare go¢oæiti, go¢oj\ liberare hra¢iti, hra¢+ custodire iæbaviti, iæbavl+ salvare raæoriti, raæor+ distruggere polojiti, poloj\ mettere a giacere bogatiti s(, arricchirsi paliti, pal+ dare fuoco boga}\ s( iskaæiti, iskaj\ guastare posaditi, posajd\ far sedere, piantare m:riti, m:r+ misurare oumoriti, oumor+ far morire stroiti, stro+ mettere ordine bouditi, boujd\ svegliare l<biti, l<bl+ amare to~iti, to~\ far colare loviti, lovl+ cacciare poiti, po+ abbeverare gostiti, go}\ offrire (a un ospite) is\~iti, is\~\ far asciugare lomiti, loml+ spezzare v)æv:siti, -v:{\ appendere m\~iti, m\~\ tormentare pomra~iti, -mra~\ oscurare m¨sliti, m¨{l+ pensare v)skr:siti, -kr:{\ far resuscitare blaæ¢iti, blaj¢+ scandalizzare pril:piti, -l:pl+ incollare poustiti, pou}\ allentare, liberare ou~iti, ou~+ far imparare prigvoæditi, inchiodare goubiti, goubl+ far perire prigvojd\ s)motriti, osservare staviti, stavl+ mettere (ritto) s)mo}r+ m\driti s(, atteggiarsi a saggio pogr\æiti, affondare (trans.) m\jdr\ s( pogr\j\ ostriti, o}r+ affilare sv:titi, sv:}\ illuminare blagoslovestiti, benedire ou~iti, ou~+ far imparare blagoslove}\ qæviti, qjvl+ ferire Verbi frequentativi: m\titi, m\}\ v)laæiti, v)laj\ ¢ositi, ¢o{\ voæiti, voj\ go¢iti, go¢+ turbare, agitare entrare portare portare (con un mezzo) cacciare vla~iti, vla~\ hoditi, hojd\ voditi, vojd\ bl\diti, bl\jd\ trascinare andare condurre errare 176 Il paleoslavo IVb. Del gruppo IVb fanno parte verbi primitivi che formano il tema dell’infinito con il suffisso -ě-, -’a- (< *e- ) e il tema del presente con il suffisso -i-. La loro funzione originaria è quella di indicare uno stato: sono quindi intransitivi e imperfettivi. Si distinguono tre sottotipi: – verbi con radice in vocale: boqti s( ‘temere’ (a < *e- dopo jod), 1ª sg bo+ s( ; – verbi con radice in velare: kri~ati ‘gridare’ < *krik-e- -ti (*e- provoca la I palatalizzazione delle velari), 1ª sg kri~\ ; – verbi con radice in consonante non velare: gor:ti ‘ardere’, 1ª sg gor+ . Di questo gruppo fanno parte anche un unico verbo in -a- (< *a- ): s)pati ‘dormire’, 1ª sg s)pl+ , e due verbi a paradigma misto: hot:ti ‘volere’, 1ª sg ho}\ , e dov|l:ti ‘essere sufficiente’, 1ª sg dov|l+ : hot:ti segue la II coniugazione alla 3ª persona pl (hot(t) ) e al N maschile e neutro del participio presente attivo (hot( ), mentre nei casi obliqui del participio e per tutto il resto si comporta come un verbo della I coniugazione (1ª sg ho}\ , 2ª sg ho}e{i ); dov|l:ti segue la II coniugazione esclusivamente alla 3ª persona pl (dov|l(t) ) e in generale tende a passare al tipo IIIa2 (dov|l:+ , dov|l:&{i ). II coniugazione – vocale tematica i – suffisso dell’infinito -ě- (IVb) ě (< *e- dopo consonante non velare) ’a (< *e- dopo vocale) bol:ti, bol+ essere malato boqti s(, bo+ s( temere b)d:ti, b)jd\ vegliare stoqti, sto+ stare ritto vel:ti, vel+ prescrivere vid:ti, vijd\ vedere a (< *e- dopo velare) vis:ti, vi{\ essere sospeso dvijati, dvij\ muovere vr|t:ti, vr|}\ s( rigirarsi dr|jati, dr|j\ tenere v|r:ti, v|r+ bollire kl(~ati, kl(~\ essere inginocchiato gor:ti, gor+ ardere kri~ati, kri~\ gridare gr|m:ti, gr|ml+ tuonare lejati, lej\ essere coricato æ|r:ti, æ|r+ guardare l|}ati s(, l|}\ brillare s( j(d:ti, j(jd\ desiderare ml|~ati, ml|~\ tacere k)s¢:ti, k){¢+ tardare m)~ati, m)~\ scuotere k¨p:ti, k¨pl+ ribollire sl¨{ati, sl¨{\ udire 177 Morfologia let:ti, le}\ pril|p:ti, -l|pl+ volare essere incollato mr|æ:ti, mr|j\ essere odioso m|¢:ti, m|¢+ pensare pl|æ:ti, pl|j\ strisciare pol:ti, pol+ incendiare p|r:ti s(, p|r+ s( disputare sv|t:ti s(, sv|}\ s( brillare skr)b:ti, skr)bl+ essere afflitto smr|d:ti, smr|jd\ puzzare st¨d:ti s(, styjd\ vergognarsi s( s:d:ti, s:jd\ essere seduto tr|p:ti, tr|pl+ sopportare }(d:ti, }(jd\ spargere b:jati, b:j\ fuggire t)}ati s(, t)}\ affrettarsi, sforzarsi s( s)t(jati, s)t(j\ acquistare s)pati, s)pl+ dormire 21. L’aoristo In paleoslavo si conoscono quattro tipi di aoristo, un tipo produttivo (sigmatico II) e tre tipi improduttivi (forte atematico, forte tematico, sigmatico I), derivati con modalità non più attive in paleoslavo e rappresentati da un numero limitato di verbi ad altissima frequenza di uso del tipo re}i ‘dire’, iti ‘andare’ e pochi altri. L’aoristo forte è il più antico; può essere tematico o atematico. L’aoristo forte atematico funge da controparte non durativa del presente durativo. Privo di suffissi tematici, si forma unendo le desinenze secondarie direttamente alla radice dei verbi non durativi. Progressivamente emarginato dallo sviluppo dell’aoristo forte tematico e dell’aoristo sigmatico, l’aoristo forte atematico è testimoniato in paleoslavo soltanto dalla 2ª e 3ª sg di un numero ristrettissimo di verbi: a) i verbi atematici dati ‘dare’, qsti ‘mangiare’ e b¨ti ‘essere’; b) alcuni verbi del gruppo Ia che contengono nella radice un dittongo e sono caratterizzati da un probabile accento circonflesso sulla vocale radicale: viti ‘torcere’, piti ‘bere’, p:ti ‘cantare’, oumr:ti ‘morire’, prostr:ti 178 Il paleoslavo ‘estendere’, jr:ti ‘sacrificare’, k l(ti ‘giurare’, rasp(ti ‘distendere’, `ti ‘prendere’, ¢a~(ti ‘cominciare’. In tutte le altre persone questi verbi hanno le forme dell’aoristo sigmatico: sg 2ª 3ª `ti `t) `t) oumr:ti oumr:t) oumr:t) piti pit) pit) dati dast) dast) Quando la desinenza della 2ª e 3ª persona sg -t) (la cui provenienza è tuttora oggetto di discussione) viene omessa, la flessione di questo aoristo coincide interamente con quella di un aoristo sigmatico. Tuttavia, i verbi caratterizzati da questa estensione della 2ª e 3ª sg formano nel loro complesso un gruppo ben individuato: oltre alla 2ª e 3ª persona dell’aoristo in -t) essi formano infatti il participio passato passivo con il suffisso *t e sostantivi verbali in -tie (v. p. 164, nota 7 e p. 191)11. L’aoristo forte tematico nasce come aoristo perfettivo; si formava da verbi non durativi dei gruppi Ia e IIa, unendo le vocali tematiche e le desinenze secondarie alla consonante radicale (i verbi in -no˛- perdevano il suffisso): Sg 1ª 2ª 3ª id-o-n id-e-s id-e-t Du id-o-vě id-e-ta id-e-te Pl id-o-mus id-e-te id-o-nt Con la perdita di importanza dell’aoristo forte atematico, aoristo forte tematico e aoristo sigmatico divengono complementari: l’aoristo forte 11 L’appartenenza a questo gruppo dei verbi che contengono nella radice un dittongo in liquida è debole e senza futuro, mentre costante appare la presenza dei verbi che contengono nella radice un dittongo in nasale e in aumento l’appartenenza dei verbi con radice monosillaba in vocale. I sostantivi neutri deverbali in -тие elencati dal Grammatičeskij slovar’ russkogo jazyka risalgono ai verbi j(ti, rasp(ti, prokl(ti, ¢a~(ti, `ti; poviti, proliti, biti, iti, piti, jiti; r¨ti, kr¨ti, b¨ti, *pl¨ti, douti. L’elenco dei sostantivi in -тьë comprende витьё, житьё, литьё, питьё, бритьё, шитьё, дутьё, гнутьё, чутьё, вытьё, мытьё, нытьё, рытьё, мятьё, che ci riportano ai seguenti ulteriori infiniti: *briti, {iti, g)¢\ti, ~outi, *v¨ti, m¨ti, ¢¨ti, m(ti (* non sono attestati in paleoslavo, ma in testi più tardi). 179 Morfologia tematico, che inizialmente indicava un momento (puntuale) di inizio o di fine di una azione di per sé durativa (per esempio, “cantare una canzone”: cantare è di per sé un’azione durativa, che prevede una sequenza di note; ma l’esecuzione di un canto è un’azione finita), amplia la propria funzione a quella di aoristo puntuale in generale (a spese dell’aoristo atematico), e si oppone così all’aoristo sigmatico, durativo. In paleoslavo l’aoristo forte tematico, non più produttivo, è attestato da: a) non durativi del gruppo Ia che hanno all’infinito suffisso -ø-, al presente vocale tematica -e- (v. p. 167 e pp. 181-182); b) il verbo obr:sti ‘trovare’ (gruppo IIIa; v. p. 171); c) non durativi prefissati del gruppo IIa (v. p. 170), di cui sono attestate anche forme di aoristo sigmatico del tipo più recente, formato sia con, sia senza il suffisso -no˛12-: forte tematico ougl|b¢\ti v)sk¨s¢\ti prisv(¢\ti ohr)¢\ti pribeg¢\ti iæb:g¢\ti ot)beg¢\ti pog¨b¢\ti ¢av¨k¢\ti v)skr|s¢\ti v)æ¢ik¢\ti i}eæ¢\ti v)ædvig¢\ti proæ(b¢\ti ougleb) ougl|b\ v)sk¨s\ prisv(d\ ohr)m\ prib:g) iæb:g) ot)b:g\ pog¨b\ ¢av¨k\ v)skr|s\ v)æ¢ik\ i}eæete i}eæ\, i~eæ\ v)ædvig) v)ædvig\ proæ(b\ sigmatico II sigmatico II (senza suffisso -no˛-) (con suffisso -no˛-) sprofondare fermentare appassire azzopparsi accorrere sfuggire scappare perire adusarsi levarsi sorgere ot)bego{( pog¨bo{( ¢av¨ko{( v)skr)so{( v)æ¢iko{( i}eæo{( sparire v)ædvigo{( proæ(bo{( erigere proæ(b¢\{( spuntare 12 L’elenco di queste forme è tratto da H. Lunt, Old Church Slavonic Grammar, Mouton, The Hague 1968, pp. 91-92. 180 Il paleoslavo forte tematico oujas¢\ti s( ouml)k¢\ti is)h¢\ti s)s)h¢\ti ous)h¢\ti outo¢\ti isto¢\ti pot)k¢\ti s( oujasete s( oujas\ s( ouml)k\ isoh) is)h\ sos)h) outop\ istop\ pot)k\ s( sigmatico II sigmatico II (senza suffisso -no˛-) (con suffisso -no˛-) oujasoste s( oujas¢\ste s( atterrirsi oujaso{( s( oujas¢\{( s( ouml)ko{( zittirsi seccarsi is)ho{( outopo{( istopo{( pot)ko{( s( seccarsi seccarsi annegare annegare inciampare ous)h¢\ (3 sg) istop¢\{( pot)k¢\{( s( Parimenti improduttivo e poco rappresentato è l’aoristo sigmatico I (così detto per distinguerlo dal più tardo sigmatico II), che si forma dai verbi durativi del gruppo Ia. Alla consonante radicale si unisce il suffisso *s (*so alla 1ª sg, du e pl) e le desinenze secondarie. La vocale radicale presenta il grado allungato (e > ě; o > a). La 2ª e 3ª sg sono date con l’asterisco perché questi aoristi conservano qui la forma dell’aoristo forte tematico: la vocale radicale è di grado normale, la vocale tematica è -e-: 1ª 2ª 3ª Sg ne- s-so-n *ne- s-s-s (nese) *ne- s-s-t (nese) ne- s-so-vě ne- s-s-ta ne- s-s-te Du ne- s-so-mus ne- s-s-te ne- s-s-n÷t Pl L’uso di questo tipo di aoristo è inizialmente limitato a verbi del gruppo Ia: a) radice in fricativa, sonorante e occlusiva non velare con e senza apofonia; b) radice in occlusiva velare con e senza apofonia; la velare radicale s > x (legge di Pedersen). Davanti alla vocale anteriore sviluppata dalla *n÷ della 3ª pl (*sn÷t > *sı̆nt) x > š (per I palatalizzazione): 1ª 2ª 3ª Sg Du re- k-so-n > re- k-x-∞ > rĕx∞ re- k-so-vě > rĕxově (rek-e > reče) re- k-s-ta > rĕsta (rek-e > reče) re- k-s-te > rĕste Pl re- k-so-mus > rĕxom∞ re- k-s-te > rĕste re- k-s-n÷t > re- xı̆nt > rĕše˛ 181 Morfologia Ricapitolando, forme non produttive di aoristo forte e sigmatico I sono attestate in paleoslavo per i seguenti verbi13: iti -qhati s:sti v)æle}i -l:sti pasti oukrasti -mo}i ou¢isti -vr:}i -r:sti s)tr(sti -¢esti -vesti aoristo forte tematico id) idete idom) idete id\ v):d\, pr::d\ s:d) s:dom) s:d\ v)æleg\ v)l:æ\, iæl:æ\ pad\ oukrad\ v)æmog) iæ¢emojete v)æmogom) v)æmog\ ou¢|æ\ iævr|g\, ot)vr|g\ obr:t) obr:tete, s)r:tete obr:tom) obr:t\, s)r:t\ s)tr(s) s( s)tr(s\ s( aoristo sigmatico (s) s)tr(s( s( v)æ¢:s) v)æ¢:ste v)æ¢:s(, pri¢:s( priv:s) priv:ste, v)v:ste, iæv:ste v)v:som) priv:ste v:s(, priv:s( 13 L’elenco di queste forme è tratto da H. Lunt, op. cit., pp. 91-92. aoristo sigmatico (x) 182 otvr:sti procvisti probosti s)bl<sti pogreti kl(ti -p(ti -~(ti -(ti -~isti -m(sti -qsti re}i te}i -vl:}i ras:}i s)l(}i Il paleoslavo aoristo forte tematico aoristo sigmatico (s) otvr:s) otvr:ste s( otvr:s( procvis( probas( s)bl<s) s)bl<s( pogr:s( kl(s) s( prop(s(, rasp(s( ¢a~(s) ¢a~(s( po`s), pri`s) `som) `s(, v)æ(s( ~is(, i~is( s)m(s) s( s)m(som) v)æm(s(, s)m(s( qs) qst), po:st), s)¢:st) iæ: po:s(, s)¢:s( aoristo sigmatico (x) ~i{( v)æm({(, s)m({( qh) qhom) r:h) r:ste r:sta r:hom) r:ste r:{( t:h) t:ste t:{( v)vl:h) s)vl:{(, iævl:{(, obl:{( ras:{( s)l(h) s)l({( ¢al({( 183 Morfologia aoristo forte tematico v)je}i aoristo sigmatico (s) aoristo sigmatico (x) v)j:{( Successivamente, questo aoristo sigmatico I si estende a verbi durativi del tipo b|rati ‘raccogliere’ (Ib), klati ‘sgozzare’, æ¢ati ‘sapere’ (IIIa), alkati ‘avere fame’ (IIIb), ¢ositi ‘portare’ (IVa), vid:ti ‘vedere’, stoqti ‘essere in piedi’, lejati ‘essere disteso’ (IVb) e non durativi del tipo mi¢\ti ‘passare’ (IIb). Come dopo la velare radicale dei verbi del tipo re}i , aoristo r:h) , così dopo le vocali u, i la fricativa s > x (per Pedersen). Davanti alla vocale anteriore sviluppata dalla *n÷ della 3ª pl (*sn÷t > *sı̆nt) x > š (per I palatalizzazione). La vocale radicale è di grado normale. Alla 2ª e 3ª sg questi verbi imitano la forma dell’aoristo forte tematico, ma la vocale della terminazione è quella del tema dell’infinito : 1ª 2ª 3ª Sg nosi-so-n > nosix∞ (nosi) (nosi) Du nosi-so-vě > nosixově nosi-s-ta nosi-s-te Pl nosi-so-mus > nosixom∞ nosi-s-te nosi-s-n÷t > nosixı̆nt > nosiše˛ Il passaggio s > x si generalizza quindi a tutti i verbi che presentino nella radice o nel tema dell’infinito una vocale: è questo il tipo più recente di aoristo sigmatico I, caratterizzato dalla maggiore regolarità. Cfr. l’aoristo del verbo b¨ti ‘essere’: 1ª 2ª 3ª b¨h) b¨ b¨ Sg b¨hov: b¨sta b¨ste Du b¨hom) b¨ste b¨{( Pl Da questo tipo si differenziano ormai pochi verbi appartenenti a due categorie arcaiche, quella durativa dell’aoristo sigmatico del tipo v:s) , ved\ e quella non durativa dell’aoristo forte tematico del tipo id) , id\ , caratterizzati dalla mancanza della velare aspirata x. Per procedere alla loro analogizzazione non occorreva altro che inserire il suffisso -s-/-x-, preceduto dalla vocale di raccordo -o-: id) > idoh) . Nasce così l’aoristo sigmatico II, 184 Il paleoslavo destinato a essere l’unico produttivo, con uno schema unico di coniugazione per tutti i verbi e le seguenti terminazioni: 1ª -ox∞ 2ª 3ª Sg idox∞ (ide) (ide) -oxově -osta -oste Du idoxově idosta idoste -oxom∞ -oste -oše˛ Pl idoxom∞ idoste idoše˛ 22. L’imperfetto L’imperfetto slavo non ha nulla in comune con l’imperfetto i.e. Si tratta di una formazione originale slava, forse addirittura dialettale, che rivela un forte influsso da parte dell’aoristo sigmatico. La maggioranza dei verbi, e precisamente tutti quelli il cui tema dell’infinito esce in -a o in -: , formano l’imperfetto con il suffisso *ax: si tratta dei verbi del gruppo Ib (tipo æ)vati , imperfetto æ)vaah) ‘chiamavo’), IIIb (tipo kaæati , imperfetto k aæaah) ‘sembravo’), IVb (tipo tr|p:ti , imperfetto tr|p:ah) ‘sopportavo’), di quei verbi del gruppo IIIa1 che hanno radice in *a-, *-e- (tipo æ¢ati , imperfetto æ¢aah) ‘sapevo’, s:ti , imperfetto s:ah) ‘seminavo’), di tutti i verbi del gruppo IIIa2 (suffisso dell’infinito -ě-, -a-, -va-: oum:ah) ‘ero capace’, d:laah) ‘facevo’, bivaah) ‘uccidevo’). Tutti i verbi di cui né il tema dell’infinito né la radice escano in -a o in -: formano l’imperfetto dal tema del presente con il suffisso *e- ax, dove *erappresenta l’allungamento della vocale tematica del presente: si tratta di tutti i verbi del gruppo Ia (tipo ¢esti , imperfetto ¢es:ah) ‘portavo’) di tutti i verbi del gruppo II (tipo dvig¢\ti , imperfetto dvig¢:ah) ‘muovevo’), dei verbi del gruppo IIIa1 il cui infinito esce in vocali diverse da -a e da -: (tipo biti , imperfetto bi:ah) ‘battevo’; kr¨ti , imperfetto kr¨:ah) ‘coprivo’; m¨ti , imperfetto m¨:ah) ‘lavavo’; ~outi , imperfetto ~ou:ah) ‘sentivo’). Formano inoltre l’imperfetto con il suffisso *e- ax tutti i verbi il cui tema dell’infinito esca in -a e in -: a seguito di metatesi, monottongazione del dittongo radicale e formazione di vocali nasali. Dopo *-i‡ e dopo consonante palatale *e- ax > *’aax. Si tratta dei verbi del gruppo Ia del tipo vr:}i , imperfetto v|rjaah) ‘lanciavo’, mr:ti , imperfetto m|r:ah) ‘morivo’, kl(ti , 185 Morfologia imperfetto kl|¢:ah) ‘giuravo’, p:ti , imperfetto poqah) ‘cantavo’, piti , imperfetto piqah) ‘bevevo’, e dei cinque verbi in consonante del gruppo IIIa1: ml:ti , tema del presente *mel’-, imperfetto melqah) ‘macinavo’, klati , tema del presente *kol’-, imperfetto kolqah) ‘sgozzavo’, brati , tema del presente *bor’-, imperfetto borqah) ‘lottavo’, j(ti , tema del presente *žßn’-, imperfetto j|¢qah) ‘mietevo’, obr:sti , tema del presente *obre˛št’-, imperfetto obr(}aah) ‘trovavo’. L’imperfetto dei verbi in -i- (IVa), formato anch’esso con il suffisso *e- ax, si confonde in grafia cirillica con l’imperfetto dei verbi frequentativi da loro derivati tramite suffisso -a-: per esempio l’imperfetto di saditi ‘mettere in terra una piantina’ e l’imperfetto del suo iterativo sajdati (< *sadi-a-ti), ancorchè formati con suffissi diversi (rispettivamente *sadi-e- ax e *sadi-a-ax) hanno lo stesso imperfetto sajdaah) . La forma -’aax- si estende successivamente a tutti i verbi ai verbi del tipo biti , verosimilmente per analogia con i verbi del tipo piti (sulla diversa classificazione di *vi-ti e *pß• i‡-ti v. nota 7), e quindi a tutti i verbi del sotto gruppo IIIa1 con radice in vocale diversa da -a e da -: : biti , imperfetto biqah) ‘battevo’; kr¨ti , imperfetto kr¨qah) ‘coprivo’; m¨ti , imperfetto m¨qah) ‘lavavo’; ~outi , imperfetto ~ouqah) ‘sentivo’. Il suffisso *ax, *e- ax è seguito dalle vocali tematiche dei tempi passati e dalle desinenze secondarie: 1ª 2ª 3ª Sg Du vedě-ax-o-n > veděax∞ vedě-ax-o-vě > veděaxově vedě-ax-e-s > veděaše vedě-ax-e-ta > veděašeta vedě-ax-e-t > veděaše vedě-ax-e-te > veděašete Pl vedě-ax-o-mŭs > veděaxom∞ vedě-ax-e-te > veděašete vedě-ax-o-nt > veděaxo˛ Il verbo b¨ti forma l’imperfetto dalla radice *be- - coniugata come un aoristo sigmatico. Successivamente, per analogia con l’imperfetto, compaiono varianti derivate con il suffisso -ax-: 1ª 2ª 3ª Sg b:h) e b:ah) b: b: e b:a{e Du b:hov: b:sta b:ste e b:a{ete Pl b:hom) b:ste b:{( e b:ah\ 186 Il paleoslavo Nei testi del canone paleoslavo si incontrano imperfetti di verbi dei gruppi Ib e IIIb formati dal tema del presente: si tratta di innovazioni che testimoniano la crescente tendenza a vedere nell’imperfetto un equivalente del presente in un contesto passato e il progressivo avvicinamento tra il tema dell’imperfetto e il tema del presente: nell’XI secolo troviamo la forma æov:a{e accanto a æ)vaa{e quali imperfetti di æ)vati (presente æov\ ). Nel contempo le terminazioni -{eta e -{ete (2ª e 3ª du, 2ª pl) tendono già nei testi del canone a confondersi con quelle dell’aoristo sigmatico: -sta , -ste : nel passo ta bes:dovaa{ete k) seb: o vs:h) sih) prikl<~|{iih) s( sih) (“kai; aujtoi; wJmivloun pro;" ajllhvlou" peri; pavntwn tw`n sumbebhkovtwn touvtwn”, “et ipsi loquebantur ad invicem de his omnibus, quae acciderant”, Luca 24:14) il Vangelo di Assemani registra bes:dovaasta . Infine, già nei testi del canone le vocali tematiche e suffissali tendono ad assimilarsi e fondersi: ved:ah) > ved:h) ‘sapevo’, mojaah) > mojah) ‘potevo’. 23. I participi I participi appartengono alla categoria morfologica del nome aggettivo e mutano secondo il genere, il numero e il caso. In paleoslavo esistono cinque participi: participio presente attivo, participio presente passivo, participio passato attivo, participio passato passivo, participio perfetto (detto anche participio passato attivo II). Il participio presente attivo e il participio passato attivo, come gli aggettivi di grado comparativo (v. p. 141), appartenevano in origine alla classe dei temi in consonante (suffissi *nt, *ŭs); successivamente migrati nelle classi dei temi in *jŏ (maschili e neutri) e in *ja- (femminili), serbano tracce della loro origine nella formazione dei casi diretti (NA). Il participio presente passivo, il participio passato passivo e il participio perfetto, formati per mezzo dei suffissi *m, *n, *t, *l, appartengono alle classi in *ŏ (maschili e neutri) e in *a- (femminili). 187 Morfologia Tutti i participi seguono la flessione nominale, ma possono essere determinati e seguire la flessione degli aggettivi di forma articolata (v. Tavole morfologiche). Il participio presente attivo si forma dal tema del presente con l’aggiunta del suffisso *nt (cfr. italiano amante, studente, sapiente). La vocale tematica è -o- (o/no/je, senza alternanza e/o) per i verbi atematici e per quelli della I coniugazione, -i- per i verbi della II coniugazione: *s-o-nt-, *im-o-nt-, *nes-ont-, *pros-i-nt-. La derivazione del participio presente attivo coincide con quella del grado comparativo dell’aggettivo: si tratta di un tema in consonante migrato nelle classi dei temi in *jŏ (maschili e neutri) e in *ja- (femminili), ma il NA sg m e n non ha suffisso tematico e il N pl m si forma con la desinenza *-es. Il femminile ha in comune con i comparativi la terminazione del N sg f -i (cfr. i sostantivi formati per mezzo del suffisso *jƒ, p. 118). Il N sg femminile è fortemente caratterizzato dalla presenza della dentale iodizzata (*o-nt-ji > -\}i , *i-nt-ji > -(}i ), assente nel N sg m e n: ¢es¨ , ¢es¨ , ¢es\}i ‘portante’; pros( , pros( , pros(}i ‘chiedente’: N G D A L S NA GL DS N G D A L S m nes - o - nt - s nes - o - nt - jŏ - ad nes - o - nt - jŏ - u nes - o - nt - n nes - o - nt - jŏ - i nes - o - nt - jŏ - mı̆ nes - o - nt - jones - o - nt - jŏ - ous nes - o - nt - jŏ - mones - o - nt - jŏ - es nes - o - nt - j(ŏ) - ŏn nes - o - nt - jŏ - mŭs nes - o - nt - jŏ - ns nes - o - nt - jŏi‡- sŭ nes - o - nt - jŏ - is n nes - o - nt - n nes - o - nt - jŏ - ad nes - o - nt - jŏ - u nes - o - nt - n nes - o - nt - jŏ - i nes - o - nt - jŏ - mı̆ nes - o - nt - joi‡ nes - o - nt - jŏ - ous nes - o - nt - jŏ - mones - o - nt - jones - o - nt - j(ŏ) - ŏn nes - o - nt - jŏ - mŭs nes - o - nt - jones - o - nt - jŏi‡- sŭ nes - o - nt - jŏ - is f nes - o - nt - ji nes - o - nt - ja- - ns nes - o - nt - ja- - i nes - o - nt - ja- - n nes - o - nt - ja- - i nes - o - nt - ja- - jan nes - o - nt - jai‡ nes - o - nt - ja- - ous nes - o - nt - ja- - mones - o - nt - ja- - ns nes - o - nt - j(a- ) - ŏn nes - o - nt - ja- - mŭs nes - o - nt - ja- - ns nes - o - nt - ja- - sŭ nes - o - nt - ja- - mis 188 Il paleoslavo Al N sg neutro la forma ¢es¨ è poco chiara, e si spiega con l’analogia morfologica (N sg m ¢es¨ < *nesŏnt-s): foneticamente *nes-ŏnt-ø avrebbe dovuto dare *-o˛, come nella coniugazione dell’aoristo: *padŏnt > 1ª sg pad\ . Come nel paradigma del comparativo, agisce qui la tendenza al livellamento del tema, che porta a formare l’A sg m e n con il suffisso *jŏ: ¢es\}| e ¢es\}e . Successivamente questa forma si generalizza anche al N n. Il N sg dei verbi con vocale tematica -jo- (*zna-je-nt-s) è æ¢a` ; in tutte le altre forme del paradigma (f æ¢a+}i ) il suffisso -o˛št’- è frutto di analogia con il participio dei temi in -o- (*znajo˛št- come *neso˛št-). I verbi della II coniugazione hanno N sg m e n hval( , N sg f hval(}i . La nasale del N sg m si spiega probabilmente con l’analogia morfologica (foneticamente *ı-ns > -ı-). Anche qui agisce la tendenza al livellamento del tema, che porta a formare l’A sg m e n con il suffisso *jŏ: hval(}| e hval(}e . Successivamente questa forma si generalizza anche al N n. Nella forma articolata il participio presente attivo può fungere da soggetto della proposizione: se iæide s:`i da s:&t) (“ijdou; ejxh`lqen oJ speivrwn tou` speivrein”, “ecce exiit qui seminat seminare” Matteo 13:3); da i s:`i v) koup: radou&t) s( i j|¢`i (“i{na oJ speivrwn oJmou` caivrh/ kai; oJ qerivzwn”, “ut et qui seminat simul gaudeat et qui metit”, Giovanni 4:36). Il participio passato attivo si forma dal tema dell’infinito con il suffisso *ŭs se il verbo appartiene al gruppo Ia (suffisso -ø- e radice in consonante) e IIa (suffisso -no˛- e radice in consonante); si forma dal tema dell’infinito con il suffisso *u‡ŭs se il tema dell’infinito è in vocale (suffisso -ø- e radice in vocale, suffisso -no˛- e radice in vocale, suffissi -a-, -ě-). I verbi del gruppo IV (II coniugazione) formano il participio passato attivo con il suffisso *ŭs; successivamente, per analogia con gli altri temi in vocale, si generalizza l’uso del suffisso *u‡ŭs. La derivazione del participio passato attivo ha le stesse caratteristiche della derivazione del participio presente attivo (temi in *jŏ e in *ja- ): il NA sg m e n non ha suffisso tematico, il N pl m si forma con la desinenza *-es. Il femminile esce al N sg f in -i . 