La cultura economica in Italia nel Mezzogiorno fra le due guerre Napoli, 9 novembre 2013 Giuseppe Palomba: dalle radici ai confini dell’eterodossia economica Enrico Petracca Università di Bologna1 1. Introduzione e nota metodologica Il presupposto metodologico di questo saggio ricostruttivo del pensiero economico di Giuseppe Palomba è di carattere microstorico. La definizione più sintetica, ma anche più suggestiva, di microstoria recita che aderire ad una prospettiva microstorica significa fondamentalmente “asking large questions in small places” (Joyner, 1999, p.1). Il contributo portato da Giuseppe Palomba alla storia del pensiero e dell’analisi economica ha un carattere paradigmatico la cui ricostruzione può aiutare, a mio avviso, a far luce su problemi di vasta portata. In particolare, indagare la ricezione intellettuale ed istituzionale del suo pensiero economico può aiutare a mettere a fuoco il tema ampio, e spinoso, dell’eterodossia economica nel pensiero economico italiano del ‘900. Spingendosi oltre, si può cercare di individuare attraverso di esso alcuni tratti tipizzanti del rapporto tra le categorie di ortodossia ed eterodossia impiegate nella storiografia del pensiero economico. 1 CIS, Dipartimento di Filosofia, Via Zamboni 38, 40126 Bologna e Dipartimento di Economia, Piazza Scaravilli 2, 40126, Bologna. E-‐mail: [email protected] 1 Questo saggio reca come sottotitolo ‘dalle radici ai confini dell’eterodossia economica’, per indicare due punti nodali che ispirano questa ricerca: 1) l’eterodossia o, più in generale, qualsiasi peculiarità accademica, ha inevitabilmente delle radici, un humus nel quale si è sviluppata e da cui ha assorbito degli elementi caratterizzanti; 2) più difficile è invece stabilire i confini dell’eterodossia, l’upper bound come si dice, in grado di discernere normativamente, nello spirito demarcazionista, la scienza dalla non-scienza. Il confine dell’eterodossia è quel luogo dell’immaginario collettivo (accademico) in cui la scienza si trasforma in altro da sé. Nella mia prospettiva, questo percorso che va dalle radici ai confini dell’eterodossia è un percorso sia logico sia storico, che cioè riguarda sia le categorie analitiche impiegate per ricostruire la storia del pensiero economico sia la complessità e l’intreccio che si verifica nel dispiegarsi storico del pensiero economico stesso. L’analisi delle categorie senza storia o, viceversa, l’analisi della storia senza categorie, renderebbero ogni tentativo di affrontare il tema dell’eterodossia vano. Un primo ed importante interrogativo che emerge in questo contesto d’indagine riguarda la sufficienza delle usuali categorie analitiche. Sono le categorie di ‘ortodossia’ ed ‘eterodossia’ sufficienti ed esaustive rispetto alla ricchezza del pensiero economico? E’ a questo punto che il caso di Palomba assume la sua evidente rilevanza. I commentatori del pensiero di Palomba sono soliti porre l’accento sul carattere fortemente originale – sui generis si è detto – del framework palombiano2. Ciò pone un effettivo problema di categorizzazione: l’essere sui generis significa far parte di una categoria ulteriore ed autonoma rispetto all’eterodossia? Quali sono e dove si trovano i confini dell’eterodossia allora? A questo genere di domande cercherò di dare una risposta partendo proprio dalla storia di Giuseppe Palomba. 2 Palomba (1975a) stesso usava, per designare se stesso e un gruppo di economisti cui si sentiva vicino – tra cui Bruno de Finetti, Giovanni Demaria, Nicholas Georgescu-‐Roegen e François Perroux – l’espressione “eretici dell’economia matematica”. 2 2. Le radici dell’eterodossia palombiana Giuseppe Palomba nasce nel 1908 a San Nicola La Strada, in provincia di Caserta3, e compie i suoi studi all’Università di Napoli ‘Federico II’ intorno alla metà degli anni ’20. La sua formazione economica, le radici della suo pensiero economico quindi, sono profondamente legate al contesto partenopeo tra le due guerre mondiali. Nel 1925 si ha l’incontro che segnerà la sua vita intellettuale ed accademica, quando frequenterà un corso di economia matematica tenuto da Luigi Amoroso. Durante quel corso sarà “fortemente suggestionato” (Palomba, 1980, p. 221) dalla problematica della dinamica economica