TRIMESTRALE DELLE ACCADEMIE DI BELLE ARTI, IDEE, TESTIMONIANZE, PROGETTI, DIDATTICA, RECENSIONI, MOSTRE, NOVITÀ. ANNO 2011 - N° 10 - EURO 6,00
Redazionale:
DECORAZIONE,
“DECORO” E “AZIONE”
Eventi:
BIENNALE DI VENEZIA
PREMIO NAZIONALE DELLE ARTI
a BRERA
Maestri storici:
ANDREA CASCELLA
Direttori:
GASTONE MARIANI
Accademie:
BRERA
BARI
LECCE
URBINO
SANREMO
Docenti:
EDOARDO DI MAURO
LEA MATTERELLA
TERAPEUTICA ARTISTICA A BRERA
LA DECORAZIONE E IL CORPO
Fondazione Maimeri:
PRIMO PREMIO MAIMERI
Recensioni
10 copertina academy - Copia.indd 1
11-10-2011 9:13:30
Sostieni Academy!
con pubblicità e abbonamenti
rinnova il tuo abbonamento per il 2011
contattaci scrivendo a: [email protected], [email protected]
versamento su c/c postale n°89424840, oppure bonifico bancario intestato a:
Editrice L’Immagine srl - UNICREDIT BANCA DI ROMA SPA - Molfetta
IBAN: IT 36 Z 03002 41560 000010242187
10 copertina academy - Copia.indd 2
11-10-2011 9:13:34
Sommario ragionato
di Elisabetta Longari
Un sommario ragionato se è davvero ragionato di
questi tempi non può che avere toni amari e un po’
catastrofisti. Academy resiste mentre assistiamo
per “privilegio d’anagrafe” al tramonto della civiltà
occidentale e ci impoveriamo progressivamente da
ogni punto di vista. Poiché la prima a soffrire della
crisi è proprio la cultura, quell’insieme di ricerche
di senso che rendono vivibile la vita, registriamo
intorno a noi un cimitero in cui la salma milanese
eccellente è la Fondazione Pomodoro, aperta
nel 2005 e che ha svolto una notevole attività
espositiva. Un Requiem che non avremmo mai
voluto recitare e che ci fa presagire altri fallimenti
tra cui l’aborto di un sogno che ci riguarda ancora
più da vicino: il trasferimento della parte operativa
dell’Accademia nella caserma di via Mascheroni,
sottoposta al reperimento dei fondi necessari per
i lavori di ristrutturazione; sembra impossibile che
qualcuno possa far fronte alle ingenti spese, né
un governo sull’orlo della bancarotta né qualche
gruppo privato sensibile alla cultura, anche perché
le nostre disposizioni fiscali sono diverse da quelle
francesi e americane: qui, com’è noto, non sono
previste agevolazioni per il mecenatismo.
A A
DEMY
SOMMARIO
NUMERO 10 / Autunno 2011
SEDE
Viale Stelvio, 66
20159 Milano
tel. 02 87388250
fax 02 6072609
[email protected]
DIRETTORE RESPONSABILE
Gaetano Grillo
DIRETTORE
Gaetano Grillo
VICE- DIRETTORE
Elisabetta Longari
REDAZIONE
Gaetano Grillo
Elisabetta Longari
Melissa Provezza (segreteria di red.)
GRAFICA
Massimiliano Patriarca
EDITRICE
L’IMMAGINE SRL
Zona Industriale Lotto B/12
70056 Molfetta (Ba) Italy
FOTOLITO E STAMPA
L’IMMAGINE AZIENDA GRAFICA SRL
Via Antichi Pastifici Lotto B/12 - Z.I.
70056 Molfetta (Ba) Italy
tel. +39.0803381123
fax +39.0803381251
www.limmagine.net
[email protected]
*Tutte le collaborazioni si intendono a titolo gratuito
OF FINE ARTS
ACADEMY OF FINE ARTS
Iscritta al Tribunale di Trani
n.3/09
Rivista fondata da Gaetano Grillo
Dopo questo lungo preambolo vi espongo in
linea di massima ciò che troverete nelle pagine
a seguire: l’editoriale di Grillo che conferma
il desiderio di partire dalla crisi per andare
oltre; alcune considerazioni sulla Biennale di
Venezia che è fonte di preziosi spunti in quanto
esplicito specchio dei tempi; un’intervista con
Lea Mattarella, giornalista per “Repubblica”,
docente d’Accademia e curatrice. Questo
numero pubblica inoltre una conversazione con
il Direttore dell’Accademia di Brera, Gastone
Mariani, che ha svolto già più della metà del
suo mandato (chi sarà il suo successore?); una
zoomata all’interno della Scuola di Terapeutica
attiva a Brera, un contributo di Barbara Giorgis
ancora sulla Decorazione, oltre alle recensioni.
Buona lettura e al prossimo numero.
HANNO COLLABORATO*
Maria Angelastri
Salvo Bitonti
Francesco Correggia
Michele Degan
Andrea B. Del Guercio
Carlo Franza
Anna Fucili
Barbara Giorgis
Giovanni Iovane
Paolo Lunanova
Laura Panno
Sandro Ricaldone
Giuseppe Sylos Labini
Tiziana Tacconi
Laura Tonani
Arturo Tuzzi
1
02
Redazionale di Gaetano Grillo
04
Una Biennale priva di ILLUMInazioni
08
Il Premio Nazionale delle Arti
15
Intervista a Gastone Mariani, Direttore dell’Accademia di Brera
18
Maestri storici: Andrea Cascella
22
La Terapeutica Artistica a Brera
26
La Decorazione e il Corpo
30
La Scuola di Decorazione dell’Accademia di Bari
34
La Scuola di Grafica dell’Accademia di Lecce
38
Accademia di Urbino
40
Docenti: Edoardo Di Mauro
42
Docenti: Lea Mattarella
44
Fondazione Maimeri: Primo Premio Maimeri per la Pittura
46
Accademia di Sanremo
49
Recensioni
In copertina:
Andrea Cascella
Foto di Giuseppe Pino
L’UNICA RIVISTA PERIODICA RIVOLTA ALLE ACCADEMIE DI BELLE ARTI, AI DOCENTI, AGLI STUDENTI E A TUTTI GLI OPERATORI DEL SETTORE.
impaginato10.indd 1
11-10-2011 9:15:28
Foto Ranuccio Bastoni
redazionale
2
impaginato10.indd 2
Due anni fa il pittore Nicola Maria Martino, allora
direttore dell’Accademia di Sassari e strenuo difensore
dell’insegnamento di Decorazione, aprì su questa rivista
un dibattito sull’argomento. Va detto che Martino era stato
prima allievo e poi assistente alla cattedra di Decorazione
tenuta da Monachesi all’Accademia di Roma e ad un certo
punto della sua carriera accademica ebbe l’opportunità di
ottenere la cattedra di Pittura tuttavia preferì dichiaratamente
continuare ad insegnare Decorazione per quella sua idea
legata all’applicazione della pittura in uno spazio dato,
benché egli stesso, raffinato poeta del colore, abbia poi
dipinto quasi sempre su tela piuttosto che nello spazio.
Molti colleghi sono intervenuti su questo tema, e li abbiamo
ospitati sulle nostre pagine, ma molti di più sono quelli che,
non essendo intervenuti, non hanno però mancato, in varie
circostanze, di commentare la questione poiché è innegabile
che negli ultimi anni questo insegnamento abbia subìto una
crisi d’identità.
Una delle cause dello smarrimento del senso di questo
insegnamento è da cercare lontano, nel corto circuito che
interruppe il rapporto classico e crociano che l’arte aveva
con il “bello” da cui in parte si deve il nome “Accademia di
Belle Arti” e prima ancora “Accademia delle Belle Arti”.
Benedetto Croce sosteneva che il compito dell’arte non
fosse quello di giudicare secondo criteri di verità e moralità
ma secondo intuizione pura, distinta dal concetto che è
invece compito proprio della filosofia.
L’arte però si è sempre più allontanata dall’idea di bellezza
classica, neoclassica, poi ancora romantica, fino a
rimuovere dal proprio statuto l’idea che essa abbia a che
fare con la bellezza e paradossalmente sino al punto da
essere espressione del contrario, del “cattivo gusto”.
Durante questo percorso di slittamento e scivolamento
dalla cultura della forma verso la cultura dell’idea (ancora
Duchamp), l’arte si è sempre più avvicinata al concetto, tant’è
che oggi non si può comprendere l’arte contemporanea
prescindendo dalla filosofia e dalle ragioni concettuali che
ne determinano la ricerca.
Da alcuni decenni il rapporto fra pittura e decorazione,
all’interno delle accademie, è stato alterato da una sorta
Vi dirò cosa
penso su
“DECORAZIONE”
ovvero
su
“DECORO” e
“AZIONE”
di comprensibile ma ingiustificato complesso d’inferiorità
della seconda nei confronti della prima, pensando che tutto
ciò che rientra nell’ambito del “decorativo” abbia a che fare
con l’estetica, con il lezioso mondo della bellezza esteriore
ancorché con le arti applicate piuttosto che con la purezza
poetica e filosofica della pittura.
Di pari passo, la presunta “purezza” della pittura, nel suo
processo di emulazione dell’international style e omologazione
rispetto al mercato dell’arte, è slittata sempre più verso forme
decorative ed estetiche, più vicine al design, alla moda e
all’advertising piuttosto che al sentimento e all’intuizione pura
di memoria crociana.
L’arte, nella sua collaudata radice concettuale ha raffreddato
le sue espressioni portandole sempre più verso il calcolo e le
strategie della comunicazione, adottando sistemi visivi molto
più vicini alla forma decorativa piuttosto che a quella emotiva.
In contro tendenza diversi colleghi di Decorazione si sono
sempre più spinti in ambiti concettuali ipotizzando percorsi
didattici spesso forzatamente teorici e pretestuosi tanto da
svuotare di sostanza identitaria la disciplina.
Nei fatti, oggi, qualora vi fosse una vera formazione alla
“Decorazione”, si aprirebbero molti sbocchi professionali e
gli stessi studenti, piuttosto che rincorrere percorsi pindarici
avrebbero immediato riscontro lavorativo in molti campi di
applicazione. Basti pensare che tutti gli spazi lasciati liberi dai
“decoratori” sono stati avidamente occupati dal design, dal
fashion-design, dall’architettura, dall’arredo urbano ecc.
In qualche modo il disagio nell’affrontare i linguaggi legati al
“decoro” sono speculari al più grande disagio che serpeggia
nel nostro tempo che sovente nega la bellezza armonica ma
afferma la bellezza estetica nella forma più vacua, patinata e
banale. La cultura berlusconiana dell’immagine stucchevole,
artificiale, ammiccante, abbronzata, eternamente sorridente
ed eternamente giovane è ormai radicata nella nostra società
e adottata come modello di successo. La bellezza esteriore
ha vinto su quella profonda ed espressiva, un volto costruito è
“fico”, un volto vero è “sfigato”.
È morta l’idea del “decoro” inteso in senso alto, il decoro del
costume, il decoro del linguaggio, il decoro della coerenza, il
decoro etico della vita.
11-10-2011 9:15:30
impaginato10.indd 3
nel registrare quello che accade nel sistema dell’arte ma
devono in qualche modo rispondere ad esso fornendo un
disegno se non alternativo, almeno diverso.
Io credo che le Accademie debbano ritrovare il senso della
loro funzione liberandosi dal rapporto subalterno che hanno
oggi e ritrovando se stesse nella radice semantica del loro
stesso nome; d’altronde noi abbiamo sempre rivendicato
la parità di trattamento con i colleghi dell’università e mai
abbiamo desiderato perdere l’identità della nostra istituzione.
La maggior parte dei nostri colleghi che insegnano Storia
dell’Arte, formatisi nelle Università, è felice di insegnare
nelle Accademie (ricordo a riguardo la mia intervista a Silvia
Evangelisti, pubblicata nel numero 2 di Academy) proprio
perché quella disciplina da noi non resta conoscenza teorica
ma si misura con la pratica dell’arte.
La cultura del nostro tempo ha stabilito la supremazia della
teoria, della tecnica, dell’informatica e della ricerca scientifica
sull’intelligenza artistica e umanistica, ha abbandonato queste
ultime aree formative a un inevitabile declino dirottando sulle
prime, investimenti e speranze. Ne è scaturita una società
incapace di fare e di esprimere intelligenza critica e creativa;
i giovani sono inclini a emulare miti tecnologici da yes man,
studiano le modalità per avere successo (altro mito), per
essere accettati e inseriti (conformismo), si sono spente le
passioni e con esse si sono perse la forza inventiva, la vitalità
e la fertile fantasia italiana. Non ci sono più artisti autentici e
originali, che si discostino dal neo manierismo internazionale,
sono tutti allineati.
Nel redazionale del precedente numero di Academy (intitolato
“Torniamo alle Accademie”) ho già accennato a questi temi e
oggi, alla ripresa dei lavori, con il nuovo anno accademico,
ribadisco questi concetti con forza.
Dobbiamo riappropriarci della nostra forza tornando sullo
specifico del nostro terreno, senza più rincorrere il mito della
teoria. La nostra forza è nel dare forma al pensiero e sulla
forma si gioca il nostro futuro.
Ricordo che negli anni ’60 la svolta dell’arte si è compiuta
proprio attraverso il sacrificio della forma. Oggi, dopo mezzo
secolo, dobbiamo riappropriarci della nostra identità per non
soccombere al naufragio in corso.
Questo vuol dire nuova disciplina, condivisione delle regole,
vuol dire che dovremmo fare meno progetti ma tornare a
parlare di didattica, di qualità, di rigore, di prestigio e anche di
“aura” dell’opera.
Siamo ancora in tempo per imprimere una svolta alle nostre
istituzioni, per riqualificarle con il nostro impegno e purtroppo
senza risorse finanziarie, ma ritrovando il senso del nostro
lavoro e di conseguenza la gioia di farlo.
Ripartiamo dunque dal “DECORO” inteso in senso ampio
e profondo e dalla “AZIONE” intesa come nuova energia e
voglia di reagire allo squallido pantano del presente.
Gaetano Grillo
3
redazionale
Berlusconi ci ha tanto abituati all’indecoroso spettacolo
dell’affermazione della furbizia sull’intelligenza, del liberismo
egoistico sulla libertà sociale, dell’arbitrio privato sul dovere
pubblico, dell’individualismo sul rispetto degli individui ecc.
al punto che le nuove generazioni fanno fatica anche ad
immaginare modalità diverse dal presente.
Mancando la cultura del “decoro” manca anche la cultura
“etica”; così l’estetica ha preso il sopravvento sulla bellezza
intesa in senso classico, sulla misura, sulla sobrietà, sulla
disciplina. Se manca la disciplina, manca anche la conoscenza
sintattica dei linguaggi e quindi cadono tutte le discriminanti;
tutto diventa alla pari di tutto! La crisi babelica in corso si
espande a macchia d’olio e dilaga.
L’arte contemporanea nella sua affermazione orgiastica
e onnivora ha introiettato qualsiasi modalità espressiva
rimuovendo i ceppi primari della pittura e della scultura,
alimentandosi di innumerevoli modalità espressive e
sconfinando in territori tanto vasti quanto sovente usati in
maniera superficiale. Ciò nonostante il sistema dell’arte
accredita sul mercato fenomeni che non reggeranno nel
tempo.
Per ritrovare il “senso”, per ritrovare “l’etica”, per ritrovare
“il decoro”, dobbiamo ripartire dalla disciplina, ovvero dalla
conoscenza, dal rigore disciplinare.
Solo in quel caso le Accademie tornerebbero ad avere un
ruolo centrale e fondante, tanto nell’ambito dell’arte quanto in
quello della formazione.
Accademia per antonomasia vuol dire acquisire valori condivisi
e specifici, regole, grammatica. Oggi abbiamo bisogno di
nuove regole, di nuova disciplina e di ristudiare la grammatica
per arginare la dilagante catastrofe semantica che sta
minacciando addirittura gli equilibri planetari.
Ripartiamo dunque dal “Decoro” inteso come sobria e
sofisticata affermazione di un gusto alternativo al presente,
come affermazione di cultura, come stile di vita, come codice
di “misura”.
In questo contesto anche il nostro insegnamento di
“Decorazione” può trovare una centralità nuova allontanandosi
dalle iperboliche teorizzazioni dell’arte contemporanea e
scoprendo la bellezza del fare, riscoprendo il fascino della
manualità, la sapienza delle abilità, riscoprendo materiali,
applicazioni, nuove soluzioni tecnologiche, riscoprendo le
passioni, i sapéri, la creatività. Le atrofizzazioni concettuali di
questa disciplina la conducono verso l’anemia. Ci vuole nuovo
impulso, sangue fresco, entusiasmo e coraggio di affermare
quello ci può sembrare impopolare.
Bisogna tornare a sporcarsi le mani e a misurarsi con la
materia, i materiali e le tecniche; è finito il tempo in cui l’artista
delega agli artigiani l’esecuzione del suo oggetto artistico.
Basta con Duchamp, dimentichiamo Cattelan, rimettiamoci in
gioco, riscopriamo il gusto dell’avventura, del coinvolgimento
diretto, della sfida. Riconsideriamo “l’opera” piuttosto che
“l’operazione artistica”, rischiamo in prima persona e diamo
all’oggetto del nostro lavoro una nuova dimensione.
Basta con la supremazia del calcolo fine a se stesso e
affermiamo con vigore anche il valore della passione e della
necessità di mettersi in gioco direttamente con la sapienza del
fare.
Noi artisti e docenti nelle Accademie siamo invisi dalle
Università perché non ritenuti all’altezza dei nostri colleghi e
questo soltanto perché esiste la convinzione della supremazia
della teoria. Non sappiamo più “fare” e i nostri allievi “sanno
fare” meno di noi; cosa saremo in futuro? Tutti intellettuali?
Le Accademie non possono continuare ad essere dei porti
per barche in demolizione, non possono continuare ad
assecondare il disastro dilagante, non possono sclerotizzarsi
11-10-2011 9:15:30
4
Cà Corner della Regina, Venice, Facade, May 2011, Coutesy Fondazione Prada ,Photo Agostino Osio
UNA BIENNALE PRIVA DI
ILLUMInazioni
biennale di venezia
Di Elisabetta Longari
Se il titolo1 è una promessa che crea legittime aspettative, questa 54ma
edizione non sembra avere mantenuto l’impegno nonostante l’ostinato
e inutile sforzo di trasportare le tre grandi tele del Tintoretto (L’ultima
cena, Il trafugamento del corpo di San Marco e La creazione degli
animali) a fare da prologo a una mostra il cui disegno complessivo
è opaco e sbiadito e dove risulta pertanto difficilmente rintracciabile
un filo rosso che costituisca un legante leggibile fra i diversi materiali.
Peccato perché l’illusione che funzionasse davvero si era creata al
principio del percorso, quando il visitatore si trovava irretito nello
straordinario Spazio elastico di Gianni Colombo.
Lo stesso “difetto endemico” traspare dalla mostra ospitata a Ca’
Corner della Regina, in quel Palazzo sul Canalgrande già sede
dell’Archivio della Biennale Arti Visive, oggi occupato dalla collezione
della Fondazione Prada: pezzi anche bellissimi e sensazionali ma
il cui unico comune denominatore è l’altissima quotazione. Sembra
che questo sia ormai l’unico criterio in voga quando si allestisce una
mostra o si costituisce una raccolta d’arte contemporanea, allo stesso
risponde infatti anche la collezione di François Pinault, con le sue
prestigiose “vetrine” di Palazzo Grassi e Punta della Dogana.
Certo, erano altri tempi, ma basta visitare la piccola e preziosa
esposizione di una scelta di opere della collezione di Ileana Sonnabend,
gallerista, prima moglie di un illustre “collega”, Leo Castelli, ma
soprattutto Signora dell’arte, per capire che solo di recente è avvenuta
una radicale e completa mutazione antropologica che comporta
il prevalere della mentalità speculativa su qualsiasi altra istanza,
travolgendo, annichilendolo, anche il concetto di gusto.
impaginato10.indd 4
La Dama di gusto ne aveva appunto da vendere, e ha selezionato per
sé lavori per nulla stereotipati eppure estremamente rappresentativi
di autori la cui convivenza non è per niente scontata.
Tornando alla rassegna veneziana, che è appunto specchio degli
investimenti delle grandi potenze economiche più che riflesso di
orientamenti critici ed estetici, non si può comunque affermare che
non vi siano esposti anche alcuni lavori decisamente interessanti,
ma diciamo che pochi tra essi hanno la forza di emergere. In un
aspetto che combina scarsa autonomia linguistica e insufficienza
comunicativa sta uno dei massimi punti di fragilità della mostra: una
volta ritornati a casa, se si dedica un tempo all’approfondimento
delle schede in catalogo, capita che si rivaluti, una volta chiaritane
l’intenzionalità, la maggior parte dei lavori visti, che però,
nell’esperienza diretta, non portava all’evidenza quei valori spiegati
invece nei testi d’accompagnamento.
Un pregio della mostra principale della rassegna è invece quello
che vede abbassarsi l’età media dei partecipanti (tra gli 89 artisti
invitati vi sono molti under 35).
Passando a ricordare le eccellenze, spicca prima fra tutte, sulla
parete di fondo dell’Arsenale, immediatamente percepibile nel
costituire un sorprendente corto circuito visivo e di senso, il film The
Clock (2010) che ha valso a Christian Marclay (Cal 1955) il Leone
d’Oro.
Espressione calzante della contemporaneità, della condizione
11-10-2011 9:15:31
o Osio
Roman Opalka, OPALKA 1965 - 1 - ∞ Détail 23629311, 1 - ∞ Détail 3655214, 1 - ∞ Détail 5410693
postmoderna, The Clock (2010) è un film di 24 ore composto da
un collage di più di mille sequenze cinematografiche della durata di
un minuto, in cui compare un riferimento visivo, verbale o sonoro al
tempo che scorre.
Tempo narrato e tempo reale coincidono perché ogni indicazione
d’orario presente nel film corrisponde all’ora effettiva. L’artista, DJ e
VJ, spiega così l’origine del progetto che lo ha visto impegnato per
tre anni: “mi sono chiesto se fosse possibile mettere insieme un film
basato su frammenti di altri film dove ci sia un riferimento esplicito
al tempo, un orologio, una frase, l’indicazione di un’ora di partenza
e d’arrivo, e questo sull’arco di un intero giorno, da un minuto dopo
mezzanotte alla mezzanotte successiva. L’idea mi stuzzicava e
ho cominciato a lavorarci”. Il film in forma di mosaico nasce da un
intenso lavoro d’archivio e porta a svolgere, in modo profondo e al
contempo evidente, riflessioni sul tempo dell’esperienza, sul cinema,
sulla citazione, sull’appropriazione2 e l’utilizzo di immagini girate da
altri, sull’archivio come insieme di materiali che possono dire nel
contempo dell’oggi e dell’”ora” come del passato, del dejà vue e della
ciclicità del tempo. Un discorso per l’occhio sulla vita inesauribile
delle immagini con un ritmo serrato e coinvolgente.
Sempre negli spazi dell’Arsenale Song Dong (Pechino 1966) ha
allestito Pigeon House (Poverty Gives Rise to a Desire for Change);
l’opera consiste nella ricostruzione della casa degli avi, dalla tipica
tipologia cinese antica, costruita anche con legni poveri e di recupero
trovati per strada che per la fragilità dei materiali e la precarietà della
relazione tra vuoti e pieni, ricorda il gioco dello Shangai. Anche il
padiglione cinese propone un richiamo alle tradizioni e un aggancio
alle radici culturali del Paese, che in questo momento vive l’onda
montante di un’economia selvaggia priva di rispetto per i diritti dei
lavoratori, che va di pari passo con la repressione di altri valori
attraverso una rigida censura.
Preferisco tacere sul Padiglione italiano, volgare specchio dei
raccapriccianti tempi che stiamo attraversando (perfino l’allestimento
dimostra una rozzezza e denota un’ignoranza particolare: le mostre
di quartiere o quelle parrocchiali dimostrano un rispetto e una cura
maggiore volta alla valorizzazione e alla leggibilità delle opere).
Il padiglione italiano si è guadagnato anche il triste primato di essere
l’unico anche “politicamente scorretto”: porta perfino appesi alle
pareti i ritratti del curatore Sgarbi e del premier Berlusconi (come non
ricordare che in altri tempi in ogni spazio di rappresentanza pubblica
si trovavano le effigi del re e del duce?).
Passando a considerare alcuni padiglioni nazionali presenti ai giardini,
impaginato10.indd 5
5
Seguendo l’ordine alfabetico all’interno dell’elenco di gradimento
ricordiamo: Austria, Belgio, Germania, Inghilterra e Spagna.
Quest’ultima, sotto il titolo L’inadeguato e nel segno di un’arte
relazionale che relazionale è davvero, e che si sviluppa in continuità
con le più significative proposte degli anni ‘70, raccoglie e ospita
per tutto la durata della manifestazione l’avvicendamento di diverse
esperienze artistico-comunicative internazionali, tra cui molte azioni
a carattere performativo e diversi lavori di gruppo (in particolare
ricordiamo la partecipazione di Wurmkos, il laboratorio di arti visive
creato da Pasquale Campanella a Sesto S. Giovanni nel 1987, uno
tra i più interessanti laboratori italiani d’arte e di pensiero sull’arte).
