17084/15
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
UDIENZA PUBBLICA
DEL 09/12/2014
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENNARO MARASCA
Dott. ANTONIO BEVERE
Dott. GRAZIA MICCOLI
Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Dott. ALFREDO GUARDIANO
- Presidente - Consigliere - Rel. Consigliere - Consigliere - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CAPRARA FLAVIO N. IL 01/09/1958
GARLATTI BRUNO N. IL 20/08/1954
MULITSCH PAOLO N. IL 19/06/1961
avverso la sentenza n. 919/2011 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
24/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/12/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
Udito, per a parte civile, l'Avv
Udit i difensor Avv.
SENTENZA
N. 3786/2014
REGISTRO GENERALE
N. 39190/2014
Conclusioni
Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Giulio ROMANO,
ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso di Flavio CAPRARA e la declaratoria di
inammissibilità dei ricorsi di Bruno GARLATTI e Paolo MULITSH.
Per il ricorrente Flavio CAPRARA, l'avv. Antonio MORRA ha chiesto
l'accoglimento dei motivi di ricorso e la sospensione del procedimento in attesa
della pronuncia sull'illegittimità costituzionale dell'art. 99 comma 4 cod. pen.;
l'avv. Massimo DI NOIA ha concluso chiedendo l'accoglimento dei motivi di
ricorso, depositando una breve sintesi.
Per il ricorrente Bruno GARLATTI, l'avv. Giuseppe CAMPEIS ha chiesto
l'accoglimento del ricorso e ha depositato la dichiarazione di revoca della
costituzione di parte civile nei suoi confronti.
Per il ricorrente Paolo MULITSH, l'avv. Roberto LOMBARDI ha concluso
chiedendo l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Le decisioni dei giudici di merito
Con la sentenza del 24 ottobre 2013 la Corte di appello di Trieste, in sede di
impugnazione della decisione di primo grado emessa dal Tribunale di Gorizia in
data 25 giugno 2010, appellata da Flavio CAPRARA, Bruno GARLATTI, Paolo
MULITSH, nonché dal Procuratore generale presso la Corte di Trieste, dal
Procuratore della Repubblica di Gorizia e dalle parti civili Fallimento EURO TIR e
Fallimento SVET, la riformava nei termini qui di seguito indicati, confermandola
nel resto.
1.1. La Corte d'Appello affermava la responsabilità di Flavio CAPFtARA
per i reati di cui al capo A (bancarotta fraudolenta patrimoniale aggravata),
anche con riferimento alla contestata distrazione dell'avviamento della EURO TIR
s.r.l. (dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Gorizia del 3 luglio 2002),
nonché dei reati di cui ai capi J (bancarotta fraudolenta patrimoniale aggravata
relativa sempre alla società EURO TIR), W e X, questi ultimi due qualificati ai
sensi dell'articolo 216, comma tre, L.F. (bancarotta preferenziale relativa al
fallimento della società SVET s.a.s - sentenza dichiarativa del 1 giugno 2004), e
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per l'effetto, negate le attenuanti generiche e ritenuta la recidiva contestata,
rideterminava la pena in quella complessiva di anni sette di reclusione.
Dichiarava inoltre non doversi procedere nei confronti del CAPRARA in ordine al
reato di cui al capo G (falso in scrittura privata), per essere il medesimo reato
estinto per intervenuta prescrizione.
Con la sentenza di primo grado il CAPRARA era stato ritenuto colpevole dei delitti
ascritti al capo A (per la distrazione del parco automezzi della EURO TIR), capo E
(bancarotta fraudolenta documentale), capo G, capo I (falso in scrittura privata),
capo O (falsità ex art. 481 cod. pen.), capo T (falsità ex artt. 81, 491, 485, 482,
476 cod. pen.), capo Y (bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione al
fallimento della SVET s.a.s.) e capo Z (bancarotta fraudolenta documentale in
relazione al fallimento della LOGISTICA Euro Est s.r.I.), unificati nel vincolo della
continuazione e, ritenuta la recidiva contestata, era stato condannato alla pena
di anni cinque, mesi otto di reclusione.
Era stato invece assolto dai delitti a lui ascritti ai capi J e W con la formula
perché il fatto non sussiste e dal delitto ascrittogli al capo X con la formula
perché il fatto non costituisce reato.
1.2. La Corte territoriale dichiarava Bruno GARLATTI colpevole del reato
di cui al capo A (bancarotta patrimoniale fraudolenta aggravata), esclusa invece
la contestazione alternativa di cui al capo AA (favoreggiamento).
Dichiarava non doversi procedere nei confronti dello stesso imputato per i reati
di cui ai capi G, I, N e O, per essere i medesimi estinti per intervenuta
prescrizione.
Rideterminava, quindi, la pena inflitta in quella di anni due e mesi otto di
reclusione, interamente condonata. Revocava la pena accessoria dell'interdizione
dai pubblici uffici.
Con la sentenza di primo grado il GARLATTI era stato riconosciuto colpevole del
delitto ascrittogli nella contestazione alternativa al capo AA (favoreggiamento),
così qualificati giuridicamente i fatti contestati al capo A, nonché del delitto di cui
al capo E, in tale imputazione ritenuto assorbito il fatto contestato ai capi L, G, I,
N ed O e, con il riconoscimento delle attenuanti generiche, era stato condannato
alla pena di anni tre, mesi due di reclusione.
Il GARLATTI era stato assolto dai reati ascritti ai capi Q e R per non aver
commesso il fatto e dai reati ascrittigli ai capi X e Y perché il fatto non costituisce
reato.
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1.3. Infine la Corte d'appello dichiarava non doversi procedere nei
confronti di Paolo MULITSCH in ordine al reato di cui al capo P (falso in
autentica di firma ex art. 481 cod. pen.), per essere il medesimo estinto per
intervenuta prescrizione.
Revocava quindi la pena accessoria inflittagli e revocava la condanna dello stesso
imputato al pagamento delle spese processuali in relazione ai reati di cui ai capi
Q ed R, disponendo che le stesse fossero poste a carico del querelante
remittente.
Con la sentenza di primo grado il suddetto imputato era stato ritenuto colpevole
del solo delitto di cui al capo P e condannato alla pena di mesi due di reclusione.
1.4. Nella sentenza di secondo grado sono state emesse anche ulteriori
statuizioni a carico degli imputati CAPRARA e GARLATTI in ordine al risarcimento
dei danni in favore delle parte civili.
2. I ricorsi
Hanno proposto ricorso in cassazione tutti i suindicati imputati.
2.1. Nell'interesse di Flavio CAPRARA sono stati presentati il ricorso a firma del
difensore avv. Antonio MORRA, una memoria a firma di quest'ultimo in data 11
novembre 2014, nonché, in data 21 novembre 2014, un'ulteriore memoria a
firma del nuovo difensore avv. Massimo DI NOIA.
2.1.a. Con il primo motivo di ricorso sono stati dedotti violazione di legge
e vizio di motivazione in relazione all'imputazione di cui al capo Z, con la quale è
stata contestata al CAPRARA (quale amministratore di fatto e in concorso con
Milos Vranjkovic e Roberta Del Moro - posizioni stralciate) la falsificazione dei
libri e delle scritture contabili della LOGISTICA EURO EST s.r.I., attraverso
operazioni di acquisto e storno non corrispondenti al vero e, in particolare, con
l'annotazione di una serie di false fatture di vendita di camion, apparentemente
ceduti prima dalla EURO TIR alla B&A TRADE HOUSE Ltd (società ritenuta
nell'ipotesi accusatoria inesistente) e poi rivendute da tale società straniera alla
LOGISTICA.
Secondo il ricorrente nella decisione impugnata non vi è alcun riferimento alla
censura, sollevata dalla difesa nell'atto di appello, relativa alla possibilità che,
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pur trattandosi di operazioni imprudenti compiute dal ricorrente nella gestione
della LOGISTICA, non fosse risultato un vero e proprio danno alla massa dei
creditori, venendo così meno il presupposto del reato contestato.
Rileva il ricorrente che in sentenza nulla si dice in ordine all'elemento psicologico
del reato in contestazione. In mancanza di prova sulla sussistenza dell'elemento
soggettivo proprio del reato di bancarotta fraudolenta documentale, può
configurarsi, secondo il ricorrente, l'ipotesi meno grave di bancarotta
documentale semplice ex art. 217 legge fallimentare.
