17084/15 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE QUINTA SEZIONE PENALE UDIENZA PUBBLICA DEL 09/12/2014 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GENNARO MARASCA Dott. ANTONIO BEVERE Dott. GRAZIA MICCOLI Dott. ANTONIO SETTEMBRE Dott. ALFREDO GUARDIANO - Presidente - Consigliere - Rel. Consigliere - Consigliere - Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: CAPRARA FLAVIO N. IL 01/09/1958 GARLATTI BRUNO N. IL 20/08/1954 MULITSCH PAOLO N. IL 19/06/1961 avverso la sentenza n. 919/2011 CORTE APPELLO di TRIESTE, del 24/10/2013 visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/12/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. che ha concluso per Udito, per a parte civile, l'Avv Udit i difensor Avv. SENTENZA N. 3786/2014 REGISTRO GENERALE N. 39190/2014 Conclusioni Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Giulio ROMANO, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso di Flavio CAPRARA e la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi di Bruno GARLATTI e Paolo MULITSH. Per il ricorrente Flavio CAPRARA, l'avv. Antonio MORRA ha chiesto l'accoglimento dei motivi di ricorso e la sospensione del procedimento in attesa della pronuncia sull'illegittimità costituzionale dell'art. 99 comma 4 cod. pen.; l'avv. Massimo DI NOIA ha concluso chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso, depositando una breve sintesi. Per il ricorrente Bruno GARLATTI, l'avv. Giuseppe CAMPEIS ha chiesto l'accoglimento del ricorso e ha depositato la dichiarazione di revoca della costituzione di parte civile nei suoi confronti. Per il ricorrente Paolo MULITSH, l'avv. Roberto LOMBARDI ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Le decisioni dei giudici di merito Con la sentenza del 24 ottobre 2013 la Corte di appello di Trieste, in sede di impugnazione della decisione di primo grado emessa dal Tribunale di Gorizia in data 25 giugno 2010, appellata da Flavio CAPRARA, Bruno GARLATTI, Paolo MULITSH, nonché dal Procuratore generale presso la Corte di Trieste, dal Procuratore della Repubblica di Gorizia e dalle parti civili Fallimento EURO TIR e Fallimento SVET, la riformava nei termini qui di seguito indicati, confermandola nel resto. 1.1. La Corte d'Appello affermava la responsabilità di Flavio CAPFtARA per i reati di cui al capo A (bancarotta fraudolenta patrimoniale aggravata), anche con riferimento alla contestata distrazione dell'avviamento della EURO TIR s.r.l. (dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Gorizia del 3 luglio 2002), nonché dei reati di cui ai capi J (bancarotta fraudolenta patrimoniale aggravata relativa sempre alla società EURO TIR), W e X, questi ultimi due qualificati ai sensi dell'articolo 216, comma tre, L.F. (bancarotta preferenziale relativa al fallimento della società SVET s.a.s - sentenza dichiarativa del 1 giugno 2004), e 2 per l'effetto, negate le attenuanti generiche e ritenuta la recidiva contestata, rideterminava la pena in quella complessiva di anni sette di reclusione. Dichiarava inoltre non doversi procedere nei confronti del CAPRARA in ordine al reato di cui al capo G (falso in scrittura privata), per essere il medesimo reato estinto per intervenuta prescrizione. Con la sentenza di primo grado il CAPRARA era stato ritenuto colpevole dei delitti ascritti al capo A (per la distrazione del parco automezzi della EURO TIR), capo E (bancarotta fraudolenta documentale), capo G, capo I (falso in scrittura privata), capo O (falsità ex art. 481 cod. pen.), capo T (falsità ex artt. 81, 491, 485, 482, 476 cod. pen.), capo Y (bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione al fallimento della SVET s.a.s.) e capo Z (bancarotta fraudolenta documentale in relazione al fallimento della LOGISTICA Euro Est s.r.I.), unificati nel vincolo della continuazione e, ritenuta la recidiva contestata, era stato condannato alla pena di anni cinque, mesi otto di reclusione. Era stato invece assolto dai delitti a lui ascritti ai capi J e W con la formula perché il fatto non sussiste e dal delitto ascrittogli al capo X con la formula perché il fatto non costituisce reato. 1.2. La Corte territoriale dichiarava Bruno GARLATTI colpevole del reato di cui al capo A (bancarotta patrimoniale fraudolenta aggravata), esclusa invece la contestazione alternativa di cui al capo AA (favoreggiamento). Dichiarava non doversi procedere nei confronti dello stesso imputato per i reati di cui ai capi G, I, N e O, per essere i medesimi estinti per intervenuta prescrizione. Rideterminava, quindi, la pena inflitta in quella di anni due e mesi otto di reclusione, interamente condonata. Revocava la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici. Con la sentenza di primo grado il GARLATTI era stato riconosciuto colpevole del delitto ascrittogli nella contestazione alternativa al capo AA (favoreggiamento), così qualificati giuridicamente i fatti contestati al capo A, nonché del delitto di cui al capo E, in tale imputazione ritenuto assorbito il fatto contestato ai capi L, G, I, N ed O e, con il riconoscimento delle attenuanti generiche, era stato condannato alla pena di anni tre, mesi due di reclusione. Il GARLATTI era stato assolto dai reati ascritti ai capi Q e R per non aver commesso il fatto e dai reati ascrittigli ai capi X e Y perché il fatto non costituisce reato. 3 1.3. Infine la Corte d'appello dichiarava non doversi procedere nei confronti di Paolo MULITSCH in ordine al reato di cui al capo P (falso in autentica di firma ex art. 481 cod. pen.), per essere il medesimo estinto per intervenuta prescrizione. Revocava quindi la pena accessoria inflittagli e revocava la condanna dello stesso imputato al pagamento delle spese processuali in relazione ai reati di cui ai capi Q ed R, disponendo che le stesse fossero poste a carico del querelante remittente. Con la sentenza di primo grado il suddetto imputato era stato ritenuto colpevole del solo delitto di cui al capo P e condannato alla pena di mesi due di reclusione. 1.4. Nella sentenza di secondo grado sono state emesse anche ulteriori statuizioni a carico degli imputati CAPRARA e GARLATTI in ordine al risarcimento dei danni in favore delle parte civili. 2. I ricorsi Hanno proposto ricorso in cassazione tutti i suindicati imputati. 2.1. Nell'interesse di Flavio CAPRARA sono stati presentati il ricorso a firma del difensore avv. Antonio MORRA, una memoria a firma di quest'ultimo in data 11 novembre 2014, nonché, in data 21 novembre 2014, un'ulteriore memoria a firma del nuovo difensore avv. Massimo DI NOIA. 2.1.a. Con il primo motivo di ricorso sono stati dedotti violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'imputazione di cui al capo Z, con la quale è stata contestata al CAPRARA (quale amministratore di fatto e in concorso con Milos Vranjkovic e Roberta Del Moro - posizioni stralciate) la falsificazione dei libri e delle scritture contabili della LOGISTICA EURO EST s.r.I., attraverso operazioni di acquisto e storno non corrispondenti al vero e, in particolare, con l'annotazione di una serie di false fatture di vendita di camion, apparentemente ceduti prima dalla EURO TIR alla B&A TRADE HOUSE Ltd (società ritenuta nell'ipotesi accusatoria inesistente) e poi rivendute da tale società straniera alla LOGISTICA. Secondo il ricorrente nella decisione impugnata non vi è alcun riferimento alla censura, sollevata dalla difesa nell'atto di appello, relativa alla possibilità che, 4 pur trattandosi di operazioni imprudenti compiute dal ricorrente nella gestione della LOGISTICA, non fosse risultato un vero e proprio danno alla massa dei creditori, venendo così meno il presupposto del reato contestato. Rileva il ricorrente che in sentenza nulla si dice in ordine all'elemento psicologico del reato in contestazione. In mancanza di prova sulla sussistenza dell'elemento soggettivo proprio del reato di bancarotta fraudolenta documentale, può configurarsi, secondo il ricorrente, l'ipotesi meno grave di bancarotta documentale semplice ex art. 217 legge fallimentare. 2.1.aa. Nella memoria depositata in data 21 novembre 2014 vengono ulteriormente dedotti violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al reato di cui al capo Z. Si premette che la Corte d'appello ha confermato la condanna del CAPRARA per il reato di bancarotta documentale con riferimento alle fatture, emesse dalla B&A Trade House, di vendita di automezzi alla LOGISTICA EURO EST ed alla nota di credito che le ha successivamente annullate. Il ricorrente sostiene, però, che il reato sarebbe insussistente. Rileva, quindi, che la nota di credito era stata emessa in data 26 dicembre 2003, ovvero prima della sentenza dichiarativa di fallimento, intervenuta in data 29 aprile 2004. Con essa tutte le fatture precedentemente emesse dalla B&A Trade House, aventi ad oggetto la vendita di automezzi, erano state sostanzialmente annullate. Sostiene allora il ricorrente che, alla data del fallimento, le fatture di cui al capo di imputazione non avevano più alcuna rilevanza con riferimento alla contabilità della LOGISTICA EURO EST, che -tra l'altro- nel frattempo (a gennaio 2004) aveva correttamente registrato la fattura di acquisto degli automezzi emessa dalla EURO TIR. Non può, quindi, ritenersi sussistente il reato di bancarotta documentale, posto che le fatture indicate nel capo d'imputazione, essendo state annullate, non potevano in alcun modo essere idonee a rendere difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società al momento del fallimento. 2.1.b. Con il secondo motivo di ricorso viene dedotto il vizio di motivazione in relazione al capo i (bancarotta fraudolenta patrimoniale), in particolare nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che il finanziamento concesso dalla EURO TIR alla SVET per l'acquisto di un immobile fosse un esca motage per distrarre i beni della società. 5 Il ricorrente censura la decisione della Corte territoriale, che nulla riferisce circa l'opportunità per una società, come la EURO TIR, di erogare un finanziamento ad un'altra società per l'acquisto di un immobile, con l'intuizione lungimirante che quel finanziamento sarebbe sicuramente stato restituito, potendo la società finanziata rivendere l'immobile per un prezzo superiore a quello di acquisto; possibilità che si sarebbe poi verificata in concreto, avendo la SVET ottenuto dalla vendita di tale immobile l'importo di euro 300.000, a fronte dei 300 milioni di lire spesi. 2.1.bb. Nella memoria depositata in data in data 21 novembre 2014 sono stati ulteriormente dedotti violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'ipotesi di bancarotta patrimoniale per distrazione di cui al capo J. Rileva il ricorrente che la motivazione della Corte territoriale sarebbe carente ed illogica, non avendo tenuto conto del fatto che, nel momento in cui era stata erogata la parte rilevante del finanziamento, la società non si trovava ancora in una fase di dissesto. I problemi per la EURO TIR sono sorti solo successivamente e sono stati del tutto inaspettati, in quanto legati alla guerra in Jugoslavia (ovvero nelle zone dove la società operava con i trasporti). Il ricorrente sostiene inoltre l'insussistenza dell'elemento psicologico con riferimento al reato in esame che la motivazione della sentenza impugnata sul punto sarebbe carente, in quanto non prende in considerazione tutte le circostanze evidenziate dalla difesa. Il CAPRARA ha dichiarato e dimostrato che, non appena la società EURO TIR aveva iniziato ad essere fortemente in crisi, aveva immediatamente chiesto la restituzione dei soldi concessi con finanziamento, in modo da poter soddisfare i creditori, come poi è effettivamente avvenuto. 2.1.c. Con il terzo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione in relazione all'imputazione di cui al capo Y. Secondo il ricorrente, non essendo stato provato che dall'attività posta in essere dalla SVET fosse derivata una diminuzione pregiudizievole del patrimonio sociale, con lesione dei diritti dei creditori (essendo stata, peraltro, la richiesta di fallimento presentata dal pubblico ministero) e, in assenza di situazioni debitorie effettive, deve escludersi che si possa configurare il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione. Nel caso in esame, secondo il ricorrente, le operazioni poste in essere dalla 6 SVET, attraverso la gestione del suo rappresentante legale Desolina Pauli, lungi dal determinare un effettivo danno per i creditori, hanno invece, per un verso, consentito alla fallita EURO TIR di soddisfare la massa fallimentare attraverso il rientro del concesso finanziamento e, per altro verso, con il finanziamento di LOGISTICA hanno generato una prospettiva di maggior guadagno della somma investita, tutto a vantaggio dei creditori, con il solo inconveniente di una improvvisa ed inaspettata declaratoria di fallimento della società, il cui dissesto tuttavia si è verificato indipendentemente dall'iniziale condotta distrattiva. 2.1.d. Il quarto motivo di doglianza riguarda i capi d'imputazione sub lettere W e X. Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui disattende le risultanze della relazione del commercialista della difesa in relazione ai bilanci della SVET, che escluderebbero l'elemento psicologico del reato di bancarotta sul presupposto della prova della solvibilità della società SVET. Censura, altresì, la motivazione nella parte in cui la Corte territoriale confuta l'ipotesi sostenuta dal giudice di primo grado, secondo la quale mancherebbe la prova della consapevolezza che la SVET, pagando il debito in favore della EURO TIR, volesse danneggiare gli altri creditori ed in particolare l'Erario, il cui credito non era stato ancora compulsato attraverso un'azione di messa in mora. Secondo il ricorrente la Corte non avrebbe tenuto in alcuna considerazione la circostanza che la dichiarazione di fallimento era stata richiesta dal pubblico ministero e che, quindi, non vi erano creditori interessati allo stesso fallimento. Sempre secondo il deducente è stato assolutamente inevitabile, in assenza di intimazioni a pagare da parte dell'Erario, la decisione della società di soddisfare il Fallimento EURO TIR, che peraltro, con richiesta del curatore, aveva già messo in mora la SVET per il pagamento dell'importo residuo del debito. Deduce il ricorrente, inoltre, che la SVET poteva contare sul patrimonio personale della socia accomandataria Pausi. 2.1.dd. Nella memoria del 21 novembre 2014 il ricorrente rileva che la decisione della Corte territoriale, in riforma di quella assolutoria di primo grado, sarebbe frutto di una serie di errori di valutazione probatoria, dovuti alla scelta dei giudici di trattare congiuntamente i fatti di cui al capo W e di cui al capo X, che hanno ad oggetto la restituzione da parte della SVET alla EURO TIR di somme ricevute a titolo di finanziamento. 7 Benché i fatti siano analoghi, secondo il ricorrente vi è una grossa differenza di cui la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto, ossia i momenti in cui sono avvenute le due condotte. In data 15 maggio 2002 la SVET vendeva alla società ELLETI l'immobile di Terzo in Aquileia, precedentemente acquistato grazie al finanziamento da parte di EURO TIR: a fronte di un prezzo pattuito di C 309.875, la società acquirente corrispondeva una somma pari a C 223.591,17, di cui 61.975 euro a titolo di Iva e 161.616,17 euro come prima rata del prezzo di acquisto del bene. Successivamente, la SVET, a titolo di restituzione della somma ricevuta, nel giugno del 2002, ovvero prima della dichiarazione di fallimento della EURO TIR, versava, in più occasioni, alla predetta società la somma contante complessiva di euro 73.600. Questo pagamento, sostiene la Corte territoriale, integra la bancarotta preferenziale, in quanto il CAPRARA ha voluto in qualche modo favorire la EURO TIR rispetto agli altri creditori della SVET, di cui era amministratore di fatto. Rileva il ricorrente che la condotta punita dal comma tre dell'articolo 216 legge fallimentare consiste nell'avere, tra l'altro, eseguito pagamenti prima o durante la procedura fallimentare "a scopo di favorire, a danno dei creditori, uno di essi". Pertanto, requisito implicito affinché il pagamento sia penalmente rilevante è che esso sia pregiudizievole per i creditori. Inoltre, affinché sia integrata la fattispecie di reato in questione, i pagamenti devono essere stati eseguiti in costanza dello stato di insolvenza della società fallita. Ma lo stato di insolvenza accertato nella sentenza di fallimento -secondo il ricorrente- non ha alcuna rilevanza per quanto riguarda il reato contestato al capo W. Infatti, in quella sentenza è stato accertato che la SVET si trovava in stato di insolvenza solo quando è stata presentata istanza di fallimento, ossia al termine dell'anno 2003. Nessuna parola è stata spesa per motivare se la società fosse già in stato di i nsolvenza nel momento in cui era stato effettuato il pagamento alla EURO TIR nel giugno 2002; e -secondo il ricorrente- non si può ragionevolmente ritenere che la SVET nel giugno 2002, dopo aver incassato C 223.591,17, si trovasse in stato di insolvenza. Peraltro, nel momento in cui è stato effettuato il pagamento alla EURO TIR non era neppure scaduto il termine per il pagamento dell'Iva, che avrebbe dovuto essere versata entro il 15 luglio 2002; pertanto, secondo il ricorrente, il pagamento alla EURO TIR non poteva arrecare alcun danno all'Erario, posto che, 8 al momento della scadenza, la