TRIMESTRALE DELLE ACCADEMIE DI BELLE ARTI, IDEE, TESTIMONIANZE, PROGETTI, DIDATTICA, RECENSIONI, MOSTRE, NOVITÀ. ANNO 2011 - N° 10 - EURO 6,00 Redazionale: DECORAZIONE, “DECORO” E “AZIONE” Eventi: BIENNALE DI VENEZIA PREMIO NAZIONALE DELLE ARTI a BRERA Maestri storici: ANDREA CASCELLA Direttori: GASTONE MARIANI Accademie: BRERA BARI LECCE URBINO SANREMO Docenti: EDOARDO DI MAURO LEA MATTERELLA TERAPEUTICA ARTISTICA A BRERA LA DECORAZIONE E IL CORPO Fondazione Maimeri: PRIMO PREMIO MAIMERI Recensioni 10 copertina academy - Copia.indd 1 11-10-2011 9:13:30 Sostieni Academy! con pubblicità e abbonamenti rinnova il tuo abbonamento per il 2011 contattaci scrivendo a: [email protected], [email protected] versamento su c/c postale n°89424840, oppure bonifico bancario intestato a: Editrice L’Immagine srl - UNICREDIT BANCA DI ROMA SPA - Molfetta IBAN: IT 36 Z 03002 41560 000010242187 10 copertina academy - Copia.indd 2 11-10-2011 9:13:34 Sommario ragionato di Elisabetta Longari Un sommario ragionato se è davvero ragionato di questi tempi non può che avere toni amari e un po’ catastrofisti. Academy resiste mentre assistiamo per “privilegio d’anagrafe” al tramonto della civiltà occidentale e ci impoveriamo progressivamente da ogni punto di vista. Poiché la prima a soffrire della crisi è proprio la cultura, quell’insieme di ricerche di senso che rendono vivibile la vita, registriamo intorno a noi un cimitero in cui la salma milanese eccellente è la Fondazione Pomodoro, aperta nel 2005 e che ha svolto una notevole attività espositiva. Un Requiem che non avremmo mai voluto recitare e che ci fa presagire altri fallimenti tra cui l’aborto di un sogno che ci riguarda ancora più da vicino: il trasferimento della parte operativa dell’Accademia nella caserma di via Mascheroni, sottoposta al reperimento dei fondi necessari per i lavori di ristrutturazione; sembra impossibile che qualcuno possa far fronte alle ingenti spese, né un governo sull’orlo della bancarotta né qualche gruppo privato sensibile alla cultura, anche perché le nostre disposizioni fiscali sono diverse da quelle francesi e americane: qui, com’è noto, non sono previste agevolazioni per il mecenatismo. A A DEMY SOMMARIO NUMERO 10 / Autunno 2011 SEDE Viale Stelvio, 66 20159 Milano tel. 02 87388250 fax 02 6072609 [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE Gaetano Grillo DIRETTORE Gaetano Grillo VICE- DIRETTORE Elisabetta Longari REDAZIONE Gaetano Grillo Elisabetta Longari Melissa Provezza (segreteria di red.) GRAFICA Massimiliano Patriarca EDITRICE L’IMMAGINE SRL Zona Industriale Lotto B/12 70056 Molfetta (Ba) Italy FOTOLITO E STAMPA L’IMMAGINE AZIENDA GRAFICA SRL Via Antichi Pastifici Lotto B/12 - Z.I. 70056 Molfetta (Ba) Italy tel. +39.0803381123 fax +39.0803381251 www.limmagine.net [email protected] *Tutte le collaborazioni si intendono a titolo gratuito OF FINE ARTS ACADEMY OF FINE ARTS Iscritta al Tribunale di Trani n.3/09 Rivista fondata da Gaetano Grillo Dopo questo lungo preambolo vi espongo in linea di massima ciò che troverete nelle pagine a seguire: l’editoriale di Grillo che conferma il desiderio di partire dalla crisi per andare oltre; alcune considerazioni sulla Biennale di Venezia che è fonte di preziosi spunti in quanto esplicito specchio dei tempi; un’intervista con Lea Mattarella, giornalista per “Repubblica”, docente d’Accademia e curatrice. Questo numero pubblica inoltre una conversazione con il Direttore dell’Accademia di Brera, Gastone Mariani, che ha svolto già più della metà del suo mandato (chi sarà il suo successore?); una zoomata all’interno della Scuola di Terapeutica attiva a Brera, un contributo di Barbara Giorgis ancora sulla Decorazione, oltre alle recensioni. Buona lettura e al prossimo numero. HANNO COLLABORATO* Maria Angelastri Salvo Bitonti Francesco Correggia Michele Degan Andrea B. Del Guercio Carlo Franza Anna Fucili Barbara Giorgis Giovanni Iovane Paolo Lunanova Laura Panno Sandro Ricaldone Giuseppe Sylos Labini Tiziana Tacconi Laura Tonani Arturo Tuzzi 1 02 Redazionale di Gaetano Grillo 04 Una Biennale priva di ILLUMInazioni 08 Il Premio Nazionale delle Arti 15 Intervista a Gastone Mariani, Direttore dell’Accademia di Brera 18 Maestri storici: Andrea Cascella 22 La Terapeutica Artistica a Brera 26 La Decorazione e il Corpo 30 La Scuola di Decorazione dell’Accademia di Bari 34 La Scuola di Grafica dell’Accademia di Lecce 38 Accademia di Urbino 40 Docenti: Edoardo Di Mauro 42 Docenti: Lea Mattarella 44 Fondazione Maimeri: Primo Premio Maimeri per la Pittura 46 Accademia di Sanremo 49 Recensioni In copertina: Andrea Cascella Foto di Giuseppe Pino L’UNICA RIVISTA PERIODICA RIVOLTA ALLE ACCADEMIE DI BELLE ARTI, AI DOCENTI, AGLI STUDENTI E A TUTTI GLI OPERATORI DEL SETTORE. impaginato10.indd 1 11-10-2011 9:15:28 Foto Ranuccio Bastoni redazionale 2 impaginato10.indd 2 Due anni fa il pittore Nicola Maria Martino, allora direttore dell’Accademia di Sassari e strenuo difensore dell’insegnamento di Decorazione, aprì su questa rivista un dibattito sull’argomento. Va detto che Martino era stato prima allievo e poi assistente alla cattedra di Decorazione tenuta da Monachesi all’Accademia di Roma e ad un certo punto della sua carriera accademica ebbe l’opportunità di ottenere la cattedra di Pittura tuttavia preferì dichiaratamente continuare ad insegnare Decorazione per quella sua idea legata all’applicazione della pittura in uno spazio dato, benché egli stesso, raffinato poeta del colore, abbia poi dipinto quasi sempre su tela piuttosto che nello spazio. Molti colleghi sono intervenuti su questo tema, e li abbiamo ospitati sulle nostre pagine, ma molti di più sono quelli che, non essendo intervenuti, non hanno però mancato, in varie circostanze, di commentare la questione poiché è innegabile che negli ultimi anni questo insegnamento abbia subìto una crisi d’identità. Una delle cause dello smarrimento del senso di questo insegnamento è da cercare lontano, nel corto circuito che interruppe il rapporto classico e crociano che l’arte aveva con il “bello” da cui in parte si deve il nome “Accademia di Belle Arti” e prima ancora “Accademia delle Belle Arti”. Benedetto Croce sosteneva che il compito dell’arte non fosse quello di giudicare secondo criteri di verità e moralità ma secondo intuizione pura, distinta dal concetto che è invece compito proprio della filosofia. L’arte però si è sempre più allontanata dall’idea di bellezza classica, neoclassica, poi ancora romantica, fino a rimuovere dal proprio statuto l’idea che essa abbia a che fare con la bellezza e paradossalmente sino al punto da essere espressione del contrario, del “cattivo gusto”. Durante questo percorso di slittamento e scivolamento dalla cultura della forma verso la cultura dell’idea (ancora Duchamp), l’arte si è sempre più avvicinata al concetto, tant’è che oggi non si può comprendere l’arte contemporanea prescindendo dalla filosofia e dalle ragioni concettuali che ne determinano la ricerca. Da alcuni decenni il rapporto fra pittura e decorazione, all’interno delle accademie, è stato alterato da una sorta Vi dirò cosa penso su “DECORAZIONE” ovvero su “DECORO” e “AZIONE” di comprensibile ma ingiustificato complesso d’inferiorità della seconda nei confronti della prima, pensando che tutto ciò che rientra nell’ambito del “decorativo” abbia a che fare con l’estetica, con il lezioso mondo della bellezza esteriore ancorché con le arti applicate piuttosto che con la purezza poetica e filosofica della pittura. Di pari passo, la presunta “purezza” della pittura, nel suo processo di emulazione dell’international style e omologazione rispetto al mercato dell’arte, è slittata sempre più verso forme decorative ed estetiche, più vicine al design, alla moda e all’advertising piuttosto che al sentimento e all’intuizione pura di memoria crociana. L’arte, nella sua collaudata radice concettuale ha raffreddato le sue espressioni portandole sempre più verso il calcolo e le strategie della comunicazione, adottando sistemi visivi molto più vicini alla forma decorativa piuttosto che a quella emotiva. In contro tendenza diversi colleghi di Decorazione si sono sempre più spinti in ambiti concettuali ipotizzando percorsi didattici spesso forzatamente teorici e pretestuosi tanto da svuotare di sostanza identitaria la disciplina. Nei fatti, oggi, qualora vi fosse una vera formazione alla “Decorazione”, si aprirebbero molti sbocchi professionali e gli stessi studenti, piuttosto che rincorrere percorsi pindarici avrebbero immediato riscontro lavorativo in molti campi di applicazione. Basti pensare che tutti gli spazi lasciati liberi dai “decoratori” sono stati avidamente occupati dal design, dal fashion-design, dall’architettura, dall’arredo urbano ecc. In qualche modo il disagio nell’affrontare i linguaggi legati al “decoro” sono speculari al più grande disagio che serpeggia nel nostro tempo che sovente nega la bellezza armonica ma afferma la bellezza estetica nella forma più vacua, patinata e banale. La cultura berlusconiana dell’immagine stucchevole, artificiale, ammiccante, abbronzata, eternamente sorridente ed eternamente giovane è ormai radicata nella nostra società e adottata come modello di successo. La bellezza esteriore ha vinto su quella profonda ed espressiva, un volto costruito è “fico”, un volto vero è “sfigato”. È morta l’idea del “decoro” inteso in senso alto, il decoro del costume, il decoro del linguaggio, il decoro della coerenza, il decoro etico della vita. 11-10-2011 9:15:30 impaginato10.indd 3 nel registrare quello che accade nel sistema dell’arte ma devono in qualche modo rispondere ad esso fornendo un disegno se non alternativo, almeno diverso. Io credo che le Accademie debbano ritrovare il senso della loro funzione liberandosi dal rapporto subalterno che hanno oggi e ritrovando se stesse nella radice semantica del loro stesso nome; d’altronde noi abbiamo sempre rivendicato la parità di trattamento con i colleghi dell’università e mai abbiamo desiderato perdere l’identità della nostra istituzione. La maggior parte dei nostri colleghi che insegnano Storia dell’Arte, formatisi nelle Università, è felice di insegnare nelle Accademie (ricordo a riguardo la mia intervista a Silvia Evangelisti, pubblicata nel numero 2 di Academy) proprio perché quella disciplina da noi non resta conoscenza teorica ma si misura con la pratica dell’arte. La cultura del nostro tempo ha stabilito la supremazia della teoria, della tecnica, dell’informatica e della ricerca scientifica sull’intelligenza artistica e umanistica, ha abbandonato queste ultime aree formative a un inevitabile declino dirottando sulle prime, investimenti e speranze. Ne è scaturita una società incapace di fare e di esprimere intelligenza critica e creativa; i giovani sono inclini a emulare miti tecnologici da yes man, studiano le modalità per avere successo (altro mito), per essere accettati e inseriti (conformismo), si sono spente le passioni e con esse si sono perse la forza inventiva, la vitalità e la fertile fantasia italiana. Non ci sono più artisti autentici e originali, che si discostino dal neo manierismo internazionale, sono tutti allineati. Nel redazionale del precedente numero di Academy (intitolato “Torniamo alle Accademie”) ho già accennato a questi temi e oggi, alla ripresa dei lavori, con il nuovo anno accademico, ribadisco questi concetti con forza. Dobbiamo riappropriarci della nostra forza tornando sullo specifico del nostro terreno, senza più rincorrere il mito della teoria. La nostra forza è nel dare forma al pensiero e sulla forma si gioca il nostro futuro. Ricordo che negli anni ’60 la svolta dell’arte si è compiuta proprio attraverso il sacrificio della forma. Oggi, dopo mezzo secolo, dobbiamo riappropriarci della nostra identità per non soccombere al naufragio in corso. Questo vuol dire nuova disciplina, condivisione delle regole, vuol dire che dovremmo fare meno progetti ma tornare a parlare di didattica, di qualità, di rigore, di prestigio e anche di “aura” dell’opera. Siamo ancora in tempo per imprimere una svolta alle nostre istituzioni, per riqualificarle con il nostro impegno e purtroppo senza risorse finanziarie, ma ritrovando il senso del nostro lavoro e di conseguenza la gioia di farlo. Ripartiamo dunque dal “DECORO” inteso in senso ampio e profondo e dalla “AZIONE” intesa come nuova energia e voglia di reagire allo squallido pantano del presente. Gaetano Grillo 3 redazionale Berlusconi ci ha tanto abituati all’indecoroso spettacolo dell’affermazione della furbizia sull’intelligenza, del liberismo egoistico sulla libertà sociale, dell’arbitrio privato sul dovere pubblico, dell’individualismo sul rispetto degli individui ecc. al punto che le nuove generazioni fanno fatica anche ad immaginare modalità diverse dal presente. Mancando la cultura del “decoro” manca anche la cultura “etica”; così l’estetica ha preso il sopravvento sulla bellezza intesa in senso classico, sulla misura, sulla sobrietà, sulla disciplina. Se manca la disciplina, manca anche la conoscenza sintattica dei linguaggi e quindi cadono tutte le discriminanti; tutto diventa alla pari di tutto! La crisi babelica in corso si espande a macchia d’olio e dilaga. L’arte contemporanea nella sua affermazione orgiastica e onnivora ha introiettato qualsiasi modalità espressiva rimuovendo i ceppi primari della pittura e della scultura, alimentandosi di innumerevoli modalità espressive e sconfinando in territori tanto vasti quanto sovente usati in maniera superficiale. Ciò nonostante il sistema dell’arte accredita sul mercato fenomeni che non reggeranno nel tempo. Per ritrovare il “senso”, per ritrovare “l’etica”, per ritrovare “il decoro”, dobbiamo ripartire dalla disciplina, ovvero dalla conoscenza, dal rigore disciplinare. Solo in quel caso le Accademie tornerebbero ad avere un ruolo centrale e fondante, tanto nell’ambito dell’arte quanto in quello della formazione. Accademia per antonomasia vuol dire acquisire valori condivisi e specifici, regole, grammatica. Oggi abbiamo bisogno di nuove regole, di nuova disciplina e di ristudiare la grammatica per arginare la dilagante catastrofe semantica che sta minacciando addirittura gli equilibri planetari. Ripartiamo dunque dal “Decoro” inteso come sobria e sofisticata affermazione di un gusto alternativo al presente, come affermazione di cultura, come stile di vita, come codice di “misura”. In questo contesto anche il nostro insegnamento di “Decorazione” può trovare una centralità nuova allontanandosi dalle iperboliche teorizzazioni dell’arte contemporanea e scoprendo la bellezza del fare, riscoprendo il fascino della manualità, la sapienza delle abilità, riscoprendo materiali, applicazioni, nuove soluzioni tecnologiche, riscoprendo le passioni, i sapéri, la creatività. Le atrofizzazioni concettuali di questa disciplina la conducono verso l’anemia. Ci vuole nuovo impulso, sangue fresco, entusiasmo e coraggio di affermare quello ci può sembrare impopolare. Bisogna tornare a sporcarsi le mani e a misurarsi con la materia, i materiali e le tecniche; è finito il tempo in cui l’artista delega agli artigiani l’esecuzione del suo oggetto artistico. Basta con Duchamp, dimentichiamo Cattelan, rimettiamoci in gioco, riscopriamo il gusto dell’avventura, del coinvolgimento diretto, della sfida. Riconsideriamo “l’opera” piuttosto che “l’operazione artistica”, rischiamo in prima persona e diamo all’oggetto del nostro lavoro una nuova dimensione. Basta con la supremazia del calcolo fine a se stesso e affermiamo con vigore anche il valore della passione e della necessità di mettersi in gioco direttamente con la sapienza del fare. Noi artisti e docenti nelle Accademie siamo invisi dalle Università perché non ritenuti all’altezza dei nostri colleghi e questo soltanto perché esiste la convinzione della supremazia della teoria. Non sappiamo più “fare” e i nostri allievi “sanno fare” meno di noi; cosa saremo in futuro? Tutti intellettuali? Le Accademie non possono continuare ad essere dei porti per barche in demolizione, non possono continuare ad assecondare il disastro dilagante, non possono sclerotizzarsi 11-10-2011 9:15:30 4 Cà Corner della Regina, Venice, Facade, May 2011, Coutesy Fondazione Prada ,Photo Agostino Osio UNA BIENNALE PRIVA DI ILLUMInazioni biennale di venezia Di Elisabetta Longari Se il titolo1 è una promessa che crea legittime aspettative, questa 54ma edizione non sembra avere mantenuto l’impegno nonostante l’ostinato e inutile sforzo di trasportare le tre grandi tele del Tintoretto (L’ultima cena, Il trafugamento del corpo di San Marco e La creazione degli animali) a fare da prologo a una mostra il cui disegno complessivo è opaco e sbiadito e dove risulta pertanto difficilmente rintracciabile un filo rosso che costituisca un legante leggibile fra i diversi materiali. Peccato perché l’illusione che funzionasse davvero si era creata al principio del percorso, quando il visitatore si trovava irretito nello straordinario Spazio elastico di Gianni Colombo. Lo stesso “difetto endemico” traspare dalla mostra ospitata a Ca’ Corner della Regina, in quel Palazzo sul Canalgrande già sede dell’Archivio della Biennale Arti Visive, oggi occupato dalla collezione della Fondazione Prada: pezzi anche bellissimi e sensazionali ma il cui unico comune denominatore è l’altissima quotazione. Sembra che questo sia ormai l’unico criterio in voga quando si allestisce una mostra o si costituisce una raccolta d’arte contemporanea, allo stesso risponde infatti anche la collezione di François Pinault, con le sue prestigiose “vetrine” di Palazzo Grassi e Punta della Dogana. Certo, erano altri tempi, ma basta visitare la piccola e preziosa esposizione di una scelta di opere della collezione di Ileana Sonnabend, gallerista, prima moglie di un illustre “collega”, Leo Castelli, ma soprattutto Signora dell’arte, per capire che solo di recente è avvenuta una radicale e completa mutazione antropologica che comporta il prevalere della mentalità speculativa su qualsiasi altra istanza, travolgendo, annichilendolo, anche il concetto di gusto. impaginato10.indd 4 La Dama di gusto ne aveva appunto da vendere, e ha selezionato per sé lavori per nulla stereotipati eppure estremamente rappresentativi di autori la cui convivenza non è per niente scontata. Tornando alla rassegna veneziana, che è appunto specchio degli investimenti delle grandi potenze economiche più che riflesso di orientamenti critici ed estetici, non si può comunque affermare che non vi siano esposti anche alcuni lavori decisamente interessanti, ma diciamo che pochi tra essi hanno la forza di emergere. In un aspetto che combina scarsa autonomia linguistica e insufficienza comunicativa sta uno dei massimi punti di fragilità della mostra: una volta ritornati a casa, se si dedica un tempo all’approfondimento delle schede in catalogo, capita che si rivaluti, una volta chiaritane l’intenzionalità, la maggior parte dei lavori visti, che però, nell’esperienza diretta, non portava all’evidenza quei valori spiegati invece nei testi d’accompagnamento. Un pregio della mostra principale della rassegna è invece quello che vede abbassarsi l’età media dei partecipanti (tra gli 89 artisti invitati vi sono molti under 35). Passando a ricordare le eccellenze, spicca prima fra tutte, sulla parete di fondo dell’Arsenale, immediatamente percepibile nel costituire un sorprendente corto circuito visivo e di senso, il film The Clock (2010) che ha valso a Christian Marclay (Cal 1955) il Leone d’Oro. Espressione calzante della contemporaneità, della condizione 11-10-2011 9:15:31 o Osio Roman Opalka, OPALKA 1965 - 1 - ∞ Détail 23629311, 1 - ∞ Détail 3655214, 1 - ∞ Détail 5410693 postmoderna, The Clock (2010) è un film di 24 ore composto da un collage di più di mille sequenze cinematografiche della durata di un minuto, in cui compare un riferimento visivo, verbale o sonoro al tempo che scorre. Tempo narrato e tempo reale coincidono perché ogni indicazione d’orario presente nel film corrisponde all’ora effettiva. L’artista, DJ e VJ, spiega così l’origine del progetto che lo ha visto impegnato per tre anni: “mi sono chiesto se fosse possibile mettere insieme un film basato su frammenti di altri film dove ci sia un riferimento esplicito al tempo, un orologio, una frase, l’indicazione di un’ora di partenza e d’arrivo, e questo sull’arco di un intero giorno, da un minuto dopo mezzanotte alla mezzanotte successiva. L’idea mi stuzzicava e ho cominciato a lavorarci”. Il film in forma di mosaico nasce da un intenso lavoro d’archivio e porta a svolgere, in modo profondo e al contempo evidente, riflessioni sul tempo dell’esperienza, sul cinema, sulla citazione, sull’appropriazione2 e l’utilizzo di immagini girate da altri, sull’archivio come insieme di materiali che possono dire nel contempo dell’oggi e dell’”ora” come del passato, del dejà vue e della ciclicità del tempo. Un discorso per l’occhio sulla vita inesauribile delle immagini con un ritmo serrato e coinvolgente. Sempre negli spazi dell’Arsenale Song Dong (Pechino 1966) ha allestito Pigeon House (Poverty Gives Rise to a Desire for Change); l’opera consiste nella ricostruzione della casa degli avi, dalla tipica tipologia cinese antica, costruita anche con legni poveri e di recupero trovati per strada che per la fragilità dei materiali e la precarietà della relazione tra vuoti e pieni, ricorda il gioco dello Shangai. Anche il padiglione cinese propone un richiamo alle tradizioni e un aggancio alle radici culturali del Paese, che in questo momento vive l’onda montante di un’economia selvaggia priva di rispetto per i diritti dei lavoratori, che va di pari passo con la repressione di altri valori attraverso una rigida censura. Preferisco tacere sul Padiglione italiano, volgare specchio dei raccapriccianti tempi che stiamo attraversando (perfino l’allestimento dimostra una rozzezza e denota un’ignoranza particolare: le mostre di quartiere o quelle parrocchiali dimostrano un rispetto e una cura maggiore volta alla valorizzazione e alla leggibilità delle opere). Il padiglione italiano si è guadagnato anche il triste primato di essere l’unico anche “politicamente scorretto”: porta perfino appesi alle pareti i ritratti del curatore Sgarbi e del premier Berlusconi (come non ricordare che in altri tempi in ogni spazio di rappresentanza pubblica si trovavano le effigi del re e del duce?). Passando a considerare alcuni padiglioni nazionali presenti ai giardini, impaginato10.indd 5 5 Seguendo l’ordine alfabetico all’interno dell’elenco di gradimento ricordiamo: Austria, Belgio, Germania, Inghilterra e Spagna. Quest’ultima, sotto il titolo L’inadeguato e nel segno di un’arte relazionale che relazionale è davvero, e che si sviluppa in continuità con le più significative proposte degli anni ‘70, raccoglie e ospita per tutto la durata della manifestazione l’avvicendamento di diverse esperienze artistico-comunicative internazionali, tra cui molte azioni a carattere performativo e diversi lavori di gruppo (in particolare ricordiamo la partecipazione di Wurmkos, il laboratorio di arti visive creato da Pasquale Campanella a Sesto S. Giovanni nel 1987, uno tra i più interessanti laboratori italiani d’arte e di pensiero sull’arte). Angel Vergara, spagnolo di nascita e belga di adozione, con Feuilleton nel padiglione belga mette in evidenza la fantasmaticità delle immagini che passano sui sette schermi: per esempio su due schermi vicini troviamo da una parte l’immagine di Pasolini e dall’altra quella di Berlusconi (a rappresentare il prima e il dopo, il profeta doloroso e l’avvento della profezia); tra l’osservatore e le immagini l’invisibile mano dell’artista inizia a distribuire pennellate di pigmenti colorati che le cancellano parzialmente mentre sottolineano la presenza dello schermo e fanno montare il muro della distanza. Il padiglione tedesco, dedicato al multiforme lavoro del prematuramente scomparso artista e regista Christoph Schlingensief, è stato trasformato in una chiesa dove si officia il culto del corpo dell’arte, ancora una volta nel segno dell’inscindibile relazione tra arte e vita e sempre nel nome del grande, indimenticabile e sciamanico Joseph Beuys. Il padiglione austriaco è giocato da Markus Schinwald con carte strabilianti, capaci di raggiungere il profondo: un’installazione complessa crea una sorta di “labirinto speculare” che fraziona la percezione alterandola e mettendola in crisi in modo sostanziale. L’artista predispone un percorso dalle prospettive inquiete costellato di dipinti che sono come tanti ritratti di Dorian Gray, i cui personaggi perturbanti sporgono i loro volti intrappolati in protesi che ricordano Hannibal in il Silenzio degli Innocenti, il fortunato film di Demme. L’installazione si avvale anche di due punti riservati alla proiezione di due film “uguali ma diversi”, in cui i medesimi attori recitano nella stessa straniante location ma la trama è differente (sono uno la continuazione dell’altro? e, se sì, quale è da vedere per primo?). biennale di venezia Uno dei rari lavori pertinenti al tema dell’illuminazione è il grande gruppo scultoreo dello svizzero/newyorkese Urs Fischer (1973), una riproduzione al naturale in cera del Ratto delle Sabine di Giambologna, che, con tanto di stoppino acceso che la trasforma in un’enorme candela, indica, sotto forma di paradosso visivo, l’impossibilità in cui versa attualmente il concetto di monumento, destinato a una vita effimera e a una sparizione progressiva e veloce. la partecipazione americana si rivela già dall’esterno dell’edificio profondamente critica dal punto di vista sociale e politico: un “atleta” si allena a correre sul cingolato di un carrarmato in movimento come se fosse una tapis roulant che produce un insopportabile rumore di ferraglia. L’opera è firmata Jennifer Allora & Guillermo Calzadilla, che mettono in relazione la Biennale con i giochi olimpici e sottolineano quanto le competitive performances degli atleti e degli artisti possano essere metafora di guerre e dissidi. Tra i padiglioni nazionali ai Giardini quello francese allestito da Boltanski non stupisce e conferma la coerenza poetica dell’artista. 