2.1.aa. Nella memoria depositata in data 21 novembre 2014 vengono
ulteriormente dedotti violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al reato
di cui al capo Z.
Si premette che la Corte d'appello ha confermato la condanna del CAPRARA per il
reato di bancarotta documentale con riferimento alle fatture, emesse dalla B&A
Trade House, di vendita di automezzi alla LOGISTICA EURO EST ed alla nota di
credito che le ha successivamente annullate.
Il ricorrente sostiene, però, che il reato sarebbe insussistente. Rileva, quindi, che
la nota di credito era stata emessa in data 26 dicembre 2003, ovvero prima della
sentenza dichiarativa di fallimento, intervenuta in data 29 aprile 2004. Con essa
tutte le fatture precedentemente emesse dalla B&A Trade House, aventi ad
oggetto la vendita di automezzi, erano state sostanzialmente annullate.
Sostiene allora il ricorrente che, alla data del fallimento, le fatture di cui al capo
di imputazione non avevano più alcuna rilevanza con riferimento alla contabilità
della LOGISTICA EURO EST, che -tra l'altro- nel frattempo (a gennaio 2004)
aveva correttamente registrato la fattura di acquisto degli automezzi emessa
dalla EURO TIR. Non può, quindi, ritenersi sussistente il reato di bancarotta
documentale, posto che le fatture indicate nel capo d'imputazione, essendo state
annullate, non potevano in alcun modo essere idonee a rendere difficoltosa la
ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società al
momento del fallimento.
2.1.b.
Con il secondo motivo di ricorso viene dedotto il vizio di
motivazione in relazione al capo i (bancarotta fraudolenta patrimoniale), in
particolare nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che il finanziamento
concesso dalla EURO TIR alla SVET per l'acquisto di un immobile fosse un
esca motage per distrarre i beni della società.
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Il ricorrente censura la decisione della Corte territoriale, che nulla riferisce circa
l'opportunità per una società, come la EURO TIR, di erogare un finanziamento ad
un'altra società per l'acquisto di un immobile, con l'intuizione lungimirante che
quel finanziamento sarebbe sicuramente stato restituito, potendo la società
finanziata rivendere l'immobile per un prezzo superiore a quello di acquisto;
possibilità che si sarebbe poi verificata in concreto, avendo la SVET ottenuto
dalla vendita di tale immobile l'importo di euro 300.000, a fronte dei 300 milioni
di lire spesi.
2.1.bb. Nella memoria depositata in data in data 21 novembre 2014 sono
stati ulteriormente dedotti violazione di legge e vizio di motivazione in ordine
all'ipotesi di bancarotta patrimoniale per distrazione di cui al capo J.
Rileva il ricorrente che la motivazione della Corte territoriale sarebbe carente ed
illogica, non avendo tenuto conto del fatto che, nel momento in cui era stata
erogata la parte rilevante del finanziamento, la società non si trovava ancora in
una fase di dissesto. I problemi per la EURO TIR sono sorti solo successivamente
e sono stati del tutto inaspettati, in quanto legati alla guerra in Jugoslavia
(ovvero nelle zone dove la società operava con i trasporti).
Il ricorrente sostiene inoltre l'insussistenza dell'elemento psicologico con
riferimento al reato in esame che la motivazione della sentenza impugnata sul
punto sarebbe carente, in quanto non prende in considerazione tutte le
circostanze evidenziate dalla difesa. Il CAPRARA ha dichiarato e dimostrato che,
non appena la società EURO TIR aveva iniziato ad essere fortemente in crisi,
aveva immediatamente chiesto la restituzione dei soldi concessi con
finanziamento, in modo da poter soddisfare i creditori, come poi è effettivamente
avvenuto.
2.1.c. Con il terzo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione in
relazione all'imputazione di cui al capo Y.
Secondo il ricorrente, non essendo stato provato che dall'attività posta in essere
dalla SVET fosse derivata una diminuzione pregiudizievole del patrimonio sociale,
con lesione dei diritti dei creditori (essendo stata, peraltro, la richiesta di
fallimento presentata dal pubblico ministero) e, in assenza di situazioni debitorie
effettive, deve escludersi che si possa configurare il delitto di bancarotta
fraudolenta per distrazione.
Nel caso in esame, secondo il ricorrente, le operazioni poste in essere dalla
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SVET, attraverso la gestione del suo rappresentante legale Desolina Pauli, lungi
dal determinare un effettivo danno per i creditori, hanno invece, per un verso,
consentito alla fallita EURO TIR di soddisfare la massa fallimentare attraverso il
rientro del concesso finanziamento e, per altro verso, con il finanziamento di
LOGISTICA hanno generato una prospettiva di maggior guadagno della somma
investita, tutto a vantaggio dei creditori, con il solo inconveniente di una
improvvisa ed inaspettata declaratoria di fallimento della società, il cui dissesto
tuttavia si è verificato indipendentemente dall'iniziale condotta distrattiva.
2.1.d. Il quarto motivo di doglianza riguarda i capi d'imputazione sub
lettere W e X.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui disattende le
risultanze della relazione del commercialista della difesa in relazione ai bilanci
della SVET, che escluderebbero l'elemento psicologico del reato di bancarotta sul
presupposto della prova della solvibilità della società SVET.
Censura, altresì, la motivazione nella parte in cui la Corte territoriale confuta
l'ipotesi sostenuta dal giudice di primo grado, secondo la quale mancherebbe la
prova della consapevolezza che la SVET, pagando il debito in favore della EURO
TIR, volesse danneggiare gli altri creditori ed in particolare l'Erario, il cui credito
non era stato ancora compulsato attraverso un'azione di messa in mora.
Secondo il ricorrente la Corte non avrebbe tenuto in alcuna considerazione la
circostanza che la dichiarazione di fallimento era stata richiesta dal pubblico
ministero e che, quindi, non vi erano creditori interessati allo stesso fallimento.
Sempre secondo il deducente è stato assolutamente inevitabile, in assenza di
intimazioni a pagare da parte dell'Erario, la decisione della società di soddisfare il
Fallimento EURO TIR, che peraltro, con richiesta del curatore, aveva già messo in
mora la SVET per il pagamento dell'importo residuo del debito.
Deduce il ricorrente, inoltre, che la SVET poteva contare sul patrimonio
personale della socia accomandataria Pausi.
2.1.dd. Nella memoria del 21 novembre 2014 il ricorrente rileva che la
decisione della Corte territoriale, in riforma di quella assolutoria di primo grado,
sarebbe frutto di una serie di errori di valutazione probatoria, dovuti alla scelta
dei giudici di trattare congiuntamente i fatti di cui al capo W e di cui al capo X,
che hanno ad oggetto la restituzione da parte della SVET alla EURO TIR di
somme ricevute a titolo di finanziamento.
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Benché i fatti siano analoghi, secondo il ricorrente vi è una grossa differenza di
cui la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto, ossia i momenti in cui sono
avvenute le due condotte.
In data 15 maggio 2002 la SVET vendeva alla società ELLETI l'immobile di Terzo
in Aquileia, precedentemente acquistato grazie al finanziamento da parte di
EURO TIR: a fronte di un prezzo pattuito di C 309.875, la società acquirente
corrispondeva una somma pari a C 223.591,17, di cui 61.975 euro a titolo di Iva
e 161.616,17 euro come prima rata del prezzo di acquisto del bene.
Successivamente, la SVET, a titolo di restituzione della somma ricevuta, nel
giugno del 2002, ovvero prima della dichiarazione di fallimento della EURO TIR,
versava, in più occasioni, alla predetta società la somma contante complessiva di
euro 73.600. Questo pagamento, sostiene la Corte territoriale, integra la
bancarotta preferenziale, in quanto il CAPRARA ha voluto in qualche modo
favorire la EURO TIR rispetto agli altri creditori della SVET, di cui era
amministratore di fatto.
Rileva il ricorrente che la condotta punita dal comma tre dell'articolo 216 legge
fallimentare consiste nell'avere, tra l'altro, eseguito pagamenti prima o durante
la procedura fallimentare "a scopo di favorire, a danno dei creditori, uno di essi".