società aveva ancora la disponibilità di C 149.991,17. Sostiene, inoltre, il ricorrente, che mancherebbe anche l'elemento soggettivo del reato, che è integrato dal dolo costituito dalla volontà di recare un vantaggio al creditore (o ai creditori), con l'accettazione dell'eventualità di un danno per altri. Nella sentenza impugnata, a tal proposito, si legge che non v'è dubbio che ciò sia stato oggetto di rappresentazione da parte dell'imputato, essendo evidente che l'impiego di quelle somme a vantaggio della creditrice EURO TIR avrebbe sostanzialmente privato definitivamente la SVET di ogni sua risorsa finanziaria e che, di conseguenza, la società non avrebbe più avuto i mezzi per il versamento dell'Iva. Tali affermazioni, secondo il ricorrente, sono palesemente smentite dalle risultanze processuali. In ordine al capo X deduce ulteriormente il ricorrente che la sentenza di primo grado aveva correttamente escluso la sussistenza del reato, affermando che "la scelta di effettuare, con l'importo percepito quale prima rata del prezzo di vendita, il pagamento del debito nei confronti di EURO Tir, precedentemente al versamento dell'Iva, trova giustificazione nel fatto che è verosimile che la curatela fallimentare avesse sollecitato detto pagamento. Appare dunque conforme alle risultanze probatorie esposte escludere una volontà distrattiva in relazione alla prima rata del prezzo di vendita, dovendosi anche rilevare che rimaneva a disposizione della SVET il residuo corrispettivo per fare fronte alle altre obbligazioni". La Corte d'appello, invece, ha ritenuto sussistente il reato affermando che il CAPRARA era consapevole del fatto che così facendo avrebbe lasciato la SVET priva di risorse economiche e che in tal modo la stessa non avrebbe potuto pagare l'Iva. Ciò sarebbe indicativo della finalità perseguita da CAPRARA, ossia quella di favorire il creditore EURO TIR rispetto all'Erario. Secondo il ricorrente tale motivazione deve essere censurata, tenuto conto anche del fatto che l'estinzione del debito da parte della SVET era stata intimata dal curatore fallimentare della EURO TIR, nel medesimo periodo in cui lo stesso sollecitava il CAPRARA a fare in modo che venissero pagati gli automezzi della società, altrimenti avrebbe agito nelle sedi opportune. È evidente, pertanto, secondo il deducente, che gli amministratori non sono stati mossi dall'intento di avvantaggiare un creditore rispetto all'altro, ma che hanno agito solo al fine di evitare un possibile fallimento della società o, comunque, un'azione legale da 9 parte del curatore della SVET, ben sapendo di poter estinguere successivamente il debito con l'Erario, pur dovendo pagare la mora per il ritardo. 2.1.e. Sempre nella memoria del 21 novembre 2014 è stata dedotta violazione di legge in relazione all'articolo 157 cod. pen., con riferimento alla prescrizione dei reati di cui ai capi W e X. La Corte territoriale, come si è detto, ha qualificato le condotte di cui ai suddetti capi d'imputazione come reati di bancarotta preferenziale. Secondo il deducente i due reati ad oggi hanno maturato il termine di prescrizione; in particolare, detto termine, per il reato sub capo W, era già maturato prima della pronuncia della sentenza impugnata. Infatti, il delitto di bancarotta preferenziale, a differenza di quello di bancarotta patrimoniale, si consuma nel momento in cui sono stati effettuati pagamenti e non in quello in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento. Nel caso di specie il pagamento di cui al suddetto capo W d'imputazione è stato effettuato nel giugno 2002. Ciò posto, essendo prevista per il reato di bancarotta preferenziale una pena detentiva massima pari a cinque anni, in base al combinato disposto di cui agli articoli 157 e 161 codice penale, tenuto conto della contestata recidiva, il termine massimo di prescrizione sarebbe maturato nel giugno 2012. Detto termine, però, tenuto conto dei periodi di sospensione -pari complessivamente ad anni uno, mesi uno, giorni nove, in primo grado, e giorni 21, in grado d'appello-, è definitivamente maturato nel luglio 2013. La sentenza impugnata è stata emessa in data 24 ottobre 2013, quindi in data successiva detto termine. Quanto invece al pagamento oggetto del capo X, la condotta risulta posta in essere in data 20 maggio 2003. Il termine massimo di prescrizione sarebbe maturato in data 20 maggio 2013 e, tenuto conto dei periodi di sospensione sopra indicati, è definitivamente maturato in data 20 luglio 2014. 2.1.f. Con ulteriore motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione e la mancata assunzione di una prova decisiva in ordine all'imputazione di cui al capo T. La Corte territoriale ha ritenuto fondata la responsabilità del CAPRARA in ordine all'imputazione concernente la formazione di sei cambiali, apparentemente emesse dalla società LOGISTICA in favore della SVET s.a.s. (società delle quali l'imputato era amministratore di fatto) e girate da quest'ultima alla GENERAL 10 BETON TRIVENETA s.p.a., società creditrice della SVET, mediante l'apposizione della sottoscrizione apocrifa di Desolina Pausi, socia accomandataria della stessa SVET. La ricostruzione dei fatti che ha consentito l'affermazione di responsabilità è basata sulle dichiarazioni rese da alcuni testi, ma il ricorrente sostiene che sarebbe stato necessario esaminare, ex articolo 507 cod. proc. pen., la Pausi, tenuto conto che l'assunto accusatorio si basa sulla falsità della firma di costei. 2.1.ff. Con la memoria del 21 novembre 2014 viene dedotta la nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell'articolo 606, comma uno, lettera B, in relazione agli articoli 491, 485 e 493 bis codice penale, per violazione di legge penale, con riferimento alla mancanza di querela per il reato di cui al capo T. Viene censurata la sentenza nella parte in cui ha confermato la condanna del CAPRARA per il reato di falsità in scrittura privata di documenti equiparati agli atti pubblici (nel caso di specie, cambiali) pur in mancanza di querela. 2.1.g. Nei motivi di ricorso è stato dedotto il vizio di motivazione anche con riferimento all'imputazione di cui al capo A, nel quale è stato contestato al CAPRARA di aver posto in essere, in concorso con altri soggetti, un'attività finalizzata a distrarre ed occultare i beni del patrimonio della società EURO TIR, di cui era amministratore e legale rappresentante, attraverso la cessione del parco automezzi (costituente gran parte del patrimonio della società) ad una fantomatica società americana, la B&A TRADE HOUSE. Per tale vendita era stata emessa la falsa fattura n. 293 in data 14 maggio 2002 e, quindi, poco prima della sentenza dichiarativa di fallimento del 3 luglio 2002. Successivamente il predetto parco automezzi era stato acquistato dalla LOGISTICA EURO EST s.r.I., della quale il CAPRARA risultava essere l'amministratore di fatto, con ciò consentendo a tale ultima società di poter svolgere la stessa attività di trasporto per conto terzi, negli stessi locali della società EURO TIR ed in gran parte con lo stesso personale. In ragione di ciò, secondo la Corte territoriale oggetto di distrazione sono stati anche i "fattori di produzione" della EURO TIR, costitutivi dell'avviamento, così come specificamente contestato nel capo d'imputazione in esame. A parere del ricorrente la Corte territoriale sarebbe incorsa in illogicità dell'assunto motivazionale nella parte in cui, oltre a prospettare argomentazioni prive di esauriente analisi delle risultanze probatorie, ha trascurato una prova decisiva, enunciata attraverso precisa doglianza sollevata nei motivi di appello. 11 Deduce il ricorrente che non vi sarebbe prova certa della simulazione del contratto tra la società fallita e quella americana, giacché la stessa curatela, invece di perseguire la strada della risoluzione di tale contratto, ex articolo 74 legge fallimentare, aveva fatto la scelta di incassare il prezzo pattuito per la cessione dei camion. La Corte territoriale non avrebbe adeguatamente motivato su questo punto ed inspiegabilmente -secondo il ricorrente- non avrebbe ritenuto necessario esaminare il curatore e il giudice delegato, proprio per chiarire le circostanze della suddetta scelta. Deduce il ricorrente, poi, una serie di circostanze di fatto che smentirebbero l'ipotesi accusatoria relativa alla distrazione del parco automezzi. Censura ancora il ricorrente la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, in riforma della pronunzia del giudice di primo grado, ha ritenuto sussistente l'ipotizzata distrazione dell'avviamento della fallita EURO TIR. 2.1.gg. Con la memoria del 21 novembre 2014 è stata dedotta la violazione di norma processuale con riferimento alla condanna per la distrazione dell'avviamento. In primo grado, il Tribunale di Gorizia aveva ritenuto che non fosse nemmeno ipotizzabile una distrazione di avviamento della EURO TIR alla data del fallimento, tenuto conto della situazione di insolvenza e del ruolo fondamentale svolto dal CAPRARA nelle relazioni commerciali della società. Sostiene il ricorrente che sul punto non hanno proposto impugnazione, nei confronti del CAPRARA, né il pubblico ministero né il procuratore generale, che hanno invece impugnato la sentenza di primo grado con riferimento al capo A solo nei confronti dell'avvocato GARLATTI. La Corte territoriale, però, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Gorizia, ha dichiarato il CAPRARA colpevole del reato di cui al capo A, anche con riferimento alla contestata distrazione dell'avviamento. In tal modo, secondo il ricorrente, è stato violato il principio devolutivo di cui all'articolo 597 cod. proc. pen. Nella stessa memoria del 21 novembre 2014 sono stati dedotti ulteriori motivi (violazione di legge e vizio di motivazione) con riferimento all'imputazione di cui al capo A. Innanzitutto, evidenzia il ricorrente, in tutti i casi in cui la giurisprudenza di legittimità si è occupata di distrazione dell'avviamento commerciale di un'azienda 12 si trattava di bancarotta patrimoniale prefallimentare e non post-fallimentare, come invece contestato nel caso in esame. Sostiene altresì che solo in caso di bancarotta prefallimentare si può ritenere che la società abbia un valore economico sotto il profilo dell'avviamento. Si ricorda, infatti, che per avviamento commerciale deve intendersi, nei suoi termini generali, la capacità di profitto di un'attività produttiva, ossia quell'attitudine che consente ad un complesso aziendale di conseguire risultati economici diversi (e, in ipotesi, maggiori) di quelli raggiungibili attraverso l'utilizzazione isolata dei singoli elementi che la compongono. Con riferimento ad una società già fallita, come nel caso di specie, non si può parlare di capacità di generare profitto e, quindi, di valore economico dei fattori aziendali in grado di generare I 'avviamento. 2.1.ggg. Passando alla condotta contestata con riferimento al parco automezzi, rileva il ricorrente nella memoria del 21 novembre 2014 che, secondo la Corte territoriale, la distrazione sarebbe consistita nel fatto che i camion non erano stati nella disponibilità della curatela per più di un anno dalla dichiarazione di fallimento. Tale assunto, però, non terrebbe debitamente conto delle risultanze processuali e, soprattutto, dei principi giurisprudenziali in tema di bancarotta patrimoniale per distrazione. E' infatti pacifico che l'elemento oggettivo della distrazione si realizzi tutte le volte in cui vi sia un ingiustificato distacco di beni o di attività, con il conseguente depauperamento patrimoniale che si risolve in un danno per la massa dei creditori. Sostiene il ricorrente che nel caso di specie si sarebbe verificata una mera sostituzione del cespite automezzi con denaro di importo adeguato al valore dello stesso. Infatti, la fuoriuscita degli automezzi dal patrimonio della società fallita è avvenuta (o meglio, sarebbe potuta avvenire) per mezzo di un contratto di compravendita che prevedeva un'adeguata contropartita (114.911,64 euro da corrispondersi in 36 rate); e tale adeguatezza può desumersi dalla stessa relazione del curatore fallimentare, il quale, venuto a conoscenza di questa cessione e delle relative modalità di pagamento, ha deciso di non sciogliere il contratto non ancora eseguito. Deduce peraltro il ricorrente il fatto che circa la metà degli automezzi erano sempre rimasti nel piazzale della società fallita e che il curatore ne era consapevole. 13 Quanto, invece, al fatto che il pagamento di tutto il parco automezzi sia avvenuto oltre un anno dopo il fallimento, ciò è dovuto a particolari circostanze, molte delle quali sorte su impulso proprio del curatore. Secondo il ricorrente, poi, quanto affermato dalla sentenza in ordine al corrispettivo pagato per l'acquisto del parco automezzi non troverebbe rispondenza nelle emergenze dibattimentali, rendendo la motivazione sul punto del tutto illogica e mancante. In primo luogo, il solo fatto che il curatore fallimentare invece di risolvere il contratto abbia deciso prima di darvi adempimento e poi di portare avanti delle lunghe trattative, pur avendo la disponibilità di circa la metà degli automezzi che ancora si trovavano nel piazzale della società fallita, dimostra che quella era l'operazione più vantaggiosa per i creditori. In secondo luogo, gli automezzi erano stati stimati per un valore complessivo di molto inferiore rispetto a quello corrisposto dalla LOGISTICA e lo stesso stimatore aveva espresso le sue perplessità sulla concreta possibilità di riuscire a venderli al prezzo stimato, in quanto si trattava di mezzi dai 12 ai 18 anni di età, in condizioni di manutenzione piuttosto scarsa. Sostiene, inoltre, il ricorrente che, quand'anche si volesse ritenere integrato il reato di bancarotta patrimoniale per distrazione da un punto di vista materiale, non si può affermare che sussista l'elemento soggettivo. Non si comprende, infatti, come un'operazione che va a sostituire degli automezzi difficili da vendere con una cospicua somma di denaro si possa ritenere posta in essere nella consapevolezza di arrecare un danno ai creditori, che invece in tal modo possono essere soddisfatti. 2.1.h. Con ulteriore motivo nel ricorso del CAPRARA è stato dedotto il vizio di motivazione in ordine all'imputazione di cui al capo E. La Corte territoriale ha ritenuto che l'annotazione nelle scritture contabili della EURO TIR della falsa fattura n. 293, attestante la cessione degli autoveicoli alla società americana, integra il delitto di bancarotta fraudolenta documentale. Secondo il ricorrente tale decisione non sarebbe stata adeguatamente motivata, non avendo risposto la Corte territoriale alle specifiche doglianze difensive formulate con l'atto d'appello e nulla avendo chiarito in ordine alla circostanza, non accertata, della effettiva lesione degli interessi dei creditori. Sostiene, altresì, il ricorrente che non vi sarebbe adeguata motivazione sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato ascritto. 14 2.1.hh. Nella memoria del 21 novembre 2014 il ricorrente censura ulteriormente la motivazione della sentenza, sostenendo che non si può ragionevolmente ritenere che la sostituzione di un'unica fattura con un'altra sia idonea a rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari della società e quindi ad integrare la condotta di bancarotta documentale. In ogni caso, la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente motivato sul punto. 2.1.i. Nel ricorso è stato dedotto pure il vizio di motivazione in relazione all'imputazione di cui al capo I. La Corte territoriale ha ritenuto provata la responsabilità dell'imputato in ordine al fatto di avere, in concorso con l'avvocato GARLATTI, formato la falsa proposta d'acquisto, apparentemente proveniente dalla società americana sopra citata, per l'acquisto del parco automezzi della EURO TIR e di aver apposto, in calce alla stessa, la firma apocrifa di Filomonau Alhe, apposizione materialmente commessa dall'avvocato GARLATTI. Secondo il ricorrente la sentenza impugnata va annullata nella parte in cui ha ritenuto (pur rilevando la necessità di una verifica in ordine alla circostanza di avere o meno il Filomonau prestato il consenso alla apposizione della propria firma) non provato il dato riferito dalla difesa in ordine alla possibilità che fosse stato proprio il suddetto Filomonau ad acconsentire alla falsificazione e non ha quindi ravvisato la necessità di esaminare quest'ultimo, la cui testimonianza sarebbe risultata necessaria anche per chiarire tutta un'altra serie di dubbi sulla vicenda. 2.1.11. Nella memoria del 21 novembre 2014 si censura la sentenza impugnata che ha ritenuto il CAPRARA responsabile del reato di falso in scrittura privata, costituita dalla proposta di acquisto del 14 ottobre 2003, senza che vi fosse la querela presentata dalla persona offesa Filimonau Aleh, bensì solo quella del curatore del fallimento. Ritiene il ricorrente che la motivazione della Corte territoriale sul punto sia priva di logica e non tiene conto delle risultanze processuali, che escluderebbero la sussistenza di un danno al fallimento EURO TIR, il quale, conseguentemente, non può ritenersi persona offesa dal reato e titolare del relativo diritto di querela. 