189 Morfologia Al N sg m n la consonante finale cade, la semiconsonante si dentalizza, e il suffisso assume il seguente aspetto: *ŭs > -) ; *u‡ŭs > -v) : vesti ‘portare’, ved) ‘avente portato’; vesti ‘condurre’, veæ) ‘avente condotto’; krasti ‘rubare’, krad) ‘avente rubato’; re}i ‘dire’, rek) ‘avente detto’; dvig¢\ti ‘muovere’, dvig) ‘avente mosso’; æ)vati ‘chiamare’, æ)vav) ‘avente chiamato’; d:lati ‘fare’, d:lav) ‘avente fatto’; vid:ti ‘vedere’, vid:v) ‘avente visto’; stati ‘diventare’, stav) ‘essente diventato’; mi¢\ti ‘passare’, mi¢\v) ‘essente passato’; moliti ‘pregare’, mol∞| e moliv) ‘avente pregato’. Il N sg femminile è invece fortemente caratterizzato dalla presenza della fricativa iodizzata (*ŭs-ji > -){i , *u‡ŭs-ji > -)v{i ), assente nel N sg m e n: ¢es) , ¢es) , ¢es){i ‘che ha portato’; stav) , stav) , stav){i ‘che è diventato’. Il suffisso *jŏ/*ja- si generalizza a tutti i generi e casi, esclusi NA sg m e n (in seguito si generalizzerà al A sg m e n). N G D A L S NA GL DS N G D A L S m nes - ŭs - s nes - ŭs - jŏ - ad nes - ŭs - jŏ - u nes - ŭs - n nes - ŭs - jŏ - i nes - ŭs - jŏ - mı̆ nes - ŭs - jones - ŭs - jŏ - ous nes - ŭs - jŏ - mones - ŭs - jŏ - es nes - ŭs - j(ŏ) - ŏn nes - ŭs - jŏ - mŭs nes - ŭs - jŏ - ns nes - ŭs - jŏi‡- sŭ nes - ŭs - jŏ - is n nes - ŭs - n nes - ŭs - jŏ - ad nes - ŭs - jŏ - u nes - ŭs - n nes - ŭs - jŏ - i nes - ŭs - jŏ - mı̆ nes - ŭs - jŏi‡ nes - ŭs - jŏ - ous nes - ŭs - jŏ - mones - ŭs - jones - ŭs - j(ŏ) - ŏn nes - ŭs - jŏ - mŭs nes - ŭs - jones - ŭs - jŏi‡- sŭ nes - ŭs - jŏ - is f nes - ŭs - ji nes - ŭs - ja- - ns nes - ŭs - ja- - i nes - ŭs - ja- - n nes - ŭs - ja- - i nes - ŭs - ja- - jan nes - ŭs - jai‡ nes - ŭs - ja- - ous nes - ŭs - ja- - mones - ŭs - ja- - ns nes - ŭs - j(a- ) - on nes - ŭs - ja- - mŭs nes - ŭs - ja- - ns nes - ŭs - ja- - sŭ nes - ŭs - ja- - mis I verbi del gruppo Ia presentano alcune particolarità: a) quando il tema dell’infinito esce in vocale a seguito di monottongazione di dittongo il participio passato attivo si forma con il suffisso *u‡ŭs per analogia con i temi in vocale del gruppo IIIa (del tipo biti ): p:ti ‘cantare’, p:v) 190 Il paleoslavo ‘avente cantato’; piti ‘bere’, piv) ‘avente bevuto’; plouti ‘galleggiare’, plouv) ‘avente galleggiato’. b) alcuni verbi formano il participio passato attivo dalla radice di grado vocalico debole. Di questi uno forma con la radice di grado debole anche il presente e l’aoristo forte, altri presentano la vocale ridotta anche nel presente, due usano la radice debole esclusivamente per formare il participio passato: infinito iævr:}i opr:ti s( raskvr:ti oumr:ti prostr:ti po~r:ti kl(ti `ti ¢a~(ti ¢ebr:}i iævl:}i aoristo forte iævr|g\ (3ª pl) presente iævr|g\ op|r\ s( raskv|r\ oum|r\ prost|r\ po~r|p\ kl|¢\ im\ ¢a~|¢\ ¢ebr:g\ iævl:k\ part. passato iævr|g) op|r) s( raskv|r) oum|r) prost|r) po~r|p) kl|¢) im) ¢a~|¢) ¢ebr|g) iævl|k) ‘avente respinto’ ‘essendosi poggiato’ ‘avente fuso’ ‘essente morto’ ‘avente esteso’ ‘avente attinto’ ‘avente maledetto’ ‘avente preso’ ‘avente iniziato’ ‘avente trascurato’ ‘avente trascinato’ Il participio passato attivo è utilizzato in paleoslavo per indicare la anteriorità di un’azione passata rispetto a un’altra (i priim) ~a{\ hval\ v)ædav) dast) im), “kai; labw;n pothvrion eujjcaristhvsa" e[dwken aujtoi`"”, “et accepto calice, gratias agens dedit eis”, Marco 14:23) o anche la coincidenza di due azioni in una: o¢) je ot)v:}av) re~e (“oJ de; ei\pen aujtoi`"”, “quid ait illis”, Marco 14:20). Il participio presente passivo si forma con l’ausilio del suffisso *m dal tema del presente. La vocale tematica è -o- (o/no/je, senza alternanza e/o) per i verbi della I coniugazione, -i- per i verbi della II coniugazione: *nes-o-m-, *děla-je-m-, *pros-i-m-. I verbi atematici possono formare il participio presente passivo come verbi della I o della II coniugazione, con la vocale tematica -o- e con quella -i-: *věd-o-m- e *věd-i-m-, *jad-o-m- e *jad-i-m-. Il participio si declina come un nome in *ŏ (maschile e neutro) e in *a(femminile): ¢esom) , ¢esomo , ¢esoma ‘che è portato’, d:la&m) , d:la&mo , d:la&ma ‘che è fatto’, prosim) , prosima , prosimo ‘che è chiesto’, v:dom) , 191 Morfologia v:domo , v:doma e v:dim) , v:dimo , v:dima ‘che è risaputo’, qdom) , qdomo , qdoma e qdim) , qdimo , qdima ‘che è mangiato’. Il participio passato passivo si forma dal tema dell’infinito con l’ausilio dei suffissi *t e *n seguiti dalle vocali tematiche e dalle desinenze dei nomi in *ŏ (maschile e neutro) e dei nomi in *a- (femminile). Formano il participio passato con il suffisso *t alcuni verbi del gruppo Ia, caratterizzati dal tema dell’infinito monosillabo e contenente al suo interno un dittongo, nonché, probabilmente, dall’intonazione discendente (si tratta per lo più degli stessi verbi che hanno l’estensione -t) nell’aoristo: v. p. 164, nota 7, e p. 178). I verbi che presentano nel tema dell’infinito metatesi delle liquide formano il participio passato passivo dalla radice di grado ridotto: infinito rasp(ti prokl(ti ¢a~(ti `ti prostr:ti s)tr:ti jr:ti otvr:sti v)sp:ti poviti proliti presente rasp|¢\ prokl|¢\ ¢a~|¢\ im\ prost|r\ s)t|r\ j|r\ otvr|æ\ v)spo+ povi+ proli+ participio passato passivo ras-pe˛ t∞ rasp(t) pro-kle˛-t∞ prokl(t) na-če˛ t∞ ¢a~(t) je˛-t∞ `t) pro-stßr-t∞ > prostr÷tß prostr|t) s∞tßr-t∞ > s∞tr÷t∞ s)tr|t) žßr-t∞ > žr÷t∞ jr|t) ot-vßrz-t∞ > otvr÷st∞ otvr|st) v∞s-pě-t∞ v)sp:t) po-vi-t∞ povit) pro-li-t∞ prolit) ‘crocifisso’ ‘maledetto’ ‘cominciato’ ‘preso’ ‘steso’ ‘distrutto’ ‘offerto’ ‘aperto’ ‘cantato’ ‘avvolto’ ‘versato’ Formano il participio passato con il suffisso *n i verbi che hanno tema dell’infinito in -a , -: (radicale o suffissale): vid:ti ‘vedere’, vid:¢) ‘visto’; æ¢ati ‘conoscere’, æ¢a¢) ‘conosciuto’. Formano il participio passato con il suffisso *en: – i verbi del gruppo Ia (radice in consonante e suffisso -ø-: ¢esti ‘portare’, ¢ese¢) ‘portato’; vesti ‘condurre’, veæe¢) ‘condotto’; re}i ‘dire’, re~e¢) ‘detto’. I verbi con radice in occlusiva o fricativa con alternanza vocalica radicale (gruppo Ia, sottotipo 2) formano il participio passato passivo dalla radice di grado ridotto: ¢ebr:}i ‘non curarsi’, ¢ebr|je¢) ‘trascurato’; vl:}i 192 Il paleoslavo ‘trascinare’, vl|~e¢) ‘trascinato’; ot)vr:}i ‘respingere’, ot)vr|je¢) ‘respinto’. I verbi con radice in consonante liquida o nasale (n, m, l, r) o in semivocale (i‡, u‡) con e senza alternanza vocalica radicale (gruppo Ia, sottotipo 3) formano il participio passato passivo dalla radice di grado vocalico ridotto, sia con il suffisso *t, sia con il suffisso *en: jr:ti ‘offrire in sacrificio’, jr|t) e j|re¢) ‘offerto in sacrificio’; s)tr:ti ‘distruggere’, s)tr|t) e s)t|re¢) ‘distrutto’. – i verbi del gruppo II (con alternanza -no˛/nov-): dvig¢\ti ‘muovere’, dvig¢ove¢) ‘mosso’; mi¢\ti ‘passare’, mi¢ove¢) ‘passato’. I verbi del gruppo IIa (radice in consonante) possono formare il participio direttamente dalla radice (senza il suffisso -no˛-): dvig¢\ti > dvije¢) ; – i verbi del gruppo IV (II coniugazione): roditi ‘generare’, rojde¢) ‘generato’; ¢ositi ‘portare’, ¢o{e¢) ‘portato’. I verbi del gruppo IIIa1 con radice in consonante possono formare il participio dal tema dell’infinito con il suffisso *n o dal tema del presente con il suffisso *en: æaklati ‘sgozzare’, æakole¢) e æakla¢) ‘sgozzato’. I verbi del gruppo IIIa1 in vocale diversa da -a , -: possono formare il participio con il suffisso *t e con il suffisso *en: biti ‘colpire’, bit) e bie¢) ‘colpito’; æab¨ti ‘dimenticare’, æab¨t) e æab)ve¢) ‘dimenticato’; s)kr¨ti ‘nascondere’, s)kr¨t) e s)kr)ve¢) ‘nascosto’. Il participio perfetto, o risultativo, si forma dal tema dell’infinito con il suffisso *l e si declina come un nome in *ŏ (maschile e neutro) e in *a(femminile): vesti ‘portare’, vel) ‘avente portato’ (< *vedl∞); krasti ‘rubare’, kral) ‘avente rubato’ (< *kradl∞); re}i ‘dire’, rekl) ‘avente detto’; dvig¢\ti ‘muovere’, dvigl) ‘avente mosso’; æ)vati ‘chiamare’, æ)val) ‘avente chiamato’; d:lati ‘fare’, d:lal) ‘avente fatto’; vid:ti ‘vedere’, vid:l) ‘avente visto’; stati ‘diventare’, stal) ‘essente diventato’; mi¢\ti ‘passare’, mi¢\l) ‘essente passato’; moliti ‘pregare’, molil) ‘avente pregato’; p:ti ‘cantare’, p:l) ‘avente cantato’; piti ‘bere’, pil) ‘avente bevuto’; plouti ‘galleggiare’, ploul) ‘avente galleggiato’. Morfologia 193 Alcuni verbi formano il participio perfetto, così come il participio passato attivo, dalla radice di grado ridotto: iævr|g) > iævr|gl) , oum|r) > oum|rl) , prost|r) > prost|rl) , ¢ebr|g) > ¢ebr|gl) , iævl|k) > iævl|kl) . Il participio perfetto si usa solo in funzione predicativa al caso nominativo. Coniugato con l’ausiliare b¨ti ‘essere’ forma i tempi composti. 24. I tempi composti: perfetto, piuccheperfetto, futuro anteriore I tempi composti (per il loro significato temporale v. p. 160) si formano con il participio perfetto e l’ausiliare b¨ti coniugato al presente, all’imperfetto (o al perfetto) e al futuro: – perfetto: pri{|l) &sm| (pri{|la &sm| , pri{|lo &sm| ) “sono arrivato” (e quindi sono qui); – piuccheperfetto I: pri{|l) b:h) “ero arrivato” (e quindi ero lì); – piuccheperfetto II: pri{|l) &sm| b¨l) lett. “sono stato [in quel momento] arrivato” (e quindi ero lì); – futuro anteriore: pri{|l) b\d\ “sarò arrivato” (quando qualcosa si verificherà io sarò arrivato e dunque in quel momento sarò lì). Il piuccheperfetto si può formare con l’imperfetto o con il perfetto dell’ausiliare b¨ti ed esprime anteriorità nel passato. In russo assume una sfumatura semantica di ‘azione mancata’, esprime cioè non la mera anteriorità di una azione rispetto all’altra, ma la mancata realizzazione di un’azione ‘sconfessata’ da quella successiva (in russo я пошла было туда “stavo andandoci [ma non ci sono andata]”; я хотел было “avrei voluto”). Alcuni studiosi (Chaburgaev) ritengono che questa sfumatura fosse propria già del piuccheperfetto paleoslavo: ideje b: lejalo t:lo isousovo (“o{pou e[keito to; sw`ma tou` jIhsou`”,”ubi positum fuerat corpus Iesu”, Giovanni 20:12) significa che nel sepolcro il corpo non c’è più. Il futuro anteriore assume in russo una sfumatura ipotetica, che si realizza nella semantica della preposizione, oggi desueta, буде = ‘se’: аще ся где буду описалъ, или переписалъ или дописалъ, чтите исправливая “e se in qualche punto ho sbagliato a scrivere, ho scritto due volte la stessa cosa, ho aggiunto sillabe, nel leggere correggete”. 194 Il paleoslavo 25. Il modo condizionale Si definisce tradizionalmente ‘modo condizionale’ (uslovnoe naklonenie) una costruzione perifrastica formata dal participio perfetto e dall’ausiliare essere coniugato in un modo particolare, che potrebbe risalire all’antico ottativo i.e.: 1ª 2ª 3ª bim| bi bi Sg bim) biste b\ Pl Queste forme, che forse avevano diffusione regionale, tendono ben presto a confondersi con quelle dell’aoristo, soprattutto nei codici paleoslavi più tardi e poi in quelli di provenienza slava orientale. Diversamente dal modo condizionale italiano, che esprime solo la conseguenza di premesse date (“io sarei, o sarei stato … se …”) questa costruzione perifrastica conserva una forte sfumatura ottativa, che la colloca all’incrocio di condizionale e congiuntivo: aæ) v)æ(l) bim| “io prenderei” o “io avrei preso”; a}e bi raæoum:l) t¨ “se tu capissi”; a}e ¢e bi b¨l) s| æ)lod:i. ¢e bim) pr:dali &go teb: (“eij mh; h\n [eij + imperfetto indicativo: irrealtà nel presente] ou|to" kako;n poiw`n, oujk a[n soi paredwvkamen aujtovn”, “si non esset hic malefactor, non tibi tradidissemus eum”, Giovanni 18:30). 26. Il modo imperativo Il modo imperativo del paleoslavo discende dall’ottativo indoeuropeo. Si forma dal tema del presente con le desinenze secondarie (le stesse dell’aoristo e dell’imperfetto). I verbi tematici formano l’imperativo aggiungendo alla vocale tematica del presente il suffisso *ı-, antico formante del modo ottativo. La vocale tematica è -o- per i verbi della I coniugazione, -i- per i verbi della II. I verbi atematici formano l’imperativo aggiungendo alla radice il suffisso *jß per la 2ª e la 3ª persona sg, il suffisso *ı- per tutte le altre persone. L’unico verbo a conservare intatta la flessione è b¨ti , che forma l’imperativo dalla radice *bo˛d-: 195 Morfologia 1ª 2ª 3ª b\d:m| b\di b\di Sg b\d:v: b\d:ta b\d:te Du b\d:m) b\d:te b\d\ Pl Le uniche forme ben attestate nei codici sono tuttavia la 2ª sg, du e pl: la 1ª persona sg e la 3ª pl sono sempre sostituite da costrutti esortativi formati con la preposizione da + presente indicativo: da ¢es\ “che io porti”, da ¢es\t) “che portino” (anche nel caso di b¨ti la costruzione abituale della 3ª pl è da b\d\t) ); la 3ª sg e la 1ª duale e plurale sono attestate, ma possono essere sostituite anch’esse da costrutti esortativi del tipo da ¢eset) “che lui porti”. 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª nesti — nes-o-i-s nes-o-i-t nes-o-i-vě nes-o-i-ta (nes-o-i-te) nes-o-i-m∞ nes-o-i-te — pěti — poi-o-i-s poi-o-i-t poi-o-i-vě poi-o-i-ta (poi-o-i-te) poi-o-i-m∞ poi-o-i-te — znati — zna-jo-i-s zna-jo-i-t zna-jo-i-vě zna-jo-i-ta (zna-jo-i-te) zna-jo-i-m∞ zna-jo-i-te — dvigno˛ti — dvig-no-i-s dvig-no-i-t dvig-no-i-vě dvig-no-i-ta (dvig-no-i-te) dvig-no-i-m∞ dvig-no-i-te — nositi — nos-i-i-s nosi-i-t nosi-i-vě nosi-i-ta (nosi-i-te) nosi-i-m∞ nosi-i-te — dati — dad-jß-s dad-jß-t dad-i-vě dad-i-ta (dad-i-te) dad-i-m∞ dad-i-te Il dittongo *oi‡, nato dall’unione tra vocale tematica -o- dei verbi della I coniugazione in e/o e ne/no e suffisso *ı- dell’antico ottativo, si monottonga diversamente al singolare da un lato, al plurale e duale dall’altro (v. p. 90). Nella coniugazione del singolare *oi‡ > i; nella coniugazione del plurale e del duale *oi‡ > ě: 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª ¢esti p:ti æ¢ati dvig¢\ti ¢ositi dati ¢esi ¢esi ¢es:v: ¢es:ta ¢es:te ¢es:m) ¢es:te poi poi poiv: poita poite poim) poite æ¢ai æ¢ai æ¢aiv: æ¢aita æ¢aite æ¢aim) æ¢aite dvig¢i dvig¢i dvig¢:v: dvig¢:ta dvig¢:te dvig¢:m) dvig¢:te ¢osi ¢osi ¢osiv: ¢osita ¢osite ¢osim) ¢osite dajd| dajd| dadiv: dadita dadite dadim) dadite 196 Il paleoslavo 3ª Il verbo im:ti si comporta come i verbi tematici del tipo oum:ti (IIIa2): im:i , im:ite . Al contrario, il verbo vid:ti forma la 2ª e la 3ª persona sg con il suffisso *jß, le altre persone con il suffisso *ı-, comportandosi come i verbi atematici qsti (*jad-jß-s > qjd| , *jad-i-te > qdite ), dati (*dad-jß-s > dajd| , *dad-i-te > dadite ), v:d:ti (*vĕd-jß-s > v:jd| , *vĕd-i-te > v:dite ): *vid-jß-s > vijd| , *vid-i-te > vidite . 27. Infinito e supino Come si è detto, infinito e supino sono nomi sostantivi. L’infinito si forma per mezzo dei suffissi tematici *ø, *a- , *no˛ , *e- , *ı-. La radice può presentare un grado apofonico diverso da quello del tema del presente. La terminazione -ti rimanda forse a un antico dativo sg (temi in *ı̆). Anche il supino era anticamente un nome. La sua struttura è identica a quella dell’infinito, ma la terminazione è -t) , probabilmente un antico accusativo (temi in *ŭ). È usato in paleoslavo dopo i verbi di moto per indicare lo scopo dell’azione: i id:ah\ v|si k)j|do ¢ap|sat) s( v) svoi grad) (“kai; ejporeuvonto pavnte" ajpogravfesqai, e{kasto" eij" th;n eJautou` povlin”, “et ibant omnes ut profiterentur singuli in suam civitatem”, Luca 2:3); in quanto sostantivo regge il genitivo del complemento oggetto: s\pr\g) volov|¢¨ih) koupih) p(t). i gr(d\ iskousit) ih) (“zeuvgh bow`n hjgovrasa pevnte, kai; poreuvomai dokimavsai aujtav”, “iuga boum emi quinque et eo probare illa”, Luca 14:19). 28. Infinito sostantivato e sostantivo verbale All’infinito sostantivato dell’italiano (“tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”) corrispondono in paleoslavo due costruzioni. La prima, un vero e proprio infinito sostantivato, dimostra con la presenza di &je (v. p. 149 e p. 248) in veste di articolo determinativo la propria dipendenza dal greco: a &je s:sti o des¢\+ i o {ou+ me¢e ¢:st) m|¢: sego dati (“to; de; kaqivsai ejk dexiw`n mou h[ ejx eujwnuvmwn oujk e[stin ejmo;n tou`to dou`nai”, “sedere Morfologia 197 autem ad dexteram meam vel sinistram non est meum dare”, Matteo 20:23). La seconda consiste invece in un sostantivo deverbale neutro derivato dal tema del participio passato passivo di verbi transitivi e intransitivi per mezzo del suffisso -ß•j-: vid:ti ‘vedere’, vid:¢) ‘visto’, vid:¢ie ‘il vedere’; b¨ti ‘essere’, b¨tie ‘l’essere’. Dai verbi che hanno una doppia forma di participio passato passivo possono derivare due diversi sostantivi verbali: æab¨ti ‘dimenticare’, æab¨t) e æab)ve¢) ‘dimenticato’, æab¨tie e æab)ve¢ie ‘smarrimento, oblio, stupore’. Questo tipo di sostantivi verbali tende a accentuare la propria natura nominale a scapito di quella verbale: æ¢ati ‘conoscere’, æ¢a¢) ‘conosciuto’, æ¢a¢ie ‘conoscenza’. Sintassi* 1. Il paleoslavo e il greco La sintassi del paleoslavo non presenta particolari difficoltà per un parlante italiano che abbia qualche dimestichezza con il greco classico, o almeno con le strutture del latino classico e cristiano e dell’italiano colto. Modellata su quella greca, la lingua paleoslava ne riproduce da vicino la struttura, l’ordine delle parole, la punteggiatura. Difficoltà possono nascere semmai con testi slavi per i quali non esistano o non siano noti paralleli greci: prendiamo una frase come æ atvori o ¢em| dv|ri loj< ego (Eucologio sinaitico 36a,5-6), tradotta da Frček “ferme sur lui la porte de son gite”. Siamo nella parte finale di una preghiera per scacciare i dolori dalle gambe, il Signore è supplicato di fermare il male, di “inchiodargli il cuore”, di condannarlo, di proibirgli l’accesso alle carni del sofferente, infine di chiuderlo fuori dal giaciglio del malato perché non ritorni. Ma chiudere come? La preposizione o ha come significato primario quello di “intorno a” (luogo e argomento). L’uso però ce ne mostra l’allargamento a significati diversi: relazione (“in relazione a”), rapporto (“a * Tutti gli esempi di questo capitolo sono tratti da codici del canone, anche se l’indicazione relativa è omessa nel caso di passi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Data la finalità didattica, questi ultimi sono trascritti in forma normalizzata e accompagnati dalla traduzione greca e latina (da Novum Testamentum graece et latine. Apparatu critico instructum edidit Augustinus Merk S. J., editio undecima, Romae 1992). I rimanenti esempi, tratti dai codici Cloziano e Suprasliense, dal Salterio sinaitico, dal Libro di Savva e dall’Apostolo di Enino, rispecchiano invece la grafia del codice, e sono accompagnati dal testo parallelo greco, laddove ne esista uno, e da una traduzione italiana di servizio. Le edizioni utilizzate per il Salterio sono: Septuaginta. Id est Vetus Testamentum graece iuxta LXX interpretes. Edidit Alfred Rahlfs, vol. II: Libri poetici et prophetici, Stuttgart 1935; Nova Vulgata Bibliorum Sacrorum editio, Roma 1986. Quando la numerazione dei versetti del Salterio sinaitico non coincide con quella dell’edizione di Rahlfs è quella slava a essere indicata. 200 Il paleoslavo favore” e “contro”), fine, scopo, causa, mezzo, strumento, misura (v. p. 219). La nostra frase può quindi significare “chiudi per lui” nel senso di “sia chiusa per ciò che lo riguarda”, oppure “chiudigli contro”, quasi “sbattigli in faccia”, o addirittura “rinchiudilo”: “la porta si richiuda su di lui e lo imprigioni”. Lo Staroslavjanskij Slovar’1 ci offre un’ulteriore interpretazione: all’interno del significato fondamentale di “relazione” si individua un sottotipo così definito: “ , -. ”. Non è facile dire quanto l’aderenza ai modelli greci abbia significato una forzatura degli abiti linguistici slavi, né quali fossero questi abiti; i modi di esprimere alcuni concetti dovevano avere carattere quasi sperimentale: si confronti la reggenza della preposizione p r:d) in due contesti identici: ¢ e ? pr:d) v)ædvig) kr–– s ta (“la domenica prima [della festa] dell’Esaltazione della croce”, p r:d) + accusativo: Apostolo di Enino 30a,2-3); v ) s\ ? . pr:d) v)ædvigom) krs–– t a (“sabato, prima [della festa] dell’Esaltazione della croce”, p r:d) + strumentale, Libro di Savva 127a,5). La storia ulteriore dello slavo ecclesiastico è fatta del ciclico rigetto e reimmissione di grecismi, accusati di estraneità o viceversa invocati a testimonianza della struttura primigenia della lingua slava, “naturalmente” consustanziale con quella greca. In ogni caso, la fedeltà al greco conosce da subito alcune significative eccezioni, tra cui la preferenza accordata al dativo rispetto al genitivo, l’uso dell’aggettivo possessivo invece del genitivo di specificazione, l’uso del possessivo s voi riferito al soggetto al posto di m oi , t voi , la concordanza del pronome relativo nelle proposizioni relative. 2. La sintassi della proposizione: il soggetto La proposizione paleoslava è formata di soggetto, predicato e complemento. Come in italiano, il soggetto può essere rappresentato da qualsiasi parte del discorso, variabile o invariabile, o da un sintagma, generalmente al caso nominativo (più raramente al caso dativo). Il sintagma può 1 Staroslavjanskij slovar’ (po rukopisjam X-XI vekov), pod redakciej R. M. Cejtlin, R. Veerki i E. Blagovoj, Moskva 1994. Sintassi 201 essere costituito da soggetto e attributo o da soggetto e apposizione. L’infinito sostantivato può essere accompagnato dal pronome & je con funzione di articolo. Lo stesso pronome accompagna, con la stessa funzione, parti invariabili del discorso quali congiunzioni o interiezioni: a) il soggetto è un sostantivo: p ride je¢a im\} } i alavastr) hriæm¨ ¢ard|¢¨ pistiki` drag¨ (“h\lqen gunh; e[cousa ajlavbastron muvrou navrdou pistikh`" polutelou`"”, “venit mulier habens alabastrum unguenti nardi spicati pretiosi”, Marco 14:3); b) il soggetto è un pronome: i t) vama pokajet) gor|¢ic\ v eli+ (“kajkei`no" uJmi`n deivxei ajnavgaion mevga”, “et ipse ostendet vobis caenaculum magnum”, Luca 22:12); c) il soggetto è un aggettivo sostantivato: r e~e beæoume¢) v) srd– c " svoem) ¢:st) ba–– (“ei\\pen a]frwn ejn kardiva/ aujtou`, oujk e]stin qeov"”, “dixit insipiens in corde suo: «Non est Deus»”, Salmo 52(53):1); d) il soggetto è un infinito sostantivato: m ¢: bo &je jiti h–– s . i &je o umr:ti priobr:t:l| (Suprasliense 166,7; cfr. Filippesi 1:21: “ejmoi; ga;r to; zh`n Cristo;" kai; to; ajpoqanei`n kevrdo"”, “mihi enim vivere Christus est et mori lucrum”); e) il soggetto è un numerale: v )ævrati{( je s( sedm| des(t) s) radosti+ (“uJpevstreyan de; oiJ eJbdomhvkonta meta; cara`"”, “reversi sunt autem septuaginta duo cum gaudio”, Luca 10:17); f) il soggetto è un participio: s e pribliji s( pr:da`i m( (“ijdou; h[ggiken oJ paradidouv" me”, “ecce appropinquavit qui me tradet”, Matteo 26:46); g) il soggetto è un neutro plurale (pronome, aggettivo o participio) sostantivato: v |sq t:m| b¨{( (“pavnta di aujtou` ejgevneto”, “omnia per ipsum facta sunt”, Giovanni 1:3); h) il soggetto è una particella invariabile: b \d d i je slovo va{e. ei ei. i ¢i ¢i (“e[stw oJ lovgo" uJmw`n nai; naiv, ou] ou[”, “sit autem sermo vester: est, est; non, non”, Matteo 5:37); i) il soggetto è un sintagma: i i<da iskariot|sk¨i . & di¢) ot) obo< ¢a des(te . i de k) arhiereom) (“kai; jIouvda" jIskariwvq, oJ ei|" tw`n 202 Il paleoslavo dwvdeka, ajph`lqen pro;" tou;" ajrcierei`"”, “et Iudas Iscariotes unus de duodecim abiit ad summos sacerdotes”, Marco 14:10); s l¨{av) je irod) c:sar| s)m\ \ ti s( (“ajkouvsa" de; oJ basileu;" JHrw/vdh" ejtaravcqh”, “audiens autem Herodes rex turbatus est”, Matteo 2:3). Il soggetto può essere sottointeso. Il pronome personale di 1ª e 2ª persona, diversamente di quanto non avvenga in russo moderno, può essere omesso, se non utilizzato con particolare enfasi. 