Pertanto, requisito implicito affinché il pagamento sia penalmente rilevante è che
esso sia pregiudizievole per i creditori.
Inoltre, affinché sia integrata la fattispecie di reato in questione, i pagamenti
devono essere stati eseguiti in costanza dello stato di insolvenza della società
fallita.
Ma lo stato di insolvenza accertato nella sentenza di fallimento -secondo il
ricorrente- non ha alcuna rilevanza per quanto riguarda il reato contestato al
capo W. Infatti, in quella sentenza è stato accertato che la SVET si trovava in
stato di insolvenza solo quando è stata presentata istanza di fallimento, ossia al
termine dell'anno 2003. Nessuna parola è stata spesa per motivare se la società
fosse già in stato di i nsolvenza nel momento in cui era stato effettuato il
pagamento alla EURO TIR nel giugno 2002; e -secondo il ricorrente- non si può
ragionevolmente ritenere che la SVET nel giugno 2002, dopo aver incassato C
223.591,17, si trovasse in stato di insolvenza.
Peraltro, nel momento in cui è stato effettuato il pagamento alla EURO TIR non
era neppure scaduto il termine per il pagamento dell'Iva, che avrebbe dovuto
essere versata entro il 15 luglio 2002; pertanto, secondo il ricorrente, il
pagamento alla EURO TIR non poteva arrecare alcun danno all'Erario, posto che,
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al momento della scadenza, la società aveva ancora la disponibilità di C
149.991,17.
Sostiene, inoltre, il ricorrente, che mancherebbe anche l'elemento soggettivo del
reato, che è integrato dal dolo costituito dalla volontà di recare un vantaggio al
creditore (o ai creditori), con l'accettazione dell'eventualità di un danno per altri.
Nella sentenza impugnata, a tal proposito, si legge che non v'è dubbio che ciò sia
stato oggetto di rappresentazione da parte dell'imputato, essendo evidente che
l'impiego di quelle somme a vantaggio della creditrice EURO TIR avrebbe
sostanzialmente privato definitivamente la SVET di ogni sua risorsa finanziaria e
che, di conseguenza, la società non avrebbe più avuto i mezzi per il versamento
dell'Iva. Tali affermazioni, secondo il ricorrente, sono palesemente smentite
dalle risultanze processuali.
In ordine al capo X deduce ulteriormente il ricorrente che la sentenza di primo
grado aveva correttamente escluso la sussistenza del reato, affermando che "la
scelta di effettuare, con l'importo percepito quale prima rata del prezzo di
vendita, il pagamento del debito nei confronti di EURO Tir, precedentemente al
versamento dell'Iva, trova giustificazione nel fatto che è verosimile che la
curatela fallimentare avesse sollecitato detto pagamento. Appare dunque
conforme alle risultanze probatorie esposte escludere una volontà distrattiva in
relazione alla prima rata del prezzo di vendita, dovendosi anche rilevare che
rimaneva a disposizione della SVET il residuo corrispettivo per fare fronte alle
altre obbligazioni".
La Corte d'appello, invece, ha ritenuto sussistente il reato affermando che il
CAPRARA era consapevole del fatto che così facendo avrebbe lasciato la SVET
priva di risorse economiche e che in tal modo la stessa non avrebbe potuto
pagare l'Iva. Ciò sarebbe indicativo della finalità perseguita da CAPRARA, ossia
quella di favorire il creditore EURO TIR rispetto all'Erario.
Secondo il ricorrente tale motivazione deve essere censurata, tenuto conto
anche del fatto che l'estinzione del debito da parte della SVET era stata intimata
dal curatore fallimentare della EURO TIR, nel medesimo periodo in cui lo stesso
sollecitava il CAPRARA a fare in modo che venissero pagati gli automezzi della
società, altrimenti avrebbe agito nelle sedi opportune. È evidente, pertanto,
secondo il deducente, che gli amministratori non sono stati mossi dall'intento di
avvantaggiare un creditore rispetto all'altro, ma che hanno agito solo al fine di
evitare un possibile fallimento della società o, comunque, un'azione legale da
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parte del curatore della SVET, ben sapendo di poter estinguere successivamente
il debito con l'Erario, pur dovendo pagare la mora per il ritardo.
2.1.e. Sempre nella memoria del 21 novembre 2014 è stata dedotta
violazione di legge in relazione all'articolo 157 cod. pen., con riferimento alla
prescrizione dei reati di cui ai capi W e X.
La Corte territoriale, come si è detto, ha qualificato le condotte di cui ai suddetti
capi d'imputazione come reati di bancarotta preferenziale.
Secondo il deducente i due reati ad oggi hanno maturato il termine di
prescrizione; in particolare, detto termine, per il reato sub capo W, era già
maturato prima della pronuncia della sentenza impugnata.
Infatti, il delitto di bancarotta preferenziale, a differenza di quello di bancarotta
patrimoniale, si consuma nel momento in cui sono stati effettuati pagamenti e
non in quello in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento.
Nel caso di specie il pagamento di cui al suddetto capo W d'imputazione è stato
effettuato nel giugno 2002. Ciò posto, essendo prevista per il reato di bancarotta
preferenziale una pena detentiva massima pari a cinque anni, in base al
combinato disposto di cui agli articoli 157 e 161 codice penale, tenuto conto della
contestata recidiva, il termine massimo di prescrizione sarebbe maturato nel
giugno 2012. Detto termine, però, tenuto conto dei periodi di sospensione -pari
complessivamente ad anni uno, mesi uno, giorni nove, in primo grado, e giorni
21, in grado d'appello-, è definitivamente maturato nel luglio 2013. La sentenza
impugnata è stata emessa in data 24 ottobre 2013, quindi in data successiva
detto termine.
Quanto invece al pagamento oggetto del capo X, la condotta risulta posta in
essere in data 20 maggio 2003. Il termine massimo di prescrizione sarebbe
maturato in data 20 maggio 2013 e, tenuto conto dei periodi di sospensione
sopra indicati, è definitivamente maturato in data 20 luglio 2014.
2.1.f. Con ulteriore motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione e la
mancata assunzione di una prova decisiva in ordine all'imputazione di cui al
capo T.
La Corte territoriale ha ritenuto fondata la responsabilità del CAPRARA in ordine
all'imputazione concernente la formazione di sei cambiali, apparentemente
emesse dalla società LOGISTICA in favore della SVET s.a.s. (società delle quali
l'imputato era amministratore di fatto) e girate da quest'ultima alla GENERAL
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BETON TRIVENETA s.p.a., società creditrice della SVET, mediante l'apposizione
della sottoscrizione apocrifa di Desolina Pausi, socia accomandataria della stessa
SVET. La ricostruzione dei fatti che ha consentito l'affermazione di responsabilità
è basata sulle dichiarazioni rese da alcuni testi, ma il ricorrente sostiene che
sarebbe stato necessario esaminare, ex articolo 507 cod. proc. pen., la Pausi,
tenuto conto che l'assunto accusatorio si basa sulla falsità della firma di costei.
2.1.ff.
Con la memoria del 21 novembre 2014 viene dedotta la nullità
della sentenza impugnata, ai sensi dell'articolo 606, comma uno, lettera B, in
relazione agli articoli 491, 485 e 493 bis codice penale, per violazione di legge
penale, con riferimento alla mancanza di querela per il reato di cui al capo T.
Viene censurata la sentenza nella parte in cui ha confermato la condanna del
CAPRARA per il reato di falsità in scrittura privata di documenti equiparati agli
atti pubblici (nel caso di specie, cambiali) pur in mancanza di querela.
2.1.g. Nei motivi di ricorso è stato dedotto il vizio di motivazione anche
con riferimento all'imputazione di cui al capo A, nel quale è stato contestato al
CAPRARA di aver posto in essere, in concorso con altri soggetti, un'attività
finalizzata a distrarre ed occultare i beni del patrimonio della società EURO TIR,
di cui era amministratore e legale rappresentante, attraverso la cessione del
parco automezzi (costituente gran parte del patrimonio della società) ad una
fantomatica società americana, la B&A TRADE HOUSE.
Per tale vendita era stata emessa la falsa fattura n. 293 in data 14 maggio 2002
e, quindi, poco prima della sentenza dichiarativa di fallimento del 3 luglio 2002.