2.1.1. Con altro motivo di ricorso è stato dedotto il vizio di motivazione in 15 relazione all'imputazione di cui al capo O. Tale imputazione riguarda la falsa attestazione di autenticità da parte dell'avvocato GARLATTI, in concorso con il CAPRARA, delle firme apposte sull'istanza di dissequestro presentata presso gli uffici della procura della Repubblica di Gorizia. Il ricorrente ritiene che la sentenza sia affetta da un grave vizio di motivazione per carenza ed illogicità, non essendo manifeste le ragioni in base alle quali i giudici di merito hanno attribuito all'imputato il ruolo di istigatore, tenuto conto peraltro del fatto che non è stata assunta una prova ritenuta decisiva ovvero l'esame della persona offesa. 2.1.m. Nella memoria del 21 novembre 2014 è stata dedotta la violazione di legge in relazione all'articolo 157 cod. pen., con riferimento alla prescrizione dei reati di cui ai capi I, O e T. Deduce il ricorrente che la Corte territoriale ha omesso di dichiarare tale prescrizione, ritenuta invece sussistente per il GARLATTI. I giudici di appello hanno sostenuto che ostativa alla declaratoria di prescrizione per il CAPRARA sia la contestata recidiva ex articolo 99 comma quattro cod. pen. Deduce il ricorrente che nella sentenza impugnata, però, non si è tenuto conto del fatto che tutti questi reati sono stati commessi prima dell'entrata in vigore della legge 251/2005, che ha riformulato completamente la disciplina della prescrizione del reato e prevede che, ai fatti posti in essere prima dell'entrata in vigore della stessa si continua ad applicare la vecchia normativa, ad eccezione dei casi in cui "per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione risultino più brevi" (articolo 10). Sostiene il ricorrente che nel caso di specie è evidente che sia più favorevole la vecchia normativa, nella quale, tra l'altro, la recidiva non aveva alcuna incidenza sul tempo necessario per prescrivere i reati. Prima della riforma, infatti, l'articolo 160, comma 2, cod. pen. disponeva che, nei casi di interruzione del corso della prescrizione, i termini stabiliti dall'articolo 157 non potevano essere prolungati oltre la metà, a nulla rilevando l'eventuale contestazione della recidiva. Applicando le vecchie norme, quindi, il tempo necessario a prescrivere i reati contestati al CAPRARA nei suddetti capi di imputazione è inferiore, ma soprattutto i relativi termini erano già maturati al momento della sentenza della Corte d'appello. Infatti, quanto al capo I il reato di falsità in scrittura privata sarebbe stato commesso tra il 14 ottobre 2003 e la fine di ottobre 2003. Non essendo 16 specificata la data esatta di consumazione, in applicazione del principio del favor rei, ai fini del computo della prescrizione si deve far riferimento al 14 ottobre 2003. Ciò posto, essendo prevista per il reato ex articolo 485 cod. pen. una pena detentiva massima inferiore ai cinque anni, in base al combinato disposto degli articoli 157 e 160 cod. pen., così come formulati prima della riforma, il termine massimo di prescrizione sarebbe maturato in data 14 aprile 2011. Detto termine, però, tenuto conto dei periodi di sospensione -pari complessivamente a anni uno, messi uno e giorni nove, in primo grado, e giorni 21 in grado di appello-, è definitivamente maturato in data 13 giugno 2012. La sentenza impugnata è stata emessa in data 24 ottobre 2013, quindi in data successiva detto termine. Quanto al reato di cui al capo O, il ricorrente deduce che la data di commissione è indicata nel 29 gennaio 2004 ed essendo prevista per il reato ex articolo 481 cod. pen. una pena detentiva massima inferiore ai cinque anni, in base al combinato disposto degli articoli 157 e 160 cod. pen., così come formulati prima della riforma, il termine massimo di prescrizione è maturato in data 29 luglio 2011. Detto termine, però, tenuto conto dei periodi di sospensione sopra indicati, è definitivamente maturato in data 28 settembre 2012. Infine, quanto al capo T, il reato sarebbe stato commesso nel gennaio 2004. Non essendo specificata la data esatta di consumazione, in applicazione del principio del favor rei, ai fini del computo della prescrizione si deve far riferimento al 3 gennaio 2004 (data delle cambiali). Il reato di falsità in scrittura privata di documenti equiparati agli atti pubblici è punito con la pena detentiva prevista dall'articolo 476 cod. pen. (reclusione da uno a sei anni), ridotta ai sensi dell'articolo 482 cod. pen. di un terzo (da otto mesi a quattro anni). Pertanto, essendo anche in questo caso è prevista una pena detentiva massima inferiore ai cinque anni e il termine massimo di prescrizione sarebbe maturato in data 13 luglio 2011. Detto termine, però, tenuto conto dei periodi di sospensione sopra indicati, è definitivamente maturato in data 12 settembre 2012 e, quindi, in data antecedente la sentenza della Corte d'appello. 2.1.n. Con ulteriore motivo di ricorso viene dedotto il vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio. Secondo il ricorrente è inadeguata la motivazione con riguardo all'aumento apportato in applicazione dell'articolo 219 legge fallimentare. Viene censurata inoltre la motivazione della sentenza nella parte in cui è stato 17 apportato un aumento superiore rispetto a quello effettuato dal primo giudice per la contestata recidiva, senza che se ne desse precisa ed esaustiva contezza sul piano logico e giuridico. 2.1.nn. In ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio sono state formulate ulteriori censure con la memoria del 21 novembre 2014 Il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, motivato dalla Corte territoriale solo sulla base dei precedenti penali del CAPRARA, non tenendo conto del comportamento di questi, che si sarebbe attivato in ogni modo affinché le società fallite potessero pagare i loro creditori. Quanto poi alla recidiva, il ricorrente deduce ulteriormente che con l'aumento di pena, che era già stato operato dei giudici di primo grado, la medesima circostanza dei precedenti penali è stata valutata due volte: una volta con riferimento all'esclusione delle attenuanti generiche, un'altra volta per giustificare un aumento consistente della pena per la recidiva contestata 2.1.0. Con la memoria del 11 novembre 2014 uno dei difensori del CAPRARA ha ulteriormente censurato la motivazione della sentenza d'appello nella parte in cui, in parziale accoglimento del ricorso del procuratore generale, ha aumentato la pena irrogata all'imputato per la recidiva contestata, non essendo condivisibile -secondo il ricorrente- il giudizio di obbligatorietà dell'applicazione della stessa recidiva. In ordine a tale profilo è stata richiamata l'ordinanza depositata in data 10 settembre 2014 dalla quinta sezione penale di questa Corte, che ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 99, comma 5, cod. pen., nella parte in cui prevede l'aumento obbligatorio della pena per la recidiva in riferimento agli articoli 3 e 27 Cost., sotto il profilo della manifesta irragionevolezza della norma censurata e della identità di trattamento di situazioni diverse cui essa dà luogo. Il ricorrente ha quindi chiesto la sospensione del giudizio fino all'esito del giudizio dinanzi alla Corte costituzionale. 2.1.p. Con la memoria del 21 novembre 2014 il ricorrente ha dedotto il motivo nuovo della violazione di legge di norme processuali con riferimento alla ordinanza del 2 ottobre 2006, con la quale il Tribunale di Gorizia ha disposto la trascrizione di alcune conversazioni telefoniche intercorse tra il CAPRARA e 18 l'avvocato GARLATTI, ritenendo inapplicabile il divieto di cui all'articolo 103, comma cinque, cod. proc. pen.. Nello stesso senso si è espressa, a seguito dell'impugnazione dei difensori, anche la Corte d'appello. Le conversazioni telefoniche con l'avvocato sono state quindi poste a fondamento della ritenuta colpevolezza del CAPRARA con riferimento al reato di cui al capo O. Queste intercettazioni, però, secondo il ricorrente, sono illegittime e i loro risultati non possono essere utilizzati: si tratta, infatti, di intercettazioni di conversazioni tra un avvocato e il suo assistito. 2.2. Bruno GARLATTI, con ricorso sottoscritto dal suo difensore avv. Giuseppe Campeis, ha dedotto quanto segue in ordine ai soli capi di imputazione A ed E, essendo stati gli altri reati ascrittigli dichiarati estinti per intervenuta prescrizione. 2.2.a. Con il primo motivo vengono dedotti violazione di legge e vizio di motivazione, nonché la nullità della sentenza ex art. 522 cod. proc. pen. Il ricorrente ha sostenuto che dall'ampia istruttoria dibattimentale sono emersi una serie di elementi che escludono la possibilità di configurare in capo all'avvocato GARLATTI un concorso nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale avente ad oggetto la distrazione degli automezzi e dell'avviamento della EURO TIR s.r.I.. Deduce il ricorrente che, se per configurare la bancarotta fraudolenta patrimoniale è sufficiente un distacco materiale dei beni, è evidente che la distrazione degli automezzi nel caso in esame è avvenuta ben prima dell'intervento dell'avvocato GARLATTI e senza il suo contributo; non esiste alcuna condotta, alcun dato fattuale, alcun elemento concreto da cui desumere l'esistenza di un'attività rafforzativa della volontà del CAPRARA posta in essere dal GARLATTI precedentemente alla sottrazione fisica degli automezzi. Né è in alcun modo ipotizzabile un concorso nella distrazione dell'avviamento, rispetto alla quale non è neppure stata elevata alcuna specifica contestazione di condotte concretamente idonee ad agevolare la distrazione da parte del GARLATTI. Sostiene, peraltro, il ricorrente che, ove si dovesse ritenere che la distrazione si abbia con un distacco non solo materiale, ma anche giuridico (atto negoziale), è evidente che nel caso di specie non possa ravvisarsi alcuna distrazione, posto 19 che gli automezzi sono sempre rimasti di proprietà della società fallita, che li ha poi venduti nel gennaio del 2004. Deduce inoltre che si debba dare risposta al quesito se sia configurabile una distrazione di beni che poi il curatore ha venduto, incassando il corrispettivo ritenuto congruo, in base alle norme e procedure che presidiano l'attività di rilevanza pubblicistica posta in essere dagli organi fallimentari. I fatti, secondo il ricorrente, dimostrerebbero che non vi è mai stata la distrazione degli automezzi (che sono sempre rimasti nel patrimonio della fallita), ma, tutt'al più, un occultamento degli stessi, rispetto al quale il falso contratto di vendita si è posto come un posterius, del tutto logicamente svincolato dalla precedente condotta idonea -eventualmente- ad integrare il reato di bancarotta. Il ricorrente censura la sentenza impugnata per mancanza di motivazione in ordine all'ipotizzato accordo che ci sarebbe stato tra lui e il CAPRARA. Non v'è alcun elemento di prova da cui desumere l'esistenza di tale accordo in ordine alla distrazione sia dei mezzi sia dell'avviamento. Anzi, la teste Del Moro ha dichiarato che l'idea di occultare gli automezzi fu esclusivamente della CAPRARA, essendo il GARLATTI intervenuto fattivamente solo in un secondo momento, quando, peraltro, il CAPRARA aveva già fatto emettere e registrare in contabilità la falsa fattura di vendita degli automezzi. Deduce, inoltre, il ricorrente che la Corte territoriale ha preso in esame una serie di condotte del GARLATTI diverse ed ulteriori rispetto alle specifiche condotte indicate nel capo d'imputazione sub A, nel quale si fa riferimento soltanto alla formazione del falso contratto di vendita del 29 agosto 2002 e alla formazione della proposta di acquisto del dicembre del 2003, riportante firme apocrife apposte dallo stesso GARLATTI. Nella sentenza impugnata sono però evidenziate ulteriori condotte del GARLATTI non contestate nel capo d'imputazione (e, quindi, su cui è mancato il contraddittorio, secondo il ricorrente), ma che la Corte, unitamente alle due condotte espressamente contestate, ha ritenuto idonee ad integrare il reato di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale. Sotto questo profilo, secondo il deducente, vi sarebbe stata violazione dell'articolo 522 cod. proc. pen. Ribadisce il ricorrente che lui è intervenuto solo nel settembre del 2002, allorquando, avviati i contatti come difensore con il curatore, ha consegnato il contratto di vendita dei mezzi e, quindi, dopo la distrazione degli stessi. Quindi si 20 tratta di condotta di ausilio ex post, che nulla ha a che vedere con il concorso nella bancarotta fraudolenta. Deduce, inoltre, il ricorrente che la sentenza impugnata merita censura anche nella parte in cui ha ritenuto sussistente il concorso nella distrazione dell'avviamento. Sostiene che secondo la giurisprudenza di legittimità è configurabile la distrazione dell'avviamento quando quest'ultimo costituisca un bene economicamente apprezzabile e quindi che sia trasferito unitamente all'azienda. Nel caso di specie tale trasferimento non c'è stato. 2.2.aa. Con riferimento alla bancarotta documentale post-fallimentare di cui al capo E, il ricorrente sostiene che sia il giudice di primo grado che la Corte territoriale hanno errato nel ritenere configurabile tale reato con riferimento all'avvenuta formazione del contratto ideologicamente falso di vendita dei mezzi alla B&A House Trade ed alla consegna dello stesso al curatore fallimentare. Le condotte penalmente rilevanti di bancarotta documentale post - fallimentare sono soltanto quelle di sottrazione, distruzione, falsificazione dei libri e/o delle scritture contabili. Nel caso di specie la condotta è quella di aver falsificato un contratto di vendita di automezzi e consegnato al curatore del fallimento: consegnare al curatore un contratto non equivale a falsificare una scrittura contabile, secondo il ricorrente. All'epoca in cui tale contratto venne formato, poi, era già stata registrata in contabilità la relativa falsa fattura di vendita, mentre il contratto non è mai stato registrato. Il ricorrente inoltre rileva che la Corte territoriale ha ritenuto assorbito nell'imputazione di cui al capo E il fatto ascrittogli originariamente nel capo L, ai sensi dell'articolo 232, comma uno, legge fallimentare, per aver presentato domanda di ammissione al passivo del fallimento in relazione al credito fraudolentemente simulato- di euro 6408,32, asseritamente maturato per aver predisposto e redatto il contratto di apparente vendita in data 14 maggio 2002, nel quale la società fallita figura cedere il proprio parco automezzi alla fantomatica società americana. Secondo il ricorrente tenuto conto dell'autonomia del reato di cui all'articolo 232, comma uno, legge fallimentare rispetto a quello di bancarotta fraudolenta documentale post-fallimentare, la Corte territoriale non doveva ritenerlo assorbito nell'imputazione di cui al capo E) e, conseguentemente, doveva dichiarare la sua estinzione per intervenuta prescrizione. 21 2.2.b. Con un secondo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge con riferimento agli articoli 74 cod. proc. pen., 185 cod. pen., 2555 cod. civ., 216, 219, 223 legge fallimentare. All'esito del processo di primo grado, il Tribunale di Gorizia condannava il ricorrente al pagamento di una provvisionale pari ad euro 20.000. All'esito del processo di secondo grado, la Corte d'appello, in riforma della sentenza di primo grado, quintuplicava l'ammontare della provvisionale concessa, aumentandola sino a C 100.000 e ponendola a carico dell'avvocato GARLATTI, in solido con il CAPRARA. Secondo il ricorrente tale decisione è incomprensibile, immotivata e contrastante con le risultanze processuali. Rileva il ricorrente che la Corte territoriale, dopo aver dato atto dell'avvenuta valutazione dell'avviamento da parte del curatore in euro 54.227, ha stabilito di liquidare, per tale posta patrimoniale, senza giustificazione alcuna, una somma quasi doppia. Peraltro, deduce il ricorrente, non vi è stata alcuna sottrazione di un avviamento. Gli unici beni temporaneamente sottratti alla materiale disponibilità della curatela sono stati gli automezzi, la cui distrazione, come evidenziato nella sentenza di primo grado, venne ideata e realizzata autonomamente dal CAPRARA. 2.2.c. In data 2 dicembre 2014 il difensore del GARLATTI ha depositato una memoria nella quale, oltre ad evidenziare che con la parte civile è stata trovata una soluzione conciliativa, ha ribadito i motivi già dedotti. 2.3. Paolo MULITZSCH ha proposto ricorso deducendo violazione di legge perché vi sarebbe la prova positiva ed evidente della sua innocenza. Sostiene il ricorrente che il reato previsto dall'articolo 481 cod. pen. è formale e può essere commesso solo dall'avvocato all'atto di apposizione della cosiddetta firma di autentica. Nel caso di specie, quindi, si sarebbe dovuto accertare chi fosse l'autore della firma di autentica, essendo pacifico che la firma autenticata fosse falsa. Nella consulenza del pubblico ministero, però, non è stata sottoposta ad esame la cosiddetta firma di autentica e conseguentemente non si è accertato se la stessa fosse del MULITISCH. Di contro, la consulenza della difesa ha accertato che nessuna delle firme apposte sull'atto di precetto in questione appartiene all'avvocato MULITISCH. Alla luce di tali risultanze, secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto emettere sentenza di assoluzione. 