3. Il predicato Il predicato può essere verbale o nominale. Il predicato verbale può essere espresso da qualunque verbo, concordato con il soggetto, o dal sintagma verbale costituito da verbo ausiliare e verbo all’infinito. Il predicato nominale è formato dal verbo essere e da una parte nominale, rappresentata da qualsiasi parte declinabile del discorso, posta sempre al caso nominativo (e non strumentale, come oggi in russo) e concordante per genere e numero con il soggetto (per quanto riguarda predicati in casi diversi dal nominativo v. i costrutti impliciti con il soggetto al caso accusativo e dativo alle pp. 235-236). Casi particolari di concordanza si hanno con i nomi collettivi o con una pluralità di soggetti. Il sostantivo collettivo b ratiq (b ratriq ) concorda sempre con il verbo al plurale. I sostantivi ¢ arod) , g rad) , d om) , m )¢oj|stvo , s )b|ra¢i& reggono il verbo al singolare o più raramente al plurale: a) il predicato precede o segue immediatamente il soggetto, con cui concorda al singolare (concordanza grammaticale): i se v|s| grad) iæide protiv\ \ isousovi (“kai; ijdou; pa`sa hJ povli" ejxh`lqen eij" uJpavnthsin tw`/ jIhsou`”, “ecce tota civitas exiit obviam Iesu”, Matteo 8:34); b) il predicato è separato dal soggetto, con cui concorda al plurale (concordanza logica): ¢ ) ¢arod) s|. ije ¢e v:st) æako¢a. prokl(ti s\tt ) (“ajlla; oJ o[clo" ou|to" oJ mh; ginwvskwn to;n novmon ejpavratoiv eijsin”, “sed turba haec, quae non novit legem, maledicti sunt”, Giovanni 7:49); c) il predicato precede o segue immediatamente il soggetto, costituito da un sintagma in cui è presente anche un sostantivo plurale. La concordanza può Sintassi 203 essere al singolare o al plurale: i v)stav){e v|se m)¢oj|stvo ih). v:s( i k ) pilatou (“kai; ajnasta;n a{pan to; plh`qo" aujtw`n h[gagon aujto;n ejpi; to;n Pila`ton”, “et surgens omnis multitudo eorum duxerunt illum ad Pilatum”, Luca 23:1); v |se m)¢oj|stvo l<dii b:. molitv\ d :` (“kai; pa`n to; plh`qo" h\n tou` laou` proseucovmenon”, “et omnis multitudo populi erat orans”, Luca 1:10). In presenza di più soggetti il predicato può concordare al singolare con il soggetto più vicino, oppure al plurale, soprattutto se i soggetti sono diversi per genere grammaticale: a) il predicato precede il primo soggetto con cui concorda al singolare: æ )va¢) je b¨st) isous) i ou~e¢ici &go ¢a brak) (“ejklhvqh de; kai; oJ jIhsou`" kai; oiJ maqhtai; aujtou` eij" to;n gavmon”, “vocatus est autem et Iesus et discipuli eius ad nuptias”, Giovanni 2:2); b) il predicato si colloca tra il primo soggetto, con cui concorda al singolare, e i soggetti seguenti: d a i s:`i v) koup: radou&t) s( i j|¢`i (“ i{na oJ speivrwn oJmou` caivrh/ kai; oJ qerivzwn”, “ut et qui seminat simul gaudeat et qui metit”, Giovanni 4:36); c) il predicato, concordato al singolare, si riferisce separatamente a ognuno dei soggetti compresi nell’elenco: a }e li r\kk a tvoq. li ¢oga tvoq. s)blaj¢q&t) t( (“eij de; hJ ceivr sou h] oJ pouv" sou skandalivzei se”, “si autem manus tua vel pes tuus scandalizat te”, Matteo 18:8); d) il predicato si riferisce a più nomi inanimati; la concordanza può essere al singolare come al plurale: i v:tr) i mor& poslou{a+t) i (“kai; oJ a[nemo" kai; hJ qavlassa uJpakouvei aujtw`/”, “et ventus et mare oboediunt ei”, Marco 4:41); ¢ ebo i æemlq mimo idet) (“oJ oujrano;" kai; hJ gh` pareleuvsetai”, “caelum et terram transibunt”, Matteo 24:35); e) il predicato concorda al duale o al plurale quando i nomi sono animati: i pr:d) ¢im| idete iqkov) i ioa¢¢) (“kai; prosporeuvontai aujtw`/ jIavkwbo" kai; jIwavnnh"”, “et accedunt ad eum Iacobus et Iohannes”, Marco 10:35); f) quando i soggetti si collocano tra un participio e un verbo di modo finito la concordanza diverge: il participio si concorda al singolare e il verbo al 204 Il paleoslavo plurale, o più raramente, viceversa: i b: ot|c| i mati &go ~oud(}a s( (“kai; h\n oJ path;r aujtou` kai; hJ mhvthr qaumavzonte"”, “et erat pater eius et mater mirantes”, Luca 2:33); g) se il predicato è costituito da un verbo reciproco la concordanza è al duale, o al plurale: m "lost| i r:s¢ota s)r:tete s`. prav)da i m"r) obob)æaste s` (“e]leo" kai; ajlhvqeia sunhvnthsan, dikaiosuvnh kai; eijrhvnh katefivlhsan”, “misericordia et veritas obviaverunt sibi, iustitia et pax osculatae sunt”, Salmo 84(85):11-12). In paleoslavo, come in russo moderno e parzialmente in italiano, è possibile l’omissione del verbo essere, sia quando è predicato verbale, sia quando è copula di un predicato nominale: a) quando l’avvenimento narrato è introdotto dalla particella s e , i se (“ecco”, “ed ecco”): s e glas) s) ¢ebes) glagol` (“kai; ijdou; fwnh; ejk tw`n oujranw`n levgousa”, “et ecce vox de caelis dicens”, Matteo 3:17); i se vam) æ¢ame¢i& (“kai; tou`to uJmi`n shmei`on”, “et hoc vobis signum”, Luca 2:12); b) in alcune ottative: m ir) vam) (“eijrhvnh uJmi`n”, “Pax vobis”, Giovanni 20:19); g ospod| s) tobo+ (“oJ Kuvrio" meta; sou`”, “Dominus tecum”, Luca 1:28); c) con sostantivi quali i m( , g or& , v rem( , p otr:ba , p ol|™a e simili: i m( &mou ioa¢¢) (“o[noma aujtw`/ jIwavnnh"”, “cui nomen erat Iohannes”, Giovanni 1:6); k aq bo pol|æa r|ci mi (“tiv ga;r o[felo", eijpev moi”, “quale è il vantaggio, dimmi”, Suprasliense 494,19). 4. I complementi I complementi indicano le circostanze e le modalità dell’avvenimento narrato: possono riferirsi sia al soggetto che al predicato, e sono espressi dai casi semplici o accompagnati da preposizioni semplici o improprie2. 2 Le preposizioni improprie (avverbiali) sono in genere sintagmi nominali: per esempio v )m:sto + genitivo (“al posto di”) è formato dalla preposizione v ) + A di m :sto (complemento di stato in luogo: “al posto”) + genitivo di specificazione: “al posto di che cosa?”; parimenti p osr:d: + genitivo (“nel mezzo di”) è formato dalla preposizione p o + L di s r:da + G di specificazione. Sintassi 205 L’utilizzo di casi semplici (non accompagnati da preposizioni) è molto più comune di quanto non lo sia nelle lingue slave moderne. In paleoslavo tutti i casi possono essere utilizzati senza preposizione, con valori che non si discostano da quelli che conosciamo: l’accusativo semplice ha valore specifico di complemento oggetto, ma può essere complemento di tempo continuato; il genitivo semplice ha valore specifico di complemento di specificazione e di genitivo partitivo, ma può essere complemento oggetto (nelle frasi negative, o quando l’oggetto sia animato), e può esprimere un complemento di tempo determinato; il dativo semplice indica il termine, la destinazione di un’azione; lo strumentale la modalità e lo strumento con cui si compie l’azione o, come complemento di tempo, la durata e la ripetitività; il locativo ne indica luogo e momento esatto. Sono possibili però costrutti e reggenze differenti da quelli moderni. Mutuato dal greco e molto diffuso in paleoslavo è il cosiddetto doppio accusativo: una sorta di predicato del complemento oggetto del tipo ~ |to m( glagol&{i blagg a÷ (“tiv me levgei" ajgaqovn…”, “quid me dicis bonum?”, Marco 10:18). Reggono il secondo accusativo verbi di percezione, verba dicendi e verbi che indicano la manipolazione dell’oggetto (per esempio “rendere lucido”, oppure “lasciare sporco”): i mimo id¨ isous) vid: ~ lov:ka sl:pa ot) rojd|stva (“kai; paravgwn ei\den a[nqrwpon tuflo;n ejk geneth`"”, “et praeteriens Iesus vidit hominem caecum a nativitate”, Giovanni 9:1); v ¨ je r:h) droug¨ (“uJma`" de; ei[rhka fivlou"”, “vos autem dixi amicos”, Giovanni 15:15); v ¨ je s)tvoriste i vr|t)p) raæboi¢ikom) (“uJmei`" de; aujto;n poiei`te sphvlaion lh/stw`n”, “vos autem fecistis illam speluncam latronum”, Matteo 21:13). Quando la frase è negativa il doppio accusativo si trasforma in doppio genitivo: ¢ e tvorite domou ot|ca mo&go domou koupl|¢a&go (“mh; poiei`te to;n oi\kon tou` patrov" mou oi\kon ejmporivou”, “nolite facere domum Patris mei domum negotiationis”, Giovanni 2:16). Quando tra il complemento oggetto e il suo predicato si trovi l’infinito del verbo essere, o quando il predicato sia un participio, il doppio accusativo costruisce una proposizione dichiarativa implicita (v. accusativo con l’infinito 206 Il paleoslavo e participio congiunto alle p. 235 e 237): k ogo m( glagol+t) ~lov:ci b¨ti÷ (“tivna me levgousin oiJ a[nqrwpoi ei\nai…”, “quem me dicunt esse homines?”, Marco 8:27); o ¢i je vid:v){e i po mor< hod(}| (“oiJ de; ijdovnte" aujto;n ejpi; th`" qalavssh" peripatou`nta”, “at illi ut viderunt eum ambulantem supra mare”, Marco 6:49). Il dativo è uno dei casi più utilizzati in paleoslavo. Oltre alla funzione specifica di complemento di termine, esso può esprimere sia il possesso (dativo di possesso), sia la relazione soggettiva tra un avvenimento e una persona, di cui si sottolinea il coinvolgimento (dativo etico, dativo di vantaggio, dativo di relazione: cfr. il costrutto esortativo dell’italiano meridionale “mangia a mamma”, o l’italiano standard “mangiarsi una mela”): i m( &mou ioa¢¢) (“o[noma aujtw`/ jIwavnnh"”, “cui nomen erat Iohannes”, Giovanni 1:6); ~ |to &st) m|¢: i teb: isouse (“tiv ejmoi; kai; soiv, jIhsou`”, “quid mihi et tibi est, Iesu”, Luca 8:28); ~ |to &st) m|¢: i teb: je¢o÷ (“tiv ejmoi; kai; soiv, guvnai…”, “quid mihi et tibi est, mulier?”, Giovanni 2:4)÷ ¢) ¢e b\ \ det) pol|æ æ Á t voim) koumirem). a{te tou pridem) (“all ouj sumfevrei sou toi`" eijdwvloi" i{na ejkei` e[lqwmen”, “non porterà giovamento ai tuoi idoli se andiamo là”, Suprasliense 131,6-7). A queste accezioni, tutte riconducibili al greco, si assomma quella di dativo di specificazione che, come le costruzioni dette dativo assoluto (v. p. 246) e dativo con l’infinito (v. p. 236) testimonia della preferenza accordata dal paleoslavo al dativo rispetto al genitivo e dunque costituisce un raro esempio di autonomia dai modelli greci: s e pribliji s( godi¢a. i s¨¢) ~ lov:~|sk¨i pr:da&t) s( v) r\kk ¨ gr:{|¢ikom) (“ijdou; h[ggiken hJ w{ra, kai; oJ uiJo;" tou` ajnqrwvpou paradivdotai eij" cei`ra" aJmartwlw`n”, “ecce appropinquavit hora, et Filius hominis tradetur in manus peccatorum”, Matteo 26:45); æ atvori … d v|ri loj< ego (“chiudi … le porte della stanza”, Eucologio sinaitico 36a,5-6). Il confine tra le diverse potenzialità semantiche non è sempre netto: così la frase ~ lov:kou eterou bogatou. ougob|æi s( ¢i va (“ajnqrwvpou tino;" plousivou eujfovrhsen hJ cwvra”, “hominis cuiusdam divitis uberes fructus ager attulit”, Luca 12:16), che traduciamo “la campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto” (quindi dativo di possesso o di Sintassi 207 specificazione), esprime nel contempo una relazione, un vantaggio: “a un uomo ricco la campagna aveva dato un buon raccolto”. Verosimilmente, proprio la possibilità di esprimere molteplici significati è causa della fortuna del dativo. Quando il sostantivo al caso dativo sia retto da un verbo all’infinito si ha una proposizione dichiarativa implicita del tipo m |¢: podoba&t) d:lati d:la pos)lav){a&go m( (“hJma`" dei` ejrgavzesqai ta; e[rga tou` pevmyantov" me”, “me oportet operari opera eius, qui misit me”, Giovanni 9:4), detta dativo con l’infinito, che equivale all’accusativo con l’infinito del greco (v. p. 236). Accanto a questi costrutti occorre menzionare, quali caratteristiche del d iti , b ra¢iti , paleoslavo, alcune reggenze. Per esempio, i verbi s \d p o¢ositi , ¢ asiliti , s miqti s( , t |rp:ti , o dol:ti , h ot:ti reggono il dativo: ¢ e s\d d ite da ¢e s\d d (t) vam) (“kai; mh; krivnete, kai; ouj mh; kriqh`te”, “nolite iudicare, et non iudicabimini”, Luca 6:37). Il complemento oggetto è espresso solitamente dal caso accusativo nelle } iih) frasi positive, dal caso genitivo nelle frasi negative: i se &di¢) ot) s\} s) isousom|. prost|r) r\ \ k\ \ iævl:~e ¢oj| svoi (“kai; ijdou; ei|" tw`n meta; jIhsou` ejkteivna" th;n cei`ra ajpevspasen th;n mavcairan aujtou`”, “et ecce unus ex his, qui erant cum Iesu, extendens manum exemit gladium suum”, Matteo 26:51); ~ |to je vidi{i s\~~ |c| ije &st) v) oc: bratra tvo&go . a br|v|¢a &je &st) v) oc: tvo&m| ¢e ~ou&{i÷ (“tiv de; blevpei" to; kavrfo" to; ejn tw`/ ojfqalmw`/ tou` ajdelfou` sou, th;n de; ejn tw`/ sw`/ ojfqalmw`/ doko;n ouj katanoei`"…”, “quid autem vides festucam in oculo fratris tui, et trabem in oculo tuo non vides?”, Matteo 7:3); ¢ :si oubo dostoi¢‘¢) sl¨{ati tai¢) bj–– i "! (“oujk ei\ a[xio" ajkou`sai to; musthvrion tou` qeou`”`, “non sei infatti degno di conoscere i misteri divini”, Suprasliense 8,20-21). Non si tratta però di una regola che non conosca eccezioni, soprattutto al plurale: cfr. nel Libro di Savva ¢ e dadite sv(}e¢iq p|som) (“mh; dw`te to; a{gion toi`" kusi;n”, “nolite dare sanctum canibus”, Matteo 7:6). Con lo svilupparsi della categoria di animatezza il caso accusativo è progressivamente sostituito dal genitivo dei nomi maschili (propri o comuni) indicanti esseri umani, soprattutto al singolare: i oudar| raba arhi&reova. our:æa &mou 208 Il paleoslavo ouho (“kai; patavxa" to;n dou`lon tou` ajrcierevw" ajfei`len aujtou` to; wjtivon”, “et percutiens servum principis sacerdotum amputavit auriculam eius”, Matteo 26:51). Il complemento oggetto può essere espresso dal caso genitivo con valore partitivo (“assaggiare del vino”, “chiedere del pane”, “avere bisogno di testimoni”, “dare da bere dell’aceto”) in frasi del tipo q ko je v)kousi arhitrikli¢) vi¢a b¨v){ago ot) vod¨ (“wJ" de; ejgeuvsato oJ ajrcitrivklino" to; u{dwr oi\non gegenhmevnon”, “ut autem gustavit architriclinius aquam vinum factam”, Giovanni 2:9), k otora&go je ot) vas) ot|ca v)prosit) s¨¢) hl:ba (“tivna de' ejx uJmw`n patevra aijthvsei oJ uiJo;" a[rton”, “quis autem ex vobis patrem petit panem”, Luca 11:11) ~ |to &}e t r:bouem) s)v:d:tel| ÷ (“tiv e[ti creivan e[comen martuvrwn…”, “quid adhuc egemus testibus?, Matteo 26:65); v | j Á jd\ \ mo+ ¢apoi{ Á m Á oc|ta (“nella sete [quando ho avuto sete] mi hanno dato da bere aceto”, Suprasliense 478,19-20; cfr. Salmo 68(69):22 “kai; eij" th;n divyan mou ejpovtisavn me o[xo"”, “in siti mea potaverunt me aceto”). Il partitivo ha in paleoslavo un utilizzo più ampio di quanto lo abbia oggi in russo: così la frase s )motrite kri¢) sel|¢¨h) (“katamavqete ta; krivna tou` ajgrou`”, “considerate lilia agri”, Matteo 6:28), che potremmo interpretare nel senso che non occorre guardare la totalità dei gigli, ma basta guardarne una parte, è tradotta oggi in russo . L’uso del genitivo può essere motivato dalla semantica dell’allontanamento (o t) + G) in frasi del tipo p riimi raba tvoego sego. ot)meta+}aago s( vs :h) sih) (“accogli il tuo servo, questo qui, che si ritrae da tutte queste cose”, Eucologio sinaitico 80b,8-9). Inoltre, reggono il genitivo verbi che esprimono dolore e timore: t repetati , p lakati e simili: i ¢e ot)me{t\ \ s Á sv Á taago d ouha. ¢) trepe{t\ \ &go kr:posti (“kai; oujk ajrnou`mai to;n a{gion Pneu`ma: ajlla; trevmw aujtou` th;n ijscu;n”, “e non rifiuto lo Spirito Santo, ma temo la sua forza”, Suprasliense 115,17-18); r ¨daah\ j e v|si i plakaah\ & ` (“e[klaion de; pavnte" kai; ejkovptonto aujth;n”, “flebant autem omnes et plangebant illam”, Luca 8:52). Sintassi 209 Quando il complemento oggetto è retto da un sostantivo deverbale (del tipo “la distruzione di Cartagine”, che equivale a “il distruggere Cartagine”) in paleoslavo, come in italiano, l’oggetto dell’azione è espresso dal caso genitivo: æ a oum)¢oje¢i& beæako¢iq (“dia; to; plhqunqh`nai th;n ajnomivan”, “quoniam abundavit iniquitas”, Matteo 24:12). Il complemento di agente e, più raramente, il complemento di causa efficiente si esprimono con il caso genitivo retto dalla preposizione o t) : k r|}aah\ s ( … o t) ¢&go (“ejbaptivzonto … uJp aujtou`”, “baptizabantur ab eo”, Matteo 3:6); o upi+t)s` ot)ob"l": domou tvoego (“mequsqhvsontai ajpo; piovthto" tou` oi]kou sou”, “inebriabuntur ab ubertate domus tuae”, Salmo 35(36):9); k ol:ba{e s Á ak¨ ovo{te æ¨blle mo ot) m¢oga v:tra (“ondeggiava come un frutto scosso da un forte vento”, Suprasliense 570,910). Parimenti utilizzato è il caso strumentale: il complemento di agente e di causa efficiente coincide così con quello di mezzo e strumento: p r:da¢i je b\ \ dete roditelli i bratri&+ i rodom| i droug¨ ¨ (“paradoqhvsesqe de; kai; uJpo; gonevwn kai; ajdelfw`n kai; suggenw`n kai; fivlwn”, “trademini autem a parentibus et fratribus et cognatis et amicis”, Luca 21:16). Il complemento di specificazione, che può riferirsi tanto al soggetto quanto ai complementi, si esprime in paleoslavo sia con il caso genitivo sia con il caso dativo: p ride gospodi¢) rab) t:h) (“e[rcetai oJ kuvrio" tw`n douvlwn ejkeivnwn”, “venit dominus servorum illorum”, Matteo 25:19); a rhierei je i k)¢ij|¢ici iskaah\ \ &go pogoubiti. i star:i{ii ¢¨ l<d|m) (“oiJ de; ajrcierei`" kai; oiJ grammatei`" ejzhvtoun aujto;n ajpolevsai kai; oiJ prw`toi tou` laou`”, “principes autem sacerdotum et scribae et principes plebis quaerebant illum perdere”, Luca 19:47); i s¨¢) ~lov:~|sk¨i pr:da&t) s( v) r\ \ k¨ gr:{|¢¢ ikom) (“oJ uiJo;" tou` ajnqrwvpou paradivdotai eij" cei`ra" aJmartwlw`n”, “Filius hominis tradetur in manus peccatorum”, Matteo 26:45). L’uso del dativo, che caratterizza il paleoslavo e poi lo slavo ecclesiastico sino a tutto il XVII secolo, verrà abbandonato soltanto all’epoca delle riforme nikoniane, in nome di una maggiore aderenza ai modelli sintattici greci: la formula v ) v:k¨ v:kom) si trasforma allora nell’attuale v o v:ki v:kov) (“eij" tou;" aijw`na" tw`n aijwvnwn”, “in saecula saeculorum”). 210 Il paleoslavo I complementi di tempo (determinato e continuato), oltre che da avverbi di tempo, possono essere espressi da ben cinque casi diversi: a) il caso genitivo retto dalle preposizioni o t) e d o indica una porzione delimitata di tempo (da quando, sino a quando, da quando a quando); b) il caso accusativo determina il tempo in cui si svolge l’azione: semplice esprime il complemento di tempo continuato: i s)pit) i v)sta&t) ¢o}| i d|¢| (“kai; kaqeuvdh/ kai; ejgeivrhtai nuvkta kai; hJmevran”, “et dormiat, et exsurgat nocte et die”, Marco 4:27; m il) mi &st) ¢arod) s|. qko ouje tri d|¢i pris:d(t) m|¢:. i ¢e im\ \ t) ~eso qsti (“splagcnivzomai ejpi; to;n o[clon, o{ti h[dh hJmevrai trei`" prosmevnousivn moi kai; oujk e[cousin tiv favgwsin”, “misereor super turbam, quia ecce iam triduo sustinent me nec habent quod manducent”, Marco 8:2). Retto dalle preposizioni indica tempo determinato con valenza momentanea (v ) + A), tempo determinato con idea di ripetizione (p o , ¢ a + A), tempo determinato con idea di approssimazione (p od) + A); c) il caso dativo retto dalla preposizione k ) indica un tempo delimitato da un momento successivo (prima di quando); d) il caso strumentale semplice esprime la durata e la ripetitività: i t¨ li tr|mi d|¢|mi v)ædvig¢e{i +÷ (“kai; su; ejn trisi;n hJmevrai" ejgerei`" aujto;n…”, “et tu in tribus diebus excitabis illud?”, Giovanni 2:20) significa che l’opera di ricostruzione dura tre giorni; a ¢o}i+ oudvarqa{e s( ishod( v) gor: (“ta;" de; nuvkta" ejxercovmeno" hujlivzeto eij" to; o[ro"”, “noctibus vero exiens morabatur in monte”, Luca 21:37) significa che l’operazione si svolge di notte e si ripete ogni notte (ogni primavera, ogni mattina, eccetera); e) il caso locativo è estraneo all’opposizione duratività / momentaneità: può essere retto dalle preposizioni v ) (quando, in quale arco di tempo: tempo determinato con idea di durata: cfr. v ) d|¢| , nel giorno e v ) d|¢e , di giorno), p o (tempo determinato: dopo quando). I complementi di luogo (stato in luogo, moto a luogo, moto attraverso luogo, moto entro luogo circoscritto, moto da luogo), oltre che da avverbi di luogo, possono essere espressi da un gran numero di preposizioni, che reggono in genere un solo caso, a volte due, raramente tre. Quando la preposizione Sintassi 211 regge un unico caso, per esempio v r|hou + genitivo (spesso si tratta di preposizioni improprie), la differenza tra stato in luogo e moto a luogo è solo logica ma non formale: i concetti del ‘portare qualcosa sopra qualcosa’ e dello ‘stare sopra qualcosa’, in teoria due complementi differenti, si esprimono nello stesso modo. Diverso è il caso delle preposizioni con due reggenze: in genere il caso accusativo sottolinea la direzionalità, il movimento e la trasformazione da un luogo o da uno stato in un altro luogo e in un altro stato, i casi locativo e strumentale esprimono invece staticità. La preposizione p o con valore di luogo regge tre casi: accusativo, dativo, locativo, conservando sempre il suo valore distributivo e limitativo (una cosa succede in differenti punti di una superficie, qua e là, a intervalli regolari). 5. Uso delle preposizioni3 Come si è detto, l’utilizzo di casi semplici era comune in paleoslavo. Tutti i casi possono essere però utilizzati con preposizione, con valori che non si discostano da quelli delle lingue slave moderne: b eæ + genitivo – esclusione: h rami¢\ … b eæ os¢ova¢iq (“oijkivan … cwri;" qemelivou”, “domum … sine fundamento”, Luca 6:49) b liæ) + genitivo – luogo: b liæ) m:sta ideje qs( hl:b¨ (“ejggu;" tou` tovpou o{pou e[fagon to;n a[rton”, “iuxta locum, ubi manducaverant panem”, Giovanni 6:23) 3 Non sono comprese in questo elenco accezioni attestate una sola volta o in passi dubbi. Per esempio: v )æ + accusativo con valore di stato in luogo ricorrerebbe nell’Eucologio sinaitico (48a,24-26): e goje petr) vid: m\~~ ima. sto` v)s koure¢i: (“lo vide Pietro mentre lo torturavano, stando lui vicino al fuoco (lett.: fumo”), ma secondo Frek potrebbe trattarsi di un guasto (congettura: v ) s)krou{e¢ii); p o + accusativo con valore di limitazione ricorrerebbe anch’esso nell’Eucologio sinaitico (106b,20): s )v(æav){e i po r\c c : i po ¢oæ: (“avendolo legato per le mani e per i piedi”), ma il passo, tratto da Matteo, è privo della preposizione p o negli altri codici così come in greco. 