Successivamente il predetto parco automezzi era stato acquistato dalla
LOGISTICA EURO EST s.r.I., della quale il CAPRARA risultava essere
l'amministratore di fatto, con ciò consentendo a tale ultima società di poter
svolgere la stessa attività di trasporto per conto terzi, negli stessi locali della
società EURO TIR ed in gran parte con lo stesso personale.
In ragione di ciò, secondo la Corte territoriale oggetto di distrazione sono stati
anche i "fattori di produzione" della EURO TIR, costitutivi dell'avviamento, così
come specificamente contestato nel capo d'imputazione in esame.
A parere del ricorrente la Corte territoriale sarebbe incorsa in illogicità
dell'assunto motivazionale nella parte in cui, oltre a prospettare argomentazioni
prive di esauriente analisi delle risultanze probatorie, ha trascurato una prova
decisiva, enunciata attraverso precisa doglianza sollevata nei motivi di appello.
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Deduce il ricorrente che non vi sarebbe prova certa della simulazione del
contratto tra la società fallita e quella americana, giacché la stessa curatela,
invece di perseguire la strada della risoluzione di tale contratto, ex articolo 74
legge fallimentare, aveva fatto la scelta di incassare il prezzo pattuito per la
cessione dei camion.
La Corte territoriale non avrebbe adeguatamente motivato su questo punto ed
inspiegabilmente -secondo il ricorrente- non avrebbe ritenuto necessario
esaminare il curatore e il giudice delegato, proprio per chiarire le circostanze
della suddetta scelta.
Deduce il ricorrente, poi, una serie di circostanze di fatto che smentirebbero
l'ipotesi accusatoria relativa alla distrazione del parco automezzi.
Censura ancora il ricorrente la motivazione della sentenza impugnata nella parte
in cui, in riforma della pronunzia del giudice di primo grado, ha ritenuto
sussistente l'ipotizzata distrazione dell'avviamento della fallita EURO TIR.
2.1.gg.
Con la memoria del 21 novembre 2014 è stata dedotta la
violazione di norma processuale con riferimento alla condanna per la distrazione
dell'avviamento.
In primo grado, il Tribunale di Gorizia aveva ritenuto che non fosse nemmeno
ipotizzabile una distrazione di avviamento della EURO TIR alla data del
fallimento, tenuto conto della situazione di insolvenza e del ruolo fondamentale
svolto dal CAPRARA nelle relazioni commerciali della società.
Sostiene il ricorrente che sul punto non hanno proposto impugnazione, nei
confronti del CAPRARA, né il pubblico ministero né il procuratore generale, che
hanno invece impugnato la sentenza di primo grado con riferimento al capo A
solo nei confronti dell'avvocato GARLATTI.
La Corte territoriale, però, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di
Gorizia, ha dichiarato il CAPRARA colpevole del reato di cui al capo A, anche con
riferimento alla contestata distrazione dell'avviamento. In tal modo, secondo il
ricorrente, è stato violato il principio devolutivo di cui all'articolo 597 cod. proc.
pen.
Nella stessa memoria del 21 novembre 2014 sono stati dedotti ulteriori motivi
(violazione di legge e vizio di motivazione) con riferimento all'imputazione di cui
al capo A.
Innanzitutto, evidenzia il ricorrente, in tutti i casi in cui la giurisprudenza di
legittimità si è occupata di distrazione dell'avviamento commerciale di un'azienda
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si trattava di bancarotta patrimoniale prefallimentare e non post-fallimentare,
come invece contestato nel caso in esame.
Sostiene altresì che solo in caso di bancarotta prefallimentare si può ritenere che
la società abbia un valore economico sotto il profilo dell'avviamento. Si ricorda,
infatti, che per avviamento commerciale deve intendersi, nei suoi termini
generali, la capacità di profitto di un'attività produttiva, ossia quell'attitudine che
consente ad un complesso aziendale di conseguire risultati economici diversi (e,
in ipotesi, maggiori) di quelli raggiungibili attraverso l'utilizzazione isolata dei
singoli elementi che la compongono. Con riferimento ad una società già fallita,
come nel caso di specie, non si può parlare di capacità di generare profitto e,
quindi, di valore economico dei fattori aziendali in grado di generare
I 'avviamento.
2.1.ggg. Passando alla condotta contestata con riferimento al parco
automezzi, rileva il ricorrente nella memoria del 21 novembre 2014 che, secondo
la Corte territoriale, la distrazione sarebbe consistita nel fatto che i camion non
erano stati nella disponibilità della curatela per più di un anno dalla dichiarazione
di fallimento.
Tale assunto, però, non terrebbe debitamente conto delle risultanze processuali
e, soprattutto, dei principi giurisprudenziali in tema di bancarotta patrimoniale
per distrazione. E' infatti pacifico che l'elemento oggettivo della distrazione si
realizzi tutte le volte in cui vi sia un ingiustificato distacco di beni o di attività,
con il conseguente depauperamento patrimoniale che si risolve in un danno per
la massa dei creditori.
Sostiene il ricorrente che nel caso di specie si sarebbe verificata una mera
sostituzione del cespite automezzi con denaro di importo adeguato al valore dello
stesso. Infatti, la fuoriuscita degli automezzi dal patrimonio della società fallita è
avvenuta (o meglio, sarebbe potuta avvenire) per mezzo di un contratto di
compravendita che prevedeva un'adeguata contropartita (114.911,64 euro da
corrispondersi in 36 rate); e tale adeguatezza può desumersi dalla stessa
relazione del curatore fallimentare, il quale, venuto a conoscenza di questa
cessione e delle relative modalità di pagamento, ha deciso di non sciogliere il
contratto non ancora eseguito.
Deduce peraltro il ricorrente il fatto che circa la metà degli automezzi erano
sempre rimasti nel piazzale della società fallita e che il curatore ne era
consapevole.
13
Quanto, invece, al fatto che il pagamento di tutto il parco automezzi sia
avvenuto oltre un anno dopo il fallimento, ciò è dovuto a particolari circostanze,
molte delle quali sorte su impulso proprio del curatore.
Secondo il ricorrente, poi, quanto affermato dalla sentenza in ordine al
corrispettivo pagato per l'acquisto del parco automezzi non troverebbe
rispondenza nelle emergenze dibattimentali, rendendo la motivazione sul punto
del tutto illogica e mancante.
In primo luogo, il solo fatto che il curatore fallimentare invece di risolvere il
contratto abbia deciso prima di darvi adempimento e poi di portare avanti delle
lunghe trattative, pur avendo la disponibilità di circa la metà degli automezzi che
ancora si trovavano nel piazzale della società fallita, dimostra che quella era
l'operazione più vantaggiosa per i creditori. In secondo luogo, gli automezzi
erano stati stimati per un valore complessivo di molto inferiore rispetto a quello
corrisposto dalla LOGISTICA e lo stesso stimatore aveva espresso le sue
perplessità sulla concreta possibilità di riuscire a venderli al prezzo stimato, in
quanto si trattava di mezzi dai 12 ai 18 anni di età, in condizioni di
manutenzione piuttosto scarsa.
Sostiene, inoltre, il ricorrente che, quand'anche si volesse ritenere integrato il
reato di bancarotta patrimoniale per distrazione da un punto di vista materiale,
non si può affermare che sussista l'elemento soggettivo. Non si comprende,
infatti, come un'operazione che va a sostituire degli automezzi difficili da vendere
con una cospicua somma di denaro si possa ritenere posta in essere nella
consapevolezza di arrecare un danno ai creditori, che invece in tal modo possono
essere soddisfatti.
2.1.h. Con ulteriore motivo nel ricorso del CAPRARA è stato dedotto il
vizio di motivazione in ordine all'imputazione di cui al capo E.
La Corte territoriale ha ritenuto che l'annotazione nelle scritture contabili della
EURO TIR della falsa fattura n. 293, attestante la cessione degli autoveicoli alla
società americana, integra il delitto di bancarotta fraudolenta documentale.
Secondo il ricorrente tale decisione non sarebbe stata adeguatamente motivata,
non avendo risposto la Corte territoriale alle specifiche doglianze difensive
formulate con l'atto d'appello e nulla avendo chiarito in ordine alla circostanza,
non accertata, della effettiva lesione degli interessi dei creditori.