Angel Vergara, spagnolo di nascita e belga di adozione, con
Feuilleton nel padiglione belga mette in evidenza la fantasmaticità
delle immagini che passano sui sette schermi: per esempio su
due schermi vicini troviamo da una parte l’immagine di Pasolini e
dall’altra quella di Berlusconi (a rappresentare il prima e il dopo, il
profeta doloroso e l’avvento della profezia); tra l’osservatore e le
immagini l’invisibile mano dell’artista inizia a distribuire pennellate di
pigmenti colorati che le cancellano parzialmente mentre sottolineano
la presenza dello schermo e fanno montare il muro della distanza.
Il padiglione tedesco, dedicato al multiforme lavoro del prematuramente
scomparso artista e regista Christoph Schlingensief, è stato
trasformato in una chiesa dove si officia il culto del corpo dell’arte,
ancora una volta nel segno dell’inscindibile relazione tra arte e vita e
sempre nel nome del grande, indimenticabile e sciamanico Joseph
Beuys.
Il padiglione austriaco è giocato da Markus Schinwald con carte
strabilianti, capaci di raggiungere il profondo: un’installazione
complessa crea una sorta di “labirinto speculare” che fraziona la
percezione alterandola e mettendola in crisi in modo sostanziale.
L’artista predispone un percorso dalle prospettive inquiete costellato
di dipinti che sono come tanti ritratti di Dorian Gray, i cui personaggi
perturbanti sporgono i loro volti intrappolati in protesi che ricordano
Hannibal in il Silenzio degli Innocenti, il fortunato film di Demme.
L’installazione si avvale anche di due punti riservati alla proiezione
di due film “uguali ma diversi”, in cui i medesimi attori recitano nella
stessa straniante location ma la trama è differente (sono uno la
continuazione dell’altro? e, se sì, quale è da vedere per primo?).
biennale di venezia
Uno dei rari lavori pertinenti al tema dell’illuminazione è il grande
gruppo scultoreo dello svizzero/newyorkese Urs Fischer (1973), una
riproduzione al naturale in cera del Ratto delle Sabine di Giambologna,
che, con tanto di stoppino acceso che la trasforma in un’enorme
candela, indica, sotto forma di paradosso visivo, l’impossibilità in
cui versa attualmente il concetto di monumento, destinato a una vita
effimera e a una sparizione progressiva e veloce.
la partecipazione americana si rivela già dall’esterno dell’edificio
profondamente critica dal punto di vista sociale e politico: un “atleta”
si allena a correre sul cingolato di un carrarmato in movimento come
se fosse una tapis roulant che produce un insopportabile rumore di
ferraglia.
L’opera è firmata Jennifer Allora & Guillermo Calzadilla, che mettono
in relazione la Biennale con i giochi olimpici e sottolineano quanto le
competitive performances degli atleti e degli artisti possano essere
metafora di guerre e dissidi.
Tra i padiglioni nazionali ai Giardini quello francese allestito da
Boltanski non stupisce e conferma la coerenza poetica dell’artista.
11-10-2011 9:15:33
strada tra l’Arsenale e i Giardini e quest’anno sede del padiglione
iracheno e di quello del Bangladesh, una delle installazioni più
convincenti è firmata dall’artista giapponese Chiharu Shiota; Memory
of books riproduce uno studiolo con tanto di oggetti annessi, scrivania,
sedie, libri, ecc... Come in un sogno o in una stanza che soggiace alle
dinamiche della memoria e dell’oblio, sopra e tra i diversi elementi
è cresciuta una nera ragnatela gigantesca che collega gli oggetti
tra loro mentre li cancella parzialmente e li rende inaccessibili, per
lo stesso motivo risulta difficilmente praticabile anche l’ambiente.
Mentre Palazzo Fortuny con l’esposizione TRA ripropone una formula
che è stata in passato vincente ma oggi appare stanca e svuotata (si
indagano di volta in volta concetti troppo vicini e sovrapponibili, e
si viene colti dal sospetto che ciò sia strumentale a fare con poco
Segnalazioni veneziane. Vedova e
Kiefer alla Fondazione Vedova
Anselm Kiefer, l’arca alchemica
dello spirito:
di Elisabetta Longari
di Michele Degan
La Fondazione Emilio e Annabianca Vedova nei suoi affascinanti
spazi, rispettati e reinventati da Renzo Piano, propone un duetto di
titani: Vedova e Kiefer. La selezione delle opere di Emilio Vedova
appartiene al ciclo ... in continuum, 116 tele nate tra 1987 e il 1988,
molte delle quali in bianco e nero, drammatiche e coinvolgenti dal
punto di vista della relazione tra l’energia della pennellata, il formato
della tela, la collocazione nell’ambiente che si dinamizza e l’effetto
sullo spettatore il cui spazio percettivo viene fortemente “centrifugato”
a causa di questi dispositivi pittorici potentissimi; mentre Anselm Kiefer
si conferma un sapiente alchimista alle prese con la trasformazione
dei materiali, come spiega con maggiori dettagli la recensione che
segue, firmata da un giovane artista, Michele Degan, allievo della
Scuola di Nuove Tecnologie dell’ Accademia di Brera.
I Magazzini del Sale fanno parte della memoria storica di Venezia.
Sono un luogo preziosissimo perché è lì che si conservava un tempo
il sale, principale merce di scambio della Repubblica marinara; lo
spazio, caduto in disuso nel ‘900, ritrova nuova vita col restauro
compiuto da Renzo Piano per conto della Fondazione Emilio e
Annabianca Vedova e concluso nel 2009. Oggi, nei giorni della
Biennale di Venezia, i Magazzini del Sale ospitano la nuova mostra
di Anselm Kiefer, “Salt of the Earth”.
Anselm Kiefer rimane affascinato dai “Magazzini del sale” esattamente
un anno fa e l’attrazione per questo spazio è talmente forte che
decide di riprodurlo nella sua interezza nel suo studio di Croissy in
Francia. Kiefer è presente a Venezia per inaugurare la sua mostra
biennale
venezia
maestridistorici
6
L’artista che rappresenta la Gran Bretagna è Mike Nelson (1967) con
l’opera I, Impostor. L’intervento sullo spazio interno del Padiglione
è anche in questo caso radicale: Nelson ne stravolge l’aspetto
fisico creando un ambiente claustrofobico composto da un reticolo
di angusti ambienti che intrappola il visitatore nella sgradevole
sensazione di essere braccato, indeciso tra il pensiero di trovarsi
prigioniero tra le quinte di un teatro di guerra oppure di essere ridotto
in clandestinità dentro a un rifugio (il pensiero corre per un attimo
anche ad Anna Frank). Una sola cosa è certa, un senso di minaccia
trasmessa anche dai cumuli di macerie distribuiti qua e là, e, nel
grande caldo di giugno, anche il senso fisico di soffocamento era
garantito. In uno degli spazi più affascinanti guadagnati di recente
all’arte, la Fondazione Gervasuti, strategicamente situata a metà
impaginato10.indd 6
11-10-2011 9:15:36
Christian Marclay, The Clock, 2010
sforzo, ovvero a variare appena l’insieme delle opere, introducendo
pochi pezzi ex novo), tra gli eventi collaterali di pregio ricordiamo la
mostra di Roman Opalka Il Tempo della Pittura, curata per la Galleria
Michela Rizzo negli spazi di Palazzo Palumbo Fossati da Ludovico
Pratesi che scrive in catalogo: << 1965. Incipit. Nel 1965 Roman
Opalka decide di iniziare una nuova fase della sua ricerca legata alla
rappresentazione del tempo irreversibile, cominciando a dipingere
sull’angolo superiore sinistro di una telanera rettangolare, il numero
uno con il colore bianco: il primo Détail, frammento di un progetto
senza fine. Un gesto simbolico che avrebbe condizionato la sua
intera esistenza, trascorsa a rappresentare la sequenza numerica
della sua vita, scandita dal passaggio del tempo espresso attraverso
una successione di cifre , che oggi ha superato il numero 5.500.000,
e prosegue verso l’infinito>>. Adesso, dopo la morte dell’artista
avvenuta di recente, la sua opera acquista un sapore diverso poiché
sappiamo che la serie si è arrestata mentre resta intenzionalmente
per sempre tendente all’infinito e la mostra diventa occasione per
un melanconico saluto di e a uno degli artisti più autentici dei nostri
tempi.
pensata appositamente per questo spazio ricco di storia e “materia”.
Usare le pareti dei Magazzini del sale come fossero una grande tela
su cui continuare un percorso di stratificazione, questa era l’idea
iniziale dell’artista che poi è evoluta in quello che possiamo vedere:
un enorme trittico (come lo concepisce il curatore della mostra
Germano Celant) che accompagna lo spettatore in un percorso quasi
forzato. Questo modo di fruire la mostra, come fosse un “processo”,
introduce da subito negli intenti dell’artista-alchemico che è Kiefer, “i
veri alchimisti – dice – si interessano al processo più che al risultato,
io stesso sono interessato al processo e quindi all’alchimia”.
Il cuore dell’esposizione è rappresentato dall’opera che dà il nome
al veneziano progetto di Kiefer ovvero “Das Salz Der Erde” (2011,
Il sale della terra), una trentina di lastre di piombo (250x400 cm
ciascuna) appese una dietro l’altra; guardandole con attenzione si
nota che su di esse sono impresse delle fotografie raffiguranti il mare
del Portogallo, queste sono state incollate sui supporti di piombo
“immersi quindi in soluzione salina e sottoposti ad elettricità molto
alta per effettuare un processo di ionizzazione”; l’idea di usare la
fotografia è per Kiefer assolutamente logica in quanto essa è di
per sé “un’alchimia perché si avvale di processi chimici che usano
l’argento”. In questo processo Kiefer definisce la propria opera come
impressionista, affermando però che lui non utilizza colori “perché
non sono interessato all’illusione, mi interessa usare il materiale”.
All’entrata dell’edificio è posto un forno “Athanor” (2011) e vuole
essere una sorta di firma dell’artista che riassume in questo oggetto
non solo le tematiche a lui care ma anche, più nello specifico, la
filosofia che sta dietro alla mostra; nel vederlo, infatti, saltano subito
alla mente le opere di Kiefer legate alla storia, quella della Germania
della seconda guerra mondiale (tema a lui molto caro e ispiratore), è
anche chiaro però che stavolta il forno si lega ai processi alchemici
che utilizzano il fuoco come trasformatore della materia.
Il titolo della 54ma biennale di Venezia curata da Bice Curiger si basa su un
gioco di parole: da una parte la luce, dall’altra le nazioni, concetto secondo
cui ancora oggi, in tempi di globalizzazione, si organizzano e presentano i
materiali.
2
Su questo tema si segnala il volume Cristina Casero, Michele Guerra (a cura
di), Le immagini tradotte, Diabasis, Reggio Emilia 2011.
1
Arriviamo finalmente all’ultima opera: “Arche”(2011), un’opera
mastodontica che ricopre l’intera parete in fondo al magazzino; dopo
aver seguito il percorso dettato dalla grande installazione di piombo
che crea idealmente due navate, lo spazio si apre e la grande tela
ci appare come un altare alchemico, il quadro è sormontato da un
triangolo che rappresenta i tre principali elementi alchemici: zolfo,
mercurio e, appunto, sale. Alla base ritroviamo il fuoco e al centro c’è
il modellino di un’imbarcazione in piombo che è simbolo del “viaggio”,
da intendere come percorso spirituale: un viaggio per arrivare ad una
“nuova condizione dell’essere”.
Michele Degan frequenta Nuove tecnologie per l’arte all’Accademia di Brera
(pagina precedente) Emilio Vedova al lavoro al ciclo …in continuum,
compenetrazioni/traslati ‘87/’88, Venezia 1988.
Foto Fabrizio Gazzarri.
(a lato) Anselm Kiefer, Arche, 2011.
Foto Charles Duprat.
impaginato10.indd 7
biennale di venezia
Tutto gira intorno al Sale inteso come componente alchemico, è
curioso, infatti, scoprire che il titolo dell’esposizione è una citazione
della Bibbia riferita agli Apostoli. L’artista rivela, durante la conferenza
stampa, la sua passione per l’opera di Lorenzo Lotto di cui ha
studiato le Tarsie di Bergamo che riportano il suo interesse per i
processi alchemici ma che unisce con elementi iconografici legati al
cristianesimo; “Il Sale della Terra rappresenta la vita, il cambiamento;
infatti uso l’elettrolisi che permette agli elementi di muoversi e migrare
liberamente”. L’artista ci tiene ad aggiungere che lo spettatore è
invitato a camminare nella sua arte attraversando lo spazio ritagliato
tra le lastre di piombo. Kiefer, in questo, si ispira idealmente alla serie
dei “covoni” di Monet, l’artista tedesco mette l’accento sull’importanza
che ha, nella serie del pittore impressionista, lo spazio tra un’opera
e quella successiva.
7
11-10-2011 9:15:38
8
PREMIO NAZIONALE DELLE ARtI
Anna P
Elvis S
INTERVISTE
In effetti è come una sorta di contraltare.
Dott. CIVELLO: L’ambiente dove le opere vivono è molto sereno.
invece il rapporto con il sistema esterno, noi non abbandoniamo i
vincitori, anzi continuiamo a promuoverli perché sono ospitati in tutti
gli eventi.
Per esempio, un accordo storico è stato fatto con le gallerie romane,
in occasione della “Primaverile romana” e insieme ai grandi artisti
sono stati ospitati i vincitori del nostro Premio. Questo dimostra che
quanto ho affermato poch’anzi.
Lo stesso lo facciamo con la musica perché i nostri vincitori del
Premio Nazionale girano poi nei concerti. Per esempio c’è l’accordo
con l’organizzazione dei festival del jazz che per convenzione con
noi, obbligatoriamente ospitano i vincitori insieme alle star. Quindi
è un volano per farli conoscere. Prima facciamo nel nostro ambito
una selezione di qualità interna, poi li valorizziamo nell’ambito
professionale.
D’altra parte la Biennale di Venezia dimostra che è stata finalizzata
ai migliori diplomati degli ultimi dieci anni, questo evidenzia che il
nostro lavoro non si ferma alla formazione ma va anche oltre nella
valorizzazione e nella promozione.
Hanno un respiro maggiore.
Dott. CIVELLO: L’altro è una baraonda.
Prof. Arch. Giuseppe Furlanis
Non sarebbe interessante se il Premio si potesse aprire
maggiormente al sistema dell’arte contemporanea, grazie ad
una connessione più serrata col mondo delle professioni, a un
coinvolgimento più diretto degli addetti ai lavori (critici, galleristi,
direttori di Museo), ma anche delle Università?
In effetti il Premio – come dicevo questa mattina [durante la
conferenza stampa, N.d.R.] – è nato come vetrina dei nostri migliori
studenti perché vogliamo dimostrare all’opinione pubblica, all’esterno,
qual è il valore del nostro sistema formativo. Per quanto riguarda poi
Qual è il peso del Premio Nazionale delle Arti all’interno del
sistema AFAM?
Perché non aprire questo Premio a possibili collaborazioni con
le Università? Pensiamo per esempio all’attività della Bocconi
con la sua Art Gallery…
Il Premio Nazionale delle Arti è un’iniziativa non è solo legato
all’ambito delle arti visive ma è aperto a tutti gli indirizzi artistici: in
a cura di Melissa Provezza, venerdì 17 giugno 2011
Dott. Giorgio Bruno Civello
il pna a storici
brera
maestri
Direttore Generale per l’Alta Formazione Artistica, Musicale e
Coreutica - AFAM
FURLANIS (rivolgendosi al Dott. CIVELLO parlando della Biennale)
Sa che lei è anche una giovane artista presente al Padiglione
Accademie?!
Dott. CIVELLO: Ah! Bello quel Padiglione! Tutti l’hanno ammirato;
ho visto gli articoli che fanno il paragone col Padiglione Italia. Anzi ho
letto un articolo che dice: “se poi volete ricrearvi andate a vedere…”.
A dire il vero diceva: “è proposto sempre da Sgarbi, ma è
bellissimo”.
impaginato10.indd 8
Presidente del Consiglio Nazionale per l’Alta Formazione Artistica e
Musicale - CNAM
11-10-2011 9:15:42
Anna Pipino, Visione
9
Elvis Spadoni, Yes I now my way, 2011, pastelli su tavola, cm 170 x 225
il pna a brera
impaginato10.indd 9
11-10-2011 9:15:48
Il Direttore Carlomagno
L’Assessore alla Cultura del Comune di Milano, Boeri
Il Presidente del CNAM, Furlanis
il pna a storici
brera
maestri
10
impaginato10.indd 10
Il Commissario Straordinario per la Grande Brera, Resca
Il Presidente dell’Accademia di Brera Carrubba
Il Direttore dell’AFAM Civello
Il Presidente della Giuria del PNA, Martino
11-10-2011 9:15:58
agno
anis
artino
alcuni c’è anche una maggiore presenza dell’Università, in altri molto
meno perché è meno significativa. Tant’è vero che per la sezione
del Premio “Design” (sempre legato al Premio Nazionale delle Arti)
partecipano a tutti gli effetti non solo le Università italiane, ma anche
le più importanti Università europee e in alcuni casi internazionali.
Questo evento, giunto alla VIII edizione, si tiene nel Museo Piaggio di
Pontedera, quindi in un luogo che evidenzia il ruolo e l’importanza del
design italiano. Tanto è vero che in alcuni casi sono state premiate,
anche realtà straniere.
A noi però interessa soprattutto questo Premio e non solo per dare
visibilità alla qualità degli studenti dell’AFAM, che indubbiamente
è molto elevata. Il discorso che si è fatto circa la presenza molto
importante alla Biennale ne è una testimonianza. Questa nostra
presenza funziona molto bene perché si trova di fronte al Padiglione
di Sgarbi all’Arsenale, quindi in questa specie di dialogo, anche
rovesciato. Il Padiglione Italia, in questa sua operazione quasi di
accatastamento delle opere d’arte non ha giovato agli artisti, noi
invece abbiamo tentato di fare un’operazione estremamente pulita,
estremamente rigorosa. Quindi abbiam giocato anche nel rovesciare
proprio l’approccio allestitivo.
Questo lo so bene perché anch’io sto esponendo lì come
artista.
Io penso che il patrimonio presente all’interno dell’istruzione artistica
non è ben conosciuto.
Io ho fatto l’esempio degli ISIA che rappresentano delle punte di
eccellenza nel panorama della formazione italiana, sono le scuole da
dove sono usciti i grandi designer – penso che sono quasi sconosciute
nel nostro paese. Perché? Perché prendono solo venticinque studenti.
Quindi in realtà, le punte di qualità e di eccellenza spesso si perdono
di fronte al peso invece del mondo universitario che pesa molto di più
anche rispetto alle decisioni politiche e che quindi mette in difficoltà
tutto il sistema dell’alta formazione artistica.
In questo senso io penso che si andrà sempre più verso un’apertura.
Non so se l’uno o il due luglio si aprirà, ad esempio, la sezione legata
all’arte drammatica che verrà fatta all’interno del museo di Spoleto e
impaginato10.indd 11
avrà una partecipazione molto più ampia. Pensi che in Italia abbiamo
solo un’Accademia d’arte drammatica e questo dovrebbe far riflettere
sulla sua preziosità.
Diciamo che si arriverà a far diventare questo Premio, non soltanto
un eappuntamento espositivo, ma anche un evnto con un ritorno
come quello che ha il Premio in questo momento più internazionale
che è quello del design e moda.
In quel caso nel premio non ci interessa solo presentare i migliori
lavori di design, ma ci interessa dare rilievo a quei lavori che sono
connotati da un forte impegno etico e sociale. Quindi temi rivolti
all’ambiente, al problema dell’energia, a migliorare la qualità della
vita. Noi pensiamo che il compito della scuola non sia soltanto quello
di insegnare a fare, insegnare delle tecniche, ma insegnare a fare,
insegnare delle tecniche per costruire un mondo migliore.
Ci interessa, per esempio, dare una visione più allargata all’interno
del più importante festival di teatro italiano.
Ecco perché abbiamo voluto tutto sommato anche ringraziare
Sgarbi (Io l’ho ringraziato pubblicamente ma mi sono arrivate penso
cinquecento e-mail d’insulti perché l’ho…).
Alla conferenza stampa?
Alla conferenza di Roma – quella fatta prima [prima rispetto alla
conferenza stampa tenutasi a Venezia, N.d.R.] – io ho parlato
quattro minuti ringraziando per l’opportunità data alle Accademie
ma è successo il finimondo! Invece io penso che bisogna anche
riconoscere quando uno fa una cosa a favore, in questo caso, non
solo delle scuole, ma anche dei giovani. Perché qui bisogna dire che
lui ha ragione: per arrivare alla Biennale dell’arte in Italia hai talmente
tanti filtri che ci arrivi solo quando sei super affermato.
il pna a brera
vello
11
In un certo senso sembra quasi un miraggio per un giovane
poter essere invitato alla Biennale.
Invece bisogna riconoscere a Sgarbi di aver dato quest’opportunità.
ma lui, allo stesso tempo, ci deve essere anche riconoscente
perché lo stiamo salvando. Leggevo l’altro giorno su La Stampa
un articolo dove parlava malissimo di Sgarbi, poi dice: “comunque
11-10-2011 9:16:01
Radis Nikzad, No war no cry, 2011. Installazione ferro, vetro, candela, sabbia, carta, 30 x 700 cm.
Accademia di Belle Arti di Brera, Milano
12
Ammar Al- Hameedi, Senza ritorno, 2011. Ferro, legno, fogli, 80 x 150 x 100 cm. Accademia di Belle Arti di Roma
se volete vedere una cosa bella, attraversate lo specchio d’acqua,
andate a vedere la parte dedicata alle Accademie” e finisce dicendo
“comunque bisogna dire, per onestà, che anche questa l’ha voluta
Sgarbi”. Quindi in qualche modo lo stiamo aiutando.
il pna a storici
brera
maestri
Veniva fatta menzione del Padiglione Accademie anche in un
articolo di Francesca Pini dell’altro ieri sul Corriere della Sera.
No, questo l’ho proprio letto su La Stampa.
Prof. Eugenio Carlomagno
Presidente della Conferenza Nazionale dei Direttori delle Accademie
di Belle Arti
(ha iniziato a parlare autonomamente senza che gli facessi nessuna
domanda! Vuole sapere quando uscira’ l’intervista)
…il sistema universitario, altrimenti rimaniamo sempre, come dire,
persone che siamo in un limbo, non sappiamo chi siamo o forse ci
offrono un pezzetto una volta, un pezzetto un’altra; noi dobbiamo
decidere se vogliamo diventare grandi o invece fare sempre le cose
che accadranno fra qualche anno…ma anche per rispetto dei nostri
studenti. Non possiamo più permetterci di dire “e adesso se verrà
approvata una Riforma” dopo 10 anni: con 10 anni si fanno 10 riforme;
allora: non la vuole la politica? Non la vuole il Ministro? Benissimo:
non la facciamo, però noi gli proponiamo un’altra cosa: di fare un
Dipartimento all’interno delle Università come un Dipartimento delle
Arti Visive come sta in tutte le parti del mondo. I docenti faranno un
concorso riservato come è successo con la 509 che è stata fatta
prima della 508 e sono passate all’interno di un sistema certo. Poi le
disfunzioni sono…il sistema universitario lo sappiamo, ma lì sta a noi
non farlo, fare in modo che non ci sia una..un esser fagocitati dalle
Università perché è facile. Ma in questo momento noi abbiamo una
specificità, diciamo quasi insostituibile, che le università non possono
impaginato10.indd 12
entrare nel nostro sistema; tanto è vero che tutto ciò che hanno
tentato di fare è fallito: nel restauro, nelle arti visive, ma anche nel
design. Noi abbiamo altre strutture quindi credo che sia opportuno
non lamentarsi della nostra peculiarità, noi siamo per le arti l’unica
eccellenza che c’è in Italia.
In questo ci dobbiamo credere prima noi e poi farlo vedere agli altri.
Quest’anno l’abbiamo fatto vedere con l’esperienza di Milano e con
quella di Venezia.
Tutti quei risultati che abbiamo ottenuto in questi anni debbono essere
visibili e quindi noi dobbiamo dimostrare all’Italia, quindi alla politica
che siamo in grado di fare molto più di quanto ci viene attribuito.
Abbiamo contatti parlamentari, una sponda parlamentare la stiamo
cercando sia al Senato che alla Camera, per fare un decreto
semplice, un decreto legge che dica le Accademie di Belle Arti sono
formazione universitaria e sono all’interno del sistema, ad esse è
riconosciuta la facoltà di attivare Master, fare ricerca e destinare fondi
a quest’ultima.
Se non abbiamo fondi noi non possiamo fare ricerca, facciamo
finta di farla. I trasferimenti…purtroppo questo è un nodo molto…
vanno fatti con la comparazione dei titoli, non più con i punti o con le
preferenze perché qualcuno ha delle défaillances fisiche altrimenti noi
continuiamo a reiterare meccanismi propri della scuola secondaria.
È fondamentale crederci! dobbiamo creare intorno a questo progetto
un consenso di tutte le Accademie e specialmente dei docenti, senza
aver timore di dover sostenere dei concorsi (riservati).
Perché? Perché va fatta l’Università, noi dobbiamo fare quello che
è successo nell’Università quindici anni fa o diciotto anni fa. Se
riusciamo ad avere il consenso noi andiamo avanti. Certo a molti
non piace questo sistema, ma adesso, in questo momento, credo
che sia il momento giusto perché la politica è in difficoltà perché si
è accorta che abbiamo una grande capacità di iniziativa, di uscire
all’esterno, di fare, di dimostrare che in realtà l’arte esce dalle
Accademie. Dobbiamo capire che l’arte esce dalle Accademie di Belle
11-10-2011 9:16:04
Radis Nikzad, No war no cry, 2011. Installazione ferro, vetro, candela, sabbia, carta, 30 x 700 cm.