11-10-2011 9:15:33 strada tra l’Arsenale e i Giardini e quest’anno sede del padiglione iracheno e di quello del Bangladesh, una delle installazioni più convincenti è firmata dall’artista giapponese Chiharu Shiota; Memory of books riproduce uno studiolo con tanto di oggetti annessi, scrivania, sedie, libri, ecc... Come in un sogno o in una stanza che soggiace alle dinamiche della memoria e dell’oblio, sopra e tra i diversi elementi è cresciuta una nera ragnatela gigantesca che collega gli oggetti tra loro mentre li cancella parzialmente e li rende inaccessibili, per lo stesso motivo risulta difficilmente praticabile anche l’ambiente. Mentre Palazzo Fortuny con l’esposizione TRA ripropone una formula che è stata in passato vincente ma oggi appare stanca e svuotata (si indagano di volta in volta concetti troppo vicini e sovrapponibili, e si viene colti dal sospetto che ciò sia strumentale a fare con poco Segnalazioni veneziane. Vedova e Kiefer alla Fondazione Vedova Anselm Kiefer, l’arca alchemica dello spirito: di Elisabetta Longari di Michele Degan La Fondazione Emilio e Annabianca Vedova nei suoi affascinanti spazi, rispettati e reinventati da Renzo Piano, propone un duetto di titani: Vedova e Kiefer. La selezione delle opere di Emilio Vedova appartiene al ciclo ... in continuum, 116 tele nate tra 1987 e il 1988, molte delle quali in bianco e nero, drammatiche e coinvolgenti dal punto di vista della relazione tra l’energia della pennellata, il formato della tela, la collocazione nell’ambiente che si dinamizza e l’effetto sullo spettatore il cui spazio percettivo viene fortemente “centrifugato” a causa di questi dispositivi pittorici potentissimi; mentre Anselm Kiefer si conferma un sapiente alchimista alle prese con la trasformazione dei materiali, come spiega con maggiori dettagli la recensione che segue, firmata da un giovane artista, Michele Degan, allievo della Scuola di Nuove Tecnologie dell’ Accademia di Brera. I Magazzini del Sale fanno parte della memoria storica di Venezia. Sono un luogo preziosissimo perché è lì che si conservava un tempo il sale, principale merce di scambio della Repubblica marinara; lo spazio, caduto in disuso nel ‘900, ritrova nuova vita col restauro compiuto da Renzo Piano per conto della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova e concluso nel 2009. Oggi, nei giorni della Biennale di Venezia, i Magazzini del Sale ospitano la nuova mostra di Anselm Kiefer, “Salt of the Earth”. Anselm Kiefer rimane affascinato dai “Magazzini del sale” esattamente un anno fa e l’attrazione per questo spazio è talmente forte che decide di riprodurlo nella sua interezza nel suo studio di Croissy in Francia. Kiefer è presente a Venezia per inaugurare la sua mostra biennale venezia maestridistorici 6 L’artista che rappresenta la Gran Bretagna è Mike Nelson (1967) con l’opera I, Impostor. L’intervento sullo spazio interno del Padiglione è anche in questo caso radicale: Nelson ne stravolge l’aspetto fisico creando un ambiente claustrofobico composto da un reticolo di angusti ambienti che intrappola il visitatore nella sgradevole sensazione di essere braccato, indeciso tra il pensiero di trovarsi prigioniero tra le quinte di un teatro di guerra oppure di essere ridotto in clandestinità dentro a un rifugio (il pensiero corre per un attimo anche ad Anna Frank). Una sola cosa è certa, un senso di minaccia trasmessa anche dai cumuli di macerie distribuiti qua e là, e, nel grande caldo di giugno, anche il senso fisico di soffocamento era garantito. In uno degli spazi più affascinanti guadagnati di recente all’arte, la Fondazione Gervasuti, strategicamente situata a metà impaginato10.indd 6 11-10-2011 9:15:36 Christian Marclay, The Clock, 2010 sforzo, ovvero a variare appena l’insieme delle opere, introducendo pochi pezzi ex novo), tra gli eventi collaterali di pregio ricordiamo la mostra di Roman Opalka Il Tempo della Pittura, curata per la Galleria Michela Rizzo negli spazi di Palazzo Palumbo Fossati da Ludovico Pratesi che scrive in catalogo: << 1965. Incipit. Nel 1965 Roman Opalka decide di iniziare una nuova fase della sua ricerca legata alla rappresentazione del tempo irreversibile, cominciando a dipingere sull’angolo superiore sinistro di una telanera rettangolare, il numero uno con il colore bianco: il primo Détail, frammento di un progetto senza fine. Un gesto simbolico che avrebbe condizionato la sua intera esistenza, trascorsa a rappresentare la sequenza numerica della sua vita, scandita dal passaggio del tempo espresso attraverso una successione di cifre , che oggi ha superato il numero 5.500.000, e prosegue verso l’infinito>>. Adesso, dopo la morte dell’artista avvenuta di recente, la sua opera acquista un sapore diverso poiché sappiamo che la serie si è arrestata mentre resta intenzionalmente per sempre tendente all’infinito e la mostra diventa occasione per un melanconico saluto di e a uno degli artisti più autentici dei nostri tempi. pensata appositamente per questo spazio ricco di storia e “materia”. Usare le pareti dei Magazzini del sale come fossero una grande tela su cui continuare un percorso di stratificazione, questa era l’idea iniziale dell’artista che poi è evoluta in quello che possiamo vedere: un enorme trittico (come lo concepisce il curatore della mostra Germano Celant) che accompagna lo spettatore in un percorso quasi forzato. Questo modo di fruire la mostra, come fosse un “processo”, introduce da subito negli intenti dell’artista-alchemico che è Kiefer, “i veri alchimisti – dice – si interessano al processo più che al risultato, io stesso sono interessato al processo e quindi all’alchimia”. Il cuore dell’esposizione è rappresentato dall’opera che dà il nome al veneziano progetto di Kiefer ovvero “Das Salz Der Erde” (2011, Il sale della terra), una trentina di lastre di piombo (250x400 cm ciascuna) appese una dietro l’altra; guardandole con attenzione si nota che su di esse sono impresse delle fotografie raffiguranti il mare del Portogallo, queste sono state incollate sui supporti di piombo “immersi quindi in soluzione salina e sottoposti ad elettricità molto alta per effettuare un processo di ionizzazione”; l’idea di usare la fotografia è per Kiefer assolutamente logica in quanto essa è di per sé “un’alchimia perché si avvale di processi chimici che usano l’argento”. In questo processo Kiefer definisce la propria opera come impressionista, affermando però che lui non utilizza colori “perché non sono interessato all’illusione, mi interessa usare il materiale”. All’entrata dell’edificio è posto un forno “Athanor” (2011) e vuole essere una sorta di firma dell’artista che riassume in questo oggetto non solo le tematiche a lui care ma anche, più nello specifico, la filosofia che sta dietro alla mostra; nel vederlo, infatti, saltano subito alla mente le opere di Kiefer legate alla storia, quella della Germania della seconda guerra mondiale (tema a lui molto caro e ispiratore), è anche chiaro però che stavolta il forno si lega ai processi alchemici che utilizzano il fuoco come trasformatore della materia. Il titolo della 54ma biennale di Venezia curata da Bice Curiger si basa su un gioco di parole: da una parte la luce, dall’altra le nazioni, concetto secondo cui ancora oggi, in tempi di globalizzazione, si organizzano e presentano i materiali. 2 Su questo tema si segnala il volume Cristina Casero, Michele Guerra (a cura di), Le immagini tradotte, Diabasis, Reggio Emilia 2011. 1 Arriviamo finalmente all’ultima opera: “Arche”(2011), un’opera mastodontica che ricopre l’intera parete in fondo al magazzino; dopo aver seguito il percorso dettato dalla grande installazione di piombo che crea idealmente due navate, lo spazio si apre e la grande tela ci appare come un altare alchemico, il quadro è sormontato da un triangolo che rappresenta i tre principali elementi alchemici: zolfo, mercurio e, appunto, sale. Alla base ritroviamo il fuoco e al centro c’è il modellino di un’imbarcazione in piombo che è simbolo del “viaggio”, da intendere come percorso spirituale: un viaggio per arrivare ad una “nuova condizione dell’essere”. Michele Degan frequenta Nuove tecnologie per l’arte all’Accademia di Brera (pagina precedente) Emilio Vedova al lavoro al ciclo …in continuum, compenetrazioni/traslati ‘87/’88, Venezia 1988. Foto Fabrizio Gazzarri. (a lato) Anselm Kiefer, Arche, 2011. Foto Charles Duprat. impaginato10.indd 7 biennale di venezia Tutto gira intorno al Sale inteso come componente alchemico, è curioso, infatti, scoprire che il titolo dell’esposizione è una citazione della Bibbia riferita agli Apostoli. L’artista rivela, durante la conferenza stampa, la sua passione per l’opera di Lorenzo Lotto di cui ha studiato le Tarsie di Bergamo che riportano il suo interesse per i processi alchemici ma che unisce con elementi iconografici legati al cristianesimo; “Il Sale della Terra rappresenta la vita, il cambiamento; infatti uso l’elettrolisi che permette agli elementi di muoversi e migrare liberamente”. L’artista ci tiene ad aggiungere che lo spettatore è invitato a camminare nella sua arte attraversando lo spazio ritagliato tra le lastre di piombo. Kiefer, in questo, si ispira idealmente alla serie dei “covoni” di Monet, l’artista tedesco mette l’accento sull’importanza che ha, nella serie del pittore impressionista, lo spazio tra un’opera e quella successiva. 7 11-10-2011 9:15:38 8 PREMIO NAZIONALE DELLE ARtI Anna P Elvis S INTERVISTE In effetti è come una sorta di contraltare. Dott. CIVELLO: L’ambiente dove le opere vivono è molto sereno. invece il rapporto con il sistema esterno, noi non abbandoniamo i vincitori, anzi continuiamo a promuoverli perché sono ospitati in tutti gli eventi. Per esempio, un accordo storico è stato fatto con le gallerie romane, in occasione della “Primaverile romana” e insieme ai grandi artisti sono stati ospitati i vincitori del nostro Premio. Questo dimostra che quanto ho affermato poch’anzi. Lo stesso lo facciamo con la musica perché i nostri vincitori del Premio Nazionale girano poi nei concerti. Per esempio c’è l’accordo con l’organizzazione dei festival del jazz che per convenzione con noi, obbligatoriamente ospitano i vincitori insieme alle star. Quindi è un volano per farli conoscere. Prima facciamo nel nostro ambito una selezione di qualità interna, poi li valorizziamo nell’ambito professionale. D’altra parte la Biennale di Venezia dimostra che è stata finalizzata ai migliori diplomati degli ultimi dieci anni, questo evidenzia che il nostro lavoro non si ferma alla formazione ma va anche oltre nella valorizzazione e nella promozione. Hanno un respiro maggiore. Dott. CIVELLO: L’altro è una baraonda. Prof. Arch. Giuseppe Furlanis Non sarebbe interessante se il Premio si potesse aprire maggiormente al sistema dell’arte contemporanea, grazie ad una connessione più serrata col mondo delle professioni, a un coinvolgimento più diretto degli addetti ai lavori (critici, galleristi, direttori di Museo), ma anche delle Università? In effetti il Premio – come dicevo questa mattina [durante la conferenza stampa, N.d.R.] – è nato come vetrina dei nostri migliori studenti perché vogliamo dimostrare all’opinione pubblica, all’esterno, qual è il valore del nostro sistema formativo. Per quanto riguarda poi Qual è il peso del Premio Nazionale delle Arti all’interno del sistema AFAM? Perché non aprire questo Premio a possibili collaborazioni con le Università? Pensiamo per esempio all’attività della Bocconi con la sua Art Gallery… Il Premio Nazionale delle Arti è un’iniziativa non è solo legato all’ambito delle arti visive ma è aperto a tutti gli indirizzi artistici: in a cura di Melissa Provezza, venerdì 17 giugno 2011 Dott. Giorgio Bruno Civello il pna a storici brera maestri Direttore Generale per l’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica - AFAM FURLANIS (rivolgendosi al Dott. CIVELLO parlando della Biennale) Sa che lei è anche una giovane artista presente al Padiglione Accademie?! Dott. CIVELLO: Ah! Bello quel Padiglione! Tutti l’hanno ammirato; ho visto gli articoli che fanno il paragone col Padiglione Italia. Anzi ho letto un articolo che dice: “se poi volete ricrearvi andate a vedere…”. A dire il vero diceva: “è proposto sempre da Sgarbi, ma è bellissimo”. impaginato10.indd 8 Presidente del Consiglio Nazionale per l’Alta Formazione Artistica e Musicale - CNAM 11-10-2011 9:15:42 Anna Pipino, Visione 9 Elvis Spadoni, Yes I now my way, 2011, pastelli su tavola, cm 170 x 225 il pna a brera impaginato10.indd 9 11-10-2011 9:15:48 Il Direttore Carlomagno L’Assessore alla Cultura del Comune di Milano, Boeri Il Presidente del CNAM, Furlanis il pna a storici brera maestri 10 impaginato10.indd 10 Il Commissario Straordinario per la Grande Brera, Resca Il Presidente dell’Accademia di Brera Carrubba Il Direttore dell’AFAM Civello Il Presidente della Giuria del PNA, Martino 11-10-2011 9:15:58 agno anis artino alcuni c’è anche una maggiore presenza dell’Università, in altri molto meno perché è meno significativa. Tant’è vero che per la sezione del Premio “Design” (sempre legato al Premio Nazionale delle Arti) partecipano a tutti gli effetti non solo le Università italiane, ma anche le più importanti Università europee e in alcuni casi internazionali. Questo evento, giunto alla VIII edizione, si tiene nel Museo Piaggio di Pontedera, quindi in un luogo che evidenzia il ruolo e l’importanza del design italiano. Tanto è vero che in alcuni casi sono state premiate, anche realtà straniere. A noi però interessa soprattutto questo Premio e non solo per dare visibilità alla qualità degli studenti dell’AFAM, che indubbiamente è molto elevata. Il discorso che si è fatto circa la presenza molto importante alla Biennale ne è una testimonianza. Questa nostra presenza funziona molto bene perché si trova di fronte al Padiglione di Sgarbi all’Arsenale, quindi in questa specie di dialogo, anche rovesciato. Il Padiglione Italia, in questa sua operazione quasi di accatastamento delle opere d’arte non ha giovato agli artisti, noi invece abbiamo tentato di fare un’operazione estremamente pulita, estremamente rigorosa. Quindi abbiam giocato anche nel rovesciare proprio l’approccio allestitivo. Questo lo so bene perché anch’io sto esponendo lì come artista. Io penso che il patrimonio presente all’interno dell’istruzione artistica non è ben conosciuto. Io ho fatto l’esempio degli ISIA che rappresentano delle punte di eccellenza nel panorama della formazione italiana, sono le scuole da dove sono usciti i grandi designer – penso che sono quasi sconosciute nel nostro paese. Perché? Perché prendono solo venticinque studenti. Quindi in realtà, le punte di qualità e di eccellenza spesso si perdono di fronte al peso invece del mondo universitario che pesa molto di più anche rispetto alle decisioni politiche e che quindi mette in difficoltà tutto il sistema dell’alta formazione artistica. In questo senso io penso che si andrà sempre più verso un’apertura. Non so se l’uno o il due luglio si aprirà, ad esempio, la sezione legata all’arte drammatica che verrà fatta all’interno del museo di Spoleto e impaginato10.indd 11 avrà una partecipazione molto più ampia. Pensi che in Italia abbiamo solo un’Accademia d’arte drammatica e questo dovrebbe far riflettere sulla sua preziosità. Diciamo che si arriverà a far diventare questo Premio, non soltanto un eappuntamento espositivo, ma anche un evnto con un ritorno come quello che ha il Premio in questo momento più internazionale che è quello del design e moda. In quel caso nel premio non ci interessa solo presentare i migliori lavori di design, ma ci interessa dare rilievo a quei lavori che sono connotati da un forte impegno etico e sociale. Quindi temi rivolti all’ambiente, al problema dell’energia, a migliorare la qualità della vita. Noi pensiamo che il compito della scuola non sia soltanto quello di insegnare a fare, insegnare delle tecniche, ma insegnare a fare, insegnare delle tecniche per costruire un mondo migliore. Ci interessa, per esempio, dare una visione più allargata all’interno del più importante festival di teatro italiano. Ecco perché abbiamo voluto tutto sommato anche ringraziare Sgarbi (Io l’ho ringraziato pubblicamente ma mi sono arrivate penso cinquecento e-mail d’insulti perché l’ho…). Alla conferenza stampa? Alla conferenza di Roma – quella fatta prima [prima rispetto alla conferenza stampa tenutasi a Venezia, N.d.R.] – io ho parlato quattro minuti ringraziando per l’opportunità data alle Accademie ma è successo il finimondo! Invece io penso che bisogna anche riconoscere quando uno fa una cosa a favore, in questo caso, non solo delle scuole, ma anche dei giovani. Perché qui bisogna dire che lui ha ragione: per arrivare alla Biennale dell’arte in Italia hai talmente tanti filtri che ci arrivi solo quando sei super affermato. il pna a brera vello 11 In un certo senso sembra quasi un miraggio per un giovane poter essere invitato alla Biennale. Invece bisogna riconoscere a Sgarbi di aver dato quest’opportunità. ma lui, allo stesso tempo, ci deve essere anche riconoscente perché lo stiamo salvando. Leggevo l’altro giorno su La Stampa un articolo dove parlava malissimo di Sgarbi, poi dice: “comunque 11-10-2011 9:16:01 Radis Nikzad, No war no cry, 2011. Installazione ferro, vetro, candela, sabbia, carta, 30 x 700 cm. Accademia di Belle Arti di Brera, Milano 12 Ammar Al- Hameedi, Senza ritorno, 2011. Ferro, legno, fogli, 80 x 150 x 100 cm. Accademia di Belle Arti di Roma se volete vedere una cosa bella, attraversate lo specchio d’acqua, andate a vedere la parte dedicata alle Accademie” e finisce dicendo “comunque bisogna dire, per onestà, che anche questa l’ha voluta Sgarbi”. Quindi in qualche modo lo stiamo aiutando. il pna a storici brera maestri Veniva fatta menzione del Padiglione Accademie anche in un articolo di Francesca Pini dell’altro ieri sul Corriere della Sera. No, questo l’ho proprio letto su La Stampa. Prof. Eugenio Carlomagno Presidente della Conferenza Nazionale dei Direttori delle Accademie di Belle Arti (ha iniziato a parlare autonomamente senza che gli facessi nessuna domanda! Vuole sapere quando uscira’ l’intervista) …il sistema universitario, altrimenti rimaniamo sempre, come dire, persone che siamo in un limbo, non sappiamo chi siamo o forse ci offrono un pezzetto una volta, un pezzetto un’altra; noi dobbiamo decidere se vogliamo diventare grandi o invece fare sempre le cose che accadranno fra qualche anno…ma anche per rispetto dei nostri studenti. Non possiamo più permetterci di dire “e adesso se verrà approvata una Riforma” dopo 10 anni: con 10 anni si fanno 10 riforme; allora: non la vuole la politica? Non la vuole il Ministro? Benissimo: non la facciamo, però noi gli proponiamo un’altra cosa: di fare un Dipartimento all’interno delle Università come un Dipartimento delle Arti Visive come sta in tutte le parti del mondo. I docenti faranno un concorso riservato come è successo con la 509 che è stata fatta prima della 508 e sono passate all’interno di un sistema certo. Poi le disfunzioni sono…il sistema universitario lo sappiamo, ma lì sta a noi non farlo, fare in modo che non ci sia una..un esser fagocitati dalle Università perché è facile. Ma in questo momento noi abbiamo una specificità, diciamo quasi insostituibile, che le università non possono impaginato10.indd 12 entrare nel nostro sistema; tanto è vero che tutto ciò che hanno tentato di fare è fallito: nel restauro, nelle arti visive, ma anche nel design. Noi abbiamo altre strutture quindi credo che sia opportuno non lamentarsi della nostra peculiarità, noi siamo per le arti l’unica eccellenza che c’è in Italia. In questo ci dobbiamo credere prima noi e poi farlo vedere agli altri. Quest’anno l’abbiamo fatto vedere con l’esperienza di Milano e con quella di Venezia. Tutti quei risultati che abbiamo ottenuto in questi anni debbono essere visibili e quindi noi dobbiamo dimostrare all’Italia, quindi alla politica che siamo in grado di fare molto più di quanto ci viene attribuito. Abbiamo contatti parlamentari, una sponda parlamentare la stiamo cercando sia al Senato che alla Camera, per fare un decreto semplice, un decreto legge che dica le Accademie di Belle Arti sono formazione universitaria e sono all’interno del sistema, ad esse è riconosciuta la facoltà di attivare Master, fare ricerca e destinare fondi a quest’ultima. Se non abbiamo fondi noi non possiamo fare ricerca, facciamo finta di farla. I trasferimenti…purtroppo questo è un nodo molto… vanno fatti con la comparazione dei titoli, non più con i punti o con le preferenze perché qualcuno ha delle défaillances fisiche altrimenti noi continuiamo a reiterare meccanismi propri della scuola secondaria. È fondamentale crederci! dobbiamo creare intorno a questo progetto un consenso di tutte le Accademie e specialmente dei docenti, senza aver timore di dover sostenere dei concorsi (riservati). Perché? Perché va fatta l’Università, noi dobbiamo fare quello che è successo nell’Università quindici anni fa o diciotto anni fa. Se riusciamo ad avere il consenso noi andiamo avanti. Certo a molti non piace questo sistema, ma adesso, in questo momento, credo che sia il momento giusto perché la politica è in difficoltà perché si è accorta che abbiamo una grande capacità di iniziativa, di uscire all’esterno, di fare, di dimostrare che in realtà l’arte esce dalle Accademie. Dobbiamo capire che l’arte esce dalle Accademie di Belle 11-10-2011 9:16:04 Radis Nikzad, No war no cry, 2011. Installazione ferro, vetro, candela, sabbia, carta, 30 x 700 cm. Accademia di Belle Arti di Brera, Milano Cecilia Lombardi, Fungo, 2010. Opera interattiva, 270 x 154 cm. Accademia di Belle Arti NABA di Milano impaginato10.indd 13 13 Roma 11-10-2011 9:16:11 Arti. A Venezia al Padiglione Italia, al Padiglione delle Accademie ci sono tutti artisti che sono usciti dalle Accademie di Belle Arti: il 90% del Padiglione Italia e il 100% del Padiglione Accademie. Quindi abbiamo dimostrato di essere, in campo nazionale ed internazionale, capaci di essere presenti in un evento come la Biennale di Venezia. * (il Direttore della nostra rivista, Gaetano Grillo, coglie questa occasione per inviarle la seguente domanda: Come mai l’Accademia che lei dirige, quella de L’Aquila, è una delle poche che non sostiene e non distribuisce la nostra rivista Academy? Eppure, stando a quello che lei dice, il compito maggiore su cui dobbiamo operare è proprio quello della valorizzazione delle nostre risorse. Academy è l’unica rivista delle sole Accademie e lei, come presidente della Giunta dei Direttori, non fa nulla per sostenere la nostra iniziativa). Marco Dainelli, Trilogia sottile, 2010. Instal. forex, poliplatt, plexiglas, cartone, 300 x 200 x 100 cm. Accademia di Belle Arti di Firenze Nell’arte contemporanea si assiste a una continua commistione di linguaggi, sempre più ibridi. Perché nel Premio ancora sussistono classificazioni in sezioni quali pittura, scultura, grafica, decorazione, eccetera? Capisco questa cosa, però ancora dobbiamo rispettare un po’ la forma delle Accademie. Questa non è tanto una divisione, è un rispetto che ancora c’è, però non è una divisione perché poi c’è una commistione tra la nuova disciplina e la disciplina radicata nel passato. È opportuno che questo poi va a scemare, ma automaticamente succederà, come sta succedendo anche nella docenza. Quindi non ci sono più docenti che fanno “il pittore”, “lo scultore”: c’è l’artista che opera in un campo e però si occupa anche d’altro. Su questo noi dobbiamo stare, non attenti, ma dobbiamo avere un’attenzione per quei docenti che hanno una maggiore capacità nell’esprimere, nel sperimentare in un ambito ben preciso, quindi diverso da quello che noi consideravamo l’area di pittura, l’area di scultura, l’area di decorazione. 