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A me è stato affidato l'onore di dare il via ai lavori di questo seminario. Innanzi tutto voglio ringraziare tutti i partecipanti, che saluto, e i Colleghi presenti. L’altra cosa che vorrei dire è che questo dibattito è molto importante, soprattutto in questa fase in cui è iniziato un passaggio di competenze dallo Stato alle Regioni nelle materie internazionali e quindi anche in materia di cooperazione allo sviluppo. Evidentemente le Regioni stanno acquisendo un ruolo sempre più importante. Ricordo personalmente il dibattito sulla riforma della legge sulla cooperazione, quando ancora facevo il parlamentare, e già all'epoca emergeva fortemente questa esigenza di decentramento. Io sono qui solo per questo, per augurarvi un buon lavoro per la giornata odierna. Sarò molto attento ai risultati che emergeranno dal dibattito di oggi, perché la materia è importante oltre che interessante, per cui a voi tutti una buona giornata e un buon lavoro. 6 0DULD/XLVD&2332/$ $VVHVVRUHDL'LULWWL8PDQLGHOOD5HJLRQH9HQHWR Buongiorno a tutti, vorrei portare un particolare ringraziamento al Consiglio regionale per aver organizzato questa giornata, in quanto reputo oggi sia sempre più necessario, quasi indispensabile, poter riflettere in maniera approfondita su questi temi e su quanto le Istituzioni sono chiamate a fare in materia di cooperazione allo sviluppo. Dobbiamo partire, a mio avviso, innanzitutto da una riflessione molto semplice: per quanto riguarda le relazioni internazionali, oggi assistiamo in maniera sempre più evidente ad un intrecciarsi quasi spontaneo, che nasce quasi per necessità, di rapporti a tutti i livelli istituzionali, anche fra Enti che hanno diversa natura giuridica ed istituzionale. Questo accade proprio in virtù del fatto che si cerca in maniera migliore, più approfondita e senza improvvisazioni, di andare incontro e di soddisfare i bisogni, le necessità e le spinte che vengono dal territorio nel quale insiste l’azione di cooperazione. La nostra Regione in questo è pienamente coinvolta. Come assessore ai diritti umani ed alla cooperazione allo sviluppo mi trovo, infatti, sempre più coinvolta a tavoli comuni con gli altri Enti, con le Associazioni, con quanto il territorio della nostra Regione esprime, proprio nell’intento di non trascurare alcun aspetto dell’attività di cooperazione. Le sfaccettature in questo campo sono molte e assai varie: dal settore economico a quello commerciale, alla tutela ambientale, che richiede un’attenzione ed una sensibilità particolari, alla conservazione dei patrimoni culturali, linguistici od etnici che si incontrano nelle varie realtà. Tutto questo, ovviamente, va affrontato, al di là dei confini di una Regione o di uno Stato e senza alcuna volontà “colonizzatrice”, nello spirito della cooperazione nella sua migliore accezione. Noi amministratori siamo chiamati ad un rispetto e ad una sensibilità che dobbiamo ogni giorno 7 aggiornare, limare e rendere più moderna e più al passo con i tempi in continua evoluzione. Per quanto riguarda la cooperazione allo sviluppo che la Regione Veneto sta attuando, l’azione che si cerca di svolgere è incentrata proprio sulla ricerca di una democrazia dei popoli che deve trasformarsi in diplomazia internazionale, in vera e propria democrazia della gente. Noi non possiamo assolutamente non cogliere che lo sviluppo economico, culturale e sociale nasce proprio da un grandissimo rispetto della dimensione locale, ed oggi credo che le decisioni più concrete si assumano proprio in una dimensione locale. Quindi sta a noi saper scendere in questa dimensione nel migliore dei modi e, come dicevo prima, con la maggior sensibilità ed attenzione possibile. La Regione Veneto con netto anticipo rispetto ad altre realtà regionali, si è dotata di una legge per disciplinare queste materie, inizialmente emanando una legge che riguardava la pace e i diritti umani, poi elaborandone una nuova oggi in vigore che riguarda non solo la pace e i diritti umani, ma anche la cooperazione allo sviluppo e la solidarietà internazionale, una legge sicuramente più moderna e con un orizzonte più ampio proprio per cercare di andare incontro alle esigenze internazionali con un ventaglio di possibilità ampio e variegato. Con il piano annuale di quest’anno abbiamo voluto con forza che la parte riguardante la solidarietà internazionale fosse focalizzata sull’emergenza, questo in parte a causa di quanto accaduto lo scorso anno con la guerra in Afghanistan, ma in ogni caso perché tutti i giorni ci troviamo ad affrontare situazioni di emergenza. Quindi solidarietà proprio come aiuto nell’emergenza, come presa di coscienza di avvenimenti difficili che accadono e che la Regione Veneto e le altre istituzioni devono affrontare nel modo più semplice, più celere e soprattutto più efficace. Per il 2002, per quanto concerne la solidarietà internazionale, si è così proceduto ad emanare un bando aperto fino alla fine di novembre, proprio perché, per definizione, l’emergenza è una situazione che non si può 8 assolutamente prevedere. Noi ci auguriamo, ovviamente, di non averne bisogno, né nel mese di luglio né a novembre, ma in ogni caso sono cose che purtroppo accadono ed è necessario, in caso di emergenza, avere i mezzi per intervenire tempestivamente come Regione evitando lacci e burocrazie che impedirebbero un aiuto immediato. Per quanto riguarda invece la cooperazione allo sviluppo, con il Piano sono state individuate in particolare tre aree geografiche: il Corno d’Africa e i paesi africani in via di stabilizzazione, l’Europa dell’Est e l’America Latina. In queste tre zone l’obiettivo è duplice: da una parte coinvolgere al massimo i soggetti presenti nella nostra Regione, dall’altra cercare un rapporto diretto ed operativo con le realtà locali dove si svolge l’attività di cooperazione. Quindi un coinvolgimento pieno della nostra Regione e di tutte le associazioni, gli Enti, le Onlus, le Organizzazioni Non Governative che ci sono nella nostra Regione, ma con un occhio di riguardo per quelle che sono le realtà locali che s’incontrano, in modo tale da poter trasferire le nostre conoscenze, le nostre capacità, per creare uno sviluppo che sia veramente rispettoso delle realtà locali. Realtà locali che, come vi dicevo prima, sono per noi il primo interesse perché possano collaborare e cooperare con noi, ma soprattutto crescere per avere un futuro proprio. In questo campo, lo diciamo con un pizzico di orgoglio, le attività della Regione Veneto sono guardate con molta attenzione. Per quanto riguarda i diritti umani, per esempio, nello scorso anno scolastico – e, dato il buonissimo risultato che abbiamo avuto, è stato ripetuto anche per l’anno in corso - è stato organizzato, in collaborazione con i Provveditorati e tutte le scuole di ogni ordine, elementari, medie e medie superiori, un corso di aggiornamento per i docenti interessati. Ne abbiamo così coinvolti oltre 700, un numero assolutamente considerevole! Oltre a questo è stato promosso un corso per educare e sensibilizzare i ragazzi delle scuole sui temi della interculturalità e del rispetto delle varie nuove culture che i ragazzi oggi incontrano anche nelle loro realtà scolastiche. 9 Ne è scaturito un lavoro molto approfondito e di grandissimo interesse, tanto che il Ministero della Pubblica Istruzione ha chiesto al Veneto di diventare Regione capofila per quanto riguarda i diritti umani. Questo per noi è un motivo di grandissima soddisfazione, di grandissimo orgoglio e abbiamo la certezza di essere sulla strada giusta. Questo lavoro verrà raccolto in un CD ROM che presenteremo prima dell’inizio dell’autunno, proprio perché vogliamo dare un’attenzione particolare alle nuove generazioni. Esse sono il nostro futuro e un domani dovranno confrontarsi con una collettività sempre più globalizzata, che propone loro modelli di vita a volte molto lontani da quelli che i genitori hanno potuto trasmettere, non per incapacità ma proprio per una nuova ed assai diversa situazione generazionale. Per ritornare alle aree geografiche nelle quali la Regione Veneto vuole concentrare la sua azione di cooperazione, la prima, come vi dicevo, è l’Europa dell’est, che comprende l’Europa centro–orientale e tutti i Paesi della Comunità degli Stati Indipendenti. Questo interesse è giustificato non solo per l’estrema vicinanza geografica di queste regioni, ma anche dalla provenienza delle persone che compongono l’alto flusso migratorio che investe la nostra Regione: soprattutto albanesi, polacchi e rumeni, senza dimenticare le recenti vicende politiche e belliche che hanno coinvolto quella parte d’Europa, destando in noi come Regione vicina un’attenzione particolare. Inoltre, e non è un dato trascurabile, vi è una fortissima presenza dell’imprenditoria veneta e del nostro associazionismo in queste zone, quindi è doveroso da parte della Regione Veneto essere accanto ai propri imprenditori ed alle proprie associazioni. Un’altra zona di interesse è l’America Latina: lì vi è una fortissima presenza di emigranti veneti, ci sono alcune municipalità del Brasile che addirittura hanno una preponderanza non solo di italiani, ma proprio di veneti; ci sono intere comunità formate anche per l’80% da emigranti di origine veneta. In queste zone si è sviluppato un forte volontariato 10 proveniente dalla nostra Regione a testimonianza della nostra cultura, che in quelle regioni ha appunto trovato terreno fertile su cui esercitare il proprio operato: noi abbiamo reputato opportuno essere accanto a loro con una forte e mirata progettualità. L’ultima zona nella quale operiamo è il Corno d’Africa, assieme ad altri Paesi africani che sono in via stabilizzazione. Il Corno d' Africa è di nostro interesse perché, avendo avuto in passato amministrazione italiana, mantiene con noi ancora dei legami culturali, ma, soprattutto, sono di nostro interesse quei Paesi che hanno attraversato o stanno ancora attraversando drammatiche situazioni di conflitto nelle quali molto spesso si realizzano interventi di solidarietà e di emergenza in campo agricolo, sanitario e sociale. Per concludere volevo anticiparvi che, nei primi giorni del mese di novembre, la Regione Veneto organizzerà una Conferenza proprio sui temi dei diritti umani e della cooperazione allo sviluppo. Per riuscire ad organizzarla al meglio, tenendo conto di tutte le esigenze del territorio, ho reputato opportuno convocare, per i primi giorni di luglio, i due Comitati: il Comitato dei diritti umani e il Comitato per la cooperazione, proprio per delineare con loro un progetto condiviso per questi due giorni di Conferenza. Vorrei fosse non soltanto un momento di grande visibilità per l’operato della nostra Regione, ma soprattutto un momento di approfondimento, di lavoro e di confronto, anche con la realtà delle altre Regioni. Mi auguro quindi che l’appuntamento di novembre non sia solo un’occasione per poter far conoscere l’operato della Regione Veneto, ma soprattutto, per conoscere le varie realtà che operano in questo campo e, con sinergie, programmare le azioni future. Il mio augurio è che la Regione Veneto possa diventare un vero e proprio laboratorio, e in questo senso anche il Governo centrale ci è vicino e l’ha già pienamente dimostrato, e credo che come Regione potremo dare il nostro contributo in maniera precisa, puntuale ed anche competente. 11 Questo grazie non solo a noi, ma grazie al tessuto di associazioni e di volontariato che la nostra Regione esprime e che è da sempre un fiore all’occhiello per noi veneti. Ripeto, per noi sarà un appuntamento molto importante, dal quale mi auguro di poter veramente trarre il massimo del beneficio per poter in futuro continuare non solo ad essere una Regione capofila, una Regione guida, ma soprattutto per crescere al nostro interno e per permettere a me come assessore, ma soprattutto a chi lavora al mio fianco e condivide questo percorso, di crescere e di dare delle risposte sempre migliori e sempre più efficaci alle necessità locali. Vi ringrazio per l’attenzione, grazie e buona continuazione dei lavori. 12 $PHGHR*HUROLPHWWR 35(6,'(17(GHOOD&RPPLVVLRQH6SHFLDOHSHUOD&RRSHUD]LRQHDOOR 6YLOXSSR Un buongiorno anche da parte mia ed un ringraziamento particolare a tutti voi per essere intervenuti oggi, un grazie per i saluti portati dal Presidente del Consiglio e dall’Assessore. La Commissione speciale per la cooperazione allo sviluppo del Consiglio regionale del Veneto, che ho l’onore di presiedere, vuole, con l’organizzazione di questo seminario tecnico, rilanciare la riforma della Legge n. 49 del 1987 che disciplina la cooperazione dell’Italia con i Paesi in via di sviluppo. Il Veneto è sempre stata una Regione leader in Italia nel campo dell’aiuto ai Paesi in via di sviluppo, per storia, per presenza di associazioni e volontari, per legislazione (è stata la prima Regione in Italia a dotarsi, già nel 1988, di uno strumento normativo proprio in materia), e per sensibilità istituzionale: infatti nessun altro Consiglio regionale ha istituito al suo interno una Commissione speciale che si occupa esclusivamente di cooperazione allo sviluppo. Per questo parte proprio dal Veneto la proposta di rilanciare la modifica della legge n. 49/1987, una legge nata quando le politiche di aiuto ai Paesi poveri privilegiavano i grandi progetti infrastrutturali ed i rapporti diretti fra Stati, superata anche in campo organizzativo dalla recente modifica del titolo V° della Costituzione. Le Regioni italiane hanno fatto molto in materia di cooperazione, soprattutto a partire dagli anni 90, dopo lo scoppio della guerra in ex Yugoslavia. Su questo fronte si sono impegnate in particolare le Regioni dell’area adriatica, anche a causa della loro vicinanza geografica e storica. Anche se la legge 49/1987 riconosce un seppur limitato ruolo propositivo e attuativo agli Enti locali nell’azione di cooperazione allo sviluppo governativa, nelle loro attività le Regioni molto spesso hanno utilizzato 13 leggi e risorse proprie, e solo in minima parte si sono inserite come soggetti attivi nell’azione di cooperazione allo sviluppo attuata dallo Stato. Le Regioni però si sono impegnate soprattutto nel campo dell’emergenza umanitaria, operando in zone colpite da conflitti armati o calamità naturali, non riuscendo ad elaborare una propria politica globale di aiuto allo sviluppo. Ora con la modifica del titolo V° della Costituzione, introdotta dalla Legge Costituzionale n. 3 del 2001, si apre una fase nuova: vi è la possibilità per le Regioni di operare nell’ambito della politica estera, e quindi anche nel campo della cooperazione allo sviluppo, ed appare chiaro come vi sia la necessità di adeguare il quadro normativo nazionale a questo mutamento di prospettiva. Ma oltre che dal nuovo contesto organizzativo dello Stato italiano, il riconoscimento di un ruolo attivo per gli enti locali è richiesto anche da quanto deciso in ambito internazionale, a partire dal Vertice sullo Sviluppo Sociale di Copenaghen del 1995, che ha puntato sulla valorizzazione della cooperazione decentrata fra enti o soggetti omologhi per cercare di ridurre la povertà. L’entrata in scena negli ultimi anni nell’ambito del tema dello sviluppo dei Paesi poveri di nuove problematiche, quali la globalizzazione, con la constatazione che i governi nazionali non sono in grado di gestirla compiutamente, le carenze delle politiche dei finanziamenti per lo sviluppo (tema della recente Conferenza dell’ONU in Messico a Monterrey), la mancata riduzione della povertà e della fame nonostante gli impegni presi dai Paesi più sviluppati nelle Conferenze dell’ONU e delle sue Agenzie, spingono ancora di più per una riforma: una riforma che deve superare il modello di cooperazione tra Stati, che sino ad oggi non ha dato i risultati attesi, e che deve riconoscere il ruolo importante della cooperazione decentrata. Una cooperazione attuata in forma di partnerariato fra soggetti simili delle amministrazioni locali e della società civile dei Paesi del Nord e 14 del Sud del mondo, soggetti che essendo più vicini ai cittadini sono anche i più idonei a coglierne le esigenze e ad approntare risposte efficaci. Questo seminario vuole essere un primo momento di riflessione, per cercare di dare una risposta adeguata ad esigenze avvertite e che, se non verranno colte, faranno sì che gli enti locali continuino ad agire singolarmente, come soggetti indipendenti gli uni dagli altri, senza alcun coordinamento con lo Stato e fra di loro, disperdendo così gli aiuti in mille rivoli che non potranno incidere efficacemente sulle situazioni di bisogno dei Paesi beneficiari. Un buon punto di partenza potrebbe essere il testo di riforma della legge n. 49/1987 approvato dal Senato nel settembre 1999, durante la scorsa legislatura, che non è diventato legge per lo scioglimento anticipato delle Camere. Questo testo di riforma vedeva con favore la cooperazione decentrata, riconoscendo Regioni ed Enti locali quali “soggetti italiani della cooperazione” con pari dignità con il Governo italiano, prevedendo finanziamenti appositi per la cooperazione decentrata, consentendo la cooperazione non solo con i Governi dei Paesi in via di sviluppo, ma anche direttamente con le loro amministrazioni decentrate e con altri soggetti rappresentativi, affidando alle Regioni e agli Enti Locali le attività di cooperazione governativa rientranti nelle materie di loro competenza. E’ da qui quindi che bisogna ripartire, e spero che questo seminario possa essere un primo passo per riprendere in mano una riforma di cui tutti i soggetti che si occupano di cooperazione allo sviluppo sentono la necessità. Io non voglio togliere altro tempo alla discussione, mi limiterò semplicemente a coordinare i lavori di questo seminario. 15 5REHUWR&27$ &RQIHUHQ]DGHL3UHVLGHQWLGHOO $VVHPEOHDGHL&RQVLJOL5HJLRQDOLH GHOOH3URYLQFH$XWRQRPH ³/H FRPSHWHQ]H LQWHUQD]LRQDOL GHOOH 5HJLRQL DOOD OXFH GHOOD ULIRUPD GHO 7LWROR9GHOOD&RVWLWX]LRQH´ Prima di scendere nel dettaglio analizzando e poi commentando, sia pur con un taglio eminentemente pratico, le novità introdotte dalla modifica del Titolo V° della Costituzione, vorrei portare la mia testimonianza di Presidente del Consiglio regionale, relativa al tipo di rapporti internazionali che un' Assemblea regionale ed una Regione può sviluppare. Infatti questa tipologia di rapporti e di relazioni internazionali è diversa rispetto a quella che può sviluppare il Governo nazionale, almeno con riferimento alle competenze attuali, alle competenze precedenti la riforma del Titolo V°. La legge costituzionale n. 3 del 2001 ha, infatti, dettato dei principi che necessitano di altre norme di dettaglio per essere attuati e che oggi non hanno ancora visto un' applicazione concreta. Devo dire che le Regioni hanno una maggiore flessibilità nel rapportarsi con l' estero, una maggiore flessibilità nei confronti delle comunità regionali all' estero e una maggiore flessibilità anche nei confronti del mondo economico, e questo, secondo me, è un aspetto importante da sottolineare. Il Presidente del Consiglio, Berlusconi, sta impostando una riforma del Ministero degli Esteri tesa a rendere l' attività del nostro Ministero meno burocratica, meno diplomatica nel senso “pomposo” del termine, e trasformarla in un’attività, invece, ispirata ai criteri dell' operatività. Ritengo che le Regioni riescano ad essere straordinariamente operative: questa considerazione discende dalla mia esperienza dei rapporti tenuti attraverso le comunità di piemontesi nel mondo, comunità che sono 16 massicciamente presenti in modo particolare in Sud America, specialmente in Argentina e in Brasile. Queste associazioni di piemontesi nel mondo, negli anni, sono riuscite a sviluppare un’interessante rete di diplomazia parallela che, ripeto, risponde a criteri operativi di assoluta speditezza ed elasticità. Questo è un passaggio che ho ritenuto importante segnalare. L’efficienza della nostra rete all’esterno può essere certamente migliorata, ma il criterio che deve presiedere a qualunque tipo di riforma e di riordino, anche sul versante dell' ordinamento regionale, deve essere, a mio avviso, quello di operare attraverso uomini che conoscono il territorio. L’obiettivo si riesce a raggiungere quando, all' estero, ci si rivolge ad uomini che conoscono, da un lato, le problematiche dei nostri connazionali e dei corregionali e che, dall' altro, conoscono anche il territorio, le sue dinamiche e riescono ad affrontare non soltanto i momenti belli, ma anche i momenti brutti (penso per esempio alla crisi che sta attraversando l' Argentina in questo momento). Per entrare nel merito dell’argomento oggetto della mia relazione, la riforma del Titolo V° della Costituzione ha comportato alcuni cambiamenti in materia, soprattutto ha introdotto dei principi nuovi, alcuni negativi, altri positivi. Gli articoli che riguardano le competenze internazionali delle Regioni sono quelli previsti innanzitutto dall' articolo 117, primo comma, della Costituzione che stabilisce un nuovo limite per la legislazione statale e per quella regionale: quello dei vincoli derivanti dall' ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. In tal modo si pone così sullo stesso piano la legislazione statale e la legislazione regionale. La Costituzione stabilisce, quindi, questo principio ma, se da un lato si parifica la funzione della legislazione regionale a quella statale, dall’altro si introduce il limite degli obblighi derivanti dall’ordinamento comunitario, arrivando a trasferire dei poteri a Bruxelles e a fare in modo che questi 17 poteri siano esercitati dall’alto, senza un coinvolgimento democratico dal basso. Questa norma è stata letta, e così la leggo anch’io, come una limitazione molto forte al principio della sovranità nazionale, e ha soprattutto, a mio avviso, un' influenza tanto più negativa quanto più all' interno dell' Unione Europea non ci sono dei processi chiari di formazione degli atti comunitari e delle decisioni comunitarie attraverso un metodo democratico. Oggi, come tutti ben conosciamo, le competenze del Parlamento europeo sono molto limitate e l' Unione Europea non ha un meccanismo di formazione delle decisioni tipico della rappresentanza parlamentare. La stragrande maggioranza dei poteri è in mano al Consiglio e non in mano al Parlamento: poche sono, infatti, le materie oggetto del procedimento di codecisione, dove il Parlamento ha la possibilità di esprimere la sua posizione in modo vincolante. La stragrande maggioranza della gestione dell' Unione Europea è affidata ad una burocrazia che ha un potere molto forte e che è slegata rispetto ai meccanismi della rappresentanza elettiva. La seconda considerazione che ritengo di fare è legata all' articolo 117, comma 2 e comma 3. Il comma 2 prevede come competenza legislativa dello Stato l' intrattenere i rapporti con gli altri Stati esteri e con l' Unione europea. Questo è un principio a mio avviso “ovvio”, perché non c' è altro soggetto che nelle materie riservate alla competenza legislativa dello Stato possa intrattenere rapporti internazionali. Il comma 3 del 117 stabilisce, però, che nelle materie che sono di competenza delle Regioni, la competenza legislativa in tema di rapporti internazionali, è una competenza concorrente tra lo Stato e le Regioni. Questo principio è interessante: non viene introdotta la competenza legislativa esclusiva delle Regioni, (ossia non è previsto che nelle materie di competenza dello Stato è lo Stato a tenere rapporti internazionali, e nelle materie di competenza della Regione è la Regione a tenere i rapporti 18 internazionali), ma si stabilisce che nelle materie di competenza delle Regioni vi sia una potestà legislativa concorrente. Si afferma così la titolarità delle Regioni nel tenere i rapporti internazionali e non più soltanto rapporti di promozione e di cooperazione. C' è stato, quindi, il salto di qualità in quanto si comincia a parlare di rapporti internazionali e di relazioni internazionali vere e proprie. Questa però è una scatola messa lì che si può riempire in un modo oppure in un altro, bisogna infatti ricordare che quanto enunciato dall’articolo 117 è soltanto un principio che necessiterà di attuazione e che la scatola dovrà essere riempita di contenuto. Un' altra norma interessante in materia è l' articolo 117, comma 5, il quale prevede il principio per cui la Regione deve partecipare alle decisioni dirette, alla formazione degli atti comunitari nelle materie che sono di propria competenza. E’ cioè prevista una partecipazione alla fase ascendente degli atti comunitari. Inoltre, lo stesso articolo prevede che le Regioni diano esecuzione agli accordi internazionali e agli atti dell' Unione Europea nelle materie di propria competenza, nel rispetto però delle norme e delle procedure stabilite dalle leggi dello Stato. Anche qui si individuano le Regioni come soggetti interlocutori diretti dell' Unione Europea. Se si pensa ad un' Europa delle Regioni, questo potrebbe essere un principio interessante, bisognerà però vedere come questo principio verrà attuato e quale contenuto gli verrà dato. Un altro principio è quello sancito nell’articolo 117, comma 9, il quale prevede la possibilità da parte delle Regioni di concludere accordi con gli Stati esteri e di concludere intese con gli Enti territoriali interni di un altro Stato, in casi e forme però disciplinati dalla legge dello Stato. Questi fino a qui richiamati sono principi positivi. L' articolo 120, comma 2, che prevede un potere sostitutivo dello Stato nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali e della normativa comunitaria, introduce invece un principio negativo. Questo articolo, infatti, 19 potrebbe prestarsi, e si è già prestato, ad un uso fortemente penalizzante per le Regioni a favore dello Stato e, di fatto, limita fortemente anche questa competenza regionale embrionale. A tal proposito vorrei richiamare quanto ho detto prima sull’articolo 117 primo comma, cioè la forte limitazione della sovranità nazionale che si potrebbe verificare, con l’affermarsi dell’idea di una Europa centralista e non di una Europa confederale. Segnalo anche un ulteriore problema che è rappresentato dal fatto che le norme di attuazione dei trattati internazionali – oggi adottati con legge ordinaria - alla luce di questo articolo verrebbero considerati una fonte superprimaria e quindi questo principio verrebbe a creare degli sconvolgimenti sotto il profilo della gerarchia delle fonti. Un ulteriore problema è rappresentato dalle norme internazionali consuetudinarie, ossia dalle norme non codificate, che potrebbero avere valore superiore rispetto alla legge ordinaria. Risulta evidente che un conto sono i trattati, un altro sono le norme del diritto internazionale consuetudinario che potrebbero anche essere oggetto di difficile interpretazione e dare luogo a tutta una serie di problemi. Basti pensare soltanto ai problemi della traduzione scritta, del mettere nero su bianco le norme consuetudinarie, ma anche della traduzione delle diverse lingue. Certamente questo articolo solleva dei problemi. Con riferimento invece ai rapporti internazionali ed ai rapporti con l' Unione Europea, il Titolo V° detta solo dei principi che dovranno essere sviluppati ulteriormente. Ritengo che il primo passaggio importante posto in essere dal Governo sia stato quello di predisporre un testo di legge di attuazione del Titolo V° della Costituzione, sul quale la Conferenza Stato Regioni ha già espresso il parere e che quindi potrà adesso seguire l' iter parlamentare. Questo testo comincia ad individuare, sul tema dei rapporti internazionali, degli aspetti e prevede che, essendo una materia a legislazione 20 concorrente, i principi contenuti nella legislazione dello Stato debbano essere oggetto di una intesa, ossia di un doppio passaggio all’interno della Conferenza Stato-Regioni. Questo è il principio che è stato introdotto e che poi dovrà essere certamente sviluppato in sede parlamentare. Ritengo però di dover segnalare che i rapporti tra lo Stato e le Regioni sono tenuti dalla Conferenza Stato-Regioni, e cioè da una Conferenza a cui partecipano soltanto i Presidenti delle Giunte - ossia i rappresentanti dell' organo esecutivo - e non invece i rappresentanti degli organi legislativi. Questo é un problema perché le competenze legislative sono esercitate dai Consigli regionali e spesso i Presidenti delle Giunte non hanno una grande facilità di rapporto con i Consigli regionali. Non voglio introdurre temi di "sindacalismo” tra Consigli e Giunte. Il problema però c' è ed è un problema che noi - intendo come Presidenti dei Consigli regionali e come Consiglieri regionali - abbiamo più volte segnalato in tutte le sedi. E’ opportuno, quindi, che le leggi di principio dello Stato facciano riferimento al contesto regionale, e viceversa che le Regioni, nelle decisioni dirette alla formazione degli atti comunitari, rispettino le norme stabilite da legge dello Stato. Il Titolo V° pertanto detta un principio che dovrà essere regolamentato dalla legislazione statale attraverso una disciplina uniforme. Il Governo ha dettato ulteriori principi con la riforma della legge “La Pergola” che disciplina le procedure di partecipazione dell' Italia alla formazione di tutti gli atti comunitari, prevedendo le diverse forme di partecipazione delle Regioni. La Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali ha approvato un documento che vuole introdurre il principio in base al quale, nelle materie che sono di competenza esclusiva delle Regioni, l' Italia, in sede di Consiglio dei Ministri della Comunità Europea, dovrà essere rappresentata da esponenti delle Regioni. 