Accademia di Belle Arti di Brera, Milano
Cecilia Lombardi, Fungo, 2010. Opera interattiva, 270 x 154 cm. Accademia di Belle Arti NABA di Milano
impaginato10.indd 13
13
Roma
11-10-2011 9:16:11
Arti. A Venezia al Padiglione Italia, al Padiglione
delle Accademie ci sono tutti artisti che sono
usciti dalle Accademie di Belle Arti: il 90%
del Padiglione Italia e il 100% del Padiglione
Accademie. Quindi abbiamo dimostrato di
essere, in campo nazionale ed internazionale,
capaci di essere presenti in un evento come la
Biennale di Venezia.
* (il Direttore della nostra rivista, Gaetano
Grillo, coglie questa occasione per inviarle
la seguente domanda: Come mai l’Accademia
che lei dirige, quella de L’Aquila, è una delle
poche che non sostiene e non distribuisce
la nostra rivista Academy? Eppure, stando a
quello che lei dice, il compito maggiore su
cui dobbiamo operare è proprio quello della
valorizzazione delle nostre risorse. Academy
è l’unica rivista delle sole Accademie e lei,
come presidente della Giunta dei Direttori,
non fa nulla per sostenere la nostra
iniziativa).
Marco Dainelli, Trilogia sottile, 2010. Instal. forex, poliplatt, plexiglas, cartone, 300 x 200 x 100 cm.
Accademia di Belle Arti di Firenze
Nell’arte contemporanea si assiste a una
continua commistione di linguaggi, sempre
più ibridi. Perché nel Premio ancora
sussistono classificazioni in sezioni quali
pittura, scultura, grafica, decorazione,
eccetera?
Capisco questa cosa, però ancora dobbiamo
rispettare un po’ la forma delle Accademie.
Questa non è tanto una divisione, è un rispetto
che ancora c’è, però non è una divisione perché
poi c’è una commistione tra la nuova disciplina e la
disciplina radicata nel passato. È opportuno che
questo poi va a scemare, ma automaticamente
succederà, come sta succedendo anche nella
docenza. Quindi non ci sono più docenti che
fanno “il pittore”, “lo scultore”: c’è l’artista che
opera in un campo e però si occupa anche
d’altro. Su questo noi dobbiamo stare, non
attenti, ma dobbiamo avere un’attenzione per
quei docenti che hanno una maggiore capacità
nell’esprimere, nel sperimentare in un ambito
ben preciso, quindi diverso da quello che noi
consideravamo l’area di pittura, l’area di scultura,
l’area di decorazione.
14
il pna a storici
brera
maestri
Davide Fadda, Endosimbiosi, 2011. Ferro e resina, 180 x 180 cm.
Accademia di Belle Arti di Sassari
Prof. Nicola Maria Martino
Presidente della Giuria Ministeriale per le opere
vincitrici del Premio Nazionale delle Arti 2011
In qualità di Presidente della Giuria che ha
assegnato i premi in questa edizione del
PNA, come giudicherebbe il livello della
partecipazione? Cosa c’è di nuovo da
segnalare?
La qualità è stata molto alta, soprattutto sia
per quanto riguarda la scultura, che la pittura,
ma anche la scenografia, voglio dire, è stata
ben organizzata e ho trovato della qualità tra i
giovani che si son presentati veramente bene.
Una buona qualità.
Piacevolmente stupito?
Stupito, quindi…Poi nella Commissione abbiamo
attribuito i premi quasi tutti all’unanimità, ci si è
trovati d’accordo…chiaramente sentirete fra
poco, quindi..
Spero di aver fatto un buon lavoro.
*Fotografie dell’evento di Massimiliano Patriarca
impaginato10.indd 14
11-10-2011 9:16:18
G
M
Dir
“…
nos
la
fav
un’
con
anc
nos
fun
che
storico di Brera resta tutto il blocco centrale e quello frontale. Sono
molto soddisfatto del risultato raggiunto. Ci sono tutte le premesse
per realizzare un vero e proprio Campus all’avanguardia.
Il salone Napoleonico, spazio suggestivo dall’alto valore
simbolico, non sarà più a nostra disposizione?
Il salone napoleonico è sempre stato in comune tra Accademia e
Pinacoteca e altri enti quali l’Istituto Lombardi Croci.
Ricordiamoci anche che San Carpoforo resta a noi.
E cosa si pensa di fare con la biblioteca? Si traslocherà nella
nuova sede?
No, la biblioteca resta nei suoi spazi. Di là creeremo altri poli tra cui
il Museo dell’Accademia con le nostre collezioni storiche e si arriverà
fino al contemporaneo.
GAstONE
MARIANI
Direttore dell’Accademia di Brera
Intervista a cura di Elisabetta Longari
È passato più di un anno, anzi sono quasi due, dal tuo
insediamento come direttore e hai ereditato una situazione
scottante relativa alla sede. Vorresti riassumere gli accordi
siglati e raccontare a che punto sono le cose?
Vorrei ricordare che rispetto all’offerta proposta inizialmente, che
prevedeva soltanto la Caserma Mascheroni e 7.500 metri quadri, di
cui realmente usufruibili in realtà soltanto 3.500, siamo invece riusciti
a ottenere dopo lunghe trattative tutto il complesso dell’area militare
demaniale di Mascheroni. Abbiamo firmato l’accordo a giugno scorso
e ci hanno quindi assegnato 26.000 metri quadri e qui nel Palazzo
impaginato10.indd 15
Palazzo Citterio, è così vicino e così comodo…
Infatti è un oggetto ambito tanto da noi quanto dalla Pinacoteca…
Poi bisogna al più presto risolvere il problema di Brera 2, i cui spazi
sono stati dati in affitto dalla Regione, ma che dall’anno prossimo
andrebbero a incidere eccessivamente sul bilancio. Inoltre quello
spazio è inadeguato anche ai numeri, ormai quei due indirizzi
sperimentali, Nuove tecnologie per l’arte e Design, sono cresciuti fino
a contare quasi mille unità.
Sei un direttore che non ha rinunciato a insegnare, ad avere
rapporti con i propri allievi, addirittura non frequenti la direzione
se non nel caso d’incontri ufficiali, altrimenti preferisci ricevere
nella tua aula, che poi è uno degli ambienti più affascinanti e
antichi di Brera…
Io non ho rinunciato all’insegnamento perché adoro questo mestiere.
Sono entrato qui come allievo a Brera nel 1963 e sono uscito nel
1967, anno in cui ho vinto il premio di scenografia ed è stata la mia
fortuna perché poi ho iniziato a lavorare in Sud America: per anni e
anni io sono stato impegnato in spettacoli teatrali, cinematografici e in
trasmissioni televisive in tanti Paesi. Poi sono tornato qui nel 1974.
Con chi avevi studiato a Brera?
Con Varisco. Con lui ho studiato, come dicevo, dal 1963 al 1967; poi
con lui ho fatto l’assistente dal 1974 al 1980. Parallelamente lavoravo
anche alla realizzazione delle messe in scena delle sue opere al
teatro di Trento e a quelli di Bolzano e Rovereto.
15
accademia di brera
“…Io sono molto soddisfatto della
nostra Accademia, le persone che
la visitano restano sempre molto
favorevolmente colpite. Abbiamo
un’attività intensissima di mostre,
convegni e allestimenti di spettacoli
anche a livello internazionale, il
nostro sistema di scambi Erasmus
funziona benissimo sia per studenti
che per docenti”.
Occorre incrementare i lasciti relativi al contemporaneo. Penso
che se fossimo stati più lungimiranti e avessimo chiesto a
ogni visiting professor e animatore di work shop ospitato nelle
nostre aule in questi ultimi vent’anni di lasciarci un ricordo
del suo passaggio a Brera, avremmo una collezione tra le più
significative. Ma così non è stato. Bisognerebbe tentare di
riprendere il discorso anche retrospettivamente…
A voi chiedo in questa fase davvero di riflettere sulla vostra identità di
scuole e sulle esigenze didattiche per poter consegnare all’architetto
che vincerà la gara d’appalto le indicazioni delle nostre necessità
in base alle quali progettare gli spazi. Sono anche certo che i tempi
saranno dilatati perché la crisi batte duro e i soldi non ci sono, ma
intanto quei 26.000 metri quadri sono stati destinati a Brera. Noi
di qui comunque non ci muoveremo prima che sia pronta l’altra
sede. Vedo come unico vero problema il cortile che con l’Expo del
2015 dovrà essere terminato nella sua nuova configurazione. Vedo
come un’emergenza la mancanza di quelle aule disposte nel cortile
napoleonico se ci dovessero essere sottratte a breve per cantierizzare
i lavori per la copertura del cortile. Ho già chiarito però con il
Commissario Resca che non è ipotizzabile neanche lontanamente
l’idea di trasferire i corsi di Pittura che adesso vi si svolgono lì, in una
parte dell’edificio di via Mascheroni, se vogliono il cortile ci devono
almeno temporaneamente assegnare Palazzo Citterio per portarvi
tutti i corsi che si tengono attualmente appunto nelle aule aggettanti
al cortile napoleonico.
Quindi non ti sei più mosso da quest’aula?
Certo posso dire che tra Brera e la mia vita c’è un rapporto di
coapparteneza molto forte: sono Professore oltre che Direttore,
il che significa ampia ricerca di carattere istituzionale e relazione
costante con gli studenti, con i giovani che problematizzano sempre
11-10-2011 9:16:19
e fruttuosamente le nostre nozioni stantie e rassicuranti, chiedono
direttive e non gioghi. Questo scambio, questa attività formativa
chiede anche un luogo consacrato, che non può essere la Direzione.
Finora i miei duplici ruoli non hanno patito cannibalismo di sorta, mi
auguro di continuare così, in concordia.
Insomma, il cuore più antico di Brera, i resti della Chiesa di Santa
Maria della Brera, passeranno alla Pinacoteca!
Certo, è la parte che fa più gola… A noi restano però le tre belle aule
di scultura, tra cui lo studio di Hayez.
accademia
di brera
maestri storici
16
Scenografia, una disciplina ancora vitalissima che però risente
dei pesanti tagli alla cultura e allo spettacolo…
Ci sono due ordini di difficoltà a questo riguardo. Il primo riguarda
la crisi economica che ha depauperizzato le risorse destinate alla
cultura e al mondo dello spettacolo; il secondo invece consiste
nell’urgenza di un restauro intellettuale della disciplina scenografica.
Occorre rivitalizzarne il senso, attualizzarla senza scivolare nell’oblio
della grande tradizione. Anche in presenza si scarsità di mezzi, lo
scenografo deve essere capace di creatività e inventiva sorprendenti,
affascinanti, potremmo perfino dire ricche. Non propugno uno
scivolone sulla melassa romantica decadente, al contrario una
risposta reattiva, energetica, significativa. C’è rarefazione delle grandi
scuole? Ne prendiamo atto, noi andiamo avanti senza illuderci, ma
con tutto il coraggio di sperare in altri cambiamenti. Il recente Premio
Nazionale delle Arti è stato un momento autenticamente celebrativo
di dialogo tra talenti, tra idee e passione che ancora innerva il
pensiero progettante, che dalle nuove tecnologie ha tratto linfa vitale
incandescente. La scenografia è virtuale per sua natura: crea uno
spazio illusorio dentro uno spazio reale, lo trasforma costitutivamente,
ma solo il tempo della rappresentazione, in un gioco ossimorico di
rara intensità. C’è qualcosa di provvisorio e di radicale al contempo,
che somiglia alle cornici della nostra memoria. Capire e apprezzare
questi aspetti è questione legata certamente anche al sostegno e alla
valorizzazione delle risorse economiche, ma riguarda principalmente
ed essenzialmente le risorse interiori.
video, arte e cinema, moda, per concludersi con uno spettacolo
teatro di figura “Il pincipe di legno” con l’orchestra del Conservatorio
di Milano presso l’Isola Comacina dal 2 maggio al 10 giugno circa.
Altro progetto ancora è la messa in scena di “Salomè” di Oscar Wilde
al Teatro della Fortuna di Fano, poi “Cosi fan tutte” al Comunale di
Como e un progetto inedito del Moby Dick a Brera.
Ancora una mostra dei Maestri di Brera in Ottobre alla Chiesa di san
Carpoforo.
Sarà un anno eccezionale per l’Accademia di Brera che ci vedrà
protagonisti con due spettacoli di teatro di figura a Pechino più due
mostre interesssanti.
Poi altre sorprese che non sto a dire... altrimenti che sorprese
sono?
Facciamo in ultimo una riflessione sulla riforma. Dopo undici
anni che cosa credi che funzioni e cosa no di questa riforma?
Secondo me, più che il 3+2, bisognerebbe fare un bel primo
anno propedeutico intensivo…
A due anni circa dall’inizio dal tuo mandato di Direttore potresti
fare un bilancio? Gli obiettivi che ti eri prefissato sono stati
raggiunti? Su che fronte stai impegnando maggiormente le tue
energie?
Come vicedirettore di De Filippi ho visto l’Accademia cambiare, farsi
grande ed esplodere a livello di corsi. L’offerta formativa si è arricchita,
articolata e complicata; a volte alcuni lamentano che sia troppo e
che gli allievi non riescono a seguire compiutamente un corso anche
per l’eccessiva frammentazione… Comunque occorrerebbe mettere
mano alla didattica in modo più definitivo, accendendo dei concorsi
nazionali per tutte quelle materie che sono affidate a contrattisti a
vita, senza le quali non potremmo avere intere scuole d’indirizzo,
ad esempio Nuove tecnologie e Restauro…In ogni modo io sono
molto soddisfatto della nostra Accademia, le persone che la visitano
restano sempre molto favorevolmente colpite. Abbiamo un’attività
intensissima di mostre e convegni anche a livello internazionale,
il nostro sistema di scambi Erasmus funziona benissimo sia per
studenti che per docenti. Abbiamo di recente stabilito un legame con
Valparaiso, in Cile, dove i nostri docenti faranno corsi intensivi di un
mese, lo stesso vale per la Cina e il Perù.
Progetti?
Per l’immediato abbiamo pronta la mostra per il centocinquantesimo
anniversario dell’Unità d’Italia con sessanta tele dei Maestri di Brera
di grandi dimensioni (m.2x1,50) che verranno esposte al Palazzo dei
Congrassi a Bruxelles e alla sede della Regione Lombardia dal 1° al
22 Dicembre.
Copie di queste andranno poi esposte in tutte le ambasciate italiane
del Sud America. Le tele originali torneranno a Milano per un grande evento espositivo
a Brera, alla Rotonda della Besana e al Museo della Permanente in
via Turati dove verrà battuta un’asta benefica il cui ricavato andrà
alla Ricerca Medica Scientifica.
Tutte queste opere saranno documentate in un ricco catalogo.
Un altro grande progetto vede riunite tutte le nostre scuole in un unico
evento, dibattiti, workshop, seminari, incontri, mostre, installazioni,
impaginato10.indd 16
11-10-2011 9:16:21
La cosa che meno funziona è certamente il ciclo di studi suddiviso
in due tranche, il famoso 3+2. Inadeguato anche per le strutture
universitarie, a maggior ragione per le nostre accademie, dove il
sapere tecnico, laboratoriale ha bisogno di tempo e di sedimentazione.
Sarebbe per noi ottimale un 1+4.
Proviamo a capire i rapporti della nostra istituzione con la Città
in previsione dell’Expo 2015…
Appunto, dobbiamo parlarne… Cosa vuole fare l’Accademia di Brera
per l’Expo?
Ecco che si tocca un punto dolente: la città di Milano nel corso
di tutto l’Ottocento e per buona parte del secolo scorso è stata
fortemente segnata dal rapporto con l’Accademia di Brera e i
suoi docenti, che erano anche coloro che ne concepivano e
realizzavano i principali arredi urbani e monumenti. La città
è anche il ritratto di Brera. Adesso che questo legame si è
spezzato, occorrerebbe tornare a rinsaldarlo.
Ho un’ultima domanda: la questione dell’Isola Comacina e
la riattivazione delle residenze per artisti in loco come si sta
delineando?
La situazione è complicata e difficile. Non intendo certo apparire
evasivo, ma solo ricordare che sono coinvolte le più diverse
competenze e Istituzioni, legali e amministrative.
Occorre ancora una volta pazientare affinché ogni aspetto venga,
come chiedo, esaurientemente chiarito. Ci sono poi altri progetti
interessanti cui ci stiamo dedicando, come l’area dell’Idroscalo, dove
potremmo realizzare opere ecocompatibili, con materiali innovativi a
zero impatto ambientale.
Brera deve tornare ad abitare l’intero tessuto urbano, facendosi carico
anche delle istanze etiche della nostra contemporaneità, come la
tutela delle risorse ambientali. In un’ottica di costante arricchimento e
rinnovamento pensiamo anche al nuovo indirizzo di Teatro di figura,
che ancora in Italia non è presente, insieme a un biennio specialistico
di Terapeutica.
impaginato10.indd 17
accademia di brera
Foto di Massimiliano Patriarca
17
11-10-2011 9:16:23
18
ANDREA CAsCELLA 1980-1987
impaginato10.indd 18
11-10-2011 9:16:25
Andrea Cascella aveva un enorme
rispetto per chi decideva di fare
l’artista.
Non dava giudizi, esprimeva
ammirazione per chi riusciva a
vivere realizzando il sogno costante
dell’arte.
Specificava poi, che pochi erano gli
artisti che avevano talento, ovvero,
con parole sue, la “castagna”.
impaginato10.indd 19
19
maestri storici
Mi ha sempre stimata e incoraggiata nella mia scelta di artista,
ricordando che sarebbe stata una strada difficile ma anche piena
di enormi soddisfazioni. Con la guerra, aveva deciso che più
importante era di essere, prima, un uomo libero, poi, uno scultore.
Fu per questo che decise di combattere il fascismo sulle montagne
della Valdossola e le testimonianze storiche raccontano e descrivono
azioni di un comandante partigiano coraggioso e generoso. Dopo il
quarantacinque fu molto duro riprendere la vita d’artista.
Erede di una complessa stirpe di artisti abruzzesi da Roma si trasferì
a Milano, la città che libererà felice, il 25 aprile con i compagni
partigiani. Lasciò il Partito comunista, dopo la Legge amnistia di
Togliatti, e non amava viaggiare negli Stati Uniti per le difficoltà di
avere il Visto. Chiunque fosse stato iscritto al P.C., intellettuale e
artista, veniva scansionato nella vita privata e oltre.
Andò per le numerose esposizioni personali organizzate dalla gallerista
Betty Parsons e le sue sculture entrarono nei musei e importanti
collezioni. In Italia, negli anni ‘50, si ostacolava culturalmente l’arte
astratta e si ufficializzava la figurazione dell’artista Renato Guttuso.
Gli artisti affini alla sua ricerca a Milano erano Lucio Fontana, Tancredi,
Enrico Castellani, e a Roma Piero Dorazio e Pietro Consagra. Anche
lo scultore Melotti era un carissimo amico che incontravamo spesso
in studio o al ristorante.
Dal 1960 aveva condiviso affetti e amici con la gallerista Beatrice
Monti della galleria Ariete. Ugo Mulas grande amico, scomparso
troppo giovane, ha documentato fotograficamente i momenti più
interessanti della sua vita d’artista.
Nel 1964 alla Biennale di Venezia Andrea vinse il premio della
scultura.
Nell’archivio Mulas si trovano una serie significativa di scatti in bianco
e nero del contesto artistico e sociale, ricordo in particolare Andrea
e Bob Rauscemberg che brindano insieme al premio più prestigioso
del momento.
Un grande artista, amico, che viveva negli Stati Uniti e con cui
condivideva amicizia e passioni era Salvatore Scarpitta. Scarpitta
aveva come Andrea anche un senso avventuroso e solare della vita.
Nel 1969 all’Aquila nacque con la Direzione dell’artista Piero Sadun
la prima Accademia di Belle Arti, Sperimentale, Istituzione Pilota nel
panorama artistico contemporaneo. Vennero invitati all’Insegnamento
artisti contemporanei di chiara fama nel Palazzo Carli Benedetti,
esempio di architettura cinquecentesca, costruito nel centro storico
della città.
Carmelo Bene e Silvano Bussotti nel teatro e per la musica, Paolo
Scheggi, Mario Ceroli, Enrico Castellani, Vito Bucciarelli, Achille
Bonito Oliva e Lorenza Trucchi erano i suoi colleghi docenti per le
arti visive e fu allora che Andrea divenne Maestro alla Cattedra di
Scultura.
Nel 1980, nominato dal ministro, divenne Direttore a Brera. L’obiettivo
e il desiderio di trasferire le sue idee di artista per un’ Accademia
di esempio, trascinatrice e rappresentativa per l’Italia in un nuovo
contesto e visibilità culturale europea, furono la prima spinta etica e
morale della sua scelta.
La sua provenienza dal mondo dell’arte e il prestigio personale
avrebbero reso possibile anche il trasferimento di una parte
dell’Accademia a Palazzo Citterio, in cambio della chiesa S.Maria.
11-10-2011 9:16:26
maestri storici
20
Ricordo chiaramente la visita nel cantiere di Palazzo Citterio con il sovraintendente
della Pinacoteca, Carlo Bertelli. Palazzo Citterio era un cantiere al grezzo e si
prospettava di poter creare dei laboratori idonei alle necessità degli studenti
sempre più numerosi. Fu Alik Cavaliere in maggioranza con altri professori che
si oppose fortemente al trasferimento. Anche Bertelli, dette poi le dimissioni da
sovraintendente, e l’opportunità interessante fu allora perduta. Andrea coinvolse
anche il dirigente della Standa, Mario Lupo, nell’esecuzione di un rinnovamento
e restauro della biblioteca di Brera per gli studenti.
Il Presidente della Repubblica, onorevole socialista, Sandro Pertini inaugurò la
nuova Biblioteca. Andrea Cascella donava attraverso il suo prestigio, fatto di
collezionisti, stimatori e amicizie, un’immagine nuova e agile dell’Accademia di
Belle Arti, ma per lui fu anche un’esperienza amara perché dovette combattere
ufficiali burocrati, che ostacolarono pesantemente le sue idee. Il Direttore
amministrativo lo portò più volte in tribunale, il prof. Robaudi lo denunciò perché’
i laboratori interrati non erano a norma e nonostante per Andrea, la direzione
equivalesse a una seconda resistenza civica, autorevolmente e cordialmente
aiutò giovani artisti come me e stimati professori con rispetto, garbata gentilezza
e un sorriso. L’ignoranza e la burocrazia divennero i suoi peggiori nemici. A tale
proposito cito un breve testo tratto da una lettera di P. Dorazio, indirizzata ad
Andrea:
“[…] Sappiamo bene che siamo succubi di un livello di cultura di basso profilo
dove con la complicità di intellettuali, mercanti e mass media, è possibile creare
valori estetici del tutto artificiali, addirittura mistificando i fatti della storia, al fine di
orientare il gusto piuttosto verso il culto della novità o verso interessi determinati
o particolari, rimossi da una visione oggettiva dell’arte […]”.
Piero Dorazio ricordava spesso di Andrea la cordialità che ci faceva sentire
ovunque “a casa nostra”. Il suo ottimismo e la sua camaraderie mettevano
chiunque a suo agio. L’esperienza di uomo e di artista, la sua cultura, la sua
calma e la sua acuta capacità di osservare le persone, fatti, idee, gli consentivano
di esercitare la sua competenza con giudizi quanto mai schietti e obiettivi. Egli
impaginato10.indd 20
11-10-2011 9:16:30
Prof. ssa Laura Panno © Laura Panno
non era, come molti artisti, prima di tutto un intellettuale; si considerava un artigiano creativo e lucido,
come certi uomini del “Rinascimento” la sua intelligenza era nutrita dalla costante esperienza dei fatti,
dei sensi, delle emozioni e mai questa intelligenza precedeva, oppure influenzava i suoi sentimenti.
Questo suo equilibrio era dovuto prima di tutto all’esperienza manuale continua del disegno e della
scultura.
Per Cascella l’arte era il mestiere che esercitava per vivere piuttosto di altri mestieri, producendo sculture
fatte per continuare nel mondo il culto umano della bellezza. Per lui l’arte era un valore espresso da un
oggetto concreto adatto a risvegliare i sensi, piuttosto che una reazione dell’intelletto.
Andrea mi ha colpito per il suo spirito apollineo, metteva sempre arte e vita in uno stretto rapporto.
Come Arturo Martini amava le donne e accarezzava i suoi pensieri nella materia, Brancusi e Arp gli
erano affini nella ricerca di perfezione.
Fece nominare Presidente dell’Accademia di Brera l’industriale brianzolo delle bullonerie Fontana, suo
collezionista e amico, e gli chiese e ottenne il finanziamento per il restauro della pala di Piero Della
Francesca.
Andrea pensava che in fondo le Università avessero tradizioni maggiormente teoriche e che il DAMS
di Bologna nascesse da una separazione tra Accademie e Università. Recentemente Renato Barilli
mi ricordò come con Andrea avrebbe voluto creare un’alleanza culturale, e rimpiangeva la mancata
opportunità. Andrea era convinto che gli Atenei Universitari non avrebbero mai accettato di aprire
impaginato10.indd 21
21
maestri storici
concorsi agli artisti che avevano
formazioni culturali, al tempo, molto
diverse.
Non usava Brera per interessi
personali, dedicava il suo tempo
per ricambiare la grandezza
dell’Istituzione
prestigiosa
che
lo ospitava. Dette le dimissione,
deluso e amareggiato. Scrisse una
lettera che venne pubblicata nel
“Corriere della Sera”. Pensava che
a Brera avremmo dovuto mantenere
un’identità autonoma dal Ministero,
anche dalle Università’ che, per
tradizione, non contemplavano
l’esistenza dei Laboratori, così
importanti per lui, per trasformare
la materia. Li chiamava “La fucina
dei miei sogni”.