212 Il paleoslavo bliæ) + dativo – luogo: w ba~e bliæ) bo`{t"m) s` ego s p¢¢ "e e go (“plh;n ejggu;" tw`n foboumevnwn aujto;n to; swthvrion aujtou`”, “vere prope timentes eum salutare ipsius”, Salmo 84(85):10) v r|hou + genitivo – luogo: p oloji{( vr|hou glav¨ &go vi¢\ ¢ ap|sa¢\ (“ejpevqhkan ejpavnw th`" kefalh`" aujtou` th;n aijtivan aujtou` gegrammevnhn”, “imposuerunt super caput eius causam ipsius scriptam”, Matteo 27:37) v ) + accusativo – luogo (moto, direzione): i v)sp:v){e iæid\ v ) gor\ e leo¢|sk\ (“kai; uJmnhvsante" ejxh`lqon eij" to; o[ro" tw`n jElaiw`n”, “et hymno dicto, exierunt in montem Oliveti”, Matteo 26:30); " b¨h) "m) v) prit)~\ (“kai; ejgenovmhn aujtoi`" eij" parabolhvn”, “et factus sum illis in parabolam”, Salmo 68(69):12); d |¢| v| ¢o{t) s( pr:obl:~e (“il giorno si trasformò in notte”, Suprasliense 475,16); a }e k)to t( oudarit) v)) des¢¢ \+ + la¢it\ (“ajll o{sti" se rJapivzei eij" th;n dexia;n siagovna”, “si quis te percusserit in dexteram maxillam”, Matteo 5:39) – relazione o rapporto (contro): a }e sedmorice+ d|¢|m| s)gr:{it) v ) t ( (“eja;n eJptavki" th`" hJmevra" aJmarthvsh/ eij" se;”, “si septies in die peccaverit in te”, Luca 17:4) – modo o maniera: a }e kt o bratra svoego v) g¢¢ :v) prokl)) ¢et) (“se qualcuno nell’ira maledirà il fratello”, Eucologio Sinaitico 104b,15-16); v ) isti¢¢ \ b ogat) (“ajleqw`" plouvsio"”, “veramente ricco”, Cloziano 14a,2014b,21); v ) isti¢¢ \ b ogat) (“o[ntw" plouvsio"”, “nella realtà [essendo] ricco”, Cloziano 14b,26) – misura: v ) ¢+je m:r\ \ m:rite ¢am:rit) s ( vam) (“ejn w|/ mevtrw/ metrei`te metrhqhvsetai uJmi`n”, “in qua mensura mensi fueritis, remetietur vobis”, Marco 4:24) – tempo: i i{|d) v)) treti+ + godi¢\ (“kai; ejxelqw;n peri; trivthn w{ran”, “et egressus circa horam tertiam”, Matteo 20:3); v |si v¨ s)blaæ¢ite Sintassi 213 s( o m|¢: v) s i+ ¢o}| (“pavnte" uJmei`" skandalisqhvsesqe ejn ejmoi; ejn th`/ nukti; tauvth/”, “omnes vos scandalum patiemini in me in ista nocte”, Matteo 26:31); v ) t)) ~as) r e~e isous) ¢ arodom) (“ejn ejkeivnh/ th`/ w{ra/ ei\pen oJ jIhsou`" toi`" o[cloi"”, “in illa hora dixit Iesus turbis”, Matteo 26:55) – fine: v )met:te mr:j( va{( v) lovitv\ \ (“calavsate ta; divktua uJmw`n eij" a[gran”, “laxate retia vestra in capturam”, Luca 5:4) v ) + locativo – luogo (stato): s mok)v|¢ic\ i m:a{e eter) v) v i¢ograd: svo&m| v )sajde¢\ (“sukh`n ei\cevn ti" pefuteumevnhn ejn tw`/ ajmpelw`ni aujtou`”, “arborem fici habebat quidam plantatam in vinea sua”, Luca 13:6); { |d){e v) okr|| st|¢iih) sel: : h) (“ajpelqovnte" eij" tou;" kuvklw/ ajgrou;"”, “euntes in proximas villas”, Marco 6:36); s e a¢ge l) gospod|| ¢| sta v) ¢i h) (“kai; ijdou; a[ggelo" Kurivou ejpevsth aujtoi`"”, “et ecce angelus Domini stetit iuxta illos”, Luca 2:9); j e¢a etera s\} } i v) to~~ e¢ii kr)ve (“gunh; ou\sa ejn rJuvsei ai{mato"”, “mulier, quae erat in profluvio sanguinis”, Marco 5:25); v o psal)t¨r" dee s`t|strou¢|¢: po"te emou (“ejn yalthrivw/ dekacovrdw/ yavlate aujtw`/”, “in psalterio decem chordarum psallite illi”, Salmo 32(33):2) – tempo: b : je v) d|| ¢e ou~( v) cr|| k)ve. a ¢o}i+ oudvarqa{e s( ishod( v) g or: (“h\n de; ta;" hJmevra" ejn tw`/ iJerw`/ didavskwn, ta;" de; nuvkta" ejxercovmeno" hujlivzeto eij" to; o[ro"”, “erat autem diebus docens in templo, noctibus vero exiens morabatur in monte”, Luca 21:37) – modo o maniera: d a b\d d et) milost¨ ¨ ¢i tvoq v) tai¢¢ : (“o{pw" h/\ sou hJ ejlehmosuvnh ejn tw`/ kruptw`/”, “ut sit eleemosyna tua in abscondito”, Matteo 6:4) – relazione o rapporto: ~ |to v) pro~~ iih) pe~~ ete s(÷ (“tiv peri; tw`n loipw`n merimna`te…”, “quid de ceteris sollicit estis?”, Luca 12:26); : ko blagoiævoli v ¢"h) (“o}ti eujdovkhsa" ejn aujtoi`"”, “quoniam complacuisti in eis”, Salmo 43(44):4) – fine o scopo: ¢ i v) æemli ¢ i v) g¢¢ oi tr:b: &st) (“ou[te eij" gh`n ou[te eij" koprivan eu[qetovn ejstin”, “neque in terram neque in sterquilinium utile est”, Luca 14:35) 214 Il paleoslavo v)æ + accusativo – scambio: v )ædaah\ m i æ)laa v)æ dobraa (“ajntapedivdosavn moi ponhra; ajnti; kalw`n”, “retribuebant mihi mala pro bonis”, Salmo 34(35):12) – accumulazione: o t) ispl|| ¢&¢iq &go m¨ v|si pri`hom). blagod:t| v)æ blagod:t|| (“ejk tou` plhrwvmato" aujtou` hJmei`" pavnte" ejlavbomen, kai; cavrin ajnti; cavrito"”, “de plenitudine eius nos omnes accepimus, et gratiam pro gratia”, Giovanni 1:16) v )m:sto + genitivo – scambio: s )¢:da+}e" l<d" mo` v) hl:: ba m:sto (“oiJ e{sqonte" to;n laovn mou brwvsei a]rtou”, “qui devorant plebem meam ut cibum panis”, Salmo 52(53):5) v )¢) + genitivo – luogo (moto): i {ed){ema je ima v)¢) grada (“ejlqovntwn de; aujtw`n ... e[xw th`" povlew"”, “usciti fuori città”, Suprasliense 14,12-13) v )¢: + genitivo – luogo (stato): i ¢ikomou ot)toli s|m:ti po sl)¢e~|¢::m) æahod:: v|¢: domou svo&go obr:sti s Á (“kai; mhkevti mhdevna tolma`n meta; hJlivou duvsin e[xw tou` oi[kou aujtou` euJreqh`nai”, “che nessuno da allora osasse trovarsi dopo il tramonto del sole fuori di casa”, Suprasliense 53,3-5) v )skrai + genitivo – luogo (stato): v )skrai je b:a{e &æera ba¢: (“ejggu;" de; th`" livmnh" h\n balanei`on”, “lungo il lago si trovava una piscina”, Suprasliense 76,17) v )sl:d) + genitivo – luogo (moto, direzione): s e m¨ ostavihom) v |sq i v)ss l:d) t ebe idom) (“ijdou; hJmei`" ajfhvkamen pavnta kai; hjkolouqhvsamevn soi”, “ecce nos reliquimus omnia et secuti sumus te”, Matteo 19:27); o t)pousti +. qko v)pi&t) v )sl:d) ¢ as) (“ajpovluson aujthvn, o{ti kravzei o[pisqen hJmw`n”, “dimitte eam, quia clamat post nos”, Matteo 15:23) Sintassi 215 do + genitivo – luogo: i prid\ d o ¢&go (“kai; h\lqon e{w" aujtou`”, “et venerunt usque ad ipsum”, Luca 4:42); v :s( i do vr|hou gor¨ (“h[gagon aujto;n e{w" ojfruvo" tou` o[rou"”, “duxerunt illum usque ad supercilium montis”, Luca 4:29); p etr) je i d:a{e po ¢&m| iædale~e. do dvora arhiereova (“oJ de; Pevtro" hjkolouvqei aujtw`/ ajpo; makrovqen e{w" th`" aujlh`" tou` ajrcierevw"”, “Petrus autem sequebatur eum a longe usque in atrium principis sacerdotum”, Matteo 26:58) – limite: p riskr)b|¢a &st) dou{ { a moq do s)mr|ti (“perivlupov" ejstin hJ yuchv mou e{w" qanavtou”, “tristis est anima mea usque ad mortem”, Matteo 26:38); d ajd| im) m|| æd\.. ¢a~|¢) ot)) posl:: d|¢iih) do p r|v¨ih) (“ajpovdo" aujtoi`" to;n misqovn, ajrxavmeno" ajpo; tw`n ejscavtwn e{w" tw`n prwvtwn”, “redde illis mercedem incipiens a novissimis usque ad primos”, Matteo 20:8); o u~( po v|sei i<dei. ¢a~|¢) ot)) galile` ` do s|de (“didavskwn kaq o{lh" th`" jIoudaiva", kai; ajrxavmeno" ajpo; th`" Galilaiva" e{w" w|de”, “docens per universam Iudaeam incipiens a Galilaea usque huc”, Luca 23:5) – tempo: o t){est¨` je godi¢¨. t|ma b¨st) po v|sei æemli . do dev(t¨` godi¢¨ (“ajpo; de; e{kth" w{ra" skovto" ejgevneto ejpi; pa`san th;n gh`n e{w" w{ra" ejnavth"”, “a sexta autem hora tenebrae factae sunt super universam terram usque ad horam nonam”, Matteo 27:45) – relazione o rapporto (contro): a {te ima{i ~to do vraga svo&go (“eja;n e[ch/" ti kata; tou` ejcqrou`”, “se hai qualcosa contro il tuo nemico”, Suprasliense 421,26) d :lq + genitivo (sempre posposto) – causa: t ogo d:lq i protiv\ & mou iæide ¢arod) (“dia; tou`to kai; uJphvnthsen aujtw`/ oJ o[clo"”, “propterea et obviam venit ei turba”, Giovanni 12:18) æ a + accusativo – luogo: i di æa m( soto¢o (“u{page, Satana`”, “Vade Satana”, Matteo 216 Il paleoslavo 4:10); a }e je¢a poustiv){i m\j j a si. i posag¢et) æa i¢) (“kai; eja;n ajpoluvsh/ gunh; to;n a[ndra aujth`" kai; gamhvsh/ a[llon”, “et si uxor dimiserit virum suum et alii nupserit”, Marco 10:12) – limitazione: i sous) je im) i æa r\kk \ v )ædvije i (“oJ de; jIhsou`" krathvsa" th`" ceiro;" aujtou` h[geiren aujtovn”, “Iesus autem tenens manum eius elevavit eum”, Marco 9:27); v )~era æa ouho oudare¢) b¨vaa{e (“cqe;" ejrrapivzeto”, “ieri era colpito sull’orecchio”, Suprasliense 449,25) – scambio: o ko æa oko i æ\ \ b) æa æ\ \ b) (“ojfqalmo;n ajnti; ojfqalmou` kai; ojdovnta ajnti; ojdovnto"”, “oculum pro oculo, et dentem pro dente”, Matteo 5:38) – causa: a }e komou oum|ret) d:ti}| ¢ekr)}e¢) æa l:¢ost| (“se a qualcuno muore un figlio non battezzato per prigrizia”, Eucologio sinaitico 104b,7) æ a + strumentale – luogo: i di æa m)¢o+ soto¢o (“u{page ojpivsw mou, satana`”, “vade post me satana”, Matteo 16:23) æ a + genitivo – vantaggio: m olitv\ s )tvor\ æ a v¨. i æa v|sego roda kr|stiq¢|ska (“presbeuvsw uJpe;r uJmw`n kai; uJpe;r o{lou tou` e[qnou" tw`n cristianw`n”, “una preghiera dirò per voi e per tutta la stirpe cristiana”, Suprasliense 17,1) i æ + genitivo – luogo: i shod(}e iæ domou li iæ grada togo (“ejxercovmenoi e[xw th`" oijkiva" h] th`" povlew" ejkeivnh"”, “exeuntes foras de domo vel civitate”, Matteo 10:14) – origine e provenienza: g – | iæ mr|tv¨ih) v)stal) (“oJ kuvrio" ejk nekrw`n ejghvgertai”, “il Signore resuscitò dai morti”, Suprasliense 479,8) – tempo: v |sq si s)hra¢ih) iæ <¢osti mo&` (“tau`ta pavnta ejfuvlaxa ejk neovthtov" mou”, “haec omnia custodivi a iuventute mea”, Luca 18:21) – materia: v r)t)p) "s kame¢e. "deje h)– p orajdaet) s( (“sphvlaion ejk pevtra" e[nqa Cristo;" gegevnnhtai”, “la grotta di pietra dove nasce Cristo”, Cloziano 14a,10) Sintassi 217 krom: + genitivo – luogo (fuori, lontano da): ¢ e v)æmoj|¢o &st) prorokou pog¨b¢\tt i i&rousalima (“oujk ejndevcetai profhvthn ajpolevsqai e[xw jIerousalhvm”, “non capit prophetam perire extra Hierusalem”, Luca 13:33) – esclusione (senza): t ¨ bo edi¢) vs ego gr:ha k rom: esi (“su; ga;r movno" pavsh" aJmartiva" ejkto;" uJpavrcei"”, “tu solo sei senza alcun peccato”, Eucologio sinaitico 57a,11-12) krom: k ) + dativo – luogo (moto verso una persona): i prist\pp i k) ¢&mou &di¢a rab¨¢i (“kai; prosh`lqen aujtw`/ miva paidivskh”, “et accessit ad eum una ancilla”, Matteo 26:69) – termine: r e~e k) simo¢ou (“tw`/ Sivmwni e[fh”, “dixit Simoni”, Luca 7:44); i v:rou+t) k) rojd){ououmou s Á o t) mari( (“kai; pisteuvousin eij" to;n ejk Mariva"”, “credono a colui che Maria ha generato”, Suprasliense 216,2) – relazione o rapporto: a k) bogou l<b¨ beæ m:r¨ (“kai; pro;" Qeo;n e[rw" ajneivkasto"”, “e verso Dio amore senza misura”, Suprasliense 275,1); a }e je s)gr:{it) k) teb: bratr) tvoi (“eja;n de; aJmarthvsh/ eij" se; oJ ajdelfov" sou”, “si autem peccaverit in te frater tuus”, Matteo 18:15) – tempo: p o¢&je b: paraskev|gi i. &je &st) k) s\bb ot: (“ejpei; h\n paraskeuhv, o{ ejstin prosavbbaton”, “quia erat parasceve, quod est ante sabbatum”, Marco 15:42) – fine o scopo: s i bol:æ¢| ¢:st) k) s)m|rti (“au{th hJ ajsqevneia oujk e[stin pro;" qavnaton”, “infirmitas haec non est ad mortem”, Giovanni 11:4) ¢ a + accusativo – tempo: i æm¨+ ¢a v|s:k\ ¢ o}) loje moe (“louvsw kaq eJkavsthn nuvkta th;n klivnhn mou”, “lavabam per singulas noctes lectum meum”, Salmo 6:7) – luogo: i v)æv:q{( v:tri i ¢apad\ ¢ a hrami¢\ t \ (“kai; e[pneusan oiJ a[nemoi kai; prosevpesan th`/ oijkiva/ ejkeivnh/”, “et flaverunt 218 Il paleoslavo venti et irruerunt in domum illam”, Matteo 7:25); & gda æ)va¢) b\d d e{i ¢a brak) (“o{tan klhqh`/" eij" gavmou"”, “cum invitatus fueris ad nuptias”, Luca 14:8) – relazione o rapporto (contro): r )p)taah\ ¢ a gospodi¢) (“ejgovgguzon kata; tou` oijkodespovtou”, “murmurabant adversus patrem familias”, Matteo 20:11); i skaah\ l )jas)v:d:tel|stva ¢a isousa (“ejzhvtoun yeudomarturivan kata; tou` jIhsou`”, “quaerebant falsum testimonium contra Iesum”, Matteo 26:59) ¢ a + locativo – luogo: i pride i}( ploda ¢a ¢&i (“kai; h\lqen zhtw`n karpo;n ejn aujth`/”, “et venit quaerens fructum in illa”, Luca 13:6); ¢ a moseov: s:dali}i s:d\ \ k)¢ij|¢ici i farisei (“ejpi; th`" Mwu >sevw" kaqevdra" ejkavqisan oiJ grammatei`" kai; oiJ farisai`oi”, “super cathedram Moysi sederunt scribae et pharisaei”, Matteo 23:2); ¢ e s(di ¢a pr:d|¢iim| m:st: (“mh; katakliqh`/" eij" th;n prwtoklisivan”, “non discumbas in primo loco”, Luca 14:8); o s¢ova¢a bo b: ¢a kame¢e (“teqemelivwto ga;r ejpi; th;n pevtran”, “fundata enim erat super petram”, Matteo 7:25) ¢ ad) + accusativo – luogo (moto, direzione): s amar:¢i¢) je eter) gr(d¨ pride ¢ad) ¢| (“samarivth" de; ti" oJdeuvwn h\lqen kat aujto;n”, “samaritanus autem quidam iter faciens venit secus eum”, Luca 10:33) ¢ ad) + strumentale – luogo (stato): a mi¢| glagol+ vam). qko ¢ad) v|s:m| im:¢i&m| postavit) i (“ajmh;n levgw uJmi`n o{ti ejpi; pa`sin toi`" uJpavrcousin aujtou` katasthvsei aujtovn”, “amen, dico vobis, quoniam super omnia bona constituet eum”, Matteo 24, 47-48); ¢ :st) ou~e¢ik) ¢ad) ou~itel&m| svoim| (“oujk e[stin maqhth;" uJpe;r to;n didavskalon”, “non est discipulos super magistrum”, Luca 6:40) o + accusativo – luogo (stato): a &je s:sti o des¢\+ + me¢e. i o l:v\+ + . ¢:st) m|¢: Sintassi 219 dati (“to; de; kaqivsai ejk dexiw`n mou h] ejx eujwnuvmwn oujk e[stin ejmo;n dou`nai”, “sedere autem ad dexteram meam vel ad sinistram non est meum dare”, Marco 10:40) \ kah) v)æ|m\ \ t) t(. da ¢e o kame¢| pr:t)k¢e{i – luogo (moto): ¢ a r\ ¢ og¨ tvo&` (“ejpi; ceirw`n ajrou`sin se, mhvpote proskovyh/" pro;" livqon to;n povda sou”, “in manibus tollent te, ne forte offendas ad lapidem pedem tuum”, Luca 4:11) – tempo: & dva o l:to v)æmogo{ Á s Á p ri(ti sadove (“movli" ejpi; ejniauto;n i[scusan krath`sai ta; futa;”, “solo durante l’estate i giardini attecchirono”, Suprasliense 301,22-23) – rapporto o relazione: r aæd:li{( riæ¨ &go. meta+}e jr:bi` o ¢` (“diamerivzontai ta; iJmavtia aujtou`, bavllonte" klh`ron ejp aujta;”, “diviserunt vestimenta eius mittentes sortem super eis”, Marco 15:24) o + locativo – relazione: o odejdi ~|to s( pe~ete÷ (“kai; peri; ejnduvmato" tiv merimna`te…”, “de vestimento quid solliciti estis?”, Matteo 6:28); s | &st) s¨¢) moi v)æl< < bl&¢¨i. o ¢&m|je blagovolih) (“ou|tov" ejstin oJ uiJov" mou oJ ajgaphtov", ejn w/| eujdovkhsa”, “hic est Filius meus dilectus, in quo mihi complacui”, Matteo 3:17); d :lo bo dobro s)d:la o m|¢: (“e[rgon ga;r kalo;n hjrgavsato eij" ejmev”, “opus enim bonum operata est in me”, Matteo 26:10) – rapporto: o v|s:kom) bo kr|st"q¢: kaæ¢| c:sar|ska lejit) (“kata; ga;r panto;" cristianou` to; dovgma tw`n basilevwn kei`tai”, “contro ogni cristiano sta infatti l’editto dell’imperatore”, Suprasliense 101,21-22); m olitv\ d :ite o ¢apast|stvou+}iih) vam) (“proseuvcesqe uJpe;r tw`n diwkovntwn uJma`"”, “orate pro persequentibus ... vos”, Matteo 5:44) – luogo: i poqs) ousm:¢) o ~r:sl:h) &go (“kai; zwvnhn dermativnhn peri; th;n ojsfu;n aujtou`”, “et zona pellicea circa lumbos eius”, Marco 1:6); v id:v) je isous) m)¢og) ¢arod) o seb: (“ijdw;n de; oJ jIhsou`" o[clon peri; aujto;n”, “videns autem Iesus turbas multas circum se”, Matteo 8:18); v id:v){e je i ije b:ah\ o ¢&m|. b¨va&mo& (“ijdovnte" de; oiJ peri; aujto;n to; ejsovmenon”, “videntes autem hi, qui circa ipsum erant, quod 220 Il paleoslavo futurum erat”, Luca 22:49); v |sqk\ r oæg\ o m|¢: ¢e tvor(}\ p loda iæ|met) + (“pa`n klh`ma ejn ejmoi; mh; fevron karpovn, ai[rei aujtov”, “omnem palmitem in me non ferentem fructum, tollet eum”, Giovanni 15:2); a }e li k)to hodit) ¢o}i+ pot)k¢et) s(. qko sv:ta ¢:st) o ¢&m| (“eja;n dev ti" peripath`/ ejn th`/ nukti;, proskovptei, o{ti to; fw`" oujk e[stin ejn aujtw`/”, “si autem ambulaverit in nocte, offendit, quia lux non est in eo”, Giovanni 11:10); p r:jde b¨ti v|semou mirou o teb: (“pro; tou` to;n kovsmon ei\nai para; soiv”, “prius, quam mundus esset, apud te”, Giovanni 17:5) – argomento: ~ |to se sl¨{\ o teb:÷ v)ædajd| ot)v:t) o pristavl&¢ii domov|¢:&m| (“tiv tou`to ajkouvw peri; sou`… ajpovdo" to;n lovgon th`" oijkonomiva" sou”, “Quid hoc audio de te? redde rationem vilicationis tuae”, Luca 16:2) – fine o scopo: s i bol:æ¢| ¢:st) k) s)m|rti. ¢) o slav: bojii (“au{th hJ ajsqevneia oujk e[stin pro;" qavnaton ajll uJpe;r th`" dovxh" tou` Qeou`”, “infirmitas haec non est ad mortem, sed pro gloria Dei”, Giovanni 11:4) – causa: o sem| raæoum:+t) v|si. qko moi ou~e¢ici &ste (“ejn touvtw/ gnwvsontai pavnte" o{ti ejmoi; maqhtaiv ejste”, “in hoc cognoscent omnes quia discipuli mei estis”, Giovanni 13:35); s lav(}e boga. o v|s:h) qje sl¨{a{( (“aijnou`nte" to;n Qeo;n ejpi; pa`sin oi|" h[kousan”, “laudantes Deum in omnibus, quae audierant”, Luca 2:20); v |si v¨ s)blaæ¢ite s( o m|¢: v) si+ + ¢o}| (“pavnte" uJmei`" skandalisqhvsesqe ejn ejmoi; ejn th/` nukti; tauvth/”, “omnes vos scandalum patiemini in me in ista nocte”, Matteo 26:31) d et) ~lov:k) (“oujk – mezzo e strumento: ¢ e o hl:b: &di¢om| jiv) b\d ejp a[rtw/ movnw/ zhvsetai oJ a[nqrwpo"”, “non in solo pane vivit homo”, Luca 4:4); r oæga ¢e mojet) ploda tvoriti o seb:. a}e ¢e b \d d et) ¢a loæ: (“to; klh`ma ouj duvnatai karpo;n fevrein ajf eJautou`, eja;n mh; mevnh/ ejn th`/ ajmpevlw/”, “palmes non potest ferre fructum a semetipso, nisi manserit in vite”, Giovanni 15:4); o k)¢(™i b:s) iægo¢it) b:s¨ (“ejn tw`/ a[rconti tw`n daimonivwn ejkbavllei ta; daimovnia”, “in principe daemoniorum eicit daemones”, Matteo 9:34); v id:hom) etera. o ime¢e tvo&m| iægo¢(}a Sintassi 221 b:s¨ (“ei[domevn tina ejn tw`/ ojnovmativ sou ejkbavllonta daimovnia”, “vidimus quemdam in nomine tuo eicientem daemonia”, Marco 9:38) – misura: o ¢&m|je s\d d : s\d d ite s\d d (t) s( vam) (“ejn w/| ga;r krivmati krivnete kriqhvsesqe”, “in quo enim iudicio iudicaveritis, iudicabimini”, Matteo 7:2) o b + accusativo – luogo: i je b: s tobo+ ob o¢) pol) ior)da¢a (“o}" h\n meta; sou` pevran tou` jIordavnou”, “qui erat tecum trans Iordanem”, Giovanni 3:26) – tempo: b : ob ¢o}| v) molitv: (“h\n dianuktereuvwn ejn th`/ proseuch`/”, “erat pernoctans in oratione”, Luca 6:12) o t) + genitivo – agente e causa efficiente: a æ) tr:bou+ ot) tebe kr|stiti s( (“ejgw; creivan e[cw uJpo; sou` baptisqh`nai”, “ego a te debeo baptizari”, Matteo 3:14); ¢ ev)æmoj|¢aq ot) ~lov:k) v)æmoj|¢a ot) boga s\ \ t) (“ta; ajduvnata para; ajnqrwvpoi" dunata; para; tw`/ Qew`/ ejstin”, “quae impossibilia sunt apud homines, possibilia sunt apud Deum”, Luca 18:27); s trajd\} } ei ot) douh) ¢e~ist) (“oiJ ejnoclouvmenoi ajpo; pneumavtwn ajkaqavrtwn”, “qui vexabantur a spiritibus immundis”, Luca 6:18); ¢ e ouboite s( ot) oubiva+}iih) t:lo (“mh; fobhqh`te ajpo; tw`n ajpoktennovntwn to; sw`ma”, “ne terreamini ab his, qui occidunt corpus”, Luca 12:4) – tempo: o t) {est¨` je godi¢¨. t|ma b¨st) po v|sei æemli . do dev(t¨` ` godi¢¨ (“ajpo; de; e{kth" w{ra" skovto" ejgevneto ejpi; pa`san th;n gh`n e{w" w{ra" ejnavth"”, “a sexta autem hora tenebrae factae sunt super universam terram usque ad horam nonam”, Matteo 27:45) – luogo: v )æide ot) vod¨ (“ajnevbh ajpo; tou` u{dato"”, “ascendit de aqua”, Matteo 3:16); i d\ p :{i ot) grada (“hjkolouvqhsan aujtw`/ pezh`/ ajpo; tw`n povlewn”, “secutae sunt eum pedestres de civitatibus”, Matteo 14:13) – rapporto o relazione: ¢ epovi¢|¢) &sm| ot) kr)ve sego prav|d|¢ika (“ajqw`/ov" eijmi ajpo; tou` ai{mato" tou` dikaivou touvtou”, “innocens ego sum 222 Il paleoslavo a sanguine iusti huius”, Matteo 27:24) – origine e provenienza: i sous) je … p ride v) vita¢i+. ideje b: laæar) oum|r¨i. &goje v)skr:si ot) mr|tv¨ih) isous) (“oJ ou\n jIhsou`" … h\lqen eij" Bhqanivan, o{pou h\n Lavzaro", o}n h[geiren ejk nekrw`n oJ jIhsou`"”, “Iesus ergo … venit Bethaniam, ubi Lazarus fuerat mortuus, quem suscitavit Iesus”, Giovanni 12:1); v :m| qko &goje kolij|do prosi{i ot) boga dast) teb: bog) (“oi\da o{ti o{sa a]n aijthvsh/ to;n Qeo;n dwvsei soi oJ Qeov"”, “scio quia quaecumque poposceris a Deo, dabit tibi Deus”, Giovanni 11:22) – mezzo e strumento: v |sqko oubo dr:vo ot) ploda svo&go poæ¢a&t) s( (“e{kaston ga;r devndron ejk tou` ijdivou karpou` ginwvsketai”, “unaquaeque enim arbor de fructu suo cognoscitur”, Luca 6:44) – causa: o t) radosti &go idet) (“ajpo; th`" cara`" aujtou` uJpavgei”, “prae gaudio illius vadit”, Matteo 13:44); i æd¨ha+}em) ~lov:kom) ot) straha i ~aq¢iq (“ajpoyucovntwn ajnqrwvpwn ajpo; fovbou kai; prosdokiva"”, “arescentibus hominibus prae timore et exspectatione”, Luca 21:26) – modo: v )æl<bi{i gospoda boga tvo&go ot) v|sego sr|d|ca tvo&go (“ajgaphvsei" Kuvrion to;n Qeovn sou ejx o{lh" th`" kardiva" sou”, “diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo”, Luca 10:27) – materia: s )plet){e v:¢|c| ot) tr|¢iq (“plevxante" stevfanon ejx ajkanqw`n”, “plectentes coronam de spinis”, Matteo 27:29) – separazione: & gda ot)stavl&¢) b\d d \ o t) stro&¢iq domou (“o{tan metastaqw` ejk th`" oijkonomiva"”, “cum amotus fuero a vilicatione”, Luca 16:4) – paragone: o um|¢"l) i esi malom| ~"m| ot) a¢– gl ) (“hjlavttwsa" aujto;n bracuv ti parJ ajggevlou"”, “minuisti eum paulo minus ab angelis”, Salmo 8:6) – partitivo: p (t| je b: ot) ¢i h) boui (“pevnte de; ejx aujtw`n h\san mwrai;”, “quinque autem ex eis erant fatuae”, Matteo 25:2); d adite ¢am) ot) ol:q va{ego (“dovte hJmi`n ejk tou` ejlaivou uJmw`n”, “date nobis de oleo vestro”, Matteo 25:8) Sintassi po + accusativo 223 d \tt ) tr\ss i po m:sta (“e[sontai seismoi; kata; tovpou"”, – luogo: b \d “erunt terraemotus per loca”, Marco 13:8) – tempo: p o v|s( d|¢i s:d:ah) s) vami v) cr|k)ve ou~( (“kaq hJmevran ejn tw`/ iJerw`/ ejkaqezovmhn didavskwn”, “cotidie apud vos sedebam docens in templo”, Matteo 26:55); – causa: p o ~|to s) m¨tari i gr:{|¢ik¨ qst) i pi&t)÷ (“tiv, o{ti meta; tw`n telwnw`n kai; aJmartwlw`n ejsqivei kai; pivnei…”, “qua re cum publicanis et peccatoribus manducat et bibit?”, Marco 2:16); ¢ e dostoi¢o &st) v)lojiti &go v) kar)va¢\ \ po ¢&je c:¢a kr)ve &st) (“oujk e[xestin balei`n aujta; eij" to;n korbana`n, ejpei; timh; ai{matov" ejstin”, “non licet eos mittere in corbonam, quia pretium sanguinis est”, Matteo 27:6) – fine o scopo: p os)lav) po æ)va¢¨` im) (“ajposteivla" ejpi; tou;" klhqevnta" uJp aujtou`”, “avendo mandato [a chiamare] quelli invitati da lui,” Suprasliense 267,4-5) p o + dativo – luogo: p oveli mi priti k) teb: po vodam) (“kevleusovn me ejlqei`n pro;" se; ejpi; ta; u{data”, “iube me ad te venire super aquas”, Matteo 14:28); o u~( po v|sei i<dei (“didavskwn kaq o{lh" th`" jIoudaiva"”, “docens per universam Iudaeam”, Luca 23:5); t |ma b¨st) po v|sei æemli (“skovto" ejgevneto ejpi; pa`san th;n gh`n”, “tenebrae factae sunt super universam terram”, Matteo 27:45) – tempo: ¢ e po m)¢ogou prist\ \ pll| {e sto`}ei r:{( petrovi (“meta; mikro;n de; proselqovnte" oiJ eJstw`te" ei\pon tw`/ Pevtrw/”, “et post pusillum accesserunt qui stabant et dixerunt Petro”, Matteo 26:73); v :ste qko po d)vo< d|¢ou pasha b¨va&t) (“oi[date o{ti meta; duvo hJmevra" to; pavsca givnetai”, “scitis quia post biduum Pascha fiet”, Matteo 26:2); – modo o maniera: p o d:lom) je ih) ¢e hodite (“kata; de; ta; e[rga aujtw`n mh; poiei`te”, “secundum opera vero eorum nolite facere”, Matteo 23:3) – distributivo: i pri`s( po p:¢(™™ ou (“kai; e[labon to; ajna; dhnavrion”, “acceperunt autem et ipsi singulos denarios”, Matteo 20:10) 224 Il paleoslavo po + locativo – luogo: o ¢a je abi& ostav){a mr:j(. po ¢&m| idoste (“oiJ de; eujqevw" ajfevnte" ta; divktua hjkolouvqhsan aujtw`/”, “illi continuo relictis retibus secuti sunt eum”, Matteo 4:20); i di po m|¢: (“ajkolouvqei moi”, “sequere me”, Luca 5:27) – tempo: ¢ e po m)¢o™: prist\pp l| {e sto`}ei r:{( petrovi (“meta; mikro;n de; proselqovnte" oiJ eJstw`te" ei\pon tw`/ Pevtrw/”, “et post pusillum accesserunt qui stabant et dixerunt Petro”, Matteo 26:73); p o v)skr|s¢ove¢ii je mo&m| varq+ v¨ v) galilei (“meta; de; to; ejgerqh`naiv me proavxw uJma`" eij" th;n Galilaivan”, “postquam autem resurrexero, praecedam vos in Galilaeam”, Matteo 26:32); v ) s\? po r ojdstv: hv– : (“[lettura] per il sabato dopo il Natale”, Libro di Savva 142b,3) p od) + accusativo – tempo: t r(som¨ je da v)kousit) pod) ve~er). malo ka{ic( (“il febbricitante mangi un poco di semolino verso sera”, Eucologio sinaitico 44a,21-23) – luogo: k ol| krat¨ v)shot:h) s)b|rati ~(da tvoq. qkoje s)bira&t) k oko{| p)te¢|c( svo` pod) kril: (“posavki" hjqevlhsa ejpisunagagei`n ta; tevkna sou, o}n trovpon o[rni" ejpisunavgei ta; nossiva aujth`" uJpo; ta;" ptevruga"”, “quoties volui congregare filios tuos quemadmodum gallina congregat pullos suos sub alas”, Matteo 23:37); v )s: pokoril) es" pod) ¢o™: ego. ov|c` " vol¨ v|s` (“pavnta uJpevtaxa" uJpokavtw tw`n podw`n aujtou`, provbata kai; bova" pavsa"”, “omnia subiecisti sub pedibus eius, oves et boves universas”, Salmo 8:9) p od) + strumentale } a pod) smok)vice+ vid:h) t( (“ei\dovn se uJpokavtw th`" – luogo: s \} sukh`"”, “vidi te sub ficu”, Giovanni 1:49); v )æleje mwusii pod) kam¨kom) velikom) (“oJ Mwsh`", keklikw;" pammegevqou" livqou uJpokavtw”, “Mosè si distese sotto un grandissimo masso”, Suprasliense 275,16-17) Sintassi 225 posr:d: (p o sr:d: ) + genitivo – luogo: k orabl| je b: posr:d: morq (“to; de; ploi`on mevson th`" qalavssh" h\n”, “navicola autem in medio mari …”, Matteo 14:24); o ¢) je pro{|d) posr:d: ih) id:a{e (“aujto;" de; dielqw;n dia; mevsou aujtw`n ejporeuveto”, “ipse autem transiens per medium illorum ibat”, Luca 4:30); p o sr:d: æeml( (“ejn mevsw/ th`" gh`"”, “nel mezzo della terra”, Cloziano 13b,26) p osr:d: + dativo – luogo: p o sr:d: dv:ma jivotoma (“ejn mevsw/ duvo zw/vwn”, “tra due vite”, Cloziano 13b,26); p osr:d: ¢asto`{ti" j"æ¢" " gr(d\{ { ti" (“ejn mevsw/ th`" parouvsh" zwh`" kai; th`" mellouvsh"”, “tra la presente vita e quella che verrà”, Cloziano 13b,37-38); p o sr:d: d|¢)s) j"v¨"m) " mr)tv¨m) (“ejn mevsw/ shvmeron zwvntwn kai; nekrw`n”, “tra quelli oggi vivi e i morti”, Cloziano 13b,39-40) p ri + locativo – luogo: l ejaa{e pri vrat:h) &go (“ejbevblhto pro;" to;n pulw`na aujtou`”, “iacebat ad ianuam eius”, Luca 16:20) – tempo: o bl(™i s) ¢ama qko pri ve~er: &st) (“mei`non meq hJmw`n, o{ti pro;" eJspevran ejsti;n”, “mane nobiscum, quoniam advesperascit”, Luca 24:29) – relazione