ed allo stesso tempo insoddisfatto dagli strumenti analitici predisposti dalla Scuola di Losanna per affrontare la “fenomenica economica” (ibid.). E’ possibile riconoscere come questa insoddisfazione fosse in un certo qual modo sentire comune della Scuola italiana di dinamica economica post-Paretiana, scuola della quale Palomba è annoverato tra i membri della seconda generazione (Tusset, 2004). In quel periodo infatti, “the progressive abandonment of the evolutionary perspective, followed by strengthening of the static neoclassical method widened the interest in dynamic features. The logical outcome should have been dynamic equilibrium, but economists needed an instrument that would also enable them to explain the deep and rapid transformations affecting economic reality and productive systems from the nineteenth century to the twentieth century. The result was economic dynamics as an analysis of economic changes” (Tusset, 2009, p. 269) La nuova concettualizzazione del dominio dell’economia come di un dominio storicamente mutevole, in cui emergono continuamente ‘fatti nuovi’, portava inevitabilmente, sulla scorta delle intuizioni di Pantaleoni (Giocoli, 2006), ad intendere la dinamica come cambiamento. Le radici dell’opera di Giuseppe Palomba sono pertanto perfettamente integrate con quel retroterra culturale post-paretiano, ma anche post-pantaleoniano, le cui ambiziose aspirazioni – il fare i conti con il cambiamento qualitativo – non potevano che richiedere un nuovo sforzo di ‘immaginazione analitica’. E’ proprio l’esito di questa immaginazione analitica l’oggetto della ricostruzione che 3 Per ulteriori informazioni biografiche si veda Fusco (1986). 3 segue. Ha quella immaginazione violato il confine dell’eterodossia e quindi un confine di senso? L’esito della mia ricostruzione – che qui anticipo – è che lo stigma dell’idiosincrasia palombiana è ingiustificato, se soltanto quella linea di continuità, e quindi di senso, spesso negata la si cerca ampliando lo sguardo, sia temporale che geografico. Le linee di continuità in Palomba sono tali che ciò che è definito eterodosso o, peggio, idiosincratico nel contesto degli studi di economia italiana del secolo breve è ortodossia altrove, o sarà ortodossia in seguito. Prima di passare alla trattazione più estesa di punti specifici che sostanzino tale giudizio, vorrei proporre un estratto dall’Introduzione alla Economica del 1950, che ci aiuta a capire come il costruirsi del pensiero di Palomba sia espressione di lucida e forse sofferta consapevolezza. “[Il mio obiettivo]” – diceva Palomba – “[è giungere alla] chiarificazione di molti problemi che appunto affliggono l’umanità di oggi. Per raggiungere questo obiettivo bisogna avere indubbiamente del coraggio ed io ne ho dovuto avere parecchio nello scrivere le pagine che seguono. Checché se ne dica o se ne pensi, non c’è stata epoca storica più ricca di pregiudizi e più povera di discernimento di quella attuale! Per quanto riguarda l’economia politica la cosa raggiunge dei limiti che davvero ci dovrebbero lasciare esterrefatti. Qui […] si guarda con enorme sospetto al presente e, più di tutto, al futuro; qui l’unico periodo di splendore è ritenuto quello che corre, all’ingrosso, fra la fine delle guerre napoleoniche e l’inizio della prima guerra mondiale, un periodo di cento anni precisi. Questa mi pare la più strana affermazione che si possa mai formulare” (1950, pp. vii-ix) Lo sguardo di Palomba, a quanto si evince da questo passaggio, è orientato alla costruzione di una teoria economica ‘del futuro’. Tale obiettivo passa attraverso una rivalutazione del presente storico, e si tramuta in una valorizzazione etica della prassi di ‘guardarsi intorno’ e di ‘guardare oltre’, che come tale non vuole essere deviante, anche se poi tale si dimostra nell’agire locale. Il primo importante contributo di Palomba è del 1939, con il titolo di Introduzione allo studio della dinamica economica. In esso si rinviene già l’andamento tipico del pensiero palombiano: partire da ciò che è assodato ed andare a speculare, anche audacemente, su quelle solide fondamenta. Ciò che è assodato è evidentemente, agli occhi di Palomba, la teoria dell’equilibrio economico generale stazionario. Partendo da qui, il