Andrea Cascella ha speso molti anni
a cercare il bandolo della matassa
nella confusione e il dilettantismo
che regnavano nello Stato, cercando
di sottrarre l’Istituzione da lui direttta
alla burocrazia inerte di Viale
Trastevere, cercando di migliorare le
iniziative all’interno dell’Accademia,
proiettate però verso l’esterno.
Riaprì l’aula Napoleonica a mostre
di grande riscontro culturale e dette
inizio a seminari come quello svolto
da Eugenio Jonesco. Pensava
sempre a Brera e, come tutti gli
artisti, divenne ansioso di poter fare
di più, cosa che l’Ispettorato artistico,
ministeriale, non capiva.
Mi diceva, con l’autorità del Maestro
di mettere sempre il mio lavoro
in gioco fuori dalle Accademie,
confrontandomi con artisti nel
mondo. Allargava il messaggio
poi a tutti noi più giovani dicendo:
“Non usate l’Accademia per autocelebrarvi”.
Andrea ha terminato la sua preziosa
esistenza nel 1990, nel mese che
rende tutte le morti scomode, anche
per gli amici più cari. Il 17 agosto,
fu fatta una piccola cerimonia nel
cimitero di Ameno d’Orta, dove
riposa in una tomba realizzata dal
fratello scultore Pietro.
*un grazie particolare a Giuseppe Pino
per le foto di Pietro Cascella
11-10-2011 9:16:34
terapeutica
maestri
storici
LA tERAPEUtICA
ARtIstICA A BRERA
di Tiziana Tacconi e Laura Tonani
“[…] e noi stiamo dinanzi alla creatività, dovunque la
incontriamo, nell’individuo adulto come nel fanciullo, nel malato
come negli aspetti meno vistosi della vita di ogni giorno, con
la venerazione dovuta a un tesoro nascosto che, sotto una
veste poco appariscente, può custodire una particella di divinità
[…] Questa creatività ha, dovunque si manifesti, carattere di
rivelazione; ma la rivelazione sta in strettissimo rapporto con
la struttura psichica alla quale e nella quale si rivela”. (Erich
Neumann)
La Terapeutica Artistica nasce a Brera, ormai sei anni fa, da un
progetto di Tiziana Tacconi e Laura Tonani e dalla comune volontà
di costruire un nuovo territorio di ricerca e di approfondimento in
quell’attività artistica culturale dell’arte terapia.
Negli anni Cinquanta, quando l’Art Therapy di concezione britannica
era ancora nella sua fase pionieristica, l’artista americano Robert
Rauschemberg amava ripetere che la pittura era , in fondo, un buco
impaginato10.indd 22
Con-ta-ci Opera N° 3 installazione Sarzana 2009
22
nero “fra l’arte , la vita e l’avventura”, a conferma che l’esperienza
estetica mantiene sempre una sua irriducibile natura aperta.
Il discorso di Rauschemberg, per certi versi paradossale, ha
indubbiamente il merito di individuare quella necessaria cornice
illusionale entro la quale si dispiegano le diverse fasi del processo
creativo che, nello specifico disciplinare dell’arte terapia assume
caratteristiche particolari. Nel panorama odierno, infatti, l’arte terapia
si configura come un sistema flessibile e pragmatico, alimentato
da un costante contributo transdisciplinare: è dunque un campo
d’esperienza dai confini mobili, che individua i propri elementi costitutivi
nel delicato equilibrio tra procedure tecniche e libertà espressiva, tra
la cornice dello scenario, il setting artistico e le dinamiche relazionali
sollecitate dal processo creativo stesso. (Giorgio Bedoni)
Traendo i propri fondamenti teorici da un’eredità storica di enorme
portata, alla quale afferiscono diversi saperi, relativi alla psicoanalisi,
alla psichiatria, all’estetica di orientamento fenomenologico, alla storia
dell’arte, la nostra nuova prospettiva ha aperto un’ulteriore riflessione
intorno al metodo del percorso formativo terapeutico e del linguaggio
del “fare” creativo e inventivo.
Il confronto di due sguardi: quello artistico e quello del mondo
11-10-2011 9:16:36
della psiche, senza snaturarne i rispettivi linguaggi, ci ha portato
a “rinominare” a “ ridisegnare” i contorni di una disciplina che in sé
riuniva un panorama multiforme ma a tratti confuso, in una nuova
esperienza di “Teoria e pratica della Terapeutica Artistica”.
Anche l’attività formativa ed educativa può essere considerata
una terapeutica , è un’attività corporea e sensoriale, che si fonda
sull’esperienza senso-percettiva , progetta attività, produzioni, forme,
passando attraverso un percorso di riflessione.
Questo percorso di conoscenza trova nell’arte il suo campo elettivo e
passa attraverso il riconoscimento dell’artista terapista.
L’artista terapista, infatti dialoga con l’altro grazie al linguaggio
dell’arte, assumendo un ruolo maieutico, utilizzando le proprie qualità
empatiche, modellandosi così nei vari contesti, con la capacità
creativa propria dell’artista
Ogni volta che nel percorso della Terapeutica Artistica abbiamo
attivato nuovi progetti laboratoriali, strutturando atelier sperimentali
in diversi luoghi di cura psichiatria, pediatria, oncologia, geriatria,
patologia della gravidanza,nelle carceri, la nostra attenzione si è
particolarmente soffermata sulla scelta dei materiali, e le metodologie
tecniche che ogni contesto suggeriva.
L’esperienza ci ha insegnato che il “progetto” non è una semplice
trasmissione d’informazione, ma scaturisce dalla relazione di tutti
i partecipanti che concorrono alla costruzione del progetto stesso,
l’opera emerge nel tempo e nel farsi del lavoro comune.
L’atto creativo, che preferisce a parole mutilate, gesti e sguardi
d’intesa nella comunicazione, che non ignora la sofferenza, passo
dopo passo, prende corpo nell’opera condivisa.
È un’operazione che chiede a chi opera nei contesti sociali non solo
di uscire dalle certezze culturali ma anche di aprirsi al rischio e
all’imprevisto, offrendo in prima persona una misura, un modo
possibile.
Alla base di un’interazione corretta c’è l’empatia che indica la
capacità di proiettare se stessi in ciò che è altro da sé (cosa, persona,
situazione). Il saper comunicare in maniera empatica è caratteristica
fondamentale per la costruzione di un percorso artistico corretto,
di pari dignità rispetto alla capacità di comprensione di-segni e
condizioni ambientali.
Oggi, più che mai, la medicina in un progetto di umanizzazione
sempre più attuale si rivolge all’arte ma addentrarsi in questa
realtà significa incontrarsi con argomenti di notevole complessità,
dal rapporto medico-paziente, ambito nel quale il disagio appare
ancor più evidente in relazione alla moderna tecnologia, alla visione
dell’uomo come risultato di una coesistenza forzata, mai risolta, di
anima e corpo.
Io non credo che ci sia un’arte per i malati e un’arte per i sani,
ci sono però dei modi di stare insieme e se l’arte ha forse un
senso in certi momenti è proprio quello di insegnarci a guardare
l’altro non come se fosse fuori di noi, ma come se fossimo noi
stessi. Un’altra parte del sé. Il malato ci fa paura e noi tendiamo
23
Con-ta-ci, Opera N°20, feltro, Expolis 2011Triennale Milano
Con-ta-ci Opera N° 3 installazione Sarzana 2009
Il termine Terapeutica deriva etimologicamente dal latino Therapèutica
e dal greco Therapeytikè che correntemente tradotta con “arte”
comprendeva sia l’arte, che la tecnica (la capacità, manuale).
Essere artisti comporta un saper fare cioè, una conoscenza, pratica
e teorica e allo stesso tempo, una partecipazione consapevole
a ciò che si fa.
Per Filone d’Alessandria “therapeytikè” è simile a un organismo
vivente, che imita o completa la natura, da cui deriva il piacere di
“prendersi cura di se”.
Comunicare e condividere risorse e potenzialità individuali, creare
le condizioni perché i processi di partecipazione rendano praticabile
un’esperienza comune e un’opera condivisa, significa essere
strumento e dare strumenti per costruire un progetto di possibile
cambiamento al presente.
“L’opera condivisa” prevede l’attuazione di un laboratorio artistico
di espressione individuale e collettiva che coinvolge tutti i componenti
alla realizzazione dell’opera.
impaginato10.indd 23
11-10-2011 9:16:38
ad allontanare tutte le cose che ci provocano disagio, ma in
realtà questo atteggiamento, questa paura, è l’evidenza stessa
di una forma di malattia… Bisognerebbe imparare a rapportarsi
tra individui, senza dividerci in individui malati e individui sani.
(Francesca Alfano Miglietti)
“Il fatto che l’arte contemporanea sia attirata a dialogare con i
luoghi della sofferenza e della malattia con il pensiero rivolto alla
solidarietà sociale come sostegno alla dimensione fisica e spirituale
dell’uomo, porta a riflettere intorno al valore di questa operazione
dell’esperienza umana e….. consente continue immagini fissate nel
rapporto inesplicabile tra la vita e la morte.
Questa iniziativa culturale non è estranea alla vitalità creativa dell’arte
e deve dunque intendersi nelle sue profonde implicazioni umane
come partecipazione attiva a un progetto di qualificazione estetica
della vita, nel momento di massima sospensione del suo senso.”
(Claudio Cerritelli)
Quando l’immaginazione si concretizza in un’opera, con la quale
sorprendentemente l’autore risuona e si riconosce, liberandosi dai
limiti silenziosi dell’impotenza creativa, allora è possibile ritrovare la
dimensione armonica della nostra interezza, superando la divisione
tra corporeo e psichico, e ciò costituisce un aspetto fondamentale
delle potenzialità terapeutiche dell’arte.
terapeutica
maestri
storici
24
“TERAPEUTICA, l’arte in teoria e in pratica”, 8/9 APRILE 2011, tenutosi
all’Accademia di Belle Arti di Brera e organizzato dal nostro corso
di diploma biennale in “Teoria e pratica della Terapeutica Artistica”,
in collaborazione con l’Università degli Studi di Pavia, Scuola di
Specializzazione in Psichiatria, e l’Università Bicocca di Milano, è
stata un’ulteriore occasione di crescita del progetto e di visibilità dei
risultati raggiunti. Inoltre la possibilità di confrontarsi anche con altre
discipline artistiche quali il teatro la danza e la musica, nell’ottica
di un’attività espressiva integrata che possa essere terreno fecondo
per attività future, ha maturato in noi la consapevolezza di possibili,
nuove aperture.
L’incontro di diversi sguardi e ambiti professionali ed espressivi ha
creato un momento di confronto e di re-visione dell’esperienze che da
tempo sono state avviate dalla Terapeutica Artistica in molti progetti
sperimentali. Medici, psicoanalisti, artisti terapisti, filosofi, musicisti,
performer, danzatori, hanno animato le giornate del convegno grazie
all’energia creativa, alla ricchezza del materiale visivo e ai contenuti
teorici dei loro interventi.
L’evento è stata un’occasione per approfondire l’alleanza terapeutica
delle Arti e il ruolo che l’artista occupa in questo contesto attraverso
la comune passione per la creatività.
La risonanza del corpo sensibile con la facoltà immaginale dispiega
altri orizzonti, verso una dimensione profonda e a tratti magica.
L’immaginazione è un atto magico. Materia, sensazione, immaginario
e processi creativi vivono in stretta comunione come nel processo
alchemico che è trasformazione della materia e dello stesso
artefice.
Entrare in dialogo con la materia vuol dire lasciare fluire le immagini
che già nella materia vivono, in un certo senso ritrovarsi riflessi in
essa. Plasmare è lasciare una traccia, l’impronta del nostro esserci.
Siamo nell’epoca di quelle che Spinoza chiamava “passioni
tristi”, contraddistinte da un malessere opaco, da un senso di
inutilità e di impotenza che riflette l’appannamento del futuro.
Privo di attese di salvezza e di felicità, il domani appare una
minaccia piuttosto che una promessa capace di orientare il
cammino verso l’età adulta .
Sappiamo che qualsiasi racconto prosegue un racconto
precedente e, poiché non esiste un inizio assoluto, ogni prima
volta è sempre un’altra volta.
Se non vengono tradotte in parole condivise, le esperienze
passate precipitano nell’insignificanza e nell’oblio mentre la
“volontà di dire”, per usare una bella espressione di Mario Luzi,
mantiene aperto un canale comunicativo che aiuta l’ individuo ad
uscire dalle strettoie del narcisismo fondato sull’Io e sul Mio.
Il passaggio del testimone da una generazione all’altra
consente ai ragazzi di sentirsi membri di una comunità che non
è solo fuori ma anche dentro di loro, protagonisti di una storia
che non è conclusa e di un futuro che deve essere ridisegnato
ricominciando dal punto in cui il discorso si è interrotto e le
passioni, come gli dei, hanno abbandonato il mondo.
Silvia Vegetti Finzi
Un po’ “rabdomanti” della creatività: così gli artisti terapisti scoprono la
fonte delle pulsioni espressive e restituiscono nuova forza propulsiva,
suggerendo il “fare” che diventa “voce”.
Senza mai perdere di vista la qualità estetica del lavoro, gli artisti
terapisti, nostri studenti si preparano, grazie al progetto formativo
riccamente strutturato, ad affinare gli strumenti dell’arte e a porli come
linguaggio sul piano relazionale, esercitando un ruolo maieutico nei
confronti delle potenzialità espressive dell’altro, creando così l’apertura
tra il mondo interiore e la realtà corale dell’opera condivisa.
La nostra scommessa è quella di contribuire alla costruzione di un
progetto d’integrazione tra due sguardi, quello psichico e quello
artistico, aventi come finalità la comprensione dell’individuo colto
nella sua dimensione antropologica esistenziale e di conseguenza
una nuova, reale prospettiva dell’arte.
Perciò il contributo importantissimo del recente convegno
impaginato10.indd 24
11-10-2011 9:16:39
Una
Una fase della realizzazione dell’Opera di Feltro Conn-ta-ci
25
Mandala N° 14 , Vigevano Festival della Letteratura
terapeutica
impaginato10.indd 25
11-10-2011 9:16:44
Barbara Giorgis kE – yO, performance, 2009, Festival della Filosofia, Modena
26
L’UTOPIA DELLE PASSIONI
La decorazione e il corpo
decorazione
maestri
storici
Di Barbara Giorgis
Se alzo lo sguardo davanti ad uno spazio architettonico, mi accorgo
che la decorazione è un corpo vitale che mette le ali all’edificio; nella
ricostruzione del tempio di Zeus e Olimpia, osservo che la zona più
sacra del tempio greco, il frontone, è abitato da un umanità in marmo
che vive in perfetta armonia tra corpo e spazio simboleggiando
amore, miti, erotismo in un ritmo vitale legato alle passioni dell’animo.
Una decorazione scultorea in cui “l’artista fa dello spazio una
profondità”(Argan), un arte in gioco con il suo teatro.
Così come sulle facciate del tempio indiano di Khajuraho emergono
centinaia di corpi di sabbia rossa che vivono sulle superfici dove geni,
ninfe, dei e figure mitologiche simboleggiano l’acqua, la poesia, con
figure che sorreggono le colonne del tempio. Le sculture ne ornano
le pareti esterne ed interne con rappresentazioni maschili e femminili
in una integrazione perfetta tra struttura e decorazione e in quei corpi
si concatenano le molteplici espressioni dell’uomo.
Un ornato delle passioni dell’anima.
La decorazione di corpi la ritrovo anche sulle porte delle chiese,
nei racconti di Dio e della storia o nell’intreccio di figure intorno ai
sarcofaghi antichi.
I corpi in marmo che paiono dormienti, si stendono sulle tombe dei
personaggi leggendari e storici in un doppio che si espone contro la
solitudine dell’eternità.
Mi accosto poi, alle parole e interrogo “Il libro dei Mutamenti l’I
King”. Il ventiduesimo responso, “avvenenza” , tradotta anche come
“ornamento” recita:“La forma della vita umana risulta dalle regole di
condotta chiaramente definite e solidamente stabilite, nel cui ambito
amore (principio luminoso) e giustizia (principio scuro) determinano
le combinazioni di contenuto e forma. Anche qui amore è il contenuto
e giustizia la forma.” Amore, giustizia, forma, contengono l’essenza
delle ragioni dell’utopia del bello e si riconoscono attraverso l’uomo,
il corpo, i suoi gesti.
Apro il libro dei significati e scopro che “ornato” nell’etimo greco
significa “cosmos”, ciò che si oppone al caos; ritrovo “cosmos” che
impaginato10.indd 26
mi rimanda a ordine e ornamento e mi accorgo del cerchio che si
chiude dove tutto torna.
Mi sorprende anche il significato di ornamento della parola sanscrita
Veda “alamkara” che si traduce non solo nel senso di decoro, ma
riguarda la scienza dell’ornamentazione poetica e corrisponde alla
bravura dell’arte oratoria; un’ornamentazione verbale che rappresenta
l’essenza della poesia e delle parole musicali.
Le parole si esprimono in suono, si trasformano in canto, il bel canto
della lirica che non conosce separazione tra funzione e senso; un
valore musicale che si aggiunge al significato. Il grande Carmelo
Bene, infatti, non recitava le parole ma le estraniava; come una
divinità incarnata dava loro musica con tutto il suo corpo e donava
loro identità sublime restituendo alla poesia la forma del rito. L’unico
nostro attore-poeta che ha trasformato il canto lirico italiano in
qualcosa di nuovo ed eterno; in lui la parola si fa ornamento vocale
ma nel senso della parola sanscrita classica di un rafforzamento del
potere divino dei cantori.
Il volo sulle parole continua e si ferma nella stazione del “duende”, a
Garcìa Lorca e alle sue evocazioni sul “Gioco e teoria del duende “
del 1933 che lesse in una conferenza a Buenos Aires:
“Tutto quello che ha suoni neri è duende… non è questione di capacità,
ma un autentico stile vivo, di sangue , di antichissima cultura e al
contempo, di creazione in atto.”
Racconta come la cantante andalusa Pastora Pavón: “giocava con “la
sua voce d’ombra, voce di stagno fuso, voce coperta di muschio… la
sua voce non chiedeva forme bensì midollo di forme”.
Il poeta ci parla di duende come di un fuoco che non ti protegge e
che si trova in Spagna in ogni danza e arte in quanto paese aperto
alla morte:“ In tutti i paesi la morte è una fine. In Spagna no… un
morto è più vivo da morto… dai canti per i defunti intonati dalle donne
in Asturia con le lanterne fiammeggianti al canto della Sibilla nelle
cattedrali di Maiorca e di Toledo”.
Parole che si animano di materia poetica.
11-10-2011 9:16:45
Aiutata dal significato profondo delle parole, mi appare la possibilità
di una idea di decorazione libera da vincoli artigianali, misurata dalla
relazione tra corpi e ispirata a pratiche d’intensità che all’unisono
vivono nell’abilità tecnica.
Pratiche simili a quelle meditazioni che l’artista cinese nell’antichità
compie sul tratto, ispirandosi alla natura.
Occorre volare alto con tutto il corpo, con tutta la sua energia; come
l’artista orientale che fa copia di figure naturali, ma si pone dentro lo
spazio bianco come fosse un universo, affinché il tratto sia animato
dai soffi vitali del cosmo. Crea fiori, figure, animali, montagne lontani
dal solo esercizio di mano, in un insieme di tratto - pennello - gesto,
legati al corpo e ai suoi riti profondi in equilibrio tra ragione e poesia.
La decorazione diventa così, nelle sue varie espressioni artistiche,
un rituale del corpo che partecipa ai ritmi del cosmo, che tocca
tutte le stazioni del tatto dove anche la pelle ne accoglie i segni
ornamentali.
Il corpo è la prima superficie ornamentale della storia, le pitture
corporee indigene sono praticate soprattutto dalle donne che si
proteggono attraverso i segni e ne ricreano la loro essenza in una
decorazione esistenziale che mette in relazione natura e artificio.
Soprattutto il linguaggio delle donne parla la lingua del corpo insieme
alla”stilistica indigena”, al trucco cinese fatto per creare ombre e
potere visivo e per accentuarne il potere di seduzione.
Tramite il corpo l’artificio si anima, la decorazione carnale ricopre la
superficie allo scopo di fare apparire i simboli “utopie delle passioni”
nelle imprese ideali che si fanno realtà e si incarnano. Le passioni
diventano estremi gesti che si cercano nelle emozioni.
Se tra ottocento e novecento la ricerca di un corpo altrove s’incarna
nell’attrazione verso oriente, nei tessuti esotici, negli oggetti primitivi
e nella ricerca del selvaggio, oggi nel contemporaneo si cerca un
corpo altrove fatto di relazioni tra spazio e corpo tramite quella danza
continua tra interno ed esterno che il corpo stesso vive ogni giorno,
ogni istante.
Nel gesto dell’artista contemporaneo abita la grande utopia di
riscoprirsi con una seconda pelle che sveli l’enigma della forma
realizzandosi nel sogno di misurarsi con il paesaggio: lo spazio più
vasto ai nostri occhi.
Ornamento e superficie diventano come due corpi che nella bellezza
organica trattano la materia come un essere vivente e l’essere
vivente come pagina da iscrivere.
27
decorazione
Francesca Woodmann, Senza titolo
impaginato10.indd 27
11-10-2011 9:16:47
decorazione
maestri
storici
28
L’edificio stesso può assomigliare
a qualcosa di vivo e l’ornamento
toccare la struttura come fosse un
corpo; la decorazione diventa vita e
ritmo pulsante.
In India il tempio simboleggia il
cosmo e il corpo: “l’uomo essendo un
microcosmo è corpo, tempio, universo
e ogni culto eseguito esteriormente
in modo visibile può essere seguito
interiormente in modo invisibile”(
Ananda Coomaraswamy).
I piedi sono il pavimento, la terra;
il tronco è lo spazio atmosferico; il
cranio il tetto e il cielo; le finestre sono
aperture da cui si può guardare che
come occhi diventano le parti dei
sensi.
L’altare è il cuore che per gli indiani è
il focolare sacro, sempre al centro.
Tutte le forme abitate corrispondono
a quelle del corpo umano, pervase
da presenze invisibili che si possono
manifestare attraverso i riti.
In una riflessione più occidentale,
Michel Foucault nello straordinario
saggio “Il corpo, luogo di utopia”,
osserva che il corpo è il luogo
assoluto in cui sei condannato a stare
per sempre, ma grazie alle utopie
possiamo trasfiguraci:
“Il corpo è attore principale di tutte
le utopie, è attore nella maschera,
nel trucco, nel tatuaggio e vuole
acquisire un altro corpo più facile
da riconoscere… maschera, trucco,
tatuaggio sono operazioni in cui il
corpo è strappato e proiettato in un
altro spazio e che vogliono farlo
entrare in comunicazione con i poteri
segreti e le forze invisibili, con il
sacro… Segni e linguaggi enigmatici
segreti, sacri che lo pongono in un
altro luogo, lo fanno entrare in uno
spazio immaginario che comunicherà
con l’universo del divino.
Il corpo viene strappato al suo spazio
e proiettato in un altro. Così nella sua
materialità è il prodotto dei suoi stessi
fantasmi: il ballerino che si dilata è in
rapporto e si confonde con lo spazio,
per il posseduto il suo corpo sarà
l’inferno, nello stigmatizzato sarà
paradiso sanguinante e quindi il corpo
è sempre altrove…
A partire dal corpo si sogna, si parla,
si avanza, non ha luogo, ma è da lui
che risplendono tutti i luoghi possibili
reali e utopici”. Per Foucault l’utopia
è un luogo fuori da tutti i luoghi, ma
è un luogo dove avrò un corpo senza
corpo.
L’uomo può diventare invisibile quando
è in un paese fatato abitato da maghi
e folletti che lo faccia viaggiare alla
velocità della luce e guarire dalle ferite
con un miracolo; oppure vorrebbe
vivere nel paese dei morti con l’utopia
del corpo negato e trasfigurato nella
mummia che persiste nel tempo; con
la maschera posta sui volti dei morti
per continuare un corpo glorioso.
“Ma la più potente delle utopie ce la
fornisce il grande mito dell’anima“,
impaginato10.indd 28
che lo abita quando vuole per guardare attraverso le finestre degli occhi e sopravvivere alla morte.
Un corpo luminoso che non marcisce mai.
La conclusione di questo breve ma intenso testo è quella che l’unico modo di fare esistere il corpo
senza farlo scomparire è comunque essere nelle mani dell’altro e l’amore è sentire il proprio corpo
nelle mani che ti percorrono tutte le parti invisibili: “così si esiste contro le labbra dell’altro le tue
diventano sensibili … .Ci piace fare l’amore perché solo nell’amore il corpo è qui”.
Così il corpo muore di desiderio e come spazio immaginario diventa un grande tramite d’amore in
cui l’essenza della ripetizione è movimento e gesto: l’arte, la poesia, la musica, una meditazione di
natura corporale.
L’arte così inventa segni che portano la decorazione a farsi “ utopia delle passioni” in un percorso
di ritorno su se stessi, non una combinazione di elementi ornamentali, ma un reciproco cercarsi
associando gli effetti agli affetti; un incontro tra forma e spazio nella ricerca profonda di quelle superfici
tattili e visive che possono farci esistere in un invisibile vivente, dove il corpo ornato è una scrittura che
comunica il proprio stato e i propri ritmi dei segni nella polifonia del messaggio.