Sostiene, altresì, il ricorrente che non vi sarebbe adeguata motivazione sulla
sussistenza dell'elemento soggettivo del reato ascritto.
14
2.1.hh. Nella memoria del 21 novembre 2014 il ricorrente censura
ulteriormente la motivazione della sentenza, sostenendo che non si può
ragionevolmente ritenere che la sostituzione di un'unica fattura con un'altra sia
idonea a rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari della
società e quindi ad integrare la condotta di bancarotta documentale. In ogni
caso, la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente motivato sul punto.
2.1.i.
Nel ricorso è stato dedotto pure il vizio di motivazione in relazione
all'imputazione di cui al capo I.
La Corte territoriale ha ritenuto provata la responsabilità dell'imputato in ordine
al fatto di avere, in concorso con l'avvocato GARLATTI, formato la falsa proposta
d'acquisto, apparentemente proveniente dalla società americana sopra citata,
per l'acquisto del parco automezzi della EURO TIR e di aver apposto, in calce alla
stessa, la firma apocrifa di Filomonau Alhe, apposizione materialmente
commessa dall'avvocato GARLATTI.
Secondo il ricorrente la sentenza impugnata va annullata nella parte in cui ha
ritenuto (pur rilevando la necessità di una verifica in ordine alla circostanza di
avere o meno il Filomonau prestato il consenso alla apposizione della propria
firma) non provato il dato riferito dalla difesa in ordine alla possibilità che fosse
stato proprio il suddetto Filomonau ad acconsentire alla falsificazione e non ha
quindi ravvisato la necessità di esaminare quest'ultimo, la cui testimonianza
sarebbe risultata necessaria anche per chiarire tutta un'altra serie di dubbi sulla
vicenda.
2.1.11.
Nella memoria del 21 novembre 2014 si censura la sentenza
impugnata che ha ritenuto il CAPRARA responsabile del reato di falso in scrittura
privata, costituita dalla proposta di acquisto del 14 ottobre 2003, senza che vi
fosse la querela presentata dalla persona offesa Filimonau Aleh, bensì solo quella
del curatore del fallimento.
Ritiene il ricorrente che la motivazione della Corte territoriale sul punto sia priva
di logica e non tiene conto delle risultanze processuali, che escluderebbero la
sussistenza di un danno al fallimento EURO TIR, il quale, conseguentemente, non
può ritenersi persona offesa dal reato e titolare del relativo diritto di querela.
2.1.1. Con altro motivo di ricorso è stato dedotto il vizio di motivazione in
15
relazione all'imputazione di cui al capo O.
Tale imputazione riguarda la falsa attestazione di autenticità da parte
dell'avvocato GARLATTI, in concorso con il CAPRARA, delle firme apposte
sull'istanza di dissequestro presentata presso gli uffici della procura della
Repubblica di Gorizia. Il ricorrente ritiene che la sentenza sia affetta da un grave
vizio di motivazione per carenza ed illogicità, non essendo manifeste le ragioni in
base alle quali i giudici di merito hanno attribuito all'imputato il ruolo di
istigatore, tenuto conto peraltro del fatto che non è stata assunta una prova
ritenuta decisiva ovvero l'esame della persona offesa.
2.1.m. Nella memoria del 21 novembre 2014 è stata dedotta la violazione
di legge in relazione all'articolo 157 cod. pen., con riferimento alla prescrizione
dei reati di cui ai capi I, O e T.
Deduce il ricorrente che la Corte territoriale ha omesso di dichiarare tale
prescrizione, ritenuta invece sussistente per il GARLATTI.
I giudici di appello hanno sostenuto che ostativa alla declaratoria di prescrizione
per il CAPRARA sia la contestata recidiva ex articolo 99 comma quattro cod. pen.
Deduce il ricorrente che nella sentenza impugnata, però, non si è tenuto conto
del fatto che tutti questi reati sono stati commessi prima dell'entrata in vigore
della legge 251/2005, che ha riformulato completamente la disciplina della
prescrizione del reato e prevede che, ai fatti posti in essere prima dell'entrata in
vigore della stessa si continua ad applicare la vecchia normativa, ad eccezione
dei casi in cui "per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione
risultino più brevi" (articolo 10).
Sostiene il ricorrente che nel caso di specie è evidente che sia più favorevole la
vecchia normativa, nella quale, tra l'altro, la recidiva non aveva alcuna incidenza
sul tempo necessario per prescrivere i reati. Prima della riforma, infatti, l'articolo
160, comma 2, cod. pen. disponeva che, nei casi di interruzione del corso della
prescrizione, i termini stabiliti dall'articolo 157 non potevano essere prolungati
oltre la metà, a nulla rilevando l'eventuale contestazione della recidiva.
Applicando le vecchie norme, quindi, il tempo necessario a prescrivere i reati
contestati al CAPRARA nei suddetti capi di imputazione è inferiore, ma
soprattutto i relativi termini erano già maturati al momento della sentenza della
Corte d'appello.
Infatti, quanto al capo I il reato di falsità in scrittura privata sarebbe stato
commesso tra il 14 ottobre 2003 e la fine di ottobre 2003. Non essendo
16
specificata la data esatta di consumazione, in applicazione del principio del favor
rei, ai fini del computo della prescrizione si deve far riferimento al 14 ottobre
2003. Ciò posto, essendo prevista per il reato ex articolo 485 cod. pen. una pena
detentiva massima inferiore ai cinque anni, in base al combinato disposto degli
articoli 157 e 160 cod. pen., così come formulati prima della riforma, il termine
massimo di prescrizione sarebbe maturato in data 14 aprile 2011.
Detto termine, però, tenuto conto dei periodi di sospensione -pari
complessivamente a anni uno, messi uno e giorni nove, in primo grado, e giorni
21 in grado di appello-, è definitivamente maturato in data 13 giugno 2012. La
sentenza impugnata è stata emessa in data 24 ottobre 2013, quindi in data
successiva detto termine.
Quanto al reato di cui al capo O, il ricorrente deduce che la data di commissione
è indicata nel 29 gennaio 2004 ed essendo prevista per il reato ex articolo 481
cod. pen. una pena detentiva massima inferiore ai cinque anni, in base al
combinato disposto degli articoli 157 e 160 cod. pen., così come formulati prima
della riforma, il termine massimo di prescrizione è maturato in data 29 luglio
2011. Detto termine, però, tenuto conto dei periodi di sospensione sopra
indicati, è definitivamente maturato in data 28 settembre 2012.
Infine, quanto al capo T, il reato sarebbe stato commesso nel gennaio 2004.
Non essendo specificata la data esatta di consumazione, in applicazione del
principio del
favor rei,
ai fini del computo della prescrizione si deve far
riferimento al 3 gennaio 2004 (data delle cambiali). Il reato di falsità in scrittura
privata di documenti equiparati agli atti pubblici è punito con la pena detentiva
prevista dall'articolo 476 cod. pen. (reclusione da uno a sei anni), ridotta ai sensi
dell'articolo 482 cod. pen. di un terzo (da otto mesi a quattro anni). Pertanto,
essendo anche in questo caso è prevista una pena detentiva massima inferiore ai
cinque anni e il termine massimo di prescrizione sarebbe maturato in data 13
luglio 2011. Detto termine, però, tenuto conto dei periodi di sospensione sopra
indicati, è definitivamente maturato in data 12 settembre 2012 e, quindi, in data
antecedente la sentenza della Corte d'appello.
2.1.n. Con ulteriore motivo di ricorso viene dedotto il vizio di motivazione
in relazione al trattamento sanzionatorio. Secondo il ricorrente è inadeguata la
motivazione con riguardo all'aumento apportato in applicazione dell'articolo 219
legge fallimentare.
Viene censurata inoltre la motivazione della sentenza nella parte in cui è stato
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apportato un aumento superiore rispetto a quello effettuato dal primo giudice
per la contestata recidiva, senza che se ne desse precisa ed esaustiva contezza
sul piano logico e giuridico.
2.1.nn. In ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio sono
state formulate ulteriori censure con la memoria del 21 novembre 2014
Il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche, motivato dalla Corte territoriale solo sulla base dei precedenti penali
del CAPRARA, non tenendo conto del comportamento di questi, che si sarebbe
attivato in ogni modo affinché le società fallite potessero pagare i loro creditori.
