MARK TOBEY
News Letter di ONE COUNTRY – Volume 9, Issue 4 / January – March 1998
“MIEI, SONO, L’ORIENTE, L’OCCIDENTE, SCIENZA, RELIGIONE, CITTA’, SPAZIO
E FARE UN QUADRO”.
Mark Tobey
Mostra al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia.
Retrospettiva di un’esibizione a Madrid
11 Novembre 1997 – 12 Gennaio 1998.
Di Brad Pokorny
Ad eccezione forse dei fondatori delle grandi religioni mondiali, nessuno su questo pianeta terra
può dire di comprendere pienamente la natura e la composizione del mondo spirituale. Questo non
ha però impedito alla gente di cercare di comunicare la propria visione di ciò.
Tali tentativi si trovano nei vetri colorati delle grandi cattedrali d’Europa, nella complessa filigrana
dei tappeti di preghiera persiani o nei toni meditativi dei canti buddisti – per menzionare alcune
delle umili espressioni della realtà spirituale attraverso la storia.
Quale è l’equivalente moderno? Dove possiamo trovare l’espressione di una nuova visione
spirituale – una capace di ispirare profondi sentimenti – nella nostra età moderna, tecnologica e
secolare? Vi è qualcuno che ha catturato il clima contemporaneo di un incrocio di culture,
interdipendenza e unità che certamente caratterizza oggi la più alta espressione di valori spirituali?
Vi sono certamente molti artisti, musicisti ed architetti che stanno cercando di realizzare questa
visione. Un individuo il cui lavoro potrebbe essere sicuramente un punto di partenza in tale
contesto, è il pittore Americano Mark Tobey.
Tobey - nato nel Wisconsin, USA, nel 1890 e trapassato in Svizzera nel 1976 ha visto negli ultimi
anni crescere il suo riconoscimento, apprezzamento che ha forse raggiunto il suo punto più alto
nella esibizione retrospettiva nel prestigioso Museo Nacional Centro de Arte Sofia dal Novembre
1997 al 12 Gennaio 1998.
L’esibizione ha visto esposte circa 130 opere provenienti da 56 diverse collezioni che hanno
coperto il periodo 1924 – 1975, virtualmente l’intera produzione della vita produttiva di Mark
Tobey. La mostra ha visto esposti lavori all’olio, acquarello, carbone e tempera ed ha cercato con le
parole del catalogo di esplorare il complesso mondo pittorico di Mark Tobey, ma ha anche di
catturare e trasmettere il profondo emozionante e, dobbiamo aggiungere, “spirituale” contenuto
della sua visione.
Tobey è naturalmente famoso per la produzione della così detta “scrittura bianca” – una
sovrapposizione di simboli calligrafici bianchi o leggermente colorati su un piano astratto che è a
sua volta composto da migliaia colpi di pennello incrociati. Questa tecnica, a sua volta, ha dato
origine al tipo di pittura “All over” resa famosa da Jackson Pollock, un altro pittore Americano a cui
viene spesso paragonato Mark Tobey. (Un saggio di Jydith S. Kays, pubblicato nel catalogo della
mostra stabilisce con un certo grado di certezza che Pollock conosceva la pittura di Tobey ed è stato
probabilmente influenzato prima che Pollock stesso cominciò a operare nello stile ‘All-Over’,
qualcosa che precedentemente gli storici dell’arte avevano trascurato.)
La mostra di Madrid ha mostrato molti esempi dei due stili da Broadway Norm (1935) agli ultimi
lavori quali White Writing (1951), Shadow Spirits of the Forest (1961) e River Fof (1970)
Un esame dettagliato dei lavori mostrati a Madrid ci dicono anche molto sul tentativo di Mark
Tobey di esprimere la sua visione della realtà spirituale. In superficie, questa intenzione può essere
semplicemente compresa dai titoli di molte delle sue opere: Meditative Series I (1954); Fragments
in Time and Space (1956); Prophetic Nights (1956); Misterious Light (1958); Prophetic Light Dawn
(1958).