suo contributo segue 4 costantemente l’obiettivo – in sé quasi ossimorico – di essere allo stesso tempo incrementale e originale. Incrementale ed originale è, per esempio, la prospettiva di indagare l’equilibrio economico generale abbandonando una prospettiva micro-cosmica, secondo cui l’equilibrio dipende dai parametri individuali degli agenti, per assumere invece una una prospettiva macro-cosmica, secondo cui l’equilibrio è definito in termini medi e statistici (p. 76). Questo cambiamento di prospettiva lo porta ad elaborare una proto-teoria della complessità del sistema economico. In un modello di equilibrio economico generale a due settori produttivi – beni di consumo e beni strumentali – ed n imprese, Palomba indica con v le unità di beni strumentali che si possono ripartire tra le n imprese e µ la somma delle unità di beni diretti e strumentali insieme che si possono ripartire tra le medesime imprese (quindi, µ > v). Egli individua, mettendo a rapporto queste espressioni, il cosiddetto ‘grado di complessità dell’equilibrio economico’, indicato con W: 𝑣+𝑛 ! 𝜇! 𝑣 + 𝑛 ! 𝑊 = 𝑣! 𝑛! = 𝜇 + 𝑛 ! 𝑣! 𝜇 + 𝑛 ! 𝜇! 𝑛! Questa è una misura probabilistica che vuole rappresentare, nel caso in cui ciascuna impresa produca o solo beni di consumo o beni strumentali, la probabilità che un’impresa scelta a caso produca beni strumentali. Alternativamente, nel caso in cui ogni impresa possa produrre entrambi i beni, esso esprime il rapporto più probabile tra beni di consumo e beni strumentali prodotto da ogni impresa (pp. 81-82) (vedi anche Scazzieri, 2012). Il rapporto, che varia per costruzione tra 0 e 1, è massimo nel caso in cui un sistema economico di riferimento sia ad elevato ‘grado di intensità capitalistica’, viceversa è minimo nel caso il sistema sia ad un più basso ‘grado di intensità capitalistica’. A questa rappresentazione, che è ancora statica, Palomba associa una rappresentazione dinamica ciclica. Il suo modo di procedere è ancora allo stesso tempo 5 incrementale e originale, costruendo sulle intuizioni di Guglielmo Masci, secondo cui il ciclo economico è determinato appunto da un ciclico spostamento di capitali dalla produzione di beni di consumo alla produzione di beni strumentali. La sua proposta analitica ha una originalità notevole poiché, come ha rilevato Giancarlo Gandolfo (2008), egli si serve per la prima volta in assoluto dello schema delle equazioni di Lotka-Volterra in un contesto economico. Può non essere superfluo sottolineare, viste le finalità di questa indagine, che nella vulgata storica il primato dell’impiego delle equazioni di Lotka-Volterra in economia sarà assegnato a Richard Goodwin (1965), in uno scritto di quasi 25 anni posteriore. 3. Palomba e l’ ‘economia per gruppi di trasformazioni’ In questo saggio mi soffermerò su quello che è il contributo più compiuto ed originale di Palomba, che è allo stesso tempo il più denso ed articolato: la sua cosiddetta ‘economia per gruppi di trasformazioni’ (Tusset, 1998). Questo approccio radicalmente nuovo alla dinamica economica concepita come cambiamento è stato presentato in tre articoli, pubblicati a breve distanza l’uno dall’altro nel Giornale degli Economisti ed Annali di Economia (Palomba, 1968 1969a, 1969b), intitolati ‘Considerazioni gruppali come base dell’economia matematica’. La nozione cardine di questo nuovo apparato teoretico è la nozione matematica di ‘gruppo di trasformazioni’. Un ‘gruppo di trasformazioni’ matematiche è definito, sinteticamente, come quell’insieme di trasformazioni che condividono un medesimo operatore. Per illustrare la nozione di operatore in economia, Palomba utilizza un modello di equilibrio di pura preferenza e lo rappresenta come applicazione di un generico operatore lineare (Palomba, 1968, pp. 770-771). Si consideri un agente dotato, in uno stato iniziale, di un vettore qn di n beni e di un criterio di preferenza (rappresentato da una matrice ars , che esprime il criterio di scambio tra ogni coppia di beni). Lo stato finale, d’equilibrio, qn’ è l’esito del processo d’aggiustamento in base al criterio di preferenza, dati i prezzi dei beni. L’insieme delle trasformazioni 6 [q][ars]=[q’]T definisce il gruppo di trasformazioni associate all’operatore lineare [ars]. Sulla base