21 Il Consiglio oggi è l' organismo che decide e quindi risulta evidente l' importanza della partecipazione delle Regioni alla formazione degli atti comunitari. Noi chiediamo che questo principio venga adottato dal nostro Paese come è già avvenuto in Belgio e in Germania. Il Belgio, per esempio, nelle materie di competenza regionale manda dei Ministri regionali, e questo avviene anche per la Germania. Noi chiediamo ad esempio che, in materia di agricoltura e turismo, materia dal 1992 di competenza comunitaria e di competenza esclusiva delle Regioni a seguito alla riforma del Titolo V° della Costituzione italiana, ci siano dei rappresentanti regionali in sede di Consiglio dei Ministri della Comunità che possono anche essere degli Assessori regionali. Per quanto riguarda invece la fase discendente, cioè l' esecuzione degli accordi internazionali, devo dire che la Costituzione recepisce un principio entrato in uso progressivamente negli ultimi anni in base al quale nelle materie di competenza regionale l' esecuzione di tali accordi era riservata alle Regioni. I Consigli regionali dovranno cambiare mentalità a seguito del salto di qualità che è rappresentato dalle competenze legislative esclusive. Fino ad oggi infatti i Consigli regionali hanno normato con discipline di dettaglio, con discipline che attenevano più che altro alla procedura. Oggi devono intervenire con riforme di sistema: pensiamo al turismo che è diventato di competenza regionale esclusiva e che fino ad ora non è stato oggetto di leggi organiche in quanto era materia di legislazione concorrente. Per la verità neanche lo Stato ha fatto mai riforme di sistema, tranne la legge del 1983 e l' ultima legge n.135 del 2001, che appena approvata non si è potuta applicare perché di fatto incostituzionale. Lo Stato aveva legiferato infatti in una materia che era già di competenza delle Regioni, quindi adesso il passaggio sarà quello di fare anche delle leggi di disciplina della materia complete, visto che si ha una competenza di carattere esclusivo. 22 Un altro aspetto interessante è anche il principio, contenuto nel disegno di legge di attuazione del Titolo V°, per cui i ricorsi alla Corte di Giustizia dell' Unione Europea saranno fatti dallo Stato su richiesta delle Regioni, in tal modo avremo un coinvolgimento delle Regioni nell' accesso alla Corte di Giustizia europea. Vorrei fare un commento sull’art. 117, comma 9, che prevede la possibilità da parte delle Regioni di concludere accordi con gli Stati e intese con gli Enti territoriali. Sulle intese non ci sono problemi perché impegnano la Regione per quanto di sua competenza. Sugli accordi, invece, ci sono dei problemi giuridici in quanto si sviluppa in un ambito internazionale. L' intesa non riguarda il diritto internazionale, è un protocollo che si muove nell' ambito della promozione e della cooperazione, materie già riconosciute alle Regioni, mentre l' accordo è uno strumento tipico del diritto internazionale. Pertanto il problema che si pone è se e in che modo l' accordo possa impegnare lo Stato, oltre che impegnare la Regione, cioè se la Regione venga ad avere una soggettività di diritto internazionale che vada al di fuori della sfera interna dello Stato. Fino ad ora si è seguita la seguente impostazione: si riconosce alla Regione la possibilità di uscire dalla sfera interna statale, quindi di muoversi in un ambito internazionale attraverso la concessione da parte dello Stato dei cosiddetti pieni poteri; pieni poteri però che vengono concessi attraverso una procedura di intesa, di verifica preventiva del contenuto degli accordi e via dicendo. Per cui se da un lato le Regioni possono uscire dall’ambito statale, dall’altro la concessione dei pieni poteri è, francamente, limitante. Capisco che ci debbano essere dei meccanismi di informazione preventiva, però un meccanismo attraverso il quale lo Stato possa in tutto e per tutto determinare le linee di un accordo sottoscritto dalla Regione è un po'troppo. La linea che il Governo sta seguendo è la linea della concessione dei pieni poteri previa ratifica preventiva dell' accordo sottoscritto. 23 Per quanto riguarda il potere sostitutivo previsto dall’articolo 120 comma 2, l' unica cosa che potrebbe verificarsi è che tale potere venga esercitato senza dare sufficiente tempo alle Regioni per poter operare. In sede di attuazione del Titolo V bisognerà quindi precisare tempi congrui che consentano l' attività legislativa regionale perché altrimenti potrebbe accadere che lo Stato adotti preventivamente una normativa che entri in vigore non appena scaduti i termini, così esercitando, di fatto, un potere sostitutivo preventivo. In chiusura di questo intervento volevo sollevare un altro problema: è vero che le Regioni devono, se necessario, fare un braccio di ferro con lo Stato centrale per rivendicare più competenze, per fare in modo che anche in materia di diritto internazionale ci siano maggiori poteri possibili, però prima di tutto noi legislatori regionali dobbiamo cambiare mentalità, perché in molti campi già oggi abbiamo dei poteri che non abbiamo ancora imparato ad esercitare appieno. Quindi direi che sono necessari tutti e due gli aspetti: lavorare molto sull' attuazione del Titolo V° e anche sulla legge “La Pergola”, per fare in modo che le competenze internazionali delle Regioni siano competenze complete, ma anche acquistare oggi, una mentalità da legislatori per quanto possiamo già fare e per quanto è già di nostra competenza. 24 (WWRUH/$85(1=$12 &RQVLJOLHUHSDUODPHQWDUH ³5XRORGHOOH5HJLRQLQHOODSURVSHWWLYDGHOODULIRUPDGHOODOHJJHQ´ Anche i recenti avvenimenti internazionali costituiscono obiettivamente un severo ammonimento sulla necessità assoluta di operare affinché le distanze tra i Paesi più ricchi e quelli meno fortunati non abbiano ad aumentare. La stessa possibilità di evitare gravi sconvolgimenti delle relazioni internazionali poggia in gran parte sull' attuazione di una condizione preliminare: riuscire a governare il processo della globalizzazione, sfruttandone le grandi possibilità tecniche ed impedendo però che esse creino nuove ed ancora più gravi discriminazioni. Il GLJLWDO GLYLGH rischia di emarginare intere comunità dal processo di accumulazione di nuove conoscenze e ricchezze. Persino la possibilità di contrastare il terrorismo internazionale diviene più realistica, se vengono prosciugate le sacche di umiliazione e disperazione che offrono il brodo di coltura di cui si alimentano i gruppi criminali che praticano la politica del fanatismo e della distruzione. Le relazioni economiche tra Paesi, ed in particolare quelle tra il Nord e il Sud del mondo, non possono pertanto essere affidate unicamente alle leggi del mercato. E’ certo necessario, ma non sufficiente, attuare su scala la più ampia possibile un regime di libera concorrenza che favorisca lo sviluppo delle forze produttive. Occorrono però anche interventi mirati, di sostegno alle comunità più deboli, per contrastare le emergenze, garantire livelli minimi di reddito e anche rendere possibile la successiva instaurazione di ordinarie condizioni di mercato. Una vigorosa ripresa dell' aiuto pubblico allo sviluppo, che negli ultimi anni ha conosciuto una preoccupante regressione, è dunque una necessità inderogabile, tanto più per un Paese come l' Italia, e per le Regioni e gli Enti locali che lo costituiscono. Non si tratta solo di “aiuti al Terzo mondo”, secondo una tradizionale concezione, 25 visti quasi come la estensione a livello più ampio della beneficenza individuale. In un mondo sempre più globalizzato, dove anche avvenimenti in Paesi lontani ci toccano da vicino e pongono a rischio i nostri equilibri e le nostre abitudini, interventi di aiuto possono da un momento all' altro rivelarsi assolutamente necessari ed urgenti. Si pensi, ad esempio, alla rapidità con cui negli ultimi tempi si è dovuto intervenire in Paesi come la Bosnia, il Kossovo o l' Angola. Certo in questi casi si muove la comunità internazionale ed è opportuno che gli aiuti italiani - e delle singole parti d' Italia - siano offerti nell' ambito di un coordinamento internazionale. L' Italia non può però limitarsi a delegare tutto ad organismi internazionali e, se si vuole che gli aiuti siano massimamente funzionali, occorre una specifica strumentazione nazionale, volta anche al coordinamento degli interventi delle singole Regioni, facendo affidamento su quella ricca rete di associazione e di volontariato che è particolarmente presente in una Regione come il Veneto. Anche dal punto di vista, per così dire, “egoistico” degli interessi nazionali, risulta evidente la necessità della cooperazione allo sviluppo. Un Paese come l' Italia, che dispone di un limitato strumento militare (e peraltro non è neanche desideroso, giustamente, di incrementarlo oltre misura), e non esercita una grande attrattiva come piazza di investimento finanziario per capitali stranieri, non può a cuor leggero rinunciare a quell' essenziale strumento di politica estera che è dato dallo cooperazione allo sviluppo. Né solo di strumento si tratta, poiché la cooperazione allo sviluppo esprime, per le sue caratteristiche strutturali, la stessa visione globale affermata dall' articolo 11 della Costituzione repubblicana, quella di un mondo in cui la guerra sia ripudiata come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e vengano assicurate la pace e la giustizia tra le nazioni. In tale prospettiva risulta però irragionevole la tendenza italiana degli ultimi anni non solo alla riduzione dei finanziamenti, ma anche, nell' ambito di tali fondi ridotti, ad un incremento della percentuale destinata agli organismi internazionali che finanziano iniziative di sviluppo, 26 favorendo così, per adoperare la terminologia corrente, la cooperazione multilaterale a danno della cooperazione bilaterale. Nell' anno 2000 l' aiuto pubblico allo sviluppo dell' Italia è stato di 2.892 miliardi di lire, equivalenti allo 0,13 per cento del Prodotto Interno Lordo, mentre nel 1992 era stato equivalente allo 0,34 per cento del PIL. Di quei 2.892 miliardi di lire, l' aiuto bilaterale netto è stato solo di 792 miliardi. Nessuno dei Paesi dell' OCSE dedica alla cooperazione bilaterale una percentuale così limitata dei propri aiuti. E proseguire lungo questa strada equivarrebbe, per il nostro Paese, alla sostanziale rinuncia ad una politica estera indipendente, rinuncia che peraltro nessuno ci chiede, che i nostri alleati si guardano bene dall' effettuare e che avrebbe conseguenze negative sia per l' Italia, sia per i Paesi politicamente e geograficamente più vicini. Si pensi, ad esempio, alla importantissima relazione tra cooperazione allo sviluppo e politiche dell' immigrazione. Buon senso, equità e serena considerazione del proprio ruolo come nazione devono indurre l' Italia ad indirizzare prioritariamente i suoi aiuti verso i Paesi che ad essa sono maggiormente legati per ragioni storiche, geografiche ed economiche. Questa impostazione è naturalmente valida anche per la singola Regione - ne ha già parlato il dottor Cota – la quale può opportunamente, nell' ambito di un coordinamento a livello nazionale, indirizzare i propri interventi di cooperazione verso i Paesi, ad esempio, da cui provengano consistenti flussi migratori nel proprio territorio o verso Paesi geograficamente vicini. Il fondamento di legittimità di tali interventi delle Regioni è oggi saldamente offerto dal nuovo testo dell' articolo 117 della Costituzione, che apre un nuovo settore di attività delle Regioni, anche per quanto concerne i rapporti internazionali. Una volta “metabolizzata”, per così dire, la nuova normativa, eventualmente anche con le modifiche che si rivelassero necessarie e che auspicabilmente dovrebbero essere redatte e approvate in stile ELSDUWLVDQ con l' approntamento dei necessari strumenti organizzativi, le Regioni 27 potranno condurre una propria politica anche con proiezione internazionale, facendo tesoro di tutte le esperienze di volontariato presenti sul loro territorio. E i fatti stessi dimostrano e dimostreranno l' enorme utilità del coordinamento tra i diversi livelli istituzionali degli interventi di cooperazione allo sviluppo. L' efficacia di tale coordinamento dovrebbe essere garantita dalla legge nazionale organica sulla cooperazione allo sviluppo, ma l' attuale legge n. 49 del 1987 viene pressoché unanimemente considerata sorpassata, tanto che nella precedente legislatura tutti i principali gruppi parlamentari si sono trovati concordi sulla necessità di pervenire ad una nuova normativa. Come è noto, un disegno di legge fu approvato dal Senato e, passato poi alla Camera dei Deputati, venne licenziato per l' Aula dalla Commissione esteri, senza che poi peraltro l' Aula riuscisse ad approvarlo. Le differenziazioni ed i contrasti si registrarono non solo tra l' allora maggioranza e l' allora opposizione, ma percorsero trasversalmente entrambi gli schieramenti. Nell' attuale legislatura - sia che si voglia ancora cercare di pervenire ad una nuova legge organica sia che tale tentativo venga giudicato troppo ambizioso e ci si limiti all' obiettivo di una modifica della legge 49 - è in ogni caso opportuna una riflessione preliminare sui fattori che nel recente passato hanno impedito di giungere ad una soluzione tale da poter essere giudicata soddisfacente almeno dalla maggioranza dei parlamentari e dal Governo. Evidentemente la politica di cooperazione allo sviluppo deve poter contare su uno strumento professionale permanente a carattere tecnicoburocratico (nel significato migliore del termine “burocratico”). Al tempo stesso però deve essere incentivata la più ampia sinergia con le altre pubbliche amministrazioni, con le organizzazioni di volontariato ed anche con gli operatori economici, senza in nessun modo intaccare il principio della responsabilità politica, che deve restare anzitutto attribuzione del Ministro degli Affari Esteri, nell' ambito delle scelte effettuate dal Governo, 28 in stretto collegamento con il Ministro dell’economia, per quanto concerne la partecipazione italiana agli organismi finanziari internazionali, e con i Presidenti delle Regioni. E'necessario insomma arrivare ad una sorta di “quadratura del cerchio”, dotando la cooperazione allo sviluppo di un apparato professionale efficiente, che però non invada assolutamente il campo della responsabilità politica e neanche quello della conduzione tecnica della politica estera del Paese ad opera della categoria dei diplomatici. La lacuna più grave della legge vigente - a mio personale parere - sta proprio nella mancata previsione di un apparato tecnico della cooperazione, rigorosamente strutturato ed in grado di porsi come costante punto di riferimento. A tale lacuna si è posto solo parzialmente rimedio nel corso degli anni, con una normativa di rango sublegislativo e sfruttando le lezioni che venivano dalla esperienza. Quello di tecnico (o PDQDJHU, o esperto) della cooperazione è un mestiere particolare, che richiede specifiche doti professionali ed umane. Certo va salvaguardato il ruolo dei diplomatici, che costituiscono l' apparato professionalmente competente per la gestione di quella generale politica estera dell' Italia nel cui ambito vanno collocati gli interventi di cooperazione e che hanno avuto in passato il grandissimo merito di aver avviato, in forme quasi pionieristiche, l' attività di cooperazione allo sviluppo. Accanto al ruolo dei diplomatici è però imprescindibile il ruolo degli esperti professionali della cooperazione, ai fini non solo dello studio preventivo e del controllo in corso d' opera, ma anche della valutazione successiva. Una volta che le decisioni politiche siano state prese, le questioni tecniche devono essere di competenza di uno specifico apparato, il quale, per la sua stessa struttura, deve essere particolarmente attrezzato per il collegamento non solo con il vasto mondo della cooperazione non 29 governativa e decentrata, ma anche con le altre pubbliche amministrazioni. A tale proposito, occorre tuttavia francamente riconoscere che il testo del disegno di legge sul quale hanno dibattuto le Camere nella passata legislatura determinava probabilmente più problemi di quanti contribuisse a risolvere. Soprattutto il testo approvato dalla Commissione Esteri della Camera dei Deputati accentuava inopportunamente l' autonomia operativa della auspicata Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, giungendo a prevedere che essa avesse propri uffici direttamente accreditati presso Governi stranieri e potesse intrattenere direttamente rapporti con organismi internazionali. Non desta pertanto sorpresa che tale previsione sia stata vista come una minaccia per il carattere unitario della politica estera italiana. Altrettanto criticabile era forse la previsione che le competenze del Ministro degli Affari Esteri in materia di cooperazione allo sviluppo dovessero da lui essere necessariamente delegate ad un Sottosegretario. A tacere delle perplessità che desta di per sé la figura della “delega necessaria”, che sembra costituire quasi una contraddizione in termini, - e sorvolando sui precedenti, non particolarmente esaltanti, di questa figura nella storia italiana recente - è evidente che un Ministro degli Affari Esteri che non interviene sulla cooperazione allo sviluppo è un Ministro al quale si impedisce di aver rapporti con una ottantina di Paesi. E l' attuale infittirsi delle relazioni internazionali, le sempre più ampie ricadute della politica estera sulla politica interna spingono invece nella direzione opposta, nella direzione cioè di una politica estera sempre più unitaria e sempre più vicina al principale centro di direzione politica. L' attuale concentrarsi in una sola persona delle figure del Presidente del Consiglio dei Ministri e di Ministro degli Affari Esteri, al di là di motivazioni contingenti, bene esprime tale esigenza di coordinamento. In una fase storica in cui tende ad attenuarsi la tradizionale separatezza e specificità della politica estera 30 rispetto alla complessiva politica del Governo, è ancor meno accettabile una sorta di autonomizzazione eccessiva della politica di cooperazione rispetto alla politica estera globale. Ciò naturalmente non impedisce di ritenere – rivolgendo lo sguardo dalle proposte legislative dibattute in Parlamento alla normativa vigente ed al modo in cui si è effettivamente strutturata la cooperazione allo sviluppo italiana - che gran parte delle carenze drammaticamente riscontrate in passato vanno fatte risalire proprio all' originaria mancanza di rigorose procedure e di una salda struttura amministrativa ed organizzativa. In particolare, i deludenti risultati, in passato, del FAI (Fondo Aiuti Italiani), furono anche causati da carenze di questo tipo. Naturalmente nulla impedisce di ritenere possibile che la categoria dei diplomatici sappia esprimere dal proprio interno quel “nocciolo duro” di competenze tecniche ed amministrative che per la cooperazione sono assolutamente necessarie. In tal caso però sarebbe almeno necessario derogare, per i diplomatici addetti alla cooperazione, al generale obbligo di continua rotazione di incarichi e di sedi, che è attualmente previsto per tutti i diplomatici. E, se si effettua la scelta opposta, di una autonoma struttura amministrativa della cooperazione, nulla obbliga a mantenere la scelta della precedente legislatura, di costituire un' apposita Agenzia. E’ certo però che comunque la nuova struttura dovrebbe avere particolari caratteristiche, tali, ad esempio, da permetterle di porsi come struttura servente rispetto a differenti livelli politici istituzionali e di agevolare il coordinamento tra differenti pubbliche amministrazioni. A questi fini, se in definitiva si sceglierà di costituire una Agenzia, sarebbe opportuno che la sua sede non fosse a Roma e che almeno uno dei componenti del Consiglio di amministrazione venisse designato dalla Conferenza unificata Stato – Regioni – Enti locali. E comunque è bene che a tali decisioni si arrivi in tempi non eccessivamente lunghi. Qualsiasi organismo può funzionare efficacemente solo con un orizzonte temporale non ristrettissimo, con un 31 minimo di certezze sulla permanenza delle proprie funzioni e caratteristiche. E‘ inutile darsi da fare per far funzionare bene e migliorare la struttura esistente, se domani viene creata una struttura completamente nuova. Non è ipotizzabile che la lunghissima attesa di una nuova normativa sulla cooperazione allo sviluppo non abbia già nel frattempo comportato effetti negativi sulla struttura esistente. E, innovando rispetto al passato, sarebbe anche opportuno prevedere per il futuro che la struttura amministrativa pubblica competente per la cooperazione allo sviluppo abbia una responsabilità globale, per assicurare continuità e trasparenza agli interventi. Se, per far un esempio, gli interventi in Kossovo vengono affidati ad una branca della pubblica amministrazione, mentre un' altra è responsabile per gli interventi di Angola… così facendo si pongono le premesse migliori per la scarsa trasparenza e gli elevati costi. Gli interventi di cooperazione allo sviluppo possono riguardare i settori più disparati e quindi chiamare in causa i rami più diversi della pubblica amministrazione. Se si vuole però uscire da una logica emergenziale, è necessario prevedere in anticipo che ogni intervento di cooperazione, anche nei casi di massima urgenza, faccia sempre capo, in definitiva, ad un' unica struttura. Sembra anche necessario affermare con forza, nella futura normativa, il principio del cosiddetto “slegamento”, cioè il principio per il quale gli aiuti finanziari non debbono essere vincolati alla fornitura di beni e servizi di origine italiana. Oltre tutto i benefici che l' opposto principio attualmente vigente, quello del cosiddetto “legamento”, ha finora apportato alle aziende italiane sono più apparenti che reali. La cooperazione allo sviluppo non deve essere confusa con una politica di sostegno alle esportazioni italiane, politica che va perseguita in altre sedi e con altri mezzi. Peraltro l' obbligo per il Paese beneficiario di acquistare beni o servizi prodotti da aziende del Paese donatore contrasta, oltre che con le 32 raccomandazioni degli organismi internazionali, anche con la finalità fondamentale di qualsiasi politica di cooperazione allo sviluppo, cioè il sostegno ad uno sviluppo endogeno. Ed è probabile che beni e tecnologie obbligatoriamente acquistati nel Paese donatore risultino spesso non adeguati alle esigenze dei paesi destinatari. Di converso, va anche rimarcato che l' instaurarsi di solidi rapporti tra Paese donatore e Paese beneficiario determina di per sé, nel medio periodo, possibilità di nuovi sbocchi commerciali ed economici, anche senza nessun obbligo contrattuale di “legamento”. In via di deroga, tale obbligo potrebbe essere ammesso dalla futura normativa italiana solo ove particolari circostanze lo rendessero opportuno, con esplicita autorizzazione e dandone adeguata informazione al Parlamento. Una eccezione potrebbe essere prevista, in via generale, per il caso dell' aiuto alla formazione di piccole e medie imprese nei Paesi in via di sviluppo, con un finanziamento pubblico per le società italiane che decidessero di collaborare con società locali per la nascita di imprese di questo tipo. Sempre allo scopo di evitare anche il solo sospetto che si voglia piegare la politica della cooperazione a finalità ad essa estranee, occorrerebbe anche affermare - in termini più netti di quelli previsti nel disegno di legge della passata legislatura - l' obbligo della gara o procedura concorsuale, o comunque una trasparente selezione per la scelta degli organismi, pubblici o privati, ai quali affidare l' esecuzione dei progetti. Questo naturalmente non significa che le procedure della legge Merloni o del Regolamento generale della contabilità dello Stato possano essere sempre seguite, anche in località distanti molte migliaia di chilometri dall' Italia ed in condizioni di estrema difficoltà ambientale. Ed è anche evidente che gli interventi di emergenza - per i quali la responsabilità politica viene assunta dal Governo o dal Ministro degli Affari Esteri – debbono, per ovvii motivi, sfuggire all' obbligo della gara e alle lungaggini 33 che essa comporta. Fatte le opportune distinzioni ed eccezioni, va però affermato l' obbligo generale di procedure e di selezioni trasparenti. E, rifiutando una certa diffusa filosofia pauperistica della cooperazione, tale obbligo deve essere previsto non solo per gli interventi finanziari mediante crediti di aiuto, ma anche per gli interventi a dono. E` opportuno, a mio parere, respingere la diffusa suggestione a riconoscere in questo settore quasi una sorta di monopolio o comunque una scelta preferenziale per l' affidamento della esecuzione dei progetti ad organismi non a fini di lucro. La distinzione fra crediti di aiuto e doni ha un significato dal punto di vista del destinatario finale dell' intervento di cooperazione, il quale solo nel primo caso è obbligato ad una restituzione, sia pure a condizioni agevolate. La distinzione invece non è rilevante - non GHYH essere rilevante (ed anche in questo caso è opportuno innovare rispetto al disegno di legge della passata legislatura) - allorché si tratta di scegliere l' ente o l' organismo che esegue il progetto. Qui infatti si tratta solo di individuare il soggetto che offra le migliori condizioni, quelle che meglio garantiscono l' efficacia dell' intervento. Al limite, un intervento a dono potrà essere eseguito meglio, ed a costi inferiori, da una società a fini di lucro, che però abbia una soddisfacente conoscenza del territorio in cui dovrà agire ed una perfetta padronanza delle tecniche da utilizzare, piuttosto che da una Organizzazione Non Governativa, che agisce solo per scopi umanitari e tuttavia è così poco organizzata da presentare dei costi di produzione insopportabilmente elevati. All' inverso, nulla impedisce di immaginare che una Organizzazione Non Governativa possa risultare, a seguito di regolare gara, assegnataria dell' esecuzione di un credito di aiuto, poiché la rinuncia al profitto aziendale, congiuntamente alla competenza tecnica e alla conoscenza del territorio, le consente di operare con maggiore efficacia. Va rammentato che anche la Corte dei Conti, nella relazione del dicembre 2001 sulla attività delle Organizzazioni Non Governative ha sottoposto a critica l’articolo 3, comma 3 della legge n. 412 del 1991, che esclude 34 dall’obbligo generale di gara le iniziative di cooperazione attuate tramite Organizzazioni Non Governative. E la Corte di giustizia delle Comunità europee, in una sentenza di qualche anno fa, rimarcava come l' assenza dello scopo di lucro non facesse comunque venir meno la natura economica dell' attività, con conseguente applicabilità delle norme in materia di concorrenza. Insomma sembrerebbe opportuno affermare in termini generali l' obbligo di una selezione tra i differenti organismi che si offrono per la realizzazione del progetto. Ovviamente a tale obbligo vanno sottratti gli interventi di emergenza, ma bisogna evitare di ripetere la negativa esperienza del passato, allorché l' Italia - differenziandosi rispetto agli altri Paesi donatori - aveva inventato una sorta di via mediana tra aiuti di emergenza ed aiuti ordinari di cooperazione allo sviluppo, cioè quella “cooperazione straordinaria” in cui la straordinarietà rendeva possibile la sottrazione agli ordinari controlli. Certo, tutte le volte che si impongono procedure diverse rispetto a quelle precedenti, si determinano dei rallentamenti. All' epoca, la Commissione parlamentare di inchiesta sulla cooperazione allo sviluppo registrò molte lamentele, da più parti, sui danni provocati dall' improvviso obbligo generalizzato di gare per i crediti di aiuto. Si tratta del problema, ben noto agli studiosi di tecnica legislativa, del cosiddetto diritto intertemporale, ovvero della fase di prima applicazione di una nuova normativa: e nulla impedisce di prevedere che il nuovo obbligo procedurale entri immediatamente in vigore solo