o rapporto: p ri odejdi ~|to s( pe~ete÷ (“kai; peri; ejnduvmato" tiv merimna`te…”, “de vestimento quid solliciti estis?”, Matteo 6:28) p rotiv\ / p rotivo + dativo – luogo: p rotiv\ m a¢ast¨rou ot|ca isakia. ¢a polou¢o{t) s)æ)da cr)k)ve sv Á tago pr|vom\ \ ~e¢ika stefa¢a (“ajntikru; tou` monasthrivou tou` ajbba; jIsaaki;ou kata; mesembrivan e[ktise martuvrion tou` aJgivou prwtomavrturo" Stefavnou”, “di fronte al monastero di padre Isacco a nord [in greco: a sud] costruì la chiesa di S. Stefano protomartire”, Suprasliense 208,25-28); i æid\ p rotiv\ j e¢ihou (“ejxh`lqon eij" uJpavnthsin tou` 226 Il paleoslavo numfivou”, “exierunt obviam sponso”, Matteo 25:1) – relazione o rapporto: i ovomou dast) .d– . tala¢t) ovomou je .b– . ovomou je .a–– . komouj|do protiv\ \ sil: svo&i (“kai; w|/ me;n e[dwken pevnte tavlanta, w|/ de; duvo, w|/ de; e{n, eJkavstw/ kata; th;n ijdivan duvnamin”, “uni dedit quinque talenta, alii autem duo, alii vero unum, unicuique { te protiviti s Á secundum propriam virtutem”, Matteo 25:15); ¢ e mog\{ p rotiv\ o dr)j Á { tii &go sil: (“non potendo opporre resistenza alla [contro la] forza che lo sopraffaceva”, Suprasliense 566,29-30) p r:d) + accusativo – luogo (moto, direzione): i {|d){< je &mou pr:d) vrata (“ejxelqovnta de; ej" to;n pulw`na”, “exeunte autem illo ianuam”, Matteo 26:71) – tempo: ¢ e ? pr:d) v)ædvig) kr– s ta (“la domenica prima [della festa] dell’Esaltazione della croce”, Apostolo di Enino 30a,2-3) p r:d) + strumentale – luogo (stato): p etr) je stoq pr:d) vrat¨ v)¢: (“oJ de; Pevtro" eiJsthvkei pro;" th`/ quvra/ e[xw”, “Petrus autem stabat ad ostium foris”, Giovanni 18:16) – relazione o rapporto: " ! tr)pl\ " m` tvoe :ko blago pr:d) pr:? ¢¨mi tvoimi (“kai; uJpomenw` to; o}nomav sou, o}ti crhsto;n ejnantivon tw`n oJsivwn sou”, “et exspectabo nomen tuum, quoniam bonum est, in conspectu sanctorum tuorum”, Salmo 51(52):11) – tempo: v ) s\?. pr:d) v)ædvigom) krs–– t a (“il sabato prima [della festa] dell’Esaltazione della croce”, Libro di Savva 127a,5) p r:mo + dativo – luogo: i d:ta v) v|s| qje &st) pr:mo vama (“uJpavgete eij" th;n kwvmhn th;n katevnanti uJmw`n”, “ite in castellum, quod contra vos est”, Marco 11:2) r aæv: + genitivo j | p(t| t¨s(}| raæv: je¢) i – esclusione: q d){iih) je b: m\j d :tii (“oiJ de; ejsqivonte" h\san a[ndre" wJsei; pentakiscivlioi cwri;" Sintassi 227 gunaikw`n kai; paidivwn”, “manducantium autem fuit numerus quinque milia virorum, exceptis mulieribus et parvulis”, Matteo 14:21) r adi + genitivo (sempre posposto) – causa: i b\d d ete ¢e¢avidim¨ ot) v|s:h) ime¢e mo&go radi (“kai; e[sesqe misouvmenoi uJpo; pavntwn dia; to; o[nomav mou”, “et eritis odio omnibus propter nomen meum”, Luca 21:17) – fine o scopo: ¢ :st) bo ¢i~‘toje tako bo– u l<bo qkoje &je ob|{taago radi ousp:ha jiti (“ouJde;n ga;r ou{tw" ejstiv tw/` Qew/` fivlon, wJ" to; koinwfelw`" zh/`n”, “niente è caro a Dio quanto il vivere per il bene comune”, Suprasliense 379,1-3) s ) + genitivo – luogo: s ){|d){em) im) s) gor¨. s)r:te i ¢arod) m)¢og) (“katelqovntwn aujtw`n ajpo; tou` o[rou" sunhvnthsen aujtw`/ o[clo" poluv"”, “descendentibus illis de monte, occurrit illis turba multa”, Luca 9:37) – tempo: s ) ve~era id\{ { te (“ajpo; eJspevra" ajpiovnte"”, “che si recavano dalla sera”, Suprasliense 35,8-9) s ) + strumentale – compagnia e unione: i s| b: ~lov:k) s) isousom| ¢aæar:¢i¢om| (“ou|to" h\n meta; jIhsou` tou` Nazwraivou”, “et hic erat cum Iesu Nazareno”, j iem| i Matteo 26:71); q ko ¢a raæboi¢ika li iæidete s) or \j dr|kol|mi (“wJ" ejpi; lh/sth;n ejxhvlqate meta; macairw`n kai; xuvlwn”, “tamquam ad latronem existis cum gladiis et fustibus”, Matteo 26:55) – mezzo o strumento: i pak¨ ot)vr|je s( s) kl(tvo+ (“kai; pavlin hjrnhvsato meta; o{rkou”, “et iterum negavit se cum iuramento”, Matteo 26:72) – modo o maniera: i v)æ|r:v) ¢a ¢` s) g¢:vom| ... glagola (“kai; peribleyavmeno" aujtou;" met ojrgh`" … levgei”, “et circumspiciens eos cum ira … dicit”, Marco 3:5) – rapporto o relazione (pro e contro): a }e tako &st) vi¢a ~lov:kou s) je¢o+ (“eij ou{tw" ejsti;n hJ aijtiva tou` ajnqrwvpou meta; th`" gunaikov"”, 228 Il paleoslavo “si ita est causa hominis cum uxore”, Matteo 19:10); s )tvoriti milost| s) ot|ci ¢a{imi (“poih`sai e[leo" meta; tw`n patevrwn hJmw`n”, “ad faciendam misericordiam cum patribus nostris”, Luca 1:72) – paragone: i t)~|¢) b¨st) s) ¢e oum|r){iimi (“kai; tetartai`o" i[so" h\n tw`/ mhvte th;n ajrch;n teqnew`ti”, “era uguale [Lazzaro] a quelli che non sono morti”, Suprasliense 317,21) o u + genitivo – luogo: i vid: d)va a¢ge la v) b:lah) s:d(}a &di¢ogo ou glav¨ i & di¢ogo ou ¢ogou ideje b: lejalo t:lo isousovo (“kai; qewrei` duvo ajggevlou" ejn leukoi`" kaqezomevnou", e{na pro;" th`/ kefalh`/ kai; e{na pro;" toi`" posivn, o{pou e[keito to; sw`ma tou` jIhsou`”, “et vidit duos angelos in albis sedentes, unum ad caput et unum ad pedes, ubi positum fuerat corpus Iesu”, Giovanni 20:12); a }e ~eso prosite ou ot|ca v) im( mo& dast) vam) (“a[n ti aijthvshte to;n patevra dwvsei uJmi`n ejn tw`/ ojnovmativ mou”,“si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis”, Giovanni 16:23); i je i ou~i s( ou isousa (“o}" kai; aujto;" ejmaqhvteusen tw`/ jIhsou`”, “qui } e i pi+}e qje s\tt ) ou et ipse discipulus erat Iesu”, Matteo 27:57); q d\} ¢ih) (“ejsqivonte" kai; pivnonte" ta; par aujtw`n”, “edentes et bibentes quae apud illos sunt”, Luca 10:7); m olqa{e i farisei eter) da ob:dou&t) ou ¢&go (“ejrwta`/ aujto;n farisai`o" o{pw" ajristhvsh/ par aujtw`/”, “rogavit illum quidam pharisaeus ut pranderet apud se”, Luca 11:37) 6. La sintassi del periodo Le frasi del paleoslavo possono essere semplici o complesse. La frase semplice è formata da una sola proposizione che, come in italiano, può essere dichiarativa (enunciativa), interrogativa, esclamativa, volitiva. Le proposizioni dichiarative enunciano fatti e circostanze: ~ lov:k) eter) b: bogat) (“a[nqrwpov" tis h\n plouvsio"”, “Homo quidam erat dives”, Luca 16:1); p olou ¢o}i je v)pl| b¨st) (“mevsh" de; nukto;" kraugh; gevgonen”, “Media autem nocte clamor factus est”, Matteo 25:6). Le proposizioni interrogative contengono una domanda; sono introdotte da Sintassi 229 pronomi, avverbi o particelle interrogative (k )to , ~ |to , k ¨i , ~ ii , k ak) , k akov) , k )de , k )gda , e da , l i , i li , a }e , eccetera) e si concludono solitamente con il segno di interpunzione “÷ ”, che corrisponde al moderno punto di domanda: ~ |to se sl¨{\ o teb:÷ (“tiv tou`to ajkouvw peri; sou`…”, \ s) “Quid hoc audio de te?”, Luca 16:2); k )de &st| obit:l| ideje pash\ o u~e¢ik¨ svoimi s)¢:m|÷ (“pou` ejstin to; katavluma o{pou to; pavsca meta; tw`n maqhtw`n mou favgw…”, “Ubi est diversorium, ubi pascha cum discipulis meis manducem”, Luca 22:11); ¢ e po p:¢(™ou li s)v:}ah) s) t obo+÷ (“oujci; dhnarivou sunefwvnhsa" moi…”, “nonne ex denario convenisti mecum?”, Matteo 20:13); i li ¢:st) mi l:t| s)tvoriti v) svoih) mi &je ho}\ \ ÷ a}e oko tvo& l\ \ kavo &st). qko aæ) blag) &sm)÷ (“h] oujk e[xestivn moi o} qevlw poih`sai ejn toi`" ejmoi`"… h] oJ ojfqalmov" sou ponhrov" ejstin, o{ti ejgw; ajgaqov" eijmi…”, “Aut non licet mihi quod volo facere? an oculus tuus nequam est, quia ego bonus sum?”, Matteo 20:15); ~ |to je vidi{i s\~~ |c| ije &st) v) oc: bratra tvo&go , a br|v|¢a &je &st) v) oc: tvo&m| ¢e ~ou&{i÷ li kako re~e{i bratrou tvo&mou. o stavi i iæ|m\ s \~~ |c| iæ o~ese tvo&go . i se br|v|¢o v) oc: tvo&m|÷ (“tiv de; blevpei" to; kavrfo" to; ejn tw`/ ojfqalmw`/ tou` ajdelfou` sou, th;n de; ejn tw`/ sw`/ ojfqalmw`/ doko;n ouj katanoei`"… h] pw`" ejrei`" tw`/ ajdelfw`/ sou: a[fe" ejkbavlw to; kavrfo" ejk tou` ojfqalmou` sou, kai; ijdou; hJ doko;" ejn tw`/ ojfqalmw`/ sou…”, “quid autem vides festucam in oculo fratris tui, et trabem in oculo tuo non vides? Aut quomodo dicis fratri tuo: Sine, eiciam festucam de oculo tuo, et ecce trabs est in oculo tuo?”, Matteo 7:3-4). Le proposizioni esclamative contengono un’esclamazione: s e je¢ih) gr(det) (“ijdou; oJ numfivo" e[rcetai”, “Ecce sponsus venit”, Matteo 25:6); g or& je ~lov:kou tomou im|je s¨¢) ~lov:~|sk¨i pr:da&t) s( (“oujai; de; tw`/ ajnqrwvpw/ ejkeivnw/, di ou| oJ uiJo;" tou` ajnqrwvpou paradivdotai”, “vae autem homini illi, per quem Filius hominis tradetur”, Marco 14:21). Proposizioni volitive (o esortative, o ottative) sono quelle che esprimono un desiderio, una volontà, un ordine: d a v)ævesel"t) s` gora sio¢|ska. i v)ædradou+t) s` d)}eri "! < d:isk¨ (“eujfranqhvtw to; o}ro" Siw;n, ajgalliavsqwsan aiJ qugatevre" th`" jIoudaiva"”, “laetetur mons Sion, et 230 Il paleoslavo exsultent filiae Iudae”, Salmo 47(48):12); o t|~e moi a}e v)æmoj|¢o &st) da mimoidet) ot) me¢e ~a{a si (“pavter mou, eij dunatovn ejstin, parelqevtw ajp ejmou` to; pothvrion tou`to”, “Pater mi, si possibile est, transeat a me calix iste”, Matteo 26:39); i shodite v) s)r:te¢i& &go (“ejxevrcesqe eij" ajpavnthsin aujtou`”, “exite obviam ei”, Matteo 25:6); r adoui s( ravvi (“cai`re, rJabbiv”, “Ave Rabbi”, Matteo 26:49); & gda æ)va¢) b\ \ de{i ¢a brak). ¢e s(di ¢a pr:d|¢iim| m:st: … ¢ ) &gda æ)va¢) b\ \ de{i. {|d) s(di ¢a posl:d|¢iim| m:st: (“o{tan klhqh`/" eij" gavmou", mh; katakliqh`/" eij" th;n prwtoklisivan … ajll o{tan klhqh`/", poreuqei;" ajnavpese eij" to;n e[scaton tovpon”, “cum invitatus fueris ad nuptias, non discumbas in primo loco … sed cum vocatus fueris, vade recumbe in novissimo loco”, Luca 14:8-10); ¢ e d:ite d:tii prihoditi k) m|¢:. i ¢e bra¢ite im) (“a[fete ta; paidiva e[rcesqai prov" me, mh; kwluvete aujtav”, “sinite parvulos venire ad me, et ne prohibueritis eos”, Marco 10:14). La frase complessa è formata da diverse proposizioni, poste tra loro in rapporti di coordinazione o di subordinazione ed espresse in forma esplicita o implicita. Quando si ha coordinazione (paratassi) le proposizioni conservano la propria autonomia sintattica. Principali congiunzioni coordinative e nessi correlativi sono: – con valore copulativo (affermativo o negativo) i - i , ¢ i - ¢ i , t akojde : s )bira+t) je br:me¢a t(j|ka i ¢eoudob| ¢osima. i v)ælaga+t) ¢a ple}a ~lov:~|ska (“desmeuvousin de; fortiva bareva kai; dusbavstakta kai; ejpitiqevasin ejpi; tou;" w[mou" tw`n ajnqrwvpwn”, “alligant enim onera gravia et importabilia et imponunt in umeros hominum”, Matteo 23:4); – con valore avversativo j e , a , ¢ ) : a pr|stom| svoim| ¢e hot(t) dvig¢\ \ ti ih) (“aujtoi; de; tw`/ daktuvlw/ aujtw`n ouj qevlousin kinh`sai aujtav”, “digito autem suo nolunt ea movere”, Matteo 23:4); o ¢i je im){e isousa v:s( ( k) kaiqf: arhiereovi. ideje k)¢i j|¢ici i star|ci s)b|ra{( s(. petr) je id:a{e po ¢&m| iædale~e (“oiJ de; krathvsante" Sintassi 231 to;n jIhsou`n, ajphvgagon pro;" Kai >avfan to;n ajrciereva, o{pou oiJ grammatei`" kai; oiJ presbuvteroi sunhvcqhsan. oJ de; Pevtro" hjkolouvqei aujtw`/ ajpo; makrovqen”, “at illi tenentes Iesum duxerunt ad Caipham principem sacerdotum, ubi scribae et seniores convenerant. Petrus autem sequebatur eum a longe”, Matteo 26:58); – con valore disgiuntivo l i , i li : p okori mi s Á . i &d‘¢ooume¢) mi b\ \ di. ili æ|l: oum|re{i (“peivqei kai; givnh/ oJ;movfrwn mou h} kakw`" ajpoqnhvskei"”, “sottomettiti e sii a me conforme, o finirai male”, Suprasliense 65,11-12); – con valore conclusivo o esplicativo i bo , b o : i s)¢ide d)jd| i prid\ r :k¨ i v)æv:q{( v:tri i ¢apad\ ¢ a hrami¢\ t \.. i ¢e pade s(. o s¢ova¢a bo b: ¢a kame¢e (“kai; katevbh hJ broch; kai; h\lqon oiJ potamoi; kai; e[pneusan oiJ a[nemoi kai; prosevpesan th`/ oijkiva/ ejkeivnh/, kai; oujk e[pesen: teqemelivwto ga;r ejpi; th;n pevtran”, “et descendit pluvia, et venerunt flumina, et flaverunt venti et irruerunt in domum illam, et non cecidit: fundata enim erat super petram”, Matteo 7:25); o t|~e ot)pousti im). ¢e v:d(t) bo s( ~|to tvor(t) (“pavter, a[fe" aujtoi`": ouj ga;r oi[dasin tiv poiou`sin”, “Pater dimitte illis; non enim sciunt quid faciunt”, Luca 23:34). Particolare attenzione si deve prestare a una caratteristica sintattica del paleoslavo, mutuata dal greco, cioè all’uso frequentissimo delle congiunzioni i e j e con un valore che solo alla lontana si può considerare copulativo e avversativo: i , come il kai; greco, ha la funzione di sottolineare l’andamento della narrazione: i pri{|d) rab) pov:da gospodi¢ou svo&mou … i re~e rab). gospodi. b¨st) &je povel:. i &}e m:sto &st). i re~e gospod| r abou … (“kai; paragenovmeno" oJ dou`lo" ajphvggeilen tw`/ kurivw/ aujtou` … kai; ei\pen oJ dou`lo": kuvrie, gevgonen o{ ejpevtaxa", kai; e[ti tovpo" ejstivn. kai; ei\pen oJ kuvrio" pro;" to;n dou`lon … ”, “Et reversus servus nuntiavit haec domino suo … Et ait servus: Domine, factum est ut imperasti, et adhuc locus est. Et ait dominus servo …”, Luca 14:21-23); j e , come il de; greco, costituisce un raccordo tematico tra la nuova proposizione e quanto già detto: p etr) je v)¢: s:d:a{e ¢a dvor:. i prist\pp i k) ¢&mou &di¢a 232 Il paleoslavo rab¨¢i glagol+}i. i t¨ b: s) isouss om| galileisk¨im|. o¢) je ot)vr|je s( pr:d) v|s:mi glagol`. ¢e v:m| ~|to glagol&{i. i{|d){< j e &mou v) vrata. ouæ|r: i drougaq (“oJ de; Pevtro" ejkavqhto e[xw ejn th`/ aujlh`/: kai; prosh`lqen aujtw`/ miva paidivskh levgousa: kai; su; h\sqa meta; jIhsou` tou` Galilaivou. oJ de; hjrnhvsato e[mprosqen pavntwn levgwn: oujk oi\da tiv levgei". ejxelqovnta de; eij" to;n pulw`na ei\den aujto;n a[llh”, “Petrus vero sedebat foris in atrio, et accessit ad eum una ancilla dicens: Et tu cum Iesu Galilaeo eras. At ille negavit coram omnibus dicens: Nescio quid dicis. Exeunte autem illo ianuam, vidit eum alia”, Matteo 26:69-75). Quando si ha subordinazione (ipotassi) le proposizioni si distinguono in principali (o reggenti) e subordinate. Nei riguardi della proposizione reggente le subordinate possono svolgere funzione di soggetto, di predicato, di attributo o di apposizione, di complemento (oggetto, di specificazione, di tempo, di luogo, di causa, di scopo eccetera). A seconda della funzione svolta le subordinate si caratterizzano come completive (che hanno la funzione di soggetto o di oggetto rispetto al verbo della reggente), relative (che hanno valore di apposizione rispetto a un membro della reggente) e circostanziali (che hanno la funzione dei complementi indiretti e degli avverbi). Sono proposizioni completive le dichiarative soggettive e oggettive e le interrogative indirette. Sono proposizioni circostanziali le causali, le temporali, le finali, le consecutive, le concessive, le condizionali, le comparative eccetera. 7. Proposizioni completive Proposizioni completive (soggettive, oggettive e interrogative indirette) sono quelle frasi che fungono da soggetto o da oggetto della principale: in paleoslavo possono essere introdotte da molteplici congiunzioni e pronomi, tra cui le più comuni sono le congiunzioni q ko , a }e , & je , d a (con sfumatura finale e dopo i verbi che indicano volere e disvolere), e da (dopo i verba timendi, per es. b l<sti e b oqti s( ) e i pronomi ~ |to , k )to : d ov|l&t) ou~e¢ikou da b\ \ det) qkoje ou~itell| &go (“ajrketo;n tw`/ maqhth`/ i{na Sintassi 233 gevnhtai wJ" oJ didavskalo" aujtou`”, “sufficit discipulo, ut sit sicut magister eius”, Matteo 10:25); o t) v:ka ¢:st) sl¨{a¢o qko k)to otvr|æe o~i sl:pou rojde¢ou (“ejk tou` aijw`no" oujk hJkouvsqh o{ti hjnevw/xevn ti" ojfqalmou`" tuflou` gegennhmevnou”, “a saeculo non est auditum quia quis aperuit oculos caeci nati”, Giovanni 9:32); l i m|¢it) ti s( qko ¢e mog\ ¢ ¨¢: oumoliti ot|ca mo&go (“h] dokei`" o{ti ouj duvnamai parakalevsai to;n patevra mou”, “an putas, quia non possum rogare Patrem meum”, Matteo 26:53); v :ste qko po d)vo< d|¢ou pasha b¨va&t) (“oi[date o{ti meta; duvo hJmevra" to; pavsca givnetai”, “scitis quia post biduum Pascha fiet”, Matteo 26:2); æ akli¢a+ t( bogom| jiv¨m| da re~e{i ¢am). a}e t¨ &si hristos) s¨¢)) bojii (“ejxorkivzw se kata; tou` Qeou` tou` zw`nto", i{na hJmi`n ei[ph/", eij su; ei\ oJ Cristo;" oJ uiJo;" tou` Qeou`”, “adiuro te per Deum vivum, ut dicas nobis, si tu es Christus Filius Dei”, Matteo 26:63); i ~oujdaah\ \ s( &je m\ \ jdaa{e v) cr|k)ve (“kai; ejqauvmazon ejn tw`/ cronivzein ejn tw`/ naw`/ aujtovn”, “et mirabantur, quod tardaret ipse in templo”, Luca 1:21); ¢ e hot:a{e da bi k)to ~oul) (“oujdevna h[qelen gnw`nai”, “neminem voluit scire”, Marco 7:24); b l<di oubo. eda sv:t) ije &st) v) teb:. t)ma & st) (“skovpei ou\n mh; to; fw`" to; ejn soi; skovto" ejstivn”, “vide ergo ne lumen, quod in te est, tenebrae sint”, Luca 11:35); ¢ e oum:+ ¢i s)v:m). ~|to t¨ glagol&{i (“ou[te oi\da ou[te ejpivstamai su; tiv levgei"”, “neque scio neque novi quid dicas”, Marco 14:68). Un tipo particolare di proposizione dichiarativa è costituito dal discorso indiretto. Diversamente da ciò che accade in italiano, in paleoslavo per l’assenza della consecutio temporum il discorso indiretto non costituisce una parafrasi/riscrittura del discorso diretto governata da precise regole di commutazione. La differenza tra i due costrutti è marcata solo dalla presenza della congiunzione q ko : p etr) je v)¢: s:d:a{e ¢a dvor:. i prist\pp i k) ¢&mou &di¢a rab¨¢i glagol+}i. i t¨ b: s) isousom|| galileisk¨im|. o¢) je ot)vr|je s( pr:d) v|s:mi glagol`. ¢e v:m| ~|to glagol&{i. i {|d){< je &mou v) vrata. ouæ|r: i drougaq. i glagola im) tou i s| b: ~lov:k) s) isousom| ¢aæar:¢i¢om|. i pak¨ ot)vr|je s( s) 234 Il paleoslavo kl(tvo+. qko ¢e æ¢a+ ~lov:ka. ¢e po m)¢o™ ™ : prist\p p l| {e sto`}ei r:{( petrovi. v) isti¢\ \ i t¨ ot) ¢i h) &si. ibo i bes:da tvoq av: t( t vorit). t)gda ¢a~(t) rotiti s( i kl(ti s( qko ¢e æ¢a+ (“oJ de; Pevtro" ejkavqhto e[xw ejn th`/ aujlh`/: kai; prosh`lqen aujtw`/ miva paidivskh levgousa: kai; su; h\sqa meta; jIhsou` tou` Galilaivou. oJ de; hjrnhvsato e[mprosqen pavntwn levgwn: oujk oi\da tiv levgei". ejxelqovnta de; eij" to;n pulw`na ei\den aujto;n a[llh kai; levgei toi`" ejkei`: ou|to" h\n meta; jIhsou` tou` Nazwraivou. kai; pavlin hjrnhvsato meta; o{rkou o{ti oujk oi\da to;n a[nqrwpon. meta; mikro;n de; proselqovnte" oiJ eJstw`te" ei\pon tw`/ Pevtrw/: ajlhqw`" kai; su; ejx aujtw`n ei\, kai; ga;r hJ laliav sou dh`lovn se poiei`. tovte h[rxato kataqemativzein kai; ojmnuvein o{ti oujk oi\da to;n a[nqrwpon. kai; eujqevw" ajlevktwr ejfwvnhsen. kai; ejmnhvsqh oJ Pevtro"”; “Petrus vero sedebat foris in atrio, et accessit ad eum una ancilla dicens: Et tu cum Iesu Galilaeo eras. At ille negavit coram omnibus dicens: Nescio quid dicis. Exeunte autem illo ianuam, vidit eum alia ancilla et ait his qui erant ibi: Et hic erat cum Iesu Nazareno. Et iterum negavit cum iuramento: Quia non novi hominem. Et post pusillum accesserunt qui stabant et dixerunt Petro: Vere et tu ex illis es; nam et loquela tua manifestum te facit. Tunc coepit detestari et iurare, quia non novisset hominem. Et continuo gallus cantavit. Et recordatus est Petrus verbi Iesu quod dixerat: Prius quam gallus cantet, ter me negabis. Et egressus foras flevit amare”, Matteo 26:69-75). Di fatto, la congiunzione q ko funge da equivalente dei due punti, come è del resto possibile anche in greco (il cosiddetto “ o{ti recitativo”). Come in greco, il discorso indiretto può avviarsi come dichiarativa implicita, non introdotta dalla congiunzione q ko , e trapassare in discorso diretto: i t) æapr:ti &mou ¢ikomouje ¢e glagolati. ¢o {|d) pokaji s( i&reovi. i pri¢esi o o~i}e¢ii svo&m| (“kai; aujto;" parhvggeilen aujtw`/ mhdeni; eijpei`n, ajlla; ajpelqw;n dei`xon seauto;n tw`/ iJerei`, kai; prosevnegke peri; tou` kaqarismou` sou”, “et ipse praecepit illi ut nemini diceret; sed vade, ostende te sacerdoti et offer pro emundatione tua”, Luca 5:14). Sintassi 235 8. Proposizioni completive implicite Tutte le proposizioni completive possono essere implicite: si costruiscono allora con l’accusativo con l’infinito, con il dativo con l’infinito, con un participio congiunto in funzione di apposizione (completiva), con l’infinito semplice. a) infinito semplice: si usa quando il soggetto della reggente e quello della subordinata coincidono: i hot: mi¢\tt i ` (“kai; h[qelen parelqei`n aujtouv"”, “et volebat praeterire eos”, Marco 6:48); ¢ | ¢e hot:a{e ¢oujde+ s)tvoriti dobra (“ajll oujk hjbouvleto ajnavgkh/ poih`sai kalovn”, “ma non voleva fare il bene a forza”, Suprasliense 408,24). b) accusativo con l’infinito: come si è detto a proposito del complemento oggetto, il confine tra doppio accusativo e accusativo con l’infinito è rappresentato solo dalla presenza del verbo, grazie alla quale la costruzione del doppio accusativo si trasforma in una proposizione completiva (qui una interrogativa indiretta) del tipo k ogo m( glagol+t) ~lov:ci b¨ti÷ (“tivna me levgousin oiJ a[nqrwpoi ei\nai…”, “quem me dicunt esse homines?” Marco 8:27). La corrispondente esplicita suonerebbe: “gli uomini credono che io sia chi?”. I verbi che reggono una subordinata del tipo accusativo con l’infinito sono gli stessi che reggono il doppio accusativo: i ¢e ostavi iti po seb: ¢i & di¢ogo (“kai; oujk ajfh`ken oujdevna met aujtou` sunakolouqh`sai”, “et non admisit quemquam se sequi”, Marco 5:37); i glouh¨` tvorit) sl¨{ati. i ¢:m¨` glagolati (“kai; tou;" kwfou;" poiei` ajkouvein kai; tou;" ajlavlou" lalei`n”, “et surdos fecit audire et mutos loqui”, Marco 7:37); " crk–– v | tvo+ stt–\ + b¨ti s)podobi i (“kai; nao;n a[giovn sou genevsqai kataxivwson”, “rendilo degno di essere tuo sacro tempio”, Eucologio sinaitico 81b,3); o s\d d i{( i b¨ti povi¢|¢a s)mr|ti (“katevkrinan aujto;n e[nocon ei\nai qanatou`”, “condemnaverunt eum esse reum mortis”, Marco 14:64). c) dativo con l’infinito: questo costrutto è caratterizzato dal fatto che il soggetto della subordinata implicita è posto al caso dativo: q ko dobr:& &st) &di¢omou ~lov:kk ou oumr:ti æa l<di (“o{ti sumfevrei e{na a[nqrwpon 236 Il paleoslavo ajpoqanei`n uJpe;r tou` laou`”, “quia expedit unum hominem mori pro populo”, Giovanni 18:14). È chiaro che il vantaggio del mettere a morte un unico uomo non coinvolge l’uomo in questione, che è quindi soggetto della subordinata implicita, non certo complemento di termine del verbo “expedit”, che significa “conviene, giova, è utile”. In altri contesti l’analisi del caso dativo è meno univoca: p ovel:h) herovimom) rab)sk¨ str:{ti t Á (“e[taxa ta; Ceroubi;m douloprepw`" fulavttein se”, “ho ordinato ai cherubini di guardarti come un servo”, Suprasliense 470,4-5); q k o podoba&t) s¨¢ou ~lov:~|skou&mou m)¢ogo postradati (“o{ti dei` to;n uiJo;n tou` ajnqrwvpou polla; paqei`n”, “quoniam oportet Filium hominis pati multa”, Marco 8:31); q koje ¢e b:a{e v|m:stiti s Á ¢arodou (“w{ste mh; cwrei`sqai aujtou;" pavnta"”, “poiché non era possibile alla folla starci”, Suprasliense 109,2-3). Eventuali predicati concordano con il soggetto al caso dativo (doppio dativo): w ot)da¢|i gr:hov). " o iæb¨t|i pr:gr:{e¢ei. " b¨ti emou v ¨{){< mir)¢¨h) pe~alei. g <o spod >< pomo <l im)s( > (“uJpe;r ajfevsew" aJmartiw`n kai; sugcwrhvsew" tw`n plhmmelhmavtwn aujtou` kai; tou` genevsqai aujto;n uJyhlovteron tw`n tou` kovsmou fronhmavtwn - tou` Kurivou <dehqw`men>”, “per la remissione dei peccati e per la cancellazione delle colpe e per essere lui superiore agli affanni di questo mondo, Signore, preghiamo”, Eucologio sinaitico 98b,8). Il dativo con l’infinito corrisponde alla costruzione greca dell’accusativo con l’infinito: cfr. infatti s )tvor\ h erovim) pokla¢qti ti s Á (“poiw` ta; Ceroubi;m proskunh`saiv se”, “farò che i cherubini ti si inchinino”, Suprasliense 470,5-6). Il costrutto non va confuso con periodi nei quali il dativo, sia retto dal verbo della principale sia retto dall’infinito, non costituisca il soggetto della subordinata esplicita: per esempio nella frase ¢ a~(t) im) glagolati. &je hot:a{e b¨ti &mou (“h[rxato aujtoi`" levgein ta; mevllonta aujtw`/ sumbaivnein”, “coepit illis dicere quae essent ei eventura”, Marco 10:32) non possiamo parlare di dativo con l’infinito perché soggetto della subordinata non è Gesù, ma le cose che stanno per succedergli. Sintassi 237 d) participio congiunto: si tratta di un costrutto molto comune in paleoslavo così come in greco, destinato a divenire marca stilistica di registri aulici e classicheggianti. A distinguerlo dall’accusativo con l’infinito è solo il fatto che il predicato sia un participio: i m:i m( ot)re~e¢a (“e[ce me parh/thmevnon”, “habe me excusatum”, Luca 14:18) i m:i m( ot)rek){a s( (“e[ce me parh/thmevnon”, “habe me excusatum”, Luca 14:19); o t)sel: ouæ|rite s¨¢a ~lov:~|ska&go. s:d(}a o des¢\ \ + sil¨. i gr(d\ \ }a ¢a o blac:h) ¢ebes|sk¨ih) (“ajp a[rti o[yesqe to;n uiJo;n tou` ajnqrwvpou kaqhvmenon ejk dexiw`n th`" dunavmew" kai; ejrcovmenon ejpi; tw`n nefelw`n tou` oujranou`”, “amodo videbitis Filium hominis sedentem a dextris virtutis et venientem in nubibus caeli”, Matteo 26:64); s mok)v|¢ic\ i m:a{e eter) v) vi¢ograd: svo&m| v)sajde¢\ \ (“sukh`n ei\cevn ti" pefuteumevnhn ejn tw`/ ajmpelw`ni aujtou`”, “arborem fici habebat quidam plantatam in vinea sua”, Luca 13:6); k ogo glagol+t) ~lov:ci s\} } a s¨¢a ~lov:~|ska&go÷ (“tivna levgousin oiJ a[nqrwpoi ei\nai to;n uiJo;n tou` ajnqrwvpou…”, “quem dicunt homines esse Filium hominis?” Matteo 16:13); k )gda je t( vid:hom) bol(}a (“povte dev se ei[domen ajsqenh`”, “quando te vidimus infirmum”, Matteo 25:39); o ¢i je vid:v){e i po mor< hod(}| (“oiJ de; ijdovnte" aujto;n ejpi; th`" qalavssh" peripatou`nta”, “at illi ut viderunt eum ambulantem supra mare”, Marco 6:49); i ic:li `. qko ¢arodou diviti s(. vid(}e ¢:m¨` glagol+}( i b:d|¢¨` s)drav¨ i hrom¨` hod(}( i sl:p¨` vid(}( (“kai; ejqeravpeusen aujtouv": w{ste tou;" o[clou" qaumavsai blevponta" kwfou;" lalou`nta", kullou;" uJgiei`" kai; kwlou;" peripatou`nta" kai; tuflou;" blevponta"”, “et curavit eos, ita ut turbae mirarentur, videntes mutos loquentes, claudos ambulantes, caecos videntes”, Matteo 15:31). 