di questa rappresentazione dei fenomeni economici, Palomba costruisce una ‘stratificazione’ di teorie assiomatizzate, i cosiddetti ‘livelli’ assiomatici4. Ogni livello assiomatico definisce uno specifico fenomeno economico (e.g. concorrenza, monopolio, oligopolio, economia pianificata) attraverso uno specifico operatore e quindi uno specifico gruppo di trasformazioni. Il livello assiomatico 0, per esempio, definisce il fenomeno dell’ equilibrio concorrenziale5 rappresentato, come abbiamo visto in maniera stilizzata, da un operatore lineare e da un corrispondente un gruppo di trasformazioni. Il livello assiomatico 1 è un’elaborazione del precedente livello, nascendo dalla considerazione che nella versione dell’equilibrio economico di Amoroso i profitti non sono più necessariamente nulli in ogni istante del tempo; pertanto c’è bisogno di una teoria che spieghi la determinazione del profitto a livello intra-aziendale. A tale teoria Palomba aveva dedicato particolare attenzione nel suo unico lavoro pubblicato in lingua inglese, A Mathematical Interpretation of the Balance Sheet del 1967. Nel livello assiomatico 1, l’operatore impiegato è l’operatore hermitiano, lo stesso, per intenderci, usato nell’equazione di Schrödinger per determinare probabilisticamente posizione e velocità di una particella quantistica. Nella reinterpretazione palombiana, questo operatore è usato per minimizzare la discrepanza tra le distribuzioni di probabilità associate a diverse versioni di conto economico e stato patrimoniale, in modo da avere una determinazione del profitto ‘più probabile’. I livelli assiomatici 2 e 3 rappresentano invece il fenomeno delle forme di mercato di monopolio ed oligopolio. Queste 4 Per una particolareggiata ricostruzione del ‘livelli assiomatici’ di Palomba si veda Tusset (1998). Nonostante Palomba non identifichi esplicitamente un ‘livello assiomatico 0’, l’equilibrio competitivo (nelle sue diverse varianti) costituisce il punto di partenza delle sue speculazioni. Ho preferito pertanto inserirlo esplicitamente nella sequenza dei livelli assiomatici. 5 7 assiomatizzazioni partono dal presupposto che una variabile proxy del potere di mercato sia la velocità di ammortamento del capitale dell’impresa. Una maggiore velocità di ammortamento del capitale è associata alla crescita economica di un’impresa ed al relativo potere di mercato, mentre una minore velocità è associata alla stagnazione economica e ad un minor potere di mercato. Questa variabile proxy è metaforicamente pensata come deformante lo spazio-tempo in cui un’impresa opera, in continuità con quanti, quali Ferencz Janossì e Giovanni Demaria, parlavano di un ‘tempo proprio dello sviluppo’ di un’unità economica. Questa deformazione dello spazio-tempo economico6 fa emergere un problema di comparabilità tra unità economiche. Per rimediare a tale problema è necessario un operatore relativistico che riallinei i ‘tempi propri’ delle imprese e le renda comparabili: un gruppo di trasformazioni individuato da Palomba nelle trasformazioni di Lorentz. Mentre le trasformazioni di Lorentz hanno validità solo in relazione ad una velocità d’ammortamento costante tra imprese, al livello assiomatico successivo, il livello assiomatico 3, queste trasformazioni sono sostituite introducendo un tensore metrico, che permette di trattare velocità d’ammortamento variabili anche all’interno della stessa impresa7. Al livello assiomatico 4, infine, è rappresentato il fenomeno dell’economia pianificata. In esso, il gruppo di trasformazione coinvolto è il gruppo di Fantappiè o di ‘relatività finale’, introdotto dal matematico italiano Luigi Fantappiè. L’obiettivo dell’impiego di tale gruppo di trasformazioni è quello di generare una concordanza tra il ‘tempo proprio’ in cui un’unità economica opera ed un ‘tempo massimo’ fissato dalla pianificazione economica. Le peculiarità di tale complessa architettura assiomatica sono, anche a prima vista, molteplici. Innanzitutto, la stratificazione assiomatica è intesa a rappresentare non una generica dinamica economica, ma un vero e proprio percorso di cambiamento economico. Ogni livello assiomatico è concepito esprimere, attraverso il fenomeno economico in esso rappresentato, un 6 In termini di