22 Deduce ulteriormente il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe basato la sua decisione su mere illazioni, in quanto si è limitata a valutare scarsamente verosimile una delle tante ipotesi alternative, non motivando sulle altre e facendo riferimento solo a concetti di verosimiglianza. Deduce inoltre il vizio di motivazione in quanto è illogico e contraddittorio affermare che nessuno avrebbe avuto interesse a falsificare l'atto di precetto, apparentemente riferito all'avvocato MULITISCH, quando è stato accertato che altri soggetti hanno falsificato il successivo atto di pignoramento, sempre apparentemente a lui riferibile. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi proposti nell'interesse degli imputati CAPRARA e GARLATTI sono fondati limitatamente ai profili qui di seguito indicati, mentre quello dell'imputato MULITISCH è inammissibile. 2. Preliminarmente va disposto lo stralcio degli atti relativi al reato di cui al capo T, con formazione di un nuovo fascicolo intestato a Flavio CAPRARA perché è necessario verificare se negli atti del processo sia stata acquisita la querela. 2.1. La Corte territoriale, confermando la decisione di primo grado, ha ritenuto fondata la responsabilità del CAPRARA in ordine all'imputazione concernente la formazione di sei cambiali, apparentemente emesse dalla società LOGISTICA in favore della SVET s.a.s. (società delle quali l'imputato era amministratore di fatto) e girate da quest'ultima alla GENERAL BETON TRIVENETA s.p.a., società creditrice della SVET, mediante l'apposizione della sottoscrizione apocrifa di Desolina Pausi, socia accomandataria della stessa SVET. La ricostruzione dei fatti che ha consentito l'affermazione di responsabilità è basata sulle dichiarazioni rese da alcuni testi, ma il ricorrente sostiene che sarebbe stato necessario esaminare ex articolo 507 cod. proc. pen. la Pausi, tenuto conto che l'assunto accusatorio si basa sulla falsità della firma di costei. Con la memoria del 21 novembre 2014 è stata dedotta la nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell'articolo 606, comma uno, lettera B, in relazione agli articoli 491,485 e 493 bis codice penale, per violazione di legge penale, con riferimento alla mancanza di querela per il reato di cui al capo T. Viene censurata la sentenza nella parte in cui ha confermato la condanna del CAPRARA 23 per il reato di falsità in scrittura privata di documenti equiparati agli atti pubblici (nel caso di specie, cambiali) pur in mancanza di querela. 2.2. Sebbene il ricorrente abbia dedotto la questione della carenza di querela solo con una memoria depositata successivamente all'atto di ricorso, questa Corte deve verificare se vi sia la condizione di procedibilità, trattandosi di questione rilevabile di ufficio. Peraltro, nessun dubbio può nutrirsi sul fatto che il reato di falsità in titolo di credito, come quello di falsità di qualsiasi altra scrittura privata, sia divenuto, per effetto dell'art. 493 bis cod. pen., punibile a querela della persona offesa, come si evince dal capoverso della citata disposizione, la quale mantiene la procedibilità di ufficio per le sole falsità concernenti un testamento olografo. (Sez. 5, n. 34685 del 16/03/2005, Rv. 232314). La giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, sin dai primi anni di applicazione dell'articolo 493 bis cod. pen., introdotto dall'articolo 89 della legge 24 novembre 1981 n. 689, ha stabilito che il reato dì falsità in scrittura privata di documenti equiparati agli atti pubblici dall'articolo 491 cod. pen. è punibile a querela della persona offesa in tutti i casi in cui la falsità non riguarda un testamento olografo (così SS.UU. 17 aprile 1982, Corapi, in Cass. Pen. 1982, 1494). Sentenze successive hanno ribadito che, nonostante l'infelice formulazione dell'articolo 493 bis cod. pen., che non fa nessun esplicito riferimento all'articolo 491 cod. pen., l'equiparazione prevista da tale norma di alcuni documenti agli atti pubblici è soltanto agli effetti della pena, mentre non vi può essere dubbio che ai fini della perseguibilità tali documenti siano vere e proprie scritture private (si veda, Cass. 9 marzo 1984, Avalle, Rv. 164984). Peraltro nel caso in esame è indubbiamente necessario verificare l'esistenza della querela, giacché quando la Corte viene investita dell'esame di una questione di procedibilità e, quindi, di una questione processuale, essendo sul punto anche giudice del fatto, deve esaminare gli atti e valutarli, non fermandosi alle affermazioni più o meno errate dei giudici di merito. Negli atti trasmessi a questa Corte non è stato rinvenuto l'atto di querela, sicché si deve provvedere a richiedere tale atto -ove sia stato presentato- al giudice d'appello. 3. Passando all'esame dei motivi di impugnazione proposti da CAPRARA e GARLATTI, ritiene questa Corte opportuno trattare le questioni nell'ordine 24 proposto dai singoli imputati, salvo su alcuni profili comuni ad entrambi, di cui si dirà in seguito. 4. Infondati sono i motivi di ricorso proposti da Flavio CAPRARA in relazione all'imputazione di cui al capo Z, con la quale gli è stata contestata, quale amministratore di fatto (in concorso con Milos Vranjkovic e Roberta Del Moro), la bancarotta documentale commessa mediante falsificazione dei libri e delle scritture contabili della LOGISTICA EURO EST s.r.I., annotando operazioni di acquisto e storno non corrispondenti al vero e, in particolare, annotando operazioni rappresentate da una nota di accredito e una serie di false fatture di vendita di camion, apparentemente ceduti prima dalla EURO TIR alla B&A TRADE HOUSE Ltd (società ritenuta nell'ipotesi accusatoria inesistente) e poi sempre apparentemente rivenduti da tale società straniera alla LOGISTICA. Si legge nella sentenza impugnata quanto segue. "Si tratta, in sintesi: 1) delle fatture formate materialmente dalla Del Moro, sulla base di istruzioni impartitele dal CAPRARA, attraverso l'uso di un computer e di una stampante a colori, ed annotate nelle scritture contabili della Logistica, apparentemente da B&A Trade House Ltd nel settembre 2002 e concernenti le fittizie operazioni di cessione, da parte di tale -inesistente - società, in favore della Logistica, di quegli stessi automezzi che, sulla base del -falso- contratto del 14.5.2002, risultavano essere stati venduti dalla Eurotir alla predetta società americana; 2) della nota di credito, a storno delle precedenti operazioni economiche, sempre apparentemente emesse dalla B&A, nel dicembre 2003, in favore della Logistica". 4.1. In ordine alla contestazione da parte del ricorrente della sussistenza del "danno alla massa dei creditori" e dell'elemento oggettivo della bancarotta documentale, va preliminarmente precisato che non è consentito a questa Corte trarre valutazioni autonome dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Infatti, solo l'argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova contenuta nel provvedimento impugnato può essere sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all'esigenza della completezza espositiva (Sez. 6, n. 40609/2008, Rv. 241214, Ciavarella). E' ormai principio consolidato che a questa Corte non possono essere sottoposti giudizi di merito, non consentiti neppure alla luce del nuovo testo dell'art. 606, 25 lettera e, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, Rv. 253567). Orbene, passando all'esame della sentenza impugnata in questa sede, va rilevato che la Corte territoriale ha motivato in maniera logica e congrua, affermando che "la tesi sostenuta dall'appellante, secondo cui le operazioni di acquisto di storno, aventi ad oggetto gli stessi automezzi, si sarebbero annullate reciprocamente senza rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società, non è condivisibile: deve, al contrario, ritenersi che l'annotazione di quelle -false- fatture nella contabilità della LOGISTICA non solo creavano un quadro del tutto difforme dalla realtà economica della società, trattandosi di operazione destinata a far falsamente apparire come esistente un rapporto economico -che si sarebbe protratto per oltre un anno- del tutto fittizio, con evidenti ripercussioni sulla ricostruzione dell'effettività del patrimonio e del reale movimento degli affari della società fallita, ma avevano anche lo specifico scopo di occultare la condotta distrattiva dell'intero parco automezzi commessa in danno della EUROTIR e di consentire al CAPRARA il conseguimento dell'ingiusto profitto rappresentato dalla prolungata disponibilità degli automezzi sottratti al fallimento, mentre l'emissione, da parte della LOGISTICA, della nota di credito del dicembre 2003 non era di certo un'operazione di trasparenza contabile postuma, effettuata allo scopo di annullare ad origine gli effetti della falsa rappresentazione contabile relativa alle fatture (apparentemente) emesse dalla società americana nei confronti della LOGISTICA, ma, come riferito dalla Del Moro, era invece esclusivamente finalizzata, attraverso un ulteriore artificio contabile, a rendere possibile, sotto il profilo formale, la realizzazione dell'operazione negoziale intercorsa tra la LOGISTICA ed il Fallimento EURO TIR". Tale motivazione non presenta vizi censurabili in questa sede, avendo chiaramente evidenziato come la condotta posta in essere abbia avuto l'attitudine di creare un effettivo pregiudizio per la ricostruzione dell'andamento contabile della società fallita (si veda, in materia, Sez. 5, n. 41051 del 19/06/2014, Rv. 260773). 4.2. Il ricorrente ha censurato ulteriormente la sentenza, deducendo che non avrebbe motivato sulla sussistenza dell'elemento psicologico del reato contestato nel capo Z. Anche tale motivo è, però, infondato sia alla luce di quanto si desume dalla parte della motivazione sopra riportata, nella quale è chiaramente esplicitata la 26 valutazione in ordine alle finalità perseguite dall'imputato con le annotazioni contabili in esame, sia alla stregua della precisazione fatta dal giudice d'appello in ordine agli elementi necessari ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta documentale come contestata in questa sede. La giurisprudenza di questa Corte è da tempo orientata nel senso che, mentre "per le ipotesi di sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture contabili, per espresso dettato della legge (art. 216, comma 1, n. 2), è necessario il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori" (Sez. 5, 13 ottobre 1993, Rv. 195896), per le ipotesi di irregolare tenuta della contabilità, caratterizzate dalla tenuta delle scritture "in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari", è richiesto, invece, il dolo intenzionale, perché la finalità dell'agente è riferita a un elemento costitutivo della stessa fattispecie oggettiva, l'impossibilità di ricostruire il patrimonio e gli affari dell'impresa, anziché a un elemento ulteriore, non necessario per la consumazione del reato, qual è il pregiudizio per i creditori (Sez. 5, n. 21872 del 25/03/2010, Rv. 247444; Sez. 5, n. 1137 del 17/12/2008, Rv. 242550; Sez. 5, 18 febbraio 1992, De Simone, Rv. 189813). Appare utile aver presente, peraltro, che -diversamente dalla distinzione tra dolo intenzionale e dolo diretto o eventuale- la distinzione tra dolo generico e dolo specifico non attiene all'intensità, ma alla struttura del dolo; e, come rileva la giurisprudenza di questa Corte, l'intenzione di rendere impossibile o estremamente difficile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari dell'impresa fallita "cela, di per sé, sul piano pratico lo scopo di danneggiare i creditori o di procurarsi un vantaggio" (Sez. 5, 24 marzo 1981, Rv. 148926; Sez. 5, 8 novembre 1971, Rv 119792). Quindi, nella prospettiva dell'accertamento, alle diverse configurazioni del dolo nelle due ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale non corrisponde una sostanziale diversificazione nell'onere probatorio per l'accusa, perché è pur sempre necessario escludere in entrambi i casi la rilevanza di un atteggiamento psicologico di mera superficialità dell'imprenditore fallito (Sez. 5, 6 dicembre 1999, Rv. 216267). Infatti, un atteggiamento di superficialità è proprio della bancarotta documentale semplice, che può essere caratterizzata dal dolo o indifferentemente dalla colpa, che sono ravvisabili quando l'agente ometta, rispettivamente, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture (Sez. 5, n. 48523 del 27 06/10/2011, Rv. 251709; Sez. 5, n. 38598 del 09/07/2009, Rv. 244823; Sez. 5, 18 ottobre 2005, Rv. 233997). 5. Infondate sono pure le censure mosse in relazione al capo 3, nel quale è stato ascritto al CAPRARA (in concorso con Svetlana Milivojevic e Desolina Pausi) il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 216, comma 1, n. 1, 219 comma 2 e 223 L.F., per avere, nella sua qualità di legale rappresentante ed amministratore della EURO TIR s.r.I., nonché di amministratore di fatto della SVET s.a.s., posto in essere attività di distrazione di capitali della EURO TIR, concedendo alla SVET finanziamenti di somme per un ammontare complessivo di euro 223.016,16, privi di qualsiasi giustificazione economico - finanziaria. Va premesso che in ordine a tale imputazione in primo grado v'era stata sentenza di assoluzione del giudice di primo grado, che la Corte territoriale ha riformato in seguito all'appello dei rappresentanti dell'ufficio del pubblico ministero e delle parti civili. 5.1. Il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che il finanziamento concesso dalla EURO TIR alla SVET per l'acquisto di un immobile fosse un escamotage per distrarre i beni della società senza un reale interesse. Il giudice di primo grado aveva motivato l'assoluzione facendo riferimento al fatto che il finanziamento erogato dalla EURO TIR a favore della SVET, per un totale di euro 223.016,16, era stato correttamente contabilizzato, prevedeva interessi e poi era stato interamente restituito. La Corte territoriale non ha dato alcuna rilevanza a queste circostanze ed ha, invece, ritenuto integrato il reato, affermando che quell'operazione non poteva "essere finalizzata ad accrescere il capitale sociale della EURO TIR, posto che la società si trovava già in stato di dissesto" e che quel finanziamento "non trovava fondamento in alcuna giustificazione economico-finanziaria della EURO TIR". Secondo il ricorrente la Corte territoriale non ha tenuto conto del fatto che, nel momento in cui era stata erogata la parte rilevante del finanziamento, la società non si trovava ancora in una fase di dissesto. Tale circostanza è, però, del tutto irrilevante, per le ragioni che qui di seguito si diranno, mentre va preliminarmente precisato che l'esame della motivazione della sentenza impugnata consente di ritenere che la Corte territoriale, riformando la pronunzia assolutoria di primo grado, non si sia solo basata su una 28 interpretazione alternativa degli stessi elementi probatori utilizzati dal Tribunale, ma abbia argomentato in maniera adeguata e specifica sulle ragioni a sostegno della diversa lettura delle risultanze processuali. Secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. Un., n. 33748 del 12 luglio 2005, Mannino, Rv. 231679). Tali principi sono stati costantemente ribaditi da questa Corte, con la precisazione che il giudice dell'appello non può limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 8361 del 17 gennaio 2013, p.c. in proc. Rastegar, Rv. 254638), ma deve provvedere ad una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (Sez. 5, n. 42033 del 17 ottobre 2008, Pappalardo, Rv. 242330), giungendo ad affermare l'illegittimità della sentenza d'appello che, in riforma di quella assolutoria condanni l'imputato sulla base di una alternativa interpretazione del medesimo compendio probatorio utilizzato nel primo grado di giudizio, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore della motivazione, tale da far cadere "ogni ragionevole dubbio" (Sez. 6, n. 49755 del 21 novembre 2012, G., Rv. 253909). In definitiva il giudice d'appello, quando, immutato il materiale probatorio acquisito al processo, affermi sussistente una responsabilità penale negata nel giudizio di primo grado, deve confrontarsi espressamente con il principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, non limitandosi pertanto ad una rilettura di tale materiale e quindi ad una ricostruzione alternativa, ma spiegando perché, dopo il confronto puntuale con quanto di diverso ritenuto e argomentato dal giudice che ha assolto, il proprio apprezzamento è l'unico ricostruibile proprio al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano caratterizzato il primo giudizio minandone conseguentemente la permanente sostenibilità. A tali oneri la Corte di Appello nel caso di specie ha provveduto in maniera puntuale e logica, indicando le fonti di prova dalle quali ha desunto la compromissione patrimoniale di consistenza della società EURO TIR, già 29 registrata nell'esercizio chiuso al 31 dicembre 2000, sicché l'operazione di finanziamento alla SVET non ha avuto alcun fondamento e giustificazione economico - finanziaria. Nella sentenza sono evidenziati specificamente gli elementi di fatto a confutazione della tesi difensiva e correttamente si rileva che l'avvenuta restituzione delle somme finanziate, in seguito ad espressa richiesta della curatela, non esclude la sussistenza del reato già consumatosi. Come la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di affermare (Sez. 5, 23 marzo - 14 aprile 1999, n. 4739), l'elemento oggettivo del delitto in esame è costituito dal distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore, con conseguente possibilità di depauperazione patrimoniale nei confronti dei creditori. Anche il recupero - ad esempio attraverso un'azione revocatoria o con atto di restituzione dell'imputato - o la possibilità del recupero del bene è del tutto ininfluente sulla sussistenza dell'elemento materiale, in quanto la fattispecie si perfeziona al momento del distacco del bene dal patrimonio, anche se il reato viene ad esistenza giuridica con la dichiarazione di fallimento, mentre il recupero della res rappresenta solo un posterius, equiparabile alla restituzione della refurtiva dopo la consumazione del furto (Sez. 5, n. 39635 del 23/09/2010, Rv. 248658). Anche il fatto che i creditori del fallimento comunque non sarebbero stati lesi, secondo l'affermazione del ricorrente, non appare rilevante. L'accertamento dello stato di insolvenza e la conseguente dichiarazione di fallimento del giudice civile, infatti, non possono essere messi in dubbio dal giudice penale; con la dichiarazione di fallimento vengono ad esistenza giuridica i fatti di distrazione commessi in precedenza. Gli eventi successivi a detta dichiarazione - quali ad esempio revocatorie fallimentari che consentano il recupero di beni - non incidono sulla sussistenza dell'illecito, il quale, pertanto, rimane integro anche nel caso in cui i beni vengano successivamente rinvenuti e recuperati dagli organi fallimentari, avendo il legislatore inteso colpire la manovra diretta alla sottrazione, con la conseguenza che rimane tutelata anche la mera possibilità di danno per i creditori (Sez. 5, 17 marzo - 15 maggio 1987, n. 6168). 