14 il pna a storici brera maestri Davide Fadda, Endosimbiosi, 2011. Ferro e resina, 180 x 180 cm. Accademia di Belle Arti di Sassari Prof. Nicola Maria Martino Presidente della Giuria Ministeriale per le opere vincitrici del Premio Nazionale delle Arti 2011 In qualità di Presidente della Giuria che ha assegnato i premi in questa edizione del PNA, come giudicherebbe il livello della partecipazione? Cosa c’è di nuovo da segnalare? La qualità è stata molto alta, soprattutto sia per quanto riguarda la scultura, che la pittura, ma anche la scenografia, voglio dire, è stata ben organizzata e ho trovato della qualità tra i giovani che si son presentati veramente bene. Una buona qualità. Piacevolmente stupito? Stupito, quindi…Poi nella Commissione abbiamo attribuito i premi quasi tutti all’unanimità, ci si è trovati d’accordo…chiaramente sentirete fra poco, quindi.. Spero di aver fatto un buon lavoro. *Fotografie dell’evento di Massimiliano Patriarca impaginato10.indd 14 11-10-2011 9:16:18 G M Dir “… nos la fav un’ con anc nos fun che storico di Brera resta tutto il blocco centrale e quello frontale. Sono molto soddisfatto del risultato raggiunto. Ci sono tutte le premesse per realizzare un vero e proprio Campus all’avanguardia. Il salone Napoleonico, spazio suggestivo dall’alto valore simbolico, non sarà più a nostra disposizione? Il salone napoleonico è sempre stato in comune tra Accademia e Pinacoteca e altri enti quali l’Istituto Lombardi Croci. Ricordiamoci anche che San Carpoforo resta a noi. E cosa si pensa di fare con la biblioteca? Si traslocherà nella nuova sede? No, la biblioteca resta nei suoi spazi. Di là creeremo altri poli tra cui il Museo dell’Accademia con le nostre collezioni storiche e si arriverà fino al contemporaneo. GAstONE MARIANI Direttore dell’Accademia di Brera Intervista a cura di Elisabetta Longari È passato più di un anno, anzi sono quasi due, dal tuo insediamento come direttore e hai ereditato una situazione scottante relativa alla sede. Vorresti riassumere gli accordi siglati e raccontare a che punto sono le cose? Vorrei ricordare che rispetto all’offerta proposta inizialmente, che prevedeva soltanto la Caserma Mascheroni e 7.500 metri quadri, di cui realmente usufruibili in realtà soltanto 3.500, siamo invece riusciti a ottenere dopo lunghe trattative tutto il complesso dell’area militare demaniale di Mascheroni. Abbiamo firmato l’accordo a giugno scorso e ci hanno quindi assegnato 26.000 metri quadri e qui nel Palazzo impaginato10.indd 15 Palazzo Citterio, è così vicino e così comodo… Infatti è un oggetto ambito tanto da noi quanto dalla Pinacoteca… Poi bisogna al più presto risolvere il problema di Brera 2, i cui spazi sono stati dati in affitto dalla Regione, ma che dall’anno prossimo andrebbero a incidere eccessivamente sul bilancio. Inoltre quello spazio è inadeguato anche ai numeri, ormai quei due indirizzi sperimentali, Nuove tecnologie per l’arte e Design, sono cresciuti fino a contare quasi mille unità. Sei un direttore che non ha rinunciato a insegnare, ad avere rapporti con i propri allievi, addirittura non frequenti la direzione se non nel caso d’incontri ufficiali, altrimenti preferisci ricevere nella tua aula, che poi è uno degli ambienti più affascinanti e antichi di Brera… Io non ho rinunciato all’insegnamento perché adoro questo mestiere. Sono entrato qui come allievo a Brera nel 1963 e sono uscito nel 1967, anno in cui ho vinto il premio di scenografia ed è stata la mia fortuna perché poi ho iniziato a lavorare in Sud America: per anni e anni io sono stato impegnato in spettacoli teatrali, cinematografici e in trasmissioni televisive in tanti Paesi. Poi sono tornato qui nel 1974. Con chi avevi studiato a Brera? Con Varisco. Con lui ho studiato, come dicevo, dal 1963 al 1967; poi con lui ho fatto l’assistente dal 1974 al 1980. Parallelamente lavoravo anche alla realizzazione delle messe in scena delle sue opere al teatro di Trento e a quelli di Bolzano e Rovereto. 15 accademia di brera “…Io sono molto soddisfatto della nostra Accademia, le persone che la visitano restano sempre molto favorevolmente colpite. Abbiamo un’attività intensissima di mostre, convegni e allestimenti di spettacoli anche a livello internazionale, il nostro sistema di scambi Erasmus funziona benissimo sia per studenti che per docenti”. Occorre incrementare i lasciti relativi al contemporaneo. Penso che se fossimo stati più lungimiranti e avessimo chiesto a ogni visiting professor e animatore di work shop ospitato nelle nostre aule in questi ultimi vent’anni di lasciarci un ricordo del suo passaggio a Brera, avremmo una collezione tra le più significative. Ma così non è stato. Bisognerebbe tentare di riprendere il discorso anche retrospettivamente… A voi chiedo in questa fase davvero di riflettere sulla vostra identità di scuole e sulle esigenze didattiche per poter consegnare all’architetto che vincerà la gara d’appalto le indicazioni delle nostre necessità in base alle quali progettare gli spazi. Sono anche certo che i tempi saranno dilatati perché la crisi batte duro e i soldi non ci sono, ma intanto quei 26.000 metri quadri sono stati destinati a Brera. Noi di qui comunque non ci muoveremo prima che sia pronta l’altra sede. Vedo come unico vero problema il cortile che con l’Expo del 2015 dovrà essere terminato nella sua nuova configurazione. Vedo come un’emergenza la mancanza di quelle aule disposte nel cortile napoleonico se ci dovessero essere sottratte a breve per cantierizzare i lavori per la copertura del cortile. Ho già chiarito però con il Commissario Resca che non è ipotizzabile neanche lontanamente l’idea di trasferire i corsi di Pittura che adesso vi si svolgono lì, in una parte dell’edificio di via Mascheroni, se vogliono il cortile ci devono almeno temporaneamente assegnare Palazzo Citterio per portarvi tutti i corsi che si tengono attualmente appunto nelle aule aggettanti al cortile napoleonico. Quindi non ti sei più mosso da quest’aula? Certo posso dire che tra Brera e la mia vita c’è un rapporto di coapparteneza molto forte: sono Professore oltre che Direttore, il che significa ampia ricerca di carattere istituzionale e relazione costante con gli studenti, con i giovani che problematizzano sempre 11-10-2011 9:16:19 e fruttuosamente le nostre nozioni stantie e rassicuranti, chiedono direttive e non gioghi. Questo scambio, questa attività formativa chiede anche un luogo consacrato, che non può essere la Direzione. Finora i miei duplici ruoli non hanno patito cannibalismo di sorta, mi auguro di continuare così, in concordia. Insomma, il cuore più antico di Brera, i resti della Chiesa di Santa Maria della Brera, passeranno alla Pinacoteca! Certo, è la parte che fa più gola… A noi restano però le tre belle aule di scultura, tra cui lo studio di Hayez. accademia di brera maestri storici 16 Scenografia, una disciplina ancora vitalissima che però risente dei pesanti tagli alla cultura e allo spettacolo… Ci sono due ordini di difficoltà a questo riguardo. Il primo riguarda la crisi economica che ha depauperizzato le risorse destinate alla cultura e al mondo dello spettacolo; il secondo invece consiste nell’urgenza di un restauro intellettuale della disciplina scenografica. Occorre rivitalizzarne il senso, attualizzarla senza scivolare nell’oblio della grande tradizione. Anche in presenza si scarsità di mezzi, lo scenografo deve essere capace di creatività e inventiva sorprendenti, affascinanti, potremmo perfino dire ricche. Non propugno uno scivolone sulla melassa romantica decadente, al contrario una risposta reattiva, energetica, significativa. C’è rarefazione delle grandi scuole? Ne prendiamo atto, noi andiamo avanti senza illuderci, ma con tutto il coraggio di sperare in altri cambiamenti. Il recente Premio Nazionale delle Arti è stato un momento autenticamente celebrativo di dialogo tra talenti, tra idee e passione che ancora innerva il pensiero progettante, che dalle nuove tecnologie ha tratto linfa vitale incandescente. La scenografia è virtuale per sua natura: crea uno spazio illusorio dentro uno spazio reale, lo trasforma costitutivamente, ma solo il tempo della rappresentazione, in un gioco ossimorico di rara intensità. C’è qualcosa di provvisorio e di radicale al contempo, che somiglia alle cornici della nostra memoria. Capire e apprezzare questi aspetti è questione legata certamente anche al sostegno e alla valorizzazione delle risorse economiche, ma riguarda principalmente ed essenzialmente le risorse interiori. video, arte e cinema, moda, per concludersi con uno spettacolo teatro di figura “Il pincipe di legno” con l’orchestra del Conservatorio di Milano presso l’Isola Comacina dal 2 maggio al 10 giugno circa. Altro progetto ancora è la messa in scena di “Salomè” di Oscar Wilde al Teatro della Fortuna di Fano, poi “Cosi fan tutte” al Comunale di Como e un progetto inedito del Moby Dick a Brera. Ancora una mostra dei Maestri di Brera in Ottobre alla Chiesa di san Carpoforo. Sarà un anno eccezionale per l’Accademia di Brera che ci vedrà protagonisti con due spettacoli di teatro di figura a Pechino più due mostre interesssanti. Poi altre sorprese che non sto a dire... altrimenti che sorprese sono? Facciamo in ultimo una riflessione sulla riforma. Dopo undici anni che cosa credi che funzioni e cosa no di questa riforma? Secondo me, più che il 3+2, bisognerebbe fare un bel primo anno propedeutico intensivo… A due anni circa dall’inizio dal tuo mandato di Direttore potresti fare un bilancio? Gli obiettivi che ti eri prefissato sono stati raggiunti? Su che fronte stai impegnando maggiormente le tue energie? Come vicedirettore di De Filippi ho visto l’Accademia cambiare, farsi grande ed esplodere a livello di corsi. L’offerta formativa si è arricchita, articolata e complicata; a volte alcuni lamentano che sia troppo e che gli allievi non riescono a seguire compiutamente un corso anche per l’eccessiva frammentazione… Comunque occorrerebbe mettere mano alla didattica in modo più definitivo, accendendo dei concorsi nazionali per tutte quelle materie che sono affidate a contrattisti a vita, senza le quali non potremmo avere intere scuole d’indirizzo, ad esempio Nuove tecnologie e Restauro…In ogni modo io sono molto soddisfatto della nostra Accademia, le persone che la visitano restano sempre molto favorevolmente colpite. Abbiamo un’attività intensissima di mostre e convegni anche a livello internazionale, il nostro sistema di scambi Erasmus funziona benissimo sia per studenti che per docenti. Abbiamo di recente stabilito un legame con Valparaiso, in Cile, dove i nostri docenti faranno corsi intensivi di un mese, lo stesso vale per la Cina e il Perù. Progetti? Per l’immediato abbiamo pronta la mostra per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia con sessanta tele dei Maestri di Brera di grandi dimensioni (m.2x1,50) che verranno esposte al Palazzo dei Congrassi a Bruxelles e alla sede della Regione Lombardia dal 1° al 22 Dicembre. Copie di queste andranno poi esposte in tutte le ambasciate italiane del Sud America. Le tele originali torneranno a Milano per un grande evento espositivo a Brera, alla Rotonda della Besana e al Museo della Permanente in via Turati dove verrà battuta un’asta benefica il cui ricavato andrà alla Ricerca Medica Scientifica. Tutte queste opere saranno documentate in un ricco catalogo. Un altro grande progetto vede riunite tutte le nostre scuole in un unico evento, dibattiti, workshop, seminari, incontri, mostre, installazioni, impaginato10.indd 16 11-10-2011 9:16:21 La cosa che meno funziona è certamente il ciclo di studi suddiviso in due tranche, il famoso 3+2. Inadeguato anche per le strutture universitarie, a maggior ragione per le nostre accademie, dove il sapere tecnico, laboratoriale ha bisogno di tempo e di sedimentazione. Sarebbe per noi ottimale un 1+4. Proviamo a capire i rapporti della nostra istituzione con la Città in previsione dell’Expo 2015… Appunto, dobbiamo parlarne… Cosa vuole fare l’Accademia di Brera per l’Expo? Ecco che si tocca un punto dolente: la città di Milano nel corso di tutto l’Ottocento e per buona parte del secolo scorso è stata fortemente segnata dal rapporto con l’Accademia di Brera e i suoi docenti, che erano anche coloro che ne concepivano e realizzavano i principali arredi urbani e monumenti. La città è anche il ritratto di Brera. Adesso che questo legame si è spezzato, occorrerebbe tornare a rinsaldarlo. Ho un’ultima domanda: la questione dell’Isola Comacina e la riattivazione delle residenze per artisti in loco come si sta delineando? La situazione è complicata e difficile. Non intendo certo apparire evasivo, ma solo ricordare che sono coinvolte le più diverse competenze e Istituzioni, legali e amministrative. Occorre ancora una volta pazientare affinché ogni aspetto venga, come chiedo, esaurientemente chiarito. Ci sono poi altri progetti interessanti cui ci stiamo dedicando, come l’area dell’Idroscalo, dove potremmo realizzare opere ecocompatibili, con materiali innovativi a zero impatto ambientale. Brera deve tornare ad abitare l’intero tessuto urbano, facendosi carico anche delle istanze etiche della nostra contemporaneità, come la tutela delle risorse ambientali. In un’ottica di costante arricchimento e rinnovamento pensiamo anche al nuovo indirizzo di Teatro di figura, che ancora in Italia non è presente, insieme a un biennio specialistico di Terapeutica. impaginato10.indd 17 accademia di brera Foto di Massimiliano Patriarca 17 11-10-2011 9:16:23 18 ANDREA CAsCELLA 1980-1987 impaginato10.indd 18 11-10-2011 9:16:25 Andrea Cascella aveva un enorme rispetto per chi decideva di fare l’artista. Non dava giudizi, esprimeva ammirazione per chi riusciva a vivere realizzando il sogno costante dell’arte. Specificava poi, che pochi erano gli artisti che avevano talento, ovvero, con parole sue, la “castagna”. impaginato10.indd 19 19 maestri storici Mi ha sempre stimata e incoraggiata nella mia scelta di artista, ricordando che sarebbe stata una strada difficile ma anche piena di enormi soddisfazioni. Con la guerra, aveva deciso che più importante era di essere, prima, un uomo libero, poi, uno scultore. Fu per questo che decise di combattere il fascismo sulle montagne della Valdossola e le testimonianze storiche raccontano e descrivono azioni di un comandante partigiano coraggioso e generoso. Dopo il quarantacinque fu molto duro riprendere la vita d’artista. Erede di una complessa stirpe di artisti abruzzesi da Roma si trasferì a Milano, la città che libererà felice, il 25 aprile con i compagni partigiani. Lasciò il Partito comunista, dopo la Legge amnistia di Togliatti, e non amava viaggiare negli Stati Uniti per le difficoltà di avere il Visto. Chiunque fosse stato iscritto al P.C., intellettuale e artista, veniva scansionato nella vita privata e oltre. Andò per le numerose esposizioni personali organizzate dalla gallerista Betty Parsons e le sue sculture entrarono nei musei e importanti collezioni. In Italia, negli anni ‘50, si ostacolava culturalmente l’arte astratta e si ufficializzava la figurazione dell’artista Renato Guttuso. Gli artisti affini alla sua ricerca a Milano erano Lucio Fontana, Tancredi, Enrico Castellani, e a Roma Piero Dorazio e Pietro Consagra. Anche lo scultore Melotti era un carissimo amico che incontravamo spesso in studio o al ristorante. Dal 1960 aveva condiviso affetti e amici con la gallerista Beatrice Monti della galleria Ariete. Ugo Mulas grande amico, scomparso troppo giovane, ha documentato fotograficamente i momenti più interessanti della sua vita d’artista. Nel 1964 alla Biennale di Venezia Andrea vinse il premio della scultura. Nell’archivio Mulas si trovano una serie significativa di scatti in bianco e nero del contesto artistico e sociale, ricordo in particolare Andrea e Bob Rauscemberg che brindano insieme al premio più prestigioso del momento. Un grande artista, amico, che viveva negli Stati Uniti e con cui condivideva amicizia e passioni era Salvatore Scarpitta. Scarpitta aveva come Andrea anche un senso avventuroso e solare della vita. Nel 1969 all’Aquila nacque con la Direzione dell’artista Piero Sadun la prima Accademia di Belle Arti, Sperimentale, Istituzione Pilota nel panorama artistico contemporaneo. Vennero invitati all’Insegnamento artisti contemporanei di chiara fama nel Palazzo Carli Benedetti, esempio di architettura cinquecentesca, costruito nel centro storico della città. Carmelo Bene e Silvano Bussotti nel teatro e per la musica, Paolo Scheggi, Mario Ceroli, Enrico Castellani, Vito Bucciarelli, Achille Bonito Oliva e Lorenza Trucchi erano i suoi colleghi docenti per le arti visive e fu allora che Andrea divenne Maestro alla Cattedra di Scultura. Nel 1980, nominato dal ministro, divenne Direttore a Brera. L’obiettivo e il desiderio di trasferire le sue idee di artista per un’ Accademia di esempio, trascinatrice e rappresentativa per l’Italia in un nuovo contesto e visibilità culturale europea, furono la prima spinta etica e morale della sua scelta. La sua provenienza dal mondo dell’arte e il prestigio personale avrebbero reso possibile anche il trasferimento di una parte dell’Accademia a Palazzo Citterio, in cambio della chiesa S.Maria. 11-10-2011 9:16:26 maestri storici 20 Ricordo chiaramente la visita nel cantiere di Palazzo Citterio con il sovraintendente della Pinacoteca, Carlo Bertelli. Palazzo Citterio era un cantiere al grezzo e si prospettava di poter creare dei laboratori idonei alle necessità degli studenti sempre più numerosi. Fu Alik Cavaliere in maggioranza con altri professori che si oppose fortemente al trasferimento. Anche Bertelli, dette poi le dimissioni da sovraintendente, e l’opportunità interessante fu allora perduta. Andrea coinvolse anche il dirigente della Standa, Mario Lupo, nell’esecuzione di un rinnovamento e restauro della biblioteca di Brera per gli studenti. Il Presidente della Repubblica, onorevole socialista, Sandro Pertini inaugurò la nuova Biblioteca. Andrea Cascella donava attraverso il suo prestigio, fatto di collezionisti, stimatori e amicizie, un’immagine nuova e agile dell’Accademia di Belle Arti, ma per lui fu anche un’esperienza amara perché dovette combattere ufficiali burocrati, che ostacolarono pesantemente le sue idee. Il Direttore amministrativo lo portò più volte in tribunale, il prof. Robaudi lo denunciò perché’ i laboratori interrati non erano a norma e nonostante per Andrea, la direzione equivalesse a una seconda resistenza civica, autorevolmente e cordialmente aiutò giovani artisti come me e stimati professori con rispetto, garbata gentilezza e un sorriso. L’ignoranza e la burocrazia divennero i suoi peggiori nemici. A tale proposito cito un breve testo tratto da una lettera di P. Dorazio, indirizzata ad Andrea: “[…] Sappiamo bene che siamo succubi di un livello di cultura di basso profilo dove con la complicità di intellettuali, mercanti e mass media, è possibile creare valori estetici del tutto artificiali, addirittura mistificando i fatti della storia, al fine di orientare il gusto piuttosto verso il culto della novità o verso interessi determinati o particolari, rimossi da una visione oggettiva dell’arte […]”. Piero Dorazio ricordava spesso di Andrea la cordialità che ci faceva sentire ovunque “a casa nostra”. Il suo ottimismo e la sua camaraderie mettevano chiunque a suo agio. L’esperienza di uomo e di artista, la sua cultura, la sua calma e la sua acuta capacità di osservare le persone, fatti, idee, gli consentivano di esercitare la sua competenza con giudizi quanto mai schietti e obiettivi. Egli impaginato10.indd 20 11-10-2011 9:16:30 Prof. ssa Laura Panno © Laura Panno non era, come molti artisti, prima di tutto un intellettuale; si considerava un artigiano creativo e lucido, come certi uomini del “Rinascimento” la sua intelligenza era nutrita dalla costante esperienza dei fatti, dei sensi, delle emozioni e mai questa intelligenza precedeva, oppure influenzava i suoi sentimenti. Questo suo equilibrio era dovuto prima di tutto all’esperienza manuale continua del disegno e della scultura. Per Cascella l’arte era il mestiere che esercitava per vivere piuttosto di altri mestieri, producendo sculture fatte per continuare nel mondo il culto umano della bellezza. Per lui l’arte era un valore espresso da un oggetto concreto adatto a risvegliare i sensi, piuttosto che una reazione dell’intelletto. Andrea mi ha colpito per il suo spirito apollineo, metteva sempre arte e vita in uno stretto rapporto. Come Arturo Martini amava le donne e accarezzava i suoi pensieri nella materia, Brancusi e Arp gli erano affini nella ricerca di perfezione. Fece nominare Presidente dell’Accademia di Brera l’industriale brianzolo delle bullonerie Fontana, suo collezionista e amico, e gli chiese e ottenne il finanziamento per il restauro della pala di Piero Della Francesca. Andrea pensava che in fondo le Università avessero tradizioni maggiormente teoriche e che il DAMS di Bologna nascesse da una separazione tra Accademie e Università. Recentemente Renato Barilli mi ricordò come con Andrea avrebbe voluto creare un’alleanza culturale, e rimpiangeva la mancata opportunità. Andrea era convinto che gli Atenei Universitari non avrebbero mai accettato di aprire impaginato10.indd 21 21 maestri storici concorsi agli artisti che avevano formazioni culturali, al tempo, molto diverse. Non usava Brera per interessi personali, dedicava il suo tempo per ricambiare la grandezza dell’Istituzione prestigiosa che lo ospitava. Dette le dimissione, deluso e amareggiato. Scrisse una lettera che venne pubblicata nel “Corriere della Sera”. Pensava che a Brera avremmo dovuto mantenere un’identità autonoma dal Ministero, anche dalle Università’ che, per tradizione, non contemplavano l’esistenza dei Laboratori, così importanti per lui, per trasformare la materia. Li chiamava “La fucina dei miei sogni”. Andrea Cascella ha speso molti anni a cercare il bandolo della matassa nella confusione e il dilettantismo che regnavano nello Stato, cercando di sottrarre l’Istituzione da lui direttta alla burocrazia inerte di Viale Trastevere, cercando di migliorare le iniziative all’interno dell’Accademia, proiettate però verso l’esterno. Riaprì l’aula Napoleonica a mostre di grande riscontro culturale e dette inizio a seminari come quello svolto da Eugenio Jonesco. Pensava sempre a Brera e, come tutti gli artisti, divenne ansioso di poter fare di più, cosa che l’Ispettorato artistico, ministeriale, non capiva. Mi diceva, con l’autorità del Maestro di mettere sempre il mio lavoro in gioco fuori dalle Accademie, confrontandomi con artisti nel