rappresentazione analitica, questa deformazione metaforica dello ‘spazio-‐tempo economico’ è resa attraverso un cambiamento di metrica dello spazio geometrico in cui è eseguita l’assiomatizzazione (per una definizione di metrica in questo contesto si veda Palomba, 1969b, pp. 593-‐594) 7 Lo stesso apparato analitico impiegato per trattare di imprese si può estendere, concettualmente, per trattare di altri tipi di unità economiche quali regioni, stati, ecc. 8 determinato periodo storico. Il livello assiomatico 0, per esempio, è inteso rappresentare un’economia pre-novecentesca in cui, a dire di Palomba, il fenomeno della competizione sarebbe stato preponderante. In termini sequenziali, il primo-novecento sarebbe invece stato caratterizzato da forme di mercato non competitive, come monopoli e oligopoli8. Infine, la pianificazione economica è assurta come ‘fine della storia’. Alla luce di queste considerazioni è significativamente esplicativa la definizione che Palomba dà di scienza economica “come sintesi tra storia e natura” (Palomba, 1975b, p. 16). E’ l’enfasi sulla storia, e sui ‘fatti nuovi’ che in essa costantemente si generano, che esprime il carattere più pantaleoniano di Palomba. A tal proposito, può essere utile rileggere l’architettura assiomatica di Palomba attraverso la celebre metafora pantaleoniana del ‘cinematografo’ (Pantaleoni, 1907). Impiegando questa metafora si può dire che le successive assiomatizzazioni proposte da Palomba altro non sono che delle diapositive che, scorse in modo sequenziale, restituiscono il filmato della storia (economica). Il carattere più paretiano di Palomba è invece rintracciabile nel principio ispiratore delle assiomatizzazioni palombiane, quello che Palomba stesso arriva a definire, sulla scorta di Amoroso (1957), una legge di natura: l’equilibrio ed il principio marginalistico che lo informa. Come Palomba stesso afferma: “il principio marginalistico [...] costituisce una proprietà invariantiva [...] non solo d’un qualsiasi equilibrio ad un qualsiasi livello di assiomatizzazzione (naturalmente ragionevole); ma anche di ogni ordinamento economico, sia a base individualistica, sia a base socialistica (naturalmente anch’esso plausibile)” (Palomba, 1970a, p. 49, n. 10) All’interno dell’architettura teoretica, infatti il 8 In realtà, sembra che il Palomba-‐matematico sia stato eccessivamente netto e frettoloso nell’espressione di giudizi storici che altrove, come Palomba-‐storico, ha espresso con molta più ricchezza e puntualità. 9 “nostro scopo è proprio quello di giungere, coll’ausilio di assiomatizzazioni adeguate, a visioni sempre più generali dell’economia paretiana onde riemergano concezioni corrispondentemente più universali del concetto di equilibrio e dell’invariante fondamentale che vi si connette costituito dal principio marginalistico e dal massimo ofelimitario che se ne deduce” (ibid., p. 47) Ogni livello assiomatico esprime, nella visione palombiana, una differente realizzazione del principio marginalistico, che opererebbe all’interno di pur diverse configurazioni di mercato. Tale ‘legge di natura’ è rappresentata infatti in tutti i differenti livelli assiomatici, sebbene di volta in volta emerga il problema di renderla intelligibile al netto delle deformazioni di metrica (attraverso i vari operatori). Il problema dell’intelligibilità del principio marginalistico nelle varie assiomatizzazioni però non è solo un problema matematico ma anche interpretativo: tali assiomatizzazioni, infatti, “non significano affatto che equilibrio e principio marginalistico continuino a significare le stesse cose che significavano e continuano a significare nell’universo paretiano” (1970a, p. 48). In un altro passo, Palomba chiarisce che la ritenzione dell’invariante ‘equilibrio’ è solo formale e non semantica, ovvero che ciò che permane non è il senso comune della nozione di equilibrio, ma delle semplici proprietà formali ad esso associabili (Palomba, 1950, p. 337). Come si è già notato leggendo alcuni passi precedenti, Palomba enfatizza un ulteriore aspetto matematico dell’architettura, cioè il progressivo livello di generalizzazione che si acquista progredendo nella stratificazione assiomatica. Ogni livello assiomatico è concepito non solo come