per le nuove iniziative, mentre ne siano esentate le iniziative già avviate. Un altro insegnamento che è possibile trarre dall' esperienza passata concerne le limitazioni che il legislatore deve porre a se stesso. Probabilmente il disegno di legge della XIII legislatura non arrivò alla approvazione finale anche perché cammin facendo si era eccessivamente arricchito, era divenuto pesante e poco gestibile. Forse proprio la consapevolezza di questo passato errore spiega per quale motivo oggi sia così diffusa la tentazione di considerare sufficienti alcune modifiche 35 puntuali della legge n. 49. Qualunque sia la scelta del tipo di intervento normativo, è comunque evidente la necessità di un nuovo intervento del legislatore, per ridare fiato alla cooperazione bilaterale. E un nuovo disegno di legge - se vuole avere probabilità di arrivare all' approvazione finale - dovrà limitarsi alla definizione di pochi principi fondamentali, tracciando chiaramente le procedure essenziali ed i rapporti tra i principali soggetti, senza però perdersi in normative di dettaglio, che potranno ben essere demandate ad atti successivi. E'anche ipotizzabile che, seguendo d' altronde una tendenza oggi largamente prevalente, l' intervento legislativo si presenti come legge di delega rinviando a successivi decreti legislativi. Naturalmente prevedere uno specifico apparato amministrativo della cooperazione allo sviluppo non deve comportare alcuna tentazione a considerare tale apparato di per sé sufficiente. Anzi il suo specifico compito dovrà in via ordinaria consistere nel coordinamento dell' opera di altri apparati pubblici e soprattutto nella valorizzazione dell' ampio e variegato mondo della cooperazione non governativa e decentrata o territoriale, qualunque sia la dizione che si preferisca usare. In questo mondo sono nate iniziative che fanno particolare onore all' Italia e che costituiscono una ricchezza - in termini politici, professionali ed umani alla quale non si può assolutamente rinunciare. E proprio perché si tratta di un mondo ormai adulto e in grado di muoversi autonomamente, lo Stato non deve offrire ad esso forme di sostegno improprio ed ambiguo, ma solo la possibilità di un coordinamento esterno che ne esalti l' efficacia. In tale ambito sarebbe anche opportuno tentare di ridisegnare organicamente l' attuale frammentaria disciplina normativa delle figure del volontario e del cooperante. Chi presta la sua opera nella cooperazione allo sviluppo, spinto essenzialmente da motivazioni umanitarie e con una continuità di impegno che garantisce il massimo risultato della sua opera, deve essere attentamente distinto rispetto sia a chi non fa altro che 36 esplicare la sua ordinaria attività professionale sia anche rispetto a chi presta del tutto gratuitamente la propria opera, ma proprio per questo non può essere obbligato ad una prestazione continuativa, con un conseguente, ineliminabile, carattere di occasionalità dell' impegno. Insomma anche in questo caso vanno soddisfatte esigenze di tipo diverso. Da una parte tali operatori devono essere indotti ad offrire un minimo di continuità e professionalità nelle loro prestazioni: correttamente il disegno di legge della passata legislatura prevedeva che la durata continuativa del servizio da prestare non fosse inferiore ad un anno, oltre ad un periodo aggiuntivo di formazione specifica preventiva, non superiore a tre mesi. D' altra parte sarebbe però anche opportuno evitare che un' attività di questo tipo acquisti di fatto le caratteristiche di una (quasi) ordinaria attività di lavoro dipendente. E, in questa prospettiva, colpisce il fatto che, nel disegno di legge della passata legislatura, al limite temporale minimo dell' attività di volontario non si accompagnasse alcun limite temporale massimo, quasi che si potesse essere volontari a vita. Altra questione sulla quale forse sarebbe necessario porre in discussione le scelte della precedente legislatura, è quella della auspicabilità o meno che la struttura amministrativa pubblica competente per la cooperazione allo sviluppo sia del tutto privata della possibilità di eseguire direttamente i progetti. Certamente lo Stato moderno è sempre più uno Stato regolatore e controllore piuttosto che uno Stato direttamente produttore di beni o erogatore di servizi. E'anche vero però che la effettiva possibilità di controllo permane solo in presenza di una adeguata capacità tecnica di intervento diretto. Non si riuscirà mai a controllare effettivamente una attività delle cui specifiche caratteristiche si ignora tutto. Se il controllore o presunto tale dipende dal suo controllato anche per l' acquisizione di dati informativi minimi, la effettiva possibilità di controllo svanisce ed il controllore diventa prigioniero del controllato. Certo le gare o comunque le procedure di selezione competitiva servono anche a far sì che la 37 competizione fra i potenziali esecutori faccia emergere i dati reali. Ciò tuttavia può non risultare sufficiente e pertanto sarebbe forse prudente mantenere una capacità operativa autonoma alla struttura amministrativa pubblica competente. Anche per questo aspetto una pacata riflessione sui risultati del dibattito sin qui tenutosi potrebbe evitare confusioni e determinare le premesse migliori per un rilancio dell' attività di cooperazione allo sviluppo. 38 $OHVVDQGUR6(5$),1, 0LQLVWHURGHJOL$IIDUL(VWHUL&RRUGLQDWRUHSHUODFRRSHUD]LRQH GHFHQWUDWD ³/¶D]LRQHGHO*RYHUQRLWDOLDQRSHUO¶DLXWRDOORVYLOXSSRHO¶HPHUJHQ]D XPDQLWDULD´ Desidero ringraziare gli organizzatori di questo convegno ed il Consiglio Regionale del Veneto per avermi invitato a partecipare a questo Seminario che si propone di approfondire un argomento cui ho dedicato larga parte della mia attività professionale presso la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri. Un tentativo di riflessione mi sembra effettivamente quanto mai opportuno, dal momento in cui l’ingresso delle Autonomie locali come soggetti di cooperazione, voluto dalla legge n. 49 nell’ormai lontano 1987, ha subito in questi ultimi anni un’evoluzione molto netta, che non si è ancora rispecchiata in un adeguato sistema normativo a livello centrale. La cooperazione decentrata si è andata infatti sempre più configurando come una nuova modalità di aiuto allo sviluppo, con proprie specifiche caratteristiche che la distinguono dalla cooperazione governativa, ancorché legata a quest’ultima da vincoli di complementarietà. Sarebbe difficile negare che la copiosa produzione legislativa regionale in materia, dotando le Regioni di risorse proprie da dedicare alla cooperazione – cosa non prevista dalla legge n. 49 del 1987 – abbia di fatto attribuito alle Regioni stesse una competenza concorrente con quella dello Stato, nonostante, come dice la legge 49, la cooperazione “…faccia parte integrante della politica estera dell’Italia”. Ho ascoltato con molto interesse le relazioni precedenti e vorrei osservare qualcosa sia riguardo alla riforma al Titolo V° della Costituzione, sia in tema di possibile riforma della legge 49, concentrandomi sulla parte concernente la cooperazione decentrata. 39 A mio avviso la riforma del Titolo V° potrebbe legittimare ancora di più le Regioni, i Comuni e gli Enti locali a svolgere attività di cooperazione, riconoscendo la competenza di questi Enti a compiere attività che di fatto hanno svolto per dieci anni e continueranno a svolgere soprattutto nel quadro di protocolli di intesa con realtà omologhe dei Paesi in via di sviluppo. Ancorché la Costituzione riformata preveda la capacità della Regione di stipulare accordi con altri Stati nelle materie di propria competenza, non credo che ciò sia necessario per quanto concerne la cooperazione. Penso che debba continuare a spettare allo Stato, anche nel caso di progetti o programmi di cooperazione decentrata, stipulare le necessarie intese con i Governi dei Paesi in via di sviluppo, lasciando alle Regioni la stipula di protocolli operativi con le controparti locali. A ciascuno il suo ruolo. E’ quello che intendevo dire prima parlando di “complementarietà” tra cooperazione governativa e cooperazione decentrata. Non si porrebbe quindi in questo caso un problema di “pieni poteri”, la cui necessità deriva dall’osservanza del diritto internazionale che non riconosce alle Regioni la personalità internazionale e quindi la capacità di concludere accordi internazionali se non a nome dello Stato, che resta responsabile del loro adempimento. Per quanto riguarda la relazione del dottor Laurenzano che mi ha preceduto, sui tentativi, poi non andati in porto nella passata legislatura, di riforma della legge sulla cooperazione, mi pare che l' impressione generale che se ne può trarre sia quella di capire perché alla fine questa riforma non sia passata. L' impresa era più difficile di quanto non potesse apparire a prima vista: l’esigenza di affidare ad una struttura specializzata il controllo e la gestione tecnico-amministrativa degli interventi di cooperazione difficilmente può essere risolta con la creazione di un' agenzia, perché alla fine i responsabili dell' agenzia vogliono essere responsabili anche della programmazione. Infatti definire un confine tra quella che è la politica estera, il rapporto intergovernativo e la 40 programmazione che si vorrebbe lasciare al Ministero degli Affari Esteri e l’attività meramente esecutiva da affidare all’agenzia è quasi impossibile senza creare sovrapposizioni, con il rischio poi di ripetere inconvenienti come quelli a cui oggi si vuole ovviare, per esempio, nel campo del commercio estero. Qui esistono strutture specializzate, come l' Istituto per il Commercio Estero, che hanno i propri uffici all' estero ma che spesso non si raccordano con le ambasciate, per cui recentemente si è pensato di accorparli al Ministero degli Affari Esteri per rendere più coordinato e funzionante tutto questo settore. E’ facile prevedere che situazioni di questo tipo si riprodurrebbero qualora si creasse un' agenzia per la cooperazione esterna al Ministero degli Affari Esteri. Non credo che questo problema possa essere risolto a breve termine. Riscontriamo in molti Paesi una tendenza a far rientrare in seno ai Ministeri degli Affari Esteri e alle ambasciate competenze che erano state delegate ad altri organismi, in Francia per esempio. Questo anche perché la cooperazione allo sviluppo è sempre più legata alla politica estera in quanto oggi non si tratta più solo di eseguire progetti e fornire infrastrutture, ma soprattutto aiutare i Paesi più poveri nei processi di transizione democratica, nei processi di pace, nella governabilità. Le ambasciate sono quelle che meglio possono interpretare queste esigenze, meglio possono interloquire con i governi e monitorare gli interventi. Per questo io ritengo che la cooperazione dovrebbe sempre più fare capo alle nostre ambasciate, come fa la Commissione Europea che sta decentrando sempre di più la gestione e la programmazione dei propri interventi di cooperazione verso le proprie delegazioni all' estero. Dopo queste osservazioni passerei al tema della mia relazione: "L' azione del governo italiano per l' aiuto allo sviluppo e l' emergenza umanitaria". Naturalmente questo è un tema vastissimo che porterebbe via moltissimo tempo. Vedo che fra la documentazione che avete ricevuto figura la Relazione previsionale al Parlamento sulle attività di cooperazione allo sviluppo dell' anno 2002 che spiega molto bene le linee direttrici dell' azione 41 del nostro Governo. Scorrendo questo documento, che non è poi lunghissimo, ci si rende conto di come la cooperazione sia cambiata e di come sempre più importante sia il coinvolgimento dei poteri locali, delle Organizzazioni Non Governative e della cosiddetta “società civile” sia del nord che del sud con il conseguente incremento del ruolo di questi nuovi soggetti, Regioni ed Enti locali in testa. Noi in Italia abbiamo precorso i tempi, in un certo senso, perché la legge 49 del 1987, all’articolo 2, comma 5, introduceva per la prima volta questi soggetti in un periodo in cui non ne parlava nessuno. Io mi occupai in quell' epoca di dare un contenuto anche operativo a quella disposizione, di individuare un percorso praticabile dalle Autonomie locali desiderose di intervenire nella cooperazione. Redigemmo in quel periodo le prime linee di indirizzo sulla cooperazione degli Enti locali del 1989, che furono approvate anche dal CICS e dai Presidenti delle Regioni. Leggendole adesso ci rendiamo conto di come quel documento andasse parecchio al di là di quanto stabilito dalla legge 49. La legge comunque è rimasta quella di prima. Si è parlato nell' ambito della riforma di dare alla cooperazione decentrata una dignità, uno spazio e un regolamento più chiaro, ma poi la riforma non c’è stata. Questo non ha impedito però alla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo di andare avanti e di proseguire sulla strada iniziata mediante l’approvazione nel maggio 2000 di un secondo documento di indirizzo più aggiornato che introduce per la prima volta il concetto di cooperazione decentrata come qualcosa di diverso dalla cooperazione governativa. In questo documento si considerano le Regioni e gli Enti locali come dei veri e propri soggetti paritari con il Governo e quindi del tutto legittimati a stipulare con la mia Direzione Generale delle convenzioni di cofinanziamento per l' attuazione di progetti individuati e formulati in comune. Passando all’esame di singoli capitoli della Relazione Previsionale del Parlamento vorrei sottolineare alcuni punti qualificanti soprattutto sotto 42 l’aspetto dell’importanza che viene attribuita al partenariato, che rappresenta l’essenza della cooperazione decentrata. Tra gli obiettivi internazionali dello sviluppo, messi a punto dai Capi di Stato e di Governo e dalle Nazioni Unite, a cui la cooperazione italiana ovviamente si associa, un posto di rilievo viene riservato allo sviluppo di rapporti di partenariato globale per lo sviluppo. Si è arrivati a questo concetto attraverso una lunga riflessione svoltasi in sedi internazionali che ha condotto alla conclusione che il processo di globalizzazione già prima dell' 11 settembre sollecitava un nuovo approccio allo sviluppo qualificabile come partenariato diffuso, cioè suscettibile di associare su base paritaria la comunità internazionale ai vari livelli, sia istituzionali, intergovernativi, statuali, locali, che della società civile. Gli obiettivi comuni di sviluppo umano sostenibile e partecipativo devono contraddistinguere la cooperazione tra Paesi ricchi e meno favoriti. Questo concetto, formatosi in questi ultimi anni, è basato su tre componenti interrelate, cioè l' approccio cosiddetto dal basso - "bottom-up" - come metodologia di pianificazione degli interventi, e poi "l’enpowerment" come principio basilare, e cioè l' aiuto per mettere in grado le varie categorie, in particolare le più vulnerabili, di realizzare il proprio potenziale di trasformazione socioeconomica e di affermazione dei propri diritti. Infine c’è la cosiddetta "ownership", cioè l' appropriazione dell' attività di sviluppo da parte dei governi beneficiari, nonché delle comunità locali con il decentramento amministrativo e il consolidamento della società civile. Quindi partendo da questi obiettivi, da queste strategie, la cooperazione italiana si dà un proprio approccio che è basato sui seguenti principi (li cito molto rapidamente): condivisione dei principi della governabilità; coerenza tra le varie politiche connesse allo sviluppo; coordinamento tra soggetti donatori nazionali e multilaterali; complementarità tra le attività di sostegno sanitario, educazione e formazione delle risorse umane; e poi questo che io ritengo molto significativo in questa sede: collaborazione tra sistemi Paese tramite, in particolare, le Organizzazioni Non Governative, gli Enti 43 locali, le imprese, le istituzioni universitarie, per trasferire il know how in Paesi in via di sviluppo e portare sul terreno risorse umane preziose ai fini della formazione in loco e del "good government". Quindi, come vedete, la cooperazione italiana adotta, tra gli altri, un approccio che va totalmente incontro alle capacità, alle potenzialità e alle aspirazioni delle Autonomie locali nel campo della cooperazione. Esaminiamo adesso alcuni indirizzi programmatici della cooperazione italiana sempre in quest’ottica di coinvolgimento degli Enti locali e dei territori. Il primo è la riduzione della povertà. Questo è l' obiettivo centrale della cooperazione che intendiamo promuovere anche attraverso la cancellazione del debito. In effetti l’Italia ha adottato un programma di cancellazione del debito molto più avanzato di quello di altri Paesi, ma vogliamo che le risorse liberate vengano destinate dai Paesi beneficiari a programmi di riduzione della povertà. Come concepiamo i nostri interventi in questo settore? Essenzialmente privilegiando lo sviluppo locale con la partecipazione dei soggetti direttamente interessati, quindi Enti locali, organizzazioni di società civile, piccole e medie imprese, Organizzazioni Non Governative italiane ed internazionali. L’attuazione di questa strategia è affidata a programmi quadro di riduzione della povertà in determinati Paesi o aree tra cui, per esempio, il Sahel ed il Centro America, da noi finanziati sul canale bilaterale e multilaterale, che lasciano ampi spazi per la cooperazione decentrata. Evito di menzionare, per motivi di tempo, tutti gli altri settori in cui noi siamo attivi per passare ad una modalità che interessa particolarmente le Regioni e cioè l' aiuto pubblico come fattore catalizzatore inteso a promuovere la creazione di un ambiente favorevole allo sviluppo delle Piccole e Medie Imprese. Su questo fronte molte Regioni si sono attivate soprattutto nei Balcani e nel Mediterraneo con interventi di cooperazione da non confondere con le azioni di promozione commerciale vera e propria. Le azioni di cooperazione devono tendere a creare un ambiente propizio allo sviluppo 44 economico locale che poi aprirà la strada agli investimenti italiani. Su questa linea noi siamo prontissimi a dare tutto il nostro appoggio. Accennerò ora alla collaborazione della cooperazione italiana con gli organismi internazionali. E'questo un settore cui destiniamo gran parte delle nostre risorse. Noi finanziamo il 60% dei nostri interventi attraverso organismi multilaterali. Si tratta di una percentuale tra le più elevate che si riscontrano tra i Paesi donatori. Ciò è dovuto anche, rilevava il dottor Laurenzano, alla debolezza delle nostre strutture, che oggi sono molto ridotte rispetto a quello che la legge 49 prevede; per una unità tecnica prevista di 120 persone, adesso ce ne saranno sì e no una sessantina. Questo comporta una maggiore utilizzazione degli organismi multilaterali per la gestione degli interventi, ma anche una minore visibilità. Ciò nonostante va detto che attraverso gli organismi internazionali non solo riusciamo ad effettuare degli interventi efficaci, ma anche a maturare esperienze che ci serviranno molto quando, spero presto, ricominceranno ad affluire risorse alla cooperazione, ridotte ormai allo 0,13% del prodotto nazionale lordo, una delle percentuali più basse - cioè la penultima prima di quella degli Stati Uniti - di tutti i Paesi donatori. Quando aumenteranno le risorse noi le destineremo sempre di più alla cooperazione bilaterale. Verso la fine del documento in questione si cita tra gli obiettivi la promozione del Sistema Italia attraverso la cooperazione allo sviluppo, che si traduce soprattutto nella collaborazione del Ministero degli Affari Esteri con le Organizzazioni Non Governative e con gli Enti locali. Leggendo questo paragrafo si nota come per noi la cooperazione decentrata costituisca una delle modalità più innovative. Riconosciamo che la crescita spontanea di questa forma di cooperazione rappresenta una grande opportunità per la cooperazione governativa. Non solo una opportunità, ma anche un impegno complesso, perché ci sentiamo chiamati a collaborare sempre più con le Regioni e con una molteplicità di Enti locali per fare sì che i loro interventi rientrino sinergicamente nei nostri programmi di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo e si inseriscano 45 nelle più ampie strategie che il Governo persegue. I nostri sforzi in questa direzione richiederebbero la creazione di strutture interne più robuste che supportino questo nuovo settore. Le Organizzazioni Non Governative hanno un ufficio apposito presso la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo mentre le Regioni e gli Enti locali non ce l' hanno ancora. Noi comunque abbiamo aiutato molte Regioni ed Enti locali ad inserirsi in programmi quadro di cooperazione. Mi riferisco ai programmi UNDP/UNOPS di sviluppo umano, da noi finanziati, che organizzano la cooperazione decentrata secondo certe modalità, offrendo a centinaia di Comuni ed anche alle Regioni la possibilità di intervenire in maniera efficace e coordinata in determinate aree. Mi sono trovato in parecchie occasioni in questi Paesi ad inaugurare progetti, a parlare con i suoi attori, e ho notato molta soddisfazione per l’apporto dato dagli esperti dell’UNOPS che, interloquendo con i Governi oltre che con le autorità locali, hanno individuato settori di intervento in cui poi si è inserita molto bene la nostra cooperazione decentrata. Questi programmi quadro in realtà avrebbero potuto essere anche bilaterali, ma il fatto di non disporre di risorse umane sufficienti ci ha indotto ad utilizzare organismi internazionali come l' UNDP/UNOPS. Sul piano bilaterale abbiamo stipulato una convenzione con la Regione Friuli Venezia Giulia che prevede il cofinanziamento di un programma di cooperazione decentrata localizzato nell' area subdanubiana-croata. Esso comprende un insieme di progetti (ce ne sono più di venti) di sostegno istituzionale ad attività socio-economiche, produttive, alla piccola e media impresa, con il coinvolgimento di vari attori del territorio. Questo programma, iniziato da poco, rappresenta un banco di prova sulla capacità delle Regioni di gestire interventi complessi ed impegnativi. Un' altra convenzione che stiamo per stipulare con la Regione Toscana si propone di guidare e valorizzare gli interventi degli Enti locali toscani. Il programma prevede la costituzione di una rete di Comuni toscani con 21 Comuni dei Balcani, appartenenti a diversi Stati, con un approccio 46 regionale che riteniamo molto opportuno. Questa rete servirà a sostenere il buon governo e soprattutto a rafforzare la capacità degli Enti locali balcanici nei servizi pubblici locali e nel sostegno allo sviluppo economico locale. Questi sono i due settori che la Regione Toscana ha scelto e sui quali si confronterà svolgendo un ruolo di coordinamento che noi riteniamo estremamente interessante. Non tutte le Regioni italiane credo siano idonee a svolgere un simile ruolo catalizzatore nei confronti degli Enti locali del proprio territorio anche perché forse altrove non c' è quella omogeneità che esiste in Toscana. E’ tuttavia auspicabile che le Regioni assumano la leadership, rappresentando un punto di riferimento per i propri Enti locali. Programmi di questo tipo potranno essere da noi coofinanziati fino al 70% del loro valore. Se poi le Regioni non riuscissero a convogliare gli Enti locali, questo ruolo potrebbe essere assunto dall' ANCI che potrebbe farsi promotore di un programma simile a quello della Regione Toscana in un’area geografica come ad esempio il subcontinente latinoamericano. In effetti il Ministero degli Affari Esteri non vorrebbe lasciare le iniziative degli Enti locali senza un punto di riferimento, senza un programma quadro. Ormai è finito il tempo in cui il Ministero pensava di avere l' esclusiva della cooperazione e desiderava evitare interferenze in questo settore. Oggi il Ministero degli Affari Esteri ha riconosciuto la funzione importante e complementare che le Regioni possono svolgere nel campo delle relazioni internazionali, decidendo tra l' altro di collocare dei consiglieri diplomatici presso le Regioni ove queste lo richiedano. Quindi noi speriamo di riuscire, con il vostro aiuto, a stabilire sempre maggiori sinergie e quindi conferire sempre maggiore valore aggiunto agli interventi sia nostri che vostri, riconoscendo a ciascuno un proprio campo di azione. Ciò detto, bisogna guardarsi dall’aderire alla tesi di coloro che ritengono la cooperazione tra governi inefficace e pensano di sostituirla con la decentrata: come ho già detto in precedenza le due forme di cooperazione sono complementari e andrebbero sempre più integrate tra loro. 47 La situazione normativa è indubbiamente carente, perché siamo rimasti alla legge 49. Senza aspettare una riforma che prenderà presumibilmente molto tempo, sarebbe opportuno pensare ad una leggina, che riguardi specificatamente la cooperazione decentrata per sciogliere i nodi che rendono difficili i cofinanziamenti. Concludo qui questo mio intervento sperando di avere tratteggiato, sia pure in maniera sommaria, la nostra visione sulle grandi potenzialità della cooperazione decentrata, soprattutto se affiancata o meglio ancora integrata in quella governativa, mettendo anche in luce i limiti, di natura strutturale, che ostacolano il suo cammino. 48 *LOGR%$5$/', 'LUHWWRUHDOO 2VVHUYDWRULR,QWHUUHJLRQDOHVXOOD&RRSHUD]LRQHDOOR 6YLOXSSR ³/¶D]LRQHGHOOH5HJLRQLLWDOLDQHSHUO¶DLXWRDOORVYLOXSSRHO¶HPHUJHQ]D XPDQLWDULD´ Desidero ringraziare il Consiglio regionale che ha voluto questo seminario e tutti i presenti per la pazienza, l’attenzione e l’interesse che stanno dimostrando. L’Osservatorio Interregionale sulla Cooperazione allo Sviluppo (OICS), di cui sono direttore, è l’ente di servizio comune di tutte le Regioni italiane per la cooperazione allo sviluppo, promosso dalla Conferenza dei Presidenti di Giunta delle Regioni, che designa anche il Presidente dell’OICS. Attualmente è il Presidente della Regione Marche, Vito D' Ambrosio. Prima di presentare rapidamente che cosa è oggi la cooperazione decentrata a livello regionale, credo sia importante capirci sullo scopo della cooperazione. La parola “cooperazione” comincia con un “co”: significa che ci sono almeno due soggetti che collaborano insieme, quindi non può essere ridotta a rapporto tra uno che dà e l' altro che riceve, cioè una sorta di elemosina internazionale. Chi opera in questa logica crea solo più dipendenza, cioè distrugge la capacità economica, di autosostenibilità, di sovranità dei Paesi terzi. Pensate al contadino povero del Kenya che si spacca la schiena tutto l' anno per riuscire a produrre qualche pannocchia: le porta al mercato e non è in grado di venderle perché non può competere con i doni alimentari che arrivano dal Nord del mondo. Cosa fa a quel punto? Vende la sua terra alla prima multinazionale (magari la stessa che aveva venduto allo Stato del Nord i prodotti alimentari poi mandati come aiuti), e va ad ingrossare le masse sterminate di mendicanti 49 alla periferia di Nairobi assistite dalla cooperazione internazionale. Dopo un po'l' assistenza non c' è più, ci sono solo prestiti internazionali, che creano ulteriore debito dopo che si è distrutta una capacità produttiva che c' era in quel Paese. La cooperazione invece si basa soprattutto sul principio di operare insieme, cercando il vantaggio reciproco di entrambe le parti. Da parte nostra essa deve reggersi su una motivazione fondamentale: il dovere morale di solidarietà verso le popolazioni di quei Paesi in cui le condizioni di vita sono veramente disperate, ma questo può degenerare in “carità pelosa” se non vi si associano altri elementi, tra cui la ricerca di vantaggi reciproci e quindi anche di nostri interessi di ritorno. Non mi riferisco a sfruttamento o rapina, ma a interessi di ordine più generale. Intendo dire per esempio che non è utile per l' Italia essere circondata per tre quarti da paesi destabilizzati, in guerra, da cui c' è una fuga di persone disperate, come è oggi grazie alle guerre che ci sono state nei Balcani, quella in Palestina, le stragi in Algeria, eccetera. Ci sono altri vantaggi di tipo globale: la salvaguardia dell' ambiente riguarda tutti e, dopo aver distrutto le nostre, non possiamo pretendere che senza contropartite i popoli del terzo mondo scelgano fame e sottosviluppo per non sfruttare le loro risorse naturali. Ci sono anche legittimi interessi economici. Non vorrei sembrarvi cinico, ma mi sono stancato del manicheismo ipocrita di chi, sostenendo che "non sappia la mano destra cosa fa la mano sinistra", separa seccamente la cooperazione allo sviluppo dalla internazionalizzazione economica, con il risultato che alla fine non si fa né l' uno né l' altro, ma si usano i soldi dei contribuenti italiani per comprare da fornitori speculativi attrezzature, eccedenze e servizi di dubbia utilità per lo sviluppo locale. Che poi finiscano in Africa o naufraghino per strada non importa a nessuno, quindi non generano neanche dei vantaggi per l' Italia. Lo sa bene il dottor Laurenzano, con cui ho avuto l’onore di collaborare nella Commissione parlamentare di inchiesta sulla cooperazione. 