5.2. Secondo il ricorrente la motivazione della sentenza impugnata sarebbe carente anche in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento 30 psicologico del reato in esame, in quanto non avrebbe preso in considerazione tutte le circostanze evidenziate dalla difesa che, al contrario, dimostrerebbero l'assenza di dolo in capo al CAPRARA. Gli assunti difensivi sono infondati. La Corte d'appello, dopo aver precisato che per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione non è necessario il dolo specifico, ha rilevato che il CAPRARA non poteva ragionevolmente ignorare che la corresponsione di risorse finanziarie così rilevanti alla SVET (società di cui lui era amministratore di fatto), non giustificate da un'esigenza dell'attività di impresa della EURO TIR, avrebbero potuto danneggiare il ceto creditorio ed era, al contrario, perfettamente consapevole dell'incompatibilità di tali operazioni con gli interessi della stessa EURO TIR, che non a caso, solo in epoca successiva al fallimento avrebbe ottenuto la restituzione della somma erogata a titolo di finanziamento. Ha quindi evidenziato, con motivazione logica e coerente, gli elementi di fatto dai quali ha desunto la sussistenza in capo all'imputato dell'elemento soggettivo proprio del reato in esame. Occorre, a tal proposito, tener presente che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. 5, n. 52077 del 04/11/2014, Rv. 261348; Sez. 5, n. 21846 del 13/02/2014, Rv. 260407; Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012, Rv. 253932). 6. Con il terzo motivo il CAPRARA ha dedotto il vizio di motivazione in relazione all'imputazione di cui al capo Y, nel quale viene ascritto il reato di bancarotta fraudolenta aggravata per distrazione di capitali della SVET s.a.s. e, in particolare, di almeno euro 136.147,13 del maggiore importo di euro 149.197,13, costituendo il saldo (comprensivo di interessi di mora) del prezzo dovuto alla suddetta società dalla ELLETI s.r.l. per il contratto di compravendita di immobile. La Corte territoriale, disattendendo la tesi difensiva, secondo la quale la SVET non si sarebbe mai trovata in stato di insolvenza e che neppure il pagamento di somme in favore della EURO TIR ed il successivo finanziamento operato in favore della LOGISTICA avrebbero influito in tal senso, ha ritenuto che si trattasse di 31 operazioni che esulavano del tutto dall'attività della SVET e che soprattutto non risultavano essere state effettuate nell'interesse della predetta società. Secondo il ricorrente, non essendo stato provato che dall'attività posta in essere dalla SVET sia derivata una diminuzione pregiudizievole del patrimonio sociale, con lesione dei diritti dei creditori (essendo stata, peraltro, la richiesta di fallimento presentata dal pubblico ministero) e, in assenza di situazioni debitorie effettive, deve escludersi che si possa configurare il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione. Il ricorso appare manifestamente infondato e basato su una serie di deduzioni in fatto, non valutabili in questa sede; e, a tal proposito, si richiamano qui i principi in materia di questioni deducibili con l'impugnazione in cassazione. Va detto, inoltre, che la Corte territoriale, con motivazione congrua, logica ed esaustiva, ha ritenuto la sussistenza del reato ascritto affermando, tra l'altro, che le operazioni economiche indicate nel capo d'imputazione costituiscono atti di distrazione patrimoniale di risorse finanziarie che la SVET aveva conseguito incassando il prezzo riveniente dalla vendita dell'unico immobile di sua proprietà e che nessuna giustificazione contabile veniva rilevata in relazione a tali pagamenti. Tali indicazioni appaiono sufficienti a fondare la conferma della pronunzia di primo grado, dovendo rammentarsi, peraltro, che in sede di legittimità non è censurabile la sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame, quando questa risulta disattesa dalla motivazione complessivamente considerata; è sufficiente, infatti, per escludere la ricorrenza del vizio previsto dall'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della prospettazione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013 - dep. 15/01/2014, Cento e altri, Rv. 259643; Sez. 5, n. 607 del 14/11/2013, Rv. 258679). A completamento di quanto qui detto, si evidenzia infine che nel caso in esame la sentenza impugnata ha confermato quella di primo grado, sicché vanno ribaditi i principi secondo i quali, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si trova dinanzi a una "doppia pronuncia conforme" e cioè a una doppia pronuncia (in primo e in secondo grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di assoluzione), l'eventuale vizio di travisamento può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta 32 introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Rv. 258438). 7. Infondato è pure il quarto motivo di ricorso proposto dal CAPRARA in ordine ai capi d'imputazione sub lettere W e X. 7.1. La Corte territoriale, in seguito all'appello del Pubblico Ministero e della parte civile, ha ritenuto, riformando la sentenza di primo grado, provata la responsabilità dell'imputato per entrambe le imputazioni in ordine a fatti "analoghi" e, pertanto, analizzati congiuntamente, in quanto relativi alla distrazione dalle casse della SVET della somma di euro 61.975,00, ricevuta dalla ELLETI a titolo di IVA per la compravendita dell'immobile indicato nel punto precedente, nonché della somma di euro 161.616,17, costituente la prima rata del prezzo di vendita dello stesso immobile, somme che venivano destinate all'estinzione dei crediti della stessa SVET verso la EURO TIR. I fatti sono riferiti al fallimento della SVET ed ascritti al CAPRARA in qualità di amministratore di fatto di tale società. Il Tribunale di Gorizia ha assolto l'imputato dalla reato ascrittogli al capo W perché il fatto non sussiste, ritenendo che, al momento della restituzione del prestito a EURO TIR non risultava che la SVET fosse in condizioni di insolvenza (testimonianza Busolini), nonché dal reato di cui al capo X per difetto dell'elemento soggettivo del reato, in quanto la scelta di effettuare, con la prima rata del prezzo di vendita dell'immobile, il pagamento del debito nei confronti di EUROTIR poteva essere giustificato dal fatto che verosimilmente la curatela aveva sollecitato detto pagamento. 7.2. Risulta dalla motivazione della sentenza impugnata che, in data 15 maggio 2002, la SVET vendeva alla società ELLETI l'immobile di Terzo in Aquileia, precedentemente acquistato grazie al finanziamento da parte dell'EURO TIR; a fronte di un prezzo pattuito di C 309.875, la società acquirente corrispondeva una somma pari a C 223.591,17, di cui 61.975 euro a titolo di Iva e 161.616,17 euro come prima rata del prezzo di acquisto del bene. Successivamente, la SVET, a titolo di restituzione della somma ricevuta, nel giugno del 2002, ovvero prima della dichiarazione di fallimento della EURO TIR, versava, in più occasioni, alla predetta società la somma contante complessiva di euro 73.600. 33 Questo pagamento, sostiene la Corte territoriale, integra la bancarotta preferenziale, in quanto il CAPRARA ha voluto in qualche modo favorire la EURO TIR rispetto agli altri creditori della SVET, di cui era amministratore di fatto. 7.3. Nella memoria del 21 novembre 2014 è stata dedotta violazione di legge in relazione all'articolo 157 cod. pen., con riferimento alla prescrizione dei reati di cui ai capi W e X. La Corte territoriale, come si è detto, ha qualificato le condotte di cui ai suddetti capi d'imputazione come reati di bancarotta preferenziale. Secondo il deducente i due reati ad oggi hanno maturato il termine di prescrizione, ritenendo che tale termine, a differenza di quello per il reato di bancarotta patrimoniale, si consumi nel momento in cui sono stati effettuati pagamenti e non in quello in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento. Tale assunto fa leva sull'indirizzo espresso da una pronuncia di questa Corte, secondo cui il reato di bancarotta fraudolenta preferenziale si consuma nel momento dei pagamenti, irrilevante essendo la data della sentenza dichiarativa di fallimento (Sez. 5, n. 37428 del 19/05/2009, Gambino e altri, Rv. 244617). Tale indirizzo, tuttavia, non può essere seguito. Questo Collegio, infatti, ritiene di confermare il più recente orientamento, a mente del quale, anche in caso di bancarotta preferenziale, il termine di prescrizione decorre dal momento della sentenza dichiarativa di fallimento (Sez. 5, n. 48739 del 14/10/2014, Grillo Luigi, Rv. 261299; Sez. 5, n. 26548 del 19/03/2014, Rv. 260577; Sez. 5, n. 592 del 04/10/2013, De Florio, Rv. 258712). Punto di riferimento sulla natura della sentenza dichiarativa di fallimento è l'affermazione secondo cui "la dichiarazione di fallimento, pur costituendo un elemento imprescindibile per la punibilità dei reati di bancarotta, si differenzia concettualmente dalle condizioni obiettive di punibilità vere e proprie perché, mentre queste presuppongono un reato già strutturalmente perfetto, sotto l'aspetto oggettivo e soggettivo essa, invece, costituisce, addirittura, una condizione di esistenza del reato o, per meglio dire, un elemento al cui concorso è collegata l'esistenza del reato, relativamente a quei fatti connmissivi od omissivi anteriori alla sua pronunzia; e ciò in quanto attiene così strettamente all'integrazione giuridica della fattispecie penale, da qualificare i fatti medesimi, i quali, fuori del fallimento, sarebbero, come fatti di bancarotta, penalmente irrilevanti" (Sez. U, n. 2 dep. 25/01/1958, Mezzo, Rv. 98004). 34 Tale orientamento ha trovato conferma nella successiva giurisprudenza di questa Corte e, più di recente, le Sezioni Unite hanno affermato quanto segue: "La giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte è schierata nel senso che il decreto di ammissione all'amministrazione controllata ripete, nell'ambito della corrispondente fattispecie di bancarotta, la stessa natura e gli stessi effetti della sentenza dichiarativa di fallimento ed integra, pertanto, un elemento costitutivo del reato e non già una mera condizione obiettiva di punibilità, presupponendo questa un reato già strutturalmente perfetto, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo" (Sez. U, n. 24468 del 26/02/2009, Rizzoli, Rv. 243585). Il ruolo rivestito dalla sentenza dichiarativa di fallimento nelle fattispecie di bancarotta prefallimentare - compresa la bancarotta preferenziale - si riflette sull'individuazione del relativo tempus commissi delicti: si è così precisato che la data di commissione del reato di bancarotta fraudolenta coincide normalmente, tranne che per le ipotesi di bancarotta postfallimentare, con quella di dichiarazione del fallimento, che è un elemento costitutivo del reato e non una condizione oggettiva di punibilità, sicché "tale reato si concretizza in tutti i suoi elementi costitutivi solo nel caso in cui il soggetto che abbia commesso anche in precedenza attività di sottrazione dei beni sia dichiarato fallito" (Sez. 1, n. 1825 del 06/11/2006, Iacobucci, Rv. 235793; Sez. 5, n. 306 del 17/11/1989, Sargenti, Rv. 183026). Il principio ha trovato puntuale conferma con riguardo al termine di efficacia dei provvedimenti relativi all'applicazione dell'amnistia o indulto (Sez. 5, n. 7814 del 22/03/1999, Di Maio ed altri, Rv. 213867), in tema di determinazione della competenza per territorio (Sez. 5, n. 1935 del 19/10/1999, Auriemma, Rv. 216433) e in riferimento all'estinzione del reato per prescrizione: infatti, dal principio di diritto in forza del quale la sentenza dichiarativa di fallimento è un elemento costitutivo del reato di bancarotta fraudolenta, con la conseguenza che fatti altrimenti irrilevanti sul piano penale o, comunque, integranti altri reati possono essere considerati lesivi degli interessi dei creditori ed incidenti negativamente sul regolare svolgimento dell'attività imprenditoriale, tanto da essere specificamente perseguiti penalmente, deriva che la prescrizione decorre dal momento della consumazione del reato e, quindi, nella specie, dalla sentenza dichiarativa di fallimento (Sez. 5, n. 46182 del 12/10/2004, Rossi ed altro, Rv. 231167; Sez. 5, n. 32164 del 15/05/2009, Querci, Rv. 244488, in tema di bancarotta fraudolenta impropria). 35 È dunque in questo quadro che va collocata l'affermazione generale - riferibile anche alla bancarotta preferenziale - delle Sezioni unite di questa Corte secondo cui "la bancarotta pre-fallimentare si consuma nel momento e nel luogo in cui interviene la sentenza di fallimento, mentre la consumazione di quella postfallimentare si attua nel tempo e nel luogo in cui vengono posti in essere i fatti tipici" (Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011 - dep. 26/05/2011, P.M. in proc. Loy, Rv. 249668; si veda anche, proprio con riferimento ad un'ipotesi di bancarotta preferenziale, Sez. 3, n. 34912 del 13/07/2011, Sartore). Alla luce della considerazioni svolte deve dunque conclusivamente affermarsi che il reato di bancarotta preferenziale pre-fallimentare si consuma nel momento in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento. In applicazione dei principi sopra enunciati, quindi, va rigettata la richiesta della difesa di declaratoria di estinzione per prescrizione dei reati di bancarotta preferenziale di cui ai capi di imputazione sopra indicati. 7.4. Passando all'esame degli altri profili del motivo di ricorso in esame, va detto che il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui disattende le risultanze della relazione del commercialista della difesa in relazione ai bilanci della SVET, che escluderebbero l'elemento psicologico del reato di bancarotta sul presupposto della prova della solvibilità della società SVET. Deduce, inoltre, che -affinché sia integrata la fattispecie del reato in questione- i pagamenti devono essere stati eseguiti in costanza dello stato di insolvenza della società fallita; ma lo stato di insolvenza accertato nella sentenza di fallimento secondo il ricorrente- non ha alcuna rilevanza per quanto riguarda il reato contestato al capo W. Infatti, in quella sentenza è stato accertato che la SVET si trovava in stato di insolvenza solo quando è stata presentata istanza di fallimento, ossia al termine dell'anno 2003. Nessuna parola è stata spesa per motivare se la società fosse già in stato di insolvenza nel momento in cui è stato effettuato il pagamento alla EURO TIR nel giugno 2002. Secondo il ricorrente non si può ragionevolmente ritenere che la SVET nel giugno 2002, dopo aver incassato C 223.591,17, si trovasse in stato di insolvenza. Peraltro, nel momento in cui è stato effettuato il pagamento alla EURO TIR non era neppure scaduto il termine per il pagamento dell'Iva, che avrebbe dovuto essere versata entro il 15 luglio 2002; pertanto, secondo il ricorrente, il pagamento alla EURO TIR non 36 poteva arrecare alcun danno all'Erario, posto che, al momento della scadenza, la società aveva ancora la disponibilità di € 149.991,17. In ordine a tale profilo, però, la Corte territoriale ha motivato correttamente, evidenziando che la questione relativa all'accertamento dello stato di insolvenza della società è, in realtà, priva di rilevanza, poiché la sentenza di fallimento non è in alcun modo sindacabile quanto alla sussistenza dei suoi presupposti dal giudice penale (Sez. 5, n. 9279 del 08/01/2009, Carottini, Rv. 243160; Sez. U, n. 19601 del 28/02/2008, Niccoli, Rv. 239398). 