espressione di uno specifico fenomeno economico, che a sua volta ‘incarna’ uno specifico periodo storico ma, in più, ogni fenomeno è pensato come a generalizzare il livello assiomatico precedente che diventa, per converso, un caso particolare. L’assiomatizzazione monopolistica, per esempio, ingloba come caso particolare l’assiomatizzazione concorrenziale, e così via di seguito. Citando Albert Lautman, filosofo della matematica, Palomba afferma che questa sequenza assiomatica è una sorta di ‘ascensione fino all’assoluto’. Evidente e conscio è quindi il significato che Palomba 10 attribuisce alla sua sequenza assiomatica come tentativo di replica in chiave economica del famoso ‘Programma di Erlagen’ in geometria (si veda Fusco, 1986). 4. I confini dell’eterodossia palombiana Nonostante pochi e meritori casi, la figura di Palomba non ha ricevuto probabilmente sufficiente attenzione nel dibattito storiografico. Se vogliamo usare le categorie di Faucci (2000, p. 15), si sarebbe propensi ad indicare Palomba più come un autore ‘trascurato’ e ‘dimenticato’ piuttosto che come ‘autore minore’ o ‘scrittore di temi speciali’. E’ questa, infatti, la valutazione di Philip Mirowski (1986, p. 202), che considera Palomba un “forgotten” del pensiero economico, ponendolo al fianco di altri eminenti economisti a suo avviso dimenticati, quali Benoît Mandelbrot e Ladislaus von Bortkiewicz. L’obiettivo di questa parte della mia presentazione è quello di leggere il contributo di Palomba identificando i punti di connessione del suo framework con fondamentali tendenze dell’economia sia coeva sia successiva. Ciò che emerge da questa ricostruzione è non solo che i confini dell’eterodossia palombiana sono radici di un pensiero economico ancora da venire ma anche, e forse decisivamente, che Palomba istituisce un legame di continuità con tendenze del pensiero economico a lui coeve, ma distanti geograficamente. Il giudizio di eterodossia e di idiosincrasia associato al suo pensiero dovrebbe essere pertanto ri-qualificato, alla luce di questi riconoscimenti. L’impiego della prospettiva assiomatica è un punto cruciale della tesi appena enunciata. E’ il 1959 l’anno in cui Gérard Debreu ha fissato i canoni dell’approccio formalista-bourbakista all’assiomatizzazione in economia, destinato ad avere una decisiva eco sul modo in cui l’economia matematica sarà intesa nei decenni successivi, fino ad oggi (Weintraub, 2002). Palomba è tra i primissimi ad intuire la portata metodologica del termine ‘assiomatica’ in economia. Più che alla 11 distinzione tra assiomi, regole d’inferenza e teoremi, l’implicita aderenza di Palomba all’assiomatizzazione à la Debreu è relativa al carattere formalista. Questo carattere è sintetizzato nella massima metodologica debreuiana che “an axiomatized theory has a mathematical form that is completely separated from its economic content. If one removes the economic interpretations […] its bare mathematical structure must still stand" (Debreu, 1986, p. 1265, emphasis added). Il formalismo si caratterizza per la programmatica distinzione tra struttura matematica ed interpretazione delle teorie. Seguendo questa prospettiva, Palomba mutua la struttura matematica di ogni livello assiomatico dalle teorie fisiche, che vengono re-interpretate in termini economici. Usando i termini della logica-matematica, si può dire che l’approccio assiomatico di Palomba è fondamentalmente model-theoretic9 (Mongin, 2003), in cui la disciplina che fornisce le strutture sintattiche è la fisica, mentre l’economia si limita a fornire la semantica. Quella di Palomba è infatti una Fisica Economica (Palomba, 1966) o, in termini contemporanei, una econofisica, disciplina di assoluta centralità contemporanea, della quale egli si può certamente annoverare tra i padri fondatori. Il sogno di stabilire un parallelo consistente tra fisica ed economia è stato perseguito dagli economisti dalla seconda metà del XIX secolo ad un livello prevalentemente metodologico, in modo da giungere ad un avvicinamento tra statuti epistemico-metodologici delle due discipline. L’econofisica è una disciplina che fa un passo ulteriore, accettando addirittura gli stessi apparati teorici – cioè la medesima formulazione matematica delle teorie – della fisica. Come Mirowski afferma nel suo More heat than light (1989), gli economisti neoclassici che si sono avvicinati alla fisica e all’econofisica hanno sottovalutato due aspetti fondamentali della relazione orizzontale tra economia e fisica: 9 Il termine modello in un contesto di ‘sistemi formali’, come concepiti in logica matematica, ha un impiego differente rispetto a quello usato nella teoria economica. In breve, i ‘modelli’ di una teoria formalizzata riguardano gli aspetti semantici ed interpretativi di essa. 12 1) considerazioni relative alla ‘chiusura’ e ‘conservazione’ nelle formulazioni teoriche, in modo quindi dissimile dalla fisica, quantomeno quella di matrice classica e termodinamica, in cui le questioni di conservazione dell’energia diventano centrali ed imprescindibili; 2) considerazioni relative alla struttura ed alla simmetria delle teorie. Palomba, al contrario, sarebbe conscio di entrambe le questioni, che invece assumono una decisiva centralità all’interno della sua formulazione teorica. C’è probabilmente questa meritoria consapevolezza alla base del rifiuto delle tecniche più classiche dell’economia matematica – l’ottimizzazione vincolata. Rifiuto che, per Mirowski (1986, p. 202), è costato l’oblio a Palomba. Ma è il secondo punto, quello relativo alla struttura ed alla simmetria nella formulazione teorica che è più evidente nella formulazione teoretica di Palomba10. In un mio recente scritto rifletto sulla possibilità di individuare in Palomba un precursore di un filone di pensiero filosofico che si svilupperà compiutamente solo a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, quello di ‘realismo delle strutture’ (structural realism) (Petracca, 2013). La pur breve rassegna dello scritto Introduzione allo studio della dinamica economica mette in luce un ulteriore aspetto dell’econofisica palombiana, quello dell’approccio statistico allo studio dei sistemi economici. C’è un problema di attribuzione nella disciplina econofisica rispetto a quali siano da considerare dei genuini lavori di econofisica. La discriminante sembra essere individuata nell’enfasi sulla prospettiva statistica e probabilista ai fenomeni economici: una prospettiva che Palomba evidentemente sposa. Nella costruzione dell’indice del ‘grado di complessità dell’equilibrio economico’ si può facilmente individuare una eco degli strumenti analitici di termodinamica statistica. Un approccio questo che avrà solo negli anni ’90 una sua consacrazione 10 Un economista italiano che ha condiviso con Palomba un diretto interesse per struttura e simmetria delle teorie economiche è Giovanni Demaria (1956). Palomba non è avaro di crediti verso l’influenza di Demaria, riconoscendo in alcuni “scritti giovanili” di Demaria la fonte di ispirazione del suo progetto di riduzione del fenomeno economico all’ “algebra astratta” (Palomba, 1968, pp. 794-‐795). 13 accademica in economia con il Santa Fè Institute. Come non ricordare, in questo contesto, l’oggi piuttosto utilizzato ‘economic complexity index’ (Hausman et al. 2011). Un ultimo punto che vorrei enfatizzare rispetto ai confini dell’eterodossia palombiana riguarda gli strumenti matematici dei gruppi di trasformazione. Questo tipo di matematica, come abbiamo accennato, non fa parte degli strumenti formali più di frequente impiegati degli economisti, più propensi allo studio e applicazione del calcolo infinitesimale. L’impiego di questa branca della matematica in economia sembra quindi pionieristico e meritorio di per sé. Ma c’è di più. Tusset (1998, p. 53, n. 71) sottolinea giustamente l’erroneità del giudizio storico espresso da Samuelson nella prefazione ad un volume del 1981 di Ryuzo Sato: Samuelson saluta quell’opera di Sato come il primo esempio di compiuta applicazione in economia della matematica dei gruppi di trasformazione di Lie, un giudizio evidentemente errato alla luce del contributo di Palomba11. La barriera linguistica ancora una volta ha mietuto delle vittime nella memoria storica, cui solo una storiografia del pensiero economico di respiro internazionale può porre rimedio. 