50 Non mi sto riferendo a scandali, abusi o tangenti, che pure vi sono stati, ma a dispersioni frutto anche dell’ipocrisia che ho lamentato. Per esempio chi tra gli anno ’80 e ’90 sia stato nel Corno d' Africa avrà visto più rottami di veicoli fuoristrada “Fiat Campagnola” che sassi. Questo perché si trattava di un veicolo, oggi non più prodotto, inadeguato in quei Paesi, privo di assistenza in loco e sconosciuto ai meccanici del posto, ma che la cooperazione italiana imponeva in tutti i progetti. Non trovo per niente scandaloso che con i fondi della cooperazione anche l' impresa italiana tragga un beneficio, e che quindi si sia preferito favorire la Fiat piuttosto che la Toyota. Però in questo modo non si è fatto né il vantaggio dei Paesi partner, né quello della nostra politica economica estera, che consiste nel favorire la penetrazione dei nostri prodotti in quei mercati, nel rendere più redditizi i nostri investimenti all’estero o nell’attrarre investimenti esteri. Ciò si poteva fare – continuando con l’esempio della Fiat, ma questo vale anche per altri settori – formando i meccanici locali, sostenendo reti di assistenza e manutenzione, favorendo processi di sviluppo economico locale. Se il piccolo produttore o commerciante locale raggiunge le condizioni economiche per comperarsi il furgoncino e trova, nel suo Paese, una rete in cui è già noto e assistito il furgoncino dell' Iveco, compra quello piuttosto che un altro, pur stando nella libera concorrenza. Quello che è stato fatto non è servito né alla Fiat, al di là della piccola prebenda data con l’acquisto di alcuni veicoli, né ai locali, riempiti di macchine inutili. Affermo con chiarezza che cooperazione allo sviluppo e internazionalizzazione economica del “Sistema Italia”, pur avendo finalità diverse, non sono necessariamente contrapposte e, anzi, possono spesso essere sinergiche. Tanto più che cooperare allo sviluppo dei Paesi terzi vuol dire anche ed innanzitutto favorire lo sviluppo economico. Come diceva De Filippo: "I soldi non fanno la felicità, figuratevi la miseria". Sia chiaro, non basta produrre nuova ricchezza perché ciò generi automaticamente più giustizia e più equità: anzi, è sistematico che la mera crescita economica avvantaggi pochi, emarginando e relegando la 51 maggioranza della popolazione in condizioni ancora più miserabili. E’ necessario che lo sviluppo economico si accompagni a quello sociale, culturale e politico, della democrazia e della partecipazione. Ma è certo che se non c' è più ricchezza e non c' è nulla da distribuire, è inutile discutere su come ridistribuire più giustamente. Entrerò ora nello specifico della cooperazione decentrata. Mi scuso per la lunga premessa, ma è proprio nella decentrata che è più importante la sinergia tra cooperazione allo sviluppo e internazionalizzazione economica territoriale. L’azione internazionale delle autonomie locali è un fenomeno relativamente recente, ma in rapida e forte crescita. Anche al di là della riforma del Titolo V° della Costituzione è inevitabile che il ruolo dello Stato nazionale vada progressivamente assottigliandosi. In un mondo globalizzato, molte delle sue competenze passano a livello sovranazionale (Unione Europea, IFI – Istituzioni Finanziarie Internazionali -, Nazioni Unite), altre competenze passano a livello più basso, a livello regionale, a livello provinciale, a livello comunale, a livello di società civile. Tuttavia, nell' ambito della cooperazione, concordo con il Ministro Serafini che il ruolo delle autonomie locali non è né sostitutivo né alternativo a quello dei due altri soggetti: le istituzioni sovraregionali (Stato, Unione Europea, ONU, ecc.) e le organizzazioni della società civile (Organizzazioni Non Governative e Volontariato). Al contrario, la cooperazione decentrata costituisce un nuovo anello che unisce una catena altrimenti spezzata, inserendosi tra quei due soggetti, collegandosi con entrambi e svolgendo propri compiti specifici, diversi e complementari con quelli di ciascuno di loro. Delle Organizzazioni Non Governative parlerò dopo, sulla sinergia con la “grande cooperazione” mi spiego rapidamente con un esempio concreto. Essa ha donato alla città di Tirana una bellissima centrale dell' acqua, da cui esce acqua purissima che potrebbe essere trasformata 52 immediatamente in acqua minerale e che ovviamente è costata molti soldi. Però di questa acqua solo il 30% arriva ai rubinetti di Tirana e solo una frazione di questa arriva ad utenti registrati che pagano l' utenza, dando alla società dell' acqua i fondi con cui assicurare servizio e manutenzione. Ciò perché la rete idrica urbana è obsoleta e la società di gestione è inadeguata. Ecco una competenza tipica della cooperazione decentrata, che può avvalersi anche dell’esperienza delle amministrazioni locali italiane e delle ex municipalizzate. Non sono certo né la Regione Veneto né il Comune di Venezia che possono farsi carico delle grandi infrastrutture, strade, dighe, centrali, elettrodotti, discariche, ecc., pur necessarie per lo sviluppo, ma non è il Ministero degli Affari Esteri che può sostenere la gestione dei servizi, la capacità albanese di amministrare il territorio, se non incaricandone le autonomie locali e i loro enti strumentali. Più in generale, in cosa consiste la cooperazione decentrata? Consiste sostanzialmente nella capacità di costruire tra un territorio italiano ed uno o più altri territori dei Paesi terzi degli accordi quadro in cui si mettono insieme le vocazioni, le competenze, le capacità, i punti di forza e quelli di debolezza dei due territori e si cerca di integrarsi a vicenda. Non si tratta, come prevede l' attuale legge 49 sulla cooperazione nazionale, di progetti dettagliati all’origine in cui cinque anni prima si prevede che tra cinque anni si compreranno tre vanghe e due zappe e se poi si scopre che invece servono due vaghe e tre zappe si deve ricominciare da capo. Sono programmi di partnerariato, specie di “patti interterritoriali”, in cui all’origine si concordano solo gli obiettivi generali, gli impegni reciproci, gli ambiti di intervento e le modalità di collaborazione e di consultazione con cui via via si definiscono i progetti operativi. Ma chi realizza di fatto questi progetti? Non la Regione Veneto, non il Comune di Padova o di Venezia; la vera forza della cooperazione decentrata è la capacità di costruire questi accordi quadro in cui si mettono insieme come protagonisti, come soggetti attivi, tutti i soggetti dei 53 due territori; questo è il senso di territorialità, di partenariato globale. In pratica si tratta di costruire un mosaico. La differenza tra un insieme di pietre colorate ed un mosaico sta nel disegno in cui le tessere sono accostate. Il disegno è l’accordo quadro di partnerariato. Le tessere sono i soggetti del territorio: gli Enti locali che si coordinano tra loro e con la Regione, le società che gestiscono pubblici servizi, le associazioni di categoria di imprenditori, artigiani e commercianti, gli istituti di formazione - ricordo peraltro che la formazione ancora prima della riforma del Titolo V° era una competenza esclusiva delle Regioni -, gli Istituti di credito – pensate all’importanza del microcredito rurale, artigiano e delle piccole e medie industrie nei Paesi terzi -, le piccole e medie imprese che possiedono saperi importanti da offrire, le comunità organizzate di immigrati che possono svolgere una funzione di ponte con i loro Paesi di origine, e ovviamente le Organizzazioni Non Governative. Mi limito qui a ricordare come piccolo esempio un recente accordo stipulato tra una Regione dell’Italia centrale ed una Regione del Cile, una Regione relativamente ricca, ma con una economia distrofica e sbilanciata. Si tratta infatti di un’area mineraria, in cui arriva molta valuta pregiata per le esportazioni di rame, ma dove tutta l' economia è basata sulle miniere di rame e tutto il resto deve essere importato, perfino l’acqua. L’agenzia finanziaria della Regione italiana si è recata in Cile con una serie di operatori, pubblici e privati per analizzare, insieme ai cileni, i punti di forza e di debolezza della realtà, della società e dell' economia di quel territorio. Sono così arrivati ad un accordo che è in parte di internazionalizzazione economica e di scambi economici, finanziati dagli operatori interessati delle due parti, e in parte di cooperazione, aiuto, formazione e assistenza tecnica, a carico delle due pubbliche amministrazioni, il tutto con un rilevante finanziamento a dono e a credito del Banco Interamericano di Sviluppo. I diversi aspetti sono tra loro 54 integrati con intelligenza, non con istinto di rapina. Per esempio in questo territorio importano anche i sanitari per i bagni, e li importano dal Messico. Le due parti hanno analizzato insieme la possibilità di importarli dall’Italia. Hanno concluso che il prodotto italiano sarebbe stato più costoso di quello messicano, ma che i produttori italiani avrebbero potuto esportare invece il loro know how per produrre sanitari per bagni in Cile, contribuendo così alla differenziazione dell' economia di quel territorio, ma anche avvantaggiando gli imprenditori italiani che in qualche modo hanno potuto aprire così delle imprese. Tra le Organizzazioni Non Governative e la cooperazione decentrata ci sono stati spesso dei malintesi, per cui è bene spendere due parole anche su questo. Le Organizzazioni Non Governative di volontariato internazionale e di cooperazione allo sviluppo non sono le uniche realtà della società civile in questo campo, ma sono soggetti normalmente molto validi, molto capaci, che hanno ormai una lunga esperienza di oltre 40 anni nel mondo e che quindi conoscono bene le realtà in cui operano. Esse progettano insieme ai partner locali e realizzano in prima persona progetti di sviluppo, di emergenza e di assistenza, per lo più a favore dei poveri. Per finanziare queste attività raccolgono anche fondi nella società italiana, ma soprattutto chiedono contributi a grandi “donors”: Ministero degli Esteri, Unione Europea e, in minor misura, anche Regioni ed Enti locali. Da questi ultimi provengono contributi molto piccoli, ma spesso indispensabili. Infatti Ministero e Commissione europea pretendono che una percentuale del costo di ogni progetto sia finanziata autonomamente dalla Organizzazione Non Governativa e in Italia la possibilità di raccogliere fondi direttamente dalla popolazione è sempre molto bassa. Con la crescita della cooperazione decentrata le Organizzazioni Non Governative hanno temuto che questi piccoli contributi potessero venir meno, e che anzi Regioni ed Enti locali diventassero concorrenti sleali, drenando dai grandi donors parte dei fondi destinati alle Organizzazioni 55 Non Governative stesse. Alcune hanno anche sospettato che le Amministrazioni locali minassero la loro autonomia, pretendendo di coordinare i loro progetti; altre che Sindaci, Assessori e altri amministratori locali si improvvisassero esperti di cooperazione sostituendo il ruolo tradizionale delle Organizzazioni Non Governative. A questi equivoci hanno involontariamente contribuito anche l’Unione Europea ed il Ministero degli Esteri. La prima ignora la realtà della cooperazione decentrata (italiana, ma anche tedesca, spagnola e di altri Paesi), al punto che quando andiamo a Bruxelles dobbiamo tradurre in “coopération deconcentrée” perché per la Commissione “coopération decentralisée” include tutto ciò che non sono i governi centrali, quindi anche le Organizzazioni Non Governative sia del Nord che del Sud del mondo. Quanto al Ministero degli Esteri, esso, non trovando nella legge nazionale normative adeguate per la cooperazione decentrata, ha spesso cercato di trattarla per analogia con quella delle Organizzazioni Non Governative. Oggi la gran parte delle più di italiane, e tra esse tutte le “top svolgono più dell’80% del volume quei timori erano infondati. Anzi la 200 Organizzazioni Non Governative ten”, cioè quelle poche che da sole totale di attività, hanno ben capito che cooperazione decentrata chiede loro di raddoppiare il loro ruolo: da un lato di continuare il loro ruolo tradizionale di soggetti a tutto campo che fanno i loro progetti con i contributi del Ministero degli Esteri, dell' Unione Europea ed anche delle Regioni e degli Enti locali, che continuano ad essere erogati come prima. D’altro lato si chiede loro di svolgere in più un nuovo compito, cioè di partecipare a quegli accordi quadro che costituiscono la cooperazione decentrata con una funzione duplice: quella - se torniamo all' esempio del mosaico - di essere una tessera di questo mosaico, e quella, mutando la metafora dal mosaico alla vetrata gotica, di essere anche il listello di piombo che tiene insieme i pezzi di vetro colorato della vetrata, offrendo agli accordi di 56 partnerariato territoriale la loro cultura, conoscenza ed esperienza della cooperazione “bottom up”. Parliamo ora dei principali settori di intervento della cooperazione decentrata. Nessuno ha mai stabilito formalmente quali devono essere, anzi in realtà siamo ancora in una fase nascente, c' è di tutto e il contrario di tutto. Però dall' osservazione delle migliori pratiche si possono rilevare i settori e gli ambiti in cui la cooperazione decentrata sta maggiormente e meglio operando. Uno è quello del “buon governo territoriale”, del rafforzamento istituzionale. In gran parte dei Paesi terzi è in atto, con grandissima difficoltà, un processo di decentramento amministrativo interno, soprattutto nei Paesi storicamente più centralisti, come quelli dell’Europa dall' Est. Il decentramento favorisce i meccanismi di partecipazione e quindi la democrazia, ed è un settore di vocazione naturale delle amministrazioni decentrate italiane, in cui hanno particolare competenza e possono pertanto impegnarsi ad aiutare sia i governi centrali dei Paesi terzi sul piano giuridico ed amministrativo a creare meccanismi di decentramento, sia le nuove autorità territoriali a governare i loro territori, che non è una cosa facile. In questo settore è molto importante anche la formazione politico-amministrativa dei nuovi Sindaci, dei nuovi amministratori e dei nuovi funzionari. Un secondo settore è quello dei servizi pubblici. Prima parlando dell' acquedotto di Tirana ho fatto un esempio, i servizi pubblici sono essenziali in tutti i campi: sanità, educazione, acqua, energia, trasporti, ambiente, fognature, sia nel campo della realizzazione di piccole infrastrutture sia soprattutto nel campo della gestione. Noi abbiamo un' esperienza storica che è quella delle ex municipalizzate, in cui si è dimostrata l’utilità di mettere insieme pubblico e privato in società di gestione di servizi pubblici. Ora in tutte le città dell' America Latina o la luce elettrica non c' è o, dove c' è, non esiste una società di gestione, gli 57 allacciamenti sono abusivi, la luce alla fine manca e così via. E'importante portare la luce, ma è ancora più importante essere in grado di gestirla e questo richiede interventi vari anche di formazione tecnica gestionale. Un terzo settore è quello dello sviluppo economico locale, ambito che maggiormente si interseca con quello dei processi di internazionalizzazione. Sviluppo economico vuol dire creare occupazione, creare meccanismi di impresa, creare capacità di produzione agricola. Si è appena concluso il vertice della FAO sulla sicurezza alimentare (che io preferirei chiamare sulla “sovranità alimentare”), che ha messo in primo piano lo sviluppo economico in campo produttivo agricolo, zootecnico, ittico, della piccola imprenditorialità, che poi è il modo più serio di lottare contro la fame. In questo campo è importantissima l’esperienza maturata dal territorio italiano, soprattutto in quelle aree, come il nostro Nord-Est, in cui lo sviluppo economico si è basato sulla piccola impresa diffusa e sullo stretto intreccio fra agricoltura, industria e terziario, creando modelli che non esistono in molti Paesi. Anche in questo campo è efficace una cooperazione decentrata che abbia come protagonisti i diversi soggetti del territorio, tra cui anche il settore della piccola e media impresa e delle cooperative ed il settore del credito. Cito come esempio un esperimento in Tunisia di una Regione dell’Italia centrale insieme ad un suo Comune di medie dimensioni, esperimento guardato con estremo interesse da tutta l' area del nord Africa arabo, di introduzione del concetto di impresa sociale, cioè di imprese che possano sostituirsi al tradizionale assistenzialismo verso handicappati fisici e mentali, mettendoli in grado, con un minimo di aiuto, di operare nel mercato, dando loro la dignità di lavoratori ma anche dando una soluzione alternativa seria all' assistenza. 58 Questi tre che ho citato sono i principali settori di intervento della cooperazione decentrata; su di essi si stende trasversalmente un quarto settore, quello della formazione: politico-amministrativa nella “good governance”, tecnica e gestionale per le “public utilities”, professionale e manageriale per lo sviluppo economico locale. Resta l’esigenza di interventi di emergenza, non pianificabili, ma necessari quando ci sono catastrofi, sia di origine naturale, sia, più spesso, di origine umana. Ma anche nei disastri peggiori, essi devono limitarsi ad assicurare la sopravvivenza della popolazione solo intanto che si cerca di ricostruire il tessuto sociale ed economico, e da subito impostati in questa prospettiva. Ho già spiegato il perché con l’esempio del contadino kenyota ridotto a mendicante. Vi è poi un ulteriore ambito di interesse sia della cooperazione decentrata che dell’internazionalizzazione territoriale, spesso sottovalutato: quello del governo dei flussi migratori, in tutte e due le direzioni. A questo è stato fatto un cenno anche da un altro relatore in apertura del seminario. Ricordo che una volta, girando in macchina nello Stato brasiliano di Espirito Santo, mi sono fermato per chiedere l' informazione di una via in portoghese; mi si è avvicinato un signore e mi ha detto: "comandi sior". Ho scoperto poi che in quella zona la lingua più parlata non è il portoghese ma il veneto. Questo evidenzia l’utilità reciproca di creare rapporti di cooperazione, ma anche di internazionalizzazione e di scambio economico, con le comunità italiane di antica emigrazione, che sono molto presenti in alcuni Paesi. Poi c' è il processo di immigrazione. Sia chiaro: sbaglia chiunque sostenga che con la cooperazione si può ridurre quantitativamente il flusso di immigrati; questo non è vero, anzi è scientificamente dimostrato che più e migliore cooperazione con un determinato Paese aumenta la quantità di immigrati da quel Paese. Però c' è un fatto fondamentale: esiste una differenza sostanziale tra quella componente di flusso immigrato che 59 arriva per fuga, spinto dalla fame, dalla guerra e quindi viene in condizioni disperate, per lo più clandestinamente, essendo per sopravvivere disponibile a fungere da manodopera a basso costo per la criminalità, e il flusso invece che viene per chiamata, cioè il flusso che viene perché la nostra economia ha bisogno di immigrati, e l' economia del Veneto forse più di altre. Riuscire a generare meccanismi di formazione, di selezione, di collegamento con la richiesta di flusso immigratorio è un contributo fondamentale per trasformare il problema dell' immigrazione da problema di ordine pubblico a problema di vantaggio reciproco per noi che riceviamo ed anche per i Paesi da cui questi immigrati vengono. Ricordo a tutti che fino agli anni ‘50 le rimesse degli emigrati sono state per l' Italia la seconda voce della bilancia dei pagamenti. Sul piano geografico, è ovvio che la cooperazione decentrata può operare in tutto il mondo e in effetti lo fa. Ma vi è una concentrazione prevalente nelle aree di prossimità, sostanzialmente nel Mediterraneo, e prevalentemente nell' area dei Balcani, nell' Europa orientale, nel Nord Africa arabo e, anche se oggi solo in termini umanitari perché non è possibile sviluppare altre componenti di cooperazione, nell' area del Medio Oriente. Il quadro normativo è già stato trattato approfonditamente nelle altre relazioni di questa mattina, quindi mi limiterò a dire che la riforma della legge 49 non è all' orizzonte prossimo, ormai tutti l' hanno capito. Con la legge attuale la regolamentazione della cooperazione è molto complessa, talmente complessa che è praticamente impossibile per l’Italia programmare, gestire e realizzare direttamente iniziative di cooperazione. Non è un caso che, stando ai dati riportati anche stamattina, l' Italia riesce a dedicare solo un quarto delle sue risorse (già di per se’ irrisorie: siamo al penultimo posto come percentuale del PIL) al bilaterale ed il resto al multilaterale, quando gli altri Paesi europei mediamente danno il 70% sul 60 bilaterale e il 30% sul multilaterale. Ma neanche questo quadro è reale, perché se dal bilaterale togliamo il cosiddetto “multibilaterale”, che sono i soldi che l' Italia dà bilateralmente ad una Agenzia delle Nazioni Unite perché realizzi lei le iniziative concordate, il bilaterale puro si riduce intorno al 12-13%. Questo è un termometro del fatto che la legge non funziona, perché per riuscire a spendere i pochi soldi disponibili il Ministero degli Esteri è costretto a ricorrere ad una scorciatoia, qual è il ricorso al multibilaterale e al multilaterale. Però non credo che il naufragio della riforma della legge 49 sia venuto solo per nuocere, perché purtroppo, condivido quanto diceva il dottor Laurenzano, sembra quasi sia un patrimonio cromosomico del nostro Parlamento il fatto che ogni volta che si mette mano ad una legge la si appesantisca; veniva fuori dalla Camera un testo che quasi pretendeva di regolamentare anche il colore dei calzini dei volontari. Questo non semplifica: ai complessi meccanismi attuali si rischiava di sostituirne altri, forse più lineari, più aggiornati e più moderni, ma di complessità non minore. Credo che oggi, tanto più dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, sia possibile procedere su due tempi. Prima si cerchi di far funzionare la legge che c' è e sperimentare le innovazioni necessarie. Ciò vuol dire buttare via il D.P.R. n. 177 dell' 88, il regolamento di attuazione della legge 49, cioè le norme applicative che articolo per articolo contraddicono la legge, delegificare al massimo rimuovendo rigidità eccessive e passaggi inutili e paralizzanti, apportare alcune modifiche legislative minimali che riportino, per quanto possibile, la legge ad elementi di principio. Soprattutto semplificare le procedure, oggi basate su una paranoica e infinita analisi istruttoria preliminare per approvare nei più minuti dettagli ogni progetto (dettagli che non potranno più cambiare neppure davanti all’evidenza della realtà, magari anni dopo), tutto ex ante; cosa succede davvero poi quando finalmente si realizza il progetto e quali risultati ha ottenuto quando è terminato, nessuno mai andrà a guardarlo. 61 E’ dunque necessario semplificare la legge e le procedure al massimo ma anche introdurre, come diceva prima il Ministro Serafini, una serie di piccole modifiche che, pur non essendo la grande riforma, rendano possibile procedere per progetti quadro, costantemente verificati e via via riaggiustati nel corso della loro realizzazione. Ciò soprattutto per la decentrata. Solo in un secondo tempo, alla luce delle esperienze fatte e dei risultati ottenuti, sarà possibile riformare validamente l’intero impianto legislativo. Vorrei fermarmi qui. Vi ringrazio e voglio concludere ribadendo che prima o poi si dovrà arrivare anche alla riforma della legge di cooperazione, però credo che sia meglio che le leggi non si studino a tavolino, prima si sperimentino e poi si legiferi. Per quanto riguarda la cooperazione decentrata credo sia importante anche la capacità di operare in senso verticale. Intendo dire questo: per la cooperazione le Regioni hanno una struttura orizzontale che è quella che io dirigo; i Comuni hanno, all' interno della loro struttura orizzontale che è l' ANCI, degli uffici specializzati per la cooperazione; le Organizzazioni Non Governative, hanno una loro struttura orizzontale che è l' Assemblea Nazionale delle Organizzazioni Non Governative; è bene che questi continuino ad esistere, sono momenti di coordinamento, ma nel pratico la cosa che funziona meglio è la capacità di raccordarsi tutti su base territoriale. La Regione Veneto, i Comuni del Veneto, le Province del Veneto, le Organizzazioni Non Governative del Veneto, la società civile del Veneto, riescono a costruire quel mosaico che è ben più difficile fare se i Comuni si raccordano solo orizzontalmente con l' ANCI, le Regioni per i fatti loro sul coordinamento orizzontale nostro, le Organizzazioni Non Governative per i fatti loro e così via. 62 0DULD3LD0$,1$5', 9,&(35(6,'(17(GHOOD&RPPLVVLRQH6SHFLDOHSHUOD&RRSHUD]LRQH DOOR6YLOXSSR Iniziamo i lavori del pomeriggio, che prevedono una tavola rotonda dal titolo “Per una rinnovata politica nazionale e di aiuto allo sviluppo”. Io credo che l' immigrazione sia un prodotto della disuguaglianza dei Paesi e che quindi le politiche di cooperazione debbano avere come obiettivo quello di promuovere lo sviluppo con una strategia di autosviluppo. Ed è necessario affidarci ai veicoli di questo sviluppo, quindi non solo alle imprese ma anche alle Organizzazioni Non Governative, alle Università, alle A.S.L., ai Comuni, agli Enti locali, ma soprattutto dobbiamo credere nella partnership di collaborazioni collettive. Diamo inizio ai lavori con l' intervento della dottoressa Ivana Purificato del Ministero della Salute, che viene a nome del Sottosegretario Onorevole Guidi. 