7.5. Il ricorrente censura, altresì, la motivazione nella parte in cui la Corte territoriale confuta l'ipotesi sostenuta dal giudice di primo grado, secondo la quale mancherebbe la prova della consapevolezza che la SVET, pagando il debito in favore della EURO TIR, volesse danneggiare gli altri creditori ed in particolare l'Erario, il cui credito non era stato ancora compulsato attraverso un'azione di messa in mora. Rileva il ricorrente che la condotta punita dal comma tre dell'articolo 216 legge fallimentare consiste nell'avere, tra l'altro, eseguito pagamenti prima o durante la procedura fallimentare "a scopo di favorire, a danno dei creditori, uno di essi". Mancherebbe, nel caso di specie, tale elemento soggettivo, che è integrato dal dolo costituito dalla volontà di recare un vantaggio al creditore (o ai creditori) con l'accettazione dell'eventualità di un danno per altri. In ordine a tale profilo, però, la Corte territoriale ha reso motivazione congrua e logica. Si legge, infatti, che "il Caprara, in un momento in cui la SVET si trovava nello stato d'insolvenza sopra descritto -ed a lui noto- abbia voluto, attraverso le specifiche operazioni contestate, favorire la EURO TIR, alterando così la par condicio creditorum, e rappresentandosi o, quantomeno, accettando il rischio di cagionare un danno agli altri creditori, nel caso di specie l'erario, in virtù del debito tributario derivante dal versamento dell'IVA, da parte della ELLETI, in relazione al contratto di compravendita immobiliare". Richiama, quindi, la Corte territoriale la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta preferenziale è costituito dal dolo specifico, ravvisabile quando l'atteggiamento psicologico del soggetto agente sia rivolto a preferire intenzionalmente un creditore, con concomitante riflesso, anche secondo lo schema tipico del dolo eventuale, nel pregiudizio per altri (Sez. 5, n. 673 del 21/11/2013, Lippi, Rv. 257963; Sez. 5, n. 592 del 37 04/10/2013, De Florio, Rv. 258713; Sez. 5, n. 31894 del 26/06/2009, Petrone, Rv. 244498). La Corte territoriale ha quindi evidenziato perché sia individuabile in capo al CAPRARA il dolo specifico, affermando che "non v'è dubbio che ciò sia stato oggetto di rappresentazione da parte dell'imputato, essendo evidente che l'impiego di quelle somme a vantaggio della creditrice EUROTIR avrebbe sostanzialmente privato definitivamente la SVET di ogni sua risorsa finanziaria, che, pertanto, la società, come ha rilevato il curatore fallimentare, non avrebbe più avuto i mezzi per il versamento dell'IVA e che, al contrario, l'esposizione debitoria verso l'Erario avrebbe subiti un rilevante e progressivo incremento senza che vi fosse alcuna concreta prospettiva di un suo proprio risanamento...". Tale motivazione non appare meritevole di censure. 7.6. In ordine al capo X deduce ulteriormente il ricorrente che la sentenza di primo grado aveva correttamente escluso la sussistenza del reato affermando che "la scelta di effettuare, con l'importo percepito quale prima rata del prezzo di vendita, il pagamento del debito nei confronti di EURO TIR, precedentemente al versamento dell'Iva trova giustificazione nel fatto che è verosimile che la curatela fallimentare avesse sollecitato detto pagamento. Appare dunque conforme alle risultanze probatorie esposte escludere una volontà distrattiva in relazione alla prima rata del prezzo di vendita, dovendosi anche rilevare che rimaneva a disposizione della SVET il residuo corrispettivo per fare fronte alle altre obbligazioni". È evidente, pertanto, secondo il deducente, che gli amministratori non sono stati mossi dall'intento di avvantaggiare un creditore rispetto all'altro, ma che hanno agito solo al fine di evitare un possibile fallimento della società o, comunque, un'azione legale da parte del curatore della SVET, ben sapendo di poter estinguere successivamente il debito con l'Erario, pur dovendo pagare la mora per il ritardo. L'assunto è destituito di fondamento, dovendo invece condividersi quanto rilevato dalla Corte d'appello, con adeguata e logica motivazione, affermando come si è già detto- che il CAPRARA era consapevole del fatto che così facendo avrebbe lasciato la SVET priva di risorse economiche e che in tal modo la stessa non avrebbe potuto pagare l'Iva. Ciò, come si è sopra già rilevato, è indicativo della finalità perseguita dal CAPRARA, ossia quella di favorire il creditore EURO TIR rispetto all'Erario. 38 8. Nei motivi di ricorso proposto dal CAPRARA è stato dedotto il vizio di motivazione anche con riferimento all'imputazione di cui al capo A, nel quale è stato contestato al suddetto imputato di aver posto in essere, in concorso con altri soggetti tra cui il GARLATTI, un'attività finalizzata a distrarre ed occultare i beni del patrimonio della società EURO TIR, di cui era amministratore e legale rappresentante, attraverso la cessione del parco automezzi (costituente gran parte del patrimonio della società) ad una fantomatica società americana, la B&A TRADE HOUSE. Per tale vendita era stata emessa una falsa fattura in data 14 maggio 2002 e, quindi, poco prima della sentenza dichiarativa di fallimento del 3 luglio 2002. Dopo il fallimento il predetto parco automezzi era stato acquistato dalla LOGISTICA EURO EST s.r.I., della quale il CAPRARA era amministratore di fatto, con ciò consentendo a tale ultima società di poter svolgere la stessa attività di trasporto per conto terzi, negli stessi locali della società EURO TIR ed in gran parte con lo stesso personale. In ragione di ciò, secondo la Corte territoriale oggetto di distrazione sono stati anche i "fattori di produzione" della EURO TIR, costitutivi dell'avviamento, così come specificamente contestato nel capo d'imputazione in esame. E sul punto ha riformato la sentenza assolutoria di primo grado. 8.a.l. In ordine alla posizione del CAPRARA va subito affrontato l'esame della parte dell'imputazione riguardante la distrazione dell'avviamento. Con la memoria del 21 novembre 2014 è stata dedotta la violazione di norma processuale con riferimento alla riforma in appello della pronunzia assolutoria in primo grado. Sostiene il ricorrente, infatti, che sul punto non hanno proposto impugnazione, nei confronti del CAPRARA, né il pubblico ministero né il procuratore generale, che hanno invece impugnato la sentenza di primo grado con riferimento al capo A solo nei confronti dell'avvocato GARLATTI. La Corte territoriale, però, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Gorizia, ha dichiarato il CAPRARA colpevole del reato di cui al capo A anche con riferimento alla contestata distrazione dell'avviamento. In tal modo, secondo il ricorrente, è stato violato il principio devolutivo di cui all'articolo 597 cod. proc. pen. 39 La doglianza è fondata e di conseguenza merita accoglimento, sebbene si tratti di motivo del tutto nuovo (non è stato infatti dedotto con il ricorso originario), essendo la relativa questione rilevabile di ufficio. In effetti, anche dalla stessa sentenza risulta che solo negli atti di appello delle parti civili è stata dedotta la questione relativa alla distrazione dell'avviamento (pag. 29 della sentenza), mentre negli atti dei rappresentanti dell'ufficio del Pubblico Ministero non risulta interposto appello avverso la pronunzia assolutoria del CAPRARA in ordine al profilo in esame (pagg. 26 - 29 della sentenza). L'esame diretto degli atti conferma peraltro quanto rilevato. La Corte territoriale ha quindi errato nel riformare la sentenza di primo grado con una pronunzia di affermazione di responsabilità penale dell'imputato, non essendo stata devoluta la relativa questione negli atti dei rappresentanti della pubblica accusa. 8.a.2. Dovendo provvedersi alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio sul punto e dovendo peraltro essere vagliate le ragioni dedotte in ordine alle statuizioni civili, va annullata la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Trieste in ordine alla posizione di Flavio CAPRARA relativamente alla distrazione dell'avviamento dell'EURO TIR di cui al capo A delle imputazioni. Tale decisione rende superfluo l'esame degli altri profili posti dal ricorrente CAPRARA in ordine alla decisione della Corte territoriale sulla distrazione dell'avviamento. 8.b. Con riferimento alla stessa imputazione di distrazione dell'avviamento di cui al capo A la sentenza va annullata in ordine alla posizione di Bruno GARLATTI per non aver questi commesso il fatto. Come si dirà più avanti in riferimento alla condotta distrattiva degli automezzi, questa Corte ritiene sia configurabile in capo al GARLATTI il reato di favoreggiamento originariamente contestato nell'imputazione alternativa sub AA. Fondato, invece, deve ritenersi il motivo di ricorso proposto dal suddetto imputato in relazione al fatto di distrazione dell'avviamento. In effetti, come sostiene il ricorrente, nel capo di imputazione in esame (capo A), sebbene articolato in una lunga descrizione dei fatti, non è stata delineata la condotta del GARLATTI, all'epoca difensore del CAPRARA, nella quale si sarebbe sostanziato il concorso nella distrazione dell'avviamento. 40 Invero, tutta l'attività del GARLATTI descritta nell'imputazione è riconducibile nell'agevolazione del CAPRARA ad assicurare l'avvenuta distrazione gli automezzi, mentre nessun ruolo sembra aver avuto il difensore nella cessione dell'avviamento alla Logistica Euro Est s.r.l. Né sul punto possono trarsi spunti ulteriori dalla lettura della motivazione della sentenza della Corte territoriale, che -va ricordato- sul punto ha riformato la pronunzia di primo grado. Tutte le risultanze probatorie descritte e valutate dalla Corte di Appello delineano un ruolo del GARLATTI incentrato sul favoreggiamento del CAPRARA ovvero nel portargli ausilio per assicurare gli effetti del disegno criminoso relativo alla distrazione degli automezzi della EURO TIR, mentre non risulta indicata alcuna condotta, alcun dato fattuale, alcun elemento concreto da cui desumere l'esistenza di un'attività rafforzativa della volontà del CAPRARA di distrarre l'avviamento in favore della società LOGISTICA. La stessa Corte territoriale ha nella motivazione evidenziato che la condotta del GARLATTI non era finalizzata a fornire un contributo alla distrazione realizzata dal CAPRARA in via del tutto autonoma, ma ha avuto lo "specifico scopo di consentirgli di mantenere la disponibilità dei beni oggetto di sottrazione". Si tratta, quindi, di un intervento del legale GARLATTI successivo alla condotta distrattiva posta in essere dal CAPRARA in concorso con altri soggetti. 9. Non può essere accolto il ricorso del CAPRARA in relazione alla imputazione, contestata sempre nel capo A, di bancarotta per la distrazione degli automezzi della EURO TIR. Pare opportuno affrontare ancora congiuntamente, poiché riguarda lo stesso fatto, anche il ricorso di Bruno GARLATTI, dovendo peraltro, in relazione alla posizione di costui, essere annullata la sentenza senza rinvio. Infatti, ritiene questa Corte che correttamente il giudice di primo grado aveva ritenuto configurabile il reato di favoreggiamento di cui al capo AA in relazione alla condotta tenuta dal GARLATTI per la distrazione degli automezzi sub capo A. Qualificato in tal senso il reato, sì deve dichiarare la sua estinzione per prescrizione. 9.a. Il ricorso del CAPRARA è manifestamente infondato, giacché basato su una serie di deduzioni in fatto e di profili già rappresentati con l'atto di appello, che la Corte territoriale ha dettagliatamente vagliato e ai quali ha 41 risposto con motivazione esente da vizi logici e di metodo. Giova rammentare in proposito quanto già evidenziato in ordine al principio secondo il quale a questa Corte non possono essere sottoposti giudizi di merito, non consentiti neppure alla luce del nuovo testo dell'art. 606, lettera e), cod. proc. pen.; la modifica normativa di cui alla legge 20 febbraio 2006 n. 46 lascia inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito. Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, la cui mancanza, illogicità o contraddittorietà può essere desunta non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati; è perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza allorché si introduce nella motivazione un'informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia. Più approfonditamente, si è affermato che la specificità dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., dettato in tema di ricorso per Cassazione al fine di definirne l'ammissibilità per ragioni connesse alla motivazione, esclude che tale norma possa essere dilatata per effetto delle regole processuali concernenti la motivazione, attraverso l'utilizzazione del vizio di violazione di legge di cui al citato articolo, lett. c). E ciò, sia perché la deducibilità per Cassazione è ammessa solo per la violazione di norme processuali stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, sia perché la puntuale indicazione di cui al punto e) ricollega ai limiti in questo indicati ogni vizio motivazionale; sicché il concetto di mancanza di motivazione non può essere utilizzato sino a riconnprendere ogni omissione od errore che concernano l'analisi di determinati, specifici elementi probatori (Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567). Tanto premesso, occorre rilevare che tutti i profili del motivo in esame proposti dal ricorrente si limitano a censurare proprio la sussistenza di prove a suo carico, con riferimento sia all'elemento oggettivo sia a quello soggettivo del reato contestato. Quanto dedotto è però -come si è detto- incentrato su una serie di argomentazioni finalizzate a una rilettura ovvero ricostruzione dei fatti diversa da quella operata dai giudici di merito, ricostruzione inibita a questa Corte. Peraltro, l'esame del provvedimento impugnato consente di apprezzare come la motivazione del giudice d'appello sia congrua ed improntata a criteri di logicità e coerenza, anche nella valutazione dettagliata delle risultanze processuali, sicchè 42 appare destituita di fondamento anche la censura del ricorrente il quale ha lamentato il rigetto della richiesta di esame in appello del curatore e del giudice delegato. Tale censura non può apprezzarsi neppure come "error in procedendo" rilevante ex art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen., che -come è noto- è configurabile soltanto quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti decisiva, cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa; e la valutazione in ordine alla decisività della prova deve essere compiuta accertando se i fatti indicati dalla parte nella relativa richiesta fossero tali da poter inficiare le argomentazioni poste a base del convincimento del giudice di merito (Sez. 4, n. 23505 del 14/03/2008 - dep. 11/06/2008, Di Dio, Rv. 240839). Va, inoltre, evidenziato che nel giudizio d'appello, trattandosi di un procedimento critico che ha per oggetto la sentenza impugnata, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale è un istituto di carattere eccezionale, rispetto all'abbandono del principio di oralità del secondo grado, nel quale vale la presunzione che l'indagine istruttoria abbia ormai raggiunto la sua completezza nel dibattimento svoltosi innanzi al primo giudice. In una tale prospettiva, l'art. 603, comma 1, cod.proc.pen. non riconosce carattere di obbligatorietà all'esercizio del potere del giudice d'appello di disporre la rinnovazione del dibattimento, anche quando è richiesta per assumere nuove prove, ma vincola e subordina tale potere, nel suo concreto esercizio, alla rigorosa condizione che il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti. Con la conseguenza che, se è vero che il diniego dell'eventualmente invocata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale deve essere spiegato nella sentenza di secondo grado, la relativa motivazione (sulla quale nei limiti della illogicità e della non congruità è esercitabile il controllo di legittimità) può anche ricavarsi per implicito dal complessivo tessuto argomentativo, qualora il giudice abbia dato comunque conto delle ragioni in forza delle quali abbia ritenuto di potere decidere allo stato degli atti (Sez. 4, 28/04/2011, n. 23297). Tanto è in concreto avvenuto nel caso di specie. Né va trascurato ancora una volta che la sentenza impugnata sul punto in esame ha confermato quella di primo grado (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 - dep. 29/01/2014, Capuzzi e altro, Rv. 258438). Si deve giusto precisare, rispondendo in tal modo a una specifica censura avanzata dal ricorrente, che del tutto irrilevante per la configurabilità della 43 condotta distrattiva è il fatto che gli automezzi sono stati in gran parte recuperati dalla curatela e da quest'ultima venduti. Va infatti ribadito il principio secondo il quale, in tema di bancarotta fraudolenta, il recupero del bene distratto a seguito di azione revocatoria non spiega alcun rilievo sulla sussistenza dell'elemento materiale del reato di bancarotta, il quale perfezionato al momento del distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore viene a giuridica esistenza con la dichiarazione di fallimento, mentre il recupero della "res" rappresenta solo un "posterius", avendo il legislatore inteso colpire la manovra diretta alla sottrazione, con la conseguenza che è tutelata anche la mera possibilità di danno per i creditori. (Sez. 5, n. 39635 del 23/09/2010, Rv. 248658; Sez. 5, n. 8607 del 28/05/1982, Rv. 155366; Sez. 5, n. 14905 del 25/02/1977, Rv. 137340). E altrettanto irrilevante deve ritenersi la circostanza di fatto che una buona parte degli automezzi siano rimasti fisicamente nell'area della sede della società EURO TIR anche dopo l'attività del CAPRARA finalizzata alla loro vendita. La bancarotta fraudolenta per distrazione si configura ogniqualvolta la condotta dell'imputato sia diretta ad impedire che un bene del fallito sia utilizzato per il soddisfacimento dei diritti della massa dei creditori. Tale effetto si produce o può prodursi sia quando il bene sia venduto, sia quando venga anche temporaneamente ceduto e lo spostamento possa recare pregiudizio ai creditori (arg. da Sez. 5, n. 10220 del 19/09/1995, Rv. 203006), tant'è che anche un contratto di locazione può integrare gli estremi della bancarotta per distrazione ove sia stipulato in previsione del fallimento ed allo scopo di trasferire la disponibilità di tutti o dei principali beni aziendali ad altro soggetto giuridico (Sez. 5, Sentenza n. 3302 del 28/01/1998, Rv. 209947). In particolare, si è rilevato che "un contratto di locazione stipulato per finalità estranee all'azienda può integrare gli estremi della bancarotta per distrazione, quando venga stipulato in previsione del fallimento ed allo scopo di trasferire la disponibilità di tutti o dei principali beni aziendali ad altro soggetto giuridico. Un tale contratto, infatti, lascia l'impresa dissestata nell'impossibilità di esercitare qualsiasi attività economica e poiché produce effetti anche dopo il fallimento del locatore (art. 80 legge fall.), ostacola gli organi del fallimento nella liquidazione dell'attivo (rendendo difficile la collocazione sul mercato di beni non immediatamente disponibili) e danneggia i creditori concorsuali (determinando una drastica diminuzione del valore di mercato dei beni locati)" (Sez. 5, n. 46508 del 44 27/11/2008, Rv. 242614; Sez. 5, Sentenza n. 11207 del 29/10/1993, Rv. 196456). 