Anche dove i titoli non indicano un tema specificatamente spirituale, la luminosità, la complessità e
la natura eterea dei quadri stessi si combinano per portare lo spettatore in un luogo totalmente
differente.
Prendiamo ad esempio, New Crescent (1953). A prima vista, questa pittura a tempera - fatta
predominentemente in Giallo-verdi e bianco su uno sfondo scuro - sembra essere una astrazione
piuttosto piatta e monotona nello stile ‘All-Over’. Nonostante ciò, un attento studio mette in
evidenza che il lavoro è fatto a strati successivi con molte aree dai lembi radianti e profondità
luminosa. Potrebbe essere meglio descritto come scintillio con i colori del chiaro di luna. Dopo un
po’ gli spettatori possono essere trascinati dentro un'altra dimensione.
Al di là di questi elementi di spiritualità mistica o tradizionale vi è anche un modo nel quale i titoli e
i quadri stessi operano in concerto per esprimere nuove idee spirituali per quest’epoca.
Prendiamo ad esempio Red Man, White Man, Black Man (1945) che, date le credenze religiose di
Tobey, deve essere sicuramente compreso come una espressione dell’unità del genere umano. Quasi
interamente astratto con i lineamenti calligrafici di ‘scrittura bianca’. Sembra creare una maglia di
interconnessione che unisce impercettibilmente figure umane che popolano alcune regioni della
tela.
Considerando quattro quadri presentati nella mostra estratti dalla serie ‘Above the Earth’, realizzati
fra il 1953 e il 1956 che rappresentano una porzione di un circolo in cielo (presumibilmente la
Terra), essi sembrano antesignani delle famose fotografie che sarebbero state scattate un decennio
più tardi dagli astronauti, che fanno vedere la Terra in tutta la sua unità.
Tali temi sono Bahá'í e sappiamo che Tobey era, sin dalla data dell’accettazione della Fede nel 1918
un suo attivo membro sino alla sua morte. Storici e critici d’arte di varia origine sono concordi che
Tobey fosse enormemente influenzato dalla sua credenza religiosa e che egli cercava di esprimere
alcuni suoi elementi nella sua pittura.
“Il pensiero Bahá'í ha influenzato Tobey con principi estetici, sociali e religiosi” ha scritto William
C. Seituz, Amministratore delle Mostre di Pittura e Scultura del Museo di Arte Moderna di New
York quando nel 1962/3 furono esposti i lavori di Tobey. “Egli ha spesso dichiarato che non può
essere frattura tra natura, arte, scienza, religione e vita personale…poche religioni…hanno dato a
questo concetto dell’unità una tale appuntita enfasi e pochi artisti moderni hanno trattato ciò così
esplicitamente come ha fatto Tobey.”
Il significato della sua Fede in relazione all’arte è qualcosa che lo stesso Tobey ha riconosciuto in
molte occasioni. Egli scrisse nel 1934: “La radice di tutte le religioni dal punto di vista Bahá'í è
basata sulla teoria che l’uomo arriverà gradualmente a comprendere l’unità del mondo e l’unità del
genere umano. Essa insegna che tutti i profeti sono essenzialmente uno - che la scienza e la
religione sono le due grandi forze che debbono essere in equilibrio se l’uomo deve essere maturo. Io
sento che il mio lavoro è stato influenzato da questi credo. Io ho cercato di decentralizzare, di
compenetrare in modo che alcune parti della mia pittura esprimessero dei valori …Miei, sono,
l’Oriente, l’Occidente, scienza, religione, città, spazio e scrivere un quadro.”