Quanto poi alla recidiva, il ricorrente deduce ulteriormente che con l'aumento di
pena, che era già stato operato dei giudici di primo grado, la medesima
circostanza dei precedenti penali è stata valutata due volte: una volta con
riferimento all'esclusione delle attenuanti generiche, un'altra volta per
giustificare un aumento consistente della pena per la recidiva contestata
2.1.0. Con la memoria del 11 novembre 2014 uno dei difensori del
CAPRARA ha ulteriormente censurato la motivazione della sentenza d'appello
nella parte in cui, in parziale accoglimento del ricorso del procuratore generale,
ha aumentato la pena irrogata all'imputato per la recidiva contestata, non
essendo condivisibile -secondo il ricorrente- il giudizio di obbligatorietà
dell'applicazione della stessa recidiva. In ordine a tale profilo è stata richiamata
l'ordinanza depositata in data 10 settembre 2014 dalla quinta sezione penale di
questa Corte, che ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 99, comma 5, cod. pen., nella
parte in cui prevede l'aumento obbligatorio della pena per la recidiva in
riferimento agli articoli 3 e 27 Cost., sotto il profilo della manifesta
irragionevolezza della norma censurata e della identità di trattamento di
situazioni diverse cui essa dà luogo.
Il ricorrente ha quindi chiesto la sospensione del giudizio fino all'esito del giudizio
dinanzi alla Corte costituzionale.
2.1.p. Con la memoria del 21 novembre 2014 il ricorrente ha dedotto il
motivo nuovo della violazione di legge di norme processuali con riferimento alla
ordinanza del 2 ottobre 2006, con la quale il Tribunale di Gorizia ha disposto la
trascrizione di alcune conversazioni telefoniche intercorse tra il CAPRARA e
18
l'avvocato GARLATTI, ritenendo inapplicabile il divieto di cui all'articolo 103,
comma cinque, cod. proc. pen.. Nello stesso senso si è espressa, a seguito
dell'impugnazione dei difensori, anche la Corte d'appello.
Le conversazioni telefoniche con l'avvocato sono state quindi poste a fondamento
della ritenuta colpevolezza del CAPRARA con riferimento al reato di cui al capo
O.
Queste intercettazioni, però, secondo il ricorrente, sono illegittime e i loro
risultati non possono essere utilizzati: si tratta, infatti, di intercettazioni di
conversazioni tra un avvocato e il suo assistito.
2.2. Bruno GARLATTI, con ricorso sottoscritto dal suo difensore avv. Giuseppe
Campeis, ha dedotto quanto segue in ordine ai soli capi di imputazione A ed E,
essendo stati gli altri reati ascrittigli dichiarati estinti per intervenuta
prescrizione.
2.2.a. Con il primo motivo vengono dedotti violazione di legge e vizio di
motivazione, nonché la nullità della sentenza ex art. 522 cod. proc. pen.
Il ricorrente ha sostenuto che dall'ampia istruttoria dibattimentale sono emersi
una serie di elementi che escludono la possibilità di configurare in capo
all'avvocato GARLATTI un concorso nel reato di bancarotta fraudolenta
patrimoniale avente ad oggetto la distrazione degli automezzi e dell'avviamento
della EURO TIR s.r.I..
Deduce il ricorrente che, se per configurare la bancarotta fraudolenta
patrimoniale è sufficiente un distacco materiale dei beni, è evidente che la
distrazione degli automezzi nel caso in esame è avvenuta ben prima
dell'intervento dell'avvocato GARLATTI e senza il suo contributo; non esiste
alcuna condotta, alcun dato fattuale, alcun elemento concreto da cui desumere
l'esistenza di un'attività rafforzativa della volontà del CAPRARA posta in essere
dal GARLATTI precedentemente alla sottrazione fisica degli automezzi.
Né è in alcun modo ipotizzabile un concorso nella distrazione dell'avviamento,
rispetto alla quale non è neppure stata elevata alcuna specifica contestazione di
condotte concretamente idonee ad agevolare la distrazione da parte del
GARLATTI.
Sostiene, peraltro, il ricorrente che, ove si dovesse ritenere che la distrazione si
abbia con un distacco non solo materiale, ma anche giuridico (atto negoziale), è
evidente che nel caso di specie non possa ravvisarsi alcuna distrazione, posto
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che gli automezzi sono sempre rimasti di proprietà della società fallita, che li ha
poi venduti nel gennaio del 2004.
Deduce inoltre che si debba dare risposta al quesito se sia configurabile una
distrazione di beni che poi il curatore ha venduto, incassando il corrispettivo
ritenuto congruo, in base alle norme e procedure che presidiano l'attività di
rilevanza pubblicistica posta in essere dagli organi fallimentari.
I fatti, secondo il ricorrente, dimostrerebbero che non vi è mai stata la
distrazione degli automezzi (che sono sempre rimasti nel patrimonio della
fallita), ma, tutt'al più, un occultamento degli stessi, rispetto al quale il falso
contratto di vendita si è posto come un
posterius, del tutto logicamente
svincolato dalla precedente condotta idonea -eventualmente- ad integrare il
reato di bancarotta.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata per mancanza di motivazione in
ordine all'ipotizzato accordo che ci sarebbe stato tra lui e il CAPRARA. Non v'è
alcun elemento di prova da cui desumere l'esistenza di tale accordo in ordine alla
distrazione sia dei mezzi sia dell'avviamento.
Anzi, la teste Del Moro ha dichiarato che l'idea di occultare gli automezzi fu
esclusivamente della CAPRARA, essendo il GARLATTI intervenuto fattivamente
solo in un secondo momento, quando, peraltro, il CAPRARA aveva già fatto
emettere e registrare in contabilità la falsa fattura di vendita degli automezzi.
Deduce, inoltre, il ricorrente che la Corte territoriale ha preso in esame una serie
di condotte del GARLATTI diverse ed ulteriori rispetto alle specifiche condotte
indicate nel capo d'imputazione sub A, nel quale si fa riferimento soltanto alla
formazione del falso contratto di vendita del 29 agosto 2002 e alla formazione
della proposta di acquisto del dicembre del 2003, riportante firme apocrife
apposte dallo stesso GARLATTI.
Nella sentenza impugnata sono però evidenziate ulteriori condotte del GARLATTI
non contestate nel capo d'imputazione (e, quindi, su cui è mancato il
contraddittorio, secondo il ricorrente), ma che la Corte, unitamente alle due
condotte espressamente contestate, ha ritenuto idonee ad integrare il reato di
concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale. Sotto questo profilo, secondo il
deducente, vi sarebbe stata violazione dell'articolo 522 cod. proc. pen.
Ribadisce il ricorrente che lui è intervenuto solo nel settembre del 2002,
allorquando, avviati i contatti come difensore con il curatore, ha consegnato il
contratto di vendita dei mezzi e, quindi, dopo la distrazione degli stessi. Quindi si
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tratta di condotta di ausilio ex post, che nulla ha a che vedere con il concorso
nella bancarotta fraudolenta.
Deduce, inoltre, il ricorrente che la sentenza impugnata merita censura anche
nella parte in cui ha ritenuto sussistente il concorso nella distrazione
dell'avviamento. Sostiene che secondo la giurisprudenza di legittimità è
configurabile la distrazione dell'avviamento quando quest'ultimo costituisca un
bene economicamente apprezzabile e quindi che sia trasferito unitamente
all'azienda. Nel caso di specie tale trasferimento non c'è stato.
2.2.aa. Con riferimento alla bancarotta documentale post-fallimentare di
cui al capo E, il ricorrente sostiene che sia il giudice di primo grado che la Corte
territoriale hanno errato nel ritenere configurabile tale reato con riferimento
all'avvenuta formazione del contratto ideologicamente falso di vendita dei mezzi
alla B&A House Trade ed alla consegna dello stesso al curatore fallimentare.
Le condotte penalmente rilevanti di bancarotta documentale post - fallimentare
sono soltanto quelle di sottrazione, distruzione, falsificazione dei libri e/o delle
scritture contabili. Nel caso di specie la condotta è quella di aver falsificato un
contratto di vendita di automezzi e consegnato al curatore del fallimento:
consegnare al curatore un contratto non equivale a falsificare una scrittura
contabile, secondo il ricorrente. All'epoca in cui tale contratto venne formato,
poi, era già stata registrata in contabilità la relativa falsa fattura di vendita,
mentre il contratto non è mai stato registrato.