Nel contemporaneo si materializzerà una fusione totale tra arte e decorazione che spalanca un
orizzonte corporale come luogo di sogni, impronte del suo disegno da riaffermare in rituali in cui
trasfigurarsi. Nel volto e nel corpo la metamorfosi diventa poetica dell’ornamento in cui si creano
pagine viventi; segno e decorazione diventano animati e vivono insieme alla superficie brillando
all’unisono e creando immagini sensoriali fatte di esperienza in un essere-segno che abita la forma
per essere spirito nella forma.
11-10-2011 9:16:48
Con il corpo non si è più monumentali, ma si vive in un tempo fluido,
in un perturbamento di tensioni, energie e utopie; nei ritmi del corpo
si sostituisce il rapporto geometrico alla relazione esistenziale
decorativa e se la decorazione è ritmo, è qualcosa, come scrive Carlo
Sini in “Incantesimo del ritmo”, che riaccade, e “nell’eccolo di nuovo”
accogliamo il ritorno del motivo ornamentale.
Ma nei motivi sempre uguali accadrà una sorpresa: lì sta l’arte,
l’invenzione.
La decorazione è “il rieccomi”: appaio, scompaio, vivo, nasco, rinasco,
ritmo del tempo, ritmo del corpo.
* Barbara Giorgis tiene un corso di Disegno dal vero alla Scuola degli Artefici
dell’Accademia di Brera.
impaginato10.indd 29
29
decorazione
Sam Taylor Wood, Self Portrait Suspend
Shirin Neshat, Birthmark.
11-10-2011 9:16:50
30
Beppe Sylos Labini, Solitudine-motitudine 2011 pvc, pastelli ad olio, terracotta dimensioni ambiente
LA SCUOLA DI DECORAZIONE
DELL’ACCADEMIA DI BARI
Accademia di Bari, dialogo su Decorazione fra Giuseppe Sylos Labini e
Paolo Lunanova.
Sylos: Paolo, cosa significa per te insegnare Decorazione?
Lunanova: Dal mio punto di vista, sarebbe interessante definire la
Decorazione lo sberleffo dell’arte.
L’insegnamento della Decorazione oggi, infatti, dovrebbe tenere ben
presente la crisi delle tecniche tradizionali, dovuta alla rivoluzione
della produzione industriale; quindi si dovrebbe parlare di “nuova
Decorazione” che utilizzi nuovi mezzi di riproduzione, che sappia
usare linguaggi che vanno dal figurativo al geometrico debordando
dallo spazio-tela alla superficie urbana. Una decorazione che si
confronti con il sociale.
impaginato10.indd 30
Sylos: Credo che la Decorazione, come già segnalato nel programma,
è campo di sperimentazione trasversale alle tecniche e ai molteplici
volti dell’arte contemporanea, dal disegno come sistema aperto alla
materia pittorica, dagli aspetti progettuali alle tecniche di riproduzione,
dagli aspetti scenici dell’installazione alle nuove metodologie della
rappresentazione.
Sylos: Parliamo ora del procedimento che si sviluppa all’interno della
pratica laboratoriale.
Lunanova: Ci sono tre principi fondamentali nella pratica
11-10-2011 9:16:51
31
biente
accademia di bari
Beppe Sylos Labini, Condominio n. 2, 2008 cm. 160 x 120 pastelli a olio su tela (courtesy Lorusso Arte, Andria)
impaginato10.indd 31
11-10-2011 9:16:57
accademia
di bari
maestri storici
32
impaginato10.indd 32
11-10-2011 9:17:00
laboratoriale: studio dei materiali, analisi del linguaggio, poetica della
rappresentazione.
La finalità formativa del laboratorio vuole recepire le trasformazioni
che caratterizzano le pratiche artistiche italiane e internazionali
contemporanee, facendo particolare attenzione al modo di produrre la
ricerca teorica e pratica sulle possibili applicazioni delle forme d’arte,
associando, al saper fare tradizionale la tecnologia più avanzata,
al folklore quotidiano l’immagine elettronica, alla libera espressione
antropica la metodologia progettuale.
creative e facendo sì che approdino a una ricerca teorica e pratica
sulle possibili applicazioni delle diverse forme d’arte.
Sylos: Nel laboratorio del corso di Decorazione l’insegnamento delle
tecniche è d’importanza basilare, sebbene non va confuso con il
tecnicismo esasperato.
La tecnica diviene strumento della ricerca, mentre l’esecuzione è il
modo di esistere dei materiali. Le pratiche operative dell’arte sono
poste in relazione alle innovazioni tecnologiche emergenti e l’arte
raggiunge l’apice della modernità nel momento in cui si avvale
delle più disparate tecniche artistiche messe a disposizione dal suo
tempo.
Lunanova: Ritieni, però, che il tempo attualmente a disposizione nel
laboratorio condizioni il lavoro degli studenti?
Sylos: Il laboratorio artistico nelle Accademie deve essere sempre a
disposizione degli studenti; è uno spazio aperto, collettivo, un grande
punto di riferimento, il luogo dove l’attività di produzione artistica è
costante perchè ha bisogno di tempi lunghi.
Gli orari di lezione dei docenti non devono condizionare il lavoro degli
studenti e la gestione deve essere necessariamente coordinata tra
docente e studenti.
Le Accademie si differenziano dalle altre facoltà universitarie per
un’unica peculiarità: i laboratori artistici che devono mantenere la
loro unicità in quanto fondamentali per la formazione teorico-pratica
degli studenti.
* Prof. Giuseppe Sylos Labini, titolare della cattedra di Decorazione
all’Accademia di Bari
* Prof. Paolo Lunanova, docente del corso di Decorazione all’Accademia di
Bari
Sylos: Vorrei sottolineare che negli ultimi anni si sta verificando un
continuo incremento delle iscrizioni al corso. Il lavoro decennale che
è stato svolto sta dando buoni frutti attraverso progetti per l’esterno,
quali mostre realizzate attraverso l’apporto di noti galleristi come
Marilena Bonomo, ma soprattutto con il lavoro in Accademia svolto da
due artisti che hanno saputo trasformare la personale, quarantennale
militanza in un fondamentale punto di partenza per gli studenti.
Nel caso, come il nostro, di artisti-docenti, il rapporto con gli studenti
come si può definire?
Lunanova: Nel nostro caso, l’artista è la materia prima.
La militanza attiva nel mondo dell’arte porta nelle nostre lezioni
un sapere in più nelle attività di ricerca e produzione, competenze
maturate grazie ad anni di lavoro e presenze in mostre nazionali e
internazionali.
Questa conoscenza ci consente di seguire individualmente gli allievi
indirizzandoli nell’ambito artistico più consono alle proprie peculiarità
impaginato10.indd 33
33
accademia di bari
Lunanova: A questo proposito, ricordo l’intervento di Sol Lewitt a
Bari nella sala Murat, dove un gruppo di nostri studenti ha lavorato
insieme all’artista per la realizzazione di un grande wall drawing
donato al comune di Bari.
Sol Lewitt, all’interno del suo lavoro, ha utilizzato lo spazio come
campitura cromatica e geometrica; il suo fine, oltre ad avere una
profonda concettualità, si basava su un discorso progettuale espresso
prima con il disegno e, in un secondo momento, attraverso il lavoro
pittorico definitivo.
E’ stata una esperienza molto positiva per i nostri studenti che hanno
messo in pratica la manualità trasmessa nel corso di Decorazione.
Sylos: Vorrei aggiungere che alcune volte si trasmettono
inconsciamente agli studenti le esperienze che quotidianamente
l’artista vive nel suo studio; anche se dietro il tuo lavoro c’è un
bagaglio tecnico acquisito trovi sempre nuovi stimoli per sperimentare,
raccogliere nuovi elementi utili per la elaborazione di nuove idee in
assoluta libertà.
(pagina precedente, dall’alto) Paolo Lunanova, Dalla finestra, 2010, cm 80 x
90 smalto acrilico su tela.
Paolo Lunanova, Sexhotel, 2010, cm 89 x 100 smalto acrilico lucido su tela.
(sopra) Bandiere, 2010, cm 90 x 30 smalto acrilico su tela.
11-10-2011 9:17:00
LA sCUOLA DI GRAFICA
DELL’ACCADEMIA DI LECCE
34
Esposizione di grafiche d’arte nel Portico Gotico
La prospettiva im-possibile
accademia
di lecce
maestri storici
di Maria Angelastri
Ci sono due fondamentali atteggiamenti nello stare di fronte a un gruppo
di studenti in un’aula accademica - e qui siamo a Lecce nella locale
accademia di Belle Arti -, due sostanziali disposizioni dello sguardo: il
primo consiste nello stare con gli occhi aperti sulle loro facce, pronti a
rivelare il meccanismo del pensiero nel suo farsi, attenti a rispondere
alla domanda di un affondo dei contenuti disciplinari, a che emerga la
decisione personale di coinvolgersi in un tipo di relazione conoscitiva
che incida nel definirsi di scelte e attitudini; il secondo, rivolto a
creare un normalizzante’ setting up/down, decisamente orientato
non più verso la forma antica dell’assetto autoritario - che ancora
si respirava nelle aule di quei licei ereditate dai padri conventuali, e
le nostre, si sa, stanno in quello che era il convento dei Domenicani
- , quanto piuttosto determinante di quella forma che ci piace con
Kierkegaard chiamare ‘angolo delle otto vie’, dove la scelta diventa
impossibile anche se apparentemente assortita, e lo spazio residuale
ridursi e ridurci nell’angolo. Per questo procederemo cautamente nel
presentare la nostra idea di accademia o perlomeno quegli indizi
che ne anticipano senso e direzione. Perché è possibile anche
che le nostre attese, denervate di quella sostanza umana che è il
fondamento di ogni esperienza, finiscano con l’essere riassorbite tra
“gli ideali impossibili” per lasciare il posto a un pensiero gregario che
dilania finanche la nostra elementare capacità di visione e di giudizio.
Perciò occorrerebbe ripartire da un inventario, come accade dopo
un naufragio. Un inventario, non solo per trovare ciò che sembrava
perduto – considerata la drammatica contingenza che si è aperta
con la morte del direttore Giacinto Leone - ma per fare esperienza di
un nuovo inizio - fosse anche l’ultima possibilità -, per verificare la
nostra capacità di condividere la messa in opera di un’idea. Magari
con l’ambizione di farla germinare e crescere secondo tempi e modi
che possono ancora sorprenderci.
Così, in questa nostra Accademia di Belle Arti, quasi ai confini di
impaginato10.indd 34
un Mediterraneo che non sopporta più recinzioni, può accadere
di imbattersi nell’esperienza di alcuni studenti, quelli del corso di
grafica, che nutrono la segreta speranza di uscire da un circuito
autoreferenziale.
Perché la materia viva dell’esperienza è irriducibile a qualsiasi
schema, specie se riferita ad un rapporto educativo che sostanzia la
parola ‘scuola’ e ne restituisce le ragioni, ancor di più se all’interno di
un sistema che molti hanno già seppellito tra le istituzioni improduttive
del nostro paese. Non che non ne sussistano gli argomenti, ma
occorre il determinarsi delle condizioni per una verifica: per questo,
abbiamo voluto cominciare a parlar di accademia dando la parola
a quegli studenti che hanno accettato la sfida posta dal prof. Fiore.
Mischiandosi in un lavoro collettivo, questi studenti, Ferruccio Venuti,
Enrico Rollo, Mauro Amato, ma anche tanti altri, di generazione in
generazione, ovvero di corso in corso, l’uno diventato nel frattempo
tutor per il nuovo arrivato, stanno dentro un ambiente dove nulla è
lasciato al ‘caso’ – nel senso che l’ imprevisto con la sua buona dose
di provvidenzialità non è pretesto per un attivismo purchessia - e che
si connota per essere attentamente costruito e regolato, all’unico
scopo di favorire la pretesa di ciascuno ad essere protagonista,
senza che si disperda la percezione del lavoro comune. Tra le pieghe
del quotidiano, l’arte della spiegazione, in questa scuola diventa
punto programmatico di lavoro, illumina le zone d’ombra prodotte
da inconsapevolezza e distrazione, apre una dinamica di rapporti
orientati verso un tipo di realizzazione che non farà mai dell’opera
un bene rifugio, piuttosto, una finestra, anche se non è detto che si
tratti di un quadro.
L’ ABC del grafico a paragone con l’esperienza – colloquio
fra Maria Angelastri, Ferruccio Venuti, Enrico Rollo e Mauro
Amato.
11-10-2011 9:17:05
Gotico
M.A. Generalmente, nella nostra realtà e non solo, si pensa
alla grafica come a una procedura essenzialmente tecnica,
rispondente a criteri fissi e prefigurabili? Come si può rompere
questo luogo comune partendo dall’esperienza?
Ferruccio Venuti: Non c’è una soluzione precostituita al problema,
perché la creatività non è una dinamica chiusa ma diventa generativa
quando il lavoro è vissuto con gusto, con quell’interesse da cui si
origina una crescita personale.
M.A. Ma entrando nel merito delle cose, c’è una differenza tra il
lavorare su commissione, anche se per altre istituzioni culturali,
e il lavoro finalizzato alla tesi, intesa questa come oggetto
editoriale?
F.V. Abbastanza ovvio parlare di differenze tecniche tra i due problemi.
Occorre rimettere in primo piano di nuovo la questione del metodo,
perché la tesi risponde ad una fase di studio e ricerca e diventa,
pertanto, continua occasione di discussione di ciò che si dà come
acquisito.
Un momento di assestamento e ad un tempo di scoperta del
nuovo, senza trascurare d’altra parte il fondamentale apporto dato
dal confronto con il docente che trasforma la consueta relazione
accademica in un rapporto proficuo di condivisione. Il lavoro
istituzionale, invece, è l’occasione per un’esperienza sul campo che
impone il rispetto di un’economia di tempi e risorse, considerate le
molte variabili della professione del grafico. Fare grafica non si riduce
alla produzione e alla stampa, ma produce un guadagno in termini di
mentalità, comporta intanto un impegno della propria affettività e a un
tempo il formarsi di un pensiero che trasfigura il reale.
M.A. Potresti essere più concreto?
F.V. Si parte da un fatto, la geometria segreta del libro, che sta già
nella prima pagina, dove si ricuce il rapporto con il passato, se a
cucire le pagine tra loro, così come a comporne ognuna, si procede
da una riflessione analitica sul significato che si vuole trasmettere,
per costruire il visivo, a diversi livelli, nel dettaglio come nell’intero.
35
M.A. Si può parlare allora di restituzione di senso anche nella
creazione di un libro?
F.V. Forse parlare di restituzione può essere pericoloso, si presta a dei
fraintendimenti. A me e ai miei amici (Ferruccio Venuti fa riferimento
a Mauro Amato e ad Enrico Rollo ndr.) interessa il processo, che
ha del composito, se teniamo conto di quanta diversità corre tra
noi per temperamento, vissuto e formazione culturale, ma anche
dell’ordinato. Un processo che non si svolge nel chiuso del proprio
studio e/o della propria stanza, - come inevitabilmente accade se
lasciati soli o stando all’impostazione dettata da quelle scuole più
ancorate a certe convenzioni – ma si nutre di quella incessante
novità che sta dentro ogni relazione. Con la consapevolezza che
questo atteggiamento lo abbiamo assunto guardando al lavoro del
nostro docente. (prof. Nunzio Fiore ndr). Ad esempio, il momento del
confronto con il committente è il miglior test della validità del proprio
lavoro, ma va guardato non come la ragione ultima e determinante,
quanto piuttosto come una tappa, benché importante, di un percorso
che ha visto e vede integrarsi compiutamente ciascuno di noi nella
soluzione del prototipo.
M.A. Un lavoro di gruppo, dunque, che si riscontra anche nel
numero 0 della rivista Aba- zine. Puoi raccontarci come nasce
e a quale scopo?
F.V. Nasce come rivista scientifica dell’ABA di Lecce, uno
strumento dinamico per documentare un senso di appartenenza
o eventualmente per favorirlo coltivando il dialogo intramoenia, tra
studenti e docenti, extramoenia, tra galleristi, artisti emergenti, e il
mondo delle professioni e dell’artigianato, la scuola superiore ad
orientamento artistico, le agenzie di servizi e della comunicazione,
in un melting pot culturale in grado di raccontare un’esperienza di
crescita e di valorizzazione delle risorse locali. Ma, detto questo,
occorre chiedere anche ad Enrico (Enrico Rollo, ndr), che ne è coautore.
Enrico Rollo: Potremmo dire con una frase fatta, che l’idea nasce
da un’analisi di realtà. Si tratta della mia tesi di laurea triennale e,
stando alle indicazioni del prof. Fiore, avrebbe dovuto rispondere non
solo ad un interesse personale, ma anche ad un’esigenza condivisa
che gradualmente poteva essere emersa nel corso dei tre anni.
impaginato10.indd 35
Mauro Amato, Grande albero”, illustrazione.
11-10-2011 9:17:08
L’intenzione era rifondare l’immagine dell’Accademia, attraverso uno
studio che ne definisse l’identità visiva in modo più efficace.
M.A. Dalle pagine del n.0 esce dominante l’impressione di
una ponderata attenzione alla metrica dello spazio come alla
semantica dei caratteri grafici. E’ un’impressione di superficie o
risponde ad altre ragioni?
E.R. Fra le altre ragioni, c’è la preoccupazione di far in modo che la
ricerca formale non sia fine a se stessa, ma che quella forma diventi
immediatamente ricettiva del cuore stesso della realtà che intende
esprimere. Nella pagina, contano molto gli intervalli. Lo spazio bianco
segna una pausa nel dialogo che vi s’installa tra nero e bianco, pieno
e vuoto, parola e immagine.
M.A. Potremmo parlare allora della ricerca di un vero e proprio
sistema ideografico che tenti di incarnare i concetti in forme
visive? Di una logica organica che va oltre il puro rigore
geometrico e si rende intuitivamente afferrabile?
E.R. Io parlerei di una geometria che è sì vincolante, ma anche
in grado di eliminare il superfluo, il ridondante, che permette
paradossalmente al graphic designer una maggiore libertà, e al
lettore di mettere a fuoco l’essenziale, di innescare la possibilità di
scrivere in margine sulla pagina facendone dei moderni glossatori.
M.A. Hai dei modelli a cui riferirti?
E.R. C’è Steiner (Albe Steiner, Milano, 15 novembre 1913 - Raffadali
(Agrigento) 17 agosto 1974 ndr) come riferimento non solo formale
ma anche etico. La sua preoccupazione educativa dovrebbe essere
condivisa da ogni docente, diventare meta di ogni percorso formativo
perché non s’impara nulla se non per una stima e ammirazione
profondamente nutrite verso un maestro. Da Steiner, ma sarebbe
meglio riferirsi al suo tramite per me imprescindibile, ovvero dal
prof. Fiore, ho imparato che vale la pena di perseguire un progetto
quando è per il bene comune, e quando coloro che ne condividono
le ragioni sono interessati a condividere anche un metodo di lavoro
che non fa fuori la libertà personale, ma la esalta.
M.A. A proposito di diversità, passando in rassegna le figure di
Abazine il richiamo è a una sorta di poetica - potremmo dire con
Florenskij - retiforme, condensata nell’albero di Mauro Amato, un
albero da leggere ‘sotto il profilo etico e ortobiotico’, albero della
conoscenza che congiunge cielo e terra, micro e macrocosmo, o
nel fluire delle lettere in cascate puntiformi di Ahwa, fotoincisione
di Nunzio Fiore, dove però il punto, il simbolo grafico più semplice
che nelle correnti di pensiero più differenti incarna l’idea del principio
originario, è lettera, traduzione grafica dell’elemento primo del
pensiero fonetico.
A Mauro Amato - il terzo del gruppo di studenti della scuola di grafica
- non è stata data la parola in questo racconto a più voci. Per lui
il vuoto, il silenzio, nell’accezione zen è più potente di qualsiasi
presenza, di qualsivoglia discorso. Risuona, infatti, in questa
esperienza la sua discrezione che non riduce l’accento problematico
dei suoi segni. Al contrario, se ogni segno è indice sulla superficie
delle infinite, anche se numerabili, intersecazioni di una trama di
possibilità di riuscita e di fallimento, di dolore e di gioia, di presenza
e di assenza, il suo segno è punctus cioè punto, sollecitato, da un
confronto con l’altro che può essere anche drammatico, ma che è
necessità primaria dell’esistenza. Sta all’inizio di una forma che, dal
sottosuolo del pensiero, nasce dentro un fare che è collettivo e che
trova la sua consistenza in quei legami, prima invisibili, che affiorano
dallo spazio bianco della pagina.
accademia
di lecce
maestri storici
36
Aula di disegno e grafica d’arte
impaginato10.indd 36
11-10-2011 9:17:10
37
’arte
impaginato10.indd 37
11-10-2011 9:17:13
38
PREMIO PESCHERIA
Urb
accademia
di urbino
maestri storici
Pesaro, Centro Arti Visive Pescheria
A Pesaro, il Centro Arti Visive Pescheria ha ospitato dal 3 al 24
aprile 2011 le opere selezionate per la seconda edizione del Premio
Pescheria. Negli spazi del Loggiato, sono stati protagonisti gli allievi
delle Accademie di Belle Arti di Macerata e Urbino per un premio
diretto a studenti delle cattedre di Pittura, Decorazione e Scultura.
Alla presenza dei direttori delle due istituzioni, Anna Verducci e
Sebastiano Guerrera, il premio è stato assegnato a Room’s anatomy,
videoinstallazione di Davide Mancini Zanchi; una menzione speciale
hanno ottenuto le opere Eleonora stampa su alluminio e il video
Gretel&Gretel, di Annalisa D’Annibale e Cristina Meloni, tutti allievi
dell’Accademia di Urbino.
La Giuria, composta da Andrea Bruciati direttore della Galleria d’arte
contemporanea di Monfalcone, Ludovico Pratesi direttore artistico del
Centro Arti Visive “Pescheria” di Pesaro, Letizia Ragaglia direttrice
del “Museion” di Bolzano, ha premiato gli allievi di Urbino individuati
nella rosa dei sedici indicati dalle due istituzioni: Daniela Giammarini,
Marco Guzzini, Matteo Balducci, Michele Carbonari, Paolo Buccolo,
Serena Scopini, Stefano Teodori, Tommaso Iraci, da Macerata; Evren
Karayel Gökkaya, Giulia Tipo, Luca Colagiacomo, Roberto Puddu,
Chiara Seghene e i tre premiati, da Urbino.
La stessa Giuria, nel 2010, edizione di esordio del Premio, aveva
designato quale vincitore Ali Nejad per la qualità e il rigore compositivo
della sua ricerca fotografica, e menzionati Federica Bocchi e Antonio
Rastelli per la componente ironica e ludica delle loro composizioni.
Allievi, questi, dell’Accademia di Urbino, invitata quale istituzione di
alta formazione artistica presente nel territorio della Provincia, alla
quale si affianca ogni anno una diversa Accademia italiana, come
Macerata nel 2011. L’intento del Centro Arti Visive “Pescheria” di
impaginato10.indd 38
Pesaro, l’unico di livello nazionale sulla costa adriatica, è anche
quello di accrescere il rapporto con il territorio e di coinvolgere un
pubblico giovane alle attività della “Pescheria”.
La possibilità di allestire una mostra e di misurarsi con uno spazio
museale accreditato, oltre alla pubblicazione di un catalogo
monografico edito da Silvana Editoriale, sono le possibilità offerte ai
vincitori: come a Nejad nel 2010, ora si attende Mancini Zanchi.
Anna Fucili
11-10-2011 9:17:15
39
Random
Urbino, Palazzo Ducale Sale del Castellare
impaginato10.indd 39
Riprova di una apparente disomogeneità è lo stesso titolo della
rassegna, Random, idioma mutuato dalle nuove tecnologie, che
si riferisce al modo in cui oggi prendono forma, si aggregano e si
manifestano le moltitudini dei linguaggi artistici contemporanei.
Nella piccola comunità di studenti dell’Accademia, si può pertanto
intravedere ciò che è proprio e peculiare dell’arte contemporanea,
ovvero la varietà di espressione, in apparenza caotica, consentendo
di riflettere sui differenti metodi per produrre immagini.
La diversità è tuttavia solo apparente, al contrario forte è il legame
che unisce i giovani artisti, ed è da identificarsi nelle modalità di scelta
e di riferimento ad uno stesso approccio al fare estetico. Non solo,
ma ciò che li rende simili è la costante cura che ognuno determina
nell’evolvere le proprie conoscenze e la propria identità.
Il risultato globale è una fresca libertà espressiva, uno sguardo
allargato su un mondo diversificato e non solo digitale, così come
dovrebbe essere per artisti dediti ad una sperimentazione autonoma,
non soggetta a modelli precostituiti.
Una difformità del resto solo apparente poiché nelle differenze,
nell’assenza di omologazione si generano e circolano le idee,
sottolinea il Direttore Sebastiano Guerrera nella presentazione al
catalogo che accompagna la mostra.
Anche in questo caso si rinnova, nella progettazione grafica affidata
a docenti e allievi della stessa istituzione, una consuetudine che ha
visto produrre apprezzate Edizioni dell’Accademia di Belle Arti di
Urbino. Il volume, introdotto dai contributi critici dei curatori Umberto
Palestini e Ada Lombardi, dà voce ai giovani artisti nel riportarne le
dichiarazioni poetiche, commento alle immagini delle opere.
accademia di urbino
Con la mostra Random, l’Accademia di Belle Arti di Urbino consolida
una tradizione: quella di presentare opere selezionate degli allievi
in eventi espositivi che, da oltre un decennio, vengono proposti
con cadenza annuale. L’Accademia si apre all’esterno, mostrando
l’attualità delle idee e delle espressioni artistiche peculiari della sua
attività, in spazi prestigiosi quali le Sale del Castellare nel “magnifico”
Palazzo Ducale, autentico simbolo della città di Urbino. Random, dal
5 al 22 giugno 2011, rinnova la proposta artistico–culturale di Sistemi
operativi, Dislocazioni, Caleidoscopio, le rassegne promosse in
passato.