5. Conclusioni In queste considerazioni conclusive cerchiamo di isolare qualche punto fermo rispetto alla questione di partenza che ci eravamo posti, ovvero la categorizzazione del pensiero di Palomba come ‘ortodosso’, ‘eterodosso’ o ‘sui generis’. E, più in generale, possiamo essere più vicini a rispondere alla domanda se queste categorie, per come vengono impiegate, esauriscono sufficientemente l’armamentario categoriale degli storici del pensiero economico. Come abbiamo cercato di dimostrare in questo saggio, la categoria di idiosincrasia è probabilmente insufficientemente informativa per caratterizzare il pensiero economico di Palomba. Innanzitutto, il pensiero di Palomba ha delle radici molto evidenti nella scuola di economia 11 Mirowski (1986, p. 236, n.11) afferma che più o meno nello stesso periodo Robert Clower, in un manoscritto non pubblicato, utilizza la teoria dei gruppi di trasformazione per affrontare l’analisi di fenomeni monetari. 14 dinamica della seconda generazione post-paretiana. Ma anche gli esiti del pensiero palombiano hanno delle linee di connessione molto forti con filoni programmatici non contigui, né geograficamente né temporalmente. E’ la non-contiguità geografica, ovvero la connessione tra il pensiero di Palomba e filoni programmatici esistenti al di fuori dell’Italia dell’epoca a porre degli interrogativi più forti dal punto di vista delle nostre categorie. E’ legittimo, infatti, dichiarare ‘idiosincratico’ o ‘eterodosso’ un filone programmatico che altrove è già ‘ortodossia’? Un discorso a parte invece merita il ruolo di Palomba come anticipatore di tendenze future, come un capostipite, se vogliamo, dell’ ‘ortodossia del futuro’. Molti intellettuali sono soliti storcere il naso rispetto a ciò che il sociologo della scienza Robert K. Merton ha definito ‘adombramentismo’ – un termine evidentemente dispregiativo – come quella “ricerca deliberata e coscienziosa di tutte le possibili versioni precedenti di una idea scientifica” (2000 [1976], p. 40). L’adombramentismo è una prassi da maneggiare con cautela, poco fruttuosa o addirittura sterile nel momento in cui le linee di connessione che si vogliano ricercare siano deboli e confuse. Luigi L. Pasinetti (1986) ha mostrato come la ricerca di connessioni e anticipazioni di idee moderne in autori del passato – il suo target era il rinvenimento di teorie del valore in Ferdinando Galiani – sia poco fruttuoso nel momento in cui le connessioni si vanno a ricercare in un passato ‘pre-analitico’. Tutt’altro caso è quello in cui i rapporti di precedenza sono individuati in un contesto decisamente analitico, come quello di Palomba. Il rapporto ‘purista’ con la disciplina fisica e con le teorie fisiche, la sistematica reinterpretazione di esse in termini economici, l’attenzione per le strutture e per la simmetria nella teoresi, il porsi il problema di ‘chiusura’ delle teorie e l’approccio statistico alla complessità non sono tratti transitori del pensiero palombiano, ma dei pilastri costitutivi pienamente sviluppati. Il tentativo che ho portato avanti in questo saggio oltre che non essere ‘adombramentismo’ non è neanche ‘revisionismo’. O, per lo meno, non è un revisionismo fine a se stesso, se accogliamo l’idea crociana che ‘ogni storia è storia contemporanea’. L’econofisica certamente fa parte del 15 nostro presente e le sue radici acquisiscono perciò una nuova dignità e richiamano attenzione. E’ singolare che sia un autore come Mirowski, studioso di primario richiamo internazionale, a dire che “it is imperative that the reader not write [these contributions] off as irrelevant or simply quirky” (Mirowski, 1989, p. 395). Egli si riferisce ad autori come Palomba e altri che hanno concepito forse radicalmente il rapporto tra fisica ed economia, ma che proprio per questo devono essere considerati attentamente, se si vuole fornire una storia completa del rapporto orizzontale tra fisica ed economia. Mirowski che ha letto Palomba solo in francese12 o in inglese. Potrebbe essere di inaspettatamente ampio interesse internazionale una sistematica riconsiderazione di questo autore oggi quasi dimenticato. Bibliografia Amoroso, L. (1957) Le leggi naturali dell'economia politica, Roma: Edizioni Ricerche Debreu, G. (1959) The Theory of Value: An axiomatic analysis of economic equilibrium, New York: Wiley Debreu, G. 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