Edizione: 18/03/01 Libero domenica - pagina 13 - stampata da: marchi alle ore: 21.52.20 - colore Domenica, 18 marzo 2001 13 ITALIA «Formidabili gli Anni ’70 e un calcio senza stress: io “sorcino” andavo a vedere Renato Zero e posavo per la pubblicità. Lo scudetto mancato e il ko prima della finale dei Mondiali le delusioni maggiori della carriera » «Massaro per noi era “Lazzaro”, Socrates non voleva correre e Batistuta sembrava scarso. Quando feci l’attore con Pieraccioni. Fatemi scegliere i migliori compagni di sempre e vinco il tricolore, ma la Fiorentina di adesso rischia la B» Dal nostro inviato Alessandro Dell’Orto FIRENZE - Quei cinque minuti che ti cambiano la vita, le abitudini, il futuro. Una firma, una parola di troppo, un no e puff, è tutto da rifare. Succede che sei stato per quasi 30 anni la bandiera di una società e di una città e dici basta. Dici addio, sperando in un arrivederci. Giancarlo Antognoni è la Fiorentina, Firenze. Lo è stato da quel lontano 1972, quando ha vestito per la prima volta la casacca viola, fino a due settimane fa, quando ha mandato a quel paese Cecchi Gori e una dirigenza confusa. Lo è stato da giocatore, capitano, eroe, vecchia gloria, dirigente, amante tradito. Ma lo è tuttora, da ex. Giancarlo Antognoni è ancora Firenze e la Fiorentina, e la gente sta con lui. Ha 47 anni, con le cicatrici, e si sta riorganizzando la vita per riuscire a convivere con il giglio appassito: beve un caffè e firma autografi, parcheggia la macchina e stringe mani, si toglie il cappotto e regala promesse. Di tornare, e riabbracciare la sua amata senza dover fuggire a Milano con Terim e Rui Costa. Tornare, magari da presidente con Benetton, come vorrebbero gli ultrà che oggi allo stadio promettono l’ennesima dura contestazione, e con Cecchi Gori lontano, lontanissimo. Fantacalcio, Fantafiorentina, forse. Unico appiglio per Antognoni, Firenze e un matrimonio con le corna. Iniziamo con la fine. Sabato 24 febbraio, summit a casa Cecchi Gori. «Avevamo pareggiato 2-2 col Brescia. Arrivo e trovo Sconcerti al telefono, capisco che dall’altra parte c’è Mancini. Penso, ma come? Poi le discussioni e il presidente che annuncia: “Cacciamo Terim”. Io mi oppongo, spiego che non sono d’accordo e se lo fanno me ne vado pure io. Ci vuole una lettera di dimissioni, dice Cecchi Gori credendo di mettermi a tacere. Mi faccio dare un foglio e preparo il licenziamento, senza data. Poi la firma e addio Fiorentina dopo quasi 30 anni». Il passato cancellato in pochi minuti. «Cinque minuti. Potevano esserci alle spalle 100 anni o 2 mesi, non sarebbe cambiato nulla. L’istinto è stato quello di andarmene per rispetto verso la gente: questione di coerenza. I tifosi mi amano ed è la soddisfazione più grande. Con i soldi si compra tutto, ma non la fiducia delle persone. Questa è la verità. Solo questa». Salto all’indietro e all’inizio, estate del 1972. «Poco più che ragazzino, la Fiorentina mi aveva comprato dall’Asti Ma. Co. Bi., club di Asti che militava in serie D. Arrivo a Firenze e mi sembra di essere al centro del mondo. Grande città, il calore della gente, la vicinanza alla mia Umbria. Amore a prima vista». Amore e fedeltà: in quasi 30 anni mai un tradimento. Eppure di occasioni ce ne sono state. «Ho barcollato soltanto una volta. Stagione 1980, mi telefona Viola e mi propone il trasferimento alla Roma. Ci ho pensato, e molto. Ma alla fine ho detto no». Da Antognoni ragazzino ad Antognoni adulto. Trent’anni