63 ,YDQD385,),&$72 ,QUDSSUHVHQWDQ]DGHO6RWWRVHJUHWDULRGL6WDWR3URI$QWRQLR*XLGL 0LQLVWHURGHOOD6DOXWH Buonasera a tutti Voi. Ringrazio, a nome del Sottosegretario Prof. Antonio Guidi, il Coordinatore di questi lavori per averlo invitato a partecipare a questo importantissimo incontro. Riunione che il Sottosegretario - con delega all' attuazione di programmi sanitari internazionali – auspicava che venisse organizzata per affrontare da vicino alcune problematiche sorte in questi mesi, in occasione dell' emergenza in Afghanistan che tutti conoscete: all’interno della Segreteria il Sottosegretario aveva istituito una task-peace per gli aiuti sanitari, presieduta da lui e da me coordinata. Questa non voleva essere solo una task-peace per gli aiuti immediati ai popoli coinvolti nel conflitto, ma l’obbiettivo del Sottosegretario era di più ampio respiro: inviare in missione all’estero personale sanitario italiano per interventi di “emergenza”. Attualmente la legislazione – relativamente alla legge 49 sulla cooperazione - purtroppo non ci consente di affrontare queste tematiche. Il Sottosegretario ha organizzato, all’interno della task-peace, un tavolo di coordinamento al quale hanno aderito con interesse moltissime Organizzazioni Non Governative, dalle più famose a quelle meno conosciute. In Segreteria era tutto pronto perché la missione partisse – farmaci, vaccini e prodotti sanitari generali – ma ci siamo trovati di fronte ad una enorme difficoltà, quella dell' invio non di materiale, ma di persone, di operatori sanitari. E` vero, le Organizzazioni Non Governative hanno personale sicuramente di alto livello, lo sappiamo tutti, ne abbiamo parlato diverse volte alle riunioni della task-peace, anche se il Sottosegretario ha notato che le Organizzazioni Non Governative, messe intorno ad un tavolo comune, spesso si trovano ad essere in qualche maniera un pochino “autoaccreditanti”. Ed è proprio a causa di ciò che per l' Istituzione diventa a volte un po' difficoltoso gestire le risorse disponibili. Il ruolo 64 dell' Istituzione, così come lo desiderava il Sottosegretario Guidi, era quello di capire e di organizzare al meglio con l’obiettivo di non sprecare le risorse a disposizione: il grande ostacolo è stato potersi avvalere di operatori sanitari italiani con il trattamento di missione all’estero. Abbiamo cercato, considerato che era già fine novembre quando si è verificata questa emergenza, di superare la difficoltà posta dalla legge 49, magari inserendo una piccola modifica alla legge all’interno della finanziaria, e devo ringraziare personalmente il dottor Bertinato, dirigente del Servizio per i rapporti socio-sanitari internazionali della Regione Veneto, che si è molto speso nei nostri confronti per cercare di capire, dal punto di vista legislativo, come potessimo comportarci. L' Assessore alle Politiche sanitarie della Rgione Veneto, l’avvocato Fabio Gava, si è dimostrato più che disponibile, è venuto a Roma ed ha incontrato il Sottosegretario: la difficoltà comunque non è stata superata, ormai la Finanziaria era andata molto avanti e nel frattempo la situazione in Afghanistan è cambiata rapidissimamente a livello politico, lo sapete tutti. Il Sottosegretario non trova, nella giornata di oggi, occasione migliore per creare i presupposti giusti e più funzionali per il futuro e soprattutto si augura che non accadano più situazioni di emergenza internazionali così gravi. Quando parliamo di emergenze non parliamo solo di guerra, emergenza non significa solo guerra. Da colloqui che ha avuto il Sottosegretario, con il nostro Ufficio Legislativo, con il nostro responsabile dei rapporti internazionali Prof. Silano e da un esame attento della legge 49, è emerso che fosse certo la cosa migliore, la più veloce, soprattutto come iter legislativo, dedicare un nuovo testo di legge al personale sanitario che desidera partecipare a missioni di emergenza; sembrava la strada migliore. Abbiamo anche scritto un piccolo testo che, se lo desiderate, gradirei leggere, per sottoporlo a voi per primi che avete organizzato questa tavola rotonda, per poterlo discutere tutti insieme ed organizzare magari un gruppo di lavoro ad hoc su questo testo, soggetto alle vostre 65 osservazioni e modifiche, a miglioramenti. Non so se sarà possibile definire la questione con il prossimo Dpef , considerata la ristrettezza dei tempi, siamo quasi a luglio, altrimenti ci adopereremo per la Finanziaria. Desidero leggervi questo testo per ascoltare le vostre osservazioni. Ciò che il Sottosegretario intende sottolineare è che, in un momento così delicato per la spesa sanitaria nazionale, ogni Regione dovrà fare bene anche conti di tipo economico e comunque c' è da tenere presente che quello che le forze del volontariato offrono e mettono in campo è bello, è grande, è giusto, ma comunque le Istituzioni, a parere dell’Onorevole Guidi, devono avere compiti di coordinamento su quanto le Istituzioni mettono a disposizione dal punto di vista economico. Solo così i valori etici che il Ministero della Salute si propone di portare avanti, con il ruolo nuovo che hanno acquisito le Regioni, potranno essere realizzati, con un' ottima organizzazione nel coordinamento. Passo a leggervi questo testo. Il titolo è generico: "Invio di personale dipendente del servizio sanitario nazionale in missione umanitaria all' estero”. ³$O ILQH GL DVVLFXUDUH OD UHDOL]]D]LRQH GL LQWHUYHQWL VWUDRUGLQDUL D FDUDWWHUH XPDQLWDULR SHU IURQWHJJLDUH FDODPLWj QDWXUDOL H DOWUH VLWXD]LRQL GL HPHUJHQ]D D OLYHOOR QD]LRQDOH HG LQWHUQD]LRQDOH OH 5HJLRQL SRVVRQR DXWRUL]]DUH LO SHUVRQDOH GLSHQGHQWH GHO VHUYL]LR VDQLWDULR QD]LRQDOH D SDUWHFLSDUHDVSHFLILFLSURJUDPPLGLLQWHUYHQWRFRQFRUGDWLFRQLO0LQLVWHUR GHOOD 6DOXWH H SHU JOL LQWHUYHQWL DOO HVWHUR DQFKH FRQ LO 0LQLVWHUR GHJOL $IIDUL(VWHUL $OOH VSHVH GHULYDQWL GDOO DWWXD]LRQH GHL SURJUDPPL VXPPHQ]LRQDWL SHU JOL LPSHJQL HFRQRPLFL GL WUDWWDPHQWR GL PLVVLRQH SHU LO WHPSRUDQHR GLVWDFFR DOO HVWHUR GHO SHUVRQDOH VL SURYYHGH QHOO DPELWR GHOOD GLVSRQLELOLWj GHO IRQGRVDQLWDULRUHJLRQDOHGLFLDVFXQD5HJLRQHR3URYLQFLDDXWRQRPD Questa è, ovviamente, una bozza che sottoponiamo a voi e su questo tema desidero ascoltare le vostre impressioni. 66 9LQFHQ]R5,%21, &RPLWDWRSHUODFRRSHUD]LRQHDOORVYLOXSSR Io penso che questa proposta di legge che norma l’impiego del personale del Servizio Sanitario Nazionale nell’ambito di interventi umanitari, e in particolare nei casi di emergenza, sia fondamentale. Infatti è vero che non esiste una normativa precisa, che faciliti le Regioni e le Unità Sanitarie Locali nell' invio di personale per scopi umanitari in emergenza. Perciò non può che accogliersi favorevolmente questa proposta di legge. Anche la nostra Regione Veneto si sta facendo carico di questa iniziativa, per quello che so, e credo che tutto ciò sia molto importante. Già abbiamo una classe di Direttori Generali nelle Aziende Sanitarie del Veneto - alcuni di loro sono qui presenti - molto sensibilizzati, attenti e disponibili alla cooperazione. Ben venga pertanto questo atto legislativo con la norma che autorizza e legittima la partecipazione del personale, mettendo le Direzioni Generali in condizione di assoluta tranquillità soprattutto sul versante della spesa, che non è cosa di poco conto. 67 ,YDQD385,),&$72 Desidero porre l’accento su una questione, a mio avviso, molto importante. Nel corso dell’esperienza della task-peace, ho avuto modo di essere contattata da 300 - 400 medici, e da altrettanti infermieri. Molti di loro erano professionisti di provata esperienza nel settore delle emergenze, professionisti che da vent’anni vanno in missione in territori di guerra, altri sono persone che hanno voglia di aiutare gli altri ma privi di esperienza. Il problema principale davanti al quale ci siamo trovati è stato proprio quello della formazione dei volontari sui territori di emergenza, argomento sul quale, a mio avviso, è necessario lavorare. Sono a conoscenza, per fare un esempio, che la Segreteria Attività Culturali dell’Istituto Superiore della Sanità si occupa anche di questo tipo di formazione. Penso che ogni Regione debba organizzarsi in questo senso – per promuovere preventivamente campagne di formazione per gli operatori sanitari, e preparare dei livelli di formazione: un primo da “osservatore”, colui il quale acquisisce gli elementi base, e due o tre livelli superiori – lo sto pensando in questo momento – rappresentati da un esperto e da un coordinatore. L’obiettivo potrebbe essere, per il futuro, organizzare un Registro Regionale degli operatori sanitari. Questo tipo di organizzazione, di difficile realizzazione all' inizio, consentirebbe nel tempo l’organizzazione di un bacino di utenza dal quale attingere in periodi di emergenza sanitaria. 68 *LOGR%$5$/', La ringrazio dottoressa, mi rallegro per la comunità di intenti e volevo dire qualcosa su entrambe le questioni che lei ha sollevato. Questa mattina ricordavo che nella scorsa legislatura i Presidenti delle Giunte Regionali, sul piano politico, e l’OICS su quello tecnico, si erano intensamente impegnati a sostegno della proposta di legge di riforma della cooperazione allo sviluppo, per assicurare una regolamentazione positiva della cooperazione decentrata. Quella proposta è naufragata e non riteniamo oggi matura una riforma globale, che dovrebbe affrontare molti altri aspetti oltre alla cooperazione decentrata; peraltro, tanto più alla luce delle modifiche al Titolo V° della Costituzione, buona parte di quanto è necessario è possibile anche nel quadro legislativo attuale. Permangono tuttavia alcuni ostacoli insormontabili senza uno specifico intervento normativo, tra cui quello di cui Lei ha parlato. Per questo l’OICS, consultandosi con alcuni funzionari del Ministero degli Affari Esteri, sta predisponendo un breve testo di legge che, una volta approvato dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni, potrà essere portato in Conferenza Stato-Regioni per chiedere al Governo di farlo proprio come proposta governativa. Si tratta di una leggina che renda possibile la cooperazione decentrata nel clima normativo attuale. Essa è basata sostanzialmente su tre punti: uno di questi è proprio la possibilità per le Regioni di poter utilizzare ed inviare in missione tecnici ed operatori pubblici o para-pubblici (non solo del settore sanitario), nell' ambito di interventi di cooperazione decentrata (di emergenza e non solo), con diritto alla conservazione del posto, alla progressione di carriera, alla continuità assistenziale, assicurativa e pensionistica, ecc. Gli altri due punti sono che la cooperazione decentrata possa operare nell’ambito programmi quadro, cioè definiti a monte non nel dettaglio, ma solo negli obiettivi, risultati attesi, costi e tempi, rimandando i dettagli operativi alla programmazione in corso d’opera (cosa fondamentale 69 soprattutto in emergenza e nelle azioni di rafforzamento istituzionale) e che, come già ricordato dal ministro Serafini, gli eventuali cofinanziamenti governativi siano erogati prima della spesa e non a rimborso, essendo difficile per l’amministrazione regionale anticipare e poi recuperare. Sull' altro aspetto di cui Lei ha parlato, quello della formazione, desidero informare che l’OICS sta predisponendo un’iniziativa importante: un corso di alta formazione per amministratori e funzionari delle Regioni e dei loro enti strumentali, nonché, ove chiesto dalle Regioni, dalle Città metropolitane e Province, che si occupano di cooperazione allo sviluppo. L’intera iniziativa, di durata biennale, sarà finanziata in parte dal Ministero degli Esteri e in parte da noi e dalle Regioni partecipanti. All’inizio del prossimo anno saranno pronti i materiali didattici su supporto informatico multimediale e interattivo e sarà avviata una serie di percorsi formativi e informativi su Internet. Verranno quindi avviati tre corsi (raggruppando tra loro le Regioni dell’Italia Settentrionale, quelle del Centro e quelle del Mezzogiorno) ciascuno articolato su due livelli: un livello di base, rivolto a circa 300 persone (100 per corso) e consistente in alcuni seminari e nell’accesso al materiale Internet; un livello specialistico per 150 persone, con ulteriori corsi e lezioni sia in aula sia per via telematica. 70 $OHVVDQGUR6(5$),1, Sarò rapidissimo. Ricordo che, quando ero Ambasciatore in Guatemala qualche anno fa, ogni anno veniva una equipe di medici italiani ad operare del tutto gratuitamente presso un ospedale per handicappati tenuto dai frati Francescani italiani. Questi medici prestavano la loro opera con molto entusiasmo, e non chiedevano di essere considerati come esperti e pagati per questo. Ovviamente a loro interessava fare un' esperienza anche professionalmente valida. Quello che lamentavano era la mancanza di una legislazione che consentisse loro di considerare il periodo trascorso all’estero non come ferie, ma come attività di formazione. Un provvedimento di questo tipo basterebbe ad incentivare questa valida forma di intervento umanitario con scarsi oneri per l’erario e con buoni ritorni nel campo della formazione del nostro personale medico-sanitario. Auspico che il Ministero della Salute possa fare qualcosa al riguardo. 71 ,YDQD385,),&$72 Anch’io ho vissuto questa esperienza. Le dico sinceramente che molti medici e infermieri che telefonavano, volendo esprimere una percentuale la dico con amarezza l’85% - ponevano subito una prima domanda: "Quanto guadagnerò?" Purtroppo è così, pochi altri invece si sono espressi come dice lei e mi dicevano: "Guardi dottoressa, io mi prendo le ferie, l' aspettativa, non mi interessa, basta che mi facciate partire, io non voglio soldi, non mi interessa", queste erano le frasi che veramente mi toccavano, ma le ribadisco, era una percentuale bassa. Altri invece lo sapete che cosa mi hanno chiesto? Non il lato economico, si sarebbero accontentati di avere dei punteggi per la progressione della loro carriera. Questa è un' altra cosa che ho dimenticato di dirvi prima, molti desideravano avere dei punteggi. Ricordo che 20 anni fa, quando ci fu il terremoto in Campania, io ero ancora una ragazza, avevo delle amiche che lavoravano in un ospedale, erano infermiere: queste ragazze sono andate volontarie a lavorare nelle zone colpite ed hanno acquisito dei punteggi presso la loro azienda ospedaliera. Grazie a questi punteggi acquisiti, qualcuna è diventata in seguito caposala. Quindi, a mio avviso, sarebbe anche importante incentivare in questo senso medici, tecnici ed infermieri. 72 *XLGR%$5%(5$ 9LFHSUHVLGHQWHGHOO $VVRFLD]LRQHGHOOH21*LWDOLDQH L’Associazione delle Organizzazioni Non Governative Italiane esiste da anni ed è stata ufficialmente formalizzata con statuto notarile alla fine del 2000. Rappresenta a livello italiano ed internazionale 164 Organizzazioni Non Governative italiane, da decenni operative nella cooperazione e nell’educazione allo sviluppo. Dagli interventi di questa mattina, come in apertura di questa Tavola rotonda pomeridiana, sono molti gli spunti sui quali potremmo riflettere. Una domanda però mi viene spontanea: perché affrontiamo sempre i problemi singolarmente, senza soffermarci invece sui problemi di fondo? E cioè: il ruolo e l’importanza della cooperazione allo sviluppo; la qualità dello sviluppo; le strategie italiane per lo sviluppo; la non funzionalità della cooperazione italiana; la necessità di una nuova cooperazione… Ci limitiamo invece a pensare ai problemi per l’invio degli operatori sanitari, i punteggi, il progettino, ecc… Con l’undici settembre la grande vulnerabilità degli equilibri internazionali e delle stesse società industriali avanzate si è manifestata in tutta la sua drammatica evidenza. In tale contesto i media, gli analisti e gli esperti dedicano una nuova attenzione al ruolo della cooperazione internazionale, allo sviluppo quale possibile risposta per ridurre l’ingiustizia e la crescente diffusione della povertà. Oggi più di ieri, la ricerca di soluzioni efficaci ai problemi drammatici della povertà e del sottosviluppo, tramite gli strumenti della cooperazione internazionale, costituisce una importante priorità, anche a partire dalla necessità di ridurre i rischi di instabilità politica e sociale del “sistema mondo”. Aiutare i poveri e gli esclusi, quindi, non costituisce soltanto un imperativo etico ed umanitario, ma anche un interesse essenziale della comunità e della sicurezza internazionale. 73 E’ in tale contesto e per questi motivi che si impone di dare più incisività e concretezza all’azione della Cooperazione italiana nel mondo. Per contro, lo stato di profonda crisi della nostra cooperazione internazionale è sotto gli occhi di tutti e si deve ad alcuni fattori principali: innanzi tutto per la tendenziale inconciliabilità fra gli obiettivi della cooperazione (sradicamento della povertà, riduzione del divario di sviluppo tra i diversi Paesi, ecc.), che richiedono azioni e strumenti di lungo periodo, e gli orizzonti, quasi sempre di breve termine, dei singoli Governi; poi per la riduzione dell’Aiuto pubblico allo Sviluppo (APS): in Italia l’APS è passato infatti dai 4.122 milioni di dollari USA del 1992 ai 1.376 milioni di dollari USA, ovvero dallo 0,34 allo 0,13 per cento del Prodotto Interno Lordo, collocando l’Italia al ventunesimo posto fra i ventidue Paesi industrializzati che aderiscono all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE); per la crescente burocratizzazione gestionale, che comporta tempi insostenibilmente lunghi per l’approvazione dei progetti, l’erogazione dei fondi ed il successivo esame ed approvazione dei rendiconti: negli ultimi anni, e soprattutto da quando le attività di cooperazione sono state inquadrate nell’ambito della contabilità ordinaria dello Stato, si è affermata un’enfasi particolare sulle procedure formali relative all’iter di approvazione e realizzazione dei progetti; in tale contesto le direttive elaborate dalla Ragioneria dello Stato e dalla Corte dei Conti si sovrappongono alle procedure in vigore, che vengono in più occasioni reinterpretate e, spesso, stravolte: ciò ha creato una situazione di grande confusione, nel cui contesto si è affermata una crescente incertezza sulla “interpretazione autentica” delle procedure, e sono enormemente aumentati i tempi per lo svolgimento degli atti necessari; da ultimo per la drastica riduzione delle risorse umane che operano nella Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) del Ministero degli Affari Esteri, passate dalle 557 unità del 1995 alle 332 del 2001, pari ad una diminuzione del 40 per cento. 74 Questa gravissima situazione non può lasciare insensibili le Organizzazioni Non Governative italiane, che negli ultimi 40 anni si sono dedicate con passione e determinazione al sostegno della lotta alla povertà del Sud del mondo e si sono guadagnate sul campo, soprattutto in virtù dell’efficacia del lavoro svolto, il riconoscimento di soggetti credibili della cooperazione allo sviluppo. Ho l' impressione a volte che si stia vivendo una schizofrenia totale in materia di cooperazione. Non ricordiamo più il significato di “cooperazione”. Abbiamo trasformato la cooperazione in “emergenza” dove vengono destinati i maggiori finanziamenti… abbiamo deciso di fare cooperazione solo in alcune zone geografiche… perché finalizzata alla lotta all’immigrazione, alla promozione del commercio estero, alla sicurezza comune, agli interessi economici, al mercato. Oggi a Siviglia nell' incontro dei Capi di Stato dell’Unione Europea, si approverà la soppressione del Consiglio Sviluppo, e di conseguenza della Direzione Generale allo Sviluppo e di tutto ciò che ne fa parte a livello politico, riconducendo tutta la cooperazione alla Direzione Relazioni Esterne, ossia al Ministero degli Affari Esteri italiano. Parallelamente la prossima settimana verrà istituito un gruppo speciale sullo sviluppo nell' ambito della Convenzione Europea, perché i trattati dell' Unione Europea riconoscono come ambito specifico quello dello sviluppo e della cooperazione allo sviluppo. Che peso diamo ancora oggi politicamente alla cooperazione allo sviluppo? Giustamente il nostro Governo dice: 700 miliardi, poco più, alla cooperazione non sono nulla, non significano nulla, e siamo ben lontani dai proclami che il Presidente del Consiglio sta facendo di arrivare all’uno per cento del PIL, oggi siamo allo 0,13 per cento, cifre molto basse. Cifre molto basse che comunque il nostro Ministero degli Affari Esteri non riesce a spendere, nonostante le centinaia di progetti delle Organizzazioni Non Governative italiane in attesa di finanziamento. Da due anni il Parlamento chiede al Ministero degli Esteri di gestire i soldi dell' otto per 75 mille dello Stato destinati alla cooperazione, ed il Ministero degli Affari Esteri non li accetta perché non è in grado di gestirli! Ci sono difficoltà oggettive a gestire la spesa anche per cifre irrisorie nella cooperazione italiana, per le procedure e la burocrazia che caratterizzano la nostra amministrazione pubblica, mentre dall' altra parte le situazioni di divario, le situazioni di povertà aumentano in maniera spaventosa. Un miliardo e 400 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile! Mancanza di lavoro, di cibo, di scuole, di assistenza sanitaria… sono solo alcune delle minacce che oggi privano circa metà della popolazione mondiale del loro “diritto alla vita”! Non credo che la soluzione sia quella di cercare di affrontare singolarmente i problemi. Il Ministero della Sanità non può occuparsi di cooperazione per risolvere il problema dell’invio del personale sanitario in Afghanistan, il Ministero dell' agricoltura non deve occuparsi dei problemi della sicurezza alimentare nel mondo, ecc.. Come veniva ribadito, dobbiamo mantenere un testa che coordini e possa sviluppare un piano strategico in materia di sviluppo, capace di realizzare una politica dello sviluppo coerente con tutte le altre politiche complementari in materia di cooperazione. La cooperazione allo sviluppo è un settore difficile da definire, un settore vasto che implica una serie di relazioni commerciali, industriali, agricole, ambientali, economiche… Il Sottosegretario del Ministero degli Affari Esteri Senatore Mantica, la settimana scorsa affermava: "Il Governo con quattro decisioni su Afghanistan, Argentina, e-government, Eritrea, ha già impegnato più della metà dei fondi della cooperazione". Questo significa che le decisioni governative stanno sempre più determinando l' utilizzo di quelle poche risorse della cooperazione italiana. Dobbiamo poi ricordare che la parte maggiore dei fondi disponibili vengono gestiti a livello multilaterale, date cioè in gestione alle Agenzie internazionali. La lotta alla povertà, l' attenzione verso quei popoli, quelle persone che sono in situazioni 76 particolarmente difficili, disagiate… dove non ci sono interessi specifici, sono dimenticate! E’ necessario definire e ricollocare strategicamente il ruolo della cooperazione a livello politico, definire i ruoli dei vari soggetti che oggi sono coinvolti nella cooperazione ed agire strategicamente per lo sviluppo di tutti, per la difesa del diritto fondamentale di ogni persona: il diritto alla vita! Alcuni decenni fa non si parlava di Enti locali e di tanti altri attori che oggi invece hanno un ruolo importante e che possono averlo ancora di più nella cooperazione. E’ necessario però definire questo ruolo, coordinarlo all' interno di un disegno strategico unico per non metterci in contrapposizione, con il rischio addirittura di sviluppare settorialmente o singolarmente il proprio specifico. Ritengo che sia questa oggi la strada per andare oltre, fare un salto di qualità. Qualcuno dice: manca la volontà politica, manca la strategia, non lo so, ma i risultati non ci sono. La cooperazione decentrata deve rappresentare una volontà ed un approccio di solidarietà e di cooperazione allo sviluppo e riconoscere ufficialmente il ruolo essenziale della società civile nelle azioni di sviluppo. Deve essere espressione della consapevolezza nelle istituzioni, della necessità di coinvolgere le organizzazioni non governative impegnate nella solidarietà e nella cooperazione allo sviluppo, unitamente ai vari attori sociali, in un rapporto di “partnerariato” per quanto riguarda gli iterventi e le azioni di sviluppo. L’introduzione di questa nuova “metodologia operativa” nel più vasto concetto di “cooperazione allo sviluppo” non sostitutiva, ma eventualmente complementare, è indice di una chiara volontà di ampliare la rosa degli attori impegnati nel processo di cooperazione con lo scopo principale di meglio mobilitare ed utilizzare le ricchezze di competenza e di iniziativa presenti nella diversità che compone il tessuto sociale di ogni comunità e Paese, sia al Sud che in Europa. 77 La coscienza sociale dei diversi attori, unitamente al concetto di “sviluppo partecipato”, caratterizza l’azione della cooperazione decentrata a partire dal consolidamento dei processi di democratizzazione, dalla promozione dei diritti dell’uomo, dall’autonomia socio-economica, dalla valorizzazione delle risorse umane e tecniche dei Paesi in via di sviluppo, per il raggiungimento comune di un unico “sviluppo sostenibile e durabile”. In questa direzione i programmi di cooperazione decentrata si devono distinguere dagli altri progetti ed azioni di solidarietà e sviluppo, per il principio di “non ingerenza” del Governo verso le attività degli attori decentralizzati, a partire dalle azioni delle Organizzazioni Non Governative, anche se queste possono essere state coofinanziate con fondi pubblici. Ciò suppone l’impiego di decentralizzare responsabilità, fino ad oggi detenute dal Governo, ad attori non governativi impegnati a promuovere azioni sociali culturali, formative, micro-economiche in favore dello sviluppo umano. La cooperazione decentrata non può e non deve essere quindi perseguita esclusivamente come un nuovo “strumento finanziario” per le iniziative sociali o delle stesse Organizzazioni Non Governative. Essa rappresenta un tentativo concreto di crescita qualitativa dell’intera società civile, in un processo di sviluppo durabile. Può stupire quindi, il ritardo di un processo che apparentemente sembra naturale nel vedere le collettività locali e le stesse municipalità impegnate in azioni e rapporti di cooperazione, ma per troppo tempo la cooperazione allo sviluppo è stata esclusivo oggetto di dialogo e confronto tra soli Stati, senza la partecipazione diretta dei cittadini, con risultati altamente insufficienti. Le Organizzazioni Non Governative, l’associazionismo sociale, sono oggi l’espressione di una crescente partecipazione sociale iterativa. Se vogliamo effettivamente uscire da questa impasse e da questo rincorrerci dietro a parole, e metterci a dare delle risposte concrete, credo che momenti come quelli di oggi, di confronto tra i vari soggetti che servano a dare degli indirizzi, siano estremamente importanti, soprattutto 78 se riusciamo ad imparare a cooperare tra di noi, vari soggetti, all’interno di un coordinamento che sappia tenere le fila per rispondere ai bisogni delle persone, dei popoli, prima forse che agli interessi delle politiche più tematiche o settoriali. 79 ,YDQD385,),&$72 Desidero sottolineare, rispetto a quello che lei ha detto, che, secondo me, quello di cui abbiamo bisogno, noi rappresentanti delle istituzioni e voi come Organizzazioni Non Governative, è una sola cosa, ma molto importante: una nuova cultura, una nuova ideologia della cooperazione internazionale diversa da quella a cui noi tutti siamo stati abituati fino ad ora. Questo cambiamento abbastanza radicale nel fare di domani ha bisogno di tempi, che ci auguriamo non troppo lunghi. Credo anche che questa Tavola rotonda oggi organizzata segni un grande passo avanti, auspicando che il prossimo incontro avvenga in tempi abbastanza brevi per portare noi, insieme anche alle altre Regioni, un apporto vero e concreto, al di là di tanti discorsi che si possono fare su problemi che un po'tutti conosciamo nel dettaglio. 80 *LDQ3LHWUR)$9$52 6HQDWRUHGHOOD5HSXEEOLFD Io faccio parte della Commissione Diritti Umani del Senato, istituita recentemente e che dovrebbe interessarsi anche di cooperazione allo sviluppo: ma non siamo ancora arrivati a discutere problemi di carattere generale. L' argomento di questo seminario mi pare lontano dalla sensibilità politica di Camera e Senato. Non so se i tecnici che seguono i lavori del Parlamento hanno impressioni diverse. Si è costituita recentemente questa Commissione in seguito a emergenze che hanno posto all' attenzione del Parlamento la necessità di prendere posizione su determinate situazioni mondiali. Ci siamo interessati finora di pena di morte, di tortura, di detenzione, di mine antiuomo, abbiamo cominciato ad allargare l' orizzonte parlando di Afghanistan e poi dei diritti delle donne che sono collegati alla situazione dell’Afghanistan. Solo di recente si è ravvisata la necessità di allargare l' orizzonte e di parlare di interventi organici di carattere economico, nei riguardi di Paesi dove esistono emergenze, che nascono da un particolare contesto socio-economico sul quale bisogna intervenire. Si sente la necessità ormai di superare sempre di più a livello teorico e pratico la dottrina del non intervento. E` chiaro che operiamo all' interno di una sensibilità arretratissima, all' interno anche di una legislazione arretrata, e finora in Parlamento non ho sentito parlare né di un mini modifica, né di una sostituzione della legge 49. C' è stata nei vostri interventi, c' è comunque a livello di nostra sensibilità, la coscienza di dover coordinare: lo Stato non deve invadere da questo punto di vista, lo Stato deve coordinare e gli Stati tra loro devono coordinarsi, perché i problemi fondamentali sono più grandi di quelli a cui può far fronte lo Stato stesso. Oggi siamo di fronte all' emergenza dell’immigrazione clandestina e mi pare che il grido di dolore del Governo 81 italiano, dei Ministeri, sia quello di dire: a livello italiano non riusciamo a risolvere il problema, tentiamo di risolverlo a livello europeo intervenendo negli Stati d' origine, creando condizioni diverse perché questi cittadini non siano spinti ad emigrare. Vorrei porre l' accento su un aspetto della cooperazione, frutto di mie esperienze. Non dimentichiamo i nostri operatori economici, con i quali noi dobbiamo stabilire sinergie da ogni punto di vista. Trovo un cenno a questo aspetto nella relazione del dottore Laurenzano. Io ho due esperienze, l' una l' ho fatta in Romania, dove i nostri veneti, e qui c' è il ruolo della Regione, sono intervenuti a delocalizzare, creando ricchezza nel Paese. In Romania si sente il bisogno di un salto di qualità dal punto di vista della formazione professionale, della organizzazione aziendale, cose sulle quali interviene molte volte il volontariato italiano: penso ai Salesiani che stanno intervenendo con le loro scuole di formazione professionale in Romania e recentemente in Albania. E’ un volontariato che dà una risposta all' imprenditoria italiana, ai piccoli e medi imprenditori che arrivano là, ma che contemporaneamente crea una imprenditoria locale, crea dei liberi professionisti locali, crea una mentalità. Mio figlio che sta preparando l' esame di maturità, dopo aver letto i giornali dei giorni scorsi sul convegno della FAO, mi ha detto: "Ma la FAO esce massacrata dai giornali!". Dai giornali appare che si è fatto un enorme convegno, organizzatissimo, dicono che hanno mangiato molto bene, però i Governi nei loro vertici massimi non hanno partecipato; soprattutto si è scoperto che la metà delle spese della FAO va per mantenere la macchina organizzativa. Dal convegno FAO non siamo usciti bene noi, non è uscita bene la FAO, non sono usciti bene gli organismi internazionali e credo che questo ci induca a rimeditare il problema in termini più moderni. Abbiamo imprenditori che stanno creando ricchezza nel mondo: questa, che potrebbe essere un' opera di mero sfruttamento, può diventare invece un' opera di sviluppo se gli Stati accompagnano questi imprenditori con iniziative adeguate. C' è un gruppo di imprenditori 82 veneti che sta investendo mille miliardi in uno Stato del Brasile. Hanno preso contatto loro, con enorme difficoltà, con il Presidente e i Ministri di questo Stato, ottenendo appoggio alle loro iniziative che oltre a creare ricchezza, creano crescita sociale, soprattutto se accompagnate da iniziative di formazione professionale che possono essere fatte dalla nostra Regione o dallo Stato italiano. Parte domani una delegazione del Senato per l' Argentina per vedere come possiamo contribuire a far uscire questo Paese dalla crisi in cui si trova. Normalmente noi interveniamo più facilmente in Stati che hanno una certa consanguineità, una cultura affine alla nostra (e l' Argentina è una nazione in cui metà dei cognomi sono italiani) oppure che sono vicini a noi, pensiamo alla Romania, all' Albania, oppure interveniamo in regioni di cui conosciamo le grandi difficoltà. Credo siano utili le sinergie soprattutto tra Ente pubblico e operatori privati. A capo ci sarà sempre il Ministero degli Affari Esteri, cioè il Governo italiano, poi ci saranno le Regioni, il potere pubblico. Non dimentichiamoci di intervenire accanto ad operatori economici che hanno bisogno di interventi per la formazione, per aiuti, per strutture etc. Questo intervento può contribuire moltissimo a far crescere la nazione nella quale i nostri operatori operano spinti da pure logiche economiche. 