il punto il punto 1 Sport di squadra la grande crisi di Gianni Romeo Cari amici dello sport piemontese, l'aria si è rinfrescata, la stagione invernale in arrivo ci riporta il profumo di quell'indimenticabile 2006, quando le Olimpiadi riempirono d'orgoglio non soltanto noi piemontesi, ma lanciarono in tutto il mondo un fantastico biglietto da visita della nostra regione. Sembra ieri, sono già passati quasi quattro anni... E' rimasto il profumo, è rimasto l'orgoglio, sono rimasti gli impianti non facili da gestire e/o riconvertire, c'è un movimento turistico più sostenuto che porta benefici economici non da poco nella difficile situazione generale che stiamo vivendo. Manca però un anello, nel quadro: quei Giochi non hanno innescato una maggior voglia di sport, nel nostro Piemonte. Non parliamo dei giovani, che sono quelli di sempre. La domanda è stabile, malgrado le lusinghe dei giochi elettronici e altre diavolerie che portano troppi ragazzi/ragazze a ingrossare il sedere e ad accorciare le gambe. Ma le nuove generazioni, se vengono incentivate nel modo giusto e si accostano alle prime esperienze sportive, spesso non tradiscono più il nuovo mondo che si svela ai loro occhi. Parliamo invece dei sostenitori, gli sponsor oggi indispensabili soprattutto negli sport di squadra, dove i costi di gestione e di trasferta per praticare un'attività di livello nazionale sono molto alti. Gli investimenti nello sport piemontese di alto livello restano minimi. Come prima, forse peggio di prima e per fortuna l'asse fra l'assessorato regionale (Manica) e il Coni (Porqueddu) funziona, supplendo a tante carenze. Se monitorate il panorama sportivo della regione, vi accorgerete che dal calcio in avanti i club di successo e i poli di qualità sono sempre quelli. Le ragioni della stagnazione sono molto italiane, piemontesi in particolare, porterebbe lontano analizzarle tutte. Citiamo soltanto un paio di cause. Gli emolumenti eccessivi elargiti ai giocatori/giocatrici impediscono a tanti club di tentare la scalata per non asfissiare, in primo luogo. Sono pochissimi i Paesi al mondo in cui si guadagna come da noi, nel basket o nella pallavolo e dintorni. Per un campionato di vertice bisogna mettere in bilancio milioni di euro, il ritorno spesso non giustifica simili spese. Inoltre la moda di aprire a troppi stranieri, oltre a incidere sul portafoglio, toglie il posto a tanti nostri ragazzi che costerebbero Sommario 2 3 6 8 10 12 14 Torino 2011, occasione per pensare lo sport G. P. Ormezzano L’opinione Lo sport che fa gli italiani B. Masi, G. Romeo L’intervista Stefano Basalini, sei volte sul tetto del mondo E. Calegari Primo piano Con Lannutti Cuneo fa molta strada L. Tanaceto Pallavolo Un “cono d’ombra” che dà luce all’atletica E. Calegari Il tecnico Luca sa far danzare i pattini M. Barbero Personaggi L’ultima “rosa” del ciclismo piemontese F. Bocca Personaggi 17 20 22 24 27 meno e darebbero anche maggior soddisfazione, in termini di semina e di bilancio. Una parziale consolazione, se così si può dire, arriva allargando lo sguardo dal Piemonte alla situazione delle nostre nazionali. Mai come quest'anno i risultati degli sport di squadra sono stati deficitari, in campo azzurro. Lasciamo da parte il calcio maggiore che è un mondo a sé (ma quello minore soffre, quanti club hanno chiuso bottega in Piemonte...). Il basket maschile è stato un disastro, nemmeno qualificato per la fase finale dell'Europeo (un po' meglio le donne, sesto posto); la pallavolo uomini è colata a picco nella fase conclusiva, mai così in basso (le donne difendono il titolo europeo mentre questo giornale va in macchina, in bocca al lupo!); pallanuoto uomini e donne, nel mondiale disputato a Roma, sono stati pallide controfigure dei famosi «settebello» del tempo che fu; male il softball, peggio il baseball che nei Mondiali disputati in Italia e anche a Torino non ha superato il turno eliminatorio. Non andiamo oltre. La situazione non è così azzurra. Forse una cura attenta dei vivai e un'integrazione corretta degli extracomunitari che hanno liberamente scelto il nostro Paese potrebbe aiutarci a uscire dalla palude. Tutti pazzi per il baseball B. Masi Il presidente La fatina delle montagne M. Scamangas Atletica leggera L’Olimpiade può attendere E. Calegari Talenti Buon compleanno, presidente Barbareschi R. Bertellino Tennis L’addio a un uomo di giustizia e di sport A. Caroli Il ricordo Per leggere Sport in Piemonte su internet clicca sul sito www.conipiemonte.net www.sportinpiemonte.com 2 l’opinione l’opinione Torino 2011, occasione per pensare lo sport Dalla città laboratorio di grandi eventi una proposta nuova e provocatoria di Gian Paolo Ormezzano Torino ha inventato l'Italia e, persino prima (il 1844 "contro" il 1861) lo sport italiano di club, con la fondazione della Ginnastica, culla della nostra prima attività fisica organizzata in chiave societaria. Nello sport Torino non ha mai smesso di inventare, sino ad inventarsi una splendida Olimpiade Invernale. Adesso per il secolo e mezzo dell'Unità ci vorrebbe una grande idea per lo sport, che non sia soltanto quella già varata e ufficializzata di far partire da Torino nel 2011, come accadde anche nel 1961, il Giro ciclistico del Bel Paese. Il massimo sarebbe quello di fare qualcosa di grande, bello e serio ed economico e però anche di calcistico: mica facile, ci sono aggettivi che non stanno insieme se non con artifizi poco simpatici, artifizi contabili persino dei sentimenti. E poi viene davvero difficile inventare qualcosa nel mondo del calcio, dove bisogna tenere conto di troppi fattori, di troppi interessi per ottenere un risultato chiaro e grosso. Forse una soluzione potrebbe essere quella di far decidere e gestire un qualcosa di calcistico a gente non dell'ambiente del calcio. L'idea, ad esempio, di un torneo di giocato da squadre che siano rappresentative regionali: per una volta tanto. E anche con una squadra che rappresenti gli italiani all'estero, e una gli stranieri che stanno in Italia e che sono prossimi a diventare dei nostri. Ma è teoria pura. Ci vorrebbe troppo tempo, si dovrebbe procedere, per avere concorrenti forti, Nel 1961, per le celebrazioni del alla stipulazione centenario dell’Unità d’Italia, fra i vari eventi Torino ospitò di spaventose poil Giro Ciclistico e gli Internazionali di Tennis (vinti da Nicola Pietrangeli su Rod Laver, nella foto). lizze assicurative. Davvero non è facile inventare qualcosa di nuovo nello sport, e di storico. Noi proponiamo per intanto non c'è nessuno che offra il 2011 un convegno che, con le la sua organizzazione stabile al persone giuste, dica o cerchi di provvisorio di una manifestazione dire se lo sport, nel mondo, è anche si svolge ogni cinquant'anni. cora sano, pulito, didattico, didaMa Torino 2011, che sicuramente scalico, o se invece non è ormai avrà pochi soldi e non godrà del che l'occasione di eludere, con consenso nazionale forte come l'alibi appunto dello sport, i dieci accadde a Torino 1961, deve co- comandamenti, intesi come remunque connotarsi anche nello gole morali che valgono, con un sport, che a sua volta è uno degli maquillage locale, in un po' tutto elementi che maggiormente con- il mondo. notano la città. La vera prova di Per prima cosa sarebbe una occarattere sportivo rischia infatti casione ottima e provvida di riessere quella di vincere la lotta passare i comandamenti. Poi si contro chi non vuole che si cele- dovrebbe ammettere, automatibri l'Italia unita e che teme anche camente, diremmo canonicamenlo sport possa andare, con il suo te, che lo sport, da strumento otsenso di agglomerazione, contro timale per rispettarli, è diventato in poco tempo strumento ottiil federalismo. Così ci pare inutile rifugiarsi male (pessimale…) per eluderli. nell'invenzione gentile, tipo ra- Infine si procederebbe a stilare duni di giovani, scoutismi assor- un elenco di sport ancora postiti: belle cose, anche, ma non sibili "in", rispetto alla morale possono connotare il 2011 spor- corrente, o alla non morale, che tivo della città, e per conto poi è poi la stessa cosa, e di sport che invece sono "out", nel senso che dell'Italia unita. E allora lanciamo qui una sorta di dal rispetto dei comandamenti si provocazione, che poi non è tale tengono e si ritengono fuori, con perché trattasi di iniziativa non alibi assortiti. Sarebbe una specie faraonica, non costosa, dunque a di Concilio di Trento dello sport. priori non cattivante: proponia- Si certificherebbero eresie e pumo che Torino 2011 sia l'occasio- rezze. ne per una vasta assise sul futuro Da pensarci, davvero. Unica redello sport non a confronto della mora: una cosa così costerebbe chimica, del denaro, della tele- poco e farebbe pensare molto. visione, ma per dire sullo sport E' ancora possibile sposare questi qualcosa, se non di definitivo, due concetti in chiave positiva? l'intervista l'intervista 3 Lo sport che fa gli italiani Antonio Saitta, presidente della Provincia di Torino: “Per il nostro Paese lo sport è un elemento di identità nazionale molto forte: per il 2011 bisogna inventare un simbolo tipo la torcia olimpica” di Barbara Masi, Gianni Romeo Antonio Saitta in gioventù correva i 100 metri. Adesso, anzi da molti anni ormai, il presidente della Provincia di Torino fa la maratona. Una maratona del tutto speciale, come ci racconta nel suo studio torinese a Palazzo Cisterna, con toni pacati e occhi sereni che però non nascondono una forte determinazione. E' la corsa quotidiana di un uomo politico capace e responsabile per onorare al meglio il suo secondo mandato al vertice del comprensorio torinese. - Presidente, ci descriva la sua giornata tipo. «Prendo il via alle otto, a casa, con la lettura dei giornali mentre faccio colazione. I quotidiani me li porta ogni mattina mia suocera, li va a comprare puntualmente senza mai farsi intimorire dalle giornatacce. Con la cronaca locale, che mi fa addentrare nello specifico del mio mandato, mi aggiorno sui problemi quotidiani. A quel punto vado in ufficio, sono circa le 9.30, e lì lavoro in tutte le direzioni fino a sera. Più di dodici ore filate. Un bravo corridore a piedi in un tempo così lungo di maratone potrebbe disputarne almeno tre...». - Il suo lavoro in Provincia si sviluppa in qualche direzione particolare? «Il ruolo della Provincia è particolare. Accanto agli incontri con le persone per esaminare una vasta serie di problemi, bisogna anche addentrarsi nelle grandi questioni: ci occupiamo del Teatro Regio, dello Stabile, di Top, di Torino 150. Poi ci sono i contatti con gli operatori sul territorio, che comprende ben 315 Comuni, infine dobbiamo anche affrontare un lavoro di elaborazione delle varie iniziative». - Riesce a ritagliarsi una pausa, durante la giornata? "A parte la mezz'ora per il pranzo, rigorosamente da solo, mi tengo stretta una mattina alla settimana per dedicarmi a un paio d'ore di camminata inframmezzata dalla corsa nei boschi sulla collina di Rivoli, dove abito. Non è proprio una maratona, ma mi ricrea le energie». - Lo sport ha significato qualcosa nella sua gioventù? «A livello studentesco mi sono dedicato all'atletica, correvo i 100 metri sotto la guida di Marcello Pagani, il mio insegnante di educazione fisica al Castellamonte, successivamente allenatore del Centro Sportivo Fiat e della Nazionale, ma soprattutto un grande amico. Era un uomo capace di instaurare un bel rapporto con i giovani. Ho smesso presto, ma l'atletica mi è poi rimasta del cuore. Come discreto praticante per un certo periodo quand'ero sindaco di Rivoli ho anche giocato a tennis, un paio di volte alla settimana al Green Park». - Ci dica la sua squadra del cuo- re, tutti hanno una simpatia... «Sono juventino, come tutti i giovani saliti a Torino dal Sud negli anni '60, quando giocavano Sivori, Charles e Boniperti». - Venendo alla politica, la scelta di avere unito le deleghe sportive in una sola (sport e postolimpico) e di aver voluto a capo di questo assessorato un uomo che arriva dallo sport come Gianfranco Porqueddu dimostra l'intenzione di voler coltivare meglio quel territorio? «La formazione della Giunta è sempre un momento molto delicato: ho dovuto sostituire l'assessore Bugnano, passata al Senato, che era riuscita a instaurare un buon rapporto di dialogo con un mondo particolare come lo sport, dove non è facile entrare se non lo si conosce bene o non gli si appartiene. E' una realtà dotata di un proprio linguaggio e di un proprio codice. Porqueddu, che in quel mondo affonda da sempre le radici, ha gli strumenti adatti per procedere bene. Credo sia veramente l'uomo giusto al posto giusto per l'elaborazione di politiche adeguate, soprattutto in un momento in cui c'è carenza di risorse come questo che stiamo attraversando. Alla conoscenza del settore spor- 4 l'intervista l'intervista di orientamento proAntonio Saitta è nato a Raddusa (Ct) il 15 luglio 1950. fessionale». Esponente di punta del Partito Democratico, nominato - E sul piano Grand'Ufficiale dal Presidente della Repubblica nel 2007. più specifiIl 7 giugno 2009 è stato rieletto presidente della Provincia catamente per il mandato 2009-2014. Laureato in Scienze politiche, sposato, padre di Marilde sportivo? studentessa universitaria di 19 anni, vive a Rivoli fin da «Siamo diquando ha lasciato bambino la Sicilia insieme ai genitori ventati un e ai due fratelli. Di Rivoli è stato a lungo amministratore punto di ricome consigliere comunale prima e come sindaco poi, dal ferimento 1988 al 1995. Ha una lunga esperienza amministrativa: è importante. stato consigliere e capogruppo della Democrazia Cristiana della Provincia di Torino dal 1985 al 1990. Eletto Ad esempio, consigliere regionale nel 1995 nelle file del Partito popole scuole ci lare, rieletto per la Margherita nel 2000 per il secondo chiedono mandato, interrotto nell'estate del 2004 con l'elezione a palestre, ne Presidente della Provincia di Torino. controlliamo A Palazzo Cisterna nel corso del primo quinquennio come presidente ha seguito in prima persona la macchina delle 170 in tutta Olimpiadi Invernali. Si è dedicato in particolare alle prola provinblematiche dei piccoli e piccolissimi Comuni del territorio, cia, sono dei avviando un dialogo diretto con le amministrazioni comuveri piccoli nali concretizzatosi nell'iniziativa "Il venerdì dal Sindaco", palazzetti incontri settimanali dedicati ai primi cittadini raggiunti sul dello sport loro territorio. Nel definire il suo impegno politico ama ricordare una cipolivalenti tazione tratta dal libro di Siracide (180 a. C.): «Dell'artista si che devono ammira l'opera, del politico la saggezza della proposta. Ma essere messe parla a vanvera è una minaccia per la città; se dice cose si a disposiinconcludenti si fa odiare». zione anche delle società sportive. Così si realizza un progetto di investi- integrazione sociale anche per mento nella promozione sportiva l'inserimento degli extracomunitari? «Assolutamente sì, ma il governo deve fare la sua parte aiutando lo sport nelle normative legate al rilascio dei permessi. Ricordo il giorno dell'inaugurazione della Scuola Regionale dello Sport del Coni di Cantalupa: il 70 per cento dei ragazzi era costituito da extracomunitari, ed eravamo nella provincia tradizionale, non a Torino...». - La Provincia vive con disagio l'eredità degli impianti olimpici