9.b. Come si è già detto in relazione alla posizione del GARLATTI la sentenza va annullata senza rinvio, dovendo essere qualificata la condotta ascrittagli con riferimento alla distrazione degli automezzi della società EURO TIR come favoreggiamento e come ipotizzato nella originaria contestazione alternativa sub capo AA La stessa descrizione dei fatti che si legge nelle contestazioni e la loro ricostruzione operata dai giudici di merito, sulla base delle risultanze processuali, consentono di ritenere che in effetti l'intervento del GARLATTI nelle vicende relative alla distrazione degli automezzi si è sostanziato in una attività successiva al distacco di tali beni dal patrimonio della fallita EURO TIR ovvero quando il CAPRARA aveva già fatto emettere e registrare in contabilità la falsa fattura di vendita degli stessi automezzi. Va, a tal proposito, ribadito che la Corte territoriale ha riformato in peius la sentenza di primo grado con riferimento alla qualificazione giuridica dei fatti descritti nel capo A, ritenendo sussistente il concorso nel reato di bancarotta fraudolenta e non quello di favoreggiamento, come detto, contestato nell'imputazione alternativa sub capo AA. E fondate appaiono, in proposito, le censure mosse dal ricorrente in ordine al fatto che il giudice di appello ha preso in esame una serie di fatti diversi ed ulteriori rispetto alle specifiche condotte indicate nel capo d'imputazione sub A, nel quale si fa riferimento soltanto alla formazione del falso contratto di vendita del 29 agosto 2002 e alla formazione della proposta di acquisto del dicembre del 2003, riportante firme apocrife apposte dallo stesso GARLATTI. Nella sentenza impugnata sono però evidenziate ulteriori condotte del GARLATTI ovvero una serie di contatti intrattenuti da quest'ultimo con la curatela ed il legale della curatela, la rinuncia della B&A Trade House a fare valere eventuali eccezioni, le ulteriori trattative in tal senso. Si tratta di condotte non contestate nel capo d'imputazione e che la Corte, unitamente alle due condotte espressamente contestate, ha ritenuto idonee ad integrare il reato di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale. Quanto accaduto, tuttavia, non comporta -come sostenuto dal ricorrente- la nullità della sentenza impugnata, essendo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui si ha violazione del principio di 45 corrispondenza tra accusa e decisione solo nel caso in cui l'imputato risulti concretamente pregiudicato nel suo diritto di difesa. Per accertare se la modifica dell'addebito nella sentenza determini un vulnus di tale diritto non è sufficiente il mero confronto letterale fra l'imputazione e la decisione, ma bisogna accertare se sia mutato il fatto, vale a dire se risulti radicalmente trasformata la fattispecie concreta contestata, in maniera tale da risultare incerto l'oggetto della contestazione. Al contrario, deve escludersi la violazione del diritto in oggetto allorquando l'originaria contestazione, considerata nella sua interezza, contenga gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza e si accerti -come nel caso in esame- che l'imputato si è trovato, in concreto, nella condizione di difendersi. Inoltre, ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all'art. 521 cod.proc.pen., deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione. Alla luce di tanto nessuna violazione di legge può dirsi consumata nel caso in esame, avendo avuto il GARLATTI la possibilità di difendersi in relazione a tutti i fatti emersi durante l'attività di acquisizione delle prove. Va, tuttavia, detto che anche le ulteriori condotte cui ha fatto riferimento nella sua motivazione la Corte territoriale sono tutte successive a quella posta in essere dal CAPRARA con l'emissione della falsa fattura di vendita degli automezzi alla società americana e quindi con l'attività distrattiva degli automezzi. Le risultanze processuali di cui danno atto i giudici di merito evidenziano che il GARLATTI è intervenuto solo a fine agosto 2002, allorquando, predisposto il contratto falsamente datato 14 maggio 2002 (di cui si parlerà più diffusamente trattando le questioni relative al capo E) ed avviati i contatti come difensore con il curatore, ha consegnato tale contratto di vendita dei mezzi. Come si è già detto sopra, sul punto la stessa Corte territoriale ha affermato che la condotta del GARLATTI ha avuto lo specifico scopo di consentire al CAPRARA di mantenere la disponibilità dei beni oggetto di sottrazione. E' evidente allora la correttezza della decisione del giudice di primo grado, che aveva ritenuto configurabile il reato di favoreggiamento reale, non essendo emersi elementi per ritenere che il GARLATTI, in qualità di "extraneus" nel reato 46 di bancarotta fraudolenta patrimoniale, consapevole sin dall'inizio dei propositi distrattivi del CAPRARA, abbia fornito consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori, mentre indubbiamente l'intervento del suddetto difensore si è sostanziato in successive attività, dirette a garantire al CAPRARA il conseguimento del profitto della condotta distrattiva, secondo lo schema della fattispecie del favoreggiamento di cui all'art. 379 cod. pen. Tale reato, come si è già rilevato, è estinto per intervenuta prescrizione, sicché l'annullamento della sentenza va disposto senza rinvio. 10. Infondato deve ritenersi l'ulteriore motivo di ricorso del CAPRARA in ordine all'imputazione di cui al capo E. Per tale imputazione è stata affermata pure la responsabilità del GARLATTI, sicché appare opportuno trattare ancora una volta congiuntamente le posizioni dei due imputati. 10.1. La Corte territoriale precisa in punto di fatto che "l'oggetto della imputazione è rappresentato dalla registrazione, nelle scritture contabili della EURO TIR, dell'operazione economica relativa alla falsa cessione del parco automezzi della EURO TOR alla società americana B.&A. Trade House Ltd, come documentata dal contratto apparentemente redatto in data 14 maggio 2002 trattasi della scrittura , di cui al capo g) di rubrica- e dalla -pure falsa- fattura n. 293, apparentemente emessa in pari data; in particolare, secondo la prospettazione accusatoria, attraverso la realizzazione di quella fattura, cui aveva provveduto materialmente la Del Moro, su indicazione del CAPRARA, e la formazione, da parte dell'avv. GARLATTI, previo concerto con quest'ultimo, del contratto di compravendita che veniva predisposto in data 29 agosto 2002 e retrodatato al 14 maggio 2002 -stesso giorno di emissione della fattura-, gli imputati, in concorso tra loro, avevano falsificato le scritture contabili della EURO TIR, allo scopo di non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società e di procurare al CAPRARA un ingiusto profitto, costituito dall'assicurarsi la disponibilità materiale e giuridica dei beni distratti". Il giudice di appello ha quindi ritenuto che i suddetti fatti integrino l'ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale ascritta al CAPRARA e in concorso al GARLATTI. 47 10.2.a. Secondo il ricorrente CAPRARA tale decisione non sarebbe stata adeguatamente motivata, non avendo risposto la Corte territoriale alle specifiche doglianze difensive formulate con l'atto d'appello e nulla avendo chiarito in ordine alla circostanza, non accertata, dell'effettiva lesione degli interessi dei creditori. Sostiene, altresì, il ricorrente che non vi sarebbe adeguata motivazione sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato ascritto, non avendo egli mai agito con la piena consapevolezza di recare danno ai creditori ovvero di impedire la ricostruzione del patrimonio dell'impresa, essendo stata invece la sua condotta finalizzata a tentare di salvare i beni della società, ritardando l'eventuale fallimento, nonché ad ottenere liquidità che servisse non ad aumentare il suo patrimonio ma quello della massa dei creditori. Nella memoria del 21 novembre 2014 il ricorrente censura ulteriormente la motivazione della sentenza, sostenendo che non si può ragionevolmente ritenere che la sostituzione di un'unica fattura con un'altra sia idonea a rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari della società e quindi ad integrare la condotta di bancarotta documentale. In ogni caso, la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente motivato sul punto. 10.2.b. Ancora una volta le doglianze del CAPRARA sono da ritenersi manifestamente infondate, perché sostanzialmente reiterano i motivi di appello e in ordine ad essi la Corte territoriale ha reso adeguata, congrua e logica risposta in motivazione. Va ricordato a tal proposito che la funzione tipica dell'impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce, che si realizza con la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Il motivo di ricorso in cassazione, poi, è caratterizzato da una duplice specificità. Deve essere senz'altro conforme all'art. 581, lett. c, cod. proc. pen. ovvero contenere l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell'impugnazione; ma quando censura le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì, enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i tre soli vizi previsti dall'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso 48 logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013 - dep. 21/02/2013, Leonardo e altri, Rv. 254584). Risulta pertanto di chiara evidenza che se il motivo di ricorso si limita - come nel caso in esame- a riprodurre il motivo d'appello, viene meno in radice l'unica funzione per la quale è previsto e ammesso (tra le tante, Sez. 5 n. 25559 del 15 giugno 2012, Pierantoni; Sez. 6 n. 22445 del 8 maggio 2009, p.m. in proc. Candita, rv 244181; Sez. 5 n. 11933 del 27 gennaio 2005, Giagnorio, rv. 231708). In conclusione, la riproduzione, totale o parziale, del motivo d'appello può essere presente nel motivo dì ricorso solo quando ciò serva a "documentare" il vizio enunciato e dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che si riferisca al provvedimento impugnato con il ricorso e che si confronti con la sua integrale motivazione (si vedano, tra le più recenti, Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014 - dep. 28/10/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608; Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013 - dep. 08/08/2013, Ninivaggi, Rv. 256133). E nel caso in esame, per quanto già accennato, seguendo tale erronea impostazione, il ricorrente in ordine al capo di imputazione sub capo E si è limitato a ribadire, tanto pedissequamente quanto inammissibilmente, le contestazioni mosse in appello alla sentenza di primo grado, senza tener conto del tenore effettivo delle argomentazioni espresse nella sentenza per superare i rilievi; sentenza che peraltro va apprezzata per la motivazione congrua ed improntata a criteri di logicità e coerenza. 10.2.c. Va giusto precisato che sui rilievi relativi alla sussistenza dell'elemento soggettivo e sul pregiudizio per i creditori, la Corte territoriale ha adeguatamente motivato, evidenziando la sussistenza del dolo specifico del reato di bancarotta documentale post - fallimentare (art. 216, comma 2, parte II legge fall.), che si sostanzia nella finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori mediante sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture (Sez. 6, n. 4038 del 13/01/1994, Rv. 198454). Nel caso in esame l'annotazione della falsa fattura e del falso contratto di compravendita nelle scritture contabili della società ha avuto la specifica finalità di portare a compimento ulteriore l'attività di dissimulazione della distrazione del parco automezzi della EURO TIR, proprio attraverso la falsa rappresentazione contabile della vendita dei beni ad un terzo in epoca anteriore al fallimento. 49 10.3.a. Con riferimento alla bancarotta documentale post-fallimentare di cui al capo E, il ricorrente GARLATTI sostiene che sia il giudice di primo grado che la Corte territoriale avrebbero errato nel ritenere configurabile tale reato con riferimento all'avvenuta formazione del contratto ideologicamente falso di vendita dei mezzi alla B&A House Trade ed alla consegna dello stesso al curatore fallimentare. Le condotte penalmente rilevanti di bancarotta documentale post fallimentare sono soltanto quelle di sottrazione, distruzione, falsificazione dei libri e/o delle scritture contabili. Nel caso di specie la condotta ascritta al GARLATTI è quella di aver falsificato un contratto di vendita di automezzi e consegnato al curatore del fallimento: consegnare al curatore un contratto non equivale a falsificare una scrittura contabile, secondo il ricorrente. All'epoca in cui tale contratto venne formato, poi, era già stata registrata in contabilità la relativa falsa fattura di vendita e il contratto non è mai stato registrato. Le doglianze del GARLATTI sono infondate. Egli ha pacificamente formato il falso contratto di compravendita finalizzato a supportare la annotazione della fattura relativa alla vendita degli automezzi alla società americana. Il fatto che solo la fattura sia stata annotata nelle scritture contabili (e non poteva essere diversamente) non esclude affatto il concorso del GARLATTI nel reato contestato. Invero, i documenti e le scritture che, se tenuti in modo irregolare, integrano il delitto di bancarotta fraudolenta documentale sono tutti quelli che possano impedire la ricostruzione del patrimonio della società ed alterino, di conseguenza, i rigidi meccanismi di soddisfazione dei singoli creditori, non consentendo, ad esempio, tempestive azioni revocatorie o l'esperimento di altri rimedi che consentano di reintegrare il patrimonio sociale posto a garanzia dei creditori. Il reato di bancarotta documentale punito dall'art. 216 legge fallimentare individua espressamente i libri e le altre scritture contabili che hanno la funzione di rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, così ricollegandosi direttamente all'art. 2214 cod.civ. E' quindi il collegamento tra quelle scritture e la funzione che assolvono nella ricostruzione della contabilità della società fallita a delineare una parte dell'oggetto materiale del reato. 50 Rimane, allora, del tutto irrilevante che il documento cui si riferisce sia direttamente annotato nella scrittura contabile oppure, come nel caso di specie, costituisca l'atto, peraltro formato posteriormente, finalizzato a giustificare proprio quella falsa annotazione e rafforzarne, quindi, la portata illecita, quale ostacolo alla ricostruzione del patrimonio (arg. da Sez. 5, 23 novembre 2006, Piovesan, in Cass. Pen. 2008, 3, 1181, che ha escluso che la falsificazione di un verbale del consiglio di amministrazione integrasse il delitto in discussione; si veda anche Sez. 5, n. 36595 del 16/04/2009, Bossio ed altri, Rv. 245133). Conclusivamente può dirsi che i documenti e le scritture che, se tenuti in modo irregolare, integrano il delitto di bancarotta fraudolenta documentale sono tutti quelli che impediscono la ricostruzione del patrimonio della società ed alterano, di conseguenza, i rigidi meccanismi di soddisfazione dei singoli creditori, non consentendo l'esperimento di rimedi che consentano di reintegrare il patrimonio sociale posto a garanzia dei creditori. Va detto ancora che la ricostruzione dei fatti come operata nella sentenza impugnata, in relazione alla quale questa Corte non può fare alcuna valutazione nel merito, consente senza alcun dubbio di ricondurre la condotta dell'imputato nella fattispecie del concorso dell'extraneus nel reato di bancarotta documentale come ascritto. A tal proposito va rammentato che questa Corte da tempo ha ritenuto che l'estraneo può concorrere nei reati di bancarotta anche quando sia una persona che esercita la professione di avvocato o consulente contabile, con la sola precisazione che, in questo caso, non deve essere confusa l'assistenza tecnica, che rimane sempre doverosa e garantita dall'ordinamento, col concorso nel reato. Infatti, mentre è consentita e non è illecita l'opera di consulenza e di intervento svolta da un avvocato o da un consulente contabile a favore di un imprenditore o di una società in dissesto, deve invece ritenersi illecito e penalmente rilevante il fatto del legale o del consulente che, essendo consapevole dei propositi dell'imprenditore, dia a questi consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori o li assista nella conclusione dei relativi negozi ovvero svolga un'attività diretta a garantire l'impunità o che, comunque col proprio aiuto e con le proprie preventive assicurazioni, favorisca o rafforzi l'altrui progetto delittuoso (Sez. 5, n. 1341 del 22/10/1986, Sonson, Rv. 175013; si veda, nello stesso senso, per i consulenti contabili Sez. 5, n. 49472 del 09/10/2013, Albasi e altro, Rv. 257566; Sez. 5, n. 569 del 18/11/2003, Bonandrini e altro, Rv. 226973). 