83 0DULD3LD0$,1$5', Si diceva questa mattina che la cooperazione decentrata non è sostitutiva, ma è aggiuntiva. Sentivamo oggi che la cooperazione etica non sta più trovando spazio; vorremmo sentire il parere del rappresentante dell' Associazione Volontari Servizio Internazionale. 84 3LHUSDROR%5$9,1 $VVRFLD]LRQH9RORQWDUL6HUYL]LR,QWHUQD]LRQDOH In questo breve intervento vorrei partire dalla riforma del Titolo V° della Costituzione ed in particolare dal nuovo articolo 118 che, a mio parere, è fondamentale. L' ultimo comma recita: "Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l' autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale sulla base del principio di sussidiarietà". Si tratta di una riforma costituzionale che, a ben vedere, ha una portata culturale e operativa ancora maggiore del federalismo: è un riconoscimento delle forze dei singoli e della società: imprenditori, organizzazioni non governative, organizzazioni di volontariato, singoli cittadini e le loro associazioni. Il principio di sussidiarietà è fondamentale per aiutare a liberare e valorizzare tutte queste potenzialità. Nella cooperazione non governativa, il ruolo delle Organizzazioni Non Governative in questi anni ha sempre un po'incarnato questa applicazione del principio di sussidiarietà. Negli schemi classici, infatti, ci sono la cooperazione governativa e la cooperazione non governativa, questo significa che sono state fatte delle esperienze significative e che anche il ruolo delle Organizzazioni Non Governative nei Paesi in cui esse operano è utile per far crescere sia le capacità delle persone in stato di bisogno, sia delle persone che hanno responsabilità istituzionali nei Paesi stessi. Recentemente, nel marzo 2002, si è svolta l' assemblea dell’Associazione italiana delle Organizzazioni Non Governative che ha approvato un documento unitario che considera proprio il principio della sussidiarietà e la valorizzazione dei diversi attori: "La lotta alla povertà, il sostegno ai processi di sviluppo, implicano la realizzazione di attività complesse alla cui realizzazione possono e devono partecipare con ruoli differenziati le diverse realtà del Paese oltre le Organizzazioni Non Governative, 85 l' associazionismo, le imprese, le Università e gli Enti locali in grado di mettere in campo specifiche capacità e professionalità. Tutto il sistema Paese deve mobilitarsi valorizzando le diverse funzioni, mentre il Ministero degli Affari Esteri deve svolgere prevalentemente una funzione generale di coordinamento. In tale contesto occorre superare le concezioni centraliste ed applicare il principio di sussidiarietà come strumento essenziale per la valorizzazione dei diversi soggetti coinvolti e l' identificazione di nuove e più efficaci modalità di cooperazione internazionale e coordinamento interistituzionale anche attraverso nuove forme di partnership complementare e paritaria tra i diversi soggetti. Tale approccio deve inoltre essere accompagnato da una chiara definizione dei ruoli e delle modalità di accesso delle risorse. In tale contesto occorre inoltre valorizzare e articolare ulteriormente il ruolo della cooperazione decentrata. Le Regioni e gli Enti locali possono svolgere un' importante funzione di sostegno ai processi di sviluppo allocando risorse umane, finanziarie e di competenza aggiuntive rispetto a quelle decise dal Parlamento, sostenendo i progetti e le attività delle Organizzazioni Non Governative e delle altre realtà presenti nel loro territorio, promuovendo specifiche iniziative di sostegno alla formazione e alla crescita di settori, come le piccole e medie imprese e l' artigianato. Occorre inoltre valorizzare la partecipazione e il pieno coinvolgimento delle società civili dei Paesi beneficiari per arrivare ad una vera cooperazione tra popoli che attraverso forme associative organizzate e strutturate devono essere coinvolti nelle diverse fasi delle politiche di cooperazione, dell' identificazione, pianificazione, realizzazione e valutazione dei progetti". Vorrei concludere con un esempio, frutto di una esperienza della Organizzazione Non Governativa con cui collaboro. L’Associazione Volontari Servizio Internazionale è presente da diversi anni nelle favelas delle metropoli brasiliane, in particolare a San Salvador de Bahia, dove dal ' 92 ha avviato un progetto di risanamento urbanistico delle aree degradate di questa città. La metodologia di intervento, che ha privilegiato il 86 coinvolgimento della popolazione locale, ha fatto sì che questo progetto fosse valorizzato dalle istituzioni locali, quindi dalle municipalità dello Stato di Bahia e della città di Salvador, ma anche da organismi internazionali come la Banca Mondiale. E’ la prova che in un modo globalizzato la cooperazione non può essere solo governativa e non governativa, ma riguarda anche le istituzioni sovranazionali. Anche il ruolo dell' Italia, attraverso l’Associazione Volontari Servizio Internazionale e gli altri soggetti che hanno partecipato al progetto, è risultato valorizzato. E' stato quindi un intervento che oltre ad aiutare tante persone – attualmente i beneficiari sono circa 120 mila - ha avuto anche una valenza sociale e politica. 87 *LRUJLR*$%$1,==$ &RPLWDWRSHUODFRRSHUD]LRQHDOORVYLOXSSR Sono tentato di drammatizzare la questione, nel senso che mi pare che abbia ragione il Senatore Favaro quando dice che non c' è ancora consapevolezza da parte delle istituzioni, come ad esempio il Parlamento, delle grandi e nuove questioni dell' interdipendenza. Credo che la Regione del Veneto non possa governare pensando solo all' interno dei suoi confini, ma la condizione dell' interdipendenza determina la necessità di guardare ben oltre e di pensare in modo unitario ed integrato, non considerando la cooperazione allo sviluppo un settore piccolo e marginale, ma invece riconoscendolo come uno degli elementi di risposta ai nuovi diritti e alle condizioni civili e umane del Veneto e fuori del Veneto. Faccio alcuni esempi. Chernobyl con le sue conseguenze fuori dei suoi confini, compreso il Veneto; la crisi argentina, 300 mila risparmiatori italiani colpiti; la "water crisis", questi sono tre studi internazionali finanziati dall' O.N.U. Questi studi, terminati nel 2000, multidisciplinari, monitorati e sostenuti nei loro esiti anche da altri studi, ci dicono che se le condizioni stanno così, senza avere ulteriori elementi di incremento entro il 2020, nel 2025 tre miliardi di persone saranno private dell' acqua. Queste persone chiederanno nei loro Paesi normative per la tutela dell’acqua nei loro territori, oppure cercheranno di andare dove l' acqua c' è, e la causa di tutto questo è data da un insieme di fattori: l' effetto serra, un certo tipo di mobilità, un certo tipo di attività produttive, un certo tipo di sistema di riscaldamento e via dicendo. Noi dobbiamo dare adeguate risposte non solo in direzione della cooperazione internazionale con congrui finanziamenti, ma spostando risorse delle organizzazioni governative, dell' apparato produttivo privato, pubblico, etc., in quella direzione per modificare questa situazione, perché la risposta dei veneti è anche una risposta che deve guardare al di fuori dei confini veneti. Se pensiamo quali saranno le conseguenze di quelli che saranno esodi biblici, altro che 88 leggi rigorose sull' immigrazione! Bisogna spostare sia attività e modi di consumare, di vivere, ovviamente senza tornare indietro rispetto alle conquiste civili che abbiamo ottenuto, sia spostare delle risorse. Allora mi permetto di dire - ci sono legislatori regionali presenti, mi pareva dovesse esserci il governo regionale ma comunque vedrà gli atti - che ora ci sono degli appuntamenti straordinari. La soggettività internazionale delle Regioni è stata sancita dalla riforma della Costituzione. Le cose dette questa mattina vanno recuperate fino in fondo ed il Consiglio regionale del Veneto deve essere consapevole del fatto che non solo deve iniziare il suo lavoro per lo Statuto e per inserire in modo positivo quello che sarà il nuovo possibile ruolo internazionale della Regione e le sue nuove capacità di intervento dentro ad una politica estera che ha le caratteristiche che ricordava questa mattina il Presidente Cota, ma sapendo che queste risposte date dalla politica estera sono risposte che vengono date anche nella reciprocità degli interessi, nella difesa degli interessi di questo territorio. Credo che vi sia la necessità di accelerare in modo straordinario il lavoro di costruzione del nuovo Statuto regionale e di avviare una stagione di riforme capace di dare alla Regione un ruolo internazionale. Credo anche che non ci sia solo la necessità di un nuovo Statuto con la ridefinizione della tutela di nuovi diritti che vengono immessi da queste nuove condizioni dell' interdipendenza, ma che ci sia la necessità anche di una nuova organizzazione, unitaria, delle attività "estere", dalla cooperazione internazionale, facendo “sistema”, e alcuni esempi, come quelli portati dal Senatore Favaro, possono essere con equilibrio seguiti. Penso che lo Stato fino ad oggi, seppure oggi con qualche difficoltà, con la riduzione degli organici e del personale, ha prodotto una sua attività internazionale con un poderoso corpo diplomatico e un' organizzazione solida, ma talvolta carente, e oggi carente in alcuni settori come, si diceva, in quello della cooperazione internazionale. La Regione come intende riorganizzare? E'sufficiente di volta in volta definire degli accordi? Ricordo alcuni viaggi regionali, anche con il Centro Estero 89 delle Camere di Commercio, per la sottoscrizione di alcuni accordi. Ho partecipato alla definizione dell’accordo con lo Jiangsu, la Provincia cinese di 72 milioni di abitanti, l’applicazione dell’accordo con l’Hebei con la costruzione possibile di un’antenna veneta per poter far incontrare la domanda e l’offerta dei due sistemi economici e produttivi della nostra Regione e di quella Provincia. Ricordo le presenze in Brasile in un’area veneta, che è quella del Rio Grande do Sul, dove si insegna il “talian” che è una sorta di sedimentazione del dialetto veneto. Sono sufficienti occasionali interventi di questa natura o va ricostruito un apparato più forte con nuove professionalità, capace di rendersi interdipendente rispetto ad altre politiche, dentro alla Regione? Scusate se non sono intervenuto specificamente, ma sono un volontario di un' organizzazione non governativa, oltre ad avere collaborato alla stesura del testo della legge regionale che abbiamo oggi, però credo che vi sia questa necessità di un grande salto di qualità, consapevoli che oggi la situazione è drammatica e che ciascuno di noi deve fare la sua parte per dare risposte adeguate, ritenendo che la cooperazione internazionale vada interpretata non solo come sostegno ai dannati della terra, ma come un rapporto di reciprocità che va a costruire un nuovo tessuto, una nuova condizione del pianeta. Termino dicendo che il miliardo e mezzo stanziato dalla Regione del Veneto per la cooperazione allo sviluppo, indicato dall’ultimo relatore di questa mattina, in realtà è un miliardo: 350 milioni sono per la cultura della pace e i diritti umani; 150 per l' emergenza; quindi la cifra è minore, ho visto che era segnato un miliardo e mezzo, era assai basso, comunque non ci siamo. Ultima questione: costruire le alleanze. Il ruolo del governo del Veneto deve essere quello di aggregare e coordinare altre forze ed altre risorse. Ieri ho partecipato ad un convegno presso l' Associazione Industriali di Verona organizzato dall' Associazione Industriale e il Movimento Laici America Latina, un' organizzazione non governativa, sulla questione del 90 marketing sociale. Da studi di settore è emerso che l' 82% dei cittadini a pari condizioni o anche a diverse condizioni di prezzo, preferisce acquistare prodotti con la vendita dei quali si vadano a sostenere o progetti di cooperazione o progetti sociali anche nel Veneto, in Italia. Però talvolta le dichiarazioni del produttore sono effettive e vere, talvolta le condizioni del prodotto e le condizioni dell' accantonamento per il sostegno dei progetti sono assai limitate, quasi non veritiere. Serve una normativa che lo stesso Veneto potrebbe fare non solo per dare certezza a quell' 82% di consumatori che intendono come valore quello che vanno ad acquistare sapendo che una parte viene accantonata per progetti di questa natura, ma credo che sia e possa diventare uno strumento affinché sempre di più forze economiche e produttive possano contribuire all' autosviluppo di una parte rilevante del mondo. Una legge dello Stato prevede che l' 8 per mille dei primi tre capitoli delle entrate correnti degli Enti locali possa essere destinato a progetti di cooperazione. Utilizzando questa legge ci sono dei Comuni che fanno azioni di natura straordinaria, altri un po'meno. Non potremmo in analogia richiedere che anche la stessa Regione del Veneto trasferisca parte delle sue risorse in questa direzione, sapendo che è una risposta anche per gli interessi del Veneto? 91 3DROR0(5/2 &RPLWDWRSHULGLULWWLXPDQLHODSDFH Oggi si può parlare di stallo della cooperazione internazionale o meglio di crisi della cooperazione internazionale in Italia. Negli interventi di oggi si fa riferimento alla legge 49, però ricordiamoci che tale legge è del 1987 e da quella data lo scenario economico, politico e sociale del mondo è completamente cambiato: noi abbiamo quindi come riferimento una normativa sulla cooperazione internazionale che risulta datata e largamente superata, quindi inefficiente. Vanno bene le indicazioni e le sollecitazioni del dottor Baraldi di attuare alcuni accorgimenti per migliorare quella legge, ma noi sappiamo che questo indica un grave ritardo di carattere politico, e senz' altro anche culturale, dei vari governi nel campo della cooperazione internazionale. Lo 0,13% del PIL, richiamato più volte, è la spesa che oggi l' Italia riserva alla cooperazione internazionale. Voi sapete che negli accordi a livello di Unione Europea, lo Stato italiano si era impegnato, e non solo lo Stato italiano, ad riservare lo 0,7% dei bilanci per iniziative di cooperazione. Quello che si scrive negli accordi internazionali, spesse volte viene dimenticato e non più realizzato; questo lo dobbiamo ricordare. Faccio riferimento a quanto diceva Gabanizza sulla legge n.68 del ' 93 che recita " I comuni e le province possono destinare un importo non superiore allo 0,8 % della somma dei primi 3 titoli delle entrate corrente dei propri bilanci di previsione per sostenere i programmi di cooperazione allo sviluppo". Grazie a tale legge gli enti locali potevano promuovere iniziative e progetti di cooperazione internazionale. Il problema è, secondo me, che molti Comuni non conoscevano questa possibilità e opportunità, anche se bisogna convenire sulle difficoltà di carattere economico, che gli degli Enti locali stanno vivendo. Condivido il suggerimento del relatore che mi ha preceduto nell' invitare la Regione Veneto ad attuare almeno questa norma 92 della legge del 93' , più attuale ovviamente della legge 49'dell' 87, tante volte ricordata. La passata amministrazione comunale di Padova aveva inserito nel proprio bilancio delle risorse economiche per iniziative di cooperazione allo sviluppo; molti Comuni, mi diceva l' assessore, avevano chiesto informazioni per realizzare delle iniziative significative, alla luce della normativa vigente. Senz' altro esiste un problema di informazione e conoscenza. La Regione Veneto, dobbiamo riconoscere, è ed è stata sensibile alle problematiche relative alla cultura di pace ed alla cooperazione allo sviluppo. Voglio ricordare, per chi non è veneto, che la nostra Regione si è dimostrata con le leggi regionali n. 18 del 1988 e n. 18 del 1992, molto sensibile e attenta nel promuovere la cultura dei diritti umani, della pace e della solidarietà nel territorio. E'stata infatti fra le prime Regioni italiane a realizzare iniziative legislative in questi settori. Oggi con la legge regionale n. 55 del 1999, la Regione continua il suo impegno nel campo della solidarietà internazionale, coniugando insieme cooperazione e diritti umani. Gli interventi nei Paesi in via di sviluppo devono avere come obbiettivo la cooperazione decentrata e la promozione della democrazia; lo sviluppo economico coniugato però al riconoscimento dei diritti umani per tutti, intesi come focus dei nostri interventi in campo internazionale. Il dottor Baraldi parlava di immigrazione e cooperazione internazionale. Io credo che una grande azione di cooperazione internazionale è stata realizzata e continua ad essere fatta dagli immigrati con le rimesse verso i loro Paesi. Tale cooperazione fatta dagli immigrati che chiamerei "cooperazione domestica" è quasi, se non superiore, a quella dello Stato italiano. Questo ci deve far riflettere sul rapporto fra cooperazione ed immigrazione. Quale cooperazione nel Veneto e verso quali Paesi? Sono appena stato nominato in questo Comitato, però da anni mi occupo di cooperazione internazionale e diritti umani. Non mi risulta che ci sia una recente mappatura di tutte le numerose iniziative ed attività di cooperazione allo 93 sviluppo realizzate dai vari soggetti presenti nella Regione. In particolare il Veneto è stato molto attento alle tragedie della ex Jugoslavia e numerosi sono stati anche i progetti di cooperazione allo sviluppo realizzati in altri Stati. Sarebbe necessario quindi, conoscere le iniziative, i progetti realizzati in particolare dalle Organizzazioni Non Governative, dai Comuni, dalle imprese, dalla società civile e i risultati ottenuti negli ultimi anni. Tale ricerca può essere utile anche per creare una maggiore collaborazione e sinergia fra i vari soggetti che si occupano di cooperazione allo sviluppo. Un' altra proposta che mi sento di avanzare è di creare un Ufficio regionale per la cooperazione internazionale, provvisto di risorse umane ed economiche adeguate, come è stato previsto o realizzato in altre Regioni, in Piemonte ad esempio. Si può chiamarlo anche osservatorio, non ne facciamo un problema lessicale: l' importante è invece istituire un punto di riferimento, di informazione, di consultazione e anche di coordinamento per i vari soggetti che si occupano di cooperazione internazionale nel territorio (enti, associazioni, gruppi di società civile, piccole e medie imprese… ), in collaborazione con i due Comitati previsti dalla legge regionale n. 55 del 1999. E'necessario inoltre che la Regione promuova dei corsi di formazione per persone disponibili ad occuparsi di cooperazione internazionale ed intervenire nei Paesi in via di sviluppo a sostegno di progetti realizzati dai vari soggetti operanti nel Veneto. Alcuni anni fa, il corso regionale di “Mediatori allo sviluppo” promosso dall’Iscos (Istituto Sindacale per la Cooperazione allo Sviluppo) e dall’Elea, ente di formazione della Olivetti, ha reso possibile la formazione di persone con competenze culturali e tecniche per intervenire a livello locale ed internazionale nel campo della cooperazione decentrata. Visto che la cooperazione, i diritti umani e la pace sono strettamente correlati, come componente di uno dei Comitati previsti dalla legge regionale n.55, chiedo che questi due organismi siano convocati insieme, 94 come è stato fatto oggi, almeno due o tre volte l’anno, per progettare, monitorare e promuovere iniziative comuni in questi campi. Spero che il nostro contributo di riflessione e la disponibilità dei due Comitati ad operare possano essere utili a richiamare l’attenzione sulla cooperazione internazionale, a livello locale e nazionale, spesso dimenticata ed anche ostacolata. Per rendere maggiormente operativo tale compito, si potrebbero incaricare i due Comitati stessi a promuovere e realizzare iniziative proprie di sensibilizzazione e formazione nel territorio sui temi della solidarietà e cooperazione decentrata, in difesa dei diritti umani e della pace delle persone e dei popoli. La Regione Veneto con l’incontro di oggi, che considero positivo anche per la presenza di importanti relatori ed esperti, spero voglia rendersi ancora disponibile a promuovere incontri e progetti di cooperazione decentrata allo sviluppo ed iniziative in difesa dei diritti e della pace, con i vari i soggetti, le Organizzazioni non governative, gli Enti locali, le piccole e medie imprese, i sindacati e gruppi di volontariato, che formano il mosaico di solidarietà, ricchezza del nostro territorio. 95 /XLJL%(57,1$72 'LULJHQWHGHOVHUYL]LRSHULUDSSRUWLVRFLRVDQLWDULLQWHUQD]LRQDOLGHOOD 5HJLRQH9HQHWR Buongiorno, sono il dirigente del Servizio che si occupa di cooperazione all’interno della Segreteria Regionale Sanità e Sociale. Le questioni che sono state poste oggi sono le questioni “scottanti” di chi vuole fare cooperazione nel 2002 in maniera moderna. La legge 49/1987 non permette alle Istituzioni italiane questo salto di qualità. Da un lato, non vorrei fare il solito piagnisteo di noi italiani, però è vero che ci sono molti programmi di cooperazione iniziati e portati avanti dall’Italia, di cui però altri Stati hanno preso il merito. In molte Organizzazioni Internazionali ci sono funzionari di altissimo livello provenienti da tutti i Paesi del mondo, mentre gli italiani sono purtroppo sempre sotto-rappresentati, soprattutto rispetto ai contributi economici che l’Italia dà a questi enti, e questo non viene facilitato, né dalla legge 49, né dai regolamenti amministrativi delle nostre Istituzioni, che riguardano la mobilità all’estero del personale italiano. C' è stato, è vero, un grande investimento del mondo diplomatico italiano nelle Organizzazioni Internazionali, un investimento che si è rivelato non sempre rappresentativo di quello che noi portiamo come esperienza tecnica nei vari settori della cooperazione, culturale, etica e di rispetto delle nostre tradizioni all' interno di Organismi Internazionali quali FAO, OMS, Unicef, Alto Commissariato. Credo che su questo punto possiamo trovarci d' accordo, per questo chiedo veramente al Consiglio regionale, alla Giunta della Regione Veneto, alla Commissione Speciale, che si è fatta promotrice finalmente di questa iniziativa, di lavorare su una nuova legge per la cooperazione che sia rappresentativa della esperienza delle Istituzioni pubbliche, private e del volontariato presenti nel Veneto. 96 Chiedo, inoltre, di voler raccordarsi con altre Istituzioni nazionali, come l’Osservatorio Interregionale, il Ministero della Salute per far ripartire il dibattito sul nuovo testo di legge sulla cooperazione a livello di Governo e a livello di Ministero degli Affari Esteri. Come diceva la rappresentante del Ministero della Salute, abbiamo fatto una proposta di modifica di uno degli articoli della legge 49 che non permette ai medici ed agli infermieri, dipendenti del sistema sanitario, di andare a fare cooperazione all’estero. Questa proposta prevedeva di attribuire gli stessi diritti dei cooperanti del Ministero degli Esteri a chi fa cooperazione per conto della Regione o degli enti locali. E` da quattro anni che la Regione Veneto, nel campo della sanità, si gestisce direttamente almeno dieci progetti di cooperazione in almeno nove Stati. Pare giusto, in un momento di grande devoluzione nel sistema sanitario nazionale che, se la Regione nella sua libertà e indipendenza programmatoria decide di voler investire in cooperazione, lo possa fare con i suoi dipendenti del Sistema Sanitario Nazionale. Invece oggi questo non lo si può fare, se non a prezzo di paradossali acrobazie amministrative. Mi pare di grande valore il fatto che i Direttori generali delle Aziende Sanitarie del Veneto abbiano, tra i loro obiettivi programmatori del triennio, un obiettivo che riguarda la cooperazione decentrata. La strategia regionale è quella di far sì che le attività di cooperazione non debbano essere di carattere straordinario, ma che entrino sempre più nell' attività ordinaria di un' azienda sanitaria. In questo senso credo che uno degli aspetti su cui bisogna veramente ragionare è come si possa fare cultura della cooperazione all’interno dei nuovi soggetti amministrativi che la riforma del Titolo V° della Costituzione individua come referenti delle attività internazionali. Cultura della cooperazione si fa prevalentemente con le attività di formazione, con la gestione diretta dei programmi e con finanziamenti adeguati. La cosa che limita maggiormente l’attività delle Regioni rispetto 97 alle istituzioni centrali, è il livello del finanziamento. Il lavorare su programmi di cooperazione decentrata con mini budget ci obbliga a cercare delle partnership con i vari soggetti esterni, in particolare con il mondo imprenditoriale. A Timisoara stiamo mettendo in atto un programma proprio su invito degli imprenditori veneti. Ma le ragioni della nostra presenza nel mondo sono diversificate: nelle Province argentine di Cordoba, Santa Fe e Buenos Aires, stiamo cooperando perché ci sono i discendenti dei veneti, a Nazareth siamo stati coinvolti perché c’è un ospedale italiano ed il direttore è di Verona. Ci sono delle situazioni per cui la nostra presenza è permessa e fattiva, però ovviamente con dei budget assolutamente insufficienti, perché, tutti lo sanno, fare cooperazione costa. Nonostante questo, abbiamo destinato coraggiosamente l' uno per mille del fondo sanitario regionale per permettere i ricoveri in Veneto, per ragioni umanitarie, di persone non appartenenti all' Unione Europea, purchè siano segnalati da istituzioni, prevalentemente Organizzazioni Non Governative, che abbiano sede nella nostra Regione. Questo è un segno importante in cui un' istituzione come la Regione vuole collaborare con le Organizzazioni Non Governative, con le ONLUS e con le Istituzioni che, nella loro normale attività di cooperazione, incontrano un caso clinico che non riescono a risolvere sul posto. Mi pare che sia già un segnale: potremmo pensare, un giorno, di destinare una percentuale del budget complessivo della Regione per l' attività di cooperazione. Concordo con il Ministro Serafini Regioni all' interno del Ministero opportunità! Sarebbe però anche utile mettere nell’Ufficio della rappresentanza Bruxelles, in grado di dialogare sull’idea di mettere un ufficio per le degli Esteri: non perdiamo questa un esperto regionale di cooperazione italiana presso l’Unione europea a con l’Ufficio di cooperazione della Commissione, denominato “Europaid”. 98 Vorrei chiudere con un’ultima nota. Chi di noi fa cooperazione decentrata e si trova a lavorare all’estero con le Ambasciate italiane, non sempre ha un' accoglienza dignitosa: è un peccato, perché le UTL e UTC vedono la cooperazione decentrata degli Enti locali spesso come un' intrusione e non come una risorsa aggiuntiva a beneficio dell’immagine del nostro Paese. La collaborazione delle Regioni con il Ministero degli Affari Esteri e con il Ministero della Salute potrebbe beneficiare di quell’investimento italiano che è più sul multilaterale, per lo più destinato agli organismi internazionali talvolta a fondo perduto in termini di utilizzo di personale e Istituzioni italiane. Questo potrebbe dare più dignità ai fondi a disposizione del Ministero degli Affari Esteri per la nostra cooperazione decentrata. Alla fine di questa giornata, compiacendomi di questa iniziativa e dei contributi sin qui sentiti, chiedo fortemente alla Commissione Speciale per la Cooperazione di farsi portavoce di tutte queste istanze e soprattutto aiutare chi già sta cercando di modificare il testo della normativa nazionale sulla cooperazione perché sia più adeguato al nuovo assetto amministrativo del nostro Paese ed al contesto europeo ed internazionale di riferimento. 