per le note vicende del difficile riutilizzo? «Io credo che l'errore sia stato a monte, nella fase preolimpica, dove è mancata una coscienza critica nei confronti del futuro. BisoAntonio Saitta con Gianfranco Porqueddu, assessore allo sport e post – olimpico e vicepresidente della Provincia di Torino gnava già allora pensare al dopo Olimpiadi e al riutilizzo di tanti impianti. Invece la valutazione una scuola del territorio legata al a 360 gradi, un patrimonio di im- dell'evento ha preso il sopravvenmondo economico e produttivo pianti per tutti». to e ha fatto dimenticare il resto. nel quale è inserita geografica- - Crede che lo sport possa es- Il problema più grosso resta la pimente, offrendo così indicazioni sere un valido strumento di sta di bob a Cesana, poi il trampotivo, Porqueddu unisce quella del mondo della scuola, da cui proviene professionalmente con una grande esperienza. Due qualità preziose per cementare il rapporto scuola/sport, indispensabile per la promozione dell'attività sportiva» . - Al proposito. In molti puntano il dito contro la scuola che farebbe troppo poco per innescare la pratica sportiva fra i giovani. Cosa si può fare di meglio, secondo lei? «Credo non occorra inventare nulla: bisogna valorizzare ciò che si ha già, quindi utilizzare al meglio scuola e associazionismo. Il problema della scuola è che viene continuamente riscritta e sottoposta a modifiche a seconda del succedersi di nuovi ministri, il che provoca una vera e propria delegittimazione della politica scolastica. Nessuno ci crede più, perché non si entra nella riforma dei contenuti». - La Provincia nel discorso scuola quanto può incidere? «La nostra amministrazione si occupa fondamentalmente di edilizia scolastica e orientamento professionale. Cerchiamo di creare L a Scheda lino di Pragelato. Quegli impianti sociale "Fare gli italiani" dedicata olimpico. Ricordo ancora quando esistono e costano, non possiamo agli elementi che hanno contribu- la torcia entrò in provincia di Topensare di far soltanto la guardia ito a compattare la nazione, sarà rino, a Cavour. Tutta la cittadina ai bidoni dell’ammoniaca. Aspet- ben presente anche il tema dello commossa e partecipe nelle stratiamo la conclusione della gara sport, legato ad alcuni miti. Per- de, uno spettacolo». d'appalto, sperando che vada a sonalmente ritengo che lo sport - Ci sarà dell'altro, a Torino buon fine. L'idea sul bob sareb- sia stato e sia tuttora un elemen- 150? be quella della conversione della to di unione dell'Italia, nel senso «Certo, qualche evento sportivo pista travestendola in una sorta che più di altre componenti sa far importante come ad esempio il di parco dei divertimenti. A noi uscire emozionalmente dal guscio Giro ciclistico. Ma occorre indivibasterebbe andare in pareggio la nostra identità nazionale. Basta duare, e siamo in tempo per farci con le spese almeno per il man- pensare alle Olimpiadi Inverna- scattare l'idea, un elemento simtenimento dell'impianto. Finora li, alla partecipazione che è scat- bolico fortemente emozionale, la Provincia non ha sofferto troppo, perché nella manutenzione del post-olimpico ha utilizzate le risorse accantonate dai fondi governativi per la realizzazione dell'impianto. Per quanto riguarda il resto, invece, tutte le strutture torinesi vengono riutilizzate con successo, compresi gli ex villaggi olimpici». - Torino 150: Torino e il Piemonte, dove è nato lo sport nazio- Saitta con la torcia olimpica in mezzo a Pescante, Rogge e Castellani e, a fianco, nella veste di tedoforo per le Paralimpiadi: “La fiamma olimpica è stato un simbolo emozionale nale alla fine molto forte che ha acceso la passione nei cittadini” dell'Ottocento, come pensano di celebrare degnamente an- tata al passaggio della fiamma come è stata la torcia olimpica, in che in questo settore l'Unità olimpica: davvero i piemontesi in grado di esprimere in modo poquell'occasione hanno scoperto la polare l'identità italiana. E solo lo d'Italia? «All'interno della mostra storico- passione, come recitava lo slogan sport può riuscirci». E NEL 2013 I WORLD MASTER GAMES A TORINO Un altro grande evento aspetta Torino per il 2013: si tratta dell’ottava edizione del World Masters Games, i Giochi Mondiali estivi per gli sportivi in età compresa fra i 35 e 100+ anni che si svolgerà nel mese di agosto con il coinvolgimento di circa 50.000 atleti. Per la manifestazione, voluta da Regione Piemonte, Provin- cia di Torino e Città di Torino, sono attese da 350.000 a 1 milione di presenze per una permanenza tra i sette e i ventun giorni, con una ricaduta economica sul territorio quantificata, secondo uno studio condotto da Deloitte sull’edizione dei World Masters Games di Edmonton nel 2005, per oltre 100 milioni di euro. Un altro evento che confermerà quella vocazione allo sport del territorio affermatasi con le Olimpiadi del 2006. L’evento è volto alla promozione dello sport nella consapevolezza che, aldilà dell’espressione agonistica, la competizione sportiva costituisce a ogni età un grande beneficio per la salute. La manifestazione in sostanza è rivolta a tutti gli Over 35, atleti non professionisti, su un totale di 28 sport praticati in 72 siti localizzati in tutte le province del Piemonte. 6 primo piano primo piano Stefano Basalini, sei volte sul tetto del mondo Il campione trentaduenne di Borgomanero ha conquistato in Polonia un altro titolo mondiale: il canottaggio, una passione lunga diciotto anni di Elis Calegari Non credo che Stefano Basalini sia cambiato dai tempi in cui era “soltanto” uno dei ragazzi di Don Angelo Villa. La vita e il canottaggio l’han fatto grande, ha superato la boa dei trent’anni da un paio di stagioni, ma è rimasto quello che era: il ragazzo di Borgomanero, capace come nessuno di lasciar scivolare in acqua barca e remi. Le cronache dicono che la sua attività agonistica è iniziata nel ’91 e da allora ne è passata di vita sotto la sua chiglia; Don Angelo se n’è andato, ma lui continua a vogare come se ci fosse. E’ rimasto il ragazzone di sempre, e non è sminuente definirlo così: i soliti 72 chili distribuiti sui 187 centimetri di altezza; il fascio di nervi sempre teso verso il desiderio di mettere ancora una volta la punta della barca davanti agli altri. A trentadue anni non smette di stupire il nostro “peso leggero”, laureatosi ennesimamente campione del mondo. “Bella sensazione quella di rivincere lo stesso titolo iridato a distanza di undici anni! Ne avevo 19 quando nel ’97 vinsi il mio primo Mondiale nel quattro di coppia e adesso eccomi di nuovo qui sul gradino più alto del podio di Poznan: mica male…” Col titolo appena vinto in Polonia, il nostro è salito a sei nel computo personale degli allori mondiali e avrebbe ben d’onde di tirare, nel vero senso della parola, i remi in barca e tirarsela un po’. “Ma non ci penso proprio di smettere. C’è un’intrigante edizione nel 2010 in Nuova Zelanda e vincere una medaglia d’oro laggiù sarebbe davvero il massimo. Poi, non c’è davvero ragione di “tirarsela”: nel mio equipaggio ero davvero in buona compagnia, visto che vogavo con gente come Daniele Gilardoni, uno, per dire, che di Mondiali ne ha vinti dieci, o Franco Sancassani, che di titoli ne ha collezionati otto. Stare su una barca con gente così, insieme ad un quarto di grande valore come il toscano Lorenzo Bertini, è stato motivo di grandissimo orgoglio.” Se poi di questa barca sei anche capo - voga… “Già, quest’anno ho avuto un motivo in più per sentirmi gratificato di quanto ho dato e stavo dando: essere prescelto per diventare il capovoga, colui il quale detta i tempi e la regìa sul campo di gara, mi ha davvero esaltato. Anche l’anno scorso ero tornato a casa con l’oro in tasca, ma questa volta da “capitano” me la sono goduta ancora di più.” E dire che questo primo posto era tutt’altro che poco atteso: “Sì, è vero, siamo partiti per Poznan con la consapevolezza di essere davvero i più forti. Nessuno si allena come noi, con la nostra intensità e la nostra capacità di soffrire. Il lavoro complesso che ci rende così resistenti alla forza è il frutto di centinaia e centinaia di sedute d’allenamento. Lì si susseguono serie di ripetute tante e tali che in gara riusciamo poi a miscelare benissimo sistema aerobico e sistema anaerobico. Come riusciamo noi a reperire le risorse nei 2.000 metri di gara ci riescono davvero in pochi.” Il motto dei nostri è facile da dirsi, ma arduo per chiunque da realizzarsi: partire al massimo per arrivare al massimo. E il bello è che i nostri del “quattro di coppia – pesi leggeri” ce la fanno praticamente sempre a reggere l’impresa. “Oddio, qualche dubbio c’è venuto dopo aver visto che tempo aveva fatto la Francia in semifinale e comprandolo col nostro. Ad un certo punto ci siamo guardati e, pur senza dircelo, abbiamo pensato tutti la stessa cosa: “Ma vuoi vedere che va a finire che si invertono le parti e stavolta saranno i francesi a sopravanzarci di mezza barca? L’anno scorso noi primi e loro secondi con grande scorno, quest’anno…” In semi i transalpini avevano realizzato un tempo da siluri, ma forse è proprio lì che si sono “ammazzati”. In effetti, in finale la sfida con i “cugini”, con gli “italiani tristi”, come li definiva Cocteau, non c’è praticamente stata, tanto che loro non sono neppure arrivati secondi. “Noi abbiamo davvero fatto una gara perfetta. Abbiamo saputo lottare palata dopo palata, tendendo un ritmo raro e altissimo. I remi si infilavano in acqua in modo straordinario e la barca è scivolata via regalandoci sempre L a carta d’identita’ Cognome BASALINI Nome STEFANO Nato a Borgomanero (NO) Il 29 novembre 1977 Altezza 1.87 Peso 72.5 Inizio attività agonistica 1991 In quale società Canottieri Lago d’Orta Con quale allenatore Alberto Cantaluppi Società attuale C.S. Corpo Forestale Attuale allenatore Roberto De Piccoli Titolo di studio Laurea in Scienze Naturali Occupazione Guardia Forestale Stato civile Celibe Lingue parlate Inglese-Spagnolo Hobbies Montagna più certezze. I dubbi, metro dopo metro, sono svaniti e abbiamo saputo mantenere il ruolo di favoriti d’obbligo.” Tutto semplice. “Adesso che ci ripenso a mente fredda ti dico che però non è stato mica così. Mi volto indietro e Basalini insieme all'assessore regionale allo sport Giuliana Manica ci rivedo nel ritiro di Piediluco, pochi mesi fa: posto bellissimo, ma dove oltre ad allenarti non c’è proprio nient’altro da fare. All’inizio, con un equipaggio da incollare, temevamo potessimo fare “tilt”, con tensioni e depres- Partecipazione a Campionati Mondiali ANNO CATEGORIA SPECIALITÀ PIAZZAMENTO 1997 Assoluti 4 di coppia pesi leggeri 1° 1998 Assoluti Singolo pesi leggeri 1° 1999 Assoluti 2 senza pesi leggeri 1° 2001 Assoluti Singolo pesi leggeri 2° 2002 Assoluti Singolo pesi leggeri 2° 2003 Assoluti Singolo pesi leggeri 1° 2004 Assoluti Singolo pesi leggeri 4° 2005 Assoluti Doppio pesi leggeri 4° 2008 Assoluti 4 di coppia pesi leggeri 1° 2009 Assoluti 4 di coppia pesi leggeri 1° sione a visitarci. Noi – i quattro componenti dell’equipaggio, intendo – ci conosciamo da una vita, ma prima di Poznan non è che avessimo passato tutto ‘sto tempo in barca insieme e il pericolo di non trovare l’amalgama c’era ed era palpabile. Non nego, un po’ di paura di poter fallire s’è pure annunciata. Sai com’è: tutti che ti danno favoriti; Gilardoni che quasi teme di non riuscire ad agguantare il decimo sigillo; io chiamato per la prima volta in un team così a fare da capo – voga… Mettere insieme tutte le componenti è stata l’impresa più ardua. Ma direi che è andata bene. Il “vuoto pneumatico” di Piediluco ci ha giovato, facendoci alla fine trovare la giusta concentrazione e quella coralità che temevamo di non raggiungere.” E adesso? “Adesso, dopo un giusto periodo di vacanza, si ricomincia. E, come detto, il pensiero è già verso i Mondiali del 2010 in Nuova Zelanda: la sfida con la Francia è sempre in atto e loro mica mollano, sai.” Ma davvero Stefano Basalini non pensa neppure un attimo di dovere scendere prima o poi dalla barca e di mettere a frutto la laurea in scienze naturali? “Per ora sono un atleta del Gruppo delle Guardie Forestali e voglio continuare ad esserlo. Quando smetterò spero ci sia la possibilità che mi ritaglino un posto nel soccorso alpino. Sarebbe il massimo: aiutare gli altri stando in montagna, l’ambiente che più mi piace.” Anche se l’acqua piana continua ad avere un certo fascino, ovviamente. 8 pallavolo pallavolo Con Lannutti Cuneo fa molta strada Il leader dei trasporti su gomma chiede alla sua squadra uno scudetto sfiorato per tanti anni di Lorenzo Tanaceto Dicono di lui, chi lo accompagna in auto nelle trasferte al seguito della squadra, che in caso di sconfitta nelle partite decisive di una stagione, il ritorno a casa sia il più rapido possibile, cinque, sei, sette ore di fila in viaggio, con cambio alla guida, ma senza soste nemmeno per un panino. Un modo per sfogare la delusione. Dicono anche, sempre gli stessi amici compagni d’avventura, che negli ultimi anni a causa di qualche sconfitta pesante da accettare e di relativi spuntini e pasti ‘saltati’, abbia perso qualche chilo. Ma che voglia presto riacquistare il suo peso forma. A Cuneo dici o scrivi volley e pensi a Valter Lannutti. Dalla primavera del 2003, quando rilevò nell’incarico Ezio Barroero, è lui infatti il presidente della società di volley che rappresenta la provincia Granda e il Piemonte intero nel massimo campionato di serie A1 (l’esatta denominazione è infatti Piemonte Volley Cuneo Vbc). E’ un capitano d’industria, a capo dell’azienda di famiglia leader in Europa nel trasporto su gomma, con centinaia e centinaia di dipendenti (oltre 400 nella sola sede cuneese di località Madonna dell’Olmo). Ma è anche innamorato della pallavolo e della sua squadra. Alla fine dell’ultima stagione, dopo la quarta semifinale scudetto consecutiva persa dai suoi ragazzi, aveva deciso di dire basta, di cedere il testimone. L’insistenza di molti amici, l’incessante richiesta dei tifosi (i Blu Brothers, fans della curva, hanno appena Foto Lega Volley/Gian Cerato celebrato i 20 anni di vita) e l’aiuto concreto di tanti sponsor, non ultimo la Città di Cuneo intesa come Comune (sindaco, Giunta, Consiglio), gli hanno fatto cambiare idea. “Sì, ed eccomi qui ad affrontare un’altra avventura – spiega Valter Lannutti sempre affiancato dalla moglie Pierrette e dai figli tutti impegnati nell’azienda di famiglia, Stefania, Alessandra ed Ezio –. La mia passione per questo sport è fuori discussione. Ma, certo, fare qualcosa in questa realtà non è facile. In questa stagione mi sembra sia accaduto finalmente qualcosa di nuovo, in un certo senso di rivoluzionario, con il coinvolgimento delle istitituzioni, del Comune di Cuneo in primis. Ci sono nuovi sponsor, e quelli storici che continuano il rapporto con noi. Una delle nostre peculiarità, che è anche una bella fortuna, è che numerosi fra coloro che affiancano i marchi delle rispettive aziende rappresentate alla nostra società di pallavolo siano ex giocatori. Quando vado in Svezia, ad esempio, un grande manager della Volvo, che ancora non è fra i nostri sponsor, ma con cui ho frequenti rapporti di lavoro per la mia azienda di trasporti, ricorda e lega la mia figura con il poster della squadra che ho sopra la scrivania del mio ufficio”. Finora la gestione