Il ricorrente inoltre rileva che la Corte territoriale ha ritenuto assorbito
nell'imputazione di cui al capo E il fatto ascrittogli originariamente nel capo L, ai
sensi dell'articolo 232, comma uno, legge fallimentare, per aver presentato
domanda di ammissione al passivo del fallimento in relazione al credito fraudolentemente simulato- di euro 6408,32, asseritamente maturato per aver
predisposto e redatto il contratto di apparente vendita in data 14 maggio 2002,
nel quale la società fallita figura cedere il proprio parco automezzi alla
fantomatica società americana. Secondo il ricorrente tenuto conto
dell'autonomia del reato di cui all'articolo 232, comma uno, legge fallimentare
rispetto a quello di bancarotta fraudolenta documentale post-fallimentare, la
Corte territoriale non doveva ritenerlo assorbito nell'imputazione di cui al capo E)
e, conseguentemente, doveva dichiarare la sua estinzione per intervenuta
prescrizione.
21
2.2.b. Con un secondo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge
con riferimento agli articoli 74 cod. proc. pen., 185 cod. pen., 2555 cod. civ.,
216, 219, 223 legge fallimentare.
All'esito del processo di primo grado, il Tribunale di Gorizia condannava il
ricorrente al pagamento di una provvisionale pari ad euro 20.000. All'esito del
processo di secondo grado, la Corte d'appello, in riforma della sentenza di primo
grado, quintuplicava l'ammontare della provvisionale concessa, aumentandola
sino a C 100.000 e ponendola a carico dell'avvocato GARLATTI, in solido con il
CAPRARA.
Secondo il ricorrente tale decisione è incomprensibile, immotivata e contrastante
con le risultanze processuali. Rileva il ricorrente che la Corte territoriale, dopo
aver dato atto dell'avvenuta valutazione dell'avviamento da parte del curatore in
euro 54.227, ha stabilito di liquidare, per tale posta patrimoniale, senza
giustificazione alcuna, una somma quasi doppia.
Peraltro, deduce il ricorrente, non vi è stata alcuna sottrazione di un avviamento.
Gli unici beni temporaneamente sottratti alla materiale disponibilità della curatela
sono stati gli automezzi, la cui distrazione, come evidenziato nella sentenza di
primo grado, venne ideata e realizzata autonomamente dal CAPRARA.
2.2.c. In data 2 dicembre 2014 il difensore del GARLATTI ha depositato
una memoria nella quale, oltre ad evidenziare che con la parte civile è stata
trovata una soluzione conciliativa, ha ribadito i motivi già dedotti.
2.3. Paolo MULITZSCH ha proposto ricorso deducendo violazione di legge
perché vi sarebbe la prova positiva ed evidente della sua innocenza.
Sostiene il ricorrente che il reato previsto dall'articolo 481 cod. pen. è formale e
può essere commesso solo dall'avvocato all'atto di apposizione della cosiddetta
firma di autentica. Nel caso di specie, quindi, si sarebbe dovuto accertare chi
fosse l'autore della firma di autentica, essendo pacifico che la firma autenticata
fosse falsa. Nella consulenza del pubblico ministero, però, non è stata sottoposta
ad esame la cosiddetta firma di autentica e conseguentemente non si è accertato
se la stessa fosse del MULITISCH.
Di contro, la consulenza della difesa ha accertato che nessuna delle firme
apposte sull'atto di precetto in questione appartiene all'avvocato MULITISCH.
Alla luce di tali risultanze, secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe
dovuto emettere sentenza di assoluzione.
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Deduce ulteriormente il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe basato la sua
decisione su mere illazioni, in quanto si è limitata a valutare scarsamente
verosimile una delle tante ipotesi alternative, non motivando sulle altre e
facendo riferimento solo a concetti di verosimiglianza. Deduce inoltre il vizio di
motivazione in quanto è illogico e contraddittorio affermare che nessuno avrebbe
avuto interesse a falsificare l'atto di precetto, apparentemente riferito
all'avvocato MULITISCH, quando è stato accertato che altri soggetti hanno
falsificato il successivo atto di pignoramento, sempre apparentemente a lui
riferibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.
I ricorsi proposti nell'interesse degli imputati CAPRARA e GARLATTI sono
fondati limitatamente ai profili qui di seguito indicati, mentre quello dell'imputato
MULITISCH è inammissibile.
2.
Preliminarmente va disposto lo stralcio degli atti relativi al reato di cui al
capo T, con formazione di un nuovo fascicolo intestato a Flavio CAPRARA perché
è necessario verificare se negli atti del processo sia stata acquisita la querela.
2.1.
La Corte territoriale, confermando la decisione di primo grado, ha
ritenuto fondata la responsabilità del CAPRARA in ordine all'imputazione
concernente la formazione di sei cambiali, apparentemente emesse dalla società
LOGISTICA in favore della SVET s.a.s. (società delle quali l'imputato era
amministratore di fatto) e girate da quest'ultima alla GENERAL BETON
TRIVENETA s.p.a., società creditrice della SVET, mediante l'apposizione della
sottoscrizione apocrifa di Desolina Pausi, socia accomandataria della stessa
SVET.
La ricostruzione dei fatti che ha consentito l'affermazione di responsabilità è
basata sulle dichiarazioni rese da alcuni testi, ma il ricorrente sostiene che
sarebbe stato necessario esaminare ex articolo 507 cod. proc. pen. la Pausi,
tenuto conto che l'assunto accusatorio si basa sulla falsità della firma di costei.
Con la memoria del 21 novembre 2014 è stata dedotta la nullità della sentenza
impugnata, ai sensi dell'articolo 606, comma uno, lettera B, in relazione agli
articoli 491,485 e 493 bis codice penale, per violazione di legge penale, con
riferimento alla mancanza di querela per il reato di cui al capo T. Viene
censurata la sentenza nella parte in cui ha confermato la condanna del CAPRARA
23
per il reato di falsità in scrittura privata di documenti equiparati agli atti pubblici
(nel caso di specie, cambiali) pur in mancanza di querela.
2.2. Sebbene il ricorrente abbia dedotto la questione della carenza di
querela solo con una memoria depositata successivamente all'atto di ricorso,
questa Corte deve verificare se vi sia la condizione di procedibilità, trattandosi di
questione rilevabile di ufficio.
Peraltro, nessun dubbio può nutrirsi sul fatto che il reato di falsità in titolo di
credito, come quello di falsità di qualsiasi altra scrittura privata, sia divenuto, per
effetto dell'art. 493 bis cod. pen., punibile a querela della persona offesa, come
si evince dal capoverso della citata disposizione, la quale mantiene la
procedibilità di ufficio per le sole falsità concernenti un testamento olografo.
(Sez. 5, n. 34685 del 16/03/2005, Rv. 232314).
La giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, sin dai primi anni di applicazione
dell'articolo 493 bis cod. pen., introdotto dall'articolo 89 della legge 24 novembre
1981 n. 689, ha stabilito che il reato dì falsità in scrittura privata di documenti
equiparati agli atti pubblici dall'articolo 491 cod. pen. è punibile a querela della
persona offesa in tutti i casi in cui la falsità non riguarda un testamento olografo
(così SS.UU. 17 aprile 1982, Corapi, in Cass. Pen. 1982, 1494).
Sentenze successive hanno ribadito che, nonostante l'infelice formulazione
dell'articolo 493 bis cod. pen., che non fa nessun esplicito riferimento all'articolo
491 cod. pen., l'equiparazione prevista da tale norma di alcuni documenti agli
atti pubblici è soltanto agli effetti della pena, mentre non vi può essere dubbio
che ai fini della perseguibilità tali documenti siano vere e proprie scritture private
(si veda, Cass. 9 marzo 1984, Avalle, Rv. 164984).
Peraltro nel caso in esame è indubbiamente necessario verificare l'esistenza della
querela, giacché quando la Corte viene investita dell'esame di una questione di
procedibilità e, quindi, di una questione processuale, essendo sul punto anche
giudice del fatto, deve esaminare gli atti e valutarli, non fermandosi alle
affermazioni più o meno errate dei giudici di merito.