9. Proposizioni relative Le proposizioni relative rappresentano la più antica e più semplice forma di subordinazione dell’indoeuropeo. Introdotte da pronomi relativi e relativi indefiniti (i je , i je kolij|do , i je a}e , q k) , q k)je , & lik) ) e da avverbi relativi e relativi indefiniti (& gda , & gdaje , q moje , q moje kolij|do , 238 Il paleoslavo ideje , i deje kolij|do ) le relative proprie, o determinative, specificano un elemento della reggente, di cui costituiscono una sorta di apposizione: ~ |to je vidi{i s\ \ ~|c| ije &st) v) o~ese bratra tvo&go , a br|v|¢a &je &st) v) o~ese tvo&m| ¢e ~ou&{i÷ (“tiv de; blevpei" to; kavrfo" to; ejn tw`/ ojfqalmw`/ tou` ajdelfou` sou, th;n de; doko;n th;n ejn tw`/ ijdivw/ ojfqalmw`/ ouj katanoei`"…”, “quid autem vides festucam in oculo fratris tui, trabem autem, quae in oculo tuo est, non consideras?”, Luca 6:41); o t|~e ¢a{| ije &si ¢a ¢ebess |h) (“pavter hJmw`n oJ ejn toi`" oujranoi`"”, “Pater noster, qui es in caelis”, Matteo 6:9); & goje a}e lob)j\ t ) &st) (“o}n a]n filhvsw, aujtov" ejstin”, “quemcumque osculatus fuero, ipse est”, Matteo 26:48); i &je a}e s)v(je{i ¢a æemlli . b\ \ det) s)v(æa¢o ¢ a ¢ebes|h) (“kai; o} eja;n dhvsh/" ejpi; th`" gh`" e[stai dedemevnon ejn toi`" oujranoi`"”, “et quodcumque ligaveris super terram, erit ligatum et in caelis”, Matteo 16:19); & mouje ¢:sm| dostoi¢) poklo¢¢| s( raædr:{iti reme¢e sapogou &go (“ou| oujk eijmi; iJkano;" kuvya" lu`sai to;n iJmavnta tw`n uJpodhmavtwn aujtou`”, “cuius non sum dignus procumbens solvere corigiam calceamentorum eius”, Marco 1:7); b \d d et) bo t)gda sk r)b| veliq. qkaje ¢e b¨la. ot) ¢a~ala v|sego mira. do sel: (“e[stai ga;r tovte qli`yi" megavlh, oi{a ouj gevgonen ajp ajrch`" kovsmou e{w" tou` nu`n”, “erit enim tunc tribulatio magna, qualis non fuit ab initio mundi usque modo”, Matteo 24:21); i raæg)¢\vv ) k)¢ig¨ obr:te m:sto. ideje b: ¢apisa¢o (“kai; ajnoivxa" to; biblivon eu|ren to;n tovpon ou| h\n gegrammevnon”, “Et ut revolvit librum invenit locum ubi scriptum erat”, Luca 4:17); & liko ho}ete da tvor(t) vam) ~lov:ci. tako i v¨ tvorite im) (“pavnta ou\n o{sa eja;n qevlhte i{na poiw`sin uJmi`n oiJ a[nqrwpoi, ou{tw" kai; uJmei`" poiei`te aujtoi`"”, “omnia ergo quaecumque vultis ut faciant vobis homines, et vos facite illis”, Matteo 7:12); s i v) vita¢ii b¨{( ob) o¢) pol) ior)da¢a. ideje b: ioa¢¢) kr|st( (“tau`ta ejn Bhqaniva/ ejgevneto pevran tou` jIordavnou, o{pou h\n oJ jIwavnnh" baptivzwn”, “haec in Bethania facta sunt trans Iordanem, ubi erat Iohannes baptizans”, Giovanni 1:28); q moje aæ) id\ ¢ e moje{i ¢¨¢: po m|¢: iti (“o{pou uJpavgw ouj duvnasaiv moi nu`n ajkolouqh`sai”, “quo ego vado, non potes me modo sequi”, Giovanni 13:36); o u~itel< id\ p o teb: qmoje Sintassi 239 kolij|| do ide{i (“didavskale, ajkolouqhvsw soi o{pou eja;n ajpevrch/”, “magister, sequar te, quocumque ieris”, Matteo 8:19). Le relative possono avere valore finale, causale, temporale, ipotetico, concessivo eccetera: si parla in questo caso di relative improprie, o circostanziali: ¢ o &je a}e dast) s( vam) v) t) ~as). to glagolite (“ajll o} eja;n doqh`/ [ejavn + congiuntivo: eventualità] uJmi`n ejn ejkeivnh/ th`/ w{ra/, tou`to lalei`te”, “sed quod datum vobis fuerit in illa hora, id loquimini”, Marco 13:11); v ) to je vr:m Á &g ’d a st– ¨ ` m\~~ aah\.. b:a{e stoude¢| velika (“kata; de; to;n kairo;n ejkei`non, o{te oiJ a{gioi ejmartuvrhsan, ei\cen kruvo" mevga”, “in quel tempo, quando i santi subivano il martirio, faceva molto freddo”, Suprasliense 76,10-12); p rid\tt ) je d|¢e. & gdaje ot)imet) s( ot) ¢ih) je¢ih) (“ejleuvsontai de; hJmevrai o{tan ajparqh`/ ajp aujtw`n oJ numfivo"”, “venient autem dies, cum auferetur ab eis sponsus”, Matteo 9:15). Come in greco, il pronome relativo può trovarsi in posizione prolettica, cioè anticipare la proposizione reggente della relativa, e il suo antecedente dimostrativo può essere taciuto: ¢ a ¢&je &si pri{|l) tvori (“ejf o} pavrei eJtai`re”, “ad quod venisti, fac”, Matteo 26:50). Ciò avviene in particolare quando si abbia la cosiddetta “attrazione diretta del pronome relativo”, quando cioè il pronome relativo, che dovrebbe andare al caso nominativo o accusativo, viene “attratto” nel caso obliquo del nome cui si riferisce e viene retto dalla stessa preposizione: i ¢ik)to je ¢e v:st) k)to &st) … o t|c| t)k)mo s¨¢) i &mouje a}e ho}et) s¨¢) qviti (“kai; oujdei;" ginwvskei tiv" ejstin … oJ path;r eij mh; oJ uiJo;" kai; w|/ eja;n bouvlhtai oJ uiJo;" ajpokaluvyai”, “et nemo scit quis sit … Pater nisi Filius et cui voluerit Filius revelare”, Luca 10:22); p ridet) gospodi¢) raba togo v) d|¢| v) ¢| je ¢e ~a&t). i v) ~as) v) ¢| je ¢e v:st) (“h{xei oJ kuvrio" tou` douvlou ejkeivnou ejn hJmevra/ h/| ouj prosdoka`/ kai; ejn w{ra/ h|/ ouj ginwvskei”, “veniet dominus servi illius in die qua non sperat, et hora qua ignorat”, Matteo 24:50). Diversamente dal greco, da cui questo costrutto è mutuato, il paleoslavo e successivamente lo slavo ecclesiastico utilizzano di rado e sempre meno questo tipo di concordanza, che verrà reintrodotta come norma all’epoca delle 240 Il paleoslavo riforme nikoniane: i glagola ima. id:ta v) v|s| qje &st) pr:mo vama. i abi& v)hod(}a v) ¢+ obr(}eta jr:b|c| priv(æa¢). ¢a ¢&m|je ¢:st) ¢e ou ¢ik)toje ot) ~lov:k)v) s:l) (“kai; levgei aujtoi`": uJpavgete eij" th;n kwvmhn th;n katevnanti uJmw`n, kai; eujqu;" eijsporeuovmenoi eij" aujth;n euJrhvsete pw`lon dedemevnon, ejf o}n oujdei;" ou[pw ajnqrwvpwn ejkavqisen”, “et ait illis: ite in castellum, quod contra vos est, et statim introeuntes illuc invenietis pullum ligatum, super quem nemo adhuc hominum sedit”, Marco 11:2). 10. Proposizioni circostanziali Le proposizioni circostanziali sono nella frase complessa ciò che i complementi sono nella frase semplice: servono cioè a specificare le circostanze nelle quali si svolge l’azione della reggente cui si riferiscono. Le circostanziali sono definite, in base alla funzione logica che svolgono, causali, comparative, concessive, consecutive, finali, ipotetiche, temporali eccetera. Queste definizioni sono tuttavia di scarsa rilevanza, tanto più che il paleoslavo non possiede strumenti sintattici atti a differenziare le subordinate che siano paragonabili a quelli del latino e del greco. Ciò che distingue i vari tipi di subordinata circostanziale è, a livello formale, la sola congiunzione o avverbio da cui è introdotta; ma molte congiunzioni introducono diverse subordinate circostanziali: & je , che abbiamo visto introdurre le completive, introduce anche proposizioni causali, temporali, ipotetiche; q ko introduce tutto. In quanto al modo verbale, che tanta importanza ha in greco e in latino, il paleoslavo non possiede la ricchezza di quelle: le subordinate utilizzano nella grande maggioranza dei casi il modo indicativo. Quando la proposizione abbia valore ipotetico o ottativo il paleoslavo ricorre a una costruzione perifrastica, detta ora uslovnoe naklonenie (letteralmente “modo condizionale”), ora soslagatel’noe naklonenie (letteralmente “modo congiuntivo”), formata dal participio perfetto e dall’ausiliare b ¨ti coniugato in un modo particolare, che potrebbe risalire all’antico ottativo i.e. (v. p. 194). Sintassi 241 11. Proposizioni ipotetiche e periodo ipotetico Le proposizioni ipotetiche sono introdotte dalle congiunzioni a }e , & je , & l|ma , & gda . Di queste, & je , & l|ma e & gda reggono sempre l’indicativo: i &je pl|ti+ pob:jde¢i b¨ste. kr:posti+ d{ {–) ¢\+ + pob:dite (“kai; eij th`/ sarki; hjtthvqhte, th`/ ejnstavsei th`" yuch`" nikhvsate”, “e se siete stati vinti nel corpo, vincerete per forza d’animo”, Suprasliense 108,21-22); & lma gospodi¢) moi gospojde ¢e v:st) ¢i~soje iæ me¢e … k ako mog\ a æ) s)tvoriti ¢epriqæ¢i¢o& se d:lo (“eij oJ Kuvriov" mou, devspoina, ouj ginwvskei di ejmev ti … pw`" poihvsw to; ponhro;n tou`to”, “se il mio Signore, o signora, non sa nulla di me … come posso fare questa cosa malvagia”, Suprasliense 366,3-8); s ego rad" ¢e oubo"m) s` egda s)m\ \ }aet) s` æeml: (“di;a tou`to ouj fobhqhsovmeqa ejn tw`/ taravssesqai th;n gh`n”, “propterea non timebimus, dum turbabitur terra”, Salmo 45(46):3). In quanto ad a }e , la congiunzione di maggior utilizzo nelle ipotetiche, essa regge l’indicativo o il cosiddetto condizionale in proposizioni che conviene considerare quali protasi di un periodo ipotetico. L’assenza di desinenze specifiche per i modi ottativo e congiuntivo fa sì che il periodo ipotetico non abbia la complessa strutturazione del greco e del latino: protasi e apodosi, condizioni e conseguenze si costruiscono per mezzo della stessa costruzione perifrastica. Rispetto ai quattro tipi di periodo ipotetico del greco classico (realtà, eventualità, possibilità, irrealtà), già peraltro ridotti a tre nel Nuovo Testamento a causa della “morte” dell’ottativo, il paleoslavo distingue solo tra realtà (realtà e eventualità) e non realtà (possibilità e irrealtà), utilizzando la costruzione perifrastica per esprimere i modi della non realtà: a) realtà e eventualità: a }e k)to imat) ou{i sl¨{ati da sl¨{it) (“ei[ ti" e[cei [eij + indicativo: realtà] w\ta ajkouvein, ajkouevtw”, “si quis habet aures audiendi, audiat”, Marco 7:16); o t|~e moi a}e ¢e v)æmojet) ~a{a si mimoiti ot) me¢e. a}e ¢e pi+ &`. b\ \ di volq tvoq (“pavter mou, eij ouj duvnatai [eij + indicativo: realtà] tou`to parelqei`n, eja;n mh; aujto; pivw [ejavn + congiuntivo: eventualità], genhqhvtw to; qevlhmav sou”, “Pater mi, si non potest hic calix transire, nisi bibam illum, fiat voluntas tua”, Matteo \ piti i "! æ b:g¢\ \ ti. prib:jit) k) 26:42); d a a{te k ’t o ho{tet) prist\ 242 Il paleoslavo ba¢¢i (“o{pw" ejavn ti" qevlh/ [ejavn + congiuntivo: eventualità] parabh`nai, prosfuvgh/ tw`/ balaneivw/”, “affinché, se qualcuno voleva muoversi e scappare, corresse nella piscina”, Suprasliense 76,18-19); i a}e vama k)to r e~et) ~|to se d:&ta. r|c:ta qko gospod| tr:bou&t). i abi& pak¨ pos)l&t) i s:mo (“kai; ejavn ti" ujmi`n ei[ph/ [ejavn + congiuntivo: eventualità]: tiv poiei`te tou`to… ei[pate: oJ Kuvrio" aujtou` creivan e[cei, kai; eujqu;" aujto;n ajpostevllei pavlin w|de”, “et si quis vobis dixerit: quid facitis? dicite, quia Domino necessarius est, et continuo illum dimittet huc”, Marco 11:3); b) possibilità e irrealtà: a }e bo biste v:r\ i mali moseovi. v:r\ b iste `li i m|¢: (“eij ga;r ejpisteuvete Mwu >sei` [eij + imperfetto indicativo: irrealtà nel presente], ejpisteuvete a]n ejmoiv”, “si enim crederetis Moysi, crederetis forsitan et mihi”, Giovanni 5:46); a }e ¢e bi b¨l). s| æ)lod:i. ¢e bim) pr:dali &go teb: (“eij mh; h\n [eij + imperfetto indicativo: irrealtà nel presente] ou|to" kako;n poiw`n, oujk a[n soi paredwvkamen aujtovn”, “si non esset hic malefactor, non tibi tradidissemus eum”, Giovanni 18:30); d obro bi &mou b¨lo a}e ¢e bi rodil) s( ~lov:k) t) (“kalo;n h\n aujtw`/, eij oujk ejgennhvqh [eij + aoristo: irrealtà nel passato] oJ a[nqrwpo" ejkei`no"”, “bonum erat ei, si natus non fuisset homo ille”, Marco 14:21). Delle restanti proposizioni circostanziali hanno una fisionomia meglio definita le proposizioni causali, concessive, consecutive, finali e temporali. La congiunzione più utilizzata è q ko , q koje , al punto che potrebbe essere utile parlare di un gruppo di subordinate introdotte da un “che subordinante generico”, o “polivalente”, sul cui sfondo far risaltare le proposizioni dalla semantica più definita. 12. Proposizioni causali Le proposizioni causali sono introdotte dalle congiunzioni q ko , & je , & l|ma , æ a¢& , æ a¢&je , p o¢& , p o¢&je + indicativo: s ego radi v¨ ¢e poslou{a&te. qko ¢:ste ot) boga (“dia; tou`to uJmei`" oujk ajkouvete, o{ti ejk tou` Qeou` oujk ejstev”, “propterea vos non auditis , quia ex Deo non estis”, Sintassi 243 Giovanni 8:47); r adouite s( i veselite s(. qko m|æda va{a m)¢oga &st) ¢a ¢ebes|h) (“caivrete kai; ajgallia`sqe, o{ti oJ misqo;" uJmw`n polu;" ejn toi`" oujranoi`"”, “gaudete et exsultate, quoniam merces vestra copiosa est in caelis”, Matteo 5:12); r adou+ s Á t akojde. &je vijd\ o trok¨ prostom) (æ¨kom| i d:lesem|. p:s¢| c:sarou tvor Á {t Á (“caivrw me;n wJsauvtw" oi|" oJrw` pai`da" ejleuqevra/ kai; glwvssh/ kai; pravxei th;n ajnavrrhsin tou` basilevw" poioumevnou"”, “mi rallegro inoltre perché vedo fanciulli che con linguaggio e azioni libere cantano le lodi del re”, Suprasliense 332,30 - 333,3); ¢ ) &l ’m a oubo t){ti{i s Á ¢ a s)mr|t|. jiv) da iægori{i (“ejpei; ou\n speuvdei" ejpi; to;n qavnaton zw`n kahvsh/”, “poiché ti affretti alla morte, che tu arda vivo”, Suprasliense 140, 20-21); & lma oubo domou ¢e im:a{e vlad¨ka. sego d:l ‘m a oubo glagol\ t) … (“ejpei; ou\n oijkivan oujk ei\cen oJ Despovth", dia; tou`to aujtw`/ levgousi …”, “poiché dunque a casa non c’era il padrone, per questo dicono …”, d e{i ml|~(. i ¢e mog¨i proglagolati. do Suprasliense 416,1-3); i se b\d ¢&goje d|¢e b\ \ det) se. æa¢& ¢e v:rova. sloves|m) moim) (“kai; ijdou; e[sh/ siwpw`n kai; mh; dunavmeno" lalh`sai, a[cri h|" hJmevra" gevnhtai tau`ta, ajnq w|n oujk ejpivsteusa" toi`" lovgoi" mou”, “et ecce eris tacens et non poteris loqui usque in diem, quo haec fiant, pro eo quod non credidisti verbis meis”, Luca 1:20); ¢ e dostoi¢o &st) v)lojiti &go v) kar)va¢\.. po¢&je c:¢a kr)ve &st) (“oujk e[xestin balei`n aujta; eij" to;n korbana`n, ejpei; timh; ai{matov" ejstin”, “non licet eos mittere in corbonam, quia pretium sanguinis est”, Matteo 27:6). 13. Proposizioni concessive Le proposizioni concessive sono introdotte dalle congiunzioni a }e , a }e i , q ko + indicativo o “condizionale”: v :rou`i v) m(. a}e oum|ret) ojivet) (“oJ pisteuvwn eij" ejme; ka]n ajpoqavnh/ zhvsetai”, “qui credit in me, etiam si mortuus fuerit, vivet”, Giovanni 11:25); a }e i v|si s)blaæ¢(t) s( o teb:. aæ) ¢ikolije ¢e s)blaj¢+ s( (“eij pavnte" skandalisqhvsontai ejn soiv, ejgw; oujdevpote skandalisqhvsomai”, “et si omnes scandalizati fuerint in te, ego nunquam scandalizabor”, Matteo 26:33); a a{te i &di¢) bi b¨l) 244 ~oudim¨i. Il paleoslavo dov|l:a{e ¢a{ei sil: odol:ti (“eij kai; ei\" h\n oJ qaumazovmeno", thvn ge tw`n hJmetevrwn lovgwn duvnamin ejxhvrkei katapalai`sai”, “se anche fosse stato uno solo quello degno di meraviglia, basterebbe a superare la forza delle nostre parole”, Suprasliense 82,28-29). 14. Proposizioni consecutive Le proposizioni consecutive sono introdotte da q ko + indicativo: v l|¢¨ je v)livaah\ \ s( v) ladi+. qko ouje pogr(æ¢\ \ ti hot:a{e (“ta; kuvmata ejpevballen eij" to; ploi`on, w{ste h[dh gemivzesqai to; ploi`on”, “fluctus mittebat in navim, ita ut impleretur navis”, Marco 4:37); s )r:tete i d)va b :s|¢a … l <ta ™:lo. qk o ¢e mojaa{e ¢ik)toje. mi¢\tt i p\tt |m| t:m| (“uJphvnthsan aujtw`/ duvo daimonizovmenoi … calepoi; livan, w{ste mh; ijscuvein tina; parelqei`n dia; th`" oJdou` ejkeivnh"”, “occurrerunt ei duo habentes daemonia … saevi nimis, ita ut nemo posset transire per viam illam”, Matteo 8:28); k )to s| &st). qko v:tri. i mor& poslou{a+t) &go÷ (“potapov" ejstin ou|to", o{ti kai; oiJ a[nemoi kai; hJ qavlassa aujtw`/ uJpakouvousin…”, “qualis est hic, quia venti et mare oboediunt ei?”, Matteo 8:27). 15. Proposizioni finali Le proposizioni finali sono introdotte dalle congiunzioni d a , q ko da , e da , e da kako + indicativo o “condizionale”: m olite s( oubo gospodi¢ou j(tv: da iævedet) d:latel` ¢a j(tv\ \ svo+ (“dehvqvhte ou\n tou` kurivou tou` qerismou`, o{pw" ejkbavlh/ ejrgavta" eij" to;n qerismo;n aujtou`”, “rogate ergo Dominum messis, ut mittat operarios in messem suam”, Matteo 9:38); b )dite i molite s( da ¢e v)¢idete v) ¢apast| (“grhgorei`te kai; proseuvcesqe, i{na mh; eijsevlqhte eij" peirasmo;n”, “vigilate et orate, ut non intretis in tentationem”, Matteo 26:41); s )v:t) s)tvori{( … q ko da obl|st(t) i slovom| (“sumbouvlion e[labon o{pw" aujto;n pagideuvswsin ejn lovgw/”, “consilium inierunt ut caperent eum in sermone”, Matteo 22:15); m olqa{e i b:s|¢ovav¨i s(. da bi s) ¢i m| b¨l) (“parekavlei aujto;n oJ daimonisqei;" i{na met aujtou` h/\”, “a daemonio vexatus fuerat, ut esset cum Sintassi 245 illo”, Marco 5:18); æ akli¢a+ t( bogom| jiv¨im| da re~e{i ¢am). a}e t¨ &si hristos) s¨¢) bojii (“ejxorkivzw se kata; tou` Qeou` tou` zw`nto", i{na hJmi`n ei[ph/", eij su; ei\ oJ Cristo;" oJ uiJo;" tou` Qeou`”, “adiuro te per Deum vivum, ut dicas nobis, si tu es Christus Filius Dei”, Matteo 26:63); æ apr:ti im). da ¢e av: &go s)tvor(t) (“kai; ejpetivmhsen aujtoi`", i{na mh; fanero;n aujto;n poihvswsin”, “et praecepit eis ne manifestum eum facerent”, Matteo 12:16); r abi je r:{( &mou. ho}e{i li oubo da {|d){e ispl:vem) `. o¢) je re~e ¢i. eda v)str)ga+}e p l:vel). v)str)g¢ete koup|¢o s) ¢i m| i p|{e¢ic \ (“oiJ de; dou`loi aujtw`/ levgousin: qevlei" ou\n ajpelqovnte" sullevxwmen aujtav… oJ dev fhsin: ou[, mhvpote sullevgonte" ta; zizavnia ejkrizwvshte a{ma aujtoi`" to;n si`ton”, “servi autem dixerunt ei: Vis, imus et colligemus ea? Et ait: Non, ne forte colligentes zizania eradicetis simul cum eis et triticum”, Matteo 13:28-29); o t)v:}a{( je m\d d r¨` glagol+}(. eda kako ¢e dosta¢et) ¢am) i vam). id:te je pa~e k) proda+}iim) i koupite seb: (“ajpekrivqhsan de; aiJ frovnimoi levgousai: mhv pote ouj mh; ajrkevsh/ hJmi`n kai; uJmi`n: poreuvesqe ma`llon pro;" tou;" pwlou`nta" kai; ajgoravsate eJautai`"”, “responderunt prudentes dicentes: Ne forte non sufficiat nobis et vobis, ite potius ad vendentes et emite vobis”, Matteo 25:9). 16. Proposizioni temporali Le proposizioni temporali sono introdotte dalle congiunzioni & gda , & gdaje , q ko , & je , d a , d o¢| de , d o¢| deje , d okol: , o t)¢&lije , p r:jde daje , e simili + indicativo: ¢ e oum¨va+t) bo r\kk ) svoih). &gda hl:b) qd(t) (“ouj ga;r nivptontai ta;" cei`ra", o{tan a[rton ejsqivwsin”, “non enim lavant manus suas cum panem manducant”, Matteo 15:2); i &gdaje id:a{e ¢arodi oug¢:taah\ \ i (“ejn de; tw`/ uJpavgein aujto;n oiJ o[cloi sunevpnigon aujtovn”, “et contigit, dum iret, a turbis comprimebatur”, Luca 8:42); p r:jde daje kokot) ¢e v)æglasit). tri krat¨ ot)vr|je{i s( m e¢e (“pri;n ajlevktora fwnh`sai tri;" ajparnhvsh/ me”, “prius quam gallus cantet, ter me negabis”, Matteo 26:75); s :dite tou. do¢| deje {|d) pomol+ s( tamo (“kaqivsate aujtou` e{w" ou| ajpelqw;n ejkei` 246 Il paleoslavo proseuvxwmai”, “sedete hic donec vadam illuc et orem”, Matteo 26:36); p ridet) godi¢a. da v|sqk)i je oubiet) v¨. m|¢it) s( slouj|b\ p ri¢ositi bogou (“e[rcetai w{ra i{na pa`" oJ ajpokteivna" uJma`" dovxh/ latreivan prosfevrein tw`/ Qew`/”, “venit hora, ut omnis, qui interficit vos, arbitretur obsequium se praestare Deo”, Giovanni 16:2); i b¨st). qko v)æleje s) ¢i ma. pri&m) hl:b) blagoslovi (“kai; ejgevneto ejn tw`/ katakliqh`nai aujto;n met aujtw`n labw;n to;n a[rton eujlovghsen”, “et factum est, dum recumberet cum eis, accepit panem et benedixit”, Luca 24:30); t )gda bo &je i v|æ Á h l:b) i<da. tou v)sko~i v| ¢| diqvol) (“kai; ga;r tovte, meta; to; labei`n th;n prosforavn, ejpephvdhse tw`/ jIouvda/ oJ diavbolo"”, “allora non appena prese il pane Giuda, subito gli si avventò contro il diavolo”, Suprasliense 421,2). 