99 0DULD3LD0$,1$5', Ci faremo sicuramente parte attiva in questa situazione dove ci conduce il dottor Bertinato. L' abbiamo già fatto in sede di bilancio richiedendo ampi spazi per la cooperazione, non sempre abbiamo avuto risposte positive, ma continueremo nel nostro lavoro. 100 6DQGUR&$)), 8/66Q Volevo portare alcune considerazioni che nascono da un’esperienza pratica. Fra gli obiettivi dei Direttori generali c' è quello di lavorare per i processi di cooperazione. L' esperienza dell' Azienda ULSS 4 assieme alle altre della Provincia è stata molto positiva per la cooperazione in Albania e questo ha creato un fortissimo spirito di coesione, di emulazione e di volontà di cooperare fra il personale sanitario. Il suggerimento, l' ipotesi è che oltre al finanziamento ci sia anche una possibilità per il personale di andare per periodi, tutto sommato, limitati, perché questo consente la sostituzione a scavalco, e che non ci sia un allontanamento troppo lungo e soprattutto che i professionisti di alto livello si accostino a questo tipo di esperienza. Questo, secondo me, è un fatto fondamentale e così potrebbe essere superato anche quanto diceva prima il dottor Laurenzano circa il sorgere di “professionisti della cooperazione”. Processi di cooperazione, di adozione o di collaborazione fra comunità locali permettono, poi, anche il rispettivo scambio di esperienze e di persone: il fatto di andare a lavorare con la missione Arcobaleno ha riportato in Italia personale che veniva dall' Albania; altri tre che aspettavamo non sono venuti per mancanza dei visti. La cooperazione, specie in ambito sanitario, è sempre vista come cooperazione in attività ospedaliere. Penso che questa sia estremamente importante, però non sufficiente perché noi andiamo così ad esportare generalmente industria “pesante”, che non sempre è possibile mantenere nei momenti successivi. Questo crea delle problematiche. Direi che è molto importante che oltre che trasmettere esperienze, tecnologia, attività di tipo ospedaliera di alto livello e di alto contenuto tecnologico, ma anche di alto costo per questo tipo di comunità, si esportino esperienze di tipo preventivo e si assistenza sanitaria primaria. Penso che questo sia il fatto fondamentale. 101 Altro punto: molto spesso gli operatori provengono da esperienze molto diverse, da U.L.S.S. differenti per territorio e per composizione sociale. C' è sempre chi ha avuto un' esperienza particolare; è indispensabile favorire processi di formazione e processi di trasmissione, perché i periodi brevi di permanenza certe volte portano ad avere una mancanza di collegamento fra i professionisti. 102 $OEHUWR9,(/02 8/66QRYHVWYLFHQWLQR Segnalo alcuni problemi emersi nell’Ovest vicentino, che può essere considerato un laboratorio, se la politica regionale vuole prenderne atto. L' ovest vicentino è il territorio che ha la più grande percentuale di immigrati, siamo al 10%, in taluni Comuni si arriva al 20% di immigrati, il 16% dei nati nella nostra divisione di ostetricia è extracomunitario. Noi ci troviamo a poter misurare una delle azioni previste dalla legge 55/99: come sostenere, mediante mezzi e contributi, le iniziative promosse dai soggetti di cui all' articolo 6, e quindi poi i cittadini di Paesi in via di sviluppo o loro associazioni, presenti sul territorio regionale che possono essere coinvolti nella progettazione di iniziative di cooperazione decentrata rivolti ai loro Paesi di origine. Se noi partiamo dall' enunciato del Ministro Ruggero, che ci è stato prima formulato, nel quale al primo punto ci sono processi di lotta contro la povertà, alcune considerazioni sono state fatte relativamente alle rimesse degli immigrati, ma resta pur sempre da interpretare la dichiarazione di Baraldi secondo il quale la cooperazione aumenterebbe i fenomeni migratori. A mio avviso dobbiamo prendere atto anche di una situazione dove una parte degli immigrati desidera, per vicinanza al Paese d' origine - da noi la prevalenza è quella di persone provenienti dai Paesi dei Balcani oppure dal nord Africa – farvi ritorno intessendo piccoli commerci o altre attività economiche compatibili. Per queste situazioni trovo analogie nella mia famiglia: sono nipote di emigranti, mio nonno aveva due fratelli, uno è rimasto in Italia e gli altri sono andati negli Stati Uniti, uno è rimasto lì ad Albuquerque, dove ha una discendenza di quasi cento persone con il mio stesso cognome. Mio nonno invece è ritornato e ha portato in Italia una serie di competenze che lo hanno fatto diventare imprenditore nel campo delle costruzioni. 103 Cosa voglio dire? Queste persone possono essere messe in condizione, nel momento in cui hanno la possibilità di ritornare nel loro Paese, di poter intraprendere delle attività economiche per le quali possono essere formati qui da noi. Evidentemente siamo solo osservatori, ma all’interno dell’ULSS abbiamo percepito come queste persone più sono integrate, più imparano i mestieri, più diventano tessuto produttivo - e non emarginati e massa di disperati -, più possono essere propositivi: dietro loro impulso abbiamo istituito la mediazione culturale, ovviamente come ULSS, per gli aspetti sanitari e sociali. Le persone che remuneriamo, i mediatori, sono immigrati e quindi riscuotono la fiducia delle persone del loro Paese perché parlano lo loro lingua, conoscono usi e costumi e riescono al meglio negli approcci sociali e sanitari. Riprendendo quanto esposto dal Senatore Favaro, non possiamo escludere i vantaggi delle nostre imprese e sviluppare attività all’esterno, ma il vantaggio deve essere soprattutto quello che va a favore della comunità locale. Se noi riusciamo ad intraprendere, al pari di quello che facciamo con la mediazione per offrire i servizi sanitari, in questa stessa comunità di immigrati, altre iniziative previste dalla legislazione regionale, ecco che potremmo chiudere un cerchio che porta a risultati concreti. E`su questo aspetto che mi dichiaro disponibile eventualmente a collaborare fornendo alla Commissione o comunque al Consiglio regionale una serie di numeri, dati e risultati di attività svolte ed in essere interessanti per intraprendere iniziative che abbiano come riferimento una comunità forte di immigrati. Tali esperienze possono diventare tesoro e motore per combattere la povertà in modo, a mio avviso, particolarmente significativo e pratico, al di là di teorizzazioni che sono sicuramente opportune, ma di effetto meno immediato. Abbiamo sentito quante difficoltà esistono e quanti rivoli di risorse non vengono utilizzate. 104 Ritengo che partendo subito da piccole cose si possa arrivare prima a qualcosa di concreto. 105 &ODXGLR%(/75$0( 8/66Q Il dibattito e le diverse riflessioni che si stanno sviluppando toccano vari aspetti e, a mio avviso, stanno giungendo al cuore del problema. Prima di affrontare questo aspetto, vorrei fare un piccolissimo inciso che riguarda in parte un' esperienza personale e in parte un evento che si è verificato in questi giorni. Come tutti sapete, l' Italia ha cancellato il debito che il Mozambico aveva con il nostro Paese. Uno degli interrogativi che molti si sono posti è: perché proprio il Mozambico? Per un dato molto semplice, perché l' Italia è stato il Paese che ha consentito, con la Comunità di Sant' Egidio, la firma di un accordo di pace fra le fazioni che hanno combattuto la guerra civile, accordo di pace che da dieci anni sta reggendo in Mozambico. Credo sia uno dei pochissimi esempi, dopo la guerra di Crimea, in cui la diplomazia italiana è riuscita a registrare un successo così importante, purtroppo nella più totale ignoranza da parte del popolo italiano che, pur pagando con le proprie tasse sia la cooperazione che la diplomazia, è stata privata di un' informazione credo abbastanza importante. Ma per quale motivo l' Italia è stato il Paese che ha favorito e consentito la realizzazione di questo processo di pace? Perché l' Italia ha utilizzato tutte le risorse in suo possesso e, in buona misura, quel grosso patrimonio che caratterizza lo stile della cooperazione italiana, che è fatta di circa 160 organizzazioni non governative (e non di colossi come Medici Senza Frontiere o l’OXFAM), che sono l' espressione e la peculiarità dei vari territori di questo Paese, con cui si identificano. La cooperazione promossa da questi organismi, da queste associazioni, dal volontariato in molti casi, aveva fatto crescere e maturare una fiducia e una solidarietà tra chi operava e chi riceveva. Ciò ha consentito la creazione di quel processo di pacificazione che nonostante tutto sta ancora reggendo. Era ed è una cooperazione che non 106 è fatta di mattoni, è una cooperazione fatta soprattutto di solidarietà. L' Italia era il primo donatore del Ministero della Sanità di quel Paese, forniva una cooperazione che si basava su professionalità, su competenze e su azioni specifiche e mirate ai bisogni. Purtroppo mi pare sia mancato poi, nell' evoluzione, quello che doveva essere il vero completamento di quel processo di pace, cioè l' intervento, anche nella dimensione economica, delle istituzioni italiane, che doveva aprire le porte a quello che poteva essere un nuovo rapporto di solidarietà e di partenariato economico tra Italia e Mozambico. Si continua a ragionare su chi deve fare la cooperazione, come la si fa, come la si organizza. Il quesito di fondo è se sia proprio indispensabile che tutta la cooperazione, quella ufficiale, sia garantita e assicurata dal Governo centrale, quando esistono competenze, conoscenze e capacità presenti sia nel tessuto sociale sia all' interno di quello istituzionale e che sono altamente competitive. Penso all' esperienza che ha fatto, per esempio, la città di Padova in collaborazione con l’Azienda ospedaliera con il lavoro che sta sviluppando nella Provincia di Sofala in Mozambico, ma anche a tutte le altre esperienze che si stanno realizzando, tra cui quelle dell’Azienda ULSS 7. Stiamo, infatti, assicurando la supervisione a degli operatori albanesi per il trattamento di minori in situazioni problematiche in Albania. Ci sono capacità e competenze che vengono assicurate dalle Aziende sanitarie ma anche da altri soggetti della comunità in cui esse operano e che, se solo fossero sostenute anche da un terzo soggetto, probabilmente avrebbe effetti abbondantemente decuplicati. Ho l’impressione che si stia perdendo una grossa opportunità. Veniva ricordato che il 60% dei fondi della cooperazione vanno a finanziare interventi realizzati in ambito multilaterale. Ciò temo voglia dire semplicemente togliere visibilità a quello che è l' impatto e l' immagine che può essere messa in campo dalla cooperazione italiana, da quella 107 cooperazione fatta anche dal volontariato, dalle istituzioni e dalle Aziende sanitarie. E‘ un 60% che viene dato, paradossalmente, a delle Agenzie internazionali che, per realizzare i loro interventi, si avvalgano di Organizzazioni Non Governative, ma in virtù della nostra incapacità di fare lobby, vanno a finanziare Organizzazioni Non Governative di altri Paesi. Questo è il banalissimo contributo che volevo dare. Credo che dietro ai ragionamenti sulla riforma della legge 49 o meno, ci sia soprattutto la necessità di riconoscere un ruolo alle Regioni, e credo che la Regione Veneto abbia dimostrato di sapere e di voler fare, e soprattutto di avere le competenze e le capacità per agire, un ruolo attivo sulla scena della cooperazione, però ricevendo anche i necessari supporti per continuare a garantire gli interventi. A tale riguardo basterebbe che le Regioni venissero trattate come una qualsiasi Organizzazione Non Governativa, riconoscendo loro la possibilità di presentare progetti da co-finanziare e per la realizzazione di quali sia possibile beneficiare dei contributi previsti dal Ministero degli Esteri. 108 ,YDQD385,),&$72 Purtroppo devo andar via per problemi logistici. Vi ringrazio di nuovo di questo incontro. Spero che ce ne sia un altro abbastanza ravvicinato. Ho già illustrato al Sottosegretario – quando mi sono allontanata ero al telefono con lui - cosa si è detto qui. Sarà mia cura relazionarlo nel dettaglio quando ci incontreremo la prossima settimana. L’Onorevole Guidi mi ha pregato di salutarvi e di ringraziarvi per questa importante iniziativa. 109 *LXVHSSH&(1&, 'LUHWWRUHDPPLQLVWUDWLYRGHOO 8/66QGL$VROR Il mio intervento sarà un intervento di taglio amministrativo, quindi mi scuso della limitatezza delle cose che dirò. La mia U.L.S.S. ha attraversato tutte le possibili esperienze di cooperazione internazionale, sia come attuatrice di un progetto di cooperazione internazionale finanziato dalla Regione Veneto all' interno della legge regionale n. 55/1999 con la comunità di Pola, sia concedendo personale a progetti di cooperazione internazionale attuati ai sensi della legge nazionale 49, e sia autorizzando i propri dipendenti a partecipare ad attività umanitarie all' estero al di fuori della normativa nazionale e regionale, attività realizzate da Organizzazioni Non Governative. Alla luce di queste esperienze ho qualche difficoltà ad inquadrare nel sistema delle fonti la proposta di legge sull' utilizzo del personale sanitario per iniziative di cooperazione decentrata. Innanzitutto meriterebbe una riflessione la necessità o l' opportunità di una legge nazionale che intervengono sul personale sanitario dopo la riforma del Titolo V° della Costituzione, però questa è materia delicata e quindi non mi addentro in questa querelle. Più concretamente mi sembra che le ipotesi possano essere due o tre. La prima ipotesi è che si realizzi una iniziativa di cooperazione decentrata ad opera della Regione, l' onere, in tale ipotesi, è a carico della Regione perché il personale sanitario è finanziato con il fondo sanitario regionale, in questo caso credo che gli strumenti legislativi siano già ampiamente sufficienti. Richiamo l' articolo 9, lettera c) della legge regionale 55/1999 che afferma: "Gli interventi regionali consistono in collaborazione tecnica anche mediante l' invio di personale regionale e il coordinamento delle eventuali risorse umane messe a disposizioni da Enti pubblici", quindi già in applicazione di questo articolo si può benissimo ritenere che il personale sanitario delle U.L.S.S. può partecipare, come già partecipa, a 110 progetti di cooperazione decentrata senza necessità di ulteriori discipline normative. La seconda ipotesi è quella di un progetto di cooperazione internazionale promosso da organismi governativi al quale partecipa personale del servizio sanitario regionale della nostra Regione. Anche in questo caso, secondo me, gli strumenti sono sufficienti o quantomeno esiste uno strumento che è l' articolo 27 della legge 49 che consente "ad esperti e tecnici qualificati designati allo scopo dal Direttore Generale per la cooperazione allo sviluppo di essere inviati all' estero per brevi missioni di durata inferiore a quattro mesi con oneri a carico dell' amministrazione centrale". In applicazione di questo articolo la nostra Azienda ha inviato più volte proprio personale sanitario all' interno di progetti di cooperazione internazionale o interventi umanitari attuati all' estero. La terza ipotesi, che mi pare impraticabile, è che l' autorità centrale promuova un progetto di cooperazione internazionale utilizzando personale del servizio sanitario regionale con oneri a carico del servizio sanitario regionale stesso. A parte la considerazione dei rapporti delicati tra Stato e Regioni, c' è un' altra considerazione importante: da quando è stata derubricata la categoria delle aspettative per motivi personali esiste già una normativa contrattuale che consente di concedere aspettativa senza assegni al personale che si reca all' estero per interventi umanitari o per attività di cooperazione internazionale. In questo caso credo sia sufficiente una breve nota della Regione che induca le U.L.S.S. a concedere con larghezza l' aspettativa al personale che si reca all' estero per attività umanitarie. Se invece l' intenzione è quella di introdurre un nuovo istituto giuridico, cioè un' aspettativa con assegni per il personale che si reca all' estero per interventi umanitari, temo che lo strumento legislativo non sia lo strumento più adeguato perché questa è materia di contrattazione di lavoro. 111 'LHJR%277$&,1 6LQGDFRGL0RJOLDQRUDSSUHVHQWDQWH$1&,QD]LRQDOHSHUODVRFLHWjH LOVRFLDOH Seguo per l’ANCI Veneto oltre che i problemi socio-sanitari anche la cooperazione internazionale decentrata. Il Presidente nazionale dell’ANCI Domenici e la dottoressa Paganini, che segue questo settore per l’Associazione italiana dei Comuni, non potendo essere personalmente presenti, mi hanno chiesto di portare un breve contributo ai lavori di questa giornata, oltre che ovviamente portarvi il loro saluto e le scuse per non essere potuti intervenire. L’importanza della partecipazione delle comunità locali alle politiche di aiuto allo sviluppo, vista come strumento per rendere più efficaci anche sotto il profilo economico e dei risultati ottenuti rispetto all' entità delle risorse impiegate, secondo il principio di sussidiarietà, è stata più volte ricordata e credo sia molto importante sottolinearla. Si tratta di un processo riorganizzativo importante, che vede partecipi gli Enti locali assieme alle istituzioni associative pubbliche e private ed ai soggetti economici interessati, su cui i Comuni stanno da tempo cercando di dare il loro contributo. Le iniziative dei Comuni in questo campo sono davvero numerosissime, anche se molto disperse e molto scoordinate perché legate ad emergenze, a rapporti particolari, ad episodicità territoriali. Prevalentemente direi che sono ancora molto legate a questo tipo di dinamiche, anche se non mancano esempi positivi. Ricordo l' iniziativa dell' ANCI nazionale per il forum delle città dell' Adriatico, il progetto città e città che riguarda la Federazione Jugoslava e che ha visto coinvolto il Ministero, le Regioni e in modo particolare la nostra Regione. Ricordo per ultimo l' accordo siglato proprio a Venezia qualche mese fa tra l' ANCI e l’omologo dell' associazione dei Comuni della Federazione Jugoslava. E’ un accordo di cooperazione di ampio raggio che ovviamente ha ancora 112 molti contenuti pratici da conquistare, ma che è una base di partenza sicuramente interessante. Il breve contributo che volevo portare è questo: credo che, come è stato ricordato in moltissimi interventi, l' esigenza particolare che noi abbiamo non è quella che ognuno faccia tutto, ma che ognuno faccia bene il suo. Questa esigenza è tanto più importante e tanto più sentita, drammaticamente sentita, come nei casi testimoniati dagli interventi che mi hanno preceduto, in una situazione di transizione particolarmente caotica come quella che stiamo vivendo adesso, anche in considerazione della riforma del Titolo V° della nostra Costituzione. Da questo punto di vista porto solo questa considerazione generale. Attuare la sussidiarietà ed anche la devoluzione verso il basso dei poteri è un esercizio che deve essere fatto con grande responsabilità a tutti i livelli a partire anche da quelli alti, perché il trasferimento di poteri non può essere solo aggiuntivo di apparati e di organizzazione, ma deve essere anche davvero decentrativo. Cogliendo anche alcuni stimoli molto importanti emersi oggi, mi pare necessario sottolineare anche in questa sede come sia fortemente auspicabile che ciò che è cooperazione decentrata, ciò che è aiuto allo sviluppo fatto a livello decentrato, debba vedere a livello governativo anche un' azione di parziale smobilitazione di risorse dell' apparato verso le Regioni, altrimenti noi avremmo un federalismo che anziché costare come prima, rischia di costare molto più di prima per fare le stesse cose di prima. Questa è una prima sollecitazione di carattere generale. Però le cose che i Comuni chiedono al Governo centrale, sono sostanzialmente tre, di cui una è una grande capacità di finalizzazione strategica. Oggi, infatti, abbiamo una pluralità di azioni che si muovono in tutte le direzioni, e spesso gli aiuti sono pochi e casuali; credo sia giusto e interesse di tutti, anche delle molte Organizzazioni Non Governative e dei molti Comuni che intrattengono a loro carico iniziative in tutti i campi, che ci sia un' azione di 113 governo efficace che abbia la forza politica di finalizzare su alcuni temi importanti le azioni da incoraggiare e da sostenere. Io ne pongo due dal punto di vista dei Comuni, non perché debbano essere i primi, ma secondo me perché sono due obiettivi strategici importanti che dovrebbero entrare in questa azione di finalizzazione. Uno è sicuramente legato al tema dell' allargamento dell' Unione europea che può vedere i Comuni come attori importanti. Il processo rischia di non avere sviluppi positivi, se le comunità locali non vi entrano da protagoniste. In secondo luogo c’è poi il tema dell' immigrazione o, meglio, un’azione particolare finalizzata ai Paesi di origine delle maggiori comunità di stranieri extracomunitari presenti nel nostro Paese, magari con una specializzazione per area geografica o per regioni che potrebbe vedere coinvolte le Regioni in maniera significativa. Un ulteriore richiesta che noi avanziamo a livello governativo è il riconoscimento degli ambiti di competenza. Credo che ognuno debba svolgere bene il proprio compito e che gli Enti locali possano esprimere il meglio delle loro competenze e delle loro capacità in termini di cooperazione internazionale decentrata nel sostegno delle politiche di decentramento amministrativo, nel sostegno e nella promozione dei processi di rafforzamento della democrazia locale, della transizione verso la democrazia locale che interessa moltissime aree del mondo, nel sostegno delle politiche a tutela delle fasce di popolazione a maggiore rischio e delle minoranze per declinare anche questo tema dei diritti umani che è sicuramente uno dei principali, nel sostegno delle politiche di tutela del patrimonio ambientale e locale e della conservazione dell' eredità delle specificità culturali e locali e più in generale nella pianificazione e nella gestione dei servizi territoriali locali. Credo che su questi temi, che sono la capacità tecnica più matura a livello degli Enti locali, debba essere riconosciuto anche a livello governativo e regionale un ruolo primario che gli Enti locali possono esprimere nei processi di partnership, di cooperazione decentrata e di aiuto allo sviluppo. 114 La terza cosa fondamentale è sicuramente quella di dare attuazione alla riforma legislativa. Noi come ANCI siamo rimasti davvero negativamente sorpresi dal fatto che la riforma, che era ampiamente condivisa a livello parlamentare fino all' anno scorso, si sia inopinatamente bloccata e che risultino bloccati anche i margini di ripresa di un processo, al di là davvero di ogni considerazione di parte, ma prevalentemente per una resistenza di inerzia di apparato. La ripresa di questa riforma è una cosa che la nostra associazione auspica nella maniera più forte possibile anche formalmente nei documenti, pur comprendendo le esigenze di intervenire in via breve anche con microleggi, con interventi che possano favorire alcuni aspetti specifici. E’ però assolutamente necessario che si riprenda lo spirito che aveva portato alla definizione di quel progetto di legge. Per quanto riguarda le Regioni, noi riteniamo che possano rientrare in questi progetti e sostenere in maniera particolare il sostegno e l' orientamento alle partnership organizzate e strutturate. Credo che se c' è qualcosa di più che possono portare gli Enti locali, questo sia la capacità e il ruolo che possono avere nella costruzione di reti di coordinamento di solidarietà e di aiuto allo sviluppo della transizione e che siano partnership autentiche. In questo senso nella Regione Veneto abbiamo degli esempi positivi. Abbiamo salutato con favore l' innovazione legislativa che, diversamente dallo Stato, è riuscita a fare con la 55 ed ancora positivamente abbiamo valutato i segnali giunti dalla sua prima attuazione. Stiamo seguendo sia alcuni progetti come Ente attuatore di un progetto della Regione, sia progetti a contributo, lo facciamo tanto come associazione regionale che come singoli Comuni, con il coinvolgimento e la partecipazione di diversi Comuni. C' è però un progetto particolare che volevo sottolineare, che risponde anche a un' esigenza più volte sollevata negli interventi precedenti, che è quello della conoscenza di tutto ciò che si muove nella nostra Regione in questo settore. Stiamo realizzando un progetto di monitoraggio che mi auguro possa uscire nel giro di quattro, cinque mesi in maniera ampia e 115 compiuta, e che è finalizzato non solo alla conoscenza, ma a superare, guardo con onestà i limiti grossi che ci sono nel mondo delle autonomie, o aiutare a superare la frammentazione e l' effetto campanile, che da sempre è un limite grosso dell' azione dei Comuni. Noi abbiamo visto anche esperienze positive, per esempio il Comune di cui io sono Sindaco, insieme a molti altri Comuni veneti e non solo, sostiene da tempo il progetto delle Agenzie della Democrazia Locale, che è una rete di Comuni e di Organizzazioni Non Governative a sostegno di progetti di area. Abbiamo visto che solo il fatto di promuovere la conoscenza spinge all' associazione responsabile, alla collaborazione responsabile tra più Enti locali e questo, oltre a permettere di dare continuità ai progetti, è sempre anche un elemento importante di ritorno di informazione e di cultura nelle comunità locali. Vorrei chiudere con questo riferimento: il coinvolgimento locale, dei Comuni, nei progetti di cooperazione è lo strumento più efficace per far crescere la cultura e la consapevolezza della responsabilità che noi abbiamo nelle politiche di cooperazione. Il Senatore Favaro diceva che di queste cose a livello parlamentare non c’è particolare sensibilità. E'stata ricordata l' insufficienza delle risorse, della rappresentatività che abbiamo a livelli che contano. Credo che il presupposto fondamentale per riuscire a superare tutti questi problemi sia che la classe politica abbia la forza per investire in questo settore e passi necessariamente attraverso azioni che non sono di semplice informazione, ma di aumento della consapevolezza che, oltre che l' aspetto etico umanitario sicuramente importante, esiste anche un interesse comune che abbiamo nei processi di allargamento, nei processi di globalizzazione che ci deve portare a investire in questi settori. Tutto ciò passa nelle nostre comunità, nelle nostre popolazioni principalmente attraverso un coinvolgimento diretto degli Enti locali in partnership forti che li coinvolgano in sede di progettazione e che pertanto poi li coinvolgano direttamente anche nel restituire alla popolazione ragioni, successi e obiettivi raggiunti di questo operare. 116 Credo, alla luce di tutto ciò, che il coinvolgimento degli Enti locali possa portare, oltre che ad una migliore efficacia oggettiva dei progetti con migliori risultati a parità di risorse, anche ad un investimento generale di crescita culturale delle nostre comunità. Pur con tutte le difficoltà, i limiti e la frammentazione che la variegata realtà degli oltre 8000 Comuni che l' associazione rappresenta, dagli Enti locali giungono però segnali positivi e, tutti lo possono verificare, una disponibilità ed una volontà importante. Anche per questo ringrazio la Regione Veneto e la Commissione per aver voluto questa iniziativa e per le altre che, mi auguro, seguiranno. 