Nella sua vita, Tobey ha vissuto come un cittadino del mondo, rifuggendo ogni nozione che egli
fosse un pittore “Americano”. Egli ha speso la sua gioventù nel Midwest Americano e poi ha
iniziato a lavorare in modo intermittente a New York nel 1913. Nel 1923 si spostò a Seattle
nell’America del Nord Ovest. Negli anni 20 fece numerosi viaggi in Europa e nel Medio Oriente ed
ha vissuto per un pò di tempo in Inghilterra. Nel 1934 andò in Cina e Giappone dove rimase per
molti mesi in un monastero Zen vicino a Kyoto. Dopo la seconda guerra mondiale continuò a vivere
e lavorare a Seattle ma nel 1960 si spostò a Basilea in Svizzera.
Kosme de Baravano uno dei curatori della mostra lo caratterizza in questo modo: “Migrando da
continente a continente come un infaticabile volatile in cerca di stagioni propizie gettando il suo
sguardo su tutte le culture, Mark Tobey fu uno dei pochi artisti del 20° secolo che era veramente
cosmopolita ed in realtà all’avanguardia. Oltre ad essere un pioniere dell’astrazione Americana egli
era uno studioso di calligrafia Orientale e tempera Rinascimentale.
Ferran Roca Bon un pittore contemporaneo di Barcellona che è pure Bahá'í ha parlato recentemente
di Tobey durante una intervista. “Egli era una persona molto sensibile, autodidatta, cosmopolita,
spirituale. Si era aperto alla spiritualità e scoprì la sensibilità e raffinatezza dell’Oriente e grazie alla
Fede Bahá'í egli scoprì la magia della “calligrafia”.
Il Sig. Roca Bon ha detto di credere che in realtà la ‘Scrittura Bianca’ di Tobey si era ispirata allo
stile calligrafico Arabo che è evidente nelle Lettere e Tavole originali di Bahá’u’lláh il fondatore
della Fede Bahá'í la cui proficua rivelazione era stata spesso trascritta rapidamente da segretari
speciali, creando qualcosa come una composizione ‘All-Over’ nella sua forma iniziale.
“Molti artisti hanno usato tale “pittografia” per esprimere se stessi – Mirò, Klee o altri. Tobey però,
ebbe quel vantaggio unico di conoscere il valore mistico della ‘Calligrafia’. Mark Tobey era
conscio che va creando arte mistica.”
Tobey ha avuto il riconoscimento internazionale per il suo lavoro, alla fine della sua vita. Egli
divenne il primo Americano, dopo James Abbot Whistler (1834 – 1903), a vincere il “Painting
Prize” alla Biennale di Venezia, nel 1959. Nel 1961 tenne una mostra retrospettiva al Louvre di
Parigi, un tributo straordinario al lavoro di un artista vivente. Queste pietre miliari sono state seguite
da una grande personale nel Museo di Arte Moderna di New York nel 1974 ed un'altra mostra alla
‘Collezione Nazionale di arti pregiate a Washington’ che fa parte del Smithsonian Institution.
Critici e storici dell’arte negli Stati Uniti sono stati per molto tempo incerti di come classificare
Mark Tobey. Molti diedero il maggior credito a Pollok per la creazione dello stile ‘All-Over’. Altri
hanno suggerito che l’Internazionalismo di Tobey ed anche la sua Religione lo tennero lontano dai
circoli delle correnti artistiche contemporanee.
Possiamo augurarci che l’esibizione di Madrid ed il suo Rilevante catalogo renderanno giustizia a
questo idea di sott’apprezzamento. Certamente essa ha rivelato che Tobey, mentre sfidava la
categoria, deve essere considerato come uno degli artisti più innovativi e più autorevoli del 20°
secolo.
Testi tratti dal libretto pubblicato da:
Movimento – Arte contemporanea – Vol 2 – ‘I grandi maestri’
SENZA CONFINI
di Victoria Fernández
La pittura informale continua ad esercitare il suo fascino perché ci lascia raccontare della
possibilità di dilatare aree e superfici nello spazio. In questo mondo, a Mark Tobey spetta
un ruolo particolare. Lo spazio dei suoi quadri rivela infatti una mancanza di gravità che
induce a dimenticare il foglio, il rettangolo, l'area e la superficie.