mondo. Allargava il messaggio poi a tutti noi più giovani dicendo: “Non usate l’Accademia per autocelebrarvi”. Andrea ha terminato la sua preziosa esistenza nel 1990, nel mese che rende tutte le morti scomode, anche per gli amici più cari. Il 17 agosto, fu fatta una piccola cerimonia nel cimitero di Ameno d’Orta, dove riposa in una tomba realizzata dal fratello scultore Pietro. *un grazie particolare a Giuseppe Pino per le foto di Pietro Cascella 11-10-2011 9:16:34 terapeutica maestri storici LA tERAPEUtICA ARtIstICA A BRERA di Tiziana Tacconi e Laura Tonani “[…] e noi stiamo dinanzi alla creatività, dovunque la incontriamo, nell’individuo adulto come nel fanciullo, nel malato come negli aspetti meno vistosi della vita di ogni giorno, con la venerazione dovuta a un tesoro nascosto che, sotto una veste poco appariscente, può custodire una particella di divinità […] Questa creatività ha, dovunque si manifesti, carattere di rivelazione; ma la rivelazione sta in strettissimo rapporto con la struttura psichica alla quale e nella quale si rivela”. (Erich Neumann) La Terapeutica Artistica nasce a Brera, ormai sei anni fa, da un progetto di Tiziana Tacconi e Laura Tonani e dalla comune volontà di costruire un nuovo territorio di ricerca e di approfondimento in quell’attività artistica culturale dell’arte terapia. Negli anni Cinquanta, quando l’Art Therapy di concezione britannica era ancora nella sua fase pionieristica, l’artista americano Robert Rauschemberg amava ripetere che la pittura era , in fondo, un buco impaginato10.indd 22 Con-ta-ci Opera N° 3 installazione Sarzana 2009 22 nero “fra l’arte , la vita e l’avventura”, a conferma che l’esperienza estetica mantiene sempre una sua irriducibile natura aperta. Il discorso di Rauschemberg, per certi versi paradossale, ha indubbiamente il merito di individuare quella necessaria cornice illusionale entro la quale si dispiegano le diverse fasi del processo creativo che, nello specifico disciplinare dell’arte terapia assume caratteristiche particolari. Nel panorama odierno, infatti, l’arte terapia si configura come un sistema flessibile e pragmatico, alimentato da un costante contributo transdisciplinare: è dunque un campo d’esperienza dai confini mobili, che individua i propri elementi costitutivi nel delicato equilibrio tra procedure tecniche e libertà espressiva, tra la cornice dello scenario, il setting artistico e le dinamiche relazionali sollecitate dal processo creativo stesso. (Giorgio Bedoni) Traendo i propri fondamenti teorici da un’eredità storica di enorme portata, alla quale afferiscono diversi saperi, relativi alla psicoanalisi, alla psichiatria, all’estetica di orientamento fenomenologico, alla storia dell’arte, la nostra nuova prospettiva ha aperto un’ulteriore riflessione intorno al metodo del percorso formativo terapeutico e del linguaggio del “fare” creativo e inventivo. Il confronto di due sguardi: quello artistico e quello del mondo 11-10-2011 9:16:36 della psiche, senza snaturarne i rispettivi linguaggi, ci ha portato a “rinominare” a “ ridisegnare” i contorni di una disciplina che in sé riuniva un panorama multiforme ma a tratti confuso, in una nuova esperienza di “Teoria e pratica della Terapeutica Artistica”. Anche l’attività formativa ed educativa può essere considerata una terapeutica , è un’attività corporea e sensoriale, che si fonda sull’esperienza senso-percettiva , progetta attività, produzioni, forme, passando attraverso un percorso di riflessione. Questo percorso di conoscenza trova nell’arte il suo campo elettivo e passa attraverso il riconoscimento dell’artista terapista. L’artista terapista, infatti dialoga con l’altro grazie al linguaggio dell’arte, assumendo un ruolo maieutico, utilizzando le proprie qualità empatiche, modellandosi così nei vari contesti, con la capacità creativa propria dell’artista Ogni volta che nel percorso della Terapeutica Artistica abbiamo attivato nuovi progetti laboratoriali, strutturando atelier sperimentali in diversi luoghi di cura psichiatria, pediatria, oncologia, geriatria, patologia della gravidanza,nelle carceri, la nostra attenzione si è particolarmente soffermata sulla scelta dei materiali, e le metodologie tecniche che ogni contesto suggeriva. L’esperienza ci ha insegnato che il “progetto” non è una semplice trasmissione d’informazione, ma scaturisce dalla relazione di tutti i partecipanti che concorrono alla costruzione del progetto stesso, l’opera emerge nel tempo e nel farsi del lavoro comune. L’atto creativo, che preferisce a parole mutilate, gesti e sguardi d’intesa nella comunicazione, che non ignora la sofferenza, passo dopo passo, prende corpo nell’opera condivisa. È un’operazione che chiede a chi opera nei contesti sociali non solo di uscire dalle certezze culturali ma anche di aprirsi al rischio e all’imprevisto, offrendo in prima persona una misura, un modo possibile. Alla base di un’interazione corretta c’è l’empatia che indica la capacità di proiettare se stessi in ciò che è altro da sé (cosa, persona, situazione). Il saper comunicare in maniera empatica è caratteristica fondamentale per la costruzione di un percorso artistico corretto, di pari dignità rispetto alla capacità di comprensione di-segni e condizioni ambientali. Oggi, più che mai, la medicina in un progetto di umanizzazione sempre più attuale si rivolge all’arte ma addentrarsi in questa realtà significa incontrarsi con argomenti di notevole complessità, dal rapporto medico-paziente, ambito nel quale il disagio appare ancor più evidente in relazione alla moderna tecnologia, alla visione dell’uomo come risultato di una coesistenza forzata, mai risolta, di anima e corpo. Io non credo che ci sia un’arte per i malati e un’arte per i sani, ci sono però dei modi di stare insieme e se l’arte ha forse un senso in certi momenti è proprio quello di insegnarci a guardare l’altro non come se fosse fuori di noi, ma come se fossimo noi stessi. Un’altra parte del sé. Il malato ci fa paura e noi tendiamo 23 Con-ta-ci, Opera N°20, feltro, Expolis 2011Triennale Milano Con-ta-ci Opera N° 3 installazione Sarzana 2009 Il termine Terapeutica deriva etimologicamente dal latino Therapèutica e dal greco Therapeytikè che correntemente tradotta con “arte” comprendeva sia l’arte, che la tecnica (la capacità, manuale). Essere artisti comporta un saper fare cioè, una conoscenza, pratica e teorica e allo stesso tempo, una partecipazione consapevole a ciò che si fa. Per Filone d’Alessandria “therapeytikè” è simile a un organismo vivente, che imita o completa la natura, da cui deriva il piacere di “prendersi cura di se”. Comunicare e condividere risorse e potenzialità individuali, creare le condizioni perché i processi di partecipazione rendano praticabile un’esperienza comune e un’opera condivisa, significa essere strumento e dare strumenti per costruire un progetto di possibile cambiamento al presente. “L’opera condivisa” prevede l’attuazione di un laboratorio artistico di espressione individuale e collettiva che coinvolge tutti i componenti alla realizzazione dell’opera. impaginato10.indd 23 11-10-2011 9:16:38 ad allontanare tutte le cose che ci provocano disagio, ma in realtà questo atteggiamento, questa paura, è l’evidenza stessa di una forma di malattia… Bisognerebbe imparare a rapportarsi tra individui, senza dividerci in individui malati e individui sani. (Francesca Alfano Miglietti) “Il fatto che l’arte contemporanea sia attirata a dialogare con i luoghi della sofferenza e della malattia con il pensiero rivolto alla solidarietà sociale come sostegno alla dimensione fisica e spirituale dell’uomo, porta a riflettere intorno al valore di questa operazione dell’esperienza umana e….. consente continue immagini fissate nel rapporto inesplicabile tra la vita e la morte. Questa iniziativa culturale non è estranea alla vitalità creativa dell’arte e deve dunque intendersi nelle sue profonde implicazioni umane come partecipazione attiva a un progetto di qualificazione estetica della vita, nel momento di massima sospensione del suo senso.” (Claudio Cerritelli) Quando l’immaginazione si concretizza in un’opera, con la quale sorprendentemente l’autore risuona e si riconosce, liberandosi dai limiti silenziosi dell’impotenza creativa, allora è possibile ritrovare la dimensione armonica della nostra interezza, superando la divisione tra corporeo e psichico, e ciò costituisce un aspetto fondamentale delle potenzialità terapeutiche dell’arte. terapeutica maestri storici 24 “TERAPEUTICA, l’arte in teoria e in pratica”, 8/9 APRILE 2011, tenutosi all’Accademia di Belle Arti di Brera e organizzato dal nostro corso di diploma biennale in “Teoria e pratica della Terapeutica Artistica”, in collaborazione con l’Università degli Studi di Pavia, Scuola di Specializzazione in Psichiatria, e l’Università Bicocca di Milano, è stata un’ulteriore occasione di crescita del progetto e di visibilità dei risultati raggiunti. Inoltre la possibilità di confrontarsi anche con altre discipline artistiche quali il teatro la danza e la musica, nell’ottica di un’attività espressiva integrata che possa essere terreno fecondo per attività future, ha maturato in noi la consapevolezza di possibili, nuove aperture. L’incontro di diversi sguardi e ambiti professionali ed espressivi ha creato un momento di confronto e di re-visione dell’esperienze che da tempo sono state avviate dalla Terapeutica Artistica in molti progetti sperimentali. Medici, psicoanalisti, artisti terapisti, filosofi, musicisti, performer, danzatori, hanno animato le giornate del convegno grazie all’energia creativa, alla ricchezza del materiale visivo e ai contenuti teorici dei loro interventi. L’evento è stata un’occasione per approfondire l’alleanza terapeutica delle Arti e il ruolo che l’artista occupa in questo contesto attraverso la comune passione per la creatività. La risonanza del corpo sensibile con la facoltà immaginale dispiega altri orizzonti, verso una dimensione profonda e a tratti magica. L’immaginazione è un atto magico. Materia, sensazione, immaginario e processi creativi vivono in stretta comunione come nel processo alchemico che è trasformazione della materia e dello stesso artefice. Entrare in dialogo con la materia vuol dire lasciare fluire le immagini che già nella materia vivono, in un certo senso ritrovarsi riflessi in essa. Plasmare è lasciare una traccia, l’impronta del nostro esserci. Siamo nell’epoca di quelle che Spinoza chiamava “passioni tristi”, contraddistinte da un malessere opaco, da un senso di inutilità e di impotenza che riflette l’appannamento del futuro. Privo di attese di salvezza e di felicità, il domani appare una minaccia piuttosto che una promessa capace di orientare il cammino verso l’età adulta . Sappiamo che qualsiasi racconto prosegue un racconto precedente e, poiché non esiste un inizio assoluto, ogni prima volta è sempre un’altra volta. Se non vengono tradotte in parole condivise, le esperienze passate precipitano nell’insignificanza e nell’oblio mentre la “volontà di dire”, per usare una bella espressione di Mario Luzi, mantiene aperto un canale comunicativo che aiuta l’ individuo ad uscire dalle strettoie del narcisismo fondato sull’Io e sul Mio. Il passaggio del testimone da una generazione all’altra consente ai ragazzi di sentirsi membri di una comunità che non è solo fuori ma anche dentro di loro, protagonisti di una storia che non è conclusa e di un futuro che deve essere ridisegnato ricominciando dal punto in cui il discorso si è interrotto e le passioni, come gli dei, hanno abbandonato il mondo. Silvia Vegetti Finzi Un po’ “rabdomanti” della creatività: così gli artisti terapisti scoprono la fonte delle pulsioni espressive e restituiscono nuova forza propulsiva, suggerendo il “fare” che diventa “voce”. Senza mai perdere di vista la qualità estetica del lavoro, gli artisti terapisti, nostri studenti si preparano, grazie al progetto formativo riccamente strutturato, ad affinare gli strumenti dell’arte e a porli come linguaggio sul piano relazionale, esercitando un ruolo maieutico nei confronti delle potenzialità espressive dell’altro, creando così l’apertura tra il mondo interiore e la realtà corale dell’opera condivisa. La nostra scommessa è quella di contribuire alla costruzione di un progetto d’integrazione tra due sguardi, quello psichico e quello artistico, aventi come finalità la comprensione dell’individuo colto nella sua dimensione antropologica esistenziale e di conseguenza una nuova, reale prospettiva dell’arte. Perciò il contributo importantissimo del recente convegno impaginato10.indd 24 11-10-2011 9:16:39 Una Una fase della realizzazione dell’Opera di Feltro Conn-ta-ci 25 Mandala N° 14 , Vigevano Festival della Letteratura terapeutica impaginato10.indd 25 11-10-2011 9:16:44 Barbara Giorgis kE – yO, performance, 2009, Festival della Filosofia, Modena 26 L’UTOPIA DELLE PASSIONI La decorazione e il corpo decorazione maestri storici Di Barbara Giorgis Se alzo lo sguardo davanti ad uno spazio architettonico, mi accorgo che la decorazione è un corpo vitale che mette le ali all’edificio; nella ricostruzione del tempio di Zeus e Olimpia, osservo che la zona più sacra del tempio greco, il frontone, è abitato da un umanità in marmo che vive in perfetta armonia tra corpo e spazio simboleggiando amore, miti, erotismo in un ritmo vitale legato alle passioni dell’animo. Una decorazione scultorea in cui “l’artista fa dello spazio una profondità”(Argan), un arte in gioco con il suo teatro. Così come sulle facciate del tempio indiano di Khajuraho emergono centinaia di corpi di sabbia rossa che vivono sulle superfici dove geni, ninfe, dei e figure mitologiche simboleggiano l’acqua, la poesia, con figure che sorreggono le colonne del tempio. Le sculture ne ornano le pareti esterne ed interne con rappresentazioni maschili e femminili in una integrazione perfetta tra struttura e decorazione e in quei corpi si concatenano le molteplici espressioni dell’uomo. Un ornato delle passioni dell’anima. La decorazione di corpi la ritrovo anche sulle porte delle chiese, nei racconti di Dio e della storia o nell’intreccio di figure intorno ai sarcofaghi antichi. I corpi in marmo che paiono dormienti, si stendono sulle tombe dei personaggi leggendari e storici in un doppio che si espone contro la solitudine dell’eternità. Mi accosto poi, alle parole e interrogo “Il libro dei Mutamenti l’I King”. Il ventiduesimo responso, “avvenenza” , tradotta anche come “ornamento” recita:“La forma della vita umana risulta dalle regole di condotta chiaramente definite e solidamente stabilite, nel cui ambito amore (principio luminoso) e giustizia (principio scuro) determinano le combinazioni di contenuto e forma. Anche qui amore è il contenuto e giustizia la forma.” Amore, giustizia, forma, contengono l’essenza delle ragioni dell’utopia del bello e si riconoscono attraverso l’uomo, il corpo, i suoi gesti. Apro il libro dei significati e scopro che “ornato” nell’etimo greco significa “cosmos”, ciò che si oppone al caos; ritrovo “cosmos” che impaginato10.indd 26 mi rimanda a ordine e ornamento e mi accorgo del cerchio che si chiude dove tutto torna. Mi sorprende anche il significato di ornamento della parola sanscrita Veda “alamkara” che si traduce non solo nel senso di decoro, ma riguarda la scienza dell’ornamentazione poetica e corrisponde alla bravura dell’arte oratoria; un’ornamentazione verbale che rappresenta l’essenza della poesia e delle parole musicali. Le parole si esprimono in suono, si trasformano in canto, il bel canto della lirica che non conosce separazione tra funzione e senso; un valore musicale che si aggiunge al significato. Il grande Carmelo Bene, infatti, non recitava le parole ma le estraniava; come una divinità incarnata dava loro musica con tutto il suo corpo e donava loro identità sublime restituendo alla poesia la forma del rito. L’unico nostro attore-poeta che ha trasformato il canto lirico italiano in qualcosa di nuovo ed eterno; in lui la parola si fa ornamento vocale ma nel senso della parola sanscrita classica di un rafforzamento del potere divino dei cantori. Il volo sulle parole continua e si ferma nella stazione del “duende”, a Garcìa Lorca e alle sue evocazioni sul “Gioco e teoria del duende “ del 1933 che lesse in una conferenza a Buenos Aires: “Tutto quello che ha suoni neri è duende… non è questione di capacità, ma un autentico stile vivo, di sangue , di antichissima cultura e al contempo, di creazione in atto.” Racconta come la cantante andalusa Pastora Pavón: “giocava con “la sua voce d’ombra, voce di stagno fuso, voce coperta di muschio… la sua voce non chiedeva forme bensì midollo di forme”. Il poeta ci parla di duende come di un fuoco che non ti protegge e che si trova in Spagna in ogni danza e arte in quanto paese aperto alla morte:“ In tutti i paesi la morte è una fine. In Spagna no… un morto è più vivo da morto… dai canti per i defunti intonati dalle donne in Asturia con le lanterne fiammeggianti al canto della Sibilla nelle cattedrali di Maiorca e di Toledo”. Parole che si animano di materia poetica. 11-10-2011 9:16:45 Aiutata dal significato profondo delle parole, mi appare la possibilità di una idea di decorazione libera da vincoli artigianali, misurata dalla relazione tra corpi e ispirata a pratiche d’intensità che all’unisono vivono nell’abilità tecnica. Pratiche simili a quelle meditazioni che l’artista cinese nell’antichità compie sul tratto, ispirandosi alla natura. Occorre volare alto con tutto il corpo, con tutta la sua energia; come l’artista orientale che fa copia di figure naturali, ma si pone dentro lo spazio bianco come fosse un universo, affinché il tratto sia animato dai soffi vitali del cosmo. Crea fiori, figure, animali, montagne lontani dal solo esercizio di mano, in un insieme di tratto - pennello - gesto, legati al corpo e ai suoi riti profondi in equilibrio tra ragione e poesia. La decorazione diventa così, nelle sue varie espressioni artistiche, un rituale del corpo che partecipa ai ritmi del cosmo, che tocca tutte le stazioni del tatto dove anche la pelle ne accoglie i segni ornamentali. Il corpo è la prima superficie ornamentale della storia, le pitture corporee indigene sono praticate soprattutto dalle donne che si proteggono attraverso i segni e ne ricreano la loro essenza in una decorazione esistenziale che mette in relazione natura e artificio. Soprattutto il linguaggio delle donne parla la lingua del corpo insieme alla”stilistica indigena”, al trucco cinese fatto per creare ombre e potere visivo e per accentuarne il potere di seduzione. Tramite il corpo l’artificio si anima, la decorazione carnale ricopre la superficie allo scopo di fare apparire i simboli “utopie delle passioni” nelle imprese ideali che si fanno realtà e si incarnano. Le passioni diventano estremi gesti che si cercano nelle emozioni. Se tra ottocento e novecento la ricerca di un corpo altrove s’incarna nell’attrazione verso oriente, nei tessuti esotici, negli oggetti primitivi e nella ricerca del selvaggio, oggi nel contemporaneo si cerca un corpo altrove fatto di relazioni tra spazio e corpo tramite quella danza continua tra interno ed esterno che il corpo stesso vive ogni giorno, ogni istante. Nel gesto dell’artista contemporaneo abita la grande utopia di riscoprirsi con una seconda pelle che sveli l’enigma della forma realizzandosi nel sogno di misurarsi con il paesaggio: lo spazio più vasto ai nostri occhi. Ornamento e superficie diventano come due corpi che nella bellezza organica trattano la materia come un essere vivente e l’essere vivente come pagina da iscrivere. 27 decorazione Francesca Woodmann, Senza titolo impaginato10.indd 27 11-10-2011 9:16:47 decorazione maestri storici 28 L’edificio stesso può assomigliare a qualcosa di vivo e l’ornamento toccare la struttura come fosse un corpo; la decorazione diventa vita e ritmo pulsante. In India il tempio simboleggia il cosmo e il corpo: “l’uomo essendo un microcosmo è corpo, tempio, universo e ogni culto eseguito esteriormente in modo visibile può essere seguito interiormente in modo invisibile”( Ananda Coomaraswamy). I piedi sono il pavimento, la terra; il tronco è lo spazio atmosferico; il cranio il tetto e il cielo; le finestre sono aperture da cui si può guardare che come occhi diventano le parti dei sensi. L’altare è il cuore che per gli indiani è il focolare sacro, sempre al centro. Tutte le forme abitate corrispondono a quelle del corpo umano, pervase da presenze invisibili che si possono manifestare attraverso i riti. In una riflessione più occidentale, Michel Foucault nello straordinario saggio “Il corpo, luogo di utopia”, osserva che il corpo è il luogo assoluto in cui sei condannato a stare per sempre, ma grazie alle utopie possiamo trasfiguraci: “Il corpo è attore principale di tutte le utopie, è attore nella maschera, nel trucco, nel tatuaggio e vuole acquisire un altro corpo più facile da riconoscere… maschera, trucco, tatuaggio sono operazioni in cui il corpo è strappato e proiettato in un altro spazio e che vogliono farlo entrare in comunicazione con i poteri segreti e le forze invisibili, con il sacro… Segni e linguaggi enigmatici segreti, sacri che lo pongono in un altro luogo, lo fanno entrare in uno spazio immaginario che comunicherà con l’universo del divino. Il corpo viene strappato al suo spazio e proiettato in un altro. Così nella sua materialità è il prodotto dei suoi stessi fantasmi: il ballerino che si dilata è in rapporto e si confonde con lo spazio, per il posseduto il suo corpo sarà l’inferno, nello stigmatizzato sarà paradiso sanguinante e quindi il corpo è sempre altrove… A partire dal corpo si sogna, si parla, si avanza, non ha luogo, ma è da lui che risplendono tutti i luoghi possibili reali e utopici”. Per Foucault l’utopia è un luogo fuori da tutti i luoghi, ma è un luogo dove avrò un corpo senza corpo. L’uomo può diventare invisibile quando è in un paese fatato abitato da maghi e folletti che lo faccia viaggiare alla velocità della luce e guarire dalle ferite con un miracolo; oppure vorrebbe vivere nel paese dei morti con l’utopia del corpo negato e trasfigurato nella mummia che persiste nel tempo; con la maschera posta sui volti dei morti per continuare un corpo glorioso. “Ma la più potente delle utopie ce la fornisce il grande mito dell’anima“, impaginato10.indd 28 che lo abita quando vuole per guardare attraverso le finestre degli occhi e sopravvivere alla morte. Un corpo luminoso che non marcisce mai. La conclusione di questo breve ma intenso testo è quella che l’unico modo di fare esistere il corpo senza farlo scomparire è comunque essere nelle mani dell’altro e l’amore è sentire il proprio corpo nelle mani che ti percorrono tutte le parti invisibili: “così si esiste contro le labbra dell’altro le tue diventano sensibili … .Ci piace fare l’amore perché solo nell’amore il corpo è qui”. Così il corpo muore di desiderio e come spazio immaginario diventa un grande tramite d’amore in cui l’essenza della ripetizione è movimento e gesto: l’arte, la poesia, la musica, una meditazione di natura corporale. L’arte così inventa segni che portano la decorazione a farsi “ utopia delle passioni” in un percorso di ritorno su se stessi, non una combinazione di elementi ornamentali, ma un reciproco cercarsi associando gli effetti agli affetti; un incontro tra forma e spazio nella ricerca profonda di quelle superfici tattili e visive che possono farci esistere in un invisibile vivente, dove il corpo ornato è una scrittura che comunica il proprio stato e i propri ritmi dei segni nella polifonia del messaggio. Nel contemporaneo si materializzerà una fusione totale tra arte e decorazione che spalanca un orizzonte corporale come luogo di sogni, impronte del suo disegno da riaffermare in rituali in cui trasfigurarsi. Nel volto e nel corpo la metamorfosi diventa poetica dell’ornamento in cui si creano pagine viventi; segno e decorazione diventano animati e vivono insieme alla superficie brillando all’unisono e creando immagini sensoriali fatte di esperienza in un essere-segno che abita la forma per essere spirito nella forma. 