sportiva di Valter Lannutti, ha portato una Coppa Italia, nella stagione 2005/2006. Proprio in quell’occasione, a Forlì, davanti a 9.000 spettatori, la gioia del presidente fu enorme. Ed è probabilmente anche pensando a quel momento, per ora unico suo momento di vera gloria da numero uno del volley di Cuneo, che Lannutti ha deciso di andare avanti. “Abbiamo una squadra forte, ci sono scienziati di grande esperienza (lui i giocatori li chiama anche con questo appellativo, ndr) e giovani di valore. Abbiamo ritrovato anche il palleggiatore Nik Grbic, dopo alcuni anni abbiamo affidato la guida tecnica a un nuovo condottiero, Alberto Giuliani. Ho detto ai giocatori senza tanti giri di parole che da loro mi aspetto lo scudetto. Qui si è speso un mare di soldi, abbiamo avuto però tante delusioni. Credo che qui vivono a misura d’uomo, tro- che enti istituzionali come Prosi possa invertire la tendenza. Mi vano tifosi ‘caldi’ e affezionati (la vincia di Cuneo e Regione, che è piaciuto molto, in particolare, il riferimento che proprio LA ROSA DELLA SQUADRA Grbic ha fatto su una delle qualità basilari necessarie Schiacciatori: per vincere, l’umilWout Wijsmans (Belgio, capitano), Vladimir Nità. Sì, credo che kolov (Bulgaria), Janis Peda (Lettonia), Giusepl’umiltà debba essepe Patriarca, Simone Parodi, Andrea Ariaudo re la base non solo Centrali: della mia società di Francesco Fortunato, Gregor Jeroncic (italo volley, ma che lo sia sloveno), Luigi Mastrangelo di tutta la provincia Palleggiatori: Il presidente Valter Lannutti di Cuneo, un’area Nik Grbic (Serbia), Marco Nuti con il palleggiatore serbo Nik Grbic dove si è abituati Liberi: Hubert Henno (Francia), Francesco Pieri a lavorare sodo, a Allenatore: tirare dritto senza Alberto Giuliani troppe ciance, senVice: za “blagare” e tiFrancesco Cadeddu rarsela”. Preparatore atletico: Valter Lannutti è Danilo Bramard capo della multinaTeam manager: zionale di trasporti Daniele Vergnaghi fondata dal padre General manager: Giorgio nel 1963. Marco Pistolesi “Un giorno mio paConsigliere del presidente: dre mentre prepaIn primo piano, Pasquale Landolfo ravo un esame di lo schiacciatore bulgaro Vladimir Nikolov Psicologia all’Università – spiegava il presidente del volley di Cuneo in un’intervista loro recente festa dei 20 anni è ringraziamo. Anche grazie alla di qualche anno fa – mi disse: stata una lezione di sport) e han- pallavolo di serie A1 e alla visiValter, vieni con me sui camion e no la sicurezza che gli farai tanta strada”. Oggi Valter impegni siano rispettati, TANTE SOCIETA’ SATELLITI Lannutti è a bordo più che mai. anche quelli economici In provincia di Cuneo ha un secondo team in ‘In tutte queste stagioni tanti e voglio dire. Con il ComuPiemonte Volley Bre B2 maschile, campiotanti campioni hanno scelto di ne di Cuneo e il gruppo di Banca Lannutti porta nato nel quale militaaltri sponsor la pallavolo ad essere no anche Savigliano, abbiamo GLI SPONSOR lo sport di vertice trai- Villanova Mondovì e impostato Sul frontale della maglietta: nante. Al fianco della Eurorenting Bruno Vbc un ulterioLannutti; Ubi Banca Regionale Europea (al 20° anno società principale esi- Mondovì (la Libertas re progetto consecutivo di sponsorizzazione, l’istituto bancario stono decine di altri Pallavolo Busca dopo darà il nome anche al Palazzetto dello sport di San triennale club importanti che anni di militanza in B è Rocco Castagnaretta a Cuneo dove la squadra gioca le fatto anche fanno attività maschi- passata in C). Nella B2 partite casalinghe); Asics (sponsor tecnico); Città di Cule e femminile, anche femminile ecco invece di serenità: neo; Eurostock; Cemental prefabbricati. a livello giovanile. La Lpm Mondovì e la neoin mezzo alla Sul retro della maglietta: stessa società di Cuneo promossa Saluzzo. crisi che tutPetronas Urania (sponsor unico sulla maglietta del liti noi più o bero), Iveco, Regione Piemonte, Ubi Banca regionale meno avvereuropea, Asics. tiamo, Cuneo vuole bilità che ha portato, ora Cuneo Sulle spalline: lanciare il messaggio non è più quella remota città un Egea. che almeno dal pun- po’ derisa perché lì si accendevaSui pantaloncini: to di vista sportivo il no i fanali anche di giorno – cosa Assicurazioni Generali, All System, Iveco. futuro c’è ed è soli- che comunque oggi fanno tutti do. Abbiamo sem- per legge – o perché Totò vi avegiocare per Cuneo e anche que- pre dimostrato di voler costruire va fatto il militare. Non solo. Non sto è un motivo di grande orgo- qualcosa di importante, coinvol- più. Ora Cuneo è una città famosa glio perché loro sanno bene che gendo ripeto tanti sponsor e an- anche per la pallavolo’. 10 il tecnico il tecnico Un “cono d’ombra” che dà luce all’atletica Alessandro Nocera, coach moderno e fuori dagli schemi, si è inventato un gruppo di atleti che da tutta Italia vengono ad allenarsi con lui al Ruffini di Elis Calegari Si fa presto a dire coach. E forse è per questo che in alcune branche dello sport si sono generati equivoci. Un coach è molto di più di un allenatore; è un tecnico che vive in simbiosi con l’atleta con cui lavora: ne conosce e ne scandaglia quotidianamente ogni più recondito meandro, teso com’è a cercare di ricavare da “telaio” e “motore” del suo protetto il massimo possibile della prestazione. Nel tennis è praticamente un dovere che un giocatore, di belle speranze o di conclamate certezze, si affidi in modo totale ad un coach e pretenda da questo una collaborazione esclusiva, di rapporto “uno a uno”. Il coach tennistico è il tattico e il tecnico; è colui che è chiamato alla regìa di una carriera e vive ed opera in toto per l’atleta e con l’atleta: gente come Riccardo Piatti, Massimo Sartori, Alberto Castellani o Giampaolo Coppo, per citarne alcuni, è la nostra esemplificazione vivente - e più alta - d’una vita spesa totalmente in funzione di un giocatore. In maniera forse meno evidente ma abbastanza similare, è facile in discipline individuali trovare accanto ad atleti di punta degli “allenatori esclusivamente personali”. Nel resto del mondo è cosa piuttosto frequente anche nell’atletica, da noi un po’ di meno, tanto che per anni venne ritenuto unico e fuori dagli schemi il rapporto che legava Pietro Paolo Mennea al Professor Vittori, una sorta di coaching ante litteram. La storia di Alessandro Nocera adesso però ci costringe ad andare oltre e a fare davvero in fretta a dire coach. Dicono basti andare un giorno Alessandro Nocera in mezzo a Daniela Graglia e Fabio Cerutti qualsiasi al campo del “Ruffini” o alla Sisport per capire chi sia e cosa faccia Alessandro Nocera. E’ un torinese giovane, brillante; vanta un passato da buon quattrocentista con la maglia del CUS Torino e della nazionale giovanile; è l’allenatore – pardon, il coach – di Fabio Cerutti, argento nostro nello sprint degli ultimi Europei indoor, ma portarlo alla nostra ribalta per questo, paradossalmente, potrebbe risultare persino riduttivo. Intanto, lui è così ben dentro al sistema che, al contempo, riesce a gravitargli attorno ed è divertente provare a raccontarlo così. S’è scelto un ruolo controvento e nel suo “milieau”, per solito un po’ paludato, il suo fare pacatamente dirompente ha prodotto e produce un po’ di sconquassi. Cominciamo col dire che nell’atletica italiana non sono certo molti quelli che hanno deciso di vivere come lui. Di mestiere fa il commerciante, ha un negozio che un socio l’aiuta a condurre, e non ha seguito nessun corso canonico di studi presso la Scuola Universitaria di Scienze Motorie. Ma conosce il mondo dell’atletica come pochi ed ha un talento innato nell’allenare. “Forse sono stato fortunato perché ho avuto la possibilità di cominciare ad occuparmi subito di un’atleta di elevato livello: Daniela Graglia, velocista che ha gareggiato anche alle Olimpiadi di Sidney. Con lei ho cominciato ad affacciarmi nel mondo del coaching internazionale e per lei ho dovuto iniziare un mio personalissimo percorso di studi che mi ha portato ad avere tutta una serie di convincimenti anche in antitesi con la tradizione italiana.” - Si spieghi meglio. “Intanto ho cominciato col valutare criticamente chi fosse l’allenatore d’atletica in Italia. Spesso uno designato dalla società sportiva d’appartenenza dell’agonista, oppure, a livelli più elevati, un tecnico nazionale fornito dalla federazione, senza badare troppo all’incidenza delle iterazioni delle relazioni che si andavano ad instaurare tra atleta e allenatore, con un rapporto spesso spersonalizzato e spesso troppo conforme ad un modello standard.” - In effetti, andando così a braccio, eccezioni non ne ricordo molte: il legame Azzaro - Simeoni era esclusivo e personalissimo per forza di cose, visto che erano compagni anche nella vita; quello tra Vittori e Mennea era l’incontro di affinità elettive unite dalla sublimazione dello sforzo e della fatica… “Credo che nessuno al mondo si sia mai allenato tanto quanto Mennea e credo altresì che il loro esempio non sia assolutamente esportabile. Io poi credo in un’atletica diversa e lo si evince meglio nel documento che ho redatto insieme a Giacomo Galletto, chiamandolo “Proposta sintetica alternativa di un sistema di allenamento”. Lì è condensato tutto quello che professo e che contesto a proposito della gestione del comparto legato ai nostri velocisti.” - Quali sono le cose che contesta principalmente? “Sono parecchie ed è dura dirlo in poche battute. Tuttavia, il fatto di basare ancora troppo gli allenamenti più sulla quantità che sulla qualità non penso sia una buona cosa. Inoltre, mi sembra che continui a non esserci grande attenzione per la rigenerazione e il recupero. Per buona aggiunta, spesso e volentieri si seguono mode e correnti di pensiero forzando l’istintualità dell’atleta. Usain Bolt è uno che sui 100 metri arriva ad avere 41 appoggi, ma sarebbe un errore cercare di copiarlo. Lui è un superuomo ed inutile provare a clonare i suoi appoggi e le sue frequenze. Cerutti appoggia 43/44 volte e ci sarà qualcuno che con 47/48 trova il suo massimo. L’errore sta nel copiare e nel voler trasporre acriticamente.” - In Italia si tende ad emulare, a sperare nel “copia e incolla”? “Credo che da noi non si tenga conto di tutta una serie di cose, a partire dalla nostra storia. Tolto Mennea, che è stato – lo ripetiamo – unico e inavvicinabile e che ha ottenuto il record del mondo sui 200 a 27 anni, tutti gli altri grandi azzurri hanno dato il meglio in giovane età: Berruti ha vinto le Olimpiadi, siglando il miglior tempo di sempre, a 21 anni; Pavoni, Tilli, Zuliani e Marcello Fiasconaro si sono espressi al massimo attorno alla medesima età e poi non hanno saputo andare oltre.” - Allora aveva ragione chi, ai tempi, consigliava Berruti di “preservare le indispensabili energie nervose” per continuare ad essere un grande velocista… “Di sicuro da noi s’è sempre data molta importanza ai carichi di lavoro e molto poca alla rigenerazione.” - Cambiamo discorso: cosa s’è messo a fare al “Ruffini” da un po’ di tempo a questa parte? “Ma niente di così eclatante dal mio punto di vista, se non mettere insieme in un gruppo, il “Cono d'Ombra Athletic Workgroup”, atleti e atlete di tutte le parti d'Italia, seguiti da due allenatori nazionali che hanno deciso di collaborare e creare occasioni quanto più frequenti possibile per allenarsi uniti. Tutto qui.” - Evidentemente qualcosa di particolare però c’è sul piano umano, se anche chi compete nella categoria “master” si sente parte d’un progetto tutto nuovo. Qual è stata la base di partenza? “L’essere stanchi di rivalità spesso eccessive e ingiustificate fra atleti e allenatori, di difese a ogni costo del proprio "orticello", spesso in nome di assurde di “Cono d'Ombra” è soltanto quello di creare le condizioni più opportune per la crescita sportiva, per raggiungere uno sviluppo tecnico e agonistico all’altezza del talento e dell’impegno degli atleti. Lavorando tutti insieme. Punto.” -Da chi è formato “Cono d’Ombra”? “Per il momento, la maggior parte degli atleti di “Cono d'Ombra” è formato da velocisti, ma il gruppo è in continua crescita ed è aperto ad atleti e atlete di qualsiasi specialità. Facciamo base al “Ruffini”e spesso siamo anche alla Sisport. Sfrutto poi la magnanimità del presidente D’Elicio per usare, di quando in quando, anche le strutture del CUS Torino.” - Fabio Cerutti è l’uomo più in vista del team e si sperava che Berlino sancisse qualcosa d’importante… “Qualcosa in più era Fabio Cerutti è al momento lecito attenl’atleta più in vista del team allenato da Nocera derselo se le battaglie metodo- condizioni fossero state ottimali. logiche. Questo ha Purtroppo, poco prima dei Monsolo favorito un ri- diali, Fabio ha avuto un incidente stagno nello scam- ad un tendine del ginocchio che bio di informazio- ne ha compromesso le prestazioni, che è poi ciò che ni. L’argento agli Europei Indoor favorisce la crescita e lo sviluppo ha detto comunque tanto del vadi qualsiasi contesto. Noi ci muo- lore del nostro, anche se credo viamo in direzione diversa e con- che difficilmente riuscirà ad antraria: abbiamo formato un team dare oltre i suoi limiti attuali.” omogeneo che si avvantaggia dal - Questo significa che non avremo a breve qualcuno che possa lavorare tutti insieme .” - Quando le è nata l’idea di met- rieditare almeno parzialmente i nostri tempi belli, avvicinandosi tere su un team di questa fatta? “L'idea è nata a metà del 2006 da ai risultati dei migliori sprinter due gruppi distinti di atleti, per del mondo? preparare insieme le finali dei “Anche se non è avvalorato apcampionati di società. Da quella pieno, io credo che il ceppo bianoccasione abbiamo preso a riu- co caucasico, al quale appartenianirci molte altre volte e il gruppo mo, abbia muri invalicabili nella ha allargato il numero dei suoi velocità. Certo, di sicuro sul piano componenti costantemente.” dell’allenamento si può fare me- Avete chiamato “Cono d’Om- glio di quanto già non si faccia, bra” il vostro gruppo perché in- però temo fortemente che i neri tendete agire affrancandovi dal come Usain Bolt, gli americani resto dell’atletica nostrana? presenti e futuri, appartengano “Affatto. L'obiettivo principale davvero ad un altro mondo.” 