Lo sguardo si concentra sul confine tra il nostro spazio e il luogo dell'immagine. Esso
segue il volo delle linee e delle morbide aree. Più simbolo che persona, più movimento che
corpo, come in una rapida, scrittura figure si imprimono su uno sfondo, la cui veloce
applicazione tradisce ancora una volta il gesto pittorico dell'autore, essa racconta la sua
condizione fluttuante in quei luoghi continuamente reinventati dall'artista il quale annulla
le superfici nel momento in cui le registra. I suoi impulsi fatti di sottili pennellate
incrociano la superficie pittorica ed il pennello ora fortemente trattenuto ora rilasciato con
grande vigore crea un susseguirsi di immagini le une accanto alle altre in innumerevoli
varianti formando spazi che non conoscono limiti o confine alcuno. Aree di colori
trasparenti si addossano una all'altra, paragonabili a tessere di mosaico o pietre di
lastricato irregolarmente posate, esse si diffondono verso tutte le direzioni, addensando il
foglio fino a fari o diventare un morbido tappeto in uno spazio non calcolabile.
Tobey ha il merito riconosciuto di essere stato il primo a superare il concetto di spazio
organizzato secondo una prospettiva centralizzata. Lui, che ha viaggiato in tutto il mondo
ma che è stato capito ed è arrivato al successo internazionale solo negli anni della
maturità. ha spalancato alla pittura una finestra capace di cogliere l'universale attraverso
sottili riferimenti al mondo reale. Quando a metà degli anni '30, fuse le sue vedute
cittadine con la leggera pennellata della calligrafia asiatica, non mirava alla unificazione
delle due arti, ma questo gli consentì di dipingere la ressa e la confusione delle grandi
città, l'intrecciarsi delle luci ed i movimenti di persone impigliate nelle maglie della
quotidianità. Le stesse maglie che in un periodo successivo diventano strutture alla base
non solo delle città, bensì di ciascun organismo, di ciascun essere vivente. In poche parole
della materia primordiale che è allo stesso tempo inizio e fine di ogni cosa.
Colma di tensione è la sua ricerca di nuovi microcosmi, verso forme di rappresentazione
vincolanti nel loro dettaglio e tuttavia aperte nella loro densità, a questo corrisponde la
conversione di Mark Tobey alla dottrina Bahá'í. Già all'età di 28 anni si era avvicinato a
quell'idea di Universalismo nella quale confluiscono tutte le religioni del mondo come
aspetti di un'unica, invariabile verità. L'interesse di Tobey non fu mai rivolto all'arte come
ad una realtà alternativa, che esuli dal mondo. L'astrazione pura, concentrata
completamente sulla legittimità delle immagini, gli era assolutamente estranea. Nella
pittura, egli includeva sempre anche il mondo dove il processo creativo era il mezzo
attraverso cui lasciar intendere la grandezza anche nella più semplice miniatura.
BIOGRAFIA
di Victoria Fernàndez
Mark Tobey nasce a Centerville,Wisconsin,l’11 dicembre 1890. Dal 1906 al 1908 frequenta
i corsi che l'Art Institute of Chicago tiene il fine settimana. Nel 1911 si trasferisce a New
York, dove lavora come illustratore di moda per la rivista "McCall's". Nel 1917 ha la prima
personale presso M. Knoedler & Co. di NewYork.
Nel 1918 si converte alla fede Bahá'í, che lo spinge a esplorare la rappresentazione dello
spirituale nell'arte. Quattro anni più tardi si trasferisce a Seattle e inizia a insegnare alla
Cornish School of Allied Arts; sempre in quell'anno incomincia a studiare la calligrafia
cinese. Nel 1925, nel primo dei suoi innumerevoli viaggi, si reca a Parigi.