17. Proposizioni circostanziali implicite Le proposizioni circostanziali possono essere implicite: si costruiscono allora con l’infinito, semplice o retto da q ko , d a , oppure con un participio al caso dativo (dativo assoluto). Questo costrutto, equivalente al genitivo assoluto del greco, è costituito da un sostantivo o pronome che funge da soggetto e da un participio che funge da predicato, entrambi declinati al caso dativo. Il soggetto è per lo più differente da quello della reggente, ma, come in greco, sono possibili eccezioni a questa norma. Il dativo assoluto può assumere valore temporale, causale e concessivo. Le finali implicite sono introdotte da q ko + infinito oppure espresse con il supino (dopo i verbi di moto): s )v(j:te ` v)s¢op¨. qko s)je}i ` (“dhvsate aujta; eij" devsma" pro;" to; katakau`sai aujtav”, “alligate ea in fasciculos ad comburendum”, Matteo 13:30); s )v:t) s)tvori{( … q ko oubiti i (“sumbouvlion e[labon … w{ste qanatw`sai aujtovn”, “consilium inierunt … ut eum morti traderent”, Matteo 27:1); p ri{l¨ bo b:{ Á q koje maslo v|liqti (“kai; ga;r h\san paragenovmenai, w{ste e[laion balei`n”, “erano giunte infatti a versare unguento”, Suprasliense 445,2); i id:ah\ v |si k)j|do ¢ap|sat) s( v) svoi grad) (“kai; ejporeuvonto pavnte" Sintassi 247 ajpogravfesqai, e{kasto" eij" th;n eJautou` povlin”, “et ibant omnes ut profiterentur singuli in suam civitatem”, Luca 2:3); s \pp r\gg ) volov|¢¨ih) k oupih) p(t). i gr(d\ i skousit) ih) (“zeuvgh bow`n hjgovrasa pevnte, kai; poreuvomai dokimavsai aujtav”, “iuga boum emi quinque et eo probare illa”, Luca 14:19). Le consecutive implicite sono introdotte da q ko , d a + infinito: i se tr\ss ) velii b¨st) v) moo ri . qko pokr¨vati s( korabl< vl|¢ami (“kai; ijdou; seismo;" mevga" ejgevneto ejn th`/ qalavssh/, w{ste to; ploi`on kaluvptesqai uJpo; tw`n kumavtwn”, “et ecce motus magnus factus est in mari, ita ut navicula operiretur fluctibus”, Matteo 8:24); i abi& s)b|ra{( s( m)¢o™i. qkoje k )tomou ¢e v)m:}ati s( ¢i pr:d) dv|r|mi (“kai; sunhvcqhsan polloiv, w{ste mhkevti cwrei`n mhde; ta; pro;" th;n quvran”, “et convenerunt multi, ita ut non caperet neque ad ianuam”, Marco 2:2); i ic:li `. qko ¢arodou diviti s(. vid(}e ¢ :m¨` glagol+}( i b:d|¢¨` s)drav¨ i hrom¨` hod(}( i sl:p¨` vid(}( (“kai; ejqeravpeusen aujtouv": w{ste tou;" o[clou" qaumavsai blevponta" kwfou;" lalou`nta", kullou;" uJgiei`" kai; kwlou;" peripatou`nta" kai; tuflou;" blevponta"”, “et curavit eos, ita ut turbae mirarentur, videntes mutos loquentes, claudos ambulantes, caecos videntes”, Matteo 15:31); t olika bo sila b:a{e ou~itelq. da i bl\ \ d¢ica privl:}i ¢a svo& poslou{a¢ie (“tosauvth ga;r h\n hJ duvnami" tou` didaskavlou, wJ" kai; povrna" ejpispa`sqai eij" th;n oijkeivan uJpakohvn”, “tale era la forza del maestro, da costringere anche le prostitute ad ascoltarlo”, Suprasliense 408, 20-21). Le temporali, le causali e le concessive implicite sono espresse nella maggioranza dei casi con un dativo assoluto: p oæd: je b¨v){i. &gdaje æ ahojdaa{e sl)¢|ce. pri¢o{aah\ k ) ¢&mou v|s( ¢ed\j j |¢¨` (“ojyiva" de; genomevnh", o{te e[dusen oJ h{lio", e[feron pro;" aujto;n pavnta" tou;" kakw`" e[conta"”, “vespere autem facto, cum occidisset sol, afferebant ad eum omnes male habentes”, Marco 1:32); i jdiv){ou je &mou v|sq. b¨st) glad) kr:p)k) ¢a stra¢: toi (“dapanhvsanto" de; aujtou` pavnta ejgevneto limo;" ijscura; kata; th;n cwvran ejkeivnhn”, “et postquam omnia 248 Il paleoslavo consummasset, facta est fames valida in regione illa”, Luca 15:14); i {|d){ou j e &mou v) vrata. ouæ|r: i drougaq (“ejxelqovnta de; eij" to;n pulw`na ei\den aujto;n a[llh”, “exeunte autem illo ianuam, vidit eum alia”, Matteo 26:71); m \d d (}ou je je¢ihou. v)ædr:ma{( s( v|s( i s)paah\ (“cronivzonto" de; tou` numfivou ejnuvstaxan pa`sai kai; ejkavqeudon”, “moram autem faciente sponso, dormitaverunt omnes et dormierunt”, Matteo 25:5-6); i ¢edostav){ou vi¢ou. glagola mati isousova k) ¢&mou. vi¢a ¢e im\ \ t) (“kai; uJsterhvsanto" oi[nou levgei hJ mhvthr tou` jIhsou` pro;" aujtovn: oi\non oujk e[cousin”, “et deficiente vino, dicit mater Iesu ad eum: vinum non habent”, Giovanni 2:3); t olika je æ¢ame¢iq s)tvor|{ou &mou pr:d) ¢i mi. ¢e v:rovaah\ \ v)¢| (“tosau`ta de; aujtou` shmei`a pepoihkovto" e[mprosqen aujtw`n oujk ejpivsteuon eij" aujtovn”, “cum autem tanta signa fecisset coram eis, non credebant in eum”, Giovanni 12:37); i tolikou s\ \ }<. ¢e protr)je s( mr:ja (“kai; tosouvtwn o[ntwn oujk ejscivsqh to; divktuon”, “et cum tanti essent, non est scissum rete”, Giovanni 21:11). Sono possibili anche costruzioni con l’infinito (che si faranno più frequenti nella storia ulteriore dello slavo ecclesiastico, spesso con la congiunzione & je , v o &je , in virtù di una maggiore subalternità al greco)4: – con valore causale: " ouliq¢ou t)gda pri{ed){ou v) a¢tiohiisk¨i grad). ¢e bo & st) c:sarem) togo ¢are{ti. dov|l:&t) bo &mou beæako¢¢ikom) i pr:st\ \ p|¢ikom) æ)vati i. æa¢¢e æapov:di boji` p r:st\p p iv){ou &mou koumirom) jr|ti (“Ijoulianou` tovte … paragenomevnou kata; th;n jAntiovcou povlin, ei[ ge basileva crh; ejkei`non ejponomavsai, ajrkei` ga;r aujtw`/ to;n paravnomon kai; parabavthn … kalei`sqai aujto;n, dia; to; ta;" ejntola;" tou` qeou` parabavnta aujto;n 4 “Gli alti pregi della primitiva traduzione slavo ecclesiastica del Vangelo andarono progressivamente diminuendo nel corso della trasmissione del testo: i copisti e i revisori, incuranti del valore letterario ed esegetico della traduzione di Cirillo e Metodio, si sforzarono di conformarla sempre più pedissequamente all’originale greco, spesso sacrificandone le alte qualità stilistiche, per ottenere una traduzione letterale”: N. Radovich, Testi del Vangelo in Slavo ecclesiastico antico, Napoli 1964, p. XVI. Sintassi 249 eijdwvloi" qu`sai”, “giunto allora Giuliano nella città di Antiochia, infatti non si deve chiamarlo cesare, basta per lui che lo si dica fuorilegge e apostata, poiché, infranti i comandamenti divini, sacrificava agli idoli”, Suprasliense 214,1-6); – con valore finale: s :d:a{e s) slougami. vid:ti ko¢|~i¢\ (“ejkavqhto meta; tw`n uJphretw`n ijdei`n to; tevlo"”, “sedebat cum ministris, ut videret finem”, Matteo 26:58); b ¨st) je oumr:ti ¢i}ou&mou. i ¢ese¢ou b¨ti a¢gge l¨ ¢a lo¢o avraaml& (“ejgevneto de; ajpoqanei`n to;n ptwco;n kai; ajpenecqh`nai aujto;n uJpo; tw`n ajggevlwn eij" to;n kovlpon jAbraavm”, “factum est autem ut moreretur mendicus et portaretur ab angelis in sinum Abrahae”, Luca 16:22); o b¨ti ¢am) hramou. i jili}<. pr:staa–a go emou d––h a. g<oo spod>< < pomo<ll im)s(> (“per essere noi la casa e il tempio del suo santo spirito preghiamo il signore”, Eucologio sinaitico 60a,7). APPENDICE 1 La normalizzazione Normalizzare significa riportare ogni singola parola storicamente attestata dai testi del canone alla sua forma “corretta”. L’esigenza di normalizzare nasce da motivazioni diverse, scientifiche, didattiche, catalografiche. Normalizzati devono essere i lemmi di un vocabolario, le forme dei paradigmi, gli esempi di un manuale. La normalizzazione serve anche a descrivere le caratteristiche di un manoscritto, ma qui la norma del testo entra in concorrenza con quella della lingua. La normalizzazione può essere fondamentalmente di due tipi: a) glagolizzante, orientata cioè sull’alfabeto glagolitico e sui più antichi manoscritti del canone; b) cirillica, cioè orientata sull’alfabeto cirillico e sui manoscritti più recenti. Sono possibili anche scelte differenti, necessarie a studiosi che hanno a che fare con le caratteristiche di singoli manoscritti o propongono una propria ricostruzione del sistema linguistico di una epoca data. La normalizzazione può riguardare i livelli grafico, fonetico, morfologico. Per normalizzazione grafica si intende l’uso di uniformare differenti grafie di uno stesso fonema. Qui la scelta di un tipo di normalizzazione non ha nessuna rilevanza, i criteri possono essere dettati da considerazioni pratiche, quali la migliore leggibilità, o tecnici, quali il concreto inventario di caratteri offerto dal computer. Qui si sono seguiti i criteri dello Staroslavjanskij slovar’ (po rukopisjam XXI vekov), edito a Mosca nel 1994: 252 Appendice 1 – le diverse rese grafiche di /i/ (i , " , oppure " ! ) si normalizzano come i (a eccezione del caso in cui il grafema abbia valore di cifra); – le diverse rese grafiche di /o/ (o , w ) si normalizzano come o (a eccezione del caso in cui il grafema abbia valore di cifra e della interiezione: w !); – le diverse rese grafiche di /u/ (o u , ' , u ) si normalizzano come o u ; – le diverse rese grafiche di /y/ (y , ¨ , @ , ) i ) si normalizzano come ¨ ; – le diverse rese grafiche di /e˛ / (( , Á , A) si normalizzano come ( ; – le diverse rese grafiche degli jer tesi davanti a i o a jod (ß• e • ) si normalizzano rispettivamente come i e ¨ evitando le oscillazioni del tipo a b|& / a bi& ‘subito’, s )kaæa¢|& / s )kaæa¢i& ‘racconto’, v ¨i¢\ / v )i¢\ ‘sempre’; – le diverse rese grafiche di /z/ (æ æ , z ) si normalizzano come æ ; – le diverse rese grafiche di // (™ , ™ ) si normalizzano come ™ ; – le diverse rese grafiche di /št/ ({ t , } ) si normalizzano come } . Per normalizzazione fonetica si intende la restituzione della forma ortografica e fonetica “ideale”, corrispondente alla norma del canone paleoslavo: a) si restituisce la forma etimologicamente corretta di ß e , cioè: si elimina la confusione di jer molle e jer duro; si ripristinano gli eventuali jer caduti in posizione debole o vocalizzati in posizione forte; si ripristina la corretta resa delle sonoranti in funzione sillabica (esempi: d |jd) , d ojd) > d )jd) ‘pioggia’; { )d) , { ed) > { |d) ‘che è andato’; m ¢og) > m )¢og) ‘molto’; p r)v) , p |rv) > p r|v) ‘primo’); b) si restituisce la forma etimologicamente corretta di i e y: b iti ‘battere’, b ¨ti ‘essere’; c) si restituisce la forma etimologicamente corretta di e e ě: i me¢e ‘del nome’ (G sg), i m:¢i& ‘le proprietà’; d) si restituisce la forma etimologicamente corretta di z e : æ v:r| ‘fiera’, ™ :lo ‘molto’; e) si restituiscono gli esiti corretti delle iodizzazioni: p r:jde ‘prima’, h o}\ ‘io voglio’; La normalizzazione 253 f) si restituisce la forma etimologicamente corretta delle vocali nasali, sia nel caso di confusione tra le vocali nasali stesse, sia nel caso di loro sostituzione con vocali orali; in quanto al loro inventario, se si segue la normalizzazione glagolizzante, viene usato un sistema grafico a tre elementi che prevede l’uso di un grafema unico per la vocale nasale anteriore iodizzata e non iodizzata (glag. M traslitterato con ( ) e di due grafemi per la resa della vocale posteriore iodizzata e non iodizzata (glag. q, J traslitterati con \ , + ); se si segue la normalizzazione cirillica, viene usato un sistema grafico a quattro elementi che prevede l’uso di due grafemi tanto per la vocale nasale anteriore (non iodizzata e iodizzata: ( , ` oppure I, M) quanto per quella posteriore (non iodizzata e iodizzata: \ , + oppure q, J). g) si normalizza l’uso delle vocali iodizzate a seconda del tipo di normalizzazione prescelto. In glagolitico, e nei manoscritti cirillici glagolizzanti, non vi è una coerente modalità di individuazione grafematica della presenza di jod: le uniche vocali “iodizzate” (sulla cui natura fonetica peraltro esistono opinioni divergenti) sono ju (V) e jo˛ (J). La normalizzazione dell’uso delle vocali iodizzate può dunque essere diversa se si scelga il tipo glagolizzante o cirillico. La normalizzazione glagolizzante opera con un inventario di due vocali iodizzate (ju, jo˛ ): – u, ju (o u per u, < per 7): in inizio di parola si normalizzano etimologicamente, ma con concessioni a criteri statistici (o utro ‘mattina’ e tutti i derivati di questa radice che significa ‘presto’, ‘di buon ora’ si normalizzano con la iniziale non iodizzata; la radice < ¢ - ‘giovane’ e tutti i suoi derivati si normalizzano con la iniziale iodizzata); nelle terminazioni la vocale iodizzata si usa dopo vocale, dopo jod e dopo tutte le consonanti iodizzate e palatalizzate: æ ¢ame¢i< ‘al segno’, k o¢< ‘al cavallo’, m \j j< ‘all’uomo’, o t|c< ‘al padre’; – o˛ , jo˛ (\ per q, + per J): in inizio di parola si usa esclusivamente la vocale non iodizzata (eccezione: l’A sg f del pronome anaforico: + ‘lei’ e l’avverbio + douje , + d:je ‘dove’); per il resto la vocale iodizzata si usa 254 Appendice 1 dopo vocale, dopo jod e dopo tutte le consonanti iodizzate e palatalizzate: m o+ ‘mia’ (A sg f), g lagol+ ‘io dico’, o u~e¢ic+ ‘allieva’ (A sg f); – e, je sono indicate in tutte le posizioni con e , che traslittera e; – e˛ , je˛ sono indicate in tutte le posizioni con ( , che traslittera M; – ě, ja sono indicate in tutte le posizioni con : , che traslittera A. La normalizzazione orientata sul cirillico opera con un inventario di cinque vocali iodizzate (q , & , ` , + , < ): – u, ju (o u , < ): in inizio di parola si normalizzano etimologicamente, ma con concessioni ai criteri statistici di cui si è detto. Per il resto, la normalizzazione cirillica può accogliere o meno il progressivo indurimento delle palatali con conseguente arretramento di ju: la vocale iodizzata, obbligatoria dopo vocale, dopo jod e dopo consonante liquida, nasale o labiale iodizzata (r’, l’, n’, ml’, pl’, bl’, vl’), non è sempre utilizzata anche dopo le restanti consonanti palatali: ~ oudo e ~ <do ‘miracolo’. Nelle terminazioni: æ ¢ame¢i< ‘al segno’, k o¢< ‘al cavallo’, m \j j < o m \j j ou ‘all’uomo’, o t|c< o o t|cou ‘al padre’. – o˛ , jo˛ (\ , + ): in inizio di parola si usa esclusivamente la vocale non iodizzata con le eccezioni di cui si è detto; per il resto la vocale iodizzata si usa dopo vocale, dopo jod e dopo consonante liquida, nasale o labiale iodizzata (r’, l’, n’, ml’, pl’, bl’, vl’): m o+ ‘mia’ (A sg f), g lagol+ ‘io dico’, mentre dopo le altre palatali la normalizzazione cirillica può accogliere la vocale non iodizzata: d :vic+ e d :vic\ ‘fanciulla’ (A sg f); – e, je (e , & ): si usa la vocale non iodizzata dopo consonante (escluse le liquide, nasali e labiali iodizzate); si usa la vocale iodizzata dopo silenzio, dopo vocale, dopo jod e dopo le liquide, nasali e labiali iodizzate: r’, l’, n’, ml’, pl’, bl’, vl’ (fanno eccezione i prestiti, per esempio e va¢ge li& ‘vangelo’ e alcune poche parole slave: e da ‘se’, e i ‘sì’, e se ‘ecco’, e ter) ‘un tale’); – e˛ , je˛ (( , ` ): si usa la vocale non iodizzata dopo consonante (escluse le palatali nate dalla jodizzazione di liquide, nasali e labiali); si usa la vocale iodizzata dopo silenzio, dopo vocale, dopo jod e dopo le liquide, nasali e labiali iodizzate (r’, l’, n’, ml’, pl’, bl’, vl’). 255 La normalizzazione – ě, ja (: , q ): mentre il sistema grafico del glagolitico rispecchia la totale omofonia di *e- in tutte le posizioni, indicando questo suono con il grafema A (cirillico : ), la normalizzazione cirillica utilizza : per indicare *e- e *e- 2 dopo consonante dura e dopo c’, ’, z’, s’ frutto della II e della III palatalizzazione, q per indicare *e- dopo vocale, dopo silenzio, dopo jod e dopo le consonanti palatali, a (ma anche q ) per indicare *e- dopo č’, ž’, š’, št’, žd’: v :d:ti ‘sapere’, c :¢a ‘prezzo’, q d| ‘cibo’, s l¨{ati e s l¨{qti ‘ascoltare’: e- dopo consonante e- dopo c’, ’, z’, s’ (II e III pal.) e- dopo č’, ž’, š’, št’, žd’ e- dopo j, r’, l’, n’, ml’, pl’, bl’, vl’ e- dopo silenzio e- dopo vocale norm. glaglitica v:d:ti ‘sapere’ c:¢a ‘prezzo’ kri~:ti ‘gridare’ bo:ti s(‘temere’ p omy{l:a{ete ‘pensavate’ (2ª pl. impf.) :d| ‘cibo’ kr¨:ah) ‘coprivo’ (1ª sg impf.) norm. cirillica v:d:ti c:¢a kri~ati k ri~qti boqti s( p omy{lqa{ete qd| kr¨qah) – a, ja (a , q ): mentre il sistema grafico del glagolitico rispecchia la metafonizzazione di *a- dopo jod (anche protetico) e dopo consonante palatale, indicando questo suono con il grafema A (cirillico : ), la normalizzazione cirillica utilizza a per indicare *a- dopo vocale, dopo silenzio (con rarissime eccezioni1) e dopo consonante non palatale, q per indicare *a- dopo jod e dopo le liquide, nasali e labiali iodizzate. Dopo le altre consonanti palatali (c’, ’, z’, s’, č’, ž’, š’, št’, žd’) la normalizzazione cirillica accoglie preferibilmente la vocale non iodizzata: 1 In quanto alla oscillazione tra a e ja in inizio di parola, poiché si tratta dello sviluppo non conseguente di jod protetico davanti a *a- etimologica iniziale di parola, la normalizzazione si avvale di criteri statistici: una parola che in paleoslavo sia presente più spesso senza lo jod protetico viene normalizzata con la iniziale non jodizzata (esempio: a æ) ‘io’), una parola che in paleoslavo sia presente più spesso con lo jod protetico viene normalizzata con la iniziale jodizzata (esempio: q ko ‘come’), ovvero : in normalizzazione glagolizzante, q in normalizzazione cirillica. 256 a- dopo consonante a- dopo c’, ’, z’, s’ (III pal.) a- dopo č’, ž’, š’, št’, žd’ a- dopo j r’, l’, n’, ml’, pl’, bl’, vl’ a- dopo silenzio a- dopo vocale Appendice 1 norm. glaglitica ¢oga ‘gamba’ d:vic: ‘fanciulla’ o t|c: ‘del padre’ (G sg m) k )¢(™: ‘del principe’ (G sg m) m|{: ‘messa’ mo: ‘mia’ v ol: ‘libertà’ ak¨ ‘come se’ : ko ‘come’ kaæaah)) ‘dicevo’ (1ª sg impf.) norm. cirillica ¢oga d:vica (-c c q) o t|ca (-c c q) k )¢(™a (-™ ™ q) m|{a (-{ { q) moq v olq ak¨ q ko kaæaah) Volendo indicare la presenza di jod, la normalizzazione di tipo glagolizzante può ricorrere all’archetto, usato anche nella normalizzazione di tipo cirillico davanti a i e davanti a ß: volja ‘libertà’ morje ‘mare’ zemlje˛ ‘della terra’ konjß ‘cavallo’ bogynji ‘dea’ norm. glagolitica voll: morre æemll( ko¢¢| bog¨¢¢i norm. cirillica volq mor& æeml` ko¢¢| bog¨¢¢i Un capitolo particolare nel discorso sulla normalizzazione spetta ai prestiti. Le parole di origine non slava presentano spesso varianti di carattere grafico (generate dalla possibilità di scegliere diverse rese grafiche) o di carattere fonetico (generate dalla diversa modalità del prestito, per via orale, con conseguente adattamento, o per via scritta, nel caso di prestiti dotti). Nel normalizzare si sceglierà la variante che si incontra con maggior frequenza nei manoscritti: – alla lettera greca q (theta) possono corrispondere i grafemi slavi t , normativo per esempio in a ti¢¨ ‘Atene’, oppure # , normativo in a #i¢ei ‘ateniese’; – alla lettera greca f (phita) possono corrispondere i grafemi slavi p , v , f (normativi per esempio in k aper)¢aoum) ‘Cafarnao’, p rosvora ‘ostia’, r afail) ‘Raffaele’); La normalizzazione 257 – alla lettera greca u (üpsilon) possono corrispondere i grafemi cirillici £ , o u , < , v , i , di cui < è l’unico soggetto a regolare normalizzazione (< > £ : k <pr) > k£ pr) ‘Cipro’). Gli altri sono normativi per esempio in v £sso¢) ‘bisso’, t oum|pa¢) ‘timpano’, e va¢ge li& ‘evangelo’, m £ra ‘mirra’, m iro¢) ‘Mirone’. Va osservato che già il grafema greco si riferisce a una realtà fonetica complessa: in aderenza alle norme ortoepiche del greco bizantino üpsilon si pronuncia [i] per itacismo quando è vocale, ma suona come u‡ dentalizzato [v] nei dittonghi. – alla lettera greca y (psi) possono corrispondere il grafema $ o il digramma p s , che verrà preferito nella normalizzazione; – alla lettera greca x (ksi) possono corrispondere il grafema ¶ o il digramma k s , che verrà preferito nella normalizzazione. Ci sono casi in cui la forma accepita è unica: – si normalizzano le diverse rese grafiche delle velari in posizione davanti a vocale anteriore (k , k , g , g nei manoscritti cirillici, il grafema † , introdotto dallo studioso Jagić come traslitterazione del glagolitico Q, nelle moderne edizioni di manoscritti glagolitici) in k , g (k esar| > ke sarr| ‘cesare’, e va¢| †e li& > e va¢ge li& ‘evangelo’. Le grafie g g , g k , che corrispondono al greco gg, gk, sono normalizzate in ¢ g , ¢ k : a ¢ge l) ‘angelo’, a ¢k£ra ‘áncora’; – si normalizza in posizione iniziale di parola e : e pisk oup) ‘episcopo’; – si normalizza in posizione finale di parola la forma -e i : f arisei (e non f aris:i ) ‘fariseo’. Per ciò che riguarda le forme “adattate”, cioè i prestiti in cui l’inserimento di vocali (in genere ß, ) scioglie gruppi consonantici impropri alla fonetica slava, esse vengono accolte e considerate normative qualora maggioritarie (per esempio p sal)m) , ‘salmo’, ma non p )s)l)m) ). Infine, la normalizzazione morfologica opera con criteri differenti a seconda delle finalità che si propone, ripristinando le forme paradigmatiche, o eliminando errori e incongruenze all’interno della norma ricostruita per un dato testo. Tavole morfologiche 1. Temi in *a-: sostantivi femminili N G D A L S V NA GL DS N G D A L S N G D A L S V NA GL DS N G D A L S je¢a je¢¨ je¢: je¢\ je¢: je¢o+ je¢o je¢: je¢ou je¢ama je¢¨ je¢) je¢am) je¢¨ je¢ah) je¢ami bog¨¢∞i bog¨¢` bog¨¢∞i bog¨¢+ bog¨¢∞i bog¨¢e+ bog¨¢& bog¨¢∞i bog¨¢< bog¨¢qma bog¨¢` bog¨¢∞| bog¨¢qm) bog¨¢` bog¨¢qh) bog¨¢qmi æemlq æeml` æeml∞i æeml+ æeml∞i æeml&+ æeml& æeml∞i æeml< æemlqma æeml` æeml∞| æemlqm) æeml` æemlqh) æemlqmi æmiq æmi` æmii æmi+ æmii æmi&+ æmi& æmii æmi< æmiqma æmi` æmii æmiqm) æmi` æmiqh) æmiqmi dou{a dou{( dou{i dou{\ dou{i dou{e+ dou{e dou{i dou{ou dou{ama dou{( dou{| dou{am) dou{( dou{ah) dou{ami ml)¢i(i) ml)¢i` ml)¢ii ml)¢i+ ml)¢ii ml)¢e+ ml)¢i& ml)¢ii ml)¢i< ml)¢iqma ml)¢i` ml)¢ii ml)¢iqm) ml)¢i` ml)¢iqh) ml)¢iqmi 260 Appendice 2 2. Temi in *a-: sostantivi maschili N G D A L S V NA GL DS N G D A L S vo&voda vo&vod¨ vo&vod: vo&vod\ vo&vod: vo&vodo+ vo&vodo vo&vod: vo&vodou vo&vodama vo&vod¨ vo&vod) vo&vodam) vo&vod¨ vo&vodah) vo&vodami qd|ca qd|c( qd|ci qd|c\ qd|ci qd|ce+ qd|ce qd|ci qd|cou qd|cama qd|c( qd|c| qd|cam) qd|c( qd|dcah) qd|cami s\dii s\di` s\dii s\di+ s\dii s\die+ s\di& s\dii s\di< s\diqma s\di` s\dii s\diqm) s\di` s\diqh) s\diqmi 3. Temi in *o- : sostantivi maschili N G D A L S V NA GL DS N G D A L S rab) raba rabou rab) rab: rabom| rabe raba rabou raboma rabi rab) rabom) rab¨ rab:h) rab¨ ko¢∞| ko¢q ko¢< ko¢∞| ko¢∞i ko¢&m| ko¢< ko¢q ko¢< ko¢&ma ko¢∞i ko¢∞| ko¢&m) ko¢` ko¢∞i h) ko¢∞i m\j| m\ja m\jou m\j| m\ji m\jem| m\jou m\ja m\jou m\jema m\ji m\j| m\jem) m\j\ m\jih) m\ji jr:bii jr:biq jr:bi< jr:bii jr:bii jr:bi&m| jr:bi< jr:biq jr:bi< jr:bi&ma jr:bii jr:bii jr:bi&m) jr:bi` jr:biih) jr:bii 261 Tavole morfologiche 4. Temi in *o- : sostantivi neutri N G D A L S NA GL DS N G D A L S l:to l:ta l:tou l:to l:t: l:tom| l:t: l:tou l:toma l:ta l:t) l:tom) l:ta l:t:h) l:t¨ pol& polq pol< pol& pol∞i pol&m| pol∞i pol< pol&ma polq pol∞| pol&m) polq pol∞i h) pol∞i s)¢|mi}e s)¢|mi}a s)¢|mi}ou s)¢|mi}e s)¢|mi}i s)¢|mi}em| s)¢|mi}i s)¢|mi}ou s)¢|mi}ema s)¢|mi}a s)¢|mi}| s)¢|mi}em) s)¢|mi}a s)¢|mi}ih) s)¢|mi}i æ¢ame¢i& æ¢ame¢iq æ¢ame¢i< æ¢ame¢i& æ¢ame¢ii æ¢ame¢i&m| æ¢ame¢ii æ¢ame¢i< æ¢ame¢i&ma æ¢ame¢iq æ¢ame¢ii æ¢ame¢i&m) æ¢ame¢iq æ¢ame¢iih) æ¢ame¢ii 5. Temi in *ŭ: sostantivi maschili N G D A L S V NA GL DS N G D A L S s¨¢) s¨¢ou s¨¢ovi s¨¢) s¨¢ou *s¨¢)m| (s¨¢om|) s¨¢ou s¨¢¨ s¨¢ovou s¨¢)ma s¨¢ove s¨¢ov) *s¨¢)m) (s¨¢om)) s¨¢¨ *s¨¢)h) (s¨¢oh)) s¨¢)mi dom) domou domovi dom) domou pol) polou polou pol¨ pol)ma domov) 262 Appendice 2 6. Temi in *ı̆: sostantivi maschili e femminili N G D A L S V NA GL DS N G D A L S p\t| p\ti p\ti p\t| p\ti p\t|m| p\ti p\ti p\ti< p\t|ma p\ti& p\tii p\t|m) p\ti p\t|h) p\t|mi l<di& l<dii l<d|m) l<di l<d|h) l<d|mi kost| kosti kosti kost| kosti kosti+ kosti kosti kosti< kost|ma kosti kostii kost|m) kosti kost|h) kost|mi 7. Temi in *n (sostantivi maschili e neutri) e in *nt (sostantivi neutri) N G D A L S NA GL DS N G D A L S kam¨ kame¢e kame¢i kame¢| kame¢e kame¢|m| kame¢i kame¢ou kame¢|ma kame¢e kame¢) kame¢|m) kame¢i kame¢|h) kame¢|mi vr:m( vr:me¢e vr:me¢i vr:m( vr:me¢e vr:me¢|m| vr:me¢: vr:me¢ou vr:me¢|ma vr:me¢a vr:me¢) vr:me¢|m) vr:me¢a vr:me¢|h) vr:me¢¨ otro~( otro~(te otro~(ti otro~( otro~(te otro~(t|m| otro~(t: otro~(tou otro~(t|ma otro~(ta otro~(t) otro~(t|m) otro~(ta otro~(t|h) otro~(t¨ 263 Tavole morfologiche 8. Temi in *s (sostantivi neutri), in *r e in *u- (sostantivi femminili) NV G D A L S NA GL DS N G D A L S slovo slovese slovesi slovo slovese sloves|m| sloves: slovesou sloves|ma slovesa sloves) sloves|m) slovesa sloves|h) sloves¨ mati matere materi mater| materi materi+ *materi *materou *mater|ma materi mater) mater|m) materi mater|h) mater|mi svekr¨ svekr)ve svekr)vi svekr)v| svekr)ve svekr)vi+ svekr)vi svekr)vou svekr)vama svekr)vi svekr)v) svekr)vam) svekr)vi svekr)vah) svekr)vami 9. Aggettivi possessivi m N G D A L S NA GL DS N G D A L S moi mo&go mo&mou moi mo&m| moim| moq mo&< moima moi moih) moim) mo` moih) moimi n mo& mo&go mo&mou mo& mo&m| moim| moi mo&< moima moq moih) moim) moq moih) moimi f moq mo&` mo&i mo+ mo&i mo&+ moi mo&< moima mo` moih) moim) mo` moih) moimi 264 Appendice 2 m N G D A L S NA GL DS N G D A L S n ¢a{| ¢a{ego ¢a{emou ¢a{| ¢a{em| ¢a{im| ¢a{a ¢a{e< ¢a{ima ¢a{i ¢a{ih) ¢a{im) ¢a{( ¢a{ih) ¢a{imi ¢a{e ¢a{ego ¢a{emou ¢a{e ¢a{em| ¢a{im| ¢a{i ¢a{e< ¢a{ima ¢a{a ¢a{ih) ¢a{im) ¢a{a ¢a{ih) ¢a{imi f ¢a{a ¢a{e` ¢a{ei ¢a{\ ¢a{ei ¢a{e+ ¢a{i ¢a{e< ¢a{ima ¢a{( ¢a{ih) ¢a{im) ¢a{( ¢a{ih) ¢a{imi 10. Aggettivi di grado comparativo maschile N G D A L S NA GL DS N G D A L S bol∞i i bol∞| {a bol∞| {ou bol∞i i bol∞| {i bol∞| {em| bol∞| {a bol∞| {ou bol∞| {ema bol∞| {e bol∞| {| bol∞| {em) bol∞| {( bol∞| {ih) bol∞| {i maschile di forma lunga bol∞i i bol∞| {a&go bol∞| {ou&mou bol∞i i bol∞| {iim| bol∞| {iim| bol∞| {aq bol∞| {ou< bol∞| {iima bol∞| {ei bol∞| {iih) bol∞| {iim) bol∞| {(` bol∞| {iih) bol∞| {iimi 265 Tavole morfologiche neutro N G D A L S NA GL DS N G D A L S bol& bol∞| {a bol∞| {ou bol& bol∞| {i bol∞| {em| bol∞| {i bol∞| {ou bol∞| {ema bol∞| {a bol∞| {| bol∞| {em) bol∞| {a bol∞| {ih) bol∞| {i bol&& bol∞| {a&go bol∞| {ou&mou bol&& bol∞| {iim| bol∞| {iim| bol∞| {ii bol∞| {ou< bol∞| {iima bol∞| {aq bol∞| {iih) bol∞| {iim) bol∞| {aq bol∞| {iih) bol∞| {iimi femminile N G D A L S NA GL DS N G D A L S bol∞| {i bol∞| {( bol∞| {i bol∞| {\ bol∞| {i bol∞| {e+ bol∞| {i bol∞| {ou bol∞| {ama bol∞| {( bol∞| {| bol∞| {am) bol∞| {( bol∞| {ah) bol∞| {ami neutro di forma lunga femminile di forma lunga bol∞| {iq bol∞| {(` bol∞| {ii bol∞| {\+ bol∞| {ii bol∞| {e+ bol∞| {ii bol∞| {ou< bol∞| {iima bol∞| {(` bol∞| {iih) bol∞| {iim) bol∞| {(` bol∞| {iih) bol∞| {iimi 266 Appendice 2 11. Coniugazione dei verbi atematici: b¨ti e v:d:ti infinito sg presente du pl sg futuro du pl sg imperativo du pl participio pres. attivo 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª m n f b¨ti &sm| &si &st) &sv: &sta &ste &sm) &ste s\t) b\d\ b\de{i b\det) b\dev: b\deta b\dete b\dem) b\dete b\d\t) v:d:ti v:m| v:si v:st) v:v: v:sta v:ste v:sm) v:ste v:d(t) b\di b\di b\d:v: b\d:ta v:jd| v:jd| v:div: v:dita b\d:m) b\d:te