12 personaggi personaggi Luca sa far danzare i pattini Novara si coccola Zanchetta, campione poco noto che conquista medaglie a ripetizione nel pattinaggio artistico a rotelle di Massimo Barbero Nello sport c’è anche un Piemonte discreto, fatto di personaggi che vincono ma non sono sulla bocca di tutti. Come Zanchetta. Il pattinatore novarese è tornato dagli “Europei” di settembre in Portogallo a Nazare con al collo l’ennesima medaglia, stavolta di bronzo. L’ha centrata nel “Libero”, dietro ad altri due azzurri (primo Dario Betti, secondo Simone Porzi) per un trionfo tutto italiano: “E’ stata una prova di altissimo livello – commenta Luca, al rientro a casa – Betti è campione del mondo nella specialità, è il più forte. Avevo una sola gara a disposizione e l’ho sfruttata al meglio. E’ stata una trasferta molto positiva, per me, perché ho potuto affinare al meglio certe tecniche…” I trionfi continentali di Zanchetta quasi non fanno più notizia. Ha conquistato sinora, complessivamente, nove medaglie, equamente distribuite: tre d’oro, altrettante d’argento e di bronzo. Però questo terzo posto ha un sapore molto particolare per lui. Perché è giunto dopo un’annata, forse, inferiore alle attese. Sembra un paradosso per un atleta di valore assoluto; però, dopo i risultati colti l’anno scorso, al suo primo anno tra gli juniores, tutti pensavano che con un pizzico d’esperienza in più, potesse addirittura dominare la scena. E invece… “invece ci sono anche gli avversari... In questa stagione ho dovuto misurarmi con tanti giovani di alto livello, appena promossi dalla categoria Jeunesse. Ho trovato atleti davvero molto forti. Nel nostro sport il valore di ogni prestazione è relativo. Dipende da quello che riesce a fare la concorrenza…” Luca è un ragazzo semplice e spontaneo. A incontrarlo per le vie di Novara nessuno direbbe di avere a che fare con un pluri- Luca Zanchetta con l'allenatore Enzo Salerno medagliato. Ha scoperto i pattini quasi per caso: “Nel 2002 pratica- vo il nuoto. A causa di un problema agli occhi ho dovuto fermarmi per qualche tempo ed allora ho provato il pattinaggio, trascinato da mia cugina che già gareggiava in questa disciplina. Da quel momento non ho più smesso.” La sua passione per lo sport non ha confini. E’ una sorta di moto perpetuo: “Mi piace fare qualsiasi attività. Credo di cavarmela egregiamente in tutte le discipline. Eccezion fatta che per il calcio: ecco, in quello sono davvero un po’ “negato”, ma conto di migliorarmi anche lì…” Il pattinaggio artistico a rotelle richiede uno sforzo continuo. Bisogna allenarsi costantemente, fare sacrifici, non sgarrare mai in nulla: “Mi alleno per almeno tre ore al giorno. Di solito sulla pista di Pernate, alle porte di Novara. Spesso, però, devo spostarmi a Milano perché le ore che ci vengono concesse non sono sufficienti per mantenersi su livelli di assoluta eccellenza. E poi ci sono i raduni e le trasferte, talvolta all’estero…” Luca però non ha mai trascurato la non ero nessuno ed ha sempre creduto in me. E’ molto bravo ed ora è stato chiamato, giustamen- tende un 2010 decisamente stimolante, nel quale sarà chiamato a fare un passo molto importante: “Approderò alla categoria GLI EXPLOIT DI LUCA senior. Un salto impegnativo, Luca Zanchetta ha centrato i suoi primi allori ai Campionati ma affascinante. Europei di Rence (Slovenia) nel 2005. In quell’occasione, al via La concorrenza nella categoria Cadetti, ha colto l’argento nella Combinata e nel Singolo. Un anno più tardi il bis, a Smoerum (Danimarca) è di alto livello, con un secondo posto nel Singolo, nella categoria Jeunesci mancherebse. All’estate 2006 risale anche il suo primo titolo italiano, be. Ma conto di in coppia con Vittoria Paola Reggiani. La Spagna ha sempre essere già molportato bene all’atleta novarese: agli Europei di Cerdanyola to competitivo. nel 2007 ha trionfato nella Combinata e raccolto un buon Specialmente in terzo posto nel singolo. Un anno fa, agli Europei di FuengiroCombinata”. la, appena dopo il passaggio tra gli Juniores, ha conquistato Per quanti anni altri due titoli continentali: negli Obbligatori e nella Combinata (oltre ad un bronzo nel Singolo). Un exploit che gli è ti vedremo gavalso la prima partecipazione ad un Mondiale. A Kaoshung reggiare ancoIl bronzo mondiale (Cina), nel novembre 2008, si è subito imposto all’attenzione ra? “Non lo so. generale con un secondo posto in Combinata ed un terzo conquistato in Cina nel Di solito un patnegli Obbligatori. 2008 tinatore comincia ad avvertire qualche segno scuola: “Frequento il quinto anno te, a far parte dello staff della di cedimento dai 25 anni in poi. dell’Istituto Tecnico “Fauser”. Sto Nazionale”. Ma dipende molto dagli stimoli per diventare perito informatico. Sei anni ad altissimo livello, tan- e dalle motivazioni. In ogni caso Le gare mi costringono a qualche ti risultati di valore assoluto. Ma ho ancora un bel po’ di anni daassenza di troppo, ma cerco di NOVARA PATTINA SULLE ROTELLE stare al passo. Dopo la Novara, un tempo “capitale cenzi ha conquistato tre medaglie maturità dell’hockey su pista”, vanta ora d’oro: nel Libero, nella Combinata mi piaceinvece un invidiabile “vivaio” di ra- e nella Coppia Danza, assieme ad gazzi dediti al pattinaggio artistico Alessia Marelli. Senza dimenticare rebbe proa rotelle. Gran parte del merito va il bronzo negli Obbligatori. Il “soliseguire frealla “Gioca 2000 Novara” “trapian- to” Luca Zanchetta ha conquistato quentando tata” da Milano a cavallo del nuo- l’argento in combinata. La gestiol’universivo millennio dopo una fusione con ne estiva della storica pista di Viale tà. Il comla locale “Pattinando”. La bacheca Buonarroti consente di poter lavoputer e l’indel club del presidente Renzo Zan- rare con un numero sempre magformatica chetta (padre del campionissimo giore di ragazzi. In città, malgrado Luca) è colma di trofei. Nei recen- spazi angusti, operano nella speciain genere ti campionati italiani che si sono lità anche l’ A.S.D. Accademia e la sono le mie disputati a Roccaraso Marco Vin- Rotellistica. passioni. Cerco, nei limiti del possibile, di non abbandonarle l’emozione mondiale di un anno vanti. E mi piacerebbe rimanere mai anche durante i miei viaggi fa rimane impagabile: “Il secon- in questo ambiente anche dopo all’estero.” do posto in Combinata, nella aver smesso di gareggiare. Il mio C’è un uomo che l’ha accompa- prova iridata, mi ha regalato la sogno è quello di allenare.” I gnato in tutta questa crescita gioia più grande di tutta la mia trionfi non hanno “saziato” Luca inarrestabile, ai vertici della disci- carriera. Ho disputato una gara Zanchetta, l’entusiasmo è quello plina: “Il mio allenatore, Enzo Sa- molto bella, al cospetto dei più di sempre. Ed allora attendiamo lerno. Devo tutto a lui. Ha comin- forti pattinatori in circolazione”. l’anno nuovo per altre, entusiaciato a seguirmi quando ancora La sfida di Luca continua. Lo at- smanti, avventure. 14 personaggi personaggi L’ultima “rosa” del ciclismo piemontese Franco Balmamion, un duro che con grande acume tattico seppe vincere due Giri d’Italia di Franco Bocca L’ultimo Giro d’Italia ha riproposto, sessant’anni dopo la leggendaria impresa di Fausto Coppi nell’edizione del ‘49, la mitica tappa Cuneo - Pinerolo, sia pure su percorso parzialmente diverso rispetto all’originale. E il giorno successivo la carovana rosa si è radunata in Piazza Castello, nel cuore nobile del capoluogo subalpino, per le operazioni di partenza della tappa Torino - Arenzano. Si è trattato di un’autentica festa popolare per gli appassionati di ciclismo torinesi, che già pregustano quello che accadrà nella primavera del 2011, allorché, per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia, gli organizzatori del Giro proporranno la partenza da Torino e poi un tappone finale sulle Alpi di casa nostra. Ma la festa sarebbe stata indubbiamente più bella se ci fosse stato almeno un corridore torinese in mezzo al gruppo. Invece sono lontanissimi i tempi in cui i corridori torinesi non solo partecipavano in gran numero al Giro d’Italia, ma spesso lo vincevano pure. E’ il caso di Giovanni Brunero, Giuseppe Enrici, Francesco Camusso, Giovanni Valetti, più volte a segno negli anni Venti e Trenta del secolo scorso. E sono lontani anche i tempi dell’ultimo torinese in maglia rosa, Franco Balmamion, che si impose nei Giri del ’62 e ’63 senza vincere nean- che una tappa. In attesa che sulla scena del grande ciclismo si affacci Fabio Felline, la più bella promessa del ciclismo nostrano, ripercorriamo dunque, sia pure brevemente, la carriera di questo tenace e valoroso corridore canavesano che, insieme con Italo Zilioli, resta l’ultima stella di un firmamento, quello del ciclismo torinese, che dopo di lui ha cominciato purtroppo a declinare. Franco Balmamion è nato a Nole Canavese l’11 gennaio 1940. Nipote di Ettore Balmamion, detto “il Magninot”, buon corridore professionista che era arrivato quinto al Giro d’Italia del 1931, Franco si affaccia al ciclismo nel 1957, disputando alcune gare tra gli allievi con la maglia del G.S. Martinetto di Ciriè. Arriva spesso con i primi, ma già allora lo sprint non è il suo forte e deve pertanto rimandare all’anno successivo l’appuntamento con la prima vittoria della carriera, che arriva finalmente nel ‘58 in una gara che si conclude al Santuario di Belmonte. Nel ‘59 passa dilettante nel Centro Sportivo Fiat di Torino e, grazie alle sue indubbie doti di passista - scalatore, subito individuate da quell’autentico maestro di ciclismo che risponde al nome di Giuseppe Graglia, non tarda ad inserirsi nel novero dei migliori dilettanti piemontesi, con 4 vittorie stagionali all’attivo, tra cui il classico Trofeo Garda per distacco ad Ivrea. Ma è nel 1960, al secondo anno da dilettante, che Balmamion dà un primo autorevole saggio della sua bravura, vincendo ben 12 corse, tra cui il G.P. Covolo a Torino, il G.P. Artigiani Sediai a Grosso Canavese, la Coppa Valmaira a Dronero, la Rho - Macugnaga, la Torino - Valtournenche e, soprattutto, la finale a tappe della San Pellegrino, conquistata nell’ultima frazione dopo accanita lotta con l’altro piemontese Zancanaro. Sull’onda di tali successi a ripetizione, nel 1961 Franco passa professionista nella Bianchi e non tarda a mettersi in buona evidenza. Anche quell’anno, per celebrare il Centenario dell’unità d’Italia, il Giro prende il via da Torino con una tappa particolare, denominata Trittico Tricolore, che prevedeva tre passaggi in città prima dell’arrivo al Parco Ruffini. Il grande protagonista di quella giornata è proprio lui, l’esordiente Franco Balmamion, che si impone nella classifica del “Trittico” ma che nella volata finale, sotto una violenta grandinata, viene preceduto dal grande velocista spagnolo Miguel Poblet. Poi è sfortunato protagonista della Coppa Bernocchi, prova unica di Campionato Italiano, dove viene raggiunto nel finale dopo oltre 200 chilometri di fuga. Infine arriva terzo nel Giro dell’Emilia. L a Scheda pennate, Balmamion gareggia quasi sempre al coperto, mimetizzandosi in mezzo al gruppo. Ma dopo aver superato indenne il drammatico tappone dolomitico di Passo Rolle coperto di neve, Franco indovina un paio di fughe giuste e nella tappa di Casale, arrivando nel suo Piemonte, conquista la maglia rosa. Un primato che crea qualche problema all’interno della Carpano, che per quel Giro puntava su Defilippis. “In realtà – spiega Balmamion – gli accordi iniziali erano che io avrei Franco Balmamion e Nino Defilippis, due icone del ciclismo piemontese lontano, ho indossato la maFranco Balmamion è nato a Nole l’11 gennaio 1940. glia rosa”. Ciclista professionista dal 1961 al 1972. Defilippis si arrabbiò molto, Nel suo palmares figurano 12 vittorie tra cui: - 2 edizioni del Giro d’Italia (1962 e 1963) minacciando - Milano – Torino (1962) anche il ritiro. - Giro dell’Appennino (1962) In effetti quel- Campionato di Zurigo (1963) la sera il “Cit” - Giro di Toscana (1967) lasciò l’alberFra i piazzamenti di rilievo: go della squa• 2° al Giro d'Italia (1967) dra, a Fons • 2° al Giro di Svizzera (1962, 1963) Salera, andò • 2° al Giro di Romagna (1967) Nel 1962 a cena con la • 3° al Tour de France (1967) Franco futura moglie • 3° alla Milano - Sanremo (1965) • 3° al Giro dell'Emilia (1961) passa in un ristoran• 3° alla Tre Valli Varesine (1962) alla Carte di Robella • 3° al Giro del Veneto (1963) pano e d’Asti e tornò • 3° al Giro dell'Appennino (1964) con la a casa, a To• 3° al Giro del Lazio (1965) maglia rino, in piena • 3° al Giro del Piemonte (1970) b i a n notte. Ma daCuriosità: Balmamion vinse i due Giri d’italia grazie alle sue doti di regolaconera vanti all’uscio rista imponendosi nella classifica finale senza vincere nessuna tappa. Il suo d e l l a di casa trovò capitano, allora, nella Carpano, era Nino Defilippis. squadra il dottor TuraNel 1966 fu lui stesso capitano di una squadra creata apposta per lui da Santorineti, il boss della son, mentre nel 1967 passò alla Molteni con cui vinse il Campionato Nazionale Italiano nel Giro di Toscana. se vince Carpano, che subito la lo convinse a Milano continuare il Torino beffando con un allungo puntato alla classifica e Nino alle Giro con un assegno che non si a sorpresa entrando al Motovelo- tappe, come del resto aveva sem- poteva rifiutare. Continua Baldromo, il compagno d’avventura pre fatto. Ma il secondo giorno mamion: “Nino in realtà non Vittorio Adorni, con il quale era andai in crisi e arrivai a 10’, e al- ce l’aveva con me, ma con l’enlora i piani della vigilia dovettero tourage della squadra che a suo fuggito sulla rampa di Pecetto. Al successivo Giro d’Italia, fedele cambiare. Però poi ho cominciato modo di vedere non aveva rial suo istinto di calcolatore cui a rimontare e appunto arrivando spettato sufficientemente la sua non si addicono le grande im- a Casale, grazie ad una fuga da leadership. Comunque Giacotto, 16 personaggi personaggi il manager della squadra, ha poi saputo gestire bene la situazione, anche se forse alla Carpano una vittoria di Defilippis avrebbe fatto più comodo. Con Nino, comunque, l’amicizia è rimasta”. Poche settimane dopo la vittoria nel Giro arriva secondo nel Giro della Svizzera e a fine stagione vince anche il Giro Balmamion in alcune immagini d’epoca dell’Appennino, sigillo di qualità per la stagione della sua consacrazione. ai mondiali dello stesso anno in - ricorda Franco - l’Italia andò al L’anno successivo la musica si ri- Spagna, quarto al Giro della Sviz- Tour con due squadre nazionali, una capitanata da Gimondi e una pete. Una vittoria importante ai zera del ‘66. primi di maggio nel Campiona- Ma nel 1967 la stella di Balma- da me. Se avessimo unito le forze il mio piazzamento sato di Zurigo, e poi riecco rebbe forse stato migliore; il Giro. Taccone e Adorni invece ci correvamo contro reclamano i grandi titoli e così ho dovuto accontensui giornali, ma “il cinese” tarmi di salire sul podio”. tira diritto per la sua straA fine luglio, tornato rodada, ricalca il cliché di doditissimo dalla corsa a tappe ci mesi prima e, grazie alla francese, vince per distacsua straordinaria regolarico il Giro di Toscana, prova tà, si ripresenta in maglia unica di campionato italiarosa al Vigorelli. Nessuno, no. E’ la sua ultima grande questa volta, può parlare vittoria. Poi, ancora tanti di vittoria a sorpresa. “Prepiazzamenti e qualche sucsi la maglia rosa sulle Alpi cesso minore fino al 1972, – ricorda Franco - ma poi anno in cui Franco Balmadovetti cederla a Ronchini mion chiude, a 32 anni, dopo la crono di Treviso, il una carriera gloriosa che, giorno della morte di Papa sotto l’aspetto qualitativo, Giovanni. La riconquistai non ha più avuto eguali in definitivamente nel tappoPiemonte. ne dolomitico di Moena, a Dopo aver attaccato la bidue giornate dal termine. cicletta al chiodo, “Balma” Nessuna polemica, quella Balmamion ha intrapreso una fortunavolta”. con la giovane promessa Dodaro ta attività di noleggiatore Poi, la fortuna sembra voldi giochi elettronici, che lo targli le spalle: va al Tour, impegna tuttora, ma non ma cade alla terza tappa si è mai allontanato dal ed è costretto al ritiro. E anche nelle stagioni successive mion torna a brillare. Arriva se- mondo delle corse. Fin dalla sua deve accontentarsi di qualche condo dietro a Gimondi nel Giro costituzione, avvenuta nel 1990, onorevole piazzamento: secon- d’Italia, scavalcando nell’ultima è uno degli esponenti di spicco