51 Come si è detto anche sopra, trattando della distrazione dei beni, il GARLATTI sicuramente è intervenuto in un momento successivo ed autonomo rispetto alla formazione della fattura attestante la vendita degli automezzi, ma lo ha fatto concorrendo con il CAPRARA nella formazione della scrittura di compravendita, a supporto della predetta fattura, poi esibita al curatore proprio con l'intento di ostacolare la corretta ricostruzione del patrimonio della società fallita. 10.3.b. Il GARLATTI rileva che la Corte territoriale ha ritenuto assorbito nell'imputazione di cui al capo E il fatto ascrittogli originariamente nel capo L, ai sensi dell'articolo 232, comma uno, legge fallimentare, per aver presentato domanda di ammissione al passivo del fallimento in relazione al credito fraudolentemente simulato- di euro 6408,32, asseritamente maturato per aver predisposto e redatto il contratto di apparente vendita in data 14 maggio 2002, nel quale la società fallita figura cedere il proprio parco automezzi alla fantomatica società americana. Secondo il ricorrente, tenuto conto dell'autonomia del reato di cui all'articolo 232, comma uno, legge fallimentare rispetto a quello di bancarotta fraudolenta documentale post-fallimentare, la Corte territoriale non doveva ritenerlo assorbito nell'imputazione di cui al capo E) e, conseguentemente, doveva dichiarare la sua estinzione per intervenuta prescrizione. Anche tale censura è infondata e sul punto la Corte territoriale ha correttamente messo in luce, confermando la decisione del giudice di primo grado, che il credito vantato dall'avv. GARLATTI era del tutto fittizio, stante la natura simulata del predetto rapporto negoziale e la sua finalità illecita, e costituiva, quindi, l'ulteriore svolgimento della condotta finalizzata a far apparire fraudolentemente stipulato un contratto in effetti mai concluso. 11. Infondato è il ricorso del CAPRARA nella parte in cui è stato dedotto il vizio di motivazione in relazione all'imputazione di cui al capo I. La Corte territoriale ha ritenuto provata la responsabilità dell'imputato in ordine al fatto di avere, in concorso con l'avvocato GARLATTI (in relazione al quale è stato dichiarato estinto il reato per prescrizione), formato la falsa proposta d'acquisto, apparentemente proveniente dalla società americana sopra citata, per l'acquisto del parco automezzi della EURO TIR e di aver apposto, in calce alla stessa, la firma apocrifa di Filomonau Alhe, apposizione materialmente commessa dall'avvocato GARLATTI. 52 11.1. Va, in primo luogo, disattesa la richiesta della difesa di declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Il fatto risulta commesso, secondo la contestazione e la ricostruzione dei fatti da parte dei giudici di merito, in data 14 ottobre 2003. Tenuto conto che al CAPRARA è stata contestata (ed è stata ritenuta) la recidiva ex articolo 99 comma quattro cod. pen. e che il reato è stato commesso prima dell'entrata in vigore della legge 251/2005 (che ha riformulato completamente la disciplina della prescrizione del reato e prevede che, ai fatti posti in essere prima dell'entrata in vigore della stessa si continua ad applicare la vecchia normativa, ad eccezione dei casi in cui "per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione risultino più brevi" - articolo 10), precisato che nella specie si applica la vecchia normativa, il termine di anni dieci (anni sei più due terzi, per la recidiva ex art. 161 cod. pen.) è maturato il 14 ottobre 2013. Va però calcolato anche il periodo di sospensione dei termini rilevabile dagli atti, pari complessivamente a anni uno e mesi due, per cui il termine di prescrizione decorrerà definitivamente il 14 ottobre 2014. 11.2. Passando all'esame dei motivi di ricorso, va ricordato che secondo il CAPRARA la sentenza impugnata andrebbe annullata nella parte in cui ha ritenuto (pur rilevando la necessità di una verifica in ordine alla circostanza di avere o meno il Filomonau prestato il consenso all'apposizione della propria firma) non provato il dato riferito dalla difesa in ordine alla possibilità che fosse stato proprio il suddetto Filmonau ad acconsentire alla falsificazione e non ha quindi ravvisato la necessità di esaminare quest'ultimo, la cui testimonianza sarebbe risultata necessaria anche per chiarire tutta un'altra serie di dubbi sulla vicenda. Ancora una volta il ricorrente lamenta la mancata assunzione di una prova testimoniale e a tal proposito si richiamano i principi enunciati sopra nel paragrafo 9.a. Peraltro, la Corte territoriale ha motivato in maniera articolata in ordine alla irrilevanza per la configurazione del reato in esame della asserita autorizzazione da parte del Filomonau per la apposizione della sua falsa firma, richiamando i principi affermati da questa Corte in materia, secondo la quale, ai fini della sussistenza del reato di falso in scrittura privata, il consenso o l'acquiescenza della persona di cui sia falsificata la firma non svolge alcun rilievo, in quanto la 53 tutela penale ha per oggetto non solo l'interesse della persona offesa, apparente firmataria del documento, ma anche la fede pubblica, la quale è compromessa nel momento in cui l'agente faccia uso della scrittura contraffatta per procurare a sé un vantaggio o per arrecare ad altri un danno; pertanto anche l'erroneo convincimento sull'effetto scriminante del consenso costituisce una inescusabile ignoranza della legge penale (Sez. 5, n. 16328 del 10/03/2009, Livi, Rv. 243342; Sez. 2, n. 42790 del 24/10/2003, Del Miglio, Rv. 227615). Non vale, peraltro, ad escludere il dolo specifico del fine di vantaggio richiesto, alternativamente a quello di danno, per il falso in scrittura privata il fatto che la firma falsa sia stata apposta con il consenso del titolare (Sez. 5, n. 2091 del 26/01/1984 - Ricciardi, Rv. 163019). 11.3. E' anche infondato il rilievo, sollevato solo con la memoria del 21 novembre 2014 ma rilevabile d'ufficio (trattandosi di questione relativa alla condizione di procedibilità), della mancanza di querela del soggetto di cui è stata falsificata la firma. La Corte territoriale ha correttamente ritenuto sufficiente la querela proposta dal curatore, perché questi è certamente titolare del relativo diritto, stante il danno subito dal fallimento. Giova a tal proposito rammentare che la persona offesa titolare del diritto di querela nel reato di falsità in scrittura privata è non solo la persona di cui sia stata falsificata la sottoscrizione, ma anche ogni altro soggetto che in concreto abbia ricevuto un danno per l'uso delle scritture private (Sez. 5, n. 22690 del 26/03/2010, Nardini, Rv. 247961). Peraltro, poiché il reato di falso in scrittura privata di cui all'art. 485 cod. pen. richiede per la sua consumazione non soltanto l'attività di formazione di una falsa scrittura o alterazione di una scrittura vera, ma anche il successivo uso della scrittura falsificata, ne deriva che persona offesa da tale reato non è solo colui il cui interesse all'autenticità della scrittura è già configurabile prima dell'uso, e cioè al momento della contraffazione o della alterazione della scrittura, quale è il titolare della firma falsificata, ma anche chi, pur non essendo l'autore apparente del documento o una delle parti da cui proviene la scrittura falsificata, risulta titolare di un interesse che riceve pregiudizio attraverso l'uso del documento (Sez. 2, n. 4153 del 20/02/1987, Occhipinti, Rv. 175565). Nel caso in esame, peraltro, è evidente che l'uso della scrittura privata in oggetto abbia provocato un danno al fallimento, così come rilevato dai giudici di merito. 54 D'altro canto le censure in ordine a tal profilo formulate dal ricorrente nella memoria del 21 novembre 2014 si risolvono in ulteriori deduzioni in fatto, certamente non valutabili in questa sede. 12. Con altro motivo di ricorso è stato dedotto dal CAPRARA il vizio di motivazione in relazione all'imputazione di cui al capo O. Tale imputazione riguarda la falsa attestazione di autenticità da parte dell'avvocato GARLATTI, in concorso con il CAPRARA, delle firme apposte sull'istanza di dissequestro presentata presso gli uffici della procura della Repubblica di Gorizia. La Corte territoriale ha affermato la responsabilità del CAPRARA, precisando che il termine prescrizionale del reato non era ancora maturato e rinviando a quanto motivato sul punto dal giudice di primo grado. Non è condivisibile l'assunto della Corte territoriale sulla prescrizione. Il reato infatti, pur tenendo conto, per le ragioni già sopra evidenziate, della recidiva contestata ed applicata la normativa più favorevole ex art. 157 cod. pen., risulta estinto per intervenuta prescrizione alla data del 29 settembre 2012 ovvero prima dell'emissione della sentenza di appello. Va quindi accolto in tali termini il ricorso del CAPRARA, non essendovi peraltro i presupposti per un accoglimento dei motivi con i quali è stata contestata l'affermazione di responsabilità. A tal proposito va sinteticamente precisato che inammissibile deve ritenersi il motivo nuovo della violazione di legge di norme processuali con riferimento alla ordinanza del 2 ottobre 2006, con la quale il Tribunale di Gorizia ha disposto la trascrizione di alcune conversazioni telefoniche intercorse tra il CAPRARA e l'avvocato GARLATTI, ritenendo inapplicabile il divieto di cui all'articolo 103, comma cinque, cod. proc. pen.. Tale motivo, infatti, è stato dedotto solo con la memoria del 21 novembre 2014 e si tratta di questione nuova, del tutto autonoma rispetto a quelle del ricorso e non rilevabile d'ufficio. E' ormai principio giurisprudenziale consolidato quello per cui i "motivi nuovi" a sostegno dell'impugnazione, previsti nella disposizione di ordine generale contenuta nell'art. 585 cod. proc. pen. (e, in quella particolare, di cui all'art. 611, per il procedimento in camera di consiglio), devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell'originario atto di gravame (ex plurimis, Sez. U. del 25 febbraio 1998, Bono, RV. 210259; Sez. 3 del 22 gennaio 2004, Sbragi, RV. 228525; Sez. 2 del 4 novembre 2003, 55 «P' Marzullo, RV. 226976) e devono semplicemente specificare le doglianze tempestivamente presentate, non potendosi risolvere nella prospettazione di nuovi vizi (Sez. 5, n. 14991 del 12/01/2012 - dep. 18/04/2012, P.G. in proc. Strisciuglio e altri, Rv. 252320;Sez. 1 del 30 settembre 2004, Burzotta, RV. 230634; Sez. 1, n. 40174 del 2009; Sez. 6, n. 27325 del 20/05/2008, Rv. 240367, D'Antino). La normativa consente la presentazione di motivi nuovi e i motivi non sono altro che le ragioni che sostengono una certa domanda; nel ricorso per cassazione le domande si identificano con le specifiche censure che vengono mosse al provvedimento impugnato e che identificano i vizi da cui il provvedimento sarebbe affetto. Consentendo la proposizione di nuovi motivi, ma non di nuove censure, la normativa ammette che possano essere portati nuovi argomenti a sostegno di una specifica censura, ma non consente, invece, che possano essere indicate censure del tutto nuove, mai indicate in precedenza. E' consentito, dunque, al ricorrente, indicare ulteriori elementi da cui si desume l'esistenza di uno specifico vizio di motivazione del provvedimento impugnato, se tale era la censura originaria, ma non è consentito dedurre una violazione di legge - pur se afferente allo stesso capo della sentenza - se si era originariamente dedotto solo il vizio di motivazione o diversa violazione di legge. 13. E' superfluo trattare i motivi di ricorso proposti dal CAPRARA in relazione al trattamento sanzionatorio (e di conseguenza viene pure disattesa l'istanza di sospensione formulata con riferimento alla questione della recidiva), giacché l'accoglimento parziale dello stesso ricorso e l'annullamento con rinvio comporta inevitabilmente che la Corte territoriale debba rideterminare il suddetto trattamento sanzionatorio. Ovviamente, e ciò vale anche per il GARLATTI (in tal senso si ritiene assorbita la trattazione del motivo dedotto da questi con riferimento agli articoli 74 cod. proc. pen., 185 cod. pen., 2555 cod. civ., 216, 219, 223 legge fallimentare), la Corte territoriale dovrà tener conto dell'annullamento parziale conseguente alla presente decisione pure con riferimento alle statuizioni in favore delle parti civili. 14. Passando ad analizzare il ricorso di Paolo MULITSCH, va rilevato che la sentenza impugnata ha correttamente dichiarato l'estinzione per prescrizione del reato di cui al capo P, per il quale il suddetto imputato era stato condannato in primo grado. 56 All'imputato è stato ascritto il reato di cui all'articolo 481 cod. pen., per avere, nell'esercizio della professione forense, attestato falsamente l'autenticità della firma di Desolina Pausi, vergata dallo stesso avvocato Paolo MULITSCH, in calce alla procura speciale alle liti riportata sul margine destro dell'atto di precetto in data 28 luglio 2003, con il quale la suddetta Pausi sembrava intimasse alla ELLETI s.r.l. di pagare la somma di euro 148.258,83, oltre ad accessori. 14.1. Come si è già detto, il ricorrente ha proposto ricorso deducendo il vizio di violazione di legge, perché vi sarebbe la prova positiva ed evidente della sua innocenza. Ha sostenuto che non sarebbe stata acquisita la prova che sia stato lui ad apporre la firma per l'autentica della firma falsa e che la Corte territoriale avrebbe basato la sua decisione solo su mere illazioni, valutando negativamente quanto emerso dalla consulenza della difesa. In effetti, i motivi dedotti dal ricorrente sono solo formalmente evocativi di vizi di legittimità, ma in concreto sono articolati sulla base di rilievi tendenti ad una rivalutazione delle risultanze probatorie con valutazioni di merito, inibite a questa Corte. Peraltro, va detto che la Corte di Appello si è limitata alla verifica della causa estintiva e dell'assenza di elementi che rendessero evidente l'applicabilità di una formula più favorevole, a norma dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., fondando la sua decisione su argomentazioni del tutto congrue, coerenti ed articolate, non riesaminabili da questa Corte nel "merito" dei relativi apprezzamenti. Nella sentenza sono indicati specificamente i motivi per cui non sussiste l'evidenza della prova che possa condurre ad una pronunzia assolutoria. Giova, a tal proposito, ricordare che la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilità per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l'assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell'imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso -come quello in esame- di mera contraddittorietà o insufficienza della prova, che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (Sez. 6, n. 10284 del 22/01/2014, Rv. 259445; Sez. 6, n. 23836 del 14/05/2013, Rv. 256130; Sez. 2, n. 9174 del 19/02/2008, Rv. 239552). 57 14.2. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali e di euro mille in favore della cassa delle ammende. P.Q. M. La Corte, dispone lo stralcio degli atti relativi al reato di cui al capo T, con formazione di un nuovo fascicolo intestato a Flavio CAPRARA perché è necessario acquisire atti, rinviando il relativo procedimento a nuovo ruolo; annulla la sentenza impugnata senza rinvio: - in ordine alla posizione di Bruno GARLATTI relativamente alla distrazione dell'avviamento della EURO TIR di cui al capo A per non aver commesso il fatto e relativamente al reato di favoreggiamento di cui al capo AA, così riqualificata la distrazione degli automezzi sub capo A, per essere il reato estinto per prescrizione; - in ordine alla posizione del CAPRARA relativamente al capo O della rubrica per essere il reato estinto per prescrizione; annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Trieste in ordine alla posizione di Flavio CAPRARA relativamente alla distrazione dell'avviamento dell'EURO TIR di cui al capo A delle imputazioni; rigetta: - il ricorso del GARLATTI relativamente al capo E; - il ricorso di Flavio CAPRARA in ordine ai capi Z, Y, 3, W, X, E, I, nonché per la distrazione degli automezzi della EURO TIR contestata al capo A; annulla la predetta sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Trieste per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio nei confronti dei ricorrenti CAPRARA e GARLATTI; dichiara inammissibile il ricorso di Paolo MULITSCH e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma il 9 dicembre 2014 cons'glie estensore Gr ccol i ..mwomma, DE dck TATA CANCILLENA 2 3 APR 2015