Nel 1926 in Medio Oriente, incomincia a interessarsi alla scrittura persiana e araba.Tornato
a Seattle nel 1928, partecipa alla fondazione della Free and Creative Art School. Dal 1931
al 1938 è docente alla Dartington Hall, una scuola progressista nel Devonshire, in
Inghilterra; il suo incarico è intervallato da frequenti viaggi in Messico, Stati Uniti e Medio
Oriente. Nel 1934 trascorre qualche tempo in un monastero zen vicino Kyoto. Dopo questa
esperienza iniziano i lavori di "scrittura bianca", esposti per la prima volta nel 1944 alla
Willard Gallery di New York; galleria che da allora ha ospitato regolarmente le sue mostre
personali.
Nel 1938 torna a Seattle dove dipinge, insegna e studia pianoforte e teoria della musica.
In questo periodo realizza diversi quadri ispirati al mercato all'aperto di questa città. Nel
1940 e nel 1946 l'Arts Club di Chicago allestisce sue personali. Nel 1945 una sua mostra è
organizzata dal Portland Museum of Art.
Nel 1951, su invito di Josef Albers, passa tre mesi con gli studenti d'arte diplomati alla Yale
University. Nello stesso anno il Palace of the Legion of Honor di San Francisco, organizza
la sua prima mostra retrospettiva.
Nel 1955 espone alla Galerie Jeanne Bucher di Parigi. L'anno seguente è eletto membro
del National Institute of Arts and Letters e riceve un Guggenheim International Award;
premio che gli dà il successo e lo consacra artista internazionale, Nel 1957 inizia i suoi
dipinti a inchiostro Sumi. L'anno dopo riceve il premio Città di Venezia per la pittura alla
Biennale. Nel 1960 si stabilisce a Basilea, e nel 1961 è il primo pittore americano del quale
il Musée des Arts Décoratifs di Parigi organizza una personale. Da questo momento
numerose sono le sue esposizioni in tutti i paesi del mondo tra le quali per particolare
importanza si possono ricordare quelle del Museum of Modern Art di NewYork nel 1962 e
dallo Stedelijk Museum di Amsterdam nel 1966. l'ultima importante mostra retrospettiva
ha avuto luogo nel 1974 alla National Collection of Fine Arts di Washington.
l'artista muore a Basilea il24 aprile 1976.
Testo critico Ricerca biografica Organizzazione mostra Victoria Fernández
Progetto grafico Maura Fattorini
Ufficio stampa Press & Media Eleonora Tarantino
Finito di stampare Novembre 2005
Grafiche CAM
@ Copyright 2005
MOVIMENTO
arte contemporanea
Corso Magenta 96. Milano 20123.
T/F +39 02 436246
http://www.movimentoarte.it
[email protected]
Immagini della Mostra esposta in Corso Magenta 96 – Milano Ottobre 2005 - Febbraio2006
Movimento – Arte Contemporanea
Realizzatrice – Victoria Fernandez
1952 – Senza Titolo – Inchiostro e acquarello – 30.5 x 45
1961 – Senza Titolo – Gouache su carta intel – 14.7 x 21
1964 – Senza Titolo –
Gouache e inchiostro – 12.1 x 17.4
1967 – Rising Hills – Tempera e acquarello – 20.7 x 29.8
1966 – Senza Titolo – Acquarello su carta – 98 x 50
1965 – Senza Titolo – Tempera su carta – 13 x 10.3
1967 – Senza Titolo – Gouache inchiostro e acqua – 15.5 x 11
1966 – Senza Titolo – Acquarello su carta – 53 x 31
1959 – Senza Titolo – 21.3 x 35.6
Gouache su cartoncino -
1953 – Fantasy of the past.
Tempera su tavola – 57 x 63.5
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Nota di Victoria Fernandez