Piemontese do al Giro della Svizzera del ‘64, tappa il grande Jacques Anquetil. dell’Associazione terzo alla Milano - Sanremo e Poi va al Tour e coglie un lusin- Corridori Ciclisti, di cui ricopre la al Giro del Lazio del ‘65, ottavo ghiero terzo posto. “Quell’anno carica di Vice Presidente. il presidente il presidente 17 Tutti pazzi per il baseball Eugenio De Bon è da tre mandati alla guida della federazione regionale della disciplina che ha infiammato Torino e Novara con i Mondiali di Barbara Masi Il Mondiale di baseball ospitato a Torino e Novara ha riscontrato un inaspettato interesse di pubblico verso una disciplina considerata da sempre d’importazione e forse poco consona alle corde nazionali. L’impianto torinese di via Passo Buole, ristrutturato appositamente per l’occasione, ha registrato il tutto esaurito non solo nei giorni che vedevano l’Italia impegnata sul campo, in particolare contro gli Stati Uniti, protagonisti indiscussi di questa disciplina: i bagarini si sono ritrovati a vendere gli ultimi biglietti anche per partite sidente Giovanni Bruno, padre venni prima segretario della soMario erede della cietà, nei primi anni ’60, in quelcome Canada – Messico, a dimo- di lo che fu anche il periodo strazione del fatto che Torino, d’oro della squadra e del ormai, “ai grandi eventi si è baseball piemontese: in abituata: se lo spettacolo è quegli anni fummo tre buono, la gente risponde e volte vicecampioni d’Itaaccorre”, afferma Eugenio lia a livello giovanile. NeDe Bon, presidente della Fegli anni ’70 decisi di fare derazione Baseball e Softball un corso da arbitro, attipiemontese. De Bon è al tervità che ho poi svolto per zo mandato consecutivo alla 27 anni fino all’elezione, guida del Comitato. Praticanel 2002, alla presidenza mente più di cinquant’anni del Comitato Regionale di vita dedicati alla disciplina, federale, riconfermata prima da praticante e poi da per tre volte praticamendirigente. L’approccio con il te all’unanimità”. baseball risale al ’56: “Avevo Il baseball e il softball in sedici anni quando cominciai Piemonte sono discipline a giocare nei campetti di forquasi di nicchia, se si sta tuna per lo più situati dietro ai numeri: trenta sociealle discariche, a Sassi – ractà in tutto che entro la conta De Bon -, poi in piazza D’Armi quando c’erano i Il presidente nazionale della FIBS fine dell’anno saliranno a 33 con la nascita di una reticolati, e ancora al Ruffini, Riccardo Fraccari con Eugenio De Bon in occasione del Campionato Europeo di softball Under 22 nel 2008 nuova associazione ad al Motovelodromo… finché a Alba, a S. Antonino di 18 anni, dopo il servizio militare, si creò una sezione giovani- presidenza dell’odierna Juve ’98. Susa (che ha già una squadra che le nell’allora Juve ’48 con il pre- Smessa l’attività di praticante di- milita in C1) e a Verbania. Alcune 18 il presidente il presidente di queste sono solo al maschile, nel senso che praticano solo il baseball, altre comprendono anche il softball. Ed è proprio il softball che ha recentemente portato alla ribalta nazionale il Piemonte, grazie alla promozione in A1 de La Loggia Madige, attuale orgoglio regionale dell’intero movimento. Nel baseball c’è la storica Juve ’98, che proprio in questi te alle difficoltà economiche così diffuse di questi tempi molte società hanno dovuto accorparsi, come i Grizzlies Torino che hanno dato i loro giovani alla Juve ’98, o come le molte società della Val Susa, appunto, che da otto si sono ridotte a quattro, dopo aver contato forse il maggior numero di praticanti e aver dato molti giocatori alla Juve de- spogliatoi adeguati per arbitri e per giocatori, assicurazioni… E così le società sono state costrette a incorporarsi.” In tutta la regione ci sono circa una quindicina di impianti omologati, più altri campi di fortuna, capeggiati da quello torinese di via Passo Buole, costruito una ventina di anni fa e ristrutturato quando, cinque anni, si incrinò la La rappresentativa giovanile piemontese al Torneo di Matino, in Puglia Il presidente dell’Avigliana Bees Francesco Rosa Colombo e l’arbitro Sergio Danieli giorni disputa il play off per l’A2. E poi l’Avigliana Bees in Serie B e Vercelli che tenta i play out per restarvi. Senza parlare dell’Avigliana Baseball, che fino a due o tre anni fa militava in A1, e dopo essere scesa in A2 ha fatto la franchigia con Novara per unire forze e risorse. Insomma, un movimento molto ben distribuito su tutto il territorio, con la Val di Susa che sembra essere curiosamene forse un po’ il cuore pulsante della disciplina in provincia. Certo, per far fron- gli anni migliori: “I motivi sono i soliti – spiega De Bon –: fondamentalmente la mancanza di risorse. Gli anni d’oro del baseball in Piemonte risalgono al ‘70/ ‘80, quando la Juve ’98 in A1 arrivava addirittura a battere il prestigioso Nettuno con l’innesto di un paio di stranieri. Allora c’era un proliferare di società, che in Piemonte arrivarono ad essere cinquantotto. Poi i tempi sono cambiati: il restringimento è stato dovuto alla regolarizzazione che significava campi omologati, richiesta di garanzie fideiussorie, copertura di cemento durante gli allenamenti dei Grizzlies alla vigilia del Campionato: venne deciso di tirarla giù e di sostituirla con una in legno lamellare, facendolo diventare una vera e propria chicca a livello nazionale. Il reclutamento di nuove leve avviene, come per la maggior parte delle discipline sportive, nelle scuole: “Mandiamo tecnici qualificati nelle scuole di gran parte del Piemonte grazie alla supervisione di Antonio Grimaldi, con anche un responsabile specifico per il softball, Gianni Gabri, dove c’è qualche problema in più di reclutamento. Tant’è che vengono organizzati appositamente dei campionati promiscui a livello giovanile. Quest’anno il Piemonte ha sfiorato la vittoria nel Trofeo della Regioni – continua il presidente – che dà l’accesso all’ambita Little League, un torneo internazionale fondato innanzitutto su un preciso codice etico – sportivo che dà la possibilità ai vincitori di andare a disputare le finali negli Stati Uniti davanti a 38.000 spettatori. Un’esperienza incredibile.” Il baseball, diffusissimo in tutto il mondo, dall’Argentina alla Cina, in Piemonte conta 1900 tesserati, di cui circa 350 femmine e 1600 agonisti, con un’attività agonistica federale di circa 500 partite l’anno. La pratica non ha costi esorbitanti: per l’attrezzatura (guanto, mazza, divisa, una buona palla) si spendono circa 100 euro, mentre un corso di 6 mesi si aggira intorno ai 150 euro. Ora, per l’imminente futuro, il baseball piemontese condotto da De Bon guarda anche al mondo dello sport dei diversamente abili: in collaborazione con Tiziana Nasi, presidente del CIP, è in programma una gara dimostrativa dedicata ai non vedenti, con campo, attrezzature e regole ad hoc su cui il presidente si sta attivando in prima persona. Con la stessa passione di volontario che lo ha contraddistinto nella sua lunga carriera da dirigente. Il Mondiale a Torino e Novara: il baseball conquista il Piemonte Finalmente si potrà dire che anche la storia del baseball, quella con la s maiuscola, è passata di qua. Perché il grande baseball mondiale, con i suoi campioni, in Piemonte non si era praticamente mai visto. A memoria si ricorda a Torino l’impressionante scontro tra Stati Uniti e Cuba alle Universiadi del ’70, il Mondiale dell’88 e del ’98 ma in formato ridotto, e più recentemente i Campionati Europei Under 22 di softball. Ma mai un evento della portata di questo Mondiale per il quale il Piemonte ha messo a disposizione due Il presidente del COL torinese Mario Bruno, il capitano della nazionale statunitense Rodriguez e il presidente del CONI piemontese Gianfranco Porqueddu, nella foto sotto al lancio inaugurale della prima palla città sul territorio, Torino e Novara. La verità è che pare che il baseball abbia deciso di “colonizzare” il Vecchio Continente, possibile bacino d’utenza e di nuovi talenti. Tant’è che sono ben sette gli atleti azzurri sotto contratto nelle varie leghe professionistiche statunitensi. “Si dice che gli americani abbiano addirittura intenzione di investire in modo massiccio in Italia – afferma Mario Bruno, presidente del Comitato Organizzatore del Mondiale a Torino – sostenendo le squadre dell’Italian Baseball League e mettendo a disposizione denaro e atleti di talento.” Insomma, l’Europa è al centro delle attenzioni del baseball, con l’organizzazione di un Mondiale a cui hanno preso parte ventidue formazioni, con cinque tor- nei eliminatori in Slovacchia, Svezia, Germania, Spagna e Croazia, con le sedici migliori suddivise in due poules a otto in Olanda e Italia, dove sono state coinvolte ben sedici città, fino alla finalissima a otto per il titolo iridato a Nettuno, alle porte di Roma. L’Italia ha così messo a disposizione ben sedici impianti, due di questi piemontesi, Torino e Novara per l’appunto, che hanno accolto tre incontri ciascuno. Molte le sinergie politiche e sportive che hanno collaborato al fine di ospitare con la massima dignità l’evento anche sotto il profilo impiantistico: “Il campo di Torino in via Passo Buole, in modo particolare, è stato quasi “rigenerato” al punto da proporsi, oggi, come il più bello d’Italia – continua Bruno -: sono state apportate molte migliorie strutturali. Non resta che sperare che l’impianto possa diventare utile anche al baseball cittadino, in particolare alla squadra torinese che si sta battendo per salire in A2.” E il Piemonte ha risposto molto bene al richiamo, con il tutto esaurito in tutti i match in programma: “Il 90% degli spettatori era costituito da appassionati e praticanti, il 10% da curiosi accorsi all’ultimo minuto ad acquistare il biglietto magari dai bagarini – afferma De Bon -: tradotto in numeri, a Torino si è contato oltre un migliaio di spettatori, e l’esaurito è stato registrato anche a Novara.” 20 atletica leggera La fatina delle montagne La cuneese Elisa Desco ha conquistato l’oro mondiale di corsa in montagna a Campodolcino: ecco la storia della sua ascesa di Myriam Scamangas Elisa è abituata alle vette. Da Paesana dove è cresciuta, a Bormio dove vive oggi, la montagna ce l’ha nel sangue. Eppure questa volta non pensava di salire così in alto. L’infortunio patito in Portogallo durante la preparazione invernale l’aveva costretta a saltare gran parte della stagione; era tornata alle gare a fine luglio per i Campionati Italiani di corsa in montagna, dove era riuscita a mettersi al collo la medaglia di bronzo. Così ai Campionati Mondiali di Campodolcino si presenta sulla linea di partenza con l’obiettivo di un piazzamento tra le prime dieci. Le avversarie partono subito forte, vanno via, ma Elisa non si preoccupa. Lei ha sempre gestito le sue gare in progressione, puntando sul finale. Concentrata, con l’aiuto dell’esperienza, nel secondo giro inizia il recupero sulla testa della corsa; passano i minuti di gara e le altre calano, mentre lei rimonta fino ad agganciare la prima, l’altra azzurra Valentina Belotti, e a superarla poche cen- tinaia di metri prima della linea d’arrivo. E così nel giro di qualche minuto Elisa Desco è avvolta nel tricolore sul gradino più alto del podio mondiale, mentre l’Inno di Mameli risuona per lei in Val Chiavenna. L’atletica è entrata di soppiatto nella vita di Elisa. “Mio padre e mio fratello hanno sempre corso; li vedevo uscire la domenica e proprio non capivo che gusto ci provassero a fare fatica. Poi un giorno mi sono fatta trovare anch’io sulla porta di casa con maglietta e pantaloncini e così ho iniziato.” Un rapporto con la corsa nato per curiosità, diventato divertimento, messo in pratica nelle prime gare e infine trasformatosi nella vita di Elisa, che da due anni ci si dedica anima e corpo. Su strada, in montagna e nei cross (rigorosamente in ordine di preferenza) la sua vita scorre come una bella avventura in cui si distingue per la grande grinta. “Credo mi venga dal mio fidanzato Marco De Gasperi (tre volte iridato di corsa in montagna). Mi sostiene sempre e mi dà una grande tranquillità”. Massimo Magnani, il suo tecnico da due anni, non ha dubbi: “Elisa ha una determinazione notevole e qualità morali molto forti. Dopo l’infortunio di quest’inverno è stata lasciata da sola, ma lei è andata avanti, non ha mollato, grazie anche al sostegno di Marco. La sua vittoria a Campodolcino è stata davvero sorprendente perché ha potuto fare solo una parte della preparazione. È però la testimonianza del grande lavoro dello scorso anno che l’aveva vista vincere Campionati Europei e Campionati Italiani di corsa in montagna e guadagnare il terzo posto nella Coppa del Mondo. Ma anche ottenere buone prestazioni nella corsa su strada con i suoi nuovi primati su maratona (2h36:54) e mezza maratona (1h12:43). “Sulla maratona già allora era in grado di scendere sotto il 2h36’ – continua Magnani - ma a Venezia ha avuto un problema mentre a Torino, dove ha fatto il personale, 24 ore L a Scheda Nel 2008 la Desco ha conquistato il titolo italiano, europeo e il terzo posto in Coppa del Mondo prima della partenza ha subito un attacco di labirintite. Il fatto che poi abbia corso, pur stando male negli ultimi chilometri, dimostra la grinta di questa ragazza che ha un potenziale davvero notevole.” Tra poco inizierà l’autunno e sarà Data di nascita: 30/05/1982 Città di nascita: Savigliano (Cn) Residenza: Paesana (Cn) e da un anno e mezzo a Bormio Società: Atl. Valle Brembana Allenatore: Massimo Magnani Maglie azzurre: 8 Palmares individuale: Campionessa Mondiale 2009 - Campionessa italiana 2008 - Campionessa Europea 2008 - 3° classificata nella Coppa del Mondo 2008 - Campionessa italiana a staffetta 2006-2007-2008 Soprannome: la Fatina Studi: Diploma di Tecnico dei Servizi Sociali Passioni: i bambini (“mi diverto a giocare con le nipotine di Marco”, il fidanzato), la musica (Vasco Rossi e Biagio Antonacci), stare con gli amici. Obiettivo: “Sto imparando a cucinare, altrimenti povero Marco!” Correre è: “E’ ascoltare le sensazioni e i rumori attorno a te. Non corro mai con le cuffie, preferisco il silenzio e concentrarmi sul mondo intorno a me. Quando poi corri in montagna ti capita di vedere paesaggi impagabili, di incontrare qua e là un cervo, un camoscio, uno stambecco o un cerbiatto … sono sensazioni impagabili”. vare in forma alle maratone della primavera. “Se farà un buon tempo potrebbe essere nella rosa delle sei che la Federazione terrà sott’occhio in vista dei Campionati Europei di Barcellona”. Dal punto di vista tecnico attenzione Elisa sul podio mondiale di Campodolcino la volta della stagione dei cross. L’obiettivo possono essere i Campionati Europei di Dublino di dicembre, ma è ben chiaro dalle parole di allenatore e atleta che in realtà si guarda oltre. Puntare a fare bene l’inverno per poi arri- a tutte le discipline: “La corsa in montagna le piace, ha ottimi risultati quindi non c’è nessun motivo per abbandonarla. Il cross è utile anche per la preparazione invernale, la strada è il grosso obiettivo. Ma al giorno d’oggi tutti i corridori devono fare anche della pista: è complementare alla strada e aiuta la tecnica”. E intanto la corsa di Elisa continua; ora l’ha portata a vivere a Bormio. “Era destino” – dice lei. “Qui ho fatto il mio primo campionato italiano da cadetta nel 1996 e poi è successo che mi sono innamorata di un ragazzo di qui! Non ho avuto problemi ad ambientarmi, è un bel paese e si sta bene. Mi alleno qui con Marco e con un gruppetto di ragazzi più giovani. Siamo un gruppo di lavoro molto unito anche con i ragazzi di Bergamo con cui ogni tanto lavoro”. Tra loro anche l’azzurro Migidio Bourifa. Quasi tutti uomini ma la cosa non la preoccupa, come testimonia il suo allenatore: “E’ fisiologico per una donna, quando va forte, allenarsi con i colleghi uomini; aiuta a trovare ulteriori stimoli”. La “fatina”, come è soprannominata Elisa, ha ancora parecchie soddisfazioni da togliersi e vede traguardi alla sua portata. C’è da scommettere che non ci sarà da aspettare molto per vedere dove la condurrà la sua corsa. È certo però che sarà sempre più in alto, con la montagna nel cuore. 