per imparare a...? «Essere meno buono. Lo sono sempre stato, e a Firenze si dice: “troppo buono, troppo bischero”. Non sono più bischero, ora». Continuiamo a giocare con il tempo e allacciamo le cinture: 15 ottobre 1972, Verona-Fiorentina 1-2. Esordio ed elogi, con Tuttosport che titola: “Antognoni, è nato un campione”. «Ricordo, ricordo. Un articolo di Vladimiro Caminiti. L’ho conservato. Erano gli inizi, il primo impatto col grande calcio. Una Fiorentina giovane con grandi allenatori». Liedholm, poi Rocco, Radice e Mazzone. «Personaggi unici. Liedholm trasmetteva una calma pazzesca e con lui era impossibile agitarsi. Rocco ti lasciava grande libertà, Radice era giovanissimo e all’avanguardia. Ma il ruolo dell’allenatore contava di meno». E Mazzone? «Ora è uno dei più grandi tecnici, ma al tempo era inesperto. Aveva regole rigide e pretendeva di farci magiare sempre la minestrina, non credo che lo faccia ancora: difficile pensare a Baggio col brodino...». Calcio Anni ’70, ne parla con nostalgia. «Altri tempi. Ero giovane, posavo per le pubblicità di vestiti ed ero l’idolo di tutti. Anni in cui andavo a mangiare e non pagavo mai, fuggivo per non perdermi i concerti di Renato Zero». ”Sorcino”? «Mi piaceva. Gran cantante e gran personaggio: era Renato Zero d’assalto». 2. .HA CONQUISTATO I MONDIALI DELL’8 o i è nato a Marscian Giancarlo Antognon l 1954. Acquistato dal de (Perugia) l’1 aprile ti Ma. Co. Bi., nel 1972 ’As all ato lia Torino e gir Fiorentina. In mag è stato ceduto alla 1 presenze, record di 34 mviola ha totalizzato ando 61 reti in ca dzz ali re , pi tem tti tu l’a 87 19 l Ne . lia a Ita pionato e 10 in Copp Losanna, in Svizzera. al za ien er sp l’e e dio nale to 73 volte in Nazio Antognoni ha gioca e del Mondo in Spagna diventando campion intrapreso la carriera ha nel 1982. Dal 1991 club e nella Fiorentina, 24 di dirigente, sempr so or sc lo i ion iss dim da cui ha dato le figli: con Rita, ha due febbraio. Sposato a. Alessandro e Rubin Giancarlo Antognoni nella sua Firenze. Sotto il regista della squadra viola palla al piede: il centrocampista impostava e concludeva [OLYMPIA] trali Brizi e Passarella. Anzi no, sostituisco Brizi con Vierchowod: con lo zar e Passarella chi passa più? A sinistra...». Sinistra? «Difficilissimo. E’ sempre mancato un mancino vero e di ruolo. Ci metto Carobbi con Serena sua alternativa». Centrocampo a rombo, d’accordo? «Certo, con Pecci mediano davanti alla difesa ed Effemberg sua riserva. Sugli esterni ci vogliono dei corridori. Vediamo, a destra Massaro». ”Bip bip” Massaro? «Altro che ”Bip bip”. Genio e sregolatezza, noi lo chiamavamo ”Lazzaro”: faceva finta di essere infortunato e il giorno dopo andava il doppio degli altri». A sinistra? «Oriali oppure Schwarz». Numero dieci Antognoni, naturalmente. «E Rui Costa. Rui è immenso: persona straordinaria, giocatore irraggiungibile. E’ il mio erede, il nuovo Antognoni. Anche lui troppo buono: invece che fare assist dovrebbe segnare di più». E Socrates lo lasciamo fuori? «E’ arrivato troppo tardi e non era abituato all’Italia». Ritmo alto? «Troppa corsa. Le racconto la più bella. Ritiro estivo, io infortunato con la gamba ingessata. Saluto i compagni che partono per far fondo tra i boschi e all’orizzonte vedo uno che torna. Piano piano arriva, è Socrates che scuote la testa e si tocca la milza. Dico: “Che succede?”