117 *LOGR%$5$/', Mi dispiace se nel mio precedente intervento ho dato l’impressione di voler rinunciare ad una riforma della legge nazionale sulla cooperazione. Ho solo preso atto che nella scorsa legislatura essa è caduta non tanto per contrasti parlamentari, la proposta aveva anzi il consenso di gran parte sia della maggioranza che dell’opposizione, ma piuttosto per un forte “boicottaggio burocratico” da parte della macchina dello Stato. Peraltro, pur avendola sostenuta per tutta la scorsa legislatura, devo riconoscere che quella riforma aveva il difetto di essere una legge nata da volontà positive e da un’analisi attenta dei fallimenti e delle loro cause, ma non da sperimentazioni delle innovazioni e quindi, se approvata, sarebbe stata di difficile applicazione e forse avrebbe prodotto più difficoltà di quante ne avrebbe risolte. Nessuna rinuncia dunque: sono convinto che la legislazione italiana sulla cooperazione allo sviluppo vada profondamente riformata, sia per rimuovere le pastoie che la paralizzano (oggi l’unica possibilità reale e rapida di spesa è ricorrendo al multilaterale), sia soprattutto per tener conto dei grandi cambiamenti planetari degli anni ’80 ad oggi. Ma, se è vero che per mangiare un salame bisogna tagliarlo a fette, e soprattutto che le riforme migliori sono quelle non solo pensate, ma almeno un po’ anche sperimentate, cominciamo ad andare fetta per fetta, cercando e sperimentando i miglioramenti possibili nel quadro della normativa vigente o con piccole leggi emendatarie. L’intervento legislativo proposto dal rappresentante del Ministero della Sanità e la leggina che come Osservatorio abbiamo elaborato e che auspichiamo i Presidenti delle Regioni, a partire da quello della Regione Veneto, facciano propria e chiedono al Governo di presentarla come proposta governativa, rientrano in questa strategia e consentono alla cooperazione decentrata di operare. Non riprendo il tema degli immigrati, ne abbiamo parlato tanto, però anche in questo campo ci sono piccoli interventi procedurali importanti. Faccio un 118 esempio: una Regione italiana fece una proposta che mi sembrava valida. Disse: "La nostra economia ha bisogno di manodopera immigrata e vi è molta richiesta di immigrazione dall’area balcanica. Come Regione siamo già impegnati in attività di formazione professionale nei Balcani e possiamo censire sul nostro territorio le richieste di manodopera immigrata e concordare con i richiedenti che, se essi si impegnano ad assumerli regolarmente, noi verifichiamo quante tra le persone formate sono disponibili ad immigrare e offriamo loro ulteriori elementi formativi più mirati al lavoro propostogli.” E’ una proposta che può essere attuata solo se il Governo centrale, che concorda con i Paesi terzi le quote di immigrazione, poi accetta di riempire le liste degli immigrandi con le persone così formate e “prereclutate” dalle Regioni, e purtroppo, nell’esempio che vi ho riferito, così non è stato. E’ evidente che questa proposta avrebbe spostato la composizione dei flussi migratori a favore di quelle componenti che sono più utili sia per la nostra economia che per quella del Paese di origine (tutti sappiamo quanto pesano le rimesse degli emigranti nel bilancio dei loro Paesi), riducendo le componenti di clandestini in fuga dalla miseria o dalla guerra e quindi, dovendo sopravvivere, disponibili a tutto, dal lavoro nero a quello offerto dalla criminalità organizzata. Credo che oggi, soprattutto dopo la riforma del Titolo V° della Costituzione, sia possibile pretendere anche questo tipo di raccordo e più in generale un ruolo attivo e protagonista delle autonomie locali, capace di coniugare solidarietà, cooperazione internazionale, vocazioni specifiche del proprio territorio e reciproco vantaggio. Un’ultima riflessione prima di salutarvi. La cooperazione allo sviluppo richiede competenza e preparazione. Come in tutte le attività umane, fare significa anche commettere errori, ma in questo caso a pagare gli errori che noi facciamo sono proprio i popoli che si vogliono aiutare. Inoltre in 119 questo campo operano moltissimi attori (Agenzie delle Nazioni Unite, Organizzazioni Internazionali, Commissione europea, Governo italiano, Autonomie locali, Volontariato e Società civile), spesso mal correlati tra loro; sovrapposizioni e contraddizioni a volte possono produrre più danni che benefici. E’ dunque indispensabile che anche gli operatori della cooperazione decentrata abbiano una elevata preparazione. Meno di un mese fa il Ministero degli Affari Esteri ha approvato e si è impegnato a finanziare un progetto di formazione dell' ANCI, denominato “Solaria” e rivolto agli operatori dei Comuni. L’OICS ha messo a punto un percorso di alta formazione rivolto ad amministratori, dirigenti ed altri funzionari preposti alle attività di cooperazione internazionale delle Regioni, delle Province e Città metropolitane che collaborano con esse, denominato “La piazza della cooperazione”. Questo percorso prevede sia corsi in aula, sia corsi fatti per via telematica con specialisti internazionali, accompagnamento guidato dell' accesso di tutti i documenti che possono servire all' esperto di sanità piuttosto che a quello di agronomia a livello internazionale, chat line con specialisti, ed altri strumenti di formazione a distanza perché sappiamo che una persona impegnata, un amministratore, un dirigente, un funzionario di alto livello non può spostarsi per troppi giorni a seguire lezioni in aula. Vi chiedo di partecipare, ma soprattutto di parteciparvi nel modo giusto. In passato infatti abbiamo collaborato a corsi voluti da varie Regioni, ma con risultati molto modesti. Per spiegarmi meglio farò l’esempio di un corso intensivo di altissimo livello rivolto a 40 dipendenti di una Regione, che purtroppo aveva scelto operatori nessuno dei quali si era mai occupato o avrebbe mai più, dopo il corso, avuto modo di occuparsi di cooperazione. Bisogna partecipare con le persone che poi utilizzano realmente quello che acquisiscono, altrimenti non serve a niente. 120 3DROR'(67()$1, &HQWURGLULWWLXPDQL8QLYHUVLWjGL3DGRYD Rappresento il Centro Diritti Umani dell’Università degli Studi di Padova e sono componente del Comitato per la pace e diritti umani della Regione Veneto. Intanto ringrazio la Commissione Speciale per questo seminario perché è stato estremamente interessante ed utile anche per chi dall' interno si occupa di questioni di cooperazione o questioni correlate con esse, quindi me ne felicito e faccio i complimenti a chi l' ha organizzato. Molte cose sono state dette e non voglio aggiungere, ribadire o rimarcare perché non è il caso a quest' ora. Desidero soltanto dire due cose. Una è un' esperienza di qualche mese fa. Sono stato ad un congresso organizzato da Organizzazioni Non Governative europee con il sostegno del governo olandese e di quello svedese, una specie di forum di Organizzazioni Non Governative che si occupano di risoluzione dei conflitti e diritti umani e l' argomento era appunto come mettere insieme risoluzione di conflitti e diritti umani in situazioni di crisi internazionale. Ebbene: sono arrivate una quantità di organizzazioni di cooperazione allo sviluppo da tutta Europa, italiane purtroppo nessuna, ma tedesche, olandesi, grosse strutture. Il tema diritti umani e il ruolo che la cooperazione allo sviluppo in senso tradizionale può svolgere rispetto alle questioni di emergenze internazionali, sicurezza internazionale, ecc. è ormai una delle questioni principali per chi si occupa di cooperazione allo sviluppo. Non si tratta più di scavare il pozzo, ma è il pozzo in un contesto di pacificazione, riconciliazione, dopo che c' è stato un conflitto o prima che un conflitto avvenga. Questa dimensione politica in senso lato del ruolo che la cooperazione allo sviluppo può svolgere rispetto ai conflitti in corso o potenziali in tante parti del mondo è fondamentale e non può sfuggire all' attenzione di chi si occupa di cooperazione, anche di chi fa la 121 cooperazione in termini prettamente tecnici nel campo sanitario, nel campo delle infrastrutture e così via. Questo tema era presente anche in uno dei lucidi che sono stati mostrati dal dott. Baraldi, l' importanza che assume quello che si chiama governance in questo quadro: non è una cosa che si attacca surrettiziamente all’attività di cooperazione: è invece parte integrante della funzione di cooperazione e solidarietà internazionale. La seconda questione che si aggancia e che rafforza quello che ho appena detto riguarda le Nazioni Unite che, un paio di anni fa, hanno elaborato un documento, il rapporto “Brahimi” dal nome dell' uomo politico algerino che l' ha redatto insieme ad un gruppo di esperti (è la stesso Brahimi che sta in Afghanistan a coordinare la presenza delle Nazioni Unite). In questo rapporto si parla di come le Nazioni Unite dovrebbero organizzarsi meglio per fronteggiare le crisi internazionali umanitarie e in particolare quelle che riguardano l' intervento di peace-keeping allargato. Anche nelle missioni fatte per sostenere il ristabilimento della pace in situazioni post-conflittuali l’intervento per la pace va attuato in stretta connessione con gli sforzi per costruire la governance e lo stato di diritto. Quindi certo, mandare la Polizia, mandare missioni militari, ma insieme anche costruire forme di partecipazione popolare, costruire istituzioni di rappresentanza, costruire meccanismi dello stato di diritto e così via. Tutti ambiti che in qualche maniera fanno ormai parte di un panorama molto ampio che ormai mette insieme i diritti umani, la cooperazione allo sviluppo, gli interventi per la sicurezza internazionale, soprattutto preventiva, che sono il quadro in cui tutte le nostre attività si devono collocare: non è possibile mantenere distinzioni. Credo che anche nell' approccio che si evince dalla lettura del documento del Governo italiano, che è stato presentato stamattina, la cosa sia abbastanza evidente: si legge tra le righe. Un' altra cosa che emerge in particolare dal rapporto Brahimi, ma anche da molte altre cose che si producono a livello di Nazioni Unite, è l' importanza, 122 la necessità che viene affermata a questi livelli, di avere disponibili degli elenchi, degli albi di personale, che si è formato nei vari modi, attraverso l' azione dentro le Organizzazioni Non Governative, attraverso la cooperazione decentrata o non decentrata etc., personale che possa essere messo a disposizione dagli Stati per partecipare, per esempio, a queste missioni di pace multidimensionale, come si è detto. Personale di questo genere può comprendere tecnici civili in vari settori, dal sanitario, alle infrastrutture, alle comunicazioni etc., anche personale di Polizia oltre, naturalmente, al personale militare. Mettendo insieme queste varie cose io mi chiedo: è possibile che la Regione del Veneto faccia pressione affinché lo Stato italiano, anche utilizzando le esperienze che si sono fatte a livello di cooperazione, o cooperazione decentrata, valorizzando le professionalità che si sono formate nel mondo delle Organizzazioni Non Governative, che sappiamo essere valide benché non sempre visibili a livello internazionale, affinché dicevo lo Stato italiano si proponga come uno dei fautori principali di questa iniziativa che le Nazioni Unite richiedono? Creare cioè roster, questi albi di personale qualificato da attivare quando è necessario, e metterli a disposizione per queste missioni, ma anche per altre iniziative che si possono fare. Non si pensa che questo sia un contributo maggiore alla comunità internazionale, a questi organismi internazionali che l' Italia magari finanzia abbondantemente, ma nei quali poi alla fine non c' è nessun italiano? Mi sentivo di dire questo perchè, secondo me, il maggior valore che noi possiamo mettere in campo in queste situazioni è il patrimonio umano, le persone che nel nostro contesto si sono formate, che attraverso le nostre organizzazioni sono andate all' estero, hanno fatto queste esperienze e hanno accumulato questo bagaglio di esperienza, di professionalità che dobbiamo mettere a disposizione di tutti. Dal punto di vista di un organismo universitario, come quello che in questo momento rappresento, ciò vuol dire anche rafforzare la dimensione della formazione permanente, quindi non soltanto quella che si dà nei corsi di 123 laurea (in particolare questa mattina c' era il professor Faggi che è il direttore del corso di laurea di cooperazione allo sviluppo all' Università di Padova, che è stato attivato l' anno scorso). Non soltanto questo tipo di formazione di base, ma anche formazione continua che sia funzionale al mantenimento di questi albi, di questi roster di personale qualificato, formato e messo a disposizione della comunità internazionale. Spetta all' università ed eventualmente anche ad altri enti certificare la capacità di una persona, la sua idoneità a svolgere certi ruoli anche a livello internazionale. In questo modo la cooperazione dello Stato e delle Regioni acquisterebbe quella visibilità, ma anche quel valore aggiunto qualitativo che spesso manca nelle iniziative, che pure l' Italia finanzia, ma delle quali poi gli italiani non colgono i benefici. 124 *LRUJLR)5$1&(6&+(77, 8QLYHUVLWjGL3DGRYD Oltre ad un sentito complimento al Consiglio regionale del Veneto per aver promosso questa iniziativa, mi rallegro con gli organizzatori per aver coinvolto operatori per così dire nuovi o per lo meno non visti in precedenti analoghi dibattiti. Abbiamo avuto da costoro un contributo originale, abbiamo ascoltato il loro punto di vista sul tema del seminario. Alla luce di quanto sentito e considerato il tempo disponibile, mi permetto una riflessioni che spero utile al già ricco dibattito della giornata. Attenzione: l’intervento di cooperazione è non omologabile per tutti i contesti socio-politici (quello che si fa in Romania è ovviamente ben diverso da quanto si potrebbe fare in Tunisia), inoltre il cooperare è assai più complesso di quanto possa apparire a prima vista, specie per gli effetti distorsivi per non dire anche negativi che può arrecare ai beneficiari. Questa affermazione mi permetto di rivolgerla prevalentemente alle imprese private e alle aziende pubbliche qui rappresentate sulla scorta di quasi un trentennio di esperienza di cooperazione allo sviluppo. Non è certo sufficiente trasferire capacità manageriali ed esperienze produttive, maestranze e capitali delle nostre imprese private o Aziende pubbliche venete, per poter innescare virtuosi meccanismi di crescita economica durevole e soprattutto di sviluppo umano secondo le linee proposte dalle Nazioni Unite. Direi che talvolta, specie se sono nuovi soggetti privati ad intervenire, si rischia di agire con una non sufficiente ponderazione sui reali bisogni dei beneficiari della cooperazione. Se la situazione politica attuale veneta è più favorevole del passato a dar spazio al mondo dell’imprenditoria privata ad interventi di cooperazione, a mio parere sarebbe rischioso non ricorrere ai seguenti due passaggi. 125 Il primo riguarda la formazione dei quadri che dirigono iniziative a favore dell’estero ed esemplifico nel settore ove mi trovo ad operare, quello economico-agrario. Un buon cooperante, che uso chiamare anche agente di sviluppo, dovrebbe disporre di un solido bagaglio culturale su: - temi generali quali a) la conoscenza di modelli di sviluppo economico anche alternativi o complementari a quello di mercato b) il ruolo dell’agricoltura e la zootecnia nell’ambito dello sviluppo economico complessivo (ricordo che nei Paesi ad economia povera, ove di norma si porta la cooperazione, il settore primario è ancora di notevole rilevanza economica); - temi macroeconomici quali a) la conoscenza delle regole del Commercio internazionale, b) il ruolo delle Istituzioni nello sviluppo rurale (aspetti riguardante la pianificazione agricola, l’assetto fondiario, ecc.); - temi microeconomici quali a) la percezione dei ricavi e dei costi nelle produzioni aziendali, aspetti non solo inutilizzati, ma spesso inesistenti nel paradigma culturale dei beneficiari dell’intervento; b) l’introduzione delle tecnologie appropriate sia per opportunità di natura economica, ma anche rispettose delle tradizioni e dei saperi locali; - temi strumentali quali a) la finanza etica ed il microcredito, b) la certificazione specie nel settore foresta legno (solo apparentemente strumento da annoverare tra le recenti novità di PDUNHWLQJ dei Paesi industrializzati). In altre parole, per chi intende operare nella cooperazione, ritengo imprescindibile una formazione tecnica oltre che di cultura generale che potrà esser formata anche personalmente (sulle ricadute della globalizzazione, sulla storia politica e sulla geografia sociale del Paese di 126 intervento) per non incorrere in interventi che siano solo a favore del donante e a svantaggio del beneficiario. Il secondo passaggio, altrettanto essenziale, è quello della ricerca ovvero dell’analisi, della proposta, della valutazione. Anche in questo caso ricorro ad una esperienza che si rifà al settore dell’economia agraria. La Giunta Regionale veneta mi ha recentemente finanziato una ricerca applicata, finalizzata ad analizzare il sistema del credito nelle aree rurali nel distretto di Iasi in Romania. Tale ricerca, peraltro suggerita dalle autorità locali (Municipalità, Diocesi), è finalizzata ad indagare e proporre soluzioni per imprese italiane (venete) nel settore del credito solidaristico. In altre parole si intenderebbe valutare le possibilità di “spazio economico” per mettere a disposizione dell’economia locale il prezioso servizio delle Casse rurali di storica memoria nella nostra Regione. Attualmente il credito, al di fuori delle città rumene, è un “prodotto” quasi sconosciuto e se è conosciuto è quasi inavvicinabile per l’eccessivo costo del denaro e le pesanti garanzie richieste. Le economie di tali aree ed in primis la zootecnia e l’agricoltura, difficilmente potranno superare il modesto livello produttivo e reddituale se non saranno in grado di accedere al sistema creditizio. Interessanti esperienze di finanza etica e di oculate politiche di microcredito portate avanti in altri Paesi ad economia povera (ricordo l’India e la Grameen Bank per tutte), possono costituire un buon riferimento per cambiare la situazione di povertà di intere popolazioni. Non vorrei sembrare di parte ma anche nel settore della ricerca, e in questo campo la Regione potrebbe giuocare un ruolo rilevante di sponsor, credo si debba credere ed investire, per consentire un trasferimento ponderato e per quanto possibile programmato di capitali e di imprese sia 127 private che pubbliche (come forse non è avvenuto nel caso della già citata Romania). Concludendo ritengo fondamentale, nella prospettiva sempre più consolidata di cooperazione decentrata, che la spesa regionale a favore della cooperazione vada in parte a supportare una adeguata formazione e una qualificata ricerca applicata caratterizzata da originalità, innovazione e trasferibilità con il preciso orientamento di portare uno sviluppo non di interesse di pochi espatriati, ma di sostegno solidaristico pur nella giusta redditività a favore delle imprese operanti. 128 ,OHV%5$*+(772 &RPPLVVLRQH6SHFLDOHSHUOD&RRSHUD]LRQHDOOR6YLOXSSR Volevo mettere a tema quattro questioni. La prima parte da un’affermazione che è già stata fatta da qualcuno che mi ha preceduto. Penso che il cuore del problema potrebbe essere espresso così: la cooperazione, anzitutto, bisogna farla, praticarla. E cioè bisogna essere in prima istanza consapevoli, coscienti, convinti che l’atto cooperativo fa crescere in qualità la propria esperienza personale, comunitaria e sociale. Questo è un fattore decisivo, che consente anche di evitare le storture della cooperazione. Perché è soltanto nell’esperienza concreta del fare cooperazione con questo spirito che si capiscono possibili storture, alcune delle quali sono state prima accennate. Penso sia importante ridefinire l’identità della cooperazione. Che cosa vuol dire oggi fare cooperazione? Sono d’accordo con chi mi ha preceduto: la cooperazione deve avere una sua progettualità. Quello che non condivido è che il fattore decisivo di una buona cooperazione debba nascere da una gestione centralista. Per molti aspetti un governo centralista è contro la natura del cooperare. Distinguiamo bene, quindi. Io parlo da consigliere regionale, ma questo può riguardare anche il governo di una Organizzazione Non Governativa. Avere un disegno, degli obiettivi, una modalità di azione precisa, dei valori da tradurre in pratica attraverso l’atto della cooperazione è una cosa, impostare un’azione di governo in chiave centralista è tutt’altro. Ed è anche a mio modo di vedere qualcosa di molto pericoloso. Non c’è tempo per approfondire questo concetto, ma penso sia importante almeno accennarvi. La cooperazione è un fattore sociale, di cultura, di maturità di un popolo. Volete un esempio? La legge 49. Ad oggi non è stata ancora riformata, è vero, ma non perché la politica non vuole la riforma. Io posso esserne testimone, avendoci lavorato nella passata legislatura e ho toccato con mano che su questo tema è intervenuto un 129 potere più forte della politica. Nella cooperazione è entrato un fattore esterno, interessi non compatibili. Sono solo cenni, che meriterebbero più spazio, ma secondo me qui sta il punto importante. Tradurrei così la seconda osservazione: la cooperazione non è la risposta alle emergenze. La risposta alle emergenze è uno dei tanti aspetti e dei momenti della cooperazione. Non certo il fattore decisivo. Detto in altri termini, cooperare non è fare delle cose o dare delle cose, ma è avviare un cammino di comune ricerca del bene all’interno di un rapporto fra esperienze, fra popoli, fra culture, fra Enti locali, fra comunità locali. In questo cammino si mettono in campo anche risorse di tipo economico. Ma anche in questo caso la prima risorsa è il rapporto personale, la comunicazione, lo scambio di esperienze tra persone. Questa si trascina dietro tutto il resto, compresi anche i soldi ovviamente. Insisto: il salto di qualità che si deve fare è tra il dare delle cose, che non è di per sé negativo, ma è più legato all’emergenzialità, all’avviare invece un cammino, un percorso. Occorre giungere alla capacità di farsi carico di un problema e insieme di risolverlo, fornendo anche nell’atto cooperativo alcuni elementi per cui poi il partner possa camminare da solo. Si tratta di un salto di qualità, è chiaro. Terzo elemento. Anch’io ritengo sbagliato non procedere alla riforma legislativa. Ma prima ancora mi pongo una domanda, che secondo me sta a monte. E il fatto che non ce la siamo posta fino ad oggi spiega anche tante incertezze. Che cosa vogliamo noi da una legge nazionale nel campo della cooperazione? Non è una domanda vuota o retorica. Nasce dalla volontà di evitare che la legge diventi una gabbia, piuttosto che uno strumento di lavoro. E che paradossalmente un provvedimento tanto invocato dal mondo cooperativo diventi qualcosa che non aiuta lo sviluppo della cooperazione. Bisognerebbe perciò chiarire una volta per tutte che lo strumento legislativo non sostituisce la creatività sociale. È uno strumento, appunto, che detta opportunità e condizioni perché chi si sente maturo per 130 cooperare lo possa fare. E ciò significa applicare in pratica il tanto declamato principio di sussidiarietà. I soggetti sociali, comprese anche le istituzioni locali, che si sentono in grado di fare cooperazione devono essere messi nelle condizioni migliori per poterla attuare. La riforma legislativa dovrebbe in qualche misura rafforzare questo elemento “sussidiario”. Dovrebbe cioè da una parte semplificare e dall’altra fornire strumenti, proprio nello spirito della sussidiarietà, per consentire ai soggetti sociali, e alle comunità locali, Comuni, Province e Regioni, di poter sviluppare, secondo la consapevolezza e la maturità di ciascuno, l’atto cooperativo. Quarto punto. Qualcuno potrebbe porsi la domanda, e quindi possiamo chiedercelo anche noi come Regione Veneto: perché sentiamo il bisogno di ritornare a ragionare sulla cooperazione? Cito l’esperienza personale che credo tutti voi conosciate. Come assessorato alla sanità ad un certo punto abbiamo deciso di rendere la cooperazione parte integrante dello sviluppo dell’intero sistema socio-sanitario. Non ci siamo limitati a finanziare iniziative, pure di per sé importanti. Voi capite che quando nella struttura di un settore si istituisce un ufficio ad hoc per questo, quando si fissa lo sviluppo della capacità di cooperazione da parte dell’Azienda come elemento qualificante nella mission dei Direttori generali (che sono il braccio operativo del sistema socio-sanitario), ciò significa aver introdotto la logica cooperativa come parte integrante della crescita del sistema. Per l’esperienza che noi abbiamo fatto, il cooperare è un’occasione per rivisitare se stessi. È l’occasione - stando all’esempio – di ricomprendere sia i fattori positivi del modello socio-sanitario del Veneto, sia i fattori negativi che ci possono essere stati. Perché nel proporre un modello, nel trattare delle risorse umane e tecnologiche di questo modello, il confronto sul campo diviene più impegnativo e più forte. Quindi la cooperazione è un’occasione per rimettere in discussione anche la propria identità strutturale ed organizzativa, non soltanto culturale. Credo che questo sia un altro tema da sviluppare. 131 Non penso che sia molto noto il livello di qualità sviluppato da alcune esperienze cooperative della nostra Regione. Io cito spesso l’esempio, perché molto legato alla mia vicenda personale, del Mozambico. È il percorso che parte dagli accordi di pace di Roma, passa per un consigliere ed assessore comunale di Padova che fa un anno di volontariato nella Provincia di Sofala, Beira e a Maputo, poi arriva al gemellaggio del Comune di Padova, costruisce all’interno di quel gemellaggio una serie di iniziative. Ma l’esperienza non si ferma a livello padovano. Il nostro assessore comunale arriva in Regione e porta a maturazione una proposta di cooperazione che coinvolge complessivamente le famiglie padovane, le istituzioni padovane a tutti i livelli, dalle banche al Comune, lo stesso sistema socio-sanitario regionale. È un sistema complesso di partnership che ha attivato un progetto, che oggi è parte della vita della città. Potremmo proporre altri esempi che raccolgono molte delle osservazioni emerse oggi, riguardanti l’esigenza del coordinamento, della formazione, della risorsa persona importante tanto quanto la risorsa finanziaria, dell’impresa come parte del progetto, non unico attore. Secondo me nella nostra Regione si sono maturate esperienze che, se meglio focalizzate, conosciute ed analizzate, possono dare un grande contributo. E non è un caso che, non più tardi di due anni fa, sia stato il Veneto a rilanciare il tema della riforma della legge nazionale, perché nel nostro territorio c’è la cultura per poter fare un salto di qualità. Mi auguro e credo che il convegno sia stato organizzato dalla Commissione anche per questo scopo: rilanciare la cooperazione, con maggiore forza e con maggiore consapevolezza. È vero infatti quanto è stato detto oggi, che la cooperazione deve giocare un grande ruolo all’interno di fenomeni epocali quali la globalizzazione. Ma anzitutto occorre che rappresenti un’opportunità per il Veneto, perché la nostra Regione possa ripensare se stessa e ritrovare un proprio ruolo nel 132 contesto di questi fenomeni globali, che non possono annullare le identità, ma renderle più coscienti di sè. 133 (WWRUH/$85(1=$12 Voglio ringraziarvi dell’onore che mi avete fatto, invitandomi a questo Seminario. Per me è stato un vero piacere ascoltare gli interventi, che mi sono sembrati tutti estremamente interessanti. Vorrei fare solo una piccola annotazione. Non dimentichiamo che le Regioni possono fare proposte di legge alle Camere. Sarebbe davvero utile se la Regione Veneto, dopo attenta istruttoria, potesse presentare al Parlamento nazionale un disegno di legge di riforma organica della cooperazione allo sviluppo. 134 0DULD3LD0$,1$5', Ringrazio tutti di essersi fermati fino ad ora, di aver passato tutta la giornata con noi, lascio il saluto definitivo ad Amedeo Gerolimetto. Credo che i membri della Commissione possano dire di avere imparato molto questa sera e di avere una piattaforma già pronta per i lavori futuri. Grazie a tutti. 135 $PHGHR*HUROLPHWWR Credo ci sia poco da aggiungere dopo i commenti e le considerazioni fatte da due Colleghi di Commissione. Va sottolineato ancora una volta che non a caso abbiamo creato questa occasione di incontro all’interno del Consiglio regionale del Veneto, proprio perché, come è emerso qui, nel nostro territorio, c' è un substrato straordinario, importante, che secondo me è un vero patrimonio non solo per la Regione, ma anche in ambito nazionale. Gli interventi, come è stato detto prima, lo hanno dimostrato fino in fondo, l’obiettivo che la Commissione si era posta con l’organizzazione di questo seminario, di questa occasione di discussione, era quello di rimettere in moto la discussione sulla legge che regolamenta la cooperazione, un processo di riforma che ci attende per rispondere in modo serio e concreto anche ai problemi posti dalla globalizzazione. Qualcuno prima ha detto in modo preciso: attenzione a come si agisce. Io credo che l' agire debba esserci, ma che debba essere accompagnato anche dalla riflessione. Credo che ci sia l' impegno di tutti noi su questo, e sicuramente la nostra Commissione e il Consiglio regionale del Veneto se ne faranno carico, per far sì che questo appuntamento sia l' inizio di un percorso che deve raggiungere l' obiettivo finale. Grazie ancora a tutti voi per aver contribuito al successo di questa iniziativa. 136