22 talenti talenti L’Olimpiade può attendere Ciro Russo è la nuova promessa azzurra della lotta greco – romana, a cui il Cus Torino ha ridato vita e speranza di Elis Calegari Le strade dello sport sono infinite. E mica tutte finiscono nel calcio. Quella di Ciro Russo, ad esempio, è confluita nella lotta greco - romana. Chi sia Ciro Russo è presto detto: un ragazzone della nostra terra di quasi diciott’anni, dalla voce ferma e netta che, altrettanto velocemente, ti spiega perché abbia subìto la fascinazione di uno degli sport più antichi, più nobili e duri. “Beh, confesso che anch’io, da piccolino, ci ho provato col calcio. Ma non era proprio il pane mio. A dirla tutta, ero proprio scarso. Se la mia squadra vinceva, non era certo per merito mio. Sì, giocavo con la palla perché lo facevano i miei amici, ma io e quella roba rotonda non siamo mica mai andati troppo d’accordo.” Un certo giorno però ci fu la svolta. “Intanto, si vede che mio padre un po’ di persuasione occulta l’aveva fatta. Papà non ne parlava diffusamente dei suoi trascorsi da lottatore, ma quando mi diceva d’essere stato secondo in Italia nella sua categoria e raccontava qualche aneddoto legato a qualcuno dei suoi incontri di lotta greco - romana, rimanevo incantato ad ascoltarlo. Così, quando arrivai in quel camp estivo e scoprii che c’era anche la possibilità di provare a lottare come i greci e i romani antichi, mi sono subito fatto prendere dalla voglia di provare.” Il fatto poi che a proporre il corso ai ragazzi ci fosse uno che di cognome faceva Saglietti, ha fatto camp estivo di dieci anni fa, il il resto. A Torino dici lotta greco - romana feeling tra Ciro e Massimiliamo ed è come dire Alessandro e Mas- Saglietti fu immediato, tanto da similiano Saglietti, due fratelli e non interrompersi più e contidue campioni che contro tutto e nuare tutt’oggi. contro tutti hanno portato avanti “E’ il mio allenatore anche adescon gioia e caparbietà un proget- so e negli anni è stato formidabile nel farmi sentire sempre to di vita sportiva affatto facile. Non ci fosse stata l’opera bene- bene e nello stimolarmi. Ricordo merita loro e poi del CUS Torino, la sensazione che provai appena questa quasi negletta specialità cominciai a cercare di districarmi di lotta sarebbe scomparsa dal sul tappeto: durissimo ma d'una panorama sportivo della capi- bellezza speciale! Scoprii subito tale subalpina. Dopo il ridimen- l’inverso di quanto mi capitava sionamento dell’ex Gruppo Fiat, col calcio: lì fui subito il più fordi quello che un dì era stato un te; erano gli altri ora che guarimponente e variegatissimo sodalizio sportivo, tutte le cosiddette “specialità minori” - quasi sempre le uniche che portano poi all’Italia medaglie olimpiche sembravano destinate a qualcosa in più della sofferenza e dell'agonia. Russo in azione Invece… (a sinistra col costume blu) Invece il Centro Universitario Sportivo ha ridato speranze davano ammirati quanto sapevo e vita, e così i Saglietti hanno po- fare…” tuto continuare il loro percorso Niente più panchina e niente più di vita accanto e dentro la lotta imbarazzi interiori per quel bimgreco - romana: sempre tra i pri- bo che ha sempre avuto leve lunmi in Italia e atleti e tecnici di az- ghe. “Finalmente scoprivo un mondo zurro vestiti. Tornando al primo giorno di quel in cui era un vantaggio il mio es- sere sempre più alto degli altri miei coetanei; in più un mondo in cui mi ci trovavo a meraviglia: lì sì che era meno difficile coordinare le azioni e le catene cinetiche.” Da quel momento Ciro e la lotta sono diventati un cosa sola, con un’escalation di crescita e risultati, sfociati nel riconoscimento CONI che ha premiato lui e con lui il talento. “Sono davvero lusingato delle attenzioni che il Comitato Olimpico mi ha riservato assegnandomi questo premio: ora ho una responsabilità in più e devo cercare di crescere bene.” Oddio, 1 metro e 82 per 74 chili alla sua età e per la sua specialità son cifre ragguardevoli, ma Russo, ovviamente, quando te lo più grandi combattendo nei campionati di società e devo dire, visti i risultati, che sono sempre più convinto che questa sia la mia strada e l'unico futuro che desidero. Spero, appena diventato maggiorenne, di poter entrare a far parte d’un gruppo sportivo militare, o statale che sia, per poter continuare la mia attività senza enormi sacrifici.” Speranza legittima, perché se la vita del lottatore è dura già di suo, a complicare il tutto ci si mette di traverso la faccenda dei “soldi niuno”, dei soldi zero che quest’attività, pur d’alto livello, ti consegna. Fossimo in Germania, come raccontano i Saglietti, sarebbe tutta un’altra storia, ma qui da noi c’è davvero poca trip- dei tecnici, un amico grande e un grande amico. La faccenda delle orecchie? Per fortuna da noi non è come nell’Est, dove è praticamente un’arte quella di modificare e mortificare irreparabilmente la cartilagine dei padiglioni auricolari di noi lottatori. No no, io le mie orecchie le ho belle in ordine e così resteranno. Ho braccia lunghe e le sfrutto per tenere a bada i miei avversari.” Ciro è reduce da uno stage con la nostra nazionale dove ancora una volta “ha assaggiato” il mondo dei grandi. “Ho grande consapevolezza di quanta strada mi attende ancora. La fase “a terra” del combattimento non è propriamente il mio Ciro Russo, a sinistra sul podio dei Campionati Italiani Juniores 2009, è tesserato per il Cus Torino ed è allenato dall'ex nazionale Massimiliano Saglietti dice pensa ad altro. “Intanto vorrei che il rapporto con il mio allenatore continuasse in sempiterno, centrando con lui il traguardo olimpico. A Londra 2012 avrò ventun anni e mi piacerebbe esserci, ma se non sarà per quelle Olimpiadi sarà per i Giochi successivi. Voglio assolutamente arrivarci: è il mio sogno ed è lì che voglio arrivare a giocarmi le mie possibilità.” Per farlo Ciro si sta attrezzando, con idee chiare e precise. “Adesso sono ancora junior, ma ho già avuto l'opportunità di confrontarmi con il mondo dei pa per i gatti e ad accompagnare l'incedere non c’è che una roba molto simile a sangue, sudore e lacrime per provare a salire sempre più in alto. “Sono nazionale e campione italiano junior, ma so d’essere solo all’inizio della scalata più ardua. Sono disposto a impegnarmi ancora di più del massimo per ottenere ciò che voglio. Non patisco d’essere sempre lontano di casa, di aver quasi abbandonato gli amici d’infanzia. Per fortuna ho un rapporto fantastico col mio allenatore, tanto da avere in lui, in una persona sola, il migliore forte e so quanto lavoro dovrò sobbarcarmi. Ma non mi pesa. Del resto, ho capito fin dal primo momento che questo sarebbe stato uno sport durissimo, ma quando ho vinto il mio primo titolo nazionale mi sono reso conto che valeva la pena spendersi totalmente per una cosa così. E' stato talmente bello vivere un momento dal genere, da sperare di viverne altri mille. Non vedo l'ora di cominciare a frequentare le gare senior: da qualche parte c'è un’Olimpiade che mi aspetta e non voglio farmi trovare impreparato all'appuntamento.” 24 tennis tennis Buon compleanno, presidente Barbareschi Il numero 1 del tennis piemontese traccia un bilancio dopo la sua prima stagione al vertice di Roberto Bertellino Aldo Barbareschi premia il giovane Matteo Marangoni, vincitore della tappa del Nike Junior Tour di Mondovì Aldo Barbareschi parla con toni pacati ma sa analizzare lucidamente il felice momento del tennis regionale. Da misurato uomo di sport e d’impresa (opera nel settore meccanico) sa bene che è dalla base che arrivano i frutti e conosce altrettanto bene i segreti per costruire: “Lavorare in team con la giusta armonia. Mi sembra – afferma con soddisfazione – che il nostro Comitato sia sulla strada giusta”. Barbareschi sta per spegnere la sua prima candelina nella veste di attuale presidente della regione. Prima di tracciare un bilancio di questa parte iniziale del percorso andiamo indietro nel tempo scoprendolo quando appena quindicenne iniziava a cimentarsi con la racchetta: “I miei esordi con il tennis avvennero all’oratorio, attorno ai 15 – 16 anni e da assoluto autodidatta. Poi conobbi Luciano Carignano, il cui padre gestiva l’allora Centro Sportivo Fiat. Intensificai le ore di gioco e feci progressi. Arrivò quindi il periodo del servizio militare, terminato il quale mi cimentai nei primi tornei. Intanto mi stavo sempre più inserendo nel mondo del lavoro, prima come dipendente, poi come rappresentante, infine con la discesa in campo da piccolo imprenditore. Dividevo il mio tennis di allora con gli altri impegni – ricorda Barbareschi – ma i tornei si erano infittiti e così le mie presenze. Raggiunsi la massima graduatoria di primo gruppo in 3^ categoria, il C1 delle classifiche che hanno preceduto le attuali”. Nel passato del presidente c’è anche un altro sport praticato a ottimi livelli, l’atletica leggera: “E’ stato il mio primo sport – conferma – che mi ha visto protagonista nel mezzofondo, 5000 e 10.000 metri a livello nazionale”. - Similitudini tra le due discipline? “Non molte. Nel tennis, a qualsiasi livello, la componente ludica è sempre presente, anche quando ti alleni o decidi di sfidare un amico. Nell’atletica spesso dovevi e devi sottoporti a dure sedute di preparazione nell’ottica del raggiungimento dell’obiettivo, il risultato. Con la racchetta in mano anche i primi giocatori del mondo hanno la possibilità di divertirsi”. La passione per il tennis è sempre più cresciuta in Aldo Barbareschi: “E’ una sorta di alimento – sorride – di cui hai quasi un bisogno fisico. L’ho provata in tutte le sue sfaccettature e nei vari stadi di crescita. Da ragazzo, da giovane agonista, da veterano. Ancora oggi, risolti in parte i problemi al ginocchio, gioco con sufficiente regolarità e conto nell’inverno di riprovare le sensazioni dei tornei”. - Com’è il “suo” tennis? “E’ uno sport eminentemente individuale con molte variabili forti. Il campo, l’avversario, la pallina, il rimbalzo ecc… Ogni persona che si avvicina al nostro sport esterna sul terreno di gioco la propria personalità e il proprio carattere. Quando regna l’equilibrio e l’esito del match è appeso a un filo, ogni giocatore manifesta in toto se stesso. E’ in questo senso uno sport di vita per eccellenza. Se sei un “nervoso” aumenti in quei momenti le tue ansie, se sei tranquillo ottimizzi l’attimo. E’ affascinante anche per questo”. - Lei ha avuto anche una breve parentesi come insegnante… “Un vero e proprio flash – prosegue – agli albori del Tennis Club Monviso, per supportare l’allora maestro. Correva l’anno 1968”. - Torniamo a oggi. Un primo anno di massima dirigenza del tennis piemontese che Barbareschi considera come? “Positivo. Lo testimonia l’incremento ulteriore dei tesserati malgrado in tutti i settori si risenta della tanto chiacchierata crisi. Anche le organizzazioni sul nostro territorio e nei nostri circoli hanno mantenuto un livello di assoluta eccellenza. Per questo ringrazio pubblicamente la Regione Piemonte per l’apporto senza il quale non sarebbe possibile assistere a eventi tennistici come quelli presentati nel 2009 e permettere la crescita costante dei giovani talenti. Tutto il movimento risente in modo positivo di tali realtà e se ne foraggia. In primis, dunque, un grazie all’assessore Giuliana Manica e al dirigente della sezione sport Franco Ferraresi. Anche la presenza della presidente Mercedes Bresso alla premiazione del 100.000 femminile del CT Biella, lo scorso settembre, ha ribadito quanto la Regione sia vicina al tennis e quanto lo consideri importante per il trasferimento d’immagine del territorio che da esso ne deriva. Ho visto molto pubblico assistere ai grandi eventi dell’anno, facenti parte del Tennis Series ‘09, tribune gremite al Circolo della Stampa – Sporting a Torino, al Country Cuneo, al CT Biella, la stampa e gli addetti ai lavori seguire gli appuntamenti con grande attenzione. La sensibilità attorno al nostro sport sta aumentando e tornando pian piano a buoni livelli. Bisogna lavorare ancora in questo senso per ottenere ulteriori spazi e sempre maggiore visibilità”. Sono recenti le ultime imprese dei giovani piemontesi che nei campionati italiani individuali hanno centrato titoli e piazzamenti di prestigio, così nelle rassegne di doppio. Si chiamano Rosatello, Eremin, Donati, Napolitano, Marangoni, Pairone, Avalis, Ceccarello, Bagarello, i più giovani Moja, Petrocelli, Fonio, Castelli, Turco, Reitano, Ocleppo, Gardella, Procacci, Di Chio, Tallarico, Gariglio, ed ancora i piccoli, vedi Micca e Masoero. E la lista potrebbe ancora proseguire a oltranza riportandoci alle performance dei piemontesi nelle varie tappe nazionali dei circuiti “Topolino” e “Nike Junior Tour”. - Cosa vuol dire? “Che il grande impegno nei con- EREMIN E ROSATELLO, TRICOLORI UNDER 16 e UNDER 14 Edoardo Eremin è nato a Cassine (Al) nel 1993, e frequenta il terzo anno all’Istituto Superiore. Cresciuto sotto le cure del padre Igor, maestro di tennis allo Sporting Fossano ed ex campione russo nella categoria maggiore (1984), è tesserato da questa stagione per il TC Genova, dove gioca l’under 16 a squadre e la serie B. Per molti anni ha difeso i colori del TC Mombarone di Acqui Terme dove era allenato dal maestro Perrone. Fisico possente (1,86 mt x 82 Kg) ha nel servizio e nel rovescio bimane i suoi colpi migliori. In stagione ha svolto attività internazionale ITF centrando la finale under 18 in Tunisia e una semifinale in Estonia. Si esprime meglio sul veloce. La sua prima palla di servizio supera la velocità di 200 km/h. Si è laureato al CT Albinea campione italiano under 16 perdendo un solo set (in finale) in tutto il torneo. Da metà ottobre si allena al Centro Tecnico di Tirrenia con Renzo Furlan. Il suo giocatore preferito è Roger Federer. Camilla Rosatello è nata il 28/05/1995. Destrorsa, rovescio bimane, coltiva un “piccolo” sogno nel cassetto: vincere Wimbledon. Pressa da fondo campo e ha nel diritto il colpo migliore. Ama la superficie veloce (green set). E’ alta 175 cm x 53 kg. Vive a Lagnasco con papà Claudio e mamma Gabriella e si allena presso la Manta Tennis School con il maestro Denis Fino e il suo team. Veste i colori del TC Caraglio. Si è laureata campionessa italiana under 14 a livello individuale al CT Averno superando in finale la lombarda Brescia (6-4 6-1). E’ stata finalista anche in doppio. E’ stata convocata in nazionale under 14 per la Winter Cup e la Summer Cup ed ha preso parte ai Campionati Europei under 14. In passato ha raggiunto la semifinale nella Coppa Lambertenghi (tricolori under 12). Attualmente 3.5 ha già i punti per salire tra le 2.8. La sua giocatrice preferita è Serena Williams. 