11-10-2011 9:16:48 Con il corpo non si è più monumentali, ma si vive in un tempo fluido, in un perturbamento di tensioni, energie e utopie; nei ritmi del corpo si sostituisce il rapporto geometrico alla relazione esistenziale decorativa e se la decorazione è ritmo, è qualcosa, come scrive Carlo Sini in “Incantesimo del ritmo”, che riaccade, e “nell’eccolo di nuovo” accogliamo il ritorno del motivo ornamentale. Ma nei motivi sempre uguali accadrà una sorpresa: lì sta l’arte, l’invenzione. La decorazione è “il rieccomi”: appaio, scompaio, vivo, nasco, rinasco, ritmo del tempo, ritmo del corpo. * Barbara Giorgis tiene un corso di Disegno dal vero alla Scuola degli Artefici dell’Accademia di Brera. impaginato10.indd 29 29 decorazione Sam Taylor Wood, Self Portrait Suspend Shirin Neshat, Birthmark. 11-10-2011 9:16:50 30 Beppe Sylos Labini, Solitudine-motitudine 2011 pvc, pastelli ad olio, terracotta dimensioni ambiente LA SCUOLA DI DECORAZIONE DELL’ACCADEMIA DI BARI Accademia di Bari, dialogo su Decorazione fra Giuseppe Sylos Labini e Paolo Lunanova. Sylos: Paolo, cosa significa per te insegnare Decorazione? Lunanova: Dal mio punto di vista, sarebbe interessante definire la Decorazione lo sberleffo dell’arte. L’insegnamento della Decorazione oggi, infatti, dovrebbe tenere ben presente la crisi delle tecniche tradizionali, dovuta alla rivoluzione della produzione industriale; quindi si dovrebbe parlare di “nuova Decorazione” che utilizzi nuovi mezzi di riproduzione, che sappia usare linguaggi che vanno dal figurativo al geometrico debordando dallo spazio-tela alla superficie urbana. Una decorazione che si confronti con il sociale. impaginato10.indd 30 Sylos: Credo che la Decorazione, come già segnalato nel programma, è campo di sperimentazione trasversale alle tecniche e ai molteplici volti dell’arte contemporanea, dal disegno come sistema aperto alla materia pittorica, dagli aspetti progettuali alle tecniche di riproduzione, dagli aspetti scenici dell’installazione alle nuove metodologie della rappresentazione. Sylos: Parliamo ora del procedimento che si sviluppa all’interno della pratica laboratoriale. Lunanova: Ci sono tre principi fondamentali nella pratica 11-10-2011 9:16:51 31 biente accademia di bari Beppe Sylos Labini, Condominio n. 2, 2008 cm. 160 x 120 pastelli a olio su tela (courtesy Lorusso Arte, Andria) impaginato10.indd 31 11-10-2011 9:16:57 accademia di bari maestri storici 32 impaginato10.indd 32 11-10-2011 9:17:00 laboratoriale: studio dei materiali, analisi del linguaggio, poetica della rappresentazione. La finalità formativa del laboratorio vuole recepire le trasformazioni che caratterizzano le pratiche artistiche italiane e internazionali contemporanee, facendo particolare attenzione al modo di produrre la ricerca teorica e pratica sulle possibili applicazioni delle forme d’arte, associando, al saper fare tradizionale la tecnologia più avanzata, al folklore quotidiano l’immagine elettronica, alla libera espressione antropica la metodologia progettuale. creative e facendo sì che approdino a una ricerca teorica e pratica sulle possibili applicazioni delle diverse forme d’arte. Sylos: Nel laboratorio del corso di Decorazione l’insegnamento delle tecniche è d’importanza basilare, sebbene non va confuso con il tecnicismo esasperato. La tecnica diviene strumento della ricerca, mentre l’esecuzione è il modo di esistere dei materiali. Le pratiche operative dell’arte sono poste in relazione alle innovazioni tecnologiche emergenti e l’arte raggiunge l’apice della modernità nel momento in cui si avvale delle più disparate tecniche artistiche messe a disposizione dal suo tempo. Lunanova: Ritieni, però, che il tempo attualmente a disposizione nel laboratorio condizioni il lavoro degli studenti? Sylos: Il laboratorio artistico nelle Accademie deve essere sempre a disposizione degli studenti; è uno spazio aperto, collettivo, un grande punto di riferimento, il luogo dove l’attività di produzione artistica è costante perchè ha bisogno di tempi lunghi. Gli orari di lezione dei docenti non devono condizionare il lavoro degli studenti e la gestione deve essere necessariamente coordinata tra docente e studenti. Le Accademie si differenziano dalle altre facoltà universitarie per un’unica peculiarità: i laboratori artistici che devono mantenere la loro unicità in quanto fondamentali per la formazione teorico-pratica degli studenti. * Prof. Giuseppe Sylos Labini, titolare della cattedra di Decorazione all’Accademia di Bari * Prof. Paolo Lunanova, docente del corso di Decorazione all’Accademia di Bari Sylos: Vorrei sottolineare che negli ultimi anni si sta verificando un continuo incremento delle iscrizioni al corso. Il lavoro decennale che è stato svolto sta dando buoni frutti attraverso progetti per l’esterno, quali mostre realizzate attraverso l’apporto di noti galleristi come Marilena Bonomo, ma soprattutto con il lavoro in Accademia svolto da due artisti che hanno saputo trasformare la personale, quarantennale militanza in un fondamentale punto di partenza per gli studenti. Nel caso, come il nostro, di artisti-docenti, il rapporto con gli studenti come si può definire? Lunanova: Nel nostro caso, l’artista è la materia prima. La militanza attiva nel mondo dell’arte porta nelle nostre lezioni un sapere in più nelle attività di ricerca e produzione, competenze maturate grazie ad anni di lavoro e presenze in mostre nazionali e internazionali. Questa conoscenza ci consente di seguire individualmente gli allievi indirizzandoli nell’ambito artistico più consono alle proprie peculiarità impaginato10.indd 33 33 accademia di bari Lunanova: A questo proposito, ricordo l’intervento di Sol Lewitt a Bari nella sala Murat, dove un gruppo di nostri studenti ha lavorato insieme all’artista per la realizzazione di un grande wall drawing donato al comune di Bari. Sol Lewitt, all’interno del suo lavoro, ha utilizzato lo spazio come campitura cromatica e geometrica; il suo fine, oltre ad avere una profonda concettualità, si basava su un discorso progettuale espresso prima con il disegno e, in un secondo momento, attraverso il lavoro pittorico definitivo. E’ stata una esperienza molto positiva per i nostri studenti che hanno messo in pratica la manualità trasmessa nel corso di Decorazione. Sylos: Vorrei aggiungere che alcune volte si trasmettono inconsciamente agli studenti le esperienze che quotidianamente l’artista vive nel suo studio; anche se dietro il tuo lavoro c’è un bagaglio tecnico acquisito trovi sempre nuovi stimoli per sperimentare, raccogliere nuovi elementi utili per la elaborazione di nuove idee in assoluta libertà. (pagina precedente, dall’alto) Paolo Lunanova, Dalla finestra, 2010, cm 80 x 90 smalto acrilico su tela. Paolo Lunanova, Sexhotel, 2010, cm 89 x 100 smalto acrilico lucido su tela. (sopra) Bandiere, 2010, cm 90 x 30 smalto acrilico su tela. 11-10-2011 9:17:00 LA sCUOLA DI GRAFICA DELL’ACCADEMIA DI LECCE 34 Esposizione di grafiche d’arte nel Portico Gotico La prospettiva im-possibile accademia di lecce maestri storici di Maria Angelastri Ci sono due fondamentali atteggiamenti nello stare di fronte a un gruppo di studenti in un’aula accademica - e qui siamo a Lecce nella locale accademia di Belle Arti -, due sostanziali disposizioni dello sguardo: il primo consiste nello stare con gli occhi aperti sulle loro facce, pronti a rivelare il meccanismo del pensiero nel suo farsi, attenti a rispondere alla domanda di un affondo dei contenuti disciplinari, a che emerga la decisione personale di coinvolgersi in un tipo di relazione conoscitiva che incida nel definirsi di scelte e attitudini; il secondo, rivolto a creare un normalizzante’ setting up/down, decisamente orientato non più verso la forma antica dell’assetto autoritario - che ancora si respirava nelle aule di quei licei ereditate dai padri conventuali, e le nostre, si sa, stanno in quello che era il convento dei Domenicani - , quanto piuttosto determinante di quella forma che ci piace con Kierkegaard chiamare ‘angolo delle otto vie’, dove la scelta diventa impossibile anche se apparentemente assortita, e lo spazio residuale ridursi e ridurci nell’angolo. Per questo procederemo cautamente nel presentare la nostra idea di accademia o perlomeno quegli indizi che ne anticipano senso e direzione. Perché è possibile anche che le nostre attese, denervate di quella sostanza umana che è il fondamento di ogni esperienza, finiscano con l’essere riassorbite tra “gli ideali impossibili” per lasciare il posto a un pensiero gregario che dilania finanche la nostra elementare capacità di visione e di giudizio. Perciò occorrerebbe ripartire da un inventario, come accade dopo un naufragio. Un inventario, non solo per trovare ciò che sembrava perduto – considerata la drammatica contingenza che si è aperta con la morte del direttore Giacinto Leone - ma per fare esperienza di un nuovo inizio - fosse anche l’ultima possibilità -, per verificare la nostra capacità di condividere la messa in opera di un’idea. Magari con l’ambizione di farla germinare e crescere secondo tempi e modi che possono ancora sorprenderci. Così, in questa nostra Accademia di Belle Arti, quasi ai confini di impaginato10.indd 34 un Mediterraneo che non sopporta più recinzioni, può accadere di imbattersi nell’esperienza di alcuni studenti, quelli del corso di grafica, che nutrono la segreta speranza di uscire da un circuito autoreferenziale. Perché la materia viva dell’esperienza è irriducibile a qualsiasi schema, specie se riferita ad un rapporto educativo che sostanzia la parola ‘scuola’ e ne restituisce le ragioni, ancor di più se all’interno di un sistema che molti hanno già seppellito tra le istituzioni improduttive del nostro paese. Non che non ne sussistano gli argomenti, ma occorre il determinarsi delle condizioni per una verifica: per questo, abbiamo voluto cominciare a parlar di accademia dando la parola a quegli studenti che hanno accettato la sfida posta dal prof. Fiore. Mischiandosi in un lavoro collettivo, questi studenti, Ferruccio Venuti, Enrico Rollo, Mauro Amato, ma anche tanti altri, di generazione in generazione, ovvero di corso in corso, l’uno diventato nel frattempo tutor per il nuovo arrivato, stanno dentro un ambiente dove nulla è lasciato al ‘caso’ – nel senso che l’ imprevisto con la sua buona dose di provvidenzialità non è pretesto per un attivismo purchessia - e che si connota per essere attentamente costruito e regolato, all’unico scopo di favorire la pretesa di ciascuno ad essere protagonista, senza che si disperda la percezione del lavoro comune. Tra le pieghe del quotidiano, l’arte della spiegazione, in questa scuola diventa punto programmatico di lavoro, illumina le zone d’ombra prodotte da inconsapevolezza e distrazione, apre una dinamica di rapporti orientati verso un tipo di realizzazione che non farà mai dell’opera un bene rifugio, piuttosto, una finestra, anche se non è detto che si tratti di un quadro. L’ ABC del grafico a paragone con l’esperienza – colloquio fra Maria Angelastri, Ferruccio Venuti, Enrico Rollo e Mauro Amato. 11-10-2011 9:17:05 Gotico M.A. Generalmente, nella nostra realtà e non solo, si pensa alla grafica come a una procedura essenzialmente tecnica, rispondente a criteri fissi e prefigurabili? Come si può rompere questo luogo comune partendo dall’esperienza? Ferruccio Venuti: Non c’è una soluzione precostituita al problema, perché la creatività non è una dinamica chiusa ma diventa generativa quando il lavoro è vissuto con gusto, con quell’interesse da cui si origina una crescita personale. M.A. Ma entrando nel merito delle cose, c’è una differenza tra il lavorare su commissione, anche se per altre istituzioni culturali, e il lavoro finalizzato alla tesi, intesa questa come oggetto editoriale? F.V. Abbastanza ovvio parlare di differenze tecniche tra i due problemi. Occorre rimettere in primo piano di nuovo la questione del metodo, perché la tesi risponde ad una fase di studio e ricerca e diventa, pertanto, continua occasione di discussione di ciò che si dà come acquisito. Un momento di assestamento e ad un tempo di scoperta del nuovo, senza trascurare d’altra parte il fondamentale apporto dato dal confronto con il docente che trasforma la consueta relazione accademica in un rapporto proficuo di condivisione. Il lavoro istituzionale, invece, è l’occasione per un’esperienza sul campo che impone il rispetto di un’economia di tempi e risorse, considerate le molte variabili della professione del grafico. Fare grafica non si riduce alla produzione e alla stampa, ma produce un guadagno in termini di mentalità, comporta intanto un impegno della propria affettività e a un tempo il formarsi di un pensiero che trasfigura il reale. M.A. Potresti essere più concreto? F.V. Si parte da un fatto, la geometria segreta del libro, che sta già nella prima pagina, dove si ricuce il rapporto con il passato, se a cucire le pagine tra loro, così come a comporne ognuna, si procede da una riflessione analitica sul significato che si vuole trasmettere, per costruire il visivo, a diversi livelli, nel dettaglio come nell’intero. 35 M.A. Si può parlare allora di restituzione di senso anche nella creazione di un libro? F.V. Forse parlare di restituzione può essere pericoloso, si presta a dei fraintendimenti. A me e ai miei amici (Ferruccio Venuti fa riferimento a Mauro Amato e ad Enrico Rollo ndr.) interessa il processo, che ha del composito, se teniamo conto di quanta diversità corre tra noi per temperamento, vissuto e formazione culturale, ma anche dell’ordinato. Un processo che non si svolge nel chiuso del proprio studio e/o della propria stanza, - come inevitabilmente accade se lasciati soli o stando all’impostazione dettata da quelle scuole più ancorate a certe convenzioni – ma si nutre di quella incessante novità che sta dentro ogni relazione. Con la consapevolezza che questo atteggiamento lo abbiamo assunto guardando al lavoro del nostro docente. (prof. Nunzio Fiore ndr). Ad esempio, il momento del confronto con il committente è il miglior test della validità del proprio lavoro, ma va guardato non come la ragione ultima e determinante, quanto piuttosto come una tappa, benché importante, di un percorso che ha visto e vede integrarsi compiutamente ciascuno di noi nella soluzione del prototipo. M.A. Un lavoro di gruppo, dunque, che si riscontra anche nel numero 0 della rivista Aba- zine. Puoi raccontarci come nasce e a quale scopo? F.V. Nasce come rivista scientifica dell’ABA di Lecce, uno strumento dinamico per documentare un senso di appartenenza o eventualmente per favorirlo coltivando il dialogo intramoenia, tra studenti e docenti, extramoenia, tra galleristi, artisti emergenti, e il mondo delle professioni e dell’artigianato, la scuola superiore ad orientamento artistico, le agenzie di servizi e della comunicazione, in un melting pot culturale in grado di raccontare un’esperienza di crescita e di valorizzazione delle risorse locali. Ma, detto questo, occorre chiedere anche ad Enrico (Enrico Rollo, ndr), che ne è coautore. Enrico Rollo: Potremmo dire con una frase fatta, che l’idea nasce da un’analisi di realtà. Si tratta della mia tesi di laurea triennale e, stando alle indicazioni del prof. Fiore, avrebbe dovuto rispondere non solo ad un interesse personale, ma anche ad un’esigenza condivisa che gradualmente poteva essere emersa nel corso dei tre anni. impaginato10.indd 35 Mauro Amato, Grande albero”, illustrazione. 11-10-2011 9:17:08 L’intenzione era rifondare l’immagine dell’Accademia, attraverso uno studio che ne definisse l’identità visiva in modo più efficace. M.A. Dalle pagine del n.0 esce dominante l’impressione di una ponderata attenzione alla metrica dello spazio come alla semantica dei caratteri grafici. E’ un’impressione di superficie o risponde ad altre ragioni? E.R. Fra le altre ragioni, c’è la preoccupazione di far in modo che la ricerca formale non sia fine a se stessa, ma che quella forma diventi immediatamente ricettiva del cuore stesso della realtà che intende esprimere. Nella pagina, contano molto gli intervalli. Lo spazio bianco segna una pausa nel dialogo che vi s’installa tra nero e bianco, pieno e vuoto, parola e immagine. M.A. Potremmo parlare allora della ricerca di un vero e proprio sistema ideografico che tenti di incarnare i concetti in forme visive? Di una logica organica che va oltre il puro rigore geometrico e si rende intuitivamente afferrabile? E.R. Io parlerei di una geometria che è sì vincolante, ma anche in grado di eliminare il superfluo, il ridondante, che permette paradossalmente al graphic designer una maggiore libertà, e al lettore di mettere a fuoco l’essenziale, di innescare la possibilità di scrivere in margine sulla pagina facendone dei moderni glossatori. M.A. Hai dei modelli a cui riferirti? E.R. C’è Steiner (Albe Steiner, Milano, 15 novembre 1913 - Raffadali (Agrigento) 17 agosto 1974 ndr) come riferimento non solo formale ma anche etico. La sua preoccupazione educativa dovrebbe essere condivisa da ogni docente, diventare meta di ogni percorso formativo perché non s’impara nulla se non per una stima e ammirazione profondamente nutrite verso un maestro. Da Steiner, ma sarebbe meglio riferirsi al suo tramite per me imprescindibile, ovvero dal prof. Fiore, ho imparato che vale la pena di perseguire un progetto quando è per il bene comune, e quando coloro che ne condividono le ragioni sono interessati a condividere anche un metodo di lavoro che non fa fuori la libertà personale, ma la esalta. M.A. A proposito di diversità, passando in rassegna le figure di Abazine il richiamo è a una sorta di poetica - potremmo dire con Florenskij - retiforme, condensata nell’albero di Mauro Amato, un albero da leggere ‘sotto il profilo etico e ortobiotico’, albero della conoscenza che congiunge cielo e terra, micro e macrocosmo, o nel fluire delle lettere in cascate puntiformi di Ahwa, fotoincisione di Nunzio Fiore, dove però il punto, il simbolo grafico più semplice che nelle correnti di pensiero più differenti incarna l’idea del principio originario, è lettera, traduzione grafica dell’elemento primo del pensiero fonetico. A Mauro Amato - il terzo del gruppo di studenti della scuola di grafica - non è stata data la parola in questo racconto a più voci. Per lui il vuoto, il silenzio, nell’accezione zen è più potente di qualsiasi presenza, di qualsivoglia discorso. Risuona, infatti, in questa esperienza la sua discrezione che non riduce l’accento problematico dei suoi segni. Al contrario, se ogni segno è indice sulla superficie delle infinite, anche se numerabili, intersecazioni di una trama di possibilità di riuscita e di fallimento, di dolore e di gioia, di presenza e di assenza, il suo segno è punctus cioè punto, sollecitato, da un confronto con l’altro che può essere anche drammatico, ma che è necessità primaria dell’esistenza. Sta all’inizio di una forma che, dal sottosuolo del pensiero, nasce dentro un fare che è collettivo e che trova la sua consistenza in quei legami, prima invisibili, che affiorano dallo spazio bianco della pagina. accademia di lecce maestri storici 36 Aula di disegno e grafica d’arte impaginato10.indd 36 11-10-2011 9:17:10 37 ’arte impaginato10.indd 37 11-10-2011 9:17:13 38 PREMIO PESCHERIA Urb accademia di urbino maestri storici Pesaro, Centro Arti Visive Pescheria A Pesaro, il Centro Arti Visive Pescheria ha ospitato dal 3 al 24 aprile 2011 le opere selezionate per la seconda edizione del Premio Pescheria. Negli spazi del Loggiato, sono stati protagonisti gli allievi delle Accademie di Belle Arti di Macerata e Urbino per un premio diretto a studenti delle cattedre di Pittura, Decorazione e Scultura. Alla presenza dei direttori delle due istituzioni, Anna Verducci e Sebastiano Guerrera, il premio è stato assegnato a Room’s anatomy, videoinstallazione di Davide Mancini Zanchi; una menzione speciale hanno ottenuto le opere Eleonora stampa su alluminio e il video Gretel&Gretel, di Annalisa D’Annibale e Cristina Meloni, tutti allievi dell’Accademia di Urbino. La Giuria, composta da Andrea Bruciati direttore della Galleria d’arte contemporanea di Monfalcone, Ludovico Pratesi direttore artistico del Centro Arti Visive “Pescheria” di Pesaro, Letizia Ragaglia direttrice del “Museion” di Bolzano, ha premiato gli allievi di Urbino individuati nella rosa dei sedici indicati dalle due istituzioni: Daniela Giammarini, Marco Guzzini, Matteo Balducci, Michele Carbonari, Paolo Buccolo, Serena Scopini, Stefano Teodori, Tommaso Iraci, da Macerata; Evren Karayel Gökkaya, Giulia Tipo, Luca Colagiacomo, Roberto Puddu, Chiara Seghene e i tre premiati, da Urbino. La stessa Giuria, nel 2010, edizione di esordio del Premio, aveva designato quale vincitore Ali Nejad per la qualità e il rigore compositivo della sua ricerca fotografica, e menzionati Federica Bocchi e Antonio Rastelli per la componente ironica e ludica delle loro composizioni. Allievi, questi, dell’Accademia di Urbino, invitata quale istituzione di alta formazione artistica presente nel territorio della Provincia, alla quale si affianca ogni anno una diversa Accademia italiana, come Macerata nel 2011. L’intento del Centro Arti Visive “Pescheria” di impaginato10.indd 38 Pesaro, l’unico di livello nazionale sulla costa adriatica, è anche quello di accrescere il rapporto con il territorio e di coinvolgere un pubblico giovane alle attività della “Pescheria”. La possibilità di allestire una mostra e di misurarsi con uno spazio museale accreditato, oltre alla pubblicazione di un catalogo monografico edito da Silvana Editoriale, sono le possibilità offerte ai vincitori: come a Nejad nel 2010, ora si attende Mancini Zanchi. Anna Fucili 11-10-2011 9:17:15 39 Random Urbino, Palazzo Ducale Sale del Castellare impaginato10.indd 39 Riprova di una apparente disomogeneità è lo stesso titolo della rassegna, Random, idioma mutuato dalle nuove tecnologie, che si riferisce al modo in cui oggi prendono forma, si aggregano e si manifestano le moltitudini dei linguaggi artistici contemporanei. Nella piccola comunità di studenti dell’Accademia, si può pertanto intravedere ciò che è proprio e peculiare dell’arte contemporanea, ovvero la varietà di espressione, in apparenza caotica, consentendo di riflettere sui differenti metodi per produrre immagini. La diversità è tuttavia solo apparente, al contrario forte è il legame che unisce i giovani artisti, ed è da identificarsi nelle modalità di scelta e di riferimento ad uno stesso approccio al fare estetico. Non solo, ma ciò che li rende simili è la costante cura che ognuno determina nell’evolvere le proprie conoscenze e la propria identità. Il risultato globale è una fresca libertà espressiva, uno sguardo allargato su un mondo diversificato e non solo digitale, così come dovrebbe essere per artisti dediti ad una sperimentazione autonoma, non soggetta a modelli precostituiti. Una difformità del resto solo apparente poiché nelle differenze, nell’assenza di omologazione si generano e circolano le idee, sottolinea il Direttore Sebastiano Guerrera nella presentazione al catalogo che accompagna la mostra. Anche in questo caso si rinnova, nella progettazione grafica affidata a docenti e allievi della stessa istituzione, una consuetudine che ha visto produrre apprezzate Edizioni dell’Accademia di Belle Arti di Urbino. Il volume, introdotto dai contributi critici dei curatori Umberto Palestini e Ada Lombardi, dà voce ai giovani artisti nel riportarne le dichiarazioni poetiche, commento alle immagini delle opere. accademia di urbino Con la mostra Random, l’Accademia di Belle Arti di Urbino consolida una tradizione: quella di presentare opere selezionate degli allievi in eventi espositivi che, da oltre un decennio, vengono proposti con cadenza annuale. L’Accademia si apre all’esterno, mostrando l’attualità delle idee e delle espressioni artistiche peculiari della sua attività, in spazi prestigiosi quali le Sale del Castellare nel “magnifico” Palazzo Ducale, autentico simbolo della città di Urbino. Random, dal 5 al 22 giugno 2011, rinnova la proposta artistico–culturale di Sistemi operativi, Dislocazioni, Caleidoscopio, le rassegne promosse in passato. In questa occasione, ha coinvolto ventotto giovani artisti: Federico Ambrosio, Pasquale