In questa occasione, ha coinvolto ventotto giovani artisti: Federico
Ambrosio, Pasquale Ascione, Marco Brancato, Kane Caddoo,
Barbara Cardinali, Maria Cemmi, Gabriele Cesaretti, Annalisa
D’Annibale, Giovanna Giusto, Evren Karayel Gökkaya, Alice Guerra,
Dario Mancini, Davide Mancini Zanchi, Cristina Meloni, Katina
Petrova, Elisa Pietrelli, Filippo Pirrello, Nazzarena Poli Maramotti,
Roberto Puddu, Li Qiang, Nicoletta Scilimati, Chiara Seghene, Devid
Sita, Elvis Spadoni, Shio Takahashi, Nara Tomassini, Filippo Vannoni,
Valentina Venturini.
Essi, per appartenenza, coprono tutte le scuole di indirizzo
dell’Accademia, Decorazione, Grafica, Nuove Tecnologie dell’arte,
Pittura, Scenografia, Scultura, e rappresentano i migliori risultati di
una ricerca artistica ad ampio raggio e senza limitazioni, pertanto
libera.
I lavori esposti, in una varietà fatta di attraversamenti e interazioni
tra le diverse forme espressive, sono realizzati con le tecniche
tradizionali di pittura, scultura, incisione, grafica d’arte, fotografia, ma
anche affidandosi alla tecnologia più avanzata nelle installazioni, nei
video e nelle immagini digitali.
Anna Fucili
11-10-2011 9:17:17
40
docenti
EDOARDO
DI MAURO
foto di Sergio Curtacci
lato hanno generato confusione, dall’altro hanno creato
nuove opportunità, molti artisti stanno conoscendo una
graduale e meritata rivalutazione del loro lavoro. L’arte
è comunque un giudice inflessibile, a lungo termine.
Bisogna gettare luce nelle zone d’ombra, perché
lì risiede oggi l’arte e la sua persistente capacità di
comunicare.
Il sistema italiano negli ultimi vent’anni ha
premiato quanti si sono mollemente adeguati
ai moduli della globalizzazione estetica e
non coloro che hanno perseguito una linea
autonoma di ricerca, coerente con la nostra
tradizione.
A cura di Francesco Correggia
Che cosa vuol dire il titolo “un’altra storia” dal punto di vista della storia dell’arte
Italiana in questi ultimi decenni ?
“Un’Altra Storia” significa la volontà di proporre una narrazione differente, diversa
da quelle solite che, da molti anni ormai, sgranano il medesimo rosario di nomi, con
varianti dettate dall’alternarsi delle mode, tutte omaggianti il dettato dell’”international
style” e del “politicamente corretto”, artisti che propongono un prodotto patinato e,
spesso, gradevole alla visione, ma vuoto di contenuti e di passione, nonché di autentica
riflessione interiore e cultura artistica. Oltretutto io sono un appassionato di storia,
inizialmente avrei dovuto laurearmi in quell’indirizzo poi ho optato per l’italianistica, ed
ho sempre prediletto l’analisi delle vicende dei “vinti” rispetto a quelle dei “vincitori”.
Anche se, e lo affermo con la massima forza possibile, la generazione artistica che
seguo e sostengo non è affatto sconfitta, ha subito una lunga impasse dettata dalle
scelte di una parte del sistema artistico italiano. A partire dagli anni Zero, grazie al
diffondersi dei nuovi strumenti di comunicazione tecnologica, che hanno arginato
quella censura così opprimente negli anni Novanta, pensa che molti non si sono accorti
che, dal 1994 al 1997, ero diventato condirettore artistico della GAM e dei Musei Civici
torinesi a causa di questo, ed al moltiplicarsi delle occasioni espositive che, se da un
impaginato10.indd 40
Con un’altra storia tu tenti di proporre una lettura
differente dell’arte italiana ma questa visione
ha un suo rapporto o conseguenza con l’arte
contemporanea così come si è declinata da un punto
di vista socio economico e del mercato a livello
internazionale o rimane un fenomeno localistico
agganciato solo alla situazione italiana?
L’arte è entrata in una dimensione di globalizzazione
culturale a partire dal Novecento per effetto del graduale
potenziamento del sistema delle comunicazioni.
Quindi abbiamo assistito a una radicalizzazione della
polingenesi, termine che significa la predisposizione
di artisti nati nel medesimo ambito generazionale
a esprimersi in maniera simile poiché sottoposti ad
analoghi stimoli culturali o derivanti dall’omologa
situazione sociale e politica. Questo fenomeno si è
ulteriormente sviluppato nel secondo Novecento a
partire dall’Informale, tendenza ormai diffusa a livello
planetario. Non a caso si affaccia per prima volta alla
ribalta dell’avanguardia artistica il Giappone, con il
gruppo Gutai. L’ingresso in forze nel panorama artistico
dei paesi dell’Est e asiatici, in particolare Russia, Cina
e India, dopo il crollo del Muro di Berlino, costituirà la
novità più rilevante nella stagione della post modernità
avanzata anche se questi paesi, specie nei primi
anni, per colmare il gap con l’occidente non hanno
trovato di meglio che reiterarne i canoni espressivi,
riversando grandi quantità di denaro sul mercato e
contribuendo in maniera determinante alla creazione
di una bolla speculativa. Gli stili si assomigliano ma
rimane l’irripetibilità del genius loci per cui, se ci
riferiamo alla Pop Art, ognuno fa riferimento alla sua
tradizione culturale. Quindi Warhol raffigura Elvis e la
zuppa Campbell, la Pop romana l’obelisco di Piazza
del Popolo od il Futurismo. Il sistema italiano negli
ultimi vent’anni ha premiato quanti si sono mollemente
adeguati ai moduli della globalizzazione estetica e non
coloro che hanno perseguito una linea autonoma di
ricerca, coerente con la nostra tradizione. Questa la
differenza tra l’Italia e gli altri paesi.
Che cosa è mancato all’arte italiana di questi
ultimi anni oltre agli episodi e ai casi isolati che
tu citi nella tua presentazione per imporsi a livello
internazionale?
La volontà di fare sistema innanzitutto. Quanto mi fa
arrabbiare è che determinate scelte sono state imposte
da una parte agguerrita e potente, ma minoritaria. La
porzione di arte che io rappresento ne “L’Altra Storia”
costituisce la netta maggioranza della scena italiana.
Ma la maggior parte delle gallerie e della critica,
attività oggi decaduta quanto a protagonismo culturale
e ridotta ad una mera pratica curatoriale da “filippini
dell’arte”, per citare Bonito Oliva, non ha dimostrato
coraggio alcuno ed ha optato per l’elargizione del
biblico “piatto di lenticchie”. Il mio sforzo con questa
e altre iniziative è anche di natura didattica. Cerco di
fare capire agli operatori più giovani che l’arte non è
iniziata negli anni Novanta. Quel decennio ha viceversa
rappresentato la degenerazione del sistema italiano.
Un fenomeno iniziato nella seconda metà degli anni
Ottanta quando, di fronte a un panorama di giovane
arte senza dubbio vivace e qualitativo le due grandi
correnti l’Arte Povera, all’epoca in piena rivalutazione,
e la Transavanguardia, in temporaneo calo di
quotazione, fecero fronte comune insieme all’editoria
11-10-2011 9:17:18
ed a buona parte del collezionismo per sbarrare la strada all’arte
dell’ultima generazione e alle voci indipendenti della giovane critica,
e debbo dire che io fui uno dei principali bersagli. Quanto mancò fu
la volontà di fare fronte comune, e ognuno corse per la sua strada,
strade quasi sempre segnate dall’opportunismo. Ma il problema
per l’arte italiana dell’ultimo quarto di secolo non è stata la qualità
e l’originalità, quella, per quanto tenuta il più possibile nascosta, c’è
sempre stata. Un segnale recente di ciò è dato dall’allestimento delle
Accademie italiane all’Arsenale di Venezia, che ho visitato pochi
giorni fa. Una mostra di grande qualità, che testimonia l’intelligenza
dei nostri giovani artisti e la qualità dell’insegnamento accademico.
Possiamo parlare di una situazione italiana particolare e
assolutamente anomala rispetto a quella degli altri paesi
europei?
In buona misura sì e certo non solo per i problemi prima citati. Quanto
è sempre mancato in Italia è una strutturazione del sistema. L’ambito
del no-profit, ad esempio, nel quale io opero ininterrottamente fin
dal 1984, è in Italia completamente sottovalutato e vive di totale
estemporaneità. Invece di delegare alle Associazioni e alle Accademie
la prima scrematura dell’arte giovane le istituzioni hanno quasi
sempre operato in prima persona con grande spreco di risorse e
scarsi risultati, basti pensare al fallimento della Biennale Arte Giovani,
gestita dai funzionari e non dagli esperti del settore, che è stata una
grande voragine di denaro pubblico. È sempre mancata anche una
fascia di strutture museali intermedie, dedite soprattutto all’analisi del
contemporaneo e viatico per accedere successivamente ai grandi
Musei. Certo, questi negli ultimi anni sono cresciuti di numero, ma
propongono quasi tutti la medesima programmazione e gli stessi
artisti e vengono guidati da una casta inamovibile di direttori e dai loro
assistenti. La programmazione non va poi oltre il consueto seminato.
Citerò l’esempio eclatante della GAM di Torino dove dal 1997, l’ultimo
fu il sottoscritto con “Va’Pensiero. Arte Italiana 1984/1996”, nessun
critico torinese ha potuto proporre una sua autonoma analisi della
scena contemporanea, e si tratta di’stituzioni pubbliche. Anche nel
fronte delle Fondazioni private, salvo sporadiche eccezioni, le cose
non vanno meglio.
Di recente assistiamo a un ritorno di alcune idee forti del
modernismo ed ad una messa in discussione del post-moderno
rispetto per esempio al problema della verità, dell’autenticità,
della politica. Pensi che gli artisti ora debbano tornare a riflettere
su tali questioni?
Ho letto con interesse il dibattito vivace che si è sviluppato negli ultimi
mesi in merito alla teorizzazione di un “nuovo realismo filosofico” il
cui principale propugnatore è il filosofo torinese Maurizio Ferraris
che, da allievo e sodale di Gianni Vattimo, teorico del “pensiero
debole”, una delle correnti che hanno contraddistinto il dibattito post
moderno, se ne è gradualmente staccato fino a porsi in dialettica
ma netta contrapposizione. La tesi di fondo del “nuovo realismo”, in
estrema sintesi, è la necessità per l’uomo, in questa fase storica, di
porsi concretamente ed in maniera pragmatica di fronte al mondo
ed alle cose, per assumersi nuovamente la capacità di modificarle
per evitare il graduale disfacimento dell’esistenza in una condizione
di pura apparenza virtuale. Riconsiderare i “fatti”, quindi, più che le
interpretazioni. Ritengo che ci sia del vero in tutto ciò, senza che
impaginato10.indd 41
In quale chiave oggi si deve riconsiderare la responsabilità
dell’artista rispetto al reale, alla diffusione dei media tecnologici,
all’ecologia e al pianeta ?
Gli artisti debbono, anche se non è facile specie per i più giovani che
spesso, però, dimostrano coraggio, e lo noto tra i miei studenti, farsi
portatori di messaggi che sappiano indicare la possibilità di nuove
strade e nuovi modelli di comportamento evitando di calarsi in una
dimensione puramente autoreferenziale. Non a caso in Italia, negli
ultimi anni, ha preso piede la pratica dell’arte pubblica, che io stesso
porto avanti con vari progetti, il più importante dei quali è il Museo
d’Arte Urbana di Torino, l’unica in cui l’arte può riscoprire appieno la
sua vocazione etica e didattica, al fine di costruire un’estetica che
non sia “gassosa” e vacua, come quella descritta dal filosofo Yves
Michaud in un suo recente saggio, ma sia strumento di educazione al
bello, alla qualità della vita, a un nuovo modello di sostenibilità.
Alcuni filosofi come Rella, Bodei, Ranciére pensano ad una
dimensione di un nuovo spazio estetico che in qualche modo
nasce da momenti tensionali dello stesso regime estetico.
Tensioni attraversati da forti dualità che in qualche modo
riaffrontano la questione della centralità dell’opera in una
sensibilità attraversata dall’etica. Da questo punto di vista pensi
che il presente debba ripristinare la dimensione del senso?
Tra i filosofi che citi conosco in particolare alcune importanti riflessioni
di Remo Bodei sul concetto di bello, visto come categoria non fissa
ma mutabile col tempo e sulla dimensione estetica. Il significato
etimologico originario del termine, coniato da Baumgarten nel 1750
e “scienza delle cognizioni sensitive”, un consorzio che unifica
produttori e fruitori dell’esperienza estetica. La dimensione del senso
va senza dubbio ripristinata e, non a caso, da alcuni anni noto che
il lavoro di diversi artisti, ad esempio, va in direzione dell’utilizzo
delle nuove tecnologie non come scorciatoia formale ma come
strumento per dispiegare nuovi orizzonti sensoriali. Quanto all’etica
se ne dibatterà proprio a San Carporforo in un dibattito dal titolo “E’
ancora possibile una dimensione etica nell’arte?”. Credo che l’etica
vada rivalutata in quanto filosofia della morale. C’è molto bisogno di
moralità nell’arte d’oggi, non certo in una dimensione censoria, ma
nella coerenza di saper difendere le proprie posizioni con stoicismo,
pratica attualmente quanto mai desueta.
Il nuovo, la novità è anche ciò che vi è di più antico, qualcosa
di non storico a cui siamo chiamati a rispondere, come dice
Blanchot, come se fosse l’impossibile, l’invisibile ciò che
sembra scomparso sotto le macerie. Alla fine un’altra storia, il
grado zero è ricominciamento, riscrittura del presente, di ciò
che non può avere luogo nel presente ?
La circolarità dei destini e delle esistenze è una componente
imprescindibile dell’antropologia. Quanto dici mi fa venire in mente un
saggio del filosofo Andrea Tagliapietra, di cui da poco ho completato
la lettura, dal titolo “Icone della fine”. In questo volume Tagliapietra
riflette su come mai come in questo periodo, fortemente caratterizzato
da una visione sfiduciata del futuro, in presenza di una pesante
crisi di ordine ecologico, economico e politico proliferano immagini
che rappresentano tragiche fini collettive, evocanti l’apocalisse
individuale e collettiva che risiede nella mente dell’uomo. Ma la fine
prevede inevitabilmente un nuovo inizio. “Un’Altra Storia” indica
proprio la volontà di riprendere il cammino, con maggiore forza e
consapevolezza del proprio ruolo.
41
docenti
Quali sono stati i criteri di selezione degli artisti?
Mi trovavo di fronte, rispetto al lasso di tempo preso in esame, dalla
seconda metà degli anni Ottanta ai giorni nostri, a una campionatura
di circa duecento autori. La selezione è stata operata tenendo conto
del mio gusto nonché del rapporto personale che intrattengo con
gli artisti, per me da sempre elemento prioritario della mia attività,
nonché dal confronto con gli amici che mi hanno aiutato in questo
evento come Anselmo Basso, collezionista torinese di intuito e
sensibilità ed il giovane curatore Alessandro Carrer. Questo è un
grande evento realizzato con un budget ristrettissimo, grazie alla
concessione di importanti sedi espositive, alla collaborazione con
Il Comune di Como, che ha deliberato un piccolo contributo e l’Ex
Chiesa di San Francesco, e con il CRAB dell’Accademia di Brera, ed
al volontariato di amici ed artisti, la qual cosa testimonia come il tema
sia molto sentito. Non sono riuscito, per limiti oggettivi, a inserire nel
progetto la prima parte della post modernità, quella che va dal 1975
al 1985, sarà il mio prossimo obiettivo.
questo nulla tolga alla validità delle teorizzazioni prodotte negli
scorsi decenni. Il crollo delle ideologie, la fine delle grandi narrazioni,
l’oblio della dimensione metafisica sono stati fenomeni che hanno
caratterizzato una stagione di passaggio. Ora siamo in mezzo al
guado e vi è la necessità di guardare in direzione del futuro per non
rimanere impantanati nella dimensione liquida dell’”eterno presente”.
Anche in arte, da alcuni anni, si possono intravedere consistenti indizi
di una mutazione in atto e, non a caso, ho intitolato una mostra di
qualche anno fa “I Neo Contemporanei”. Gli artisti possono e devono
rivalutare gli aspetti che hai citato, confrontarsi nuovamente con la
politica con un atteggiamento diverso, però, da quello fortemente
ideologico degli anni tra il ’50 ed il ’70, frutto di un altro clima. La
resistenza alle storture di un certo sistema deve essere una delle
parole d’ordine.
11-10-2011 9:17:19
42
LEA MATTARELLA
Quando mi chiedono una definizione da mettere accanto al mio nome, critico,
curatore, giornalista, io scelgo sempre di essere indicata come docente
dell’Accademia di Belle Arti...
docenti
Di Elisabetta Longari
Sei una figura molto attiva nel mondo dell’arte: giornalista per
“La Repubblica” (tra l’altro sai che apprezzo il tuo eloquio e ti
leggo sempre molto volentieri), curatrice di mostre, studiosa
e docente di Storia dell’Arte che conosce la realtà di diverse
sedi accademiche. Non sapendo da che parte iniziare, partiamo
proprio dal quadro che ti sei formata sulla realtà delle Accademie
italiane e sulla loro condizione attuale.
Io sono molto fiera di insegnare in Accademia. Quando mi chiedono
una definizione da mettere accanto al mio nome, critico, curatore,
giornalista, io scelgo sempre di essere indicata come docente
dell’Accademia di Belle Arti.
Il nostro è un lavoro importante, di grande responsabilità, che ci tiene
ancorati alla vita. Di Accademie ne ho girate tante e ne ho viste di tutti
i colori…Ma alla fine credo che siano esattamente lo specchio del
paese: posti meravigliosi in cui puoi sempre imbatterti nell’orrore e
nell’ingiustizia. Mi sembra che questo sia un momento difficile perché
la riforma in cui tutti abbiamo creduto è stata deludente, anche perché
siamo rimasti sospesi in un limbo, come se avessero costruito un
quartiere senza le infrastrutture. Così tutto è affidato solo alla serietà
del singolo. Io ho incontrato dappertutto professionisti pazzeschi,
gente che fa il proprio lavoro con passione, impegno e dedizione.
Questi secondo me sono continuamente umiliati da chi non investe
nelle Accademia e non gli riconosce il ruolo fondamentale che queste
impaginato10.indd 42
istituzioni potrebbero essere chiamate a svolgere (oltre che dal nostro
stipendio, ma non voglio parlare di questo). Per quanto riguarda la
nostra disciplina poi, sono davvero convinta che nelle Accademie si
concentri quanto di meglio ci sia in giro. Detto questo, ogni tanto
incontri anche improvvisati, fannulloni, gente che sta lì e non sa
neanche perché, ma è l’Italia bellezza!
A suo tempo mi hai comunicato di stare facendo un dottorato:
presso quale università e quale è l’argomento della tua ricerca?
Sto facendo un dottorato di ricerca presso l’Università degli Studi di
Viterbo e ho come tutor Patrizia Mania. È davvero un privilegio avere
del tempo per studiare e una persona come Patrizia che ti segue. La
mia ricerca indaga il contributo di alcuni artisti italiani del Novecento
alla scena teatrale. Anche questa idea è nata in Accademia, proprio
a Brera, dove ho sempre avuto molti allievi di Scenografia. Così
cercando dei corsi adatti a loro mi sono appassionata al tema. La
cosa che mi piace di più è la possibilità di mettere insieme le diverse
discipline: l’arte figurativa, il cinema, il teatro, la musica, la letteratura.
Maurizio Fagiolo diceva che lo storico dell’arte quando cura una
mostra o fa un libro è come un regista. Secondo me aveva ragione,
bisogna sempre tenere le fila di più cose, seguire varie indicazioni e
poi metterle insieme. Io non sono una specialista capace di passare
tutta la vita su un argomento, mi ritengo una che sa incrociare le
cose, creare intrecci.
11-10-2011 9:17:20
43
Peter Fishli and David Weiss
Spazio numero 13, 2011. Big tube, tube, corner, standing corner, two walls. Reinforced clay. 100 × 75 × 75 cm.
© Peter Fishli and David Weiss.
Courtesy Sprüth Magers, Berlin and London; Matthew Marks Gallery, New York; Galerie Eva Presenhuber, Zürich - 54th International Art Exhibition – la Biennale di Venezia
Photo credits Franziska Bodmer e Bruno Mancia - FBM Studio
Tra i tuoi studenti di tutti i tempi se tu dovessi fare un nome solo
chi ricordi e perché?
No, dai, questa è una domanda a cui non si può rispondere…
Potrei dirti Guglielmo Castelli di Torino perché stiamo pensando
proprio adesso una mostra da fare insieme in autunno alla galleria
il Segno, o Stampone dell’Aquila che ha appena inaugurato la sua
opera dedicata a Ai Weiwei a Venezia. Ma come posso non citare le
faccine attente delle ragazze che venivano nell’aula 13 il primo anno
che ho insegnato a Brera? Ogni tanto ne incontro qualcuna ed è una
festa. Tu sai meglio di me quant’è emozionante quando vedi che ce
la stanno facendo. Che riescono a realizzare quello in cui credevano
quando venivano a lezione. A vivere di arte, con l’arte, per l’arte. Ed
è sempre più difficile perché le derive del nostro mondo in cui c’è
sempre più mercato e sempre meno pensiero pesano anche su di
loro.
impaginato10.indd 43
Che dote invidi e a chi?
Il distacco ai monaci buddhisti, perché comprende la compassione
e non la esclude. Tenere insieme le due cose dovrebbe essere il
nostro piccolo eroismo quotidiano. E poi invidio terribilmente la voce
a Evelina Meghnagi, la mia insegnante di canto.
A quali progetti espositivi stai lavorando?
A una mostra su Dalì insieme a Montse Aguer della Fondazione di
Figueiras.
Una domanda di rito: il lavoro visto all’attuale edizione della
Biennale che ti è rimasto più impresso. Quale, di chi e perché?
Fischli & Weiss ai Giardini: perché è bello, è in tema con la mostra,
emoziona e non vuole fare altro che questo.
Sapresti raccontare come sei giunta a fare quello che fai,
attraverso quali passaggi di coscienza?
Io devo moltissimo ai giornali perché questo lavoro, prima a La Stampa
e oggi a La Repubblica, mi ha insegnato la chiarezza, la sintesi e
anche l’umiltà. Non devi aver paura della banalità perché il tuo peggior
nemico è l’inutile complicazione. Valerio Magrelli una volta mi ha detto
che scrivere per i giornali per lui è stato come diventare bilingue. E un
po’ è così. Ti devi togliere dalla testa il linguaggio specialistico, che
però dà una gran sicurezza, ti fa da corazza, soprattutto quando sei
giovane. E invece devi imparare a essere autorevole nella semplicità.
E poi sono diventata una che fa domande in continuazione, mentre
all’inizio del mio percorso mi sembrava quasi sminuente chiedere
spiegazioni, dire: non ho capito, oppure: questa cosa non la so me la
puoi dire? E a questo, a chiedere, ti abituano i giornali, perché se devi
“tradurre” una cosa per un lettore che non ha la tua formazione, deve
essere chiarissima innanzitutto a te. Io ormai ho fatto mia la frase che
mi ripete sempre Peppino Appella: più si studia e meno si sa. E ci
convivo, un po’ con rassegnazione e un po’ con allegria.
docenti
Qual è l’argomento che hai studiato per cui hai provato più
curiosità e passione?
Ultimamente scritto delle piccole cose per “Art e dossier” sui quadri
nei film. E in così ora momento vorrei solo rintracciare pittura e
scultura tra cinema e letteratura e trovare per tutto questo una chiave
di interpretazione. Ieri ho visto un film in cui c’è Fabrice Luchini che,
innamorato di una spagnola, fantastica sulla Venere di Velázquez.
Luchini, Velázquez: due amori in un colpo solo…. mi è venuta subito
voglia di farci un articolo… Ma la passione costante penso che sia
l’arte delle donne. Quando mi incanto su un lavoro spesso scopro
spesso che è fatto da una lei.
Che manuale raccomandi allo studente di Storia dell’arte in
Accademia di questi tempi?
Dorfles Vettese, De Vecchi Cerchiari, Briganti Bertelli…
Però gli dico anche che mi portino a vedere quello che avevano al
Liceo e se non è proprio indecente e a loro è piaciuto glielo faccio
tenere.
11-10-2011 9:17:21
premio maimeri
44
impaginato10.indd 44
11-10-2011 9:17:23
45
premio maimeri
impaginato10.indd 45
11-10-2011 9:17:26
ACCADEMIA DI SANREMO
46
accademia
sanremo
maestridi
storici
Nella città del festival della canzone italiana, dei garofani e del mare
pulito c’è anche la piccola realtà dell’accademia che vuole recitare
il suo ruolo e far parte a pieno titolo delle risorse della città
intervista a cura di Gaetano Grillo
Molti non sanno che a Sanremo esiste un’Accademia da cira
quattordici anni anche se da quattro anni ha avuto una svolta
con Pier Luigi Megassini che ha voluto lanciare la sfida del
rilancio. Chi è Megassini?