26 tennis tennis staff del Comitato, con- “Si tratta della perfetta conclusiglieri, delegati e colla- sione di una stagione di altissimo boratori. Non nascondo livello. A dimostrazione delle otl’orgoglio per i risultati time sinergie tra tennis di base, della base e quelli del di gran livello, e di vertice, avrevertice. Merito dei ma- mo alcuni dei migliori giovani estri, dei circoli, di chi d’Italia intenti a misurarsi per la gestisce le scuole SAT e conquista del tricolore a squadell’adesione al proget- dre, simbolo di compattezza e to PIA a dimostrazione d’unione, e le migliori squadre della giusta interpretazione del messaggio che arriva dalla FIT centrale, di collaborazione tra i Le torinesi Federica Joe Gardella e Annamaria Procacci vari centri (insieme all’allenatore Fabio Pulega, Circolo della e perseguiStampa – Sporting) si sono qualificate fra le prime mento di otto giocatrici italiane Under 12 a livello individuaobiettivi cole e a squadre, oltre ad avere conquistato il titolo regionale muni”. - Lei è dirigente nel fronti della base sta continuando tennis da circa diea dare i risultati sperati. E’ ormai ci anni, prima come da diversi anni che il nostro movi- consigliere, quindi mento esprime queste punte, in- quale vicepresidente dividuali e a squadre, ed il merito e ora nella veste di deve essere dato a tutti i tecnici presidente. Esiste un che stanno crescendo questi ra- sogno nel cassetto gazzi. La dislocazione nei circoli proiettato nel domaè capillare, per dimensione delle ni?: “Non è pura baLa Gardella realtà interessate e copertura ge- nalità. Da appassiosi è aggiudicata anche i Master Nazionali del Trofeo ografica. Significa che l’imposta- nato e parte in causa Topolino e del circuito TTK zione globale è comune e vincen- del sistema tennis te. Un grazie pertanto ai tecnici sarebbe veramente regionali e di circolo di tutti que- la concretizzazione di un sogno della massima serie a caccia degli sti promettenti allievi”. vedere un giocatore cresciuto in scudetti, pronte a garantire come - L’obiettivo? Piemonte, al maschile o al fem- già successo nelle ultime due sta“Continuare a seguire in questo minile, affermarsi in campo in- gioni grosso spettacolo nei nomodo il settore giovanile cer- ternazionale. Tradotto, avere un stri palcoscenici. Ideale quello di cando le risorse per poterlo ul- campione nostrano in grado di Bra, che nel 2008 ha dimostrato teriormente potenziare. Inoltre trainare l’intero movimento na- all’Italia intera di possedere una migliorare ancora il rapporto tra zionale”. struttura atta ad ospitare questo il centro e la periferia, ovvero i - Intanto, all’orizzonte, si profila- genere di competizioni. Non ne circoli dell’intera regione”. no altri due grandi appuntamen- esistono molte nella nostra pe- Quale la più grande soddisfa- ti agonistici in regione. I campio- nisola di altrettanto valore per zione in questo primo anno di nati italiani a squadre under 14, quanto concerne il tennis indoor. impegno alla presidenza del Co- con la final four ospitata alla Ca- Merito anche all’organizzazione mitato? nottieri Tanaro Alessandria, e le perfetta del 2008 aver riottenuto “Come già sottolineato essere riu- finali di A1 al Match Ball Bra, per l’assegnazione dell’evento per la scito a lavorare in armonia con lo il secondo anno consecutivo. corrente stagione”. il ricordo il ricordo 27 L'addio a un uomo di giustizia e di sport Ricordo di Maurizio Laudi: magistrato, giudice del calcio, coordinatore del comitato etico-scientifico dell'assessorato allo sport della Regione di Angelo Caroli Maurizio Laudi, a sinistra, insieme Marello, Boniperti e Caselli Maurizio Laudi era un uomo intelligente, arguto, colto, disponibile, ironico, leale e profondamente legato al dovere, alla famiglia e alla città. Maurizio riassumeva questi aggettivi e le persone che lo hanno conosciuto e frequentato ora lo piangono con muta disperazione. Un uomo impegnato come magistrato a tutto campo nel suo ruolo di difensore del giusto, ma impegnato anche nella cultura e nello sport. Perciò una rivista come questa ha il dovere di ricordarlo e offrire il suo esempio ai giovani. Muore improvvisamente a Torino nella notte di giovedì 24 settembre. Alle ore 10 del sabato la chiesa di San Filippo Neri si trasforma in un oceano di affetto e di dolore trasmessi in un tam tam silenzioso e dolente. La partecipazione della città alla sua scomparsa è profonda e autentica. Amici, colleghi e uomini politici avvertono una sensazione di collettivo smarrimento. La moglie Donatella, i figli Chiara e Davide sono sgomenti e hanno la conferma dei sentimenti che Maurizio sapeva ricavare dalle persone. In chiesa, sintomatiche sono le parole pronunciate dalla figlia Chiara, da don Aldo Rabino, dal sindaco Sergio Chiamparino e dal Procuratore Marcello Maddalena. Ecco la sua vita professionale. Maurizio Laudi è un magistrato che piace a tutti tranne ai nemici che combatte con coraggio, imparzialità e senso civile. E' amato per la cordialità e lo stile sabaudo con cui si apre a tutti e per il sorriso appena accennato, segnali di grande umanità. Maurizio ha un padre e un fratello medici ma preferisce la facoltà di Giurisprudenza. Si affaccia alla Magistratura nel 1974 e fa pratica con Gian Carlo Caselli. E' benvoluto per la vivace intelligenza e per le capacità psicologiche di studiare e analizzare gli imputati. Fino al 1990 lavora nell'ufficio istruzione, quando lascia Magistratura Democratica ed è eletto nel Consiglio Superiore della Magistratura. Quattro anni dopo torna a Torino, in Procura, come "aggiunto" e responsabile della Direzione Distrettuale Antimafia. Infine è Procuratore Generale nella città di Asti. Il prestigio ottenuto negli anni gli viene riconosciuto con molti incarichi che svolge con la passione scrupolosa di sempre. E sempre si impegna affinché il nostro Paese diventi migliore, missione che lo porta ad opporsi, fra l'altro, a Pl e alle Br. In gioventù è calciatore nel Bacigalupo, mezzala a tutto campo, e tifoso juventino. La passione per lo sport più popolare d'Italia e la competenza gli consentono di essere eletto, a metà degli Anni '90, Giudice Sportivo della serie A e della serie B, un lavoro che svolge dietro le quinte senza mai volersi proporre come protagonista. Successivamente diventa funzionario dell'Uefa, sempre nel campo della giustizia. Anche tali incarichi Maurizio li svolge con lo scrupolo di sempre. Da un anno era il coordinatore, insieme con Pierpaolo Maza, del Comitato Etico-Scientifico insediato dall'Assessorato allo sport della Regione Piemonte per rilanciare i valori più profondi dello sport, combattere la violenza negli stadi, il doping, il razzismo, insomma tutta l'anticultura sportiva dei nostri tempi. Un modo per andare alla radice dei problemi e recuperare i giovani a un approccio corretto con un mondo che li affascina come pochi altri, ma se mal interpretato può anche fuorviarli. E' un'iniziativa, quella del Comitato, cui aderiscono personaggi sportivi, uomini di cultura, giornalisti, professionisti di varia estrazione. Maurizio Laudi era un uomo di pace e di giustizia, un uomo a tutto tondo, leale e aperto che ti scrutava con occhio docile e intanto ironico e rilassante. Un amico che mancherà a noi e alla città. 28 lo sportello dello sport MEDICINA Acido alfa – lipoico, quando e perché Pratico corse di fondo sino alla maratona e poiché ultimamente ho qualche difficoltà a recuperare mi è stato consigliato l'uso come integratore di acido alfa-lipoico. E' una pratica utile? Marina F. - Biella Dott. Gian P. Ganzit Prendere in considerazione l'acido lipoico significa entrare nel campo dell'utilizzazione dell'ossigeno e della conseguente produzione di energia ma anche di radicali liberi, che è un argomento a cui la ricerca si è interessata negli anni recenti, con risultati non ancora definitivi per cui alcune delle conoscenze attuali potrebbero essere riviste e confutate in futuro. Un eccesso di radicali liberi determina il così detto stress ossidativo con conseguenti danni a livello di vari tessuti corporei, che deve essere preso in considerazione in varie situazioni dall'invecchiamento all'attività sportiva. Infatti alcune osservazioni scientifiche hanno rilevato che l'attività fisica intensa aumenta la formazione nei tessuti di radicali liberi e reattivi dell'ossigeno. L'organismo ha naturalmente sviluppato delle difese da questo insulto ma l'allenamento molto intenso può però esaurire tutte le difese antiossidanti dei tessuti ed è quindi logico pensare ad integrare le difese naturali con sostanze antiossidanti. Non è tanto il metabolismo ossidativo in se stesso a creare problemi ma l'inadeguatezza dell'apporto di ossigeno rispetto alle esigenze metaboliche. E' stato rilevato che in caso di esercizio di bassa intensità e di durata moderata l'organismo compensa perfettamente la produzione di radicali liberi invece l'esercizio molto prolungato determina lesione cellulari epatiche e degradazione proteica a livello dei mitocondri. Una delle molecole più importanti per le difese naturali antiossidati è il glutatione. Il glutatione è presente in quasi tutte le cellule perché oltre che azione antiossidante interviene come regolatore in numerose reazioni tra le quali quelle della risposta immunitaria. Alcuni hanno addirittura ipotizzato che la competizione fra precursori del glutatione per i vari scopi possa essere causa della fatica muscolare. Vi sono numerosi studi che hanno dimostrato come l'esercizio fisico induce l'ossidazione del glutatione contenuto nei tessuti. Si possono mantenere livelli adeguati di glutatione ridotto con l'integrazione di sostanze che proteggono l'ossidazione del glutatione, come l'acido lipoico. Nelle cellule umane l'acido lipoico ossidato è ridotto enzimaticamente e quindi il suo potere antiossidante è continuamente rigenerato, per cui ne necessitano quantità minime. Inoltre per le sue capacità simili a quelle dell'insulina, l'acido lipoico stimola l'assunzione di glucosio da parte delle cellule muscolari. Se un eccesso di ossidanti determina danni da stress ossidativo, modeste quantità sembrano avere un potere regolatore. Ad esempio gli ossidanti stimolano l'espressione del fattore di crescita endoteliale cioé la formazione dei vasi della circolazione collaterale. Quindi le risposte antiossidanti vanno controllate, non eliminate. Non esiste un antiossidante migliore degli altri, ma presumibilmente poiché gli antiossidanti agiscono come sistema sarebbe bene assumere una miscela delle varie classi a dosi moderate. Primo perché non si conosce l'effetto a lungo termine di dosi elevate e poi perché il sistema antiossidante naturale come detto va protetto e non eliminato. Dobbiamo considerare che la protezione antiossidante è fornita dalle sostanze endogene e dall'apporto nutrizionale. Le difese endogene sono controllate dal sistema genetico che codifica le proteine specifiche. Tenuto conto dell'ampia diversità di espressione genetica nell'uomo è possibile dedurre che anche la difesa antiossidante endogena individuale varia da atleta ad atleta. Le abitudini alimentari e lo stile di vita (stress, alcool, esposizione a raggi ultravioletti) influiscono inoltre sulle difese antiossidanti individuali. Pertanto è necessario individualizzare l'integrazione antiossidante nell'atleta. In conclusione l'acido lipoico a dosi moderate (inferiori a 400 mg) può essere utile in taluni atleti, specie se assunto insieme ad altri antiossidanti (vitamine C ed E, coenzima Q…), anch'essi a dosi individualmente stabilite ma sempre moderate. FISCO La comunicazione dei dati rilevanti ai fini fiscali ai sensi dell’art. 30 del D.L. 29.11.2008 n. 185 Dott. E. M. Vidali In luogo della consueta risposta ad una specifica domanda dei lettori, si ritiene utile, data l’estrema importanza dell’adempimento, analizzare il nuovo obbligo di comunicazione dei dati fiscalmente rilevanti divenuto operativo con la recente pubblicazione del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, prot. 15896/2009, del 2 settembre scorso. Come noto l’art. 30 del D.L. 29.11.2008 n. 185, convertito dalla L. 28.01.2009 n. 2, ha previsto l’obbligo di trasmettere in via telematica all’Agenzia delle Entrate i dati e le notizie rilevanti ai fini fiscali. La circolare n. 12 del 09.04.2009 aveva precisato che l’applicazione delle agevolazioni previste dall’art. 148 del D.P.R. 22.12.1986 n. 917 e dall’art. 4 del D.P.R. 26.10.1972 n. 633 – de commercializzazione dei corrispettivi specifici per le prestazioni rese agli associati, con conseguente non imponibilità ai fini delle imposte dirette e dell’I.V.A. - è subordinata a due condizioni sostanziali: a)Possesso dei requisiti previsti dalla specifica normativa tributaria; b)Comunicazione dei dati e delle notizie rilevanti ai fini dell’accertamento. Per quanto concerne il punto a), in primo luogo, possono beneficiare delle agevolazioni fiscali solo gli enti che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali ai sensi dell’art. 73 del TUIR. Sussistono poi specifici requisiti per le varie tipologie di associazioni elencate dal comma 3 dell’art. 148: per gli enti sportivi dilettantistici si deve fare riferimento all’art. 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289. Va da sé che l’applicabilità dell’agevolazione di cui al terzo comma dell’art. 148 è subordinata anche alla sussistenza dei requisiti di cui al comma 8 del medesimo articolo. La seconda condizione consiste nell’effettuazione della Comunicazione di cui al punto b); solo in tal modo “i corrispettivi, le quote e i contributi di cui all'articolo 148 del testo unico delle imposte sui redditi” beneficerebbero della non imponibilità ai fini fiscali. Per quanto concerne i soggetti tenuti alla comunicazione, la circolare 12/2009 precisa che sono esonerati dall’onere della trasmissione dei dati e delle notizie rilevanti sotto il profilo fiscale gli enti associativi dilettantistici in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI che non svolgono attività commerciale. Tuttavia la stessa circolare 12/2009 precisa successivamente che “l’onere della comunicazione grava anche sugli enti associativi che, in applicazione del comma 1 dell’art. 148 del TUIR, si limitano a riscuotere quote associative oppure contributi versati dagli associati o partecipanti a fronte dell’attività istituzionale svolta dai medesimi”. Pertanto, l’obbligo della comunicazione sembrerebbe estendersi di fatto a tutti gli enti sportivi dilettantistici. La Comunicazione dei dati fiscalmente rilevanti deve essere trasmessa all’Agenzia delle Entrate esclusivamente in via telematica, avvalendosi dell’apposito software gratuito messo a disposizione sul sito dell’Agenzia; per la trasmissione è comunque possibile avvalersi anche degli intermediari abilitati. La Comunicazione deve essere trasmessa nei seguenti termini: a)Comunicazione iniziale: 1.Per gli enti sportivi costituiti entro il 29.11.2008 entro il 30 ottobre 2009. 