v:dim) v:dite s¨ s¨ s\}i v:d¨ v:d¨ v:d\}i 267 Tavole morfologiche infinito participio pres. passivo sg aoristo du pl sg imperfetto du pl condizionale sg pl participio pass. attivo participio perfetto participio pass. passivo supino m n f 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª m n f b¨ti b¨h) b¨ / b¨st) b¨ / b¨st) b¨hov: b¨sta b¨ste b¨hom) b¨ste b¨{( b:h) b: b: / b:a{e b:hov: b:sta b:ste / b:a{ete b:hom) b:ste b:{( / b:ah\ bim) / bih) bi bi bim) / bihom) biste b\ / bi{( b¨v) b¨v) b¨v){i b¨l), -o, -a v:d:ti v:dom) e v:dim) v:domo e v:dimo v:doma e v:dima v:d:h) v:d: v:d: v:d:hov: v:d:sta v:d:ste v:d:hom) v:d:ste v:d:{( v:d:ah) v:d:a{e v:d:a{e v:d:ahov: v:d:a{eta v:d:a{ete v:d:ahom) v:d:a{ete v:d:ah\ v:d:v) v:d:v) v:d:v){i v:d:l), -o, -a v:d:¢), -o, -a v:d:t) 268 Appendice 2 12. Coniugazione dei verbi atematici: dati , qsti e im:ti infinito sg presente du pl sg presente con valore di futuro du pl sg imperativo du pl participio presente attivo participio presente passivo 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª m n f dati dam| dasi dast) dav: dasta daste dam) daste dad(t) qsti qm| qsi qst) qv: qsta qste qm) qste qd(t) im:ti imam| ima{i imat) imav: imata imate imam) imate im\t) dajd| dajd| dadiv: dadita qjd| qjd| qdiv: qdita im:i im:i im:iv: im:ita dadim) dadite qdim) qdite im:im) im:ite dad¨ dad¨ dad\}i qd¨ qd¨ qd\}i qdom) e qdim), -o, -a im¨ / im:` im¨ / im:` im\}i / im:+}i 269 Tavole morfologiche infinito sg aoristo du pl sg imperfetto du pl condizionale sg pl participio passato attivo participio perfetto m n f participio presente passivo m n f supino 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª m n f dati dah) da / dast) da / dast) dahov: dasta daste dahom) daste da{( dad:ah) dad:a{e dad:a{e dad:ahov: dad:a{eta dad:a{ete dad:ahom) dad:a{ete dad:ah\ qsti qs) / qh) q / qst) q / qst) qsov: / qhov: qsta qste qsom) / qhom) qste qs( / q{( qd:ah) qd:a{e qd:a{e qd:ahov: qd:a{eta qd:a{ete qd:ahom) qd:a{ete qd:ah\ im:ti im:h) im: im: im:hov: im:sta im:ste im:hom) im:ste im:{( im:ah) im:a{e im:a{e im:ahov: im:a{eta im:a{ete im:ahom) im:a{ete im:ah\ dav) dav) dav){i qd) qd) qd){i im:v) im:v) im:v){i dal), -o, -a ql), -o, -a im:l), -o, -a da¢), -o, -a qde¢), -o, -a dat) qst) im:t) 270 Appendice 2 13. Coniugazione dei verbi tematici con tema del presente in -e-: vesti , mo}i (re}i ) e p(ti infinito sg presente du pl sg imperativo du pl participio presente attivo participio presente passivo sg aoristo asigmatico du pl 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª m n f m n f 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª vesti ved\ vede{i vedet) vedev: vedeta vedete vedem) vedete ved\t) mo}i (re}i) mog\ moje{i mojet) mojev: mojeta mojete mojem) mojete mog\t) p(ti p|¢\ p|¢e{i p|¢et) p|¢ev: p|¢eta p|¢ete p|¢em) p|¢ete p|¢\t) vedi vedi ved:v: ved:ta mo™i mo™i mo™:v: mo™:ta p|¢i p|¢i p|¢:v: p|¢:ta ved:m) ved:te mo™:m) mo™:te p|¢:m) p|¢:te ved¨ ved¨ ved\}i vedom) vedomo vedoma ved) ved) vede vedov: vedeta vedete vedom) vedete ved\ mog¨ mog¨ mog\}i (rekom) rekomo rekoma) mog) moje moje mogov: mojeta mojete mogom) mojete mog\ p|¢¨ p|¢¨ p|¢\}i p|¢om) p|¢omo p|¢oma Tavole morfologiche 271 vesti mo}i (re}i) p(ti v:s) r:h) p(s)** sg [vede] [re~e] p( [vede] [re~e] p( v:sov: r:hov: p(sov: aoristo du v:sta r:sta p(sta sigmatico I v:ste r:ste p(ste v:som) r:hom) p(som) pl v:ste r:ste p(ste v:s( r:{( p(s( vedoh) mogoh) sg [vede] [moje] [vede] [moje] vedohov: mogohov: aoristo du vedosta mogosta sigmatico II vedoste mogoste vedohom) mogohom) pl vedoste mogoste vedo{( mogo{( ved:ah) mojaah) p|¢:ah) sg ved:a{e mojaa{e p|¢:a{e ved:a{e mojaa{e p|¢:a{e ved:ahov: mojaahov: p|¢:ahov: imperfetto du ved:a{eta mojaa{eta p|¢:a{eta ved:a{ete mojaa{ete p|¢:a{ete ved:ahom) mojaahom) p|¢:ahom) pl ved:a{ete mojaa{ete p|¢:a{ete ved:ah\ mojaah\ p|¢:ah\ participio ved) mog) p|¢) passato ved) mog) p|¢) attivo ved){i mog){i p|¢){i participio perfetto m n f vel), -o, -a mogl), -o, -a p(l), -o, -a participio pass.ato vede¢), (re~e¢), p(t), passivo m n f -o, -a -o, -a) -o, -a supino vest) mo}| p(t) * con semplificazione del nesso consonantico [dz] > [z]: moæi eccetera. ** con trasformazione della fricativa dentale [s] > [x]: p(h), p(hov:, p(hom), p({(. infinito 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª m n f 272 Appendice 2 14. Coniugazione dei verbi tematici con tema del presente in -e-: mr:ti (tr|ti ), plouti e æ)vati infinito sg presente du pl sg imperativo du pl participio presente attivo participio presente passivo sg aoristo asigmatico du pl 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª m n f m n f 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª mr:ti (tr|ti) m|r\ m|re{i m|ret) m|rev: m|reta m|rete m|rem) m|rete m|r\t) plouti æ)vati plov\ plove{i plovet) plovev: ploveta plovete plovem) plovete plov\t) æov\ æove{i æovet) æovev: æoveta æovete æovem) æovete æov\t) m|ri m|ri m|r:v: m|t:ta plovi plovi plov:v: plov:ta æovi æovi æov:v: æov:ta m|r:m) m|r:te plov:m) plov:te æov:m) æov:te m|r¨ m|r¨ m|r\}i (t|rom) t|romo t|roma) plov¨ plov¨ plov\}i æov¨ æov¨ æov\}i æovom) æovomo æovoma (ot|re) 273 Tavole morfologiche infinito sg aoristo sigmatico I du pl sg aoristo sigmatico II du pl sg imperfetto du pl participio passato attivo participio perfetto m n f participio pass. passivo m n f supino 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª m n f mr:ti (tr|ti) mr:h) mr: mr: mr:hov: mr:sta mr:ste mr:hom) mr:ste mr:{( m|r:ah) m|r:a{e m|r:a{e m|r:ahov: m|r:a{eta m|r:a{ete m|r:ahom) m|r:a{ete m|r:ah\ m|r) m|r) m|r){i plouti æ)vati plouh) plou plou plouhov: plousta plouste plouhom) plouste plou{( æ)vah) æ)va æ)va æ)vahov: æ)vasta æ)vaste æ)vahom) æ)vaste æ)va{( plov:ah) plov:a{e plov:a{e plov:ahov: plov:a{eta plov:a{ete plov:ahom) plov:a{ete plov:ah\ plouv) plouv) plouv){i ploul), -o, mr|l),-o, -a a t|re¢) / plove¢), -o, tr|t), -o, -a a mr:t) plout) æ)vaah) æ)vaa{e æ)vaa{e æ)vaahov: æ)vaa{eta æ)vaa{ete æ)vaahom) æ)vaa{ete æ)vaah\ æ)vav) æ)vav) æ)vav){i æ|val), -o, -a æ)va¢), -o, -a æ)vat) 274 Appendice 2 15. Coniugazione dei verbi tematici con tema del presente in -ne-: dvig¢\ti (kos¢\ti ), mi¢\ti (ri¢\ti ) e stati infinito sg presente du pl sg imperativo du pl participio presente attivo participio presente passivo m n f sg aoristo asigmatico du pl 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª m n f 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª dvig¢\ti (kos¢\ti) dvig¢\ dvig¢e{i dvig¢et) dvig¢ev: dvig¢eta dvig¢ete dvig¢em) dvig¢ete dvig¢\t) mi¢\ti (ri¢\ti) mi¢\ mi¢e{i mi¢et) mi¢ev: mi¢eta mi¢ete mi¢em) mi¢ete mi¢\t) dvig¢i dvig¢i dvig¢:v: dvig¢:ta mi¢i mi¢i mi¢:v: mi¢:ta sta¢i sta¢i sta¢:v: sta¢:ta dvig¢:m) dvig¢:te mi¢:m) mi¢:te sta¢:m) sta¢:te dvig¢¨ mi¢¨ dvig¢¨ mi¢¨ dvig¢\}i mi¢\}i (¢eistr|g¢om), -o, -a) dvig) dvije dvije dvigov: dvijeta dvijete dvigom) dvijete dvig\ sta¢¨ sta¢¨ sta¢\}i stati sta¢\ sta¢e{i sta¢et) sta¢ev: sta¢eta sta¢ete sta¢em) sta¢ete sta¢\t) 275 Tavole morfologiche infinito sg aoristo sigmatico I du pl sg aoristo sigmatico II du pl sg imperfetto du pl participio passato attivo 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª m n f dvig¢\ti (kos¢\ti) (kos¢\h) [kos¢\] [kos¢\] kos¢\hov: kos¢\sta kos¢\ste kos¢\hom) kos¢\ste kos¢\{() dvigoh) [dvije] [dvije] dvigohov: dvigosta dvigoste dvigohom) dvigoste dvigo{( -dvig¢:ah) -dvig¢:a{e -dvig¢:a{e -dvig¢:ahov: -dvig¢:a{eta -dvig¢:a{ete -dvig¢:ahom) -dvig¢:a{ete -dvig¢:ah\ dvig) dvig) dvig){i participio perfetto m n f dvigl), -o, -a participio passato passivo m n f supino dvig¢ove¢) e dvije¢), -o, -a mi¢\ti (ri¢\ti) mi¢\h) [mi¢\] [mi¢\] mi¢\hov: mi¢\sta mi¢\ste mi¢\hom) mi¢\ste mi¢\{( (ri¢:ah) ri¢:a{e ri¢:a{e ri¢:ahov: ri¢:a{eta ri¢:a{ete ri¢:ahom) ri¢:a{ete ri¢:ah\) mi¢\v) mi¢\v) mi¢\v){i mi¢\l), -o, -a stati stah) [sta] [sta] stahov: stasta staste stahov: staste sta{( -sta¢:ah) -sta¢:a{e -sta¢:a{e -sta¢:ahov: -sta¢:a{eta -sta¢:a{ete -sta¢:ahom) -sta¢:a{ete -sta¢:ah\ stav) stav) stav){i stal), -o, -a stat) 276 Appendice 2 16. Coniugazione dei verbi tematici con tema del presente in -je-: æ¢ati , brati (klati ) e ml:ti sg presente du pl sg imperativo du pl participio presente attivo participio presente passivo m n f sg aoristo sigmatico I æ¢a+ æ¢a&{i æ¢a&t) æ¢a&v: æ¢a&ta æ¢a&te æ¢a&m) æ¢a&te æ¢a+t) brati (klati) bor+ bor&{i bor&t) bor&v: bor&ta bor&te bor&m) bor&te bor+t) æ¢ai æ¢ai æ¢aiv: æ¢aita bor∞i bor∞i bor∞i v: bor∞i ta mel∞i mel∞i mel∞i v: mel∞i ta æ¢aim) æ¢aite bor∞i m) bor∞i te mel∞i m) mel∞i te æ¢a` æ¢a` æ¢a+}i æ¢a&m), -o, -a æ¢ah) æ¢a æ¢a æ¢ahov: æ¢asta æ¢aste æ¢ahom) æ¢aste æ¢a{( bor` bor` bor+}i (kol&m), -o, -a) brah) bra bra brahov: brasta braste brahom) braste bra{( mel` mel` mel+}i mel&m), -o, -a ml:h) ml: ml: ml:hov: ml:sta ml:ste ml:hom) ml:ste ml:{( æ¢ati infinito du pl 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª m n f 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª ml:ti mel+ mel&{i mel&t) mel&v: mel&ta mel&te mel&m) mel&te mel+t) 277 Tavole morfologiche 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª m n f sg imperfetto du pl participio passato attivo participio perfetto m n f participio passato passivo m n f supino æ¢aah) æ¢aa{e æ¢aa{e æ¢aahov: æ¢aa{eta æ¢aa{ete æ¢aahom) æ¢aa{ete æ¢aah\ æ¢av) æ¢av) æ¢av){i borqah) borqa{e borqa{e borqahov: borqa{eta borqa{ete borqahom) borqa{ete borqah\ brav) brav) brav){i melqah) melqa{e melqa{e melqahov: melqa{eta melqa{ete melqahom) melqa{ete melqah\ ml:v) ml:v) ml:v){i æ¢al), -o, -a bral), -o, -a ml:l), -o, -a æ¢a¢), -o, -a bore¢), -o, -a ml:¢), -o, -a æ¢at) brat) ml:t) 17. Coniugazione dei verbi tematici con tema del presente in -je-: glagolati , plakati e v:rovati infinito sg presente du pl sg imperativo du 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 glagolati glagol+ glagol&{i glagol&t) glagol&v: glagol&ta glagol&te glagol&m) glagol&te glagol+t) plakati pla~\ pla~e{i pla~et) pla~ev: pla~eta pla~ete pla~em) pla~ete pla~\t) v:rovati v:rou+ v:rou&{i v:rou&t) v:rou&v: v:rou&ta v:rou&te v:rou&m) v:rou&te v:rou+t) glagol∞i glagol∞i glagol∞i v: glagol∞i ta pla~i pla~i pla~iv: pla~ita v:roui v:roui v:rouiv: v:rouita 278 Appendice 2 infinito pl participio presente attivo participio presente passivo m n f sg aoristo sigmatico I du pl sg imperfetto du pl participio passato attivo participio perfetto m n f participio passato passivo m n f supino 1ª 2ª 3ª m n f 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª m n f glagolati glagol∞i m) glagol∞i te plakati pla~im) pla~ite v:rovati v:rouim) v:rouite glagol` glagol` glagol+}i glagol&m), -o, -a glagolah) glagola glagola glagolahov: glagolasta glagolaste glagolahom) glagolaste glagola{( glagolaah) glagolaa{e glagolaa{e glagolaahov: glagolaa{eta glagolaa{ete glagolaahom) glagolaa{ete glagolaah\ glagolav) glagolav) glagolav){i glagolal), -o, -a glagola¢), -o, -a glagolat) pla~( pla~( pla~\}i v:rou` v:rou` v:rou+}i v:rou&m), -o, -a v:rovah) v:rova v:rova v:rovahov: v:rovasta v:rovaste v:rovahom) v:rovaste v:rova{( v:rovaah) v:rovaa{e v:rovaa{e v:rovaahov: v:rovaa{eta v:rovaa{ete v:rovaahom) v:rovaa{ete v:rovaah\ v:rovav) v:rovav) v:rovav){i v:roval), -o, -a v:rova¢), -o, -a v:rovat) plakah) plaka plaka plakahov: plakasta plakaste plakahom) plakaste plaka{( plakaah) plakaa{e plakaa{e plakaahov: plakaa{eta plakaa{ete plakaahom) plakaa{ete plakaah\ plakav) plakav) plakav){i plakal), -o, -a plaka¢), -o, -a plakat) 279 Tavole morfologiche 18. Coniugazione dei verbi tematici con tema del presente in -i-: s)pati , dr|jati e tr|p:ti infinito sg presente du pl sg imperativo du pl participio presente attivo participio presente passivo m n f sg aoristo sigmatico I du pl 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª m n f 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª s)pati s)pl+ s)pi{i s)pit) s)piv: s)pita s)pite s)pim) s)pite s)p(t) dr|jati dr|j\ dr|ji{i dr|jit) dr|jiv: dr|jita dr|jite dr|jim) dr|jite dr|j(t) tr|p:ti tr|pl+ tr|pi{i tr|pit) tr|piv: tr|pita tr|pite tr|pim) tr|pite tr|p(t) s)pi s)pi s)piv: s)pita dr|ji dr|ji dr|jiv: dr|jita tr|pi tr|pi tr|piv: tr|pita s)pim) s)pite dr|jim) dr|jite tr|pim) tr|pite s)p( s)p( s)p(}i s)pah) s)pa s)pa s)pahov: s)pasta s)paste s)pahom) s)paste s)pa{( dr|j( dr|j( dr|j({i dr|jim), -o, -a dr|jah) dr|ja dr|ja dr|jahov: dr|jasta dr|jaste dr|jahom) dr|jaste dr|ja{( tr|p( tr|p( tr|p(}i tr|pim), -o, -a tr|p:h) tr|p: tr|p: tr|p:hov: tr|p:sta tr|p:ste tr|p:hom) tr|p:ste tr|p:{( 280 Appendice 2 infinito sg imperfetto du pl participio passato attivo participio perfetto mnf participio passato passivo m n f supino 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª m n f s)pati s)paah) s)paa{e s)paa{e s)paahov: s)paa{eta s)paa{ete s)paahom) s)paa{ete s)paah\ s)pav) s)pav) s)pav){i s)pal), -o, -a s)pat) dr|jati dr|jaah) bdr|jaa{e dr|jaa{e dr|jaahov: dr|jaa{eta dr|jaa{ete dr|jaahom) dr|jaa{ete dr|jaah\ dr|jav) dr|jav) dr|jav){i dr|jal), -o, -a dr|ja¢), -o, -a dr|jat) tr|p:ti tr|p:ah) tr|p:a{e tr|p:a{e tr|p:ahov: tr|p:a{eta tr|p:a{ete tr|p:ahom) tr|p:a{ete tr|p:ah\ tr|p:v) tr|p:v) tr|p:v){i tr|p:l), -o, -a tr|p:¢), -o, -a tr|p:t) 19. Coniugazione dei verbi tematici con tema del presente in -i-: hoditi , hvaliti e prositi infinito sg presente du pl sg imperativo du 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 hoditi hojd\ hodi{i hodit) hodiv: hodita hodite hodim) hodite hod(t) hvaliti hval+ hvali{i hvalit) hvaliv: hvalita hvalite hvalim) hvalite hval(t) prositi pro{\ prosi{i prosit) prosiv: prosita prosite prosim) prosite pros(t) hodi hodi hodiv: hodita hvali hvali hvaliv: hvalita prosi prosi prosiv: prosita 281 Tavole morfologiche infinito pl participio presente attivo participio presente passivo m n f sg aoristo sigmatico I du pl sg imperfetto du pl participio passato attivo participio perfetto m n f participio passato passivo supino 1ª 2ª 3ª m n f 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3ª 1ª 2ª 3 1ª 2ª 3ª m n f hoditi hodim) hodite hvaliti hvalim) hvalite prositi prosim) prosite hod( hod( hod(}i hval( hval( hval(}i pros( pros( pros(}i hvalim), -o, -a prosim), -o, -a hodih) hodi hodi hodihov: hodista hodiste hodihom) hodiste hodi{( hojdaah) hojdaa{e hojdaa{e hojdaahov: hojdaa{eta hojdaa{ete hojdaahom) hojdaa{ete hojdaah\ hodiv) hodiv) hodiv){i hvalih) hvali hvali hvalihov: hvalista hvaliste hvalihom) hvaliste hvali{( hvalqah) hvalqa{e hvalqa{e hvalqahov: hvalqa{eta hvalqa{ete hvalqahom) hvalqa{ete hvalqah\ hval∞| hval∞| hval∞| {i prosih) prosi prosi prosihov: prosista prosiste prosihom) prosiste prosi{( pro{aah) pro{aa{e pro{aa{e pro{aahov: pro{aa{eta pro{aa{ete pro{aahom) pro{aa{ete pro{aah\ pro{| pro{| pro{|{i hodil), -o, -a hvalil), -o, -a prosil), -o, -a hval&¢), -o, -a pro{e¢), -o, -a hvalit) prosit) hodit) 282 Appendice 2 20. Participio presente attivo (tema del presente e/o) m N G D A L S NA GL DS N G D A L S ¢es¨ ¢es\}a/: ¢es\}</ou ¢es\}| ¢es\}i ¢es\}em| ¢es\}a/: ¢es\}</ou ¢es\}ema ¢es\}e ¢es\}| ¢es\}em) ¢es\}( ¢es\}ih) ¢es\}i n ¢es¨ ¢es\}a/: ¢es\}</ou ¢es\}e ¢es\}i ¢es\}em| ¢es\}i ¢es\}</ou ¢es\}ema ¢es\}a ¢es\}| ¢es\}em) ¢es\}a ¢es\}ih) ¢es\}i f ¢es\}i ¢es\}( ¢es\}i ¢es\}\ ¢es\}i ¢es\}e+ ¢es\}i ¢es\}</ou ¢es\}ama ¢es\}( ¢es\}| ¢es\}am) ¢es\}( ¢es\}ah) ¢es\}ami 21. Participio presente attivo di forma articolata (tema del presente e/o) m N G D A L S NA GL DS N G D A L S ¢es¨i ¢es\}a&go ¢es\}<&mou ¢es\}ii ¢es\}iim| ¢es\}iim| ¢es\}aq ¢es\}<< ¢es\}iima ¢es\}ei ¢es\}iih) ¢es\}iim) ¢es\}(` ¢es\}iih) ¢es\}iimi n ¢es\}e& ¢es\}a&go ¢es\}<&mou ¢es\}e& ¢es\}iim| ¢es\}iim| ¢es\}ii ¢es\}<< ¢es\}iima ¢es\}aq ¢es\}iih) ¢es\}iim) ¢es\}aq ¢es\}iih) ¢es\}iimi f ¢es\}iq ¢es\}(` ¢es\}ii ¢es\}\+ ¢es\}ii ¢es\}e+ ¢es\}ii ¢es\}<< ¢es\}iima ¢es\}(` ¢es\}iih) ¢es\}iim) ¢es\}(` ¢es\}iih) ¢es\}iimi 283 Tavole morfologiche 22. Participio presente attivo (tema del presente je/jo) N G D A L S NA GL DS N G D A L S m n f æ¢a` æ¢a+}a/: æ¢a+}</ou æ¢a+}| æ¢a+}i æ¢a+}em| æ¢a+}a/: æ¢a+}</ou æ¢a+}ema æ¢a+}e æ¢a+}| æ¢a+}em) æ¢a+}( æ¢a+}ih) æ¢a+}i æ¢a` æ¢a+}a/: æ¢a+}</ou æ¢a+}e æ¢a+}i æ¢a+}em| æ¢a+}i æ¢a+}</ou æ¢a+}ema æ¢a+}a/: æ¢a+}| æ¢a+}em) æ¢a+}a/: æ¢a+}ih) æ¢a+}i æ¢a+}i æ¢a+}( æ¢a+}i æ¢a+}\ æ¢a+}i æ¢a+}e+ æ¢a+}i æ¢a+}</ou æ¢a+}ama æ¢a+}( æ¢a+}| æ¢a+}am) æ¢a+}( æ¢a+}ah) æ¢a+}ami 23. Participio presente attivo di forma articolata (tema del presente je/jo) m N G D A L S NA GL DS N G D A L S æ¢a`i æ¢a+}a&go æ¢a+}<&mou æ¢a+}ii æ¢a+}iim| æ¢a+}iim| æ¢a+}aq æ¢a+}<< æ¢a+}iima æ¢a+}ei æ¢a+}iih) æ¢a+}iim) æ¢a+}(` æ¢a+}iih) æ¢a+}iimi n æ¢a+}e& æ¢a+}a&go æ¢a+}<&mou æ¢a+}e& æ¢a+}iim| æ¢a+}iim| æ¢a+}ii æ¢a+}<< æ¢a+}iima æ¢a+}aq æ¢a+}iih) æ¢a+}iim) æ¢a+}aq æ¢a+}iih) æ¢a+}iimi f æ¢a+}iq æ¢a+}(` æ¢a+}ii æ¢a+}\+ æ¢a+}ii æ¢a+}e+ æ¢a+}ii æ¢a+}<< æ¢a+}iima æ¢a+}(` æ¢a+}iih) æ¢a+}iim) æ¢a+}(` æ¢a+}iih) æ¢a+}iimi 284 Appendice 2 24. Participio presente attivo (tema del presente i) N G D A L S NA GL DS N G D A L S m n f hval( hval(}a/q hval(}</ou hval(}| hval(}i hval(}em| hval(}a/: hval(}</ou hval(}ema hval(}e hval(}| hval(}em) hval(}( hval(}ih) hval(}i hval( hval(}a/q hval(}</ou hval(}e hval(}i hval(}em| hval(}i hval(}</ou hval(}ema hval(}a/: hval(}| hval(}em) hval(}a/: hval(}ih) hval(}i hval(}i hval(}( hval(}i hval(}\ hval(}i hval(}e+ hval(}i hval(}</ou hval(}ama hval(}( hval(}| hval(}am) hval(}( hval(}ah) hval(}ami 25. Participio presente attivo di forma articolata (tema del presente i) m N G D A L S NA GL DS N G D A L S hval(i hval(}a&go hval(}<&mou hval(}ii hval(}iim| hval(}iim| hval(}aq hval(}<< hval(}iima hval(}e hval(}| hval(}em) hval(}( hval(}ih) hval(}i n hval(}e& hval(}a&go hval(}<&mou hval(}e& hval(}iim| hval(}iim| hval(}ii hval(}<< hval(}iima hval(}a/: hval(}| hval(}em) hval(}a/: hval(}ih) hval(}i f hval(}iq hval(}(` hval(}ii hval(}\+ hval(}ii hval(}e+ hval(}ii hval(}<< hval(}iima hval(}( hval(}| hval(}am) hval(}( hval(}ah) hval(}ami 285 Tavole morfologiche 26. Participio passato attivo (tema del presente e/o) m N G D A L S NA GL DS N G D A L S ¢es) ¢es){a/: ¢es){</ou ¢es){| ¢es){i ¢es){em| ¢es){a/: ¢es){</ou ¢es){ema ¢es){e ¢es){| ¢es){em) ¢es){( ¢es){ih) ¢es){i n ¢es) ¢es){a/: ¢es){</ou ¢es){e ¢es){i ¢es){em| ¢es){i ¢es){</ou ¢es){ema ¢es){a ¢es){| ¢es){em) ¢es){a ¢es){ih) ¢es){i f ¢es){i ¢es){( ¢es){i ¢es){\ ¢es){i ¢es){e+ ¢es){i ¢es){</ou ¢es){ama ¢es){( ¢es){| ¢es){am) ¢es){( ¢es){ah) ¢es){ami 27. Participio passato attivo di forma articolata (tema del presente e/o) m N G D A L S NA GL DS N G D A L S ¢es¨i ¢es){a&go ¢es){<&mou ¢es){ii ¢es){iim| ¢es){iim| ¢es){aq ¢es){<< ¢es){iima ¢es){ei ¢es){iih) ¢es){iim) ¢es){(` ¢es){iih) ¢es){iimi n ¢es){e& ¢es){a&go ¢es){<&mou ¢es){e& ¢es){iim| ¢es){iim| ¢es){ii ¢es){<< ¢es){iima ¢es){aq ¢es){iih) ¢es){iim) ¢es){aq ¢es){iih) ¢es){iimi f ¢es){iq ¢es){(` ¢es){ii ¢es){\+ ¢es){ii ¢es){e+ ¢es){ii ¢es){<< ¢es){iima ¢es){(` ¢es){iih) ¢es){iim) ¢es){(` ¢es){iih) ¢es){iimi 286 Appendice 2 28. Participio passato attivo (tema del presente je/jo) N G D A L S NA GL DS N G D A L S m n f æ¢av) æ¢av){a/: æ¢av){</ou æ¢av){| æ¢av){i æ¢av){em| æ¢av){a/: æ¢av){</ou æ¢av){ema æ¢av){e æ¢av){| æ¢av){em) æ¢av){( æ¢av){ih) æ¢av){i æ¢av) æ¢av){a/: æ¢av){</ou æ¢av){e æ¢av){i æ¢av){em| æ¢av){i æ¢av){</ou æ¢av){ema æ¢av){a/: æ¢av){| æ¢av){em) æ¢av){a/: æ¢av){ih) æ¢av){i æ¢av){i æ¢av){( æ¢av){i æ¢av){\ æ¢av){i æ¢av){e+ æ¢av){i æ¢av){</ou æ¢av){ama æ¢av){( æ¢av){| æ¢av){am) æ¢av){( æ¢av){ah) æ¢av){ami 29. Participio passato attivo di forma articolata (tema del presente je/jo) m N G D A L S NA GL DS N G D A L S æ¢av¨i æ¢av){a&go æ¢av){<&mou æ¢av){ii æ¢av){iim| æ¢av){iim| æ¢av){aq æ¢av){<< æ¢av){iima æ¢av){ei æ¢av){iih) æ¢av){iim) æ¢av){(` æ¢av){iih) æ¢av){iimi n æ¢av){e& æ¢av){a&go æ¢av){<&mou æ¢av){e& æ¢av){iim| æ¢av){iim| æ¢av){ii æ¢av){<< æ¢av){iima æ¢av){aq æ¢av){iih) æ¢av){iim) æ¢av){aq æ¢av){iih) æ¢av){iimi f æ¢av){iq æ¢av){(` æ¢av){ii æ¢av){\+ æ¢av){ii æ¢av){e+ æ¢av){ii æ¢av){<< æ¢av){iima æ¢av){(` æ¢av){iih) æ¢av){iim) æ¢av){(` æ¢av){iih) æ¢av){iimi 287 Tavole morfologiche 30. Participio passato attivo (tema del presente i) N G D A L S NA GL DS N G D A L S m n f hval∞| hval∞| {a/q hval∞| {</ou hval∞| {| hval∞| {i hval∞| {em| hval∞| {a/: hval∞| {</ou hval∞| {ema hval∞| {e hval∞| {| hval∞| {em) hval∞| {( hval∞| {ih) hval∞| {i hval∞| hval∞| {a/q hval∞| {</ou hval∞| {e hval∞| {i hval∞| {em| hval∞| {i hval∞| {</ou hval∞| {ema hval∞| {a/: hval∞| {| hval∞| {em) hval∞| {a/: hval∞| {ih) hval∞| {i hval∞| {i hval∞| {( hval∞| {i hval∞| {\ hval∞| {i hval∞| {e+ hval∞| {i hval∞| {</ou hval∞| {ama hval∞| {( hval∞| {| hval∞| {am) hval∞| {( hval∞| {ah) hval∞| {ami 31. Participio passato attivo di forma articolata (tema del presente i) m N G D A L S NA GL DS N G D A L S hval∞| i hval∞| {a&go hval∞| {<&mou hval∞| {ii hval∞| {iim| hval∞| {iim| hval∞| {aq hval∞| {<< hval∞| {iima hval∞| {ei hval∞| {iih) hval∞| {iim) hval∞| {(` hval∞| {iih) hval∞| {iimi n hval∞| {e& hval∞| {a&go hval∞| {<&mou hval∞| {e& hval∞| {iim| hval∞| {iim| hval∞| {ii hval∞| {<< hval∞| {iima hval∞| {aq hval∞| {iih) hval∞| {iim) hval∞| {aq hval∞| {iih) hval∞| {iimi f hval∞| {iq hval∞| {(` hval∞| {ii hval∞| {\+ hval∞| {ii hval∞| {e+ hval∞| {ii hval∞| {<< hval∞| {iima hval∞| {(` hval∞| {iih) hval∞| {iim) hval∞| {(` hval∞| {iih) hval∞| {iimi manuali Biomedica Policicchio F., Lineamenti di infrastrutture ferroviarie Branchi R., Le impronte nel paziente totalmente edentulo Umanistica Rossetti R., Manuale di batteriologia clinica. Dalla teoria alla pratica in Bertini F., Risorse, conflitti, continenti e nazioni. Dalla rivoluzione industriale laboratorio alle guerre irachene, dal RisorgimenRucci L., Testo Atlante di embriologia to alla conferma della Costituzione clinica della Laringe. La chirurgia repubblicana conservativa compartimentale della Bombi A.S., Pinto G., Cannoni E., Pictoregione glottica rial Assessment of Interpersonal Relationships (PAIR). An analytic Scienze system for understanding children’s Bart J.C.J., Polymer Additive Analytics. drawings Industrial Practice and Case Studies Caramelli D., Antropologia molecolare. Borello E., Mannori S., Teoria e tecnica delle comunicazioni di massa Manuale di base Scialpi A., Mengoni A. (a cura di), La Brandi L., Salvadori B., Dal suono alla parola. Percezione e produzione del PCR e le sue varianti. Quaderno di linguaggio tra neurolinguistica e laboratorio psicolinguistica Simonetta M.A., Short history of Biology from the Origins to the 20th Century Coniglione F., Lenoci M., Mari G., Polizzi G. (a cura di), Manuale di base di StoSpinicci R., Elementi di chimica ria della filosofia Spinicci R., Elementi di chimica (nuova Marcialis N., Introduzione alla lingua edizione) paleoslava Michelazzo F., Nuovi itinerari alla scoScienze Sociali perta del greco antico. Le strutture Ciampi F., Fondamenti di economia e gefondamentali della lingua greca: fostione delle imprese netica, morfologia, sintassi, semantiGiovannini P. (a cura di), Teorie socioloca, pragmatica giche alla prova Maggino F., L’analisi dei dati nell’inda- Peruzzi A., Il significato inesistente. Lezioni sulla semantica gine statistica. Volume 1. La realizzazione dell’indagine e l’analisi prelimi- Peruzzi A., Modelli della spiegazione scientifica nare dei dati Maggino F., L’analisi dei dati nell’indagi- Sandrini M.G., Filosofia dei metodi induttivi e logica della ricerca ne statistica. Volume 2. L’esplorazione Trisciuzzi L., Zappaterra T., Bichi L., Tedei dati e la validazione dei risultati nersi per mano. Disabilità e formaMagliulo A., Elementi di economia del zione del sé nell’autobiografia turismo Visentini L., Bertoldi, M., Conoscere le organizzazioni. Una guida alle prospettive analitiche e alle pratiche gestionali Scienze Tecnologiche Borri C., Pastò S., Lezioni di ingegneria del vento Borri C., Betti M., Marino E., Lectures on Solid Mechanics Gulli R., Struttura e costruzione / Structure and Construction