Ascione, Marco Brancato, Kane Caddoo, Barbara Cardinali, Maria Cemmi, Gabriele Cesaretti, Annalisa D’Annibale, Giovanna Giusto, Evren Karayel Gökkaya, Alice Guerra, Dario Mancini, Davide Mancini Zanchi, Cristina Meloni, Katina Petrova, Elisa Pietrelli, Filippo Pirrello, Nazzarena Poli Maramotti, Roberto Puddu, Li Qiang, Nicoletta Scilimati, Chiara Seghene, Devid Sita, Elvis Spadoni, Shio Takahashi, Nara Tomassini, Filippo Vannoni, Valentina Venturini. Essi, per appartenenza, coprono tutte le scuole di indirizzo dell’Accademia, Decorazione, Grafica, Nuove Tecnologie dell’arte, Pittura, Scenografia, Scultura, e rappresentano i migliori risultati di una ricerca artistica ad ampio raggio e senza limitazioni, pertanto libera. I lavori esposti, in una varietà fatta di attraversamenti e interazioni tra le diverse forme espressive, sono realizzati con le tecniche tradizionali di pittura, scultura, incisione, grafica d’arte, fotografia, ma anche affidandosi alla tecnologia più avanzata nelle installazioni, nei video e nelle immagini digitali. Anna Fucili 11-10-2011 9:17:17 40 docenti EDOARDO DI MAURO foto di Sergio Curtacci lato hanno generato confusione, dall’altro hanno creato nuove opportunità, molti artisti stanno conoscendo una graduale e meritata rivalutazione del loro lavoro. L’arte è comunque un giudice inflessibile, a lungo termine. Bisogna gettare luce nelle zone d’ombra, perché lì risiede oggi l’arte e la sua persistente capacità di comunicare. Il sistema italiano negli ultimi vent’anni ha premiato quanti si sono mollemente adeguati ai moduli della globalizzazione estetica e non coloro che hanno perseguito una linea autonoma di ricerca, coerente con la nostra tradizione. A cura di Francesco Correggia Che cosa vuol dire il titolo “un’altra storia” dal punto di vista della storia dell’arte Italiana in questi ultimi decenni ? “Un’Altra Storia” significa la volontà di proporre una narrazione differente, diversa da quelle solite che, da molti anni ormai, sgranano il medesimo rosario di nomi, con varianti dettate dall’alternarsi delle mode, tutte omaggianti il dettato dell’”international style” e del “politicamente corretto”, artisti che propongono un prodotto patinato e, spesso, gradevole alla visione, ma vuoto di contenuti e di passione, nonché di autentica riflessione interiore e cultura artistica. Oltretutto io sono un appassionato di storia, inizialmente avrei dovuto laurearmi in quell’indirizzo poi ho optato per l’italianistica, ed ho sempre prediletto l’analisi delle vicende dei “vinti” rispetto a quelle dei “vincitori”. Anche se, e lo affermo con la massima forza possibile, la generazione artistica che seguo e sostengo non è affatto sconfitta, ha subito una lunga impasse dettata dalle scelte di una parte del sistema artistico italiano. A partire dagli anni Zero, grazie al diffondersi dei nuovi strumenti di comunicazione tecnologica, che hanno arginato quella censura così opprimente negli anni Novanta, pensa che molti non si sono accorti che, dal 1994 al 1997, ero diventato condirettore artistico della GAM e dei Musei Civici torinesi a causa di questo, ed al moltiplicarsi delle occasioni espositive che, se da un impaginato10.indd 40 Con un’altra storia tu tenti di proporre una lettura differente dell’arte italiana ma questa visione ha un suo rapporto o conseguenza con l’arte contemporanea così come si è declinata da un punto di vista socio economico e del mercato a livello internazionale o rimane un fenomeno localistico agganciato solo alla situazione italiana? L’arte è entrata in una dimensione di globalizzazione culturale a partire dal Novecento per effetto del graduale potenziamento del sistema delle comunicazioni. Quindi abbiamo assistito a una radicalizzazione della polingenesi, termine che significa la predisposizione di artisti nati nel medesimo ambito generazionale a esprimersi in maniera simile poiché sottoposti ad analoghi stimoli culturali o derivanti dall’omologa situazione sociale e politica. Questo fenomeno si è ulteriormente sviluppato nel secondo Novecento a partire dall’Informale, tendenza ormai diffusa a livello planetario. Non a caso si affaccia per prima volta alla ribalta dell’avanguardia artistica il Giappone, con il gruppo Gutai. L’ingresso in forze nel panorama artistico dei paesi dell’Est e asiatici, in particolare Russia, Cina e India, dopo il crollo del Muro di Berlino, costituirà la novità più rilevante nella stagione della post modernità avanzata anche se questi paesi, specie nei primi anni, per colmare il gap con l’occidente non hanno trovato di meglio che reiterarne i canoni espressivi, riversando grandi quantità di denaro sul mercato e contribuendo in maniera determinante alla creazione di una bolla speculativa. Gli stili si assomigliano ma rimane l’irripetibilità del genius loci per cui, se ci riferiamo alla Pop Art, ognuno fa riferimento alla sua tradizione culturale. Quindi Warhol raffigura Elvis e la zuppa Campbell, la Pop romana l’obelisco di Piazza del Popolo od il Futurismo. Il sistema italiano negli ultimi vent’anni ha premiato quanti si sono mollemente adeguati ai moduli della globalizzazione estetica e non coloro che hanno perseguito una linea autonoma di ricerca, coerente con la nostra tradizione. Questa la differenza tra l’Italia e gli altri paesi. Che cosa è mancato all’arte italiana di questi ultimi anni oltre agli episodi e ai casi isolati che tu citi nella tua presentazione per imporsi a livello internazionale? La volontà di fare sistema innanzitutto. Quanto mi fa arrabbiare è che determinate scelte sono state imposte da una parte agguerrita e potente, ma minoritaria. La porzione di arte che io rappresento ne “L’Altra Storia” costituisce la netta maggioranza della scena italiana. Ma la maggior parte delle gallerie e della critica, attività oggi decaduta quanto a protagonismo culturale e ridotta ad una mera pratica curatoriale da “filippini dell’arte”, per citare Bonito Oliva, non ha dimostrato coraggio alcuno ed ha optato per l’elargizione del biblico “piatto di lenticchie”. Il mio sforzo con questa e altre iniziative è anche di natura didattica. Cerco di fare capire agli operatori più giovani che l’arte non è iniziata negli anni Novanta. Quel decennio ha viceversa rappresentato la degenerazione del sistema italiano. Un fenomeno iniziato nella seconda metà degli anni Ottanta quando, di fronte a un panorama di giovane arte senza dubbio vivace e qualitativo le due grandi correnti l’Arte Povera, all’epoca in piena rivalutazione, e la Transavanguardia, in temporaneo calo di quotazione, fecero fronte comune insieme all’editoria 11-10-2011 9:17:18 ed a buona parte del collezionismo per sbarrare la strada all’arte dell’ultima generazione e alle voci indipendenti della giovane critica, e debbo dire che io fui uno dei principali bersagli. Quanto mancò fu la volontà di fare fronte comune, e ognuno corse per la sua strada, strade quasi sempre segnate dall’opportunismo. Ma il problema per l’arte italiana dell’ultimo quarto di secolo non è stata la qualità e l’originalità, quella, per quanto tenuta il più possibile nascosta, c’è sempre stata. Un segnale recente di ciò è dato dall’allestimento delle Accademie italiane all’Arsenale di Venezia, che ho visitato pochi giorni fa. Una mostra di grande qualità, che testimonia l’intelligenza dei nostri giovani artisti e la qualità dell’insegnamento accademico. Possiamo parlare di una situazione italiana particolare e assolutamente anomala rispetto a quella degli altri paesi europei? In buona misura sì e certo non solo per i problemi prima citati. Quanto è sempre mancato in Italia è una strutturazione del sistema. L’ambito del no-profit, ad esempio, nel quale io opero ininterrottamente fin dal 1984, è in Italia completamente sottovalutato e vive di totale estemporaneità. Invece di delegare alle Associazioni e alle Accademie la prima scrematura dell’arte giovane le istituzioni hanno quasi sempre operato in prima persona con grande spreco di risorse e scarsi risultati, basti pensare al fallimento della Biennale Arte Giovani, gestita dai funzionari e non dagli esperti del settore, che è stata una grande voragine di denaro pubblico. È sempre mancata anche una fascia di strutture museali intermedie, dedite soprattutto all’analisi del contemporaneo e viatico per accedere successivamente ai grandi Musei. Certo, questi negli ultimi anni sono cresciuti di numero, ma propongono quasi tutti la medesima programmazione e gli stessi artisti e vengono guidati da una casta inamovibile di direttori e dai loro assistenti. La programmazione non va poi oltre il consueto seminato. Citerò l’esempio eclatante della GAM di Torino dove dal 1997, l’ultimo fu il sottoscritto con “Va’Pensiero. Arte Italiana 1984/1996”, nessun critico torinese ha potuto proporre una sua autonoma analisi della scena contemporanea, e si tratta di’stituzioni pubbliche. Anche nel fronte delle Fondazioni private, salvo sporadiche eccezioni, le cose non vanno meglio. Di recente assistiamo a un ritorno di alcune idee forti del modernismo ed ad una messa in discussione del post-moderno rispetto per esempio al problema della verità, dell’autenticità, della politica. Pensi che gli artisti ora debbano tornare a riflettere su tali questioni? Ho letto con interesse il dibattito vivace che si è sviluppato negli ultimi mesi in merito alla teorizzazione di un “nuovo realismo filosofico” il cui principale propugnatore è il filosofo torinese Maurizio Ferraris che, da allievo e sodale di Gianni Vattimo, teorico del “pensiero debole”, una delle correnti che hanno contraddistinto il dibattito post moderno, se ne è gradualmente staccato fino a porsi in dialettica ma netta contrapposizione. La tesi di fondo del “nuovo realismo”, in estrema sintesi, è la necessità per l’uomo, in questa fase storica, di porsi concretamente ed in maniera pragmatica di fronte al mondo ed alle cose, per assumersi nuovamente la capacità di modificarle per evitare il graduale disfacimento dell’esistenza in una condizione di pura apparenza virtuale. Riconsiderare i “fatti”, quindi, più che le interpretazioni. Ritengo che ci sia del vero in tutto ciò, senza che impaginato10.indd 41 In quale chiave oggi si deve riconsiderare la responsabilità dell’artista rispetto al reale, alla diffusione dei media tecnologici, all’ecologia e al pianeta ? Gli artisti debbono, anche se non è facile specie per i più giovani che spesso, però, dimostrano coraggio, e lo noto tra i miei studenti, farsi portatori di messaggi che sappiano indicare la possibilità di nuove strade e nuovi modelli di comportamento evitando di calarsi in una dimensione puramente autoreferenziale. Non a caso in Italia, negli ultimi anni, ha preso piede la pratica dell’arte pubblica, che io stesso porto avanti con vari progetti, il più importante dei quali è il Museo d’Arte Urbana di Torino, l’unica in cui l’arte può riscoprire appieno la sua vocazione etica e didattica, al fine di costruire un’estetica che non sia “gassosa” e vacua, come quella descritta dal filosofo Yves Michaud in un suo recente saggio, ma sia strumento di educazione al bello, alla qualità della vita, a un nuovo modello di sostenibilità. Alcuni filosofi come Rella, Bodei, Ranciére pensano ad una dimensione di un nuovo spazio estetico che in qualche modo nasce da momenti tensionali dello stesso regime estetico. Tensioni attraversati da forti dualità che in qualche modo riaffrontano la questione della centralità dell’opera in una sensibilità attraversata dall’etica. Da questo punto di vista pensi che il presente debba ripristinare la dimensione del senso? Tra i filosofi che citi conosco in particolare alcune importanti riflessioni di Remo Bodei sul concetto di bello, visto come categoria non fissa ma mutabile col tempo e sulla dimensione estetica. Il significato etimologico originario del termine, coniato da Baumgarten nel 1750 e “scienza delle cognizioni sensitive”, un consorzio che unifica produttori e fruitori dell’esperienza estetica. La dimensione del senso va senza dubbio ripristinata e, non a caso, da alcuni anni noto che il lavoro di diversi artisti, ad esempio, va in direzione dell’utilizzo delle nuove tecnologie non come scorciatoia formale ma come strumento per dispiegare nuovi orizzonti sensoriali. Quanto all’etica se ne dibatterà proprio a San Carporforo in un dibattito dal titolo “E’ ancora possibile una dimensione etica nell’arte?”. Credo che l’etica vada rivalutata in quanto filosofia della morale. C’è molto bisogno di moralità nell’arte d’oggi, non certo in una dimensione censoria, ma nella coerenza di saper difendere le proprie posizioni con stoicismo, pratica attualmente quanto mai desueta. Il nuovo, la novità è anche ciò che vi è di più antico, qualcosa di non storico a cui siamo chiamati a rispondere, come dice Blanchot, come se fosse l’impossibile, l’invisibile ciò che sembra scomparso sotto le macerie. Alla fine un’altra storia, il grado zero è ricominciamento, riscrittura del presente, di ciò che non può avere luogo nel presente ? La circolarità dei destini e delle esistenze è una componente imprescindibile dell’antropologia. Quanto dici mi fa venire in mente un saggio del filosofo Andrea Tagliapietra, di cui da poco ho completato la lettura, dal titolo “Icone della fine”. In questo volume Tagliapietra riflette su come mai come in questo periodo, fortemente caratterizzato da una visione sfiduciata del futuro, in presenza di una pesante crisi di ordine ecologico, economico e politico proliferano immagini che rappresentano tragiche fini collettive, evocanti l’apocalisse individuale e collettiva che risiede nella mente dell’uomo. Ma la fine prevede inevitabilmente un nuovo inizio. “Un’Altra Storia” indica proprio la volontà di riprendere il cammino, con maggiore forza e consapevolezza del proprio ruolo. 41 docenti Quali sono stati i criteri di selezione degli artisti? Mi trovavo di fronte, rispetto al lasso di tempo preso in esame, dalla seconda metà degli anni Ottanta ai giorni nostri, a una campionatura di circa duecento autori. La selezione è stata operata tenendo conto del mio gusto nonché del rapporto personale che intrattengo con gli artisti, per me da sempre elemento prioritario della mia attività, nonché dal confronto con gli amici che mi hanno aiutato in questo evento come Anselmo Basso, collezionista torinese di intuito e sensibilità ed il giovane curatore Alessandro Carrer. Questo è un grande evento realizzato con un budget ristrettissimo, grazie alla concessione di importanti sedi espositive, alla collaborazione con Il Comune di Como, che ha deliberato un piccolo contributo e l’Ex Chiesa di San Francesco, e con il CRAB dell’Accademia di Brera, ed al volontariato di amici ed artisti, la qual cosa testimonia come il tema sia molto sentito. Non sono riuscito, per limiti oggettivi, a inserire nel progetto la prima parte della post modernità, quella che va dal 1975 al 1985, sarà il mio prossimo obiettivo. questo nulla tolga alla validità delle teorizzazioni prodotte negli scorsi decenni. Il crollo delle ideologie, la fine delle grandi narrazioni, l’oblio della dimensione metafisica sono stati fenomeni che hanno caratterizzato una stagione di passaggio. Ora siamo in mezzo al guado e vi è la necessità di guardare in direzione del futuro per non rimanere impantanati nella dimensione liquida dell’”eterno presente”. Anche in arte, da alcuni anni, si possono intravedere consistenti indizi di una mutazione in atto e, non a caso, ho intitolato una mostra di qualche anno fa “I Neo Contemporanei”. Gli artisti possono e devono rivalutare gli aspetti che hai citato, confrontarsi nuovamente con la politica con un atteggiamento diverso, però, da quello fortemente ideologico degli anni tra il ’50 ed il ’70, frutto di un altro clima. La resistenza alle storture di un certo sistema deve essere una delle parole d’ordine. 11-10-2011 9:17:19 42 LEA MATTARELLA Quando mi chiedono una definizione da mettere accanto al mio nome, critico, curatore, giornalista, io scelgo sempre di essere indicata come docente dell’Accademia di Belle Arti... docenti Di Elisabetta Longari Sei una figura molto attiva nel mondo dell’arte: giornalista per “La Repubblica” (tra l’altro sai che apprezzo il tuo eloquio e ti leggo sempre molto volentieri), curatrice di mostre, studiosa e docente di Storia dell’Arte che conosce la realtà di diverse sedi accademiche. Non sapendo da che parte iniziare, partiamo proprio dal quadro che ti sei formata sulla realtà delle Accademie italiane e sulla loro condizione attuale. Io sono molto fiera di insegnare in Accademia. Quando mi chiedono una definizione da mettere accanto al mio nome, critico, curatore, giornalista, io scelgo sempre di essere indicata come docente dell’Accademia di Belle Arti. Il nostro è un lavoro importante, di grande responsabilità, che ci tiene ancorati alla vita. Di Accademie ne ho girate tante e ne ho viste di tutti i colori…Ma alla fine credo che siano esattamente lo specchio del paese: posti meravigliosi in cui puoi sempre imbatterti nell’orrore e nell’ingiustizia. Mi sembra che questo sia un momento difficile perché la riforma in cui tutti abbiamo creduto è stata deludente, anche perché siamo rimasti sospesi in un limbo, come se avessero costruito un quartiere senza le infrastrutture. Così tutto è affidato solo alla serietà del singolo. Io ho incontrato dappertutto professionisti pazzeschi, gente che fa il proprio lavoro con passione, impegno e dedizione. Questi secondo me sono continuamente umiliati da chi non investe nelle Accademia e non gli riconosce il ruolo fondamentale che queste impaginato10.indd 42 istituzioni potrebbero essere chiamate a svolgere (oltre che dal nostro stipendio, ma non voglio parlare di questo). Per quanto riguarda la nostra disciplina poi, sono davvero convinta che nelle Accademie si concentri quanto di meglio ci sia in giro. Detto questo, ogni tanto incontri anche improvvisati, fannulloni, gente che sta lì e non sa neanche perché, ma è l’Italia bellezza! A suo tempo mi hai comunicato di stare facendo un dottorato: presso quale università e quale è l’argomento della tua ricerca? Sto facendo un dottorato di ricerca presso l’Università degli Studi di Viterbo e ho come tutor Patrizia Mania. È davvero un privilegio avere del tempo per studiare e una persona come Patrizia che ti segue. La mia ricerca indaga il contributo di alcuni artisti italiani del Novecento alla scena teatrale. Anche questa idea è nata in Accademia, proprio a Brera, dove ho sempre avuto molti allievi di Scenografia. Così cercando dei corsi adatti a loro mi sono appassionata al tema. La cosa che mi piace di più è la possibilità di mettere insieme le diverse discipline: l’arte figurativa, il cinema, il teatro, la musica, la letteratura. Maurizio Fagiolo diceva che lo storico dell’arte quando cura una mostra o fa un libro è come un regista. Secondo me aveva ragione, bisogna sempre tenere le fila di più cose, seguire varie indicazioni e poi metterle insieme. Io non sono una specialista capace di passare tutta la vita su un argomento, mi ritengo una che sa incrociare le cose, creare intrecci. 11-10-2011 9:17:20 43 Peter Fishli and David Weiss Spazio numero 13, 2011. Big tube, tube, corner, standing corner, two walls. Reinforced clay. 100 × 75 × 75 cm. © Peter Fishli and David Weiss. Courtesy Sprüth Magers, Berlin and London; Matthew Marks Gallery, New York; Galerie Eva Presenhuber, Zürich - 54th International Art Exhibition – la Biennale di Venezia Photo credits Franziska Bodmer e Bruno Mancia - FBM Studio Tra i tuoi studenti di tutti i tempi se tu dovessi fare un nome solo chi ricordi e perché? No, dai, questa è una domanda a cui non si può rispondere… Potrei dirti Guglielmo Castelli di Torino perché stiamo pensando proprio adesso una mostra da fare insieme in autunno alla galleria il Segno, o Stampone dell’Aquila che ha appena inaugurato la sua opera dedicata a Ai Weiwei a Venezia. Ma come posso non citare le faccine attente delle ragazze che venivano nell’aula 13 il primo anno che ho insegnato a Brera? Ogni tanto ne incontro qualcuna ed è una festa. Tu sai meglio di me quant’è emozionante quando vedi che ce la stanno facendo. Che riescono a realizzare quello in cui credevano quando venivano a lezione. A vivere di arte, con l’arte, per l’arte. Ed è sempre più difficile perché le derive del nostro mondo in cui c’è sempre più mercato e sempre meno pensiero pesano anche su di loro. impaginato10.indd 43 Che dote invidi e a chi? Il distacco ai monaci buddhisti, perché comprende la compassione e non la esclude. Tenere insieme le due cose dovrebbe essere il nostro piccolo eroismo quotidiano. E poi invidio terribilmente la voce a Evelina Meghnagi, la mia insegnante di canto. A quali progetti espositivi stai lavorando? A una mostra su Dalì insieme a Montse Aguer della Fondazione di Figueiras. Una domanda di rito: il lavoro visto all’attuale edizione della Biennale che ti è rimasto più impresso. Quale, di chi e perché? Fischli & Weiss ai Giardini: perché è bello, è in tema con la mostra, emoziona e non vuole fare altro che questo. Sapresti raccontare come sei giunta a fare quello che fai, attraverso quali passaggi di coscienza? Io devo moltissimo ai giornali perché questo lavoro, prima a La Stampa e oggi a La Repubblica, mi ha insegnato la chiarezza, la sintesi e anche l’umiltà. Non devi aver paura della banalità perché il tuo peggior nemico è l’inutile complicazione. Valerio Magrelli una volta mi ha detto che scrivere per i giornali per lui è stato come diventare bilingue. E un po’ è così. Ti devi togliere dalla testa il linguaggio specialistico, che però dà una gran sicurezza, ti fa da corazza, soprattutto quando sei giovane. E invece devi imparare a essere autorevole nella semplicità. E poi sono diventata una che fa domande in continuazione, mentre all’inizio del mio percorso mi sembrava quasi sminuente chiedere spiegazioni, dire: non ho capito, oppure: questa cosa non la so me la puoi dire? E a questo, a chiedere, ti abituano i giornali, perché se devi “tradurre” una cosa per un lettore che non ha la tua formazione, deve essere chiarissima innanzitutto a te. Io ormai ho fatto mia la frase che mi ripete sempre Peppino Appella: più si studia e meno si sa. E ci convivo, un po’ con rassegnazione e un po’ con allegria. docenti Qual è l’argomento che hai studiato per cui hai provato più curiosità e passione? Ultimamente scritto delle piccole cose per “Art e dossier” sui quadri nei film. E in così ora momento vorrei solo rintracciare pittura e scultura tra cinema e letteratura e trovare per tutto questo una chiave di interpretazione. Ieri ho visto un film in cui c’è Fabrice Luchini che, innamorato di una spagnola, fantastica sulla Venere di Velázquez. Luchini, Velázquez: due amori in un colpo solo…. mi è venuta subito voglia di farci un articolo… Ma la passione costante penso che sia l’arte delle donne. Quando mi incanto su un lavoro spesso scopro spesso che è fatto da una lei. Che manuale raccomandi allo studente di Storia dell’arte in Accademia di questi tempi? Dorfles Vettese, De Vecchi Cerchiari, Briganti Bertelli… Però gli dico anche che mi portino a vedere quello che avevano al Liceo e se non è proprio indecente e a loro è piaciuto glielo faccio tenere. 