2.Per gli enti costituiti successivamente, entro sessanta giorni dalla data di costituzione; tuttavia se la scadenza è comunque antecedente il 30/10, la comunicazione deve essere inviata entro tale data. b)In caso di variazione dei dati originariamente comunicati – come ad esempio: nuovi amministratori, estremi delle variazioni statutarie, opzione per il regime della L. 398/1991 - la variazione deve essere effettuata entro il 31 marzo dell’anno successivo. c)In caso di perdita dei requisiti di ente non commerciale la comunicazione deve essere effettuata entro sessanta giorni dalla data in cui si verifica tale circostanza. L’Agenzia delle Entrate invierà successivamente, in via telematica al soggetto che ha effettuato la trasmissione del modello, la comunicazione della completezza dei dati e delle notizie trasmessi. 30 lo sportello dello sport LEGGE Quando la violenza sportiva diventa illecito penale A fronte delle condotte violente che spesso caratterizzano azioni di gioco di varie discipline sportive, vorrei un chiarimento sulle conseguenze penali per gli atleti che cagionano lesioni agli avversari. Enrico G. - Ovada Avv. Stefano Comellini Per rispondere al lettore è utile rifarsi ad una recente decisione della Corte di Cassazione (n. 17923/2009) chiamata a decidere del caso di un giocatore di basket che, nel corso di un'azione di gioco in cui era in fase di recupero della palla, pressato sulla tre quarti da giocatore avversario, si girava verso di questi col gomito alto e lo colpiva con violenza al volto, causandogli fratture multiple all'osso molare e mascellare superiore destro, con postumi invalidanti di natura permanente. Nell’occasione, la Suprema Corte ha fissato alcuni principi di rilevante interesse. Nel caso di specie, il fallo violento aveva, ovviamente, comportato illecito sportivo, sanzionato dagli arbitri con l'espulsione. E', infatti, regola generale di gioco - anche negli sport che consentono, sia pure eventualmente, il contatto fisico tra i giocatori – il divieto di condotte violente che, pur finalizzate all'obiettivo della singola azione di gioco (qui, conquista o mantenimento del possesso del pallone), si risolvano, gratuitamente, in danno dell'avversario. Tuttavia, pur a fronte di lesioni personali derivanti dalla pratica dello sport, vi sono condotte che, pur costituendo infrazioni delle regole di una determinata disciplina agonistica, non sono penalmente perseguibili, neppure quando risultano pregiudizievoli per l'integrità fisica di un giocatore avversario, in quanto non superano la soglia del cosiddetto rischio consentito. Si fa riferimento, in tal modo, alla preventiva accettazione, da parte dell’atleta, dell'inevitabile componente di rischio, connaturata ad ogni disciplina sportiva che consenta il contatto fisico tra i partecipanti e la cui incidenza sia contenuta, in limiti di fisiologica ragionevolezza, proprio dal rispetto delle regole tecniche che segnano la misura del rischio ragionevolmente prevedibile. La consacrazione formale di tale consenso si ha al momento del tesseramento, quando l'atleta, iscrivendosi ad una determinata federazione sportiva, cui, a sua volta, è affiliata la società nella quale intende svolgere pratica agonistica, ne accetta espressamente e consapevolmente tutte le regole e, dunque, anche quelle che presidiano la componente di rischio insita nella disciplina prescelta. Tuttavia, se il rispetto dei regolamenti segna la linea di confine del penalmente irrilevante (nel senso che tutto quanto si colloca al di qua della stessa è penalmente lecito), nondimeno la violazione degli stessi non integra, di per sé, l’illiceità penale che, appunto, richiede ulteriori requisiti. In primo luogo, è necessario determinare se la condotta si sia realizzata in fase di gioco od a gioco fermo, posto che l'operatività della causa di giustificazione del “rischio consentito” si realizza solo nella prima ipotesi, riferibile all’attività agonistica. Inoltre, in ipotesi di azione di gioco, occorre verificare la volontarietà o meno dell'infrazione, anche se l'elemento, in sé, non è decisivo. Infatti, se la violazione involontaria delle regole di gioco realizza sempre un illecito sportivo penalmente irrilevante, l’infrazione volontaria integra illecito penale solo qualora la condotta dell'atleta sia obiettivamente incompatibile con le caratteristiche e lo spirito di una determinata disciplina sportiva. Infatti, lo stesso gesto di violenza fisica (ad esempio, un pugno in pieno volto) se è consentito in una disciplina sportiva (boxe) non può in altri (basket, calcio o rugby) essere utilizzato per risolvere a proprio vantaggio determinati contrasti agonistici. E ancora, si deve tenere, anche, conto della particolare situazione di gioco (ad esempio, nel basket, l'uso dei gomiti, se è tollerato - almeno entro determinati limiti - nella lotta a rimbalzo, non lo è in fase di palleggio o di recupero del pallone), con l’avvertenza, nelle situazioni incerte, che la pietra angolare di ogni ordinamento sportivo è il principio di lealtà e correttezza sportiva, espressamente richiamato nei regolamenti federali. Pertanto, ricorrendo i due presupposti, volontarietà dell'infrazione ed abnormità della condotta, il fatto è penalmente rilevante. Concludendo, si può dire, in sintesi, che: la violazione involontaria delle regole di gioco integra illecito sportivo non penale; la violazione volontaria che si traduca in condotta violenta compatibile con il tipo di disciplina sportiva ed il contesto agonistico di riferimento, dà luogo ad illecito penale colposo; la violazione volontaria con condotta violenta del tutto avulsa dalla dinamica agonistica integra illecito penale doloso. PSICOLOGIA I fattori di rischio in adolescenza Oggi si parla molto di fattori di rischio in età adolescenziale. Vorrei sapere quale può essere il ruolo dello sport nella prevenzione del rischio. Enrico G. - Grugliasco Dott.ssa Sabina Sereno L'attuale interesse della famiglia e della società per i comportamenti a rischio in età adolescenziale, sembra sollecitato dall’incremento di fenomeni socialmente preoccupanti che coinvolgono spesso i giovani. Infatti, entrambe le agenzie sono chiamate in causa più o meno direttamente e spesso vengono messe sotto accusa. Come è noto, gli anni dell’adolescenza sono caratterizzati da impulsività, imprudenza e comportano atteggiamenti potenzialmente pericolosi per i soggetti. L’adolescenza rappresenta un periodo di transizione in cui il giovane da una parte si lascia alle spalle l’età infantile e dall’altra si proietta nel mondo degli adulti: tale passaggio non è quasi mai lineare ma, al contrario, risulta caratterizzato da un alto grado di conflittualità sia all’interno della famiglia sia nei confronti della società. Questa fase evolutiva è connotata dalla ricerca di una nuova identità, spesso in alternativa a quella dei genitori e dei loro sostituti, inoltre, i cambiamenti fisiologici del corpo contribuiscono a rendere particolarmente complesso questo percorso. Nel contempo, agli adolescenti viene richiesto di affrontare compiti di sviluppo, che, se portati a termine in modo positivo e costruttivo, attivano una condizione di benessere, aumento dell’autostima, promuovendo, progressivamente, una maturazione armoniosa e sintonica. I compiti di sviluppo, riferiti all’età adolescenziale, riguardano la sfera personale e quella socio - istituzionale, dove si richiede di effettuare scelte importanti e impegnative finalizzate a conseguire una buona accettazione del sé e un adeguato raggiungimento dell’autonomia. A questo scopo, è fondamentale che il soggetto sviluppi una buona percezione della propria autoefficacia. Numerosi studi dimostrano, infatti, che coloro i quali ottengono alti punteggi nelle scale di autoefficacia percepita sono meno soggetti alla depressione, si pongono obiettivi elevati e mettono in atto adeguate strategie di coping nell’affrontare situazioni frustranti o di stress. E’ stato osservato che la consapevolezza della propria autoefficacia porta a saper gestire con maggior equilibrio le proprie emozioni e quindi a resistere alle pressioni dei pari che invitano a compiere atti di trasgressione o di sfida. Infatti, dato che l’agire comportamenti a rischio può essere considerato anche come un mezzo per affermare la propria identità, si rende necessario aiutare l’adolescente ad individuare una modalità socialmente accettabile al fine di affermare la propria personalità. In quest’ottica, lo sport ricopre un ruolo di primaria importanza nella formazione psico-fisica del soggetto. Favorendo lo sviluppo di predisposizioni e capacità, l’attività sportiva offre esperienze di crescita emotiva e relazionale, incentiva stili di comportamenti salutistici e permette di evitare atteggiamenti che possono alimentare problematiche future. Su queste basi, è necessario incentivare il gio- vane ad affrontare il rischio in modo consapevole e realistico, sulla base della conoscenza delle proprie competenze e dei propri limiti, allo scopo di soddisfare le esigenze dello sviluppo legate all’autonomia e alla necessità di padronan- Prof.ssa L.Bal Filoramo za e di individuazione tipiche dell’età. Nell’attività sportiva, infatti, l’assunzione di rischio comporta il misurarsi con il pericolo in una situazione protetta e socialmente accettata, caratterizzata dal rispetto di regole definite e condivise all’interno di una cornice di riferimento individuale e di gruppo. Tutto questo discorso può essere riferito tanto alla pratica amatoriale, quanto a quella agonistica, comprendendo anche, per quanto possa sembrare paradossale, i cosiddetti sport estremi. Questi ultimi, infatti, richiedono all’atleta e all’allenatore una accurata conoscenza e valutazione delle capacità e dei limiti. Si tratta di condizioni imprescindibili per affrontare le situazioni di potenziale rischio e misurarsi con il pericolo senza mettere a repentaglio la propria integrità psicofisica. Per concludere, lo sport nelle sue diverse declinazioni, permette di trasformare la propensione al rischio, propria dell’età adolescenziale, in esperienze di esplorazione, trasformazione, crescita e, in definitiva, maturazione, grazie a comportamenti che aiutano l’individuo ad affermarsi e a costruirsi un proprio spazio e un proprio ruolo sociale. La risposta e’ on line Hai delle domande da porre ai consulenti dello SPORTELLO DELLO SPORT? Scrivi a “SPORT in PIEMONTE” C/o CONI C.R. PIEMONTE – Via G. Bruno 191, 10134 TORINO oppure vai sul sito www.sportinpiemonte.com o www.conipiemonte.net nella sezione Sportello dello Sport, il servizio di consulenza dedicato a tutti gli operatori del mondo sportivo: La risposta è on line. 32 lo sportello dello sport IMPIANTI Gare pubbliche e criteri di affidamento Come avviene l’affidamento in gestione di impianti sportivi di proprietà degli enti pubblici territoriali? Gianfranco R. - Torino Ing. Mario Picco L’articolo 90, comma 25, della legge 27/12/2002 n. 289 (Legge Finanziaria 2003) prevede che “nei casi in cui l’ente pubblico territoriale non intenda gestire direttamente gli impianti sportivi, la gestione è affidata in via preferenziale a Società ed Associazioni Sportive Dilettantistiche, Enti di Promozione Sportiva, Discipline Sportive Associate e Federazioni Sportive Nazionali, sulle basi di convenzioni che ne stabiliscono i criteri d’uso e previa determinazione di criteri generali e obiettivi per l’individuazione dei soggetti affidatari. Le Regioni disciplinano, con propria legge, la modalità di affidamento”. La succitata disposizione di legge che prevede l’obbligo di affidamento degli impianti sportivi “in via preferenziale”, previa procedura di gara “ristretta”, ai soli soggetti del mondo sportivo contemplati dalla medesima norma è, all’evidenza, derogatoria rispetto alla disciplina di derivazione comunitaria in materia di appalti, che, di converso, si fonda sul principio di procedura di gara “aperta”, a tutti gli operatori economici aventi i previsti requisiti di partecipazione. Si fa presente, comunque, che qualora la speciale procedura di selezione prevista dalla Legge statale per la concessione degli impianti sportivi a uno dei soggetti previsti si esaurisse senza l’affidamento, troverebbe applicazione la vigente normativa di derivazione comunitaria riguardante i contratti “a formazione procedimentalizzata”, in materia di “servizi pubblici locali”, che consente a tutti gli operatori economici interessati e aventi requisiti previsti dal bando di partecipare alla gara pubblica. Corre l’obbligo altresì di far presente che, anche nelle more della emanazione dei “criteri generali e obiettivi” da parte della Regione Piemonte che ancora non ha legiferato in materia, gli enti pubblici territoriali sono comunque tenuti a selezionare i concessionari della gestione degli impianti “de Redazione, Editore e Amministrazione: NOVALIS srl Corso Svizzera 185/bis, 10149 Torino Direttore Responsabile: Barbara Masi Coordinatore Editoriale: Gianni Romeo quo” fra i soggetti “preferenziali”, approvando bandi di gara, in armonia con i principi contenuti nel più volte citato art. 90 della legge 27/12/02 n. 289 e, in quanto applicabile, con i principi contenuti nel D. Lgs. 14 Aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici per la parte che disciplina gli appalti di servizi). In pratica, la mancanza di norme regionali attuative non autorizza la deroga alla suddetta disciplina statuale speciale. La Legge Finanziaria per il 2003, sopra richiamata, al comma 26 dell’art. 90 sancisce che “le palestre, le aree di gioco e gli impianti sportivi scolastici, compatibilmente con le esigenze dell’attività didattica e delle attività sportive della Scuola, comprese quelle extracurriculari, ai sensi del Regolamento di cui al DPR 10/10/’96 n. 567, devono essere posti a disposizione di Società e Associazioni Sportive Dilettantistiche aventi sede nel medesimo Comune in cui ha sede l’Istituto Scolastico o in Comuni confinanti”. La disposizione riguarda gli impianti di proprietà degli enti territoriali (Comuni e Province) che sono diversi – per struttura e destinazione d’uso - da quelli contemplati dal precedente comma 25. Detti impianti devono essere messi prioritariamente a disposizione dell’Autorità Scolastica competente che ne regola l’utilizzo ai fini didattici e sportivi della Scuola. La previsione (di cui al comma 26 sopra integralmente riportato) trova applicazione, pertanto, solo nelle fasce orarie in cui le suddette palestre scolastiche non sono utilizzate dalla Scuola sulla base della propria programmazione didattica e sportiva. Con riferimento invece alla gestione degli impianti sportivi e strutture assimilabili di proprietà o in disponibilità di enti pubblici diversi dagli enti locali e territoriali, non trovano applicazione le sopra citate disposizioni di legge. Collaboratori: Marco Ansaldo Marco Avena Livio Berruti Roberto Bertellino Patrizia Bertolo Franco Bocca Elis Calegari Roberto Condio Monica Ghio Massimo Gramellini Pier Luigi Griffa Domenico Latagliata Roberto Levi Domenico Marchese Fabio Marzaglia Matteo Musso Gian Paolo Ormezzano Luca Rolandi Carlo Romeo Myriam Scamangas Giancarlo Spadoni Lorenzo Tanaceto Stefano Tarolli Alfredo Trentalange Stefano Tubia Giorgio Viberti Enrico Zambruno Progetto Grafico: NOVALIS srl Corso Svizzera 185/bis, 10149 Torino Stampa: Alma Tipografica Via Frabosa 29/B, 12089 Villanova Mondovì (CN) Registrazione della testata presso il Tribunale di Torino N. 27 del 05.05.2009