. Lui: “Non ce la faccio, troppa corsa. Siete matti”». Passiamo all’attacco. Facile dire Batistuta. «Facile adesso. Qualche anno fa non l’avrei detto: non ho mai visto nessuno migliorare così. Appena arrivato era grezzo e pensavo: “Bravino, niente di eccezionale”. E’ diventato il migliore al mondo». Lui alla Roma ha detto sì. «Tempi diversi. E poi per 70 miliardi è stato giusto». Chi mettiamo al suo fianco, Graziani? «Non mi convince come coppia. Meglio Roby Baggio». Niente Edmundo? «In panchina. E’ un grande talento, ma da Anni Settanta. Uno senza regole e senza schemi. A disposizione pure Pulici: geniale, faceva gol in ogni modo». Allenatore? «Terim, uno che fa giocare a calcio e vince. Con lui Radice. Anche se insieme li vedrei male». E il Trap? «Un grande, ma ne ho già scelti due. E lui ha la Nazionale ora, non si offenderà». Squadra da scudetto, almeno questa? «Sì, questa sì». La Fiorentina di adesso invece deve guardarsi alle spalle. «Mi ricorda la stagione di Radice: terzo posto in classifica e l’esonero. Poi Agroppi e la retrocessione in B. Il rischio di ripetersi c’è eccome se c’è». Antognoni dirigente per dieci anni. Il ricordo più bello? «L’acquisto di Rui Costa. Lo vidi nella nazionale Under 21 e me ne innamorai. Fuori dal calcio il set cinematografico». Il cinema? Non ci dica che Cecchi Gori l’ha fatta anche recitare. «Certo, me lo chiese la moglie. Due esperienze indimenticabili: una particina ne “I laureati” di Pieraccioni e una in “Pinocchio” di Ceccherini». Dieci anni di ricordi belli ma anche di... «Sofferenze. Con quest’ultima proprietà non si sta mai tranquilli. Credo di aver lavorato bene, peccato non essere stato gratificato». Ci riavviciniamo al 2001. Cecchi Gori, Sconcerti e un summit a casa del presidente. «Cecchi Gori è troppo accentratore. Vuole far tutto lui, cambia idea e sbaglia valutazioni». L’errore più grosso? «Tanti. Mi viene in mente Schwarz. Lo considerava un brocco». Sconcerti? «Un giornalista che vorrebbe fare un altro mestiere. Dice di essere di Firenze. Può darsi. Dice di tifare viola. Non credo, ricordo bene i suoi articoli». Ultimo salto nel tempo. In avanti. «Il calcio è la mia vita, non so fare altro. Per due mesi riposo, poi vedremo. Intanto gioco a tennis e sto con la famiglia, mi godo i tifosi». Ama ancora la Fiorentina? «L’adoro. Non andrò più a vederla fin che si sarà certa gente e non rientrerò in società fin che non ci saranno cambiamenti. Ma sia chiaro che il sogno è di tornare per vincere un tricolore vero. Questa è casa mia». Il simbolo di una città racconta la sua vita di fedeltà a una bandiera: «Arrivai 18enne, ora devo reinventarmi tutto» Antognoni e Firenze, storia di un amore violato «Dopo 30 anni mi hanno costretto alle dimissioni: non c’è riconoscenza, ma tornerò» E il pallone in quegli anni come era? «Tutto più improvvisato, con meno schemi e più divertimento». Più divertimento? «Ho una teoria: gran parte dei giocatori di adesso non si diverte. Noi ci allenavamo e non vedevamo l’ora che arrivasse la domenica, ma ora succede il contrario: c’è gente che al sabato è già scarica. I calciatori di adesso hanno problemi esistenziali». Farebbe cambio di generazione? Antognoni in campo nel 2001 a fianco di Rui Costa. «Lo farei solo per avere 20 anni di meno. Però sarei adatto al calcio moderno, anzi sarei più forte. Dicevano che correvo poco ma erano balle. Con la zona sarei un fenomeno». Anni Settanta per crescere, Anni Ottanta per vincere. «In teoria. Con l’arrivo di Pontello si parlava di scudetto e bla bla bla. Eravamo forti: Graziani, Pecci, Cuccureddu, Monelli, Massaro, Vierchowod. Non fummo fortunati». Meglio secondi che ladri? «Ah, ah, ah, lo dicevano i tifosi e pensavano alla Juve, al finale di campionato e alle polemiche arbitrali dell’ultima giornata. Ma le colpe maggiori sono state nostre e di quello 0-0 a Cagliari. Ricordi e rimpianti, ma tifosi esemplari. Sapete cosa hanno fatto?». Racconti. «Sono a casa deluso per il mancato scudetto e suona il campanello. Rispondo e dicono: “Giancarlo, puoi uscire un momento?”