11-10-2011 9:17:21 premio maimeri 44 impaginato10.indd 44 11-10-2011 9:17:23 45 premio maimeri impaginato10.indd 45 11-10-2011 9:17:26 ACCADEMIA DI SANREMO 46 accademia sanremo maestridi storici Nella città del festival della canzone italiana, dei garofani e del mare pulito c’è anche la piccola realtà dell’accademia che vuole recitare il suo ruolo e far parte a pieno titolo delle risorse della città intervista a cura di Gaetano Grillo Molti non sanno che a Sanremo esiste un’Accademia da cira quattordici anni anche se da quattro anni ha avuto una svolta con Pier Luigi Megassini che ha voluto lanciare la sfida del rilancio. Chi è Megassini? L’Accademia di Belle Arti di Sanremo nasce nel 1997 con l’indirizzo di Pittura quadriennale. Dal 2008 il cambio di gestione e direzione costituisce l’occasione per cambiare sostanzialmente strategia operativa: si allarga il ventaglio dell’offerta formativa, si svolge un’azione sistematica di orientamento, s’intensificano i rapporti di collaborazione con le scuole di ogni ordine e tipo della città e della provincia, si elaborano azioni e preparano proposte progettuali per il territorio che poi si confrontano con gli altri interlocutori, si consapevolizzano i docenti sul principio che ogni risultato dipende inevitabilmente dalla capacità di lavorare in gruppo e il futuro dell’accademia dipende dalla motivazione e dall’impegno di tutti indistintamente. Una piccola realtà che lancia la sfida del rilancio grazie ai propositi del direttore, Pier Luigi Megassini sostenuto da quell’energia che si porta dentro da sempre e dallo spirito battagliero con cui affronta ogni situazione. Megassini è anzitutto uomo di scuola che con i suoi quarant’anni di esperienza intende proiettare le sue energie nell’affermazione di una realtà che sia una palestra d’idee, di propositi e d’iniziative dove i giovani – sia studenti che docenti – possano affermare il loro spirito creativo e coltivare la sensibilità per “le cose belle” di cui oggi più che mai tutti abbiamo un gran bisogno. Con questa filosofia cerca di impaginato10.indd 46 trasmettere entusiasmo ai suoi collaboratri che condividono le sue stesse motivazioni e affrontano con ottimismo la ricerca di nuove strade a 360 gradi. Sono docenti in massima parte giovani che uniscono alle competenze una grande sensibilità e hanno il carisma necessario per travasare negli studenti la loro passione per l’arte aiutandoli a diventare “professionisti per passione” prima che per necessità. A proposito di passioni, quella che Megassini si porta dentro da sempre è l’amore per il giornalismo e la comunicazione, per lo scrivere ciò che sente sulla realtà che lo circonda: questo retroterra è lo strumento con cui oggi elabora progetti, assembla percorsi e imbastisce proposte con i docenti che se ne fanno portavoce presso gli enti locali e le associazioni territoriale per innescare i giusti coinvolgimenti senza i quali tutto è più difficile. In questa direzione tutti stanno lavorando per creare una rete di rapporti con gli altri attori del territorio e realizzare le sinergie utili a promuovere situazioni d’interesse comune. E la rete rappresenta l’unica possibilità di valorizzare le risorse globali e di tradurle in un patrimonio spendibile sul piano delle iniziative, delle strategie da adottare e degli obiettivi da perseguire. La rete rappresenta la mano forte che, grazie alla collaborazione di tutte le dita, diventa la voce sentita nel territorio a cui presenta la sua offerta formativa e su cui appronta interventi di ogni tipo. In questa logica i corsi attivi all’accademia sono mirati a creare profili che si possano integrare nel contesto con le sue connotazioni sociali, culturali, economiche e produttive, con le sue valenze e le 11-10-2011 9:17:27 47 sue aspirazioni che – come tasselli di un mosaico – determinano gli scenari dl mercato del lavoro dove deve trovare sbocco chi possiede un carnet di conoscenze e competenze specifiche. impaginato10.indd 47 In quale misura la tua accademia si rapporta al territorio e cosa può offrire in termini di formazione all’economia del mercato del lavoro locale? Nel prossimo futuro l’accademia di Sanremo intende continuare nella strada del miglioramento graduale e costante della qualità del servizio accademia di sanremo L’Accademia ha sede nel bellissimo parco dell’Hotel Miramare, un albergo inizio del ‘900, affacciato sul mare con palme altissime, prati e tanti fiori. Un luogo ideale per lavorare bene, con pochi allievi seguitissimi, con giovani docenti motivati e per giunta in una città famosa per il suo mondanissimo festival, per la floricoltura, per il turismo e per la sua vicinanza alla Francia. Come è articolata e organizzata l’Accademia di Sanremo? La sede dell’accademia di Sanremo beneficia di un contesto suggestivo: una struttura di inizio ‘900, dignitosa nella sua solida vetustà e inserita in una cornice costituita da un ampio parco di piante secolari a pochi metri dal mare. Un luogo che aiuta certamente gli studenti a trovare la serenità necessaria per concentrarsi e lavorare con convinzione e impegno a fianco dei loro docenti, motivati e intraprendenti, che non perdono occasione per ampliare la gamma delle esperienze proponendo visite didattiche, workshop con artisti ed esperti, iniziative specialistiche e partecipazione a concorsi. Nella città del festival della canzone italiana, dei garofani e del mare pulito c’è anche la piccola realtà dell’accademia che vuole recitare il suo ruolo e far parte a pieno titolo delle risorse della città e del territorio. Uno slogan propagandistico coniato qualche anno fa diceva” A Sanremo ogni giorno è un giorno speciale”. A chi frequenta e lavora in accademia piace pensare che, se è vero, un po’ di merito è anche il suo sia per iniziative che si realizzano sia naturalmente per l’attività formativa svolta dai tre corsi ( Pittura Architettura d’interni e design – Grafica e illustrazioni). Tre corsi che coprono tre grandi settori operativi strettamente legati alla contemporaneità e rispondenti alle necessità professionali locali, ma non solo. I giovani che intendono formarsi come artisti, probabilmente preferiscono iscriversi ad Accademie storiche come quella di Brera a Milano, Roma, Torino ecc. Nelle grandi città possono trovare gli stimoli giusti e le occasioni per farsi largo nella giungla del sistema dell’arte. Per quale motivo dei giovani dovrebbero venire a studiare a Sanremo? Sanremo non è una metropoli e non offre le proposte sociali, culturali e artistiche di alcune città che ospitano le storiche e rinomate accademie, tuttavia non è priva di sollecitazioni che provengono dagli enti pubblici e dalle associazioni private che mettono a punto calendari di manifestazioni molto interessanti. Si pensi al Casinò, alla Pinacoteca Civica di Col di Rodi, all’attività del Museo Civico, alle iniziative della Famija sanremasca, degli Amici dell’arte e del Centro Studi Mattei, Società Promotrice dell’Arte della Riviera dei Fiori. Sanremo è una piccola città che decuplica i suoi abitanti soltanto in alcuni momenti dell’anno (festival, sfilata dei carri fioriti) ma per il resto fa scorrere la vita con ritmi certamente diversi da quelli delle grandi città, spesso convulsi e insidiati da mille pericoli. Anche questo può favorire la scelta di un’accademia che è possibile frequentare e “vivere” con distensione e serenità. Chi impara a essere artista, chi ha bisogno di trovare motivi ispiratori, di studiare e riflettere, imparare ed esercitarsi alla produzione si trova a suo agio in quest’angolo di mondo dove la natura è prevalente con le sue espressioni, i suoi profumi e colori, con il fascino delle sue trasformazioni mitigate dalla dolcezza del clima. Non è poi trascurabile la vicinanza di Sanremo alla Francia e a Nizza da cui è separata da una manciata di chilometri. Nizza è città di notorio spessore artistico con i suoi musei, gallerie e mostre che rappresentano una fucina permanente di idee, di innovazioni, di proposte avanguardistiche e nel contempo di valorizzazione della memoria artistica. A Nizza, insomma, gli stimoli e i confronti, i suggerimenti e gli inviti per chi ama l’arte non mancano di certo. 11-10-2011 9:17:32 e della struttura degli strumenti e dell’efficienza sotto ogni profilo, continuare a intensificare i rapporti con il territorio, con la società, con gli operatori professionali. In margine a questo impegno che rappresenta una sorta di contratto morale che chi opera nell’accademia ha con se stesso e con gli studenti, c’è anche un sogno nel cassetto. E’ un’idea ancora in nuce, un pensiero che ancora non si traduce in progetto anche perché la sua definizione e strutturazione dovrebbero coinvolgere molte forze, dovrebbe avvalersi di una vera e propria rete di collaborazioni ognuna delle quali svolge la sua parte verso il raggiungimento dell’obiettivo comune. Sanremo è la città del festival della canzone, la sua notorietà è storica e internazionale a questo proposito. E allora perché non pensare a un corso accademico che professionalizzi il canto quale risultato di un corso di studi di livello universitario che passi un piano disciplinare di studio? L’accademia, quale cellula dell’Alta Formazione Artistica e Musicale e quale struttura impegnata nell’espressione della fisionomia del territorio potrebbe promuovere questa potenzialità e sottoporla alla verifica degli altri referenti della città interessati. Certo lo sforzo sarebbe impegnativo, ma il risultato gratificante. Sanremo diventerebbe la città della canzone non solo per la rituale ricorrenza della parata concorsuale ma per essere la città dove la canzone si studia e si impara ogni giorno dell’anno. Come vivono la riforma e le problematiche derivanti da essa le piccole istituzioni come questa? Quali sono le difficoltà che incontra e quali le potenzialità che si possono sviluppare? La riforma e ogni provvedimento normativo sono vissuti dalle piccole accademie con un sentimento misto di “tema e desire” come direbbe Manzoni. Il desiderio che ci siano regole sempre più chiare e indicative su cui impostare la progettualità formativa e ogni altra attività, e il timore che i provvedimenti di nuova fattura possano rivoluzionare l’assetto fondamentale soprattutto delle realtà più piccole che non hanno la forza delle grandi per affrontare adeguamenti particolarmente ambiziosi. Ricordiamoci che le legalmente riconosciute non beneficiano di contributi pubblici, ma vivono delle loro risorse che sono sempre più piccole rispetto alle necessità in aumento. D’altra parte è pur vero che per migliorare un servizio occorre correggere la traiettoria strada facendo e perciò l’auspicio è che la riforma sia lo strumento che garantisce il miglioramento in una logica pianificata che nell’individuazione degli obiettivi da raggiungere tenga conto delle potenzialità e delle forze reali e non supposte. Perché non organizzare in questa bella cornice gli “stati generali” delle accademie legalmente riconosciute, private, civiche? Perché questa piccola accademia non si fa promotrice di un grande progetto? Certo è che le problematiche che vive il settore AFAM non mancano anche in conseguenza delle trasformazioni in corso e delle altre annunciate e perciò sarebbe utile attivare la “rete” che spesso si invoca e cioè coinvolgere tutti gli interessati nella discussione dei temi più urgenti e importanti. Sarebbe utile registrare i punti di vista, i suggerimenti e le proposte, ma anche le ansie e le necessità con la consapevolezza che i risultati migliori si otterngono grazie ai contributi di tutti. E a tale scopo forse, la dolcezza del clima e la salubrità dell’aria (che partecipano a migliorare l’umore e a favorire il reperimento di soluzioni) potrebbero essere lo stimolo per riunire i rappresentanti delle accademie legalmente riconosciute e per trasferirsi istanze e proposte. Un fine settimana d’autunno, con una temperatura piacevole sul mare, a Sanremo a discutere del proprio destino può essere un invito non trascurabile. In fondo … Sanremo è sempre Sanremo. recensioni / notizie 48 Arte povera e Ontani e Rivoli Di Elisabetta Longari Sui due piani della collezione permanente del Museo di Rivoli, con l’inevitabile curatela di Celant, si snoda una mostra dedicata, in concomitanza con altri spazi italiani (tra cui il Mambo di Bologna, il Maxxi e la Gnam di Roma e la Triennale di Milano), a un approfondimento sull’arte povera, con particolare attenzione alle collezioni torinesi, pubbliche e private. Tutte le opere presenti nel percorso espositivo sono rilette attraverso il filtro del soggetto prescelto, esteso anche ad artisti internazionali etichettabili e etichettati in questa occasione come “poveristi”. L’effettiva importanza del fenomeno sorto in Italia tra il 1967 e il 1968 risulta evidente anche dalla flagrante atmosfera degli esordi in pubblico, dal clima ludico e vivace che, molto lontano, anzi di segno contrario, dalla pompa dell’Arte con la maiuscola, regna nelle riprese del documentario della RAI girato nel 1968 ad Amalfi in occasione della mostra di Arte povera + Azioni Povere. Il filmato restituisce in modo vivido il dato più saliente e di rottura rispetto al contesto artistico imperante: la ricercata e praticata fuga dagli stereotipi dell’arte in favore della vita. Le installazioni a volte anche gigantesche, costituite in prevalenza da elementi fragili e materiali poveri, trovano nella preziosa cornice delle splendide sale progettate da Juvarra un contrasto vicendevolmente vantaggioso impaginato10.indd 48 e particolarmente valorizzante. Tra le più notevoli da un punto di vista dell’impatto con l’ambiente è l’opera di Luciano Fabro Allestimento teatrale, un cubo di specchi che, progettato nel 1967 per il Teatro Stabile di Torino, riflette un desiderio diffuso tra gli artisti vicini per orientamento “militante” durante quel periodo: innestare processi conoscitivi, fornire spunti d’esperienza attraverso dispositivi rivolti allo sviluppo di una forma di autocoscienza negli utenti, in questo caso tanto nell’attore quanto nel pubblico. Nel suggestivo ambiente della Manica Lunga, con un titolo tipico dei suoi, RivoltArteAltrove, un titolo-valigia, come dice Andrea Cortellessa, mai univoco, anzi, con doppifondi, è allestita una nitida mostra di Ontani che ha usato la gentilezza di introdurre i presenti alla lettura del suo viaggio identitario. Curata in modo impeccabile da Andrea Bellini in modo che la complessità e la ricchezza dei riferimenti e l’ambiguità portante dell’opera del protagonista siano immediatamente percepibili, si avvale anche dell’invenzione di una felice formula che propone una sorta di gioco mutevole di occasioni per leggere “ontanismi” vicini e lontani e stabilire legami per affinità o per opposizione con artisti italiani di diverse generazioni. Le mostre allestite a Rivoli rispondono con i fatti alle sterili polemiche, scatenate a livello locale per evidenti giochi di potere, al cui centro si trova il Museo, una delle poche realtà museali italiane dedicate all’arte contemporanea che abbia davvero un respiro internazionale. 11-10-2011 9:17:35 FR Trit E’ sem nell’ar (nono distan Per qu si affe dell’es con un T.W. “aristo e non I rime rimess sopra ad alt prefer loro”). Tale p il con realizz Milano Non è all’inte a Pia Vesco Nondi di Fra “spiritu pittoric mode I tre gr Dioce 49 FRANCO MARROCCO Trittico, Museo Diocesano, Milano impaginato10.indd 49 contaminazione con questo particolare ambiente quanto un serrato e suggestivo dialogo tra un’opera d’arte contemporanea formalmente e concettualmente autonoma e uno spazio museale orientato. Negli ultimi cinque, sei anni le opere di Marrocco, spesso di grande formato, sono fondate su una originale “azione” (nel senso di procedimento e di presentazione) sul colore, e spesso del colore più “vivo” come il rosso. Tale concentrazione del linguaggio pittorico sul colore supera velocemente la saturazione (sia visiva che semantica) del monocromo per aprirsi a significative lacerazioni in cui si inscrivono segni, tracce e fantasmi della memoria. Come ha ben scritto Luciano Caramel, nel 2005, a proposito di grandi tele come Traiettorie e Tracce, “ da tale compresenza di vicinanza e lontananza, da questo vedere vicino nella pittura quanto è lontano, spazialmente e temporalmente, da questa sintesi di presenza e assenza, di vissuto e memoria, da questo vedere insieme fisico e coscienziale, discende parte almeno della magia suggestiva e delle capacità di incidere nel profondo dei quadri di Marrocco”. Dopo una vita dedicata allo strutturalismo e alla scienza del segno Roland Barthes affermò che alla fine ciò che è importante in un romanzo è la sua “proprietà”, la sua capacità di rendere vivi i personaggi di cui parla affinché il piacere del lettore sia essenzialmente quello di partecipare alle loro esperienze e di dialogare realmente con loro. Trittico di Franco Marrocco non è, a mio avviso, un’opera “spirituale” né sacra. Tuttavia, possiede il grande dono illusionistico dell’arte di farci vedere e persino di far apparire fantasmi/personaggi spiritualmente e soprattutto simbolicamente affini a quelli presenti nelle collezioni del Museo Diocesano. Anzi, è proprio a partire dal suo trittico che all’osservatore è possibile rivedere e “rendere vivo e attuale” il luogo e le immagini della storia dell’arte del passato. recensioni / notizie E’ sempre difficile parlare oggi di arte sacra e persino di “spirituale” nell’arte.Per quanto riguarda l’arte sacra, storicamente, è scomparsa (nonostante alcune alte eccezioni) con il Modernismo e con l’obiettiva distanza culturale del naturale committente, ossia la Chiesa. Per quanto riguarda l’altra categoria, quella dello “spirituale nell’arte” si afferma, agli inizi del 900, come un valore proprio e specifico dell’esperienza artistica e non come un processo e un procedimento con un fine esterno o altro (e nemmeno del Grande Altro). T.W. Adorno, durante gli ultimi sussulti modernisti scrisse di “aristocrazia” dell’arte, ma solo per riservarle un territorio autonomo e non contaminato. I rimescolamenti e le contaminazioni postmoderniste non hanno rimesso in gioco tali categorie ma ne hanno reso possibile la sopravvivenza dell’enunciato, dell’etichetta senza tuttavia dar luogo ad altro che alla semplice allocuzione (con particolare e arcaica preferenza per il pronome “esso” piuttosto che per il più vivo “lui/ loro”). Tale piccola premessa è necessaria per una efficace lettura, e per il contesto, dell’installazione pittorica Trittico di Franco Marrocco, realizzata all’interno di una grande sala del Museo Diocesano di Milano. Non è questa la prima volta che l’artista espone delle sue opere all’interno di spazi “religiosi”. Basterà citare la sua recente mostra a Piacenza (Cripta della Chiesa Abbaziale di San Sisto, Palazzo Vescovile) o quella all’interno della facoltà Teologica di Milano. Nondimeno, va subito segnalato che la recente esperienza artistica di Franco Marrocco non si presenta sotto il segno di una presunta “spiritualità” quanto della intenzionale elaborazione di un linguaggio pittorico che riflette ( e riparte...) sulla grande stagione dell’ultimo modernismo. I tre grandi quadri, nominalmente definiti Trittico, all’interno del Museo Diocesano di Milano, non sono dunque un “omaggio” e nemmeno una Giovanni Iovane 11-10-2011 9:17:40 recensioni / notizie 50 Maestri e giovani artisti dell’Accademia Albertina di torino all’universita’ marmara di Istanbul Con il titolo “Maestri e giovani artisti dell’Accademia Albertina di Torino” si propone negli spazi espositivi della Facoltà di Belle Arti della Università di Marmara a Istanbul, dal 17 Ottobre al 26 Dicembre 2011, una collettiva-evento che raccoglie, sul tema unificante della trasmissione e della rielaborazione del sapere dell’arte fra maestri e discepoli, 38 lavori di artisti affermati in campo nazionale e internazionale, docenti e artisti della nostra Istituzione e circa 70 opere di oltre 80 allievi tutti operanti all’interno dell’Accademia Albertina di Torino. L’idea della mostra è nata lo scorso anno quando alcuni studenti dell’Accademia di Torino hanno partecipato alla 5° Triennale degli studenti delle Accademie di tutto il mondo, organizzata proprio dalla impaginato10.indd 50 Facoltà di Belle Arti dell’Università di Marmara a Istanbul, sotto la direzione della sua Preside, la Professoressa Nazan Erkmen. In quella felicissima esperienza della grande kermesse artistica, la Professoressa Erkmen ha ipotizzato la possibilità di ospitare i nostri lavori per una sorta di “personale” della nostra Accademia in terra turca. Questo speciale legame di ammirazione e stima reciproca e di collaborazione fra le nostre due Istituzioni, si è poi rinsaldato nel Maggio di quest’anno quando l’Accademia di Torino ha ospitato la mostra “Segni della grafica turca contemporanea” su opere della stessa Nazan Erkmen e di Aydin Erkmen, tra i maggiori illustratori della Turchia oggi. La collettiva accanto ad un articolazione in diverse sezioni seconde le scuole classiche dell’Accademia e cioè pittura, scultura, scenografia e costume, grafica d’arte, architettura e design, prevede un ampia sezioni sulle arti multimediali, la fotografia, le arti performative ed infine anche l’ illustrazione scientifica. La mostra si pone quindi come un ponte ideale tra Torino e Istanbul, tra occidente e oriente e si nutre delle mille suggestioni che questo particolarissimo gemellaggio può offrire. In un momento di grave crisi dello stato delle attività artistiche in Italia, l’Accademia Albertina di Torino evidenzia tutta la sua inesauribile vitalità e ribadisce un certo primato culturale del valore delle Accademie in Italia, ponendosi in una posizione di avanguardia attenta ad uno sguardo internazionale sulle sue molteplici attività. Il mio pensiero grato va dapprima ai docenti-artisti dell’Accademia che hanno accettato con entusiasmo di partecipare a questa iniziativa internazionale che vede, forse per la prima volta in terra straniera, la presenza compatta del magistero artistico dei maestri dell’Albertina e degli studenti scelti liberamente dai loro docenti secondo un criterio d’ eccellenza e di rigore di ricerca artistica. Sono debitore al Presidente dell’Accademia, Marco Albera e al Consiglio d’Amministrazione per aver deciso di finanziare questa iniziativa e al Direttore Guido Curto che ha creduto fin da subito a questo ambizioso progetto, senza poi dimenticare il personale tecnico e amministrativo che ha reso possibile e concreta la nostra realizzazione. La mostra è presentata e sostenuta economicamente inoltre dall’Istituto Italiano di Cultura di Istanbul e dalla sua Direttrice, Dottoressa Gabriella Fortunato, che, grazie ai suoi auspici, ha ottenuto di inserire la nostra iniziativa, quale evento parallelo, all’interno della 12° Biennale di Istanbul. Salvo Bitonti (ideatore del progetto) 11-10-2011 9:17:42 Carlo Franza recensioni / notizie IL SIMBOLISMO ORGANICISTA DI PINO DI GENNARO partecipazione attiva e coerente ad ogni espressione della cultura internazionale,ha saputo sorvegliare e dinamizzare le esigenze della scultura contemporanea,talvolta con un’originalità e una fisionomia personale, da porlo fra i migliori artisti dell’avanguardia contemporanea.Egli è tornato a far rivivere i miti umani della classicità mediterranea, con la ricerca della purezza risolta in forme chiare e pensose,in un clima di simbolismo organicista di tipo naturalista con l’esaltazione non solo di certi miti storico-culturali,ma l’approfondimento del tema della vita dell’universo e la forza dei simboli germinali. E’ una ricerca la sua che parte da una certa visione spirituale o modo di fare umano, di fronte alla relazione tra le forze creatrici dell’esistenza e del mondo naturale. Questo scultore riunisce come pochi la forza vitale e l’impulso dionisiaco del vivente,tanto che le forme si concentrano sino a convertirsi in un potente ritmo di masse. Ha operato a lungo nell’ambito di una figurazione allusiva, e superato questo stato di metamorfosi,la sua ricerca più impegnata,grazie all’impiego di materiali diversi,dalla cartapesta al bronzo, dalla resina all’acciaio, dalla cera al piombo, si è svelata in un’inventiva spontanea e impetuosa,dando prova talvolta come ne “i pilastri del cielo” ad architetture spaziali che, pur conservando il loro elemento chimerico,si rifanno a una spiccata e costruttiva monumentalità,declinandosi anche come colonne totemiche, certo espressioni di memorie arcaiche e sintesi di civiltà. La sua è ancora oggi un’avventura pregna di grandi idealità,che lasciano intravedere quasi un ritorno ai monumenti simbolici primitivi, che stimolano e aprono lo spirito a una concezione poetica delle forze imponderabili della natura. Di Gennaro si guarda attorno,legge il mondo, legge la natura, legge l’ordine delle cose e dello spazio tra cielo e terra,aurore e crepuscoli e sfere celesti; tutto poi diventa luogo dove il tempo concreto viene proiettato nel tempo mitico e dove lo spaziotempo ordinato ritualmente diventa centro del mondo,incontro con il cielo e della terra. Di Gennaro riconosce e ricrea