L’Accademia di Belle Arti di Sanremo nasce nel 1997 con l’indirizzo
di Pittura quadriennale. Dal 2008 il cambio di gestione e direzione
costituisce l’occasione per cambiare sostanzialmente strategia
operativa: si allarga il ventaglio dell’offerta formativa, si svolge
un’azione sistematica di orientamento, s’intensificano i rapporti di
collaborazione con le scuole di ogni ordine e tipo della città e della
provincia, si elaborano azioni e preparano proposte progettuali
per il territorio che poi si confrontano con gli altri interlocutori, si
consapevolizzano i docenti sul principio che ogni risultato dipende
inevitabilmente dalla capacità di lavorare in gruppo e il futuro
dell’accademia dipende dalla motivazione e dall’impegno di tutti
indistintamente.
Una piccola realtà che lancia la sfida del rilancio grazie ai propositi
del direttore, Pier Luigi Megassini sostenuto da quell’energia che si
porta dentro da sempre e dallo spirito battagliero con cui affronta ogni
situazione.
Megassini è anzitutto uomo di scuola che con i suoi quarant’anni di
esperienza intende proiettare le sue energie nell’affermazione di una
realtà che sia una palestra d’idee, di propositi e d’iniziative dove i
giovani – sia studenti che docenti – possano affermare il loro spirito
creativo e coltivare la sensibilità per “le cose belle” di cui oggi più
che mai tutti abbiamo un gran bisogno. Con questa filosofia cerca di
impaginato10.indd 46
trasmettere entusiasmo ai suoi collaboratri che condividono le sue
stesse motivazioni e affrontano con ottimismo la ricerca di nuove
strade a 360 gradi.
Sono docenti in massima parte giovani che uniscono alle competenze
una grande sensibilità e hanno il carisma necessario per travasare
negli studenti la loro passione per l’arte aiutandoli a diventare
“professionisti per passione” prima che per necessità.
A proposito di passioni, quella che Megassini si porta dentro da
sempre è l’amore per il giornalismo e la comunicazione, per lo
scrivere ciò che sente sulla realtà che lo circonda: questo retroterra
è lo strumento con cui oggi elabora progetti, assembla percorsi e
imbastisce proposte con i docenti che se ne fanno portavoce presso
gli enti locali e le associazioni territoriale per innescare i giusti
coinvolgimenti senza i quali tutto è più difficile.
In questa direzione tutti stanno lavorando per creare una rete di
rapporti con gli altri attori del territorio e realizzare le sinergie utili a
promuovere situazioni d’interesse comune.
E la rete rappresenta l’unica possibilità di valorizzare le risorse globali
e di tradurle in un patrimonio spendibile sul piano delle iniziative, delle
strategie da adottare e degli obiettivi da perseguire.
La rete rappresenta la mano forte che, grazie alla collaborazione di
tutte le dita, diventa la voce sentita nel territorio a cui presenta la sua
offerta formativa e su cui appronta interventi di ogni tipo.
In questa logica i corsi attivi all’accademia sono mirati a creare
profili che si possano integrare nel contesto con le sue connotazioni
sociali, culturali, economiche e produttive, con le sue valenze e le
11-10-2011 9:17:27
47
sue aspirazioni che – come tasselli di un mosaico – determinano gli
scenari dl mercato del lavoro dove deve trovare sbocco chi possiede
un carnet di conoscenze e competenze specifiche.
impaginato10.indd 47
In quale misura la tua accademia si rapporta al territorio e cosa
può offrire in termini di formazione all’economia del mercato del
lavoro locale?
Nel prossimo futuro l’accademia di Sanremo intende continuare nella
strada del miglioramento graduale e costante della qualità del servizio
accademia di sanremo
L’Accademia ha sede nel bellissimo parco dell’Hotel Miramare,
un albergo inizio del ‘900, affacciato sul mare con palme
altissime, prati e tanti fiori.
Un luogo ideale per lavorare bene, con pochi allievi seguitissimi,
con giovani docenti motivati e per giunta in una città famosa per
il suo mondanissimo festival, per la floricoltura, per il turismo e
per la sua vicinanza alla Francia. Come è articolata e organizzata
l’Accademia di Sanremo?
La sede dell’accademia di Sanremo beneficia di un contesto
suggestivo: una struttura di inizio ‘900, dignitosa nella sua solida
vetustà e inserita in una cornice costituita da un ampio parco di piante
secolari a pochi metri dal mare.
Un luogo che aiuta certamente gli studenti a trovare la serenità
necessaria per concentrarsi e lavorare con convinzione e impegno
a fianco dei loro docenti, motivati e intraprendenti, che non perdono
occasione per ampliare la gamma delle esperienze proponendo visite
didattiche, workshop con artisti ed esperti, iniziative specialistiche e
partecipazione a concorsi.
Nella città del festival della canzone italiana, dei garofani e del mare
pulito c’è anche la piccola realtà dell’accademia che vuole recitare
il suo ruolo e far parte a pieno titolo delle risorse della città e del
territorio. Uno slogan propagandistico coniato qualche anno fa diceva”
A Sanremo ogni giorno è un giorno speciale”.
A chi frequenta e lavora in accademia piace pensare che, se è vero,
un po’ di merito è anche il suo sia per iniziative che si realizzano
sia naturalmente per l’attività formativa svolta dai tre corsi ( Pittura Architettura d’interni e design – Grafica e illustrazioni).
Tre corsi che coprono tre grandi settori operativi strettamente legati
alla contemporaneità e rispondenti alle necessità professionali locali,
ma non solo.
I giovani che intendono formarsi come artisti, probabilmente
preferiscono iscriversi ad Accademie storiche come quella di
Brera a Milano, Roma, Torino ecc. Nelle grandi città possono
trovare gli stimoli giusti e le occasioni per farsi largo nella giungla
del sistema dell’arte. Per quale motivo dei giovani dovrebbero
venire a studiare a Sanremo?
Sanremo non è una metropoli e non offre le proposte sociali, culturali
e artistiche di alcune città che ospitano le storiche e rinomate
accademie, tuttavia non è priva di sollecitazioni che provengono
dagli enti pubblici e dalle associazioni private che mettono a punto
calendari di manifestazioni molto interessanti. Si pensi al Casinò, alla
Pinacoteca Civica di Col di Rodi, all’attività del Museo Civico, alle
iniziative della Famija sanremasca, degli Amici dell’arte e del Centro
Studi Mattei, Società Promotrice dell’Arte della Riviera dei Fiori.
Sanremo è una piccola città che decuplica i suoi abitanti soltanto
in alcuni momenti dell’anno (festival, sfilata dei carri fioriti) ma per
il resto fa scorrere la vita con ritmi certamente diversi da quelli delle
grandi città, spesso convulsi e insidiati da mille pericoli. Anche questo
può favorire la scelta di un’accademia che è possibile frequentare e
“vivere” con distensione e serenità.
Chi impara a essere artista, chi ha bisogno di trovare motivi ispiratori,
di studiare e riflettere, imparare ed esercitarsi alla produzione si trova
a suo agio in quest’angolo di mondo dove la natura è prevalente con
le sue espressioni, i suoi profumi e colori, con il fascino delle sue
trasformazioni mitigate dalla dolcezza del clima.
Non è poi trascurabile la vicinanza di Sanremo alla Francia e a
Nizza da cui è separata da una manciata di chilometri. Nizza è
città di notorio spessore artistico con i suoi musei, gallerie e mostre
che rappresentano una fucina permanente di idee, di innovazioni,
di proposte avanguardistiche e nel contempo di valorizzazione
della memoria artistica. A Nizza, insomma, gli stimoli e i confronti, i
suggerimenti e gli inviti per chi ama l’arte non mancano di certo.
11-10-2011 9:17:32
e della struttura degli strumenti e dell’efficienza sotto ogni profilo,
continuare a intensificare i rapporti con il territorio, con la società, con
gli operatori professionali.
In margine a questo impegno che rappresenta una sorta di contratto
morale che chi opera nell’accademia ha con se stesso e con gli
studenti, c’è anche un sogno nel cassetto. E’ un’idea ancora in nuce,
un pensiero che ancora non si traduce in progetto anche perché la
sua definizione e strutturazione dovrebbero coinvolgere molte forze,
dovrebbe avvalersi di una vera e propria rete di collaborazioni ognuna
delle quali svolge la sua parte verso il raggiungimento dell’obiettivo
comune.
Sanremo è la città del festival della canzone, la sua notorietà è storica
e internazionale a questo proposito. E allora perché non pensare a
un corso accademico che professionalizzi il canto quale risultato di
un corso di studi di livello universitario che passi un piano disciplinare
di studio? L’accademia, quale cellula dell’Alta Formazione Artistica
e Musicale e quale struttura impegnata nell’espressione della
fisionomia del territorio potrebbe promuovere questa potenzialità e
sottoporla alla verifica degli altri referenti della città interessati.
Certo lo sforzo sarebbe impegnativo, ma il risultato gratificante.
Sanremo diventerebbe la città della canzone non solo per la rituale
ricorrenza della parata concorsuale ma per essere la città dove la
canzone si studia e si impara ogni giorno dell’anno.
Come vivono la riforma e le problematiche derivanti da essa
le piccole istituzioni come questa? Quali sono le difficoltà che
incontra e quali le potenzialità che si possono sviluppare?
La riforma e ogni provvedimento normativo sono vissuti dalle piccole
accademie con un sentimento misto di “tema e desire” come direbbe
Manzoni. Il desiderio che ci siano regole sempre più chiare e indicative
su cui impostare la progettualità formativa e ogni altra attività, e il
timore che i provvedimenti di nuova fattura possano rivoluzionare
l’assetto fondamentale soprattutto delle realtà più piccole che non
hanno la forza delle grandi per affrontare adeguamenti particolarmente
ambiziosi. Ricordiamoci che le legalmente riconosciute non
beneficiano di contributi pubblici, ma vivono delle loro risorse che
sono sempre più piccole rispetto alle necessità in aumento.
D’altra parte è pur vero che per migliorare un servizio occorre
correggere la traiettoria strada facendo e perciò l’auspicio è che la
riforma sia lo strumento che garantisce il miglioramento in una logica
pianificata che nell’individuazione degli obiettivi da raggiungere tenga
conto delle potenzialità e delle forze reali e non supposte.
Perché non organizzare in questa bella cornice gli “stati
generali” delle accademie legalmente riconosciute, private,
civiche? Perché questa piccola accademia non si fa promotrice
di un grande progetto?
Certo è che le problematiche che vive il settore AFAM non mancano
anche in conseguenza delle trasformazioni in corso e delle altre
annunciate e perciò sarebbe utile attivare la “rete” che spesso si
invoca e cioè coinvolgere tutti gli interessati nella discussione dei
temi più urgenti e importanti. Sarebbe utile registrare i punti di vista,
i suggerimenti e le proposte, ma anche le ansie e le necessità con
la consapevolezza che i risultati migliori si otterngono grazie ai
contributi di tutti. E a tale scopo forse, la dolcezza del clima e la
salubrità dell’aria (che partecipano a migliorare l’umore e a favorire
il reperimento di soluzioni) potrebbero essere lo stimolo per riunire
i rappresentanti delle accademie legalmente riconosciute e per
trasferirsi istanze e proposte.
Un fine settimana d’autunno, con una temperatura piacevole sul
mare, a Sanremo a discutere del proprio destino può essere un invito
non trascurabile. In fondo … Sanremo è sempre Sanremo.
recensioni / notizie
48
Arte povera e Ontani e Rivoli
Di Elisabetta Longari
Sui due piani della collezione permanente del Museo di Rivoli, con l’inevitabile curatela di Celant,
si snoda una mostra dedicata, in concomitanza con altri spazi italiani (tra cui il Mambo di Bologna,
il Maxxi e la Gnam di Roma e la Triennale di Milano), a un approfondimento sull’arte povera,
con particolare attenzione alle collezioni torinesi, pubbliche e private. Tutte le opere presenti
nel percorso espositivo sono rilette attraverso il filtro del soggetto prescelto, esteso anche ad
artisti internazionali etichettabili e etichettati in questa occasione come “poveristi”. L’effettiva
importanza del fenomeno sorto in Italia tra il 1967 e il 1968 risulta evidente anche dalla flagrante
atmosfera degli esordi in pubblico, dal clima ludico e vivace che, molto lontano, anzi di segno
contrario, dalla pompa dell’Arte con la maiuscola, regna nelle riprese del documentario della
RAI girato nel 1968 ad Amalfi in occasione della mostra di Arte povera + Azioni Povere. Il filmato
restituisce in modo vivido il dato più saliente e di rottura rispetto al contesto artistico imperante: la
ricercata e praticata fuga dagli stereotipi dell’arte in favore della vita. Le installazioni a volte anche
gigantesche, costituite in prevalenza da elementi fragili e materiali poveri, trovano nella preziosa
cornice delle splendide sale progettate da Juvarra un contrasto vicendevolmente vantaggioso
impaginato10.indd 48
e particolarmente valorizzante. Tra le più
notevoli da un punto di vista dell’impatto
con l’ambiente è l’opera di Luciano
Fabro Allestimento teatrale, un cubo di
specchi che, progettato nel 1967 per
il Teatro Stabile di Torino, riflette un
desiderio diffuso tra gli artisti vicini per
orientamento “militante” durante quel
periodo: innestare processi conoscitivi,
fornire spunti d’esperienza attraverso
dispositivi rivolti allo sviluppo di una
forma di autocoscienza negli utenti, in
questo caso tanto nell’attore quanto nel
pubblico.
Nel suggestivo ambiente della Manica
Lunga, con un titolo tipico dei suoi,
RivoltArteAltrove, un titolo-valigia, come
dice Andrea Cortellessa, mai univoco,
anzi, con doppifondi, è allestita una
nitida mostra di Ontani che ha usato
la gentilezza di introdurre i presenti
alla lettura del suo viaggio identitario.
Curata in modo impeccabile da Andrea
Bellini in modo che la complessità e la
ricchezza dei riferimenti e l’ambiguità
portante dell’opera del protagonista
siano immediatamente percepibili, si
avvale anche dell’invenzione di una
felice formula che propone una sorta di
gioco mutevole di occasioni per leggere
“ontanismi” vicini e lontani e stabilire
legami per affinità o per opposizione con
artisti italiani di diverse generazioni.
Le mostre allestite a Rivoli rispondono
con i fatti alle sterili polemiche, scatenate
a livello locale per evidenti giochi di
potere, al cui centro si trova il Museo,
una delle poche realtà museali italiane
dedicate all’arte contemporanea che
abbia davvero un respiro internazionale.
11-10-2011 9:17:35
FR
Trit
E’ sem
nell’ar
(nono
distan
Per qu
si affe
dell’es
con un
T.W.
“aristo
e non
I rime
rimess
sopra
ad alt
prefer
loro”).
Tale p
il con
realizz
Milano
Non è
all’inte
a Pia
Vesco
Nondi
di Fra
“spiritu
pittoric
mode
I tre gr
Dioce
49
FRANCO MARROCCO
Trittico, Museo Diocesano, Milano
impaginato10.indd 49
contaminazione con questo particolare ambiente quanto un serrato e
suggestivo dialogo tra un’opera d’arte contemporanea formalmente e
concettualmente autonoma e uno spazio museale orientato.
Negli ultimi cinque, sei anni le opere di Marrocco, spesso di grande
formato, sono fondate su una originale “azione” (nel senso di
procedimento e di presentazione) sul colore, e spesso del colore più
“vivo” come il rosso.
Tale concentrazione del linguaggio pittorico sul colore supera
velocemente la saturazione (sia visiva che semantica) del monocromo
per aprirsi a significative lacerazioni in cui si inscrivono segni, tracce
e fantasmi della memoria.
Come ha ben scritto Luciano Caramel, nel 2005, a proposito di grandi
tele come Traiettorie e Tracce, “ da tale compresenza di vicinanza e
lontananza, da questo vedere vicino nella pittura quanto è lontano,
spazialmente e temporalmente, da questa sintesi di presenza e
assenza, di vissuto e memoria, da questo vedere insieme fisico e
coscienziale, discende parte almeno della magia suggestiva e delle
capacità di incidere nel profondo dei quadri di Marrocco”.
Dopo una vita dedicata allo strutturalismo e alla scienza del segno
Roland Barthes affermò che alla fine ciò che è importante in un romanzo
è la sua “proprietà”, la sua capacità di rendere vivi i personaggi di
cui parla affinché il piacere del lettore sia essenzialmente quello di
partecipare alle loro esperienze e di dialogare realmente con loro.
Trittico di Franco Marrocco non è, a mio avviso, un’opera “spirituale” né
sacra. Tuttavia, possiede il grande dono illusionistico dell’arte di farci
vedere e persino di far apparire fantasmi/personaggi spiritualmente
e soprattutto simbolicamente affini a quelli presenti nelle collezioni
del Museo Diocesano. Anzi, è proprio a partire dal suo trittico che
all’osservatore è possibile rivedere e “rendere vivo e attuale” il luogo
e le immagini della storia dell’arte del passato.
recensioni / notizie
E’ sempre difficile parlare oggi di arte sacra e persino di “spirituale”
nell’arte.Per quanto riguarda l’arte sacra, storicamente, è scomparsa
(nonostante alcune alte eccezioni) con il Modernismo e con l’obiettiva
distanza culturale del naturale committente, ossia la Chiesa.
Per quanto riguarda l’altra categoria, quella dello “spirituale nell’arte”
si afferma, agli inizi del 900, come un valore proprio e specifico
dell’esperienza artistica e non come un processo e un procedimento
con un fine esterno o altro (e nemmeno del Grande Altro).
T.W. Adorno, durante gli ultimi sussulti modernisti scrisse di
“aristocrazia” dell’arte, ma solo per riservarle un territorio autonomo
e non contaminato.
I rimescolamenti e le contaminazioni postmoderniste non hanno
rimesso in gioco tali categorie ma ne hanno reso possibile la
sopravvivenza dell’enunciato, dell’etichetta senza tuttavia dar luogo
ad altro che alla semplice allocuzione (con particolare e arcaica
preferenza per il pronome “esso” piuttosto che per il più vivo “lui/
loro”).
Tale piccola premessa è necessaria per una efficace lettura, e per
il contesto, dell’installazione pittorica Trittico di Franco Marrocco,
realizzata all’interno di una grande sala del Museo Diocesano di
Milano.
Non è questa la prima volta che l’artista espone delle sue opere
all’interno di spazi “religiosi”. Basterà citare la sua recente mostra
a Piacenza (Cripta della Chiesa Abbaziale di San Sisto, Palazzo
Vescovile) o quella all’interno della facoltà Teologica di Milano.
Nondimeno, va subito segnalato che la recente esperienza artistica
di Franco Marrocco non si presenta sotto il segno di una presunta
“spiritualità” quanto della intenzionale elaborazione di un linguaggio
pittorico che riflette ( e riparte...) sulla grande stagione dell’ultimo
modernismo.
I tre grandi quadri, nominalmente definiti Trittico, all’interno del Museo
Diocesano di Milano, non sono dunque un “omaggio” e nemmeno una
Giovanni Iovane
11-10-2011 9:17:40
recensioni / notizie
50
Maestri
e
giovani
artisti
dell’Accademia Albertina di
torino all’universita’ marmara
di Istanbul
Con il titolo “Maestri e giovani artisti dell’Accademia Albertina di Torino” si propone negli spazi espositivi della Facoltà di Belle Arti della Università di Marmara a Istanbul, dal 17 Ottobre al 26 Dicembre
2011, una collettiva-evento che raccoglie, sul tema unificante della trasmissione e della rielaborazione del sapere dell’arte fra maestri e discepoli, 38 lavori di artisti affermati in campo nazionale e
internazionale, docenti e artisti della nostra Istituzione e circa 70 opere di oltre 80 allievi tutti operanti
all’interno dell’Accademia Albertina di Torino.
L’idea della mostra è nata lo scorso anno quando alcuni studenti dell’Accademia di Torino hanno
partecipato alla 5° Triennale degli studenti delle Accademie di tutto il mondo, organizzata proprio dalla
impaginato10.indd 50
Facoltà di Belle Arti dell’Università di
Marmara a Istanbul, sotto la direzione
della sua Preside, la Professoressa
Nazan Erkmen. In quella felicissima
esperienza della grande kermesse
artistica, la Professoressa Erkmen
ha ipotizzato la possibilità di ospitare i
nostri lavori per una sorta di “personale” della nostra Accademia in terra
turca. Questo speciale legame di ammirazione e stima reciproca e di collaborazione fra le nostre due Istituzioni, si è poi rinsaldato nel Maggio di
quest’anno quando l’Accademia di
Torino ha ospitato la mostra “Segni
della grafica turca contemporanea”
su opere della stessa Nazan Erkmen
e di Aydin Erkmen, tra i maggiori illustratori della Turchia oggi.
La collettiva accanto ad un articolazione in diverse sezioni seconde le
scuole classiche dell’Accademia e
cioè pittura, scultura, scenografia e
costume, grafica d’arte, architettura
e design, prevede un ampia sezioni
sulle arti multimediali, la fotografia, le
arti performative ed infine anche l’
illustrazione scientifica.
La mostra si pone quindi come un
ponte ideale tra Torino e Istanbul, tra
occidente e oriente e si nutre delle
mille suggestioni che questo particolarissimo gemellaggio può offrire.
In un momento di grave crisi dello
stato delle attività artistiche in Italia,
l’Accademia Albertina di Torino evidenzia tutta la sua inesauribile vitalità
e ribadisce un certo primato culturale
del valore delle Accademie in Italia,
ponendosi in una posizione di avanguardia attenta ad uno sguardo internazionale sulle sue molteplici attività.
Il mio pensiero grato va dapprima ai
docenti-artisti dell’Accademia che
hanno accettato con entusiasmo di
partecipare a questa iniziativa internazionale che vede, forse per la prima
volta in terra straniera, la presenza
compatta del magistero artistico dei
maestri dell’Albertina e degli studenti
scelti liberamente dai loro docenti
secondo un criterio d’ eccellenza e di
rigore di ricerca artistica.
Sono
debitore
al
Presidente
dell’Accademia, Marco Albera e al
Consiglio d’Amministrazione
per
aver deciso di finanziare questa iniziativa e al Direttore Guido Curto
che ha creduto fin da subito a questo
ambizioso progetto, senza poi dimenticare il personale tecnico e amministrativo che ha reso possibile
e concreta la nostra realizzazione.
La mostra è presentata e sostenuta
economicamente inoltre dall’Istituto
Italiano di Cultura di Istanbul e dalla
sua Direttrice, Dottoressa Gabriella
Fortunato, che, grazie ai suoi auspici,
ha ottenuto di inserire la nostra iniziativa, quale evento parallelo, all’interno
della 12° Biennale di Istanbul.
Salvo Bitonti
(ideatore del progetto)
11-10-2011 9:17:42
Carlo Franza
recensioni / notizie
IL SIMBOLISMO
ORGANICISTA DI PINO DI
GENNARO
partecipazione attiva e coerente ad ogni espressione della
cultura internazionale,ha saputo sorvegliare e dinamizzare
le esigenze della scultura contemporanea,talvolta con
un’originalità e una fisionomia personale, da porlo fra i migliori
artisti dell’avanguardia contemporanea.Egli è tornato a far
rivivere i miti umani della classicità mediterranea, con la ricerca
della purezza risolta in forme chiare e pensose,in un clima di
simbolismo organicista di tipo naturalista con l’esaltazione
non solo di certi miti storico-culturali,ma l’approfondimento del
tema della vita dell’universo e la forza dei simboli germinali.
E’ una ricerca la sua che parte da una certa visione spirituale o
modo di fare umano, di fronte alla relazione tra le forze creatrici
dell’esistenza e del mondo naturale.
Questo scultore riunisce come pochi la forza vitale e l’impulso
dionisiaco del vivente,tanto che le forme si concentrano sino a
convertirsi in un potente ritmo di masse.
Ha operato a lungo nell’ambito di una figurazione allusiva,
e superato questo stato di metamorfosi,la sua ricerca più
impegnata,grazie all’impiego di materiali diversi,dalla cartapesta
al bronzo, dalla resina all’acciaio, dalla cera al piombo, si è
svelata in un’inventiva spontanea e impetuosa,dando prova
talvolta come ne “i pilastri del cielo” ad architetture spaziali che,
pur conservando il loro elemento chimerico,si rifanno a una
spiccata e costruttiva monumentalità,declinandosi anche come
colonne totemiche, certo espressioni di memorie arcaiche e
sintesi di civiltà.
La sua è ancora oggi un’avventura pregna di grandi idealità,che
lasciano intravedere quasi un ritorno ai monumenti simbolici
primitivi, che stimolano e aprono lo spirito a una concezione
poetica delle forze imponderabili della natura.
Di Gennaro si guarda attorno,legge il mondo, legge la natura,
legge l’ordine delle cose e dello spazio tra cielo e terra,aurore e
crepuscoli e sfere celesti; tutto poi diventa luogo dove il tempo
concreto viene proiettato nel tempo mitico e dove lo spaziotempo ordinato ritualmente diventa centro del mondo,incontro
con il cielo e della terra.
Di Gennaro riconosce e ricrea alcune suggestioni che la
combinazione della natura e dell’invenzione umana hanno
sempre fornito all’esperienza poetica, e mediante questo
monumentalismo simbolico,al margine delle evocazioni nate
dalla natura variabile, attraverso masse e vuoti,giunge quasi
all’invenzione di una liturgia pagana.
Fortunati esiti raggiunti grazie allo spessore culturale e artistico
che l’ha preceduto e di cui ha tenuto conto, ovvero il dinamismo
futurista,le lacerazioni spaziali di Fontana, il minimalismo
dell’ABC art..