. Mi affaccio e mi ritrovo 5000 persone sotto casa. Capito? Strada bloccata dalla gente che mi ringraziava malgrado la mancata vittoria. Straordinari». E’ la delusione più grande che le ha dato il calcio? «Con la mancata finale ai Mondiali dell’82». Parliamone, dell’esperienza azzurra: dall’Argentina alla Spagna. «In Argentina eravamo un gruppo giovane. Io, della Fiorentina, mi trovavo tra due fuochi: il gruppo Juve e il gruppo Toro». Da che parte stava? «La simpatia era più per i granata, naturale. E’ stata un’esperienza positiva in generale, negativa personalmente: giocavo poco». Quattro anni dopo il Mundial della storia con Bearzot. Perchè ride? «Arrivai tra le polemiche. Non accettavo le sostituzioni del ct ed eravamo arrivati a scontri verbali abbastanza duri. In Spagna si sistemò tutto. Tre gare inguardabili, poi la svolta». Appunto, come è possibile? «Inspiegabile. L’unica ipotesi è che a Vigo ci siamo riposati: c’erano 20 gradi contro i 40 di Barcellona». Italia imbattibile? «Avremmo vinto contro chiunque. Gruppo straordinario cresciuto dall’Argentina, organizzazione di gioco, talenti». Dicevamo della delusione. Italia in finale senza Antognoni. «Colpa dell’arbitro. Mi annullò la rete regolare col Brasile. Io volevo segnare a tutti i costi e con la Polonia, in semifinale, mi feci male. Vidi la gara con la Germania tra i giornalisti. Che rabbia: campione del mondo dalla tribuna». Comunque campione del Mondo. Non male, per uno che pochi mesi prima aveva rischiato la vita in un incidente di gioco: scontro con Martina e arresto cardiaco. «Ricordo, anzi no. Tutto un vuoto fino al risveglio negli spogliatoi. Ho la fortuna di poter essere qui a raccontarlo. Potevo inchiodare il portiere del Genoa con una denuncia, ma non l’ho fatto: sono sempre stato convinto della sua buona fede. Ci rivediamo spesso, ma in tutti questi anni non abbiamo più parlato dell’incidente». Infortuni e cicatrici: dopo la testa, la gamba. Nel 1984 frattura di tibia e perone. «Questa la ricordo perfettamente perchè l’ho vissuta senza svenire. Scontro casuale con Pellegrini della Sampdoria, gamba spezzata, un anno e mezzo di recupero soffrendo. E’ stata durissima». Ma ce l’ha fatta. Anche se erano gli ultimi anni: panchina, qualche litigio, Agroppi allenatore. «Agroppi aveva le sue idee. Ci scontrammo spesso, è vero. Io volevo giocare. Alla fine andai in Svizzera, al Losanna». Beccàto. Fiorentina tradita? «Alt, alt. Emigrai per amore dei viola, non volevo mettere in difficoltà la società. E la scelta fu semplice: all’estero perchè in Italia c’è solo la Fiorentina. Due anni di pausa prima di tornare come dirigente». Antognoni, giochiamo. Trent’anni viola per eleggere la sua Fiorentina dei sogni. «Ok, la voglio a zona e con il 4-4-2». Portiere? «Galli, uno dei più forti al mondo che ha lasciato Firenze per andare a vincere. Con lui, alla pari, Toldo». Linea difensiva, da destra a sinistra. «Facile. A destra Claudio Gentile, cen-