alcune suggestioni che la combinazione della natura e dell’invenzione umana hanno sempre fornito all’esperienza poetica, e mediante questo monumentalismo simbolico,al margine delle evocazioni nate dalla natura variabile, attraverso masse e vuoti,giunge quasi all’invenzione di una liturgia pagana. Fortunati esiti raggiunti grazie allo spessore culturale e artistico che l’ha preceduto e di cui ha tenuto conto, ovvero il dinamismo futurista,le lacerazioni spaziali di Fontana, il minimalismo dell’ABC art.. D’altronde si sa che le cose più importanti sono isolate, e sono più intense, chiare e potenti, sicchè questi solidi nella semplicità delle forme richiamano il lavoro di alcuni artisti americani, la Louise Nevelson di “Presenza di colonne del cielo”,e ancora Anthony Smith, Carl Andre, Robert Morris e Donald Judd. Gli ultimi sviluppi hanno registrato il passaggio a una sorta di neoplasticismo in cui l’ereditarietà del costruttivismo si risolve in una sorta di quadratura a parete(vedi “Preghiera “del 2000), una topografia metallica fortemente magica , con vuoti o cavità abitati da rotoli che cercano un linguaggio estetico nelle relazioni tra proporzioni e intervalli e i cui vocaboli sono la luce,la qualità del metallo, il colore, le ombre e la valorizzazione dello spazio. L’opera ,di tipo murale, presenta situazioni ottiche evidentemente studiate per la sua integrazione nell’architettura. Sorprende la capacità che ha Di Gennaro di lavorare alle sculture con materiali diversi, e con il ritmo assolutamente proprio che lo scultore è riuscito a cogliere liberando la sua vocazione costruttiva e facendovi confluire le culture plasticoarchitettoniche che avevano colpito la sua immaginazione. Ora geometria e mistero fanno pendant con il grembo della terra, con le ombre della memoria, con segni e scritture antiche che spiegano l’invenzione umana. Una geometria, la sua, che incapsula grandiosamente il senso del mistero, la vita universale e il partito del colore che crea le forme con una progressiva chiarezza di intenzioni. Pino Di Gennaro(1951) è scultore di chiara fama,giunto a Milano giovanissimo, fine anni Sessanta, allievo nei primi anni Settanta del Novecento prima di Alik Cavaliere eppoi dal 1972 al 1983 dello scultore Arnaldo Pomodoro. Un apprendistato di spessore che gli ha dato la possibilità di afferrarne il mestiere e costruire tutti i capitoli del suo percorso. Con la sua impaginato10.indd 51 11-10-2011 9:17:42 Albano Morandi e Paola Fonticoli “Doppio gioco” Tl Triangolo Nero, Alessandria La stagione 2011-2012 dell’Associazione Culturale ‘Il Triangolo Nero’ si apre, sabato 8 ottobre 2011 alla ore 18.00 con una mostra a due di Paola Fonticoli e Albano Morandi. Il titolo della mostra “Doppio gioco” è sufficientemente allusivo del clima che si percepisce osservando le opere della milanese Fonticoli e del bresciano Morandi. Acrilici e carte dipinte, applicate e graffite su vetro sono alla base delle esperienze ultime della Fonticoli che ha perfezionato ulteriormente quella eleganza fredda e raffinata che permea il suo fare astrazione fluido e curvilineo. Nel giocare sempre nel comune campo aniconico della pittura, Morandi propone una magica installazione di piccole carte, scatole e oggetti trovati rielaborati con fare sapiente e stregonesco e alcune opere di forte impatto cromatico-coloristico eseguite con assemblage di nastri adesivi che sembrano inseguire allusioni ad alcuni padri dell’arte quali Mondrian, Malevic e Kolar. Ad accentuare maggiormente il concetto di dialogo, i due artisti esporranno anche una serie di freschi e vitalissimi monotipi, eseguiti per l’occasione di questa mostra alessandrina, impressi con il torchio a stella e utilizzando colori calcografici ripresi anche con le infinite possibilità della fantasia e del gioco ottenendo così risultati di sorprendente bellezza. 52 recensioni / notizie Il percorso esemplare di un grande studioso d’arte, Alberto Veca Veca e intitolato Della costruzione. Pittura degli anni settanta, a cura di Claudio Cerritelli e Elisabetta Longari. Il volume intende esplorare il percorso culturale dello studioso milanese attraverso gli scritti dedicati agli artisti della linea astrattocostruttivista di cui si era particolarmente occupato in quel decennio. I pittori documentati sono Rodolfo Aricò, Gianni Brusamolino, Miro Cusumano, Paolo Ghilardi, Paolo Minoli, Marcello Morandini, Carlo Nangeroni, Romano Rizzato, Antonio Scaccabarozzi, Aldo Schmid, Walter Valentini e Alberto Zilocchi. Come sottolineano Cerritelli e Longari nell’introduzione al volume “colpisce l’intelligenza del metodo del suo pensiero che, articolato, fecondo e con le radici affondate nei sensi, pensa sempre anche il proprio rovescio. Esercita una sorta di Empirismo eretico che incessantemente s’interroga sugli oggetti e le loro leggi”. Un’occasione per riflettere sulla figura di Alberto Veca (Milano19462009) nel secondo anniversario della sua scomparsa è la pubblicazione del primo Quaderno dell’Archivio coordinato da Ida impaginato10.indd 52 La visione interpretativa di Veca è ampia e articolata, si muove dalle fonti iconografiche antiche fino alle espressioni contemporanee attraverso connessioni e orientamenti che affrontano in modo originale la persistenza di specifici temi di ricerca, tra i quali assume una particolare importanza il genere della natura morta dell’età barocca in Europa. Tra gli altri problemi iconografici affrontati vanno segnalati quelli legati allo stereotipo, al paesaggio, alla cultura materiale, alla monetazione medievale, all’apprezzamento di espressioni artistiche extraeuropee e in generale al collezionismo. L’autore ha pubblicato saggi sulla rappresentazione del cibo nel mondo moderno e nel Novecento. Ha svolto attività didattica nell’istruzione superiore e presso la Facoltà del Design del Politecnico di Milano. 11-10-2011 9:17:45 SEI ORE PER LA MIA TESTA senza l’aiuto dell’artista: << La durata di un anno è di 365 giorni e 6 ore circa, tanto che poi le sei ore ogni 4 anni vengono sommate e formano un giorno da aggiungere ai 365 e si ha così l’anno bisestile >>. Guglielmi ha voluto sottolineare quelle sei ore “perse”, “accantonate”, dando loro la “forma” della sua testa, quella parte del corpo in cui ha origine il pensiero e ha sede la creatività. I soggetti delle fotografie “dei giorni” sono di varia natura: appartengono tanto al registro della quotidianità, quanto al dominio della pittura e dell’architettura, con riferimenti sia alle arti classiche che a quelle contemporanee. Come prologo della mostra è esposta in una vetrinetta un’opera unica costituita da tredici libri d’artista dal titolo “come un giorno qualsiasi“ (2010), una modalità espressiva, quella del libro d’artista, che costituisce una parte importante della produzione di Guglielmi che verte da anni sulla riflessione intorno ai fondamenti dell’esperienza (e) dell’arte: le forme dello spazio e del tempo, i termini nei quali ne facciamo esperienza, l’indistinguibilità di fine e inizio. Il Padiglione leccese della Biennale di Venezia 53 Di Elisabetta Longari impaginato10.indd 53 Lecce sede pugliese della sezione regionale della Biennale di Venezia 2011, dal 4 giugno al 27 novembre. Quest’anno, legata ai 150 anni dell’unità d’Italia, oltre alla tradizionale esposizione presso l’Arsenale di Venezia, quella del Padiglione in ciascuna regione. Tutta l’arte è contemporanea. Così lo è anche Lecce, proprio perché ha molta storia. Città che vivono di notte come Lecce ce ne sono poche. Firenze, ad esempio, muore la notte”. Sessantatrè i salentini presenti con le loro opere nel Chiostro dei Teatini a Lecce: da Umberto Albanese a Vittorio Balsebre, da Fernando De Filippi a Pietro Guida, da Salvatore Spedicato a Rita Tondo. Artisti, non tutti e non allo stesso livello, che hanno dato modo di parlare, di stupire e provocare. recensioni / notizie Nazzareno Guglielmi, che a suo tempo ha frequentato l’Accademia di Brera con Luciano Fabro come referente della propria formazione, è ospite al Museo Diocesano con un’installazione che consiste nella presenza in un’unica stanza su due opposte pareti, da un lato della proiezione di 365 immagini (slides) che si susseguono in un ritmo incalzante e circolare, mentre di fronte, sul lato opposto, è appesa al muro una fotografia di piccolo formato che mostra il collo, la nuca e la testa dell’artista visti da dietro. In ogni immagine scattata e proiettata v’è un elemento strutturale ricorrente: in ciascuna è leggibile in modo evidente o appena accennato, o addirittura nascosto, la “figura” della croce. Dice Guglielmi: <<Pur avendo scattato immagini in cui erano presenti persone, a un certo punto della scelta – non sapendola comunque giustificare – ho deciso di non inserirle>>. La natura delle immagini risulta quindi in larga parte improntata all’astrazione, le inquadrature sono tutte sempre divise in quattro parti, a volte in modo netto altre semplicemente intuibile, tanto è vero che spesso l’occhio si trova in difficoltà perché non riesce a distinguere nettamente e decodificare ciò che vede. Aldilà del simbolismo religioso (anche se il primo nome proprio dell’artista, Nazzareno, sembra contenerne implicitamente il segno), la croce è prima di tutto la rappresentazione essenziale dello spazio, l’indicatore delle principali coordinate spaziali: formata dall’incrocio di due linee ortogonali che danno corpo e dimensione alle due direzioni fondamentali, verticale e orizzontale. Il tempo è chiamato in gioco dalla videoproiezione che sostituisce velocemente un’immagine con un’altra. Le 365 immagini, una per ogni giorno dell’anno, sono state selezionate dall’autore all’interno di un gruppo costituito da alcune migliaia. Le 365 “croci” ripercorrono anche in modo autobiografico gli spostamenti fisici dell’artista nello spazio << e per le sei ore che mancano, per definire quantitativamente la durata temporale di un anno, ho aggiunto la mia testa da cui il titolo del progetto: SEI ORE PER LA MIA TESTA>>. Il titolo risulterebbe criptico e inesplicabile 11-10-2011 9:17:47 E’ stato rilevato come questo sia un momento molto delicato per l’arte in Italia, alle prese con una forte crisi del mercato e di identità e la voglia di confrontarsi sul piano internazionale, sottolineando come tutti i momenti di criticità , generalmente segnalano l’imminenza di una svolta, di un cambiamento di rotta, ai quali sopravvivrà solo quanto di valido è stato prodotto e che resista al tempo e alle mode. “La 54ma Biennale di Venezia. Un’occasione mancata per l’arte salentina”, questo il giudizio tranchant dato da alcuni autorevoli osservatori che hanno rilevato come a Lecce, a parte pochi esempi di autori che nel tempo hanno dimostrato di fare ricerca, di essere attenti al mondo che li circonda e di essere un passo avanti rispetto alla massa, “…si è vista poca avanguardia, anzi pochissima…”. “Forse anche questa mostra – è stato sottolineato da più parti – pur considerata un caposaldo dell’arte nel mondo, è figlia del periodo confuso che il Paese sta vivendo, un momento in cui si sono persi di vista i parametri della ricerca e dell’eccellenza, in nome di una presunta democratizzazione esasperata che annulla l’identità artistica”. Fortunatamente, tra le tante cose viste a Lecce e poco degne di nota, molte sono quelle che possono essere indicate fra quante costituiranno la pietra di paragone dell’arte a venire, basate su ricerca, serietà d’intenti ed identità precisi. In quest’elenco, va senza dubbio inclusa l’opera di Rita Tondo che riassume appieno il senso di dignità dell’arte , che avrà sempre cittadinanza in ogni parte d’Italia e del mondo. Arturo Tuzzi TRA ARTE E CINEMA, A Brera una rassegna di film sull’arte che ha avuto un notevole successo. Un progetto di Francesca Alfano Miglietti, Laura Lombardi ed Elisabetta Longari recensioni / notizie 54 Tra le iniziative promosse dall’Accademia di Brera un felice riscontro ha avuto la rassegna Tra Arte e Cinema, a cura di Francesca Alfano Miglietti, Laura Lombardi, Elisabetta Longari, film sull’arte dell’archivio dello Schermo dell’arte di Firenze, il festival di cinema internazionale diretto da Silvia Lucchesi, che dal 2008 riunisce documentari sui maggiori protagonisti dell’arte contemporanea mondiale, ma perlopiù inediti in Italia (e non diffusi in dvd in commercio), ma soprattutto film realizzati da artisti che usano il cinema come mezzo di espressione, anch’essi inediti. Specie quest’ultimi hanno rappresentato per gli studenti un’importante occasione di confronto con una forma di espressione artistica, quella del documentario appunto, che negli ultimi anni è apparsa sempre più presente ai grandi appuntamenti espositivi, da Documenta di Kassel alla Biennale di Venezia, e cinematografici - come la Biennale di Berlino, il Film Festival di Amsterdam - per non citarne che alcuni, e qui spesso anche premiati. I film, sottotitolati in italiano, sono stati suddivisi nelle quattro giornate per argomenti. Il primo giorno due proiezioni: Megunica, documentario ma anche creazione artistica ibrida di Lorenzo Fonda, narra il viaggio attraverso vari continenti dello street artist Blu, mentre The radiant child (film questo non inedito) è lo struggente ritratto intimo di Basquiat realizzato, a partire da un’intervista del 1986, dall’amica Tamra Davis, sullo sfondo del clima newyorkese, con le sue impaginato10.indd 54 luci e le sue ombre, tra gli anni Settanta e gli Ottanta. Il secondo giorno è stato dedicato a due film d’artisti convinti che l’arte non possa sfuggire al coinvolgimento con la politica e con l’etica: Le ceneri di Pasolini del cileno Alfredo Jarr è una commovente rievocazione della figura e dell’opera di Pasolini, svolta attualizzando il precedente messaggio poetico che egli aveva dedicato a Gramsci, attraverso materiale d’archivio, spezzoni di film e interviste a Pasolini, dal contenuto oggi più che mai profetico. A seguire il provocatorio e controverso - che ha molto animato gli studenti Enjoy poverty III, di Renzo Martens, artista olandese che viaggiando nella Repubblica Democratica del Congo, con un cinismo lucido, ben cosciente della vanità della propria missione, ha voluto attirare l’attenzione della popolazione congolese, e di noi pubblico occidentale, su quanto la povertà sia divenuta una risorsa economica del paese sulla quale tutti, perfino le associazioni benefiche degli aiuti internazionali speculano. Il terzo giorno è stato quello dedicato al tema degli affari e del mercato: il film del duo Libia Castro § Olafur Olafsson, che proprio quest’anno rappresentano l’Islanda alla Biennale di Venezia, è rivolto ad esplorare, ma al ritmo quasi di un’operetta, il ruolo dei lobbisti nella cornice istituzionale del Parlamento Europeo: presentare a Brera Lobbyist, esattamente il giorno dopo l’approvazione a Bruxelles di un documento sulla trasparenza che chiede l’obbligo di iscrizione dei lobbisti in un registro, è stata una felice coincidenza ‘storica’. Di notevole impatto anche The anarchist Banker di Jan Peter Hammer, riadattamento in chiave contemporanea dal racconto del 1922 di Fernando Pessoa: può la ricerca della ricchezza senza scrupoli coincidere con i più puri principi dell’anarchia? A seguire The great art contemporary bubble, la grande bolla speculativa dell’arte contemporanea che coinvolto il mondo dei mercanti e delle case d’aste negli ultimi due anni, raccontata dall’impertinente critico d’arte e regista inglese Ben Lewis. A conclusione una giornata dedicata alle artiste donne: il ritratto dell’artista, fotografa Francesca Woodman, morta suicida a 22 anni, attraverso i ricordi dei suoi genitori, anche loro artisti George e Betty, ma anche di amici, oltre ad appunti tratti dal suo diario intimo; The Woodman di C. Scott Lewis è un film inquietante, che apre molti interrogativi sui complessi intrecci dei rapporti umani. A chiudere Our city dreams di Chiara Clemente: cinque ritratti di artiste, Swoon, Ghada Amer, Kiki Smith, Marina Abramovic e Nancy Spero e il loro rapporto con una città, New York, che le ha, in vario modo, a lungo ispirate. 11-10-2011 9:17:47 DIFILIPPO ROBERTO MAINI Angeli,codici e manoscritti STUDIO GALLERY A-A BREMEN LIBERARSI È STUPENDO! 55 di Andrea B. Del Guercio E’ la quarta volta che Domenico Difilippo torna a Brema, la prima personale fu nel lontano 1991 alla Queens’ Gallery, dove per l’appunto annunciò alla stampa tedesca il suo primo manifesto chiamato: “Astrattismo Magico”, che ebbe notevole riscontro. Lo stesso anno il direttore delle gallerie civiche di Ferrara Franco Farina lo inviterà a tenere la sua prima personale in Italia sull’Astrattismo Magico a Palazzo dei Diamanti. ll lavoro finora osservato di Domenico Difilippo trova collocazione, così come si è già ricordato, all’interno di una definizione di “Astrattismo Magico”, progetto estetico del 1987 e fondato in un manifesto a Brema dall’artista nel 1991, per cui ritengo significativo dover specificare quelli che ritengo essere i nuovi contorni di una generale tendenza della storia contemporanea dell’arte. (...) E’ all’interno di un territorio rifondato di esperienze che colloco oggi quest’ultimo ciclo plastico di Difilippo e più specificamente in relazione con le condizioni di un “borderland”, cioè di un confine che diventa un territorio, un paesaggio che si definisce attraverso la ricerca dell’arte e si configura nell’esperienza; i materiali e le funzioni, i supporti e le tracce propri del paesaggio roccioso di Domenico Difilippo testimoniano l’avventura di un uomo che dalla pianura muove verso l’origine, la solidità, la centralità, l’elevazione della materia. (Milano 2002, dal catalogo della mostra allo Young Museum, RevereMantova). *Domenico Difilippo è docente di Cromatologia all’Accademia di Bologna impaginato10.indd 55 Opere 1973-2009 a cura di Eugenio Costa, Titta D’Aste, Sandro Ricaldone con una nota di Rosa Matteucci Il Canneto editore – Genova, 2011 Di Sandro Ricaldone Liberarsi è stupendo, ma non ci si libera una volta per tutte: ricadere è facile. Uscire dal cerchio delle convenzioni, sottrarsi “a tutto ciò che è gerarchia sugli altri, a tutto ciò che è limitazione della libertà su se stessi”, è un traguardo tanto problematico quanto rischioso. Fra coloro che, in questo tentativo, hanno saputo fare di un vicolo cieco una riserva dove radicare e dare forma a una personale visione del mondo, Roberto Maini rappresenta un caso esemplare. Genovese, classe 1942, Maini esordisce nel 1967 alla Bertesca, la galleria che appunto in quell’anno ospita la prima mostra dell’Arte povera. E in quell’ambito trova riscontri non secondari: nel ’69 è in collettiva da Sperone a Torino; nel ’70 è incluso da Jean-Cristophe Amman, a Lucerna, nella rassegna “Processi di pensiero visualizzati” che raccoglie il Gotha della giovane avanguardia italiana, da Anselmo a Zorio. Giunto così alle soglie del riconoscimento internazionale, si eclissa però repentinamente dal circuito artistico. Si trasforma in “Golasecca”, un perdigiorno che, seduto sui marciapiedi, inveisce contro i passanti. Ma – come scrive Rosa Matteucci – questo personaggio che parla come Tom Waits canta, con voce da orco, che ha tutte le stimmate di un uomo fallito, riesce ugualmente a coltivare un pensiero di bellezza che resiste alla barbarie figlia dell’indifferenza recensioni / notizie Da alcuni anni seguo con interesse l’attività artistica di Domenico Difilippo, raccolta dallo stesso all’interno dei valori espressivi di un ideale “Astrattismo magico” ed in particolar modo ho avuto occasione di seguire la nascita e la compiuta definizione estetica di un ultimo ciclo di opere caratterizzate da una mirata elaborazione plastico-cromatica. 11-10-2011 9:17:49 e dell’autoreferenzialità. Al suo percorso segreto nella pittura l’editrice “Il canneto”, il cui interesse per l’arte è testimoniato da pubblicazioni di Nanni Balestrini e Fabio Mauri, di Giuliano Galletta e Piero Simondo, dedica ora un volume della collana “imagina”, composto essenzialmente di riproduzioni di opere dai colori squillanti, dove nuvole, alberi, cieli stellati si animano di energia cosmica, cercando di prefigurare, aldilà della “lettura classica”, limitata agli aspetti formali e cromatici, l’aspetto “altro” delle cose che – come afferma l’autore solo la “lettura del futuro” potrà rendere manifesto. Parola & Immagine tra didattica e creatività Un nuovo volume che raccoglie l’esperienza fatta da Caterina Arcuri e Giulio De Mitri con egli studenti dell’Accademia di Catanzaro recensioni / notizie 56 Fresco di stampa e in distribuzione il volume “Parola & Immagine tra didattica e creatività”, prodotto dall’Accademia di Belle Arti di Catanzaro. La pubblicazione è stata realizzata e curata dagli artistidocenti Caterina Arcuri (II Cattedra di Pittura) e Giulio De Mitri (Cattedra di Tecnica e tecnologia della Pittura) ed editata per la collana Rubbettino Arte contemporanea. “Teorica, Saggi e Monografie”. La pubblicazione è l’interfaccia del progetto culturale e di ricerca interdisciplinare svolto dalla due Cattedre negli anni accademici 2007-2011. Un entusiasmante percorso tra didattica e creatività, un laboratorio delle idee e del fare che ha visto coinvolti gli studenti dell’Accademia di Catanzaro in quest’ultimo quinquennio. Incontri di esperienza, happening, workshop, mostre e performances, un cantiere di lavoro specifico e variegato nei diversificati linguaggi delle arti visive. Un progetto interdisciplinare che parte dalla parola come verbo, portatore di germi della creazione e raggiunge l’immagine che si materializza come figura, simbolo, segno. Un’esperienza educativa realizzata dentro e fuori le mura accademiche, occupando spazi e territori diversi: dall’Arte Fiera di Bologna a Piazza Matteotti di Catanzaro. impaginato10.indd 56 Eventi che hanno reso protagonisti gli studenti che hanno riscoperto possibilità di nuovi percorsi, e nuovi punti di vista sull’arte, che raccoglie una grande valenza etica, morale, pedagogica e didattica e che confluisce – come afferma il direttore dell’Accademia, nell’introduzione al volume – in una unità di saperi (filosofia, antropologia, sociologia, etc.) evolvendosi e producendo una cultura “altra”. Una ventata di nuove esperienze e di cultura innovativa per gli stessi e per il territorio calabrese. La pubblicazione raccoglie, in sette diversificati capitoli (arte e filosofia; arte e società; arte e didattica; arte e new media; arte e scienza; laboratorio creativo; il pensiero dedicato alla giovane creatività) i contributi esperienziali di insigne personalità del mondo accademico e artistico e le immagini che testimoniano e storicizzano il progetto svolto. Hanno contribuito alla realizzazione del volume: Renato Barilli, Giorgio Bonomi, Simona Caramia, Miriam Cristaldi, Antonio d’Avossa, Lucrezia De Domizio Durini, Anna Saba Didonato, Marilena Di Tursi, Luigi Paolo Finizio, Massimo Iiritano, Rocco Pangaro, Enrico Pedrini, Angela Sanna, Barbara Tosi. Mentre chiudiamo il numero ci giunge notizia che Letizia Moratti si è dimessa dalla presidenza della Commissione per la “Grande Brera”. La realizzazione dell’accordo firmato più di un anno fa, sembra nuovamente allontanarsi. Cosa farà la nuova Giunta di Milano guidata da Pisapia? Cosa ne penserà l’architetto Bellini? Quali iniziative prenderà il Ministro Galan? Come si muoverà il Commissario Resca? Sul prossimo numero daremo spazio a questi approfondimenti anche perchè il destino, l’ampliamento e la valorizzazione dell’Accademia di Brera porterebbero con sè la valorizzazione conseguenziale di tutte le altre accademie del nostro sistema. Questo Paese Italia sarà capace d’investire nell’alta formazione artistica? I politici capiranno l’urgenza di puntare sulle nostre eccellenze culturali, sul patrimonio storico e sulla ricerca? La Redazione 11-10-2011 9:17:50 ARTISTI SI NASCE DA NOI SI DIVENTA CON LA STAMPA DIGITALE PUOI PUBBLICARE I TUOI CATALOGHI D’ARTE IN PICCOLE TIRATURE E A COSTI CONTENUTI CHIAMACI, TI CONSIGLIEREMO LA SOLUZIONE EDITORIALE PIÙ VANTAGGIOSA Z.I. Via Antichi Pastifici - Molfetta - T 080.3381123 - www.limmagine.net - [email protected] 10 copertina academy - Copia.indd 4 11-10-2011 9:13:36