D’altronde si sa che le cose più importanti sono isolate, e sono
più intense, chiare e potenti, sicchè questi solidi nella semplicità
delle forme richiamano il lavoro di alcuni artisti americani, la
Louise Nevelson di “Presenza di colonne del cielo”,e ancora
Anthony Smith, Carl Andre, Robert Morris e Donald Judd.
Gli ultimi sviluppi hanno registrato il passaggio a una sorta di
neoplasticismo in cui l’ereditarietà del costruttivismo si risolve
in una sorta di quadratura a parete(vedi “Preghiera “del 2000),
una topografia metallica fortemente magica , con vuoti o cavità
abitati da rotoli che cercano un linguaggio estetico nelle
relazioni tra proporzioni e intervalli e i cui vocaboli sono la
luce,la qualità del metallo, il colore, le ombre e la valorizzazione
dello spazio. L’opera ,di tipo murale, presenta situazioni
ottiche evidentemente studiate per la sua integrazione
nell’architettura.
Sorprende la capacità che ha Di Gennaro di lavorare alle
sculture con materiali diversi, e con il ritmo assolutamente
proprio che lo scultore è riuscito a cogliere liberando la sua
vocazione costruttiva e facendovi confluire le culture plasticoarchitettoniche che avevano colpito la sua immaginazione.
Ora geometria e mistero fanno pendant con il grembo della
terra, con le ombre della memoria, con segni e scritture antiche
che spiegano l’invenzione umana.
Una geometria, la sua, che incapsula grandiosamente il senso
del mistero, la vita universale e il partito del colore che crea le
forme con una progressiva chiarezza di intenzioni.
Pino Di Gennaro(1951) è scultore di chiara fama,giunto a Milano giovanissimo,
fine anni Sessanta, allievo nei primi anni Settanta del Novecento prima di
Alik Cavaliere eppoi dal 1972 al 1983 dello scultore Arnaldo Pomodoro.
Un apprendistato di spessore che gli ha dato la possibilità di afferrarne
il mestiere e costruire tutti i capitoli del suo percorso. Con la sua
impaginato10.indd 51
11-10-2011 9:17:42
Albano Morandi e Paola
Fonticoli
“Doppio gioco”
Tl Triangolo Nero, Alessandria
La stagione 2011-2012 dell’Associazione Culturale ‘Il Triangolo Nero’
si apre, sabato 8 ottobre 2011 alla ore 18.00 con una mostra a due di
Paola Fonticoli e Albano Morandi.
Il titolo della mostra “Doppio gioco” è sufficientemente allusivo del
clima che si percepisce osservando le opere della milanese Fonticoli
e del bresciano Morandi. Acrilici e carte dipinte, applicate e graffite
su vetro sono alla base delle esperienze ultime della Fonticoli che
ha perfezionato ulteriormente quella eleganza fredda e raffinata che
permea il suo fare astrazione fluido e curvilineo.
Nel giocare sempre nel comune campo aniconico della pittura,
Morandi propone una magica installazione di piccole carte, scatole
e oggetti trovati rielaborati con fare sapiente e stregonesco e alcune
opere di forte impatto cromatico-coloristico eseguite con assemblage
di nastri adesivi che sembrano inseguire allusioni ad alcuni padri
dell’arte quali Mondrian, Malevic e Kolar.
Ad accentuare maggiormente il concetto di dialogo, i due artisti
esporranno anche una serie di freschi e vitalissimi monotipi, eseguiti
per l’occasione di questa mostra alessandrina, impressi con il
torchio a stella e utilizzando colori calcografici ripresi anche con le
infinite possibilità della fantasia e del gioco ottenendo così risultati di
sorprendente bellezza.
52
recensioni / notizie
Il percorso esemplare di un grande
studioso d’arte, Alberto Veca
Veca e intitolato Della costruzione. Pittura degli anni settanta, a cura
di Claudio Cerritelli e Elisabetta Longari.
Il volume intende esplorare il percorso culturale dello studioso
milanese attraverso gli scritti dedicati agli artisti della linea astrattocostruttivista di cui si era particolarmente occupato in quel decennio.
I pittori documentati sono Rodolfo Aricò, Gianni Brusamolino, Miro
Cusumano, Paolo Ghilardi, Paolo Minoli, Marcello Morandini, Carlo
Nangeroni, Romano Rizzato, Antonio Scaccabarozzi, Aldo Schmid,
Walter Valentini e Alberto Zilocchi.
Come sottolineano Cerritelli e Longari nell’introduzione al volume
“colpisce l’intelligenza del metodo del suo pensiero che, articolato,
fecondo e con le radici affondate nei sensi, pensa sempre anche
il proprio rovescio. Esercita una sorta di Empirismo eretico che
incessantemente s’interroga sugli oggetti e le loro leggi”.
Un’occasione per riflettere sulla figura di Alberto Veca (Milano19462009) nel secondo anniversario della sua scomparsa è la
pubblicazione del primo Quaderno dell’Archivio coordinato da Ida
impaginato10.indd 52
La visione interpretativa di Veca è ampia e articolata, si muove dalle
fonti iconografiche antiche fino alle espressioni contemporanee
attraverso connessioni e orientamenti che affrontano in modo originale
la persistenza di specifici temi di ricerca, tra i quali assume una
particolare importanza il genere della natura morta dell’età barocca
in Europa. Tra gli altri problemi iconografici affrontati vanno segnalati
quelli legati allo stereotipo, al paesaggio, alla cultura materiale, alla
monetazione medievale, all’apprezzamento di espressioni artistiche
extraeuropee e in generale al collezionismo. L’autore ha pubblicato
saggi sulla rappresentazione del cibo nel mondo moderno e nel
Novecento. Ha svolto attività didattica nell’istruzione superiore e
presso la Facoltà del Design del Politecnico di Milano.
11-10-2011 9:17:45
SEI ORE PER LA MIA TESTA
senza l’aiuto dell’artista: << La durata di un anno è di 365 giorni e
6 ore circa, tanto che poi le sei ore ogni 4 anni vengono sommate
e formano un giorno da aggiungere ai 365 e si ha così l’anno
bisestile >>. Guglielmi ha voluto sottolineare quelle sei ore “perse”,
“accantonate”, dando loro la “forma” della sua testa, quella parte del
corpo in cui ha origine il pensiero e ha sede la creatività.
I soggetti delle fotografie “dei giorni” sono di varia natura: appartengono
tanto al registro della quotidianità, quanto al dominio della pittura e
dell’architettura, con riferimenti sia alle arti classiche che a quelle
contemporanee.
Come prologo della mostra è esposta in una vetrinetta un’opera unica
costituita da tredici libri d’artista dal titolo “come un giorno qualsiasi“
(2010), una modalità espressiva, quella del libro d’artista, che
costituisce una parte importante della produzione di Guglielmi che
verte da anni sulla riflessione intorno ai fondamenti dell’esperienza
(e) dell’arte: le forme dello spazio e del tempo, i termini nei quali ne
facciamo esperienza, l’indistinguibilità di fine e inizio.
Il Padiglione leccese della Biennale di
Venezia
53
Di Elisabetta Longari
impaginato10.indd 53
Lecce sede pugliese della sezione regionale della Biennale di Venezia
2011, dal 4 giugno al 27 novembre. Quest’anno, legata ai 150 anni
dell’unità d’Italia, oltre alla tradizionale esposizione presso l’Arsenale
di Venezia, quella del Padiglione in ciascuna regione.
Tutta l’arte è contemporanea. Così lo è anche Lecce, proprio perché
ha molta storia. Città che vivono di notte come Lecce ce ne sono
poche. Firenze, ad esempio, muore la notte”.
Sessantatrè i salentini presenti con le loro opere nel Chiostro dei
Teatini a Lecce: da Umberto Albanese a Vittorio Balsebre, da
Fernando De Filippi a Pietro Guida, da Salvatore Spedicato a Rita
Tondo. Artisti, non tutti e non allo stesso livello, che hanno dato modo
di parlare, di stupire e provocare.
recensioni / notizie
Nazzareno Guglielmi, che a suo tempo ha frequentato l’Accademia
di Brera con Luciano Fabro come referente della propria formazione,
è ospite al Museo Diocesano con un’installazione che consiste nella
presenza in un’unica stanza su due opposte pareti, da un lato della
proiezione di 365 immagini (slides) che si susseguono in un ritmo
incalzante e circolare, mentre di fronte, sul lato opposto, è appesa al
muro una fotografia di piccolo formato che mostra il collo, la nuca e
la testa dell’artista visti da dietro.
In ogni immagine scattata e proiettata v’è un elemento strutturale
ricorrente: in ciascuna è leggibile in modo evidente o appena
accennato, o addirittura nascosto, la “figura” della croce. Dice
Guglielmi: <<Pur avendo scattato immagini in cui erano presenti
persone, a un certo punto della scelta – non sapendola comunque
giustificare – ho deciso di non inserirle>>. La natura delle immagini
risulta quindi in larga parte improntata all’astrazione, le inquadrature
sono tutte sempre divise in quattro parti, a volte in modo netto altre
semplicemente intuibile, tanto è vero che spesso l’occhio si trova in
difficoltà perché non riesce a distinguere nettamente e decodificare
ciò che vede.
Aldilà del simbolismo religioso (anche se il primo nome proprio
dell’artista, Nazzareno, sembra contenerne implicitamente il segno),
la croce è prima di tutto la rappresentazione essenziale dello spazio,
l’indicatore delle principali coordinate spaziali: formata dall’incrocio di
due linee ortogonali che danno corpo e dimensione alle due direzioni
fondamentali, verticale e orizzontale. Il tempo è chiamato in gioco
dalla videoproiezione che sostituisce velocemente un’immagine con
un’altra. Le 365 immagini, una per ogni giorno dell’anno, sono state
selezionate dall’autore all’interno di un gruppo costituito da alcune
migliaia. Le 365 “croci” ripercorrono anche in modo autobiografico
gli spostamenti fisici dell’artista nello spazio << e per le sei ore che
mancano, per definire quantitativamente la durata temporale di un
anno, ho aggiunto la mia testa da cui il titolo del progetto: SEI ORE
PER LA MIA TESTA>>. Il titolo risulterebbe criptico e inesplicabile
11-10-2011 9:17:47
E’ stato rilevato come questo sia un momento molto delicato per l’arte in Italia, alle prese con
una forte crisi del mercato e di identità e la voglia di confrontarsi sul piano internazionale,
sottolineando come tutti i momenti di criticità , generalmente segnalano l’imminenza di una svolta,
di un cambiamento di rotta, ai quali sopravvivrà solo quanto di valido è stato prodotto e che resista
al tempo e alle mode.
“La 54ma Biennale di Venezia. Un’occasione mancata per l’arte salentina”, questo il giudizio
tranchant dato da alcuni autorevoli osservatori che hanno rilevato come a Lecce, a parte pochi
esempi di autori che nel tempo hanno dimostrato di fare ricerca, di essere attenti al mondo che
li circonda e di essere un passo avanti rispetto alla massa, “…si è vista poca avanguardia, anzi
pochissima…”.
“Forse anche questa mostra – è stato sottolineato da più parti – pur considerata un caposaldo
dell’arte nel mondo, è figlia del periodo confuso che il Paese sta vivendo, un momento in
cui si sono persi di vista i parametri della ricerca e dell’eccellenza, in nome di una presunta
democratizzazione esasperata che annulla l’identità artistica”.
Fortunatamente, tra le tante cose viste a Lecce e poco degne di nota, molte sono quelle che
possono essere indicate fra quante costituiranno la pietra di paragone dell’arte a venire, basate
su ricerca, serietà d’intenti ed identità precisi.
In quest’elenco, va senza dubbio inclusa l’opera di Rita Tondo che riassume appieno il senso di
dignità dell’arte , che avrà sempre cittadinanza in ogni parte d’Italia e del mondo.
Arturo Tuzzi
TRA ARTE E CINEMA, A Brera una rassegna di film
sull’arte che ha avuto un notevole successo. Un progetto
di Francesca Alfano Miglietti, Laura Lombardi ed Elisabetta
Longari
recensioni / notizie
54
Tra le iniziative promosse dall’Accademia di Brera un felice riscontro ha avuto la rassegna Tra Arte
e Cinema, a cura di Francesca Alfano Miglietti, Laura Lombardi, Elisabetta Longari, film sull’arte
dell’archivio dello Schermo dell’arte di Firenze, il festival di cinema internazionale diretto da Silvia
Lucchesi, che dal 2008 riunisce documentari sui maggiori protagonisti dell’arte contemporanea
mondiale, ma perlopiù inediti in Italia (e non diffusi in dvd in commercio), ma soprattutto film
realizzati da artisti che usano il cinema come mezzo di espressione, anch’essi inediti.
Specie quest’ultimi hanno rappresentato per gli studenti un’importante occasione di confronto
con una forma di espressione artistica, quella del documentario appunto, che negli ultimi anni
è apparsa sempre più presente ai grandi appuntamenti espositivi, da Documenta di Kassel alla
Biennale di Venezia, e cinematografici - come la Biennale di Berlino, il Film Festival di Amsterdam
- per non citarne che alcuni, e qui spesso anche premiati.
I film, sottotitolati in italiano, sono stati suddivisi nelle quattro giornate per argomenti. Il primo
giorno due proiezioni: Megunica, documentario ma anche creazione artistica ibrida di Lorenzo
Fonda, narra il viaggio attraverso vari continenti dello street artist Blu, mentre The radiant
child (film questo non inedito) è lo struggente ritratto intimo di Basquiat realizzato, a partire da
un’intervista del 1986, dall’amica Tamra Davis, sullo sfondo del clima newyorkese, con le sue
impaginato10.indd 54
luci e le sue ombre, tra gli anni Settanta
e gli Ottanta. Il secondo giorno è stato
dedicato a due film d’artisti convinti che
l’arte non possa sfuggire al coinvolgimento
con la politica e con l’etica: Le ceneri di
Pasolini del cileno Alfredo Jarr è una
commovente rievocazione della figura e
dell’opera di Pasolini, svolta attualizzando
il precedente messaggio poetico che egli
aveva dedicato a Gramsci, attraverso
materiale d’archivio, spezzoni di film e
interviste a Pasolini, dal contenuto oggi
più che mai profetico.
A seguire il provocatorio e controverso
- che ha molto animato gli studenti Enjoy poverty III, di Renzo Martens,
artista olandese che viaggiando nella
Repubblica Democratica del Congo, con
un cinismo lucido, ben cosciente della
vanità della propria missione, ha voluto
attirare l’attenzione della popolazione
congolese, e di noi pubblico occidentale,
su quanto la povertà sia divenuta una
risorsa economica del paese sulla quale
tutti, perfino le associazioni benefiche
degli aiuti internazionali speculano. Il terzo
giorno è stato quello dedicato al tema degli
affari e del mercato: il film del duo Libia
Castro § Olafur Olafsson, che proprio
quest’anno rappresentano l’Islanda alla
Biennale di Venezia, è rivolto ad esplorare,
ma al ritmo quasi di un’operetta, il ruolo
dei lobbisti nella cornice istituzionale
del Parlamento Europeo: presentare a
Brera Lobbyist, esattamente il giorno
dopo l’approvazione a Bruxelles di un
documento sulla trasparenza che chiede
l’obbligo di iscrizione dei lobbisti in un
registro, è stata una felice coincidenza
‘storica’.
Di notevole impatto anche The
anarchist Banker di Jan Peter Hammer,
riadattamento in chiave contemporanea
dal racconto del 1922 di Fernando
Pessoa: può la ricerca della ricchezza
senza scrupoli coincidere con i più puri
principi dell’anarchia? A seguire The
great art contemporary bubble, la grande
bolla speculativa dell’arte contemporanea
che coinvolto il mondo dei mercanti e
delle case d’aste negli ultimi due anni,
raccontata dall’impertinente critico d’arte
e regista inglese Ben Lewis.
A conclusione una giornata dedicata
alle artiste donne: il ritratto dell’artista,
fotografa Francesca Woodman, morta
suicida a 22 anni, attraverso i ricordi dei
suoi genitori, anche loro artisti George e
Betty, ma anche di amici, oltre ad appunti
tratti dal suo diario intimo; The Woodman
di C. Scott Lewis è un film inquietante,
che apre molti interrogativi sui complessi
intrecci dei rapporti umani. A chiudere Our
city dreams di Chiara Clemente: cinque
ritratti di artiste, Swoon, Ghada Amer, Kiki
Smith, Marina Abramovic e Nancy Spero
e il loro rapporto con una città, New York,
che le ha, in vario modo, a lungo ispirate.
11-10-2011 9:17:47
DIFILIPPO
ROBERTO MAINI
Angeli,codici e manoscritti
STUDIO GALLERY A-A BREMEN
LIBERARSI È STUPENDO!
55
di Andrea B. Del Guercio
E’ la quarta volta che Domenico Difilippo torna a Brema, la prima
personale fu nel lontano 1991 alla Queens’ Gallery, dove per l’appunto
annunciò alla stampa tedesca il suo primo manifesto chiamato:
“Astrattismo Magico”, che ebbe notevole riscontro. Lo stesso anno
il direttore delle gallerie civiche di Ferrara Franco Farina lo inviterà
a tenere la sua prima personale in Italia sull’Astrattismo Magico a
Palazzo dei Diamanti.
ll lavoro finora osservato di Domenico Difilippo trova collocazione,
così come si è già ricordato, all’interno di una definizione di
“Astrattismo Magico”, progetto estetico del 1987 e fondato in un
manifesto a Brema dall’artista nel 1991, per cui ritengo significativo
dover specificare quelli che ritengo essere i nuovi contorni di una
generale tendenza della storia contemporanea dell’arte. (...)
E’ all’interno di un territorio rifondato di esperienze che colloco oggi
quest’ultimo ciclo plastico di Difilippo e più specificamente in relazione
con le condizioni di un “borderland”, cioè di un confine che diventa un
territorio, un paesaggio che si definisce attraverso la ricerca dell’arte
e si configura nell’esperienza; i materiali e le funzioni, i supporti
e le tracce propri del paesaggio roccioso di Domenico Difilippo
testimoniano l’avventura di un uomo che dalla pianura muove verso
l’origine, la solidità, la centralità, l’elevazione della materia.
(Milano 2002, dal catalogo della mostra allo Young Museum, RevereMantova).
*Domenico Difilippo è docente di Cromatologia all’Accademia di Bologna
impaginato10.indd 55
Opere 1973-2009
a cura di Eugenio Costa, Titta D’Aste, Sandro Ricaldone
con una nota di Rosa Matteucci
Il Canneto editore – Genova, 2011
Di Sandro Ricaldone
Liberarsi è stupendo, ma non ci si libera una volta per tutte: ricadere
è facile. Uscire dal cerchio delle convenzioni, sottrarsi “a tutto ciò
che è gerarchia sugli altri, a tutto ciò che è limitazione della libertà su
se stessi”, è un traguardo tanto problematico quanto rischioso. Fra
coloro che, in questo tentativo, hanno saputo fare di un vicolo cieco
una riserva dove radicare e dare forma a una personale visione del
mondo, Roberto Maini rappresenta un caso esemplare. Genovese,
classe 1942, Maini esordisce nel 1967 alla Bertesca, la galleria che
appunto in quell’anno ospita la prima mostra dell’Arte povera. E
in quell’ambito trova riscontri non secondari: nel ’69 è in collettiva
da Sperone a Torino; nel ’70 è incluso da Jean-Cristophe Amman,
a Lucerna, nella rassegna “Processi di pensiero visualizzati” che
raccoglie il Gotha della giovane avanguardia italiana, da Anselmo
a Zorio. Giunto così alle soglie del riconoscimento internazionale,
si eclissa però repentinamente dal circuito artistico. Si trasforma in
“Golasecca”, un perdigiorno che, seduto sui marciapiedi, inveisce
contro i passanti. Ma – come scrive Rosa Matteucci – questo
personaggio che parla come Tom Waits canta, con voce da orco, che
ha tutte le stimmate di un uomo fallito, riesce ugualmente a coltivare
un pensiero di bellezza che resiste alla barbarie figlia dell’indifferenza
recensioni / notizie
Da alcuni anni seguo con interesse l’attività artistica di Domenico
Difilippo, raccolta dallo stesso all’interno dei valori espressivi di
un ideale “Astrattismo magico” ed in particolar modo ho avuto
occasione di seguire la nascita e la compiuta definizione estetica di
un ultimo ciclo di opere caratterizzate da una mirata elaborazione
plastico-cromatica.
11-10-2011 9:17:49
e dell’autoreferenzialità. Al suo percorso segreto nella pittura l’editrice
“Il canneto”, il cui interesse per l’arte è testimoniato da pubblicazioni
di Nanni Balestrini e Fabio Mauri, di Giuliano Galletta e Piero
Simondo, dedica ora un volume della collana “imagina”, composto
essenzialmente di riproduzioni di opere dai colori squillanti, dove
nuvole, alberi, cieli stellati si animano di energia cosmica, cercando
di prefigurare, aldilà della “lettura classica”, limitata agli aspetti formali
e cromatici, l’aspetto “altro” delle cose che – come afferma l’autore solo la “lettura del futuro” potrà rendere manifesto.
Parola & Immagine tra didattica
e creatività
Un nuovo volume che raccoglie l’esperienza
fatta da Caterina Arcuri e Giulio De Mitri con
egli studenti dell’Accademia di Catanzaro
recensioni / notizie
56
Fresco di stampa e in distribuzione il volume “Parola & Immagine
tra didattica e creatività”, prodotto dall’Accademia di Belle Arti di
Catanzaro. La pubblicazione è stata realizzata e curata dagli artistidocenti Caterina Arcuri (II Cattedra di Pittura) e Giulio De Mitri
(Cattedra di Tecnica e tecnologia della Pittura) ed editata per la collana
Rubbettino Arte contemporanea. “Teorica, Saggi e Monografie”.
La pubblicazione è l’interfaccia del progetto culturale e di ricerca
interdisciplinare svolto dalla due Cattedre negli anni accademici
2007-2011.
Un entusiasmante percorso tra didattica e creatività, un laboratorio
delle idee e del fare che ha visto coinvolti gli studenti dell’Accademia
di Catanzaro in quest’ultimo quinquennio.
Incontri di esperienza, happening, workshop, mostre e performances,
un cantiere di lavoro specifico e variegato nei diversificati linguaggi
delle arti visive.
Un progetto interdisciplinare che parte dalla parola come verbo,
portatore di germi della creazione e raggiunge l’immagine che si
materializza come figura, simbolo, segno.
Un’esperienza educativa realizzata dentro e fuori le mura
accademiche, occupando spazi e territori diversi: dall’Arte Fiera di
Bologna a Piazza Matteotti di Catanzaro.
impaginato10.indd 56
Eventi che hanno reso protagonisti gli studenti che hanno riscoperto
possibilità di nuovi percorsi, e nuovi punti di vista sull’arte, che raccoglie
una grande valenza etica, morale, pedagogica e didattica e che
confluisce – come afferma il direttore dell’Accademia, nell’introduzione
al volume – in una unità di saperi (filosofia, antropologia, sociologia,
etc.) evolvendosi e producendo una cultura “altra”. Una ventata di
nuove esperienze e di cultura innovativa per gli stessi e per il territorio
calabrese. La pubblicazione raccoglie, in sette diversificati capitoli
(arte e filosofia; arte e società; arte e didattica; arte e new media;
arte e scienza; laboratorio creativo; il pensiero dedicato alla giovane
creatività) i contributi esperienziali di insigne personalità del mondo
accademico e artistico e le immagini che testimoniano e storicizzano
il progetto svolto.
Hanno contribuito alla realizzazione del volume: Renato Barilli,
Giorgio Bonomi, Simona Caramia, Miriam Cristaldi, Antonio d’Avossa,
Lucrezia De Domizio Durini, Anna Saba Didonato, Marilena Di Tursi,
Luigi Paolo Finizio, Massimo Iiritano, Rocco Pangaro, Enrico Pedrini,
Angela Sanna, Barbara Tosi.
Mentre chiudiamo il numero ci
giunge notizia che Letizia Moratti
si è dimessa dalla presidenza della
Commissione per la
“Grande Brera”.
La
realizzazione
dell’accordo
firmato più di un anno fa, sembra
nuovamente allontanarsi.
Cosa farà la nuova Giunta di Milano
guidata da Pisapia?
Cosa
ne
penserà
l’architetto
Bellini?
Quali iniziative prenderà il Ministro
Galan?
Come si muoverà il Commissario
Resca?
Sul prossimo numero daremo spazio
a questi approfondimenti anche
perchè il destino, l’ampliamento e
la valorizzazione dell’Accademia
di Brera porterebbero con sè la
valorizzazione conseguenziale di
tutte le altre accademie del nostro
sistema.
Questo Paese Italia sarà capace
d’investire
nell’alta
formazione
artistica?
I politici capiranno l’urgenza di
puntare sulle nostre eccellenze
culturali, sul patrimonio storico e
sulla ricerca?
La Redazione
11-10-2011 9:17:50
ARTISTI
SI NASCE
DA NOI SI
DIVENTA
CON LA STAMPA DIGITALE PUOI PUBBLICARE I TUOI CATALOGHI D’ARTE
IN PICCOLE TIRATURE E A COSTI CONTENUTI
CHIAMACI, TI CONSIGLIEREMO LA SOLUZIONE EDITORIALE PIÙ VANTAGGIOSA
Z.I. Via Antichi Pastifici - Molfetta - T 080.3381123 - www.limmagine.net - [email protected]
10 copertina academy - Copia.indd 4
11-10-2011 9:13:36
Scarica

pdf