Negli atti trasmessi a questa Corte non è stato rinvenuto l'atto di querela, sicché
si deve provvedere a richiedere tale atto -ove sia stato presentato- al giudice
d'appello.
3. Passando all'esame dei motivi di impugnazione proposti da CAPRARA e
GARLATTI, ritiene questa Corte opportuno trattare le questioni nell'ordine
24
proposto dai singoli imputati, salvo su alcuni profili comuni ad entrambi, di cui si
dirà in seguito.
4. Infondati sono i motivi di ricorso proposti da Flavio CAPRARA in relazione
all'imputazione di cui al capo Z, con la quale gli è stata contestata, quale
amministratore di fatto (in concorso con Milos Vranjkovic e Roberta Del Moro), la
bancarotta documentale commessa mediante falsificazione dei libri e delle
scritture contabili della LOGISTICA EURO EST s.r.I., annotando operazioni di
acquisto e storno non corrispondenti al vero e, in particolare, annotando
operazioni rappresentate da una nota di accredito e una serie di false fatture di
vendita di camion, apparentemente ceduti prima dalla EURO TIR alla B&A TRADE
HOUSE Ltd (società ritenuta nell'ipotesi accusatoria inesistente) e poi sempre
apparentemente rivenduti da tale società straniera alla LOGISTICA.
Si legge nella sentenza impugnata quanto segue.
"Si tratta, in sintesi: 1) delle fatture formate materialmente dalla Del Moro,
sulla base di istruzioni impartitele dal CAPRARA, attraverso l'uso di un computer
e di una stampante a colori, ed annotate nelle scritture contabili della Logistica,
apparentemente da B&A Trade House Ltd nel settembre 2002 e concernenti le
fittizie operazioni di cessione, da parte di tale -inesistente - società, in favore
della Logistica, di quegli stessi automezzi che, sulla base del -falso- contratto del
14.5.2002, risultavano essere stati venduti dalla Eurotir alla predetta società
americana; 2) della nota di credito, a storno delle precedenti operazioni
economiche, sempre apparentemente emesse dalla B&A, nel dicembre 2003, in
favore della Logistica".
4.1. In ordine alla contestazione da parte del ricorrente della sussistenza
del "danno alla massa dei creditori" e dell'elemento oggettivo della bancarotta
documentale, va preliminarmente precisato che non è consentito a questa Corte
trarre valutazioni autonome dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel
provvedimento impugnato. Infatti, solo l'argomentazione critica che si fonda
sugli elementi di prova contenuta nel provvedimento impugnato può essere
sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la
rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all'esigenza della
completezza espositiva (Sez. 6, n. 40609/2008, Rv. 241214, Ciavarella). E'
ormai principio consolidato che a questa Corte non possono essere sottoposti
giudizi di merito, non consentiti neppure alla luce del nuovo testo dell'art. 606,
25
lettera e, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, Rv. 253567).
Orbene, passando all'esame della sentenza impugnata in questa sede, va
rilevato che la Corte territoriale ha motivato in maniera logica e congrua,
affermando che "la tesi sostenuta dall'appellante, secondo cui le operazioni di
acquisto di storno, aventi ad oggetto gli stessi automezzi, si sarebbero annullate
reciprocamente senza rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del
movimento degli affari della società, non è condivisibile: deve, al contrario,
ritenersi che l'annotazione di quelle -false- fatture nella contabilità della
LOGISTICA non solo creavano un quadro del tutto difforme dalla realtà
economica della società, trattandosi di operazione destinata a far falsamente
apparire come esistente un rapporto economico -che si sarebbe protratto per
oltre un anno- del tutto fittizio, con evidenti ripercussioni sulla ricostruzione
dell'effettività del patrimonio e del reale movimento degli affari della società
fallita, ma avevano anche lo specifico scopo di occultare la condotta distrattiva
dell'intero parco automezzi commessa in danno della EUROTIR e di consentire al
CAPRARA il conseguimento dell'ingiusto profitto rappresentato dalla prolungata
disponibilità degli automezzi sottratti al fallimento, mentre l'emissione, da parte
della LOGISTICA, della nota di credito del dicembre 2003 non era di certo
un'operazione di trasparenza contabile postuma, effettuata allo scopo di
annullare ad origine gli effetti della falsa rappresentazione contabile relativa alle
fatture (apparentemente) emesse dalla società americana nei confronti della
LOGISTICA, ma, come riferito dalla Del Moro, era invece esclusivamente
finalizzata, attraverso un ulteriore artificio contabile, a rendere possibile, sotto il
profilo formale, la realizzazione dell'operazione negoziale intercorsa tra la
LOGISTICA ed il Fallimento EURO TIR".
Tale motivazione non presenta vizi censurabili in questa sede, avendo
chiaramente evidenziato come la condotta posta in essere abbia avuto
l'attitudine di creare un effettivo pregiudizio per la ricostruzione dell'andamento
contabile della società fallita (si veda, in materia, Sez. 5, n. 41051 del
19/06/2014, Rv. 260773).
4.2. Il ricorrente ha censurato ulteriormente la sentenza, deducendo che
non avrebbe motivato sulla sussistenza dell'elemento psicologico del reato
contestato nel capo Z.
Anche tale motivo è, però, infondato sia alla luce di quanto si desume dalla parte
della motivazione sopra riportata, nella quale è chiaramente esplicitata la
26
valutazione in ordine alle finalità perseguite dall'imputato con le annotazioni
contabili in esame, sia alla stregua della precisazione fatta dal giudice d'appello
in ordine agli elementi necessari ai fini della configurabilità del reato di
bancarotta fraudolenta documentale come contestata in questa sede.
La giurisprudenza di questa Corte è da tempo orientata nel senso che, mentre
"per le ipotesi di sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture
contabili, per espresso dettato della legge (art. 216, comma 1, n. 2), è
necessario il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un
ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori" (Sez. 5, 13 ottobre 1993, Rv.
195896), per le ipotesi di irregolare tenuta della contabilità, caratterizzate dalla
tenuta delle scritture "in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del
patrimonio o del movimento degli affari", è richiesto, invece, il dolo intenzionale,
perché la finalità dell'agente è riferita a un elemento costitutivo della stessa
fattispecie oggettiva, l'impossibilità di ricostruire il patrimonio e gli affari
dell'impresa, anziché a un elemento ulteriore, non necessario per la
consumazione del reato, qual è il pregiudizio per i creditori (Sez. 5, n. 21872 del
25/03/2010, Rv. 247444; Sez. 5, n. 1137 del 17/12/2008, Rv. 242550; Sez. 5,
18 febbraio 1992, De Simone, Rv. 189813).
Appare utile aver presente, peraltro, che -diversamente dalla distinzione tra dolo
intenzionale e dolo diretto o eventuale- la distinzione tra dolo generico e dolo
specifico non attiene all'intensità, ma alla struttura del dolo; e, come rileva la
giurisprudenza di questa Corte, l'intenzione di rendere impossibile o
estremamente difficile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli
affari dell'impresa fallita "cela, di per sé, sul piano pratico lo scopo di
danneggiare i creditori o di procurarsi un vantaggio" (Sez. 5, 24 marzo 1981, Rv.
148926; Sez. 5, 8 novembre 1971, Rv 119792).
Quindi, nella prospettiva dell'accertamento, alle diverse configurazioni del dolo
nelle due ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale non corrisponde una
sostanziale diversificazione nell'onere probatorio per l'accusa, perché è pur
sempre necessario escludere in entrambi i casi la rilevanza di un atteggiamento
psicologico di mera superficialità dell'imprenditore fallito (Sez. 5, 6 dicembre
1999, Rv. 216267).
Infatti, un atteggiamento di superficialità è proprio della bancarotta documentale
semplice, che può essere caratterizzata dal dolo o indifferentemente dalla colpa,
che sono ravvisabili quando l'agente ometta, rispettivamente, con coscienza e
volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture (Sez. 5, n. 48523 del
27
06/10/2011, Rv. 251709; Sez. 5, n. 38598 del 09/07/2009, Rv. 244823; Sez. 5,
18 ottobre 2005, Rv. 233997).
5.
Infondate sono pure le censure mosse in relazione al capo 3, nel quale è
stato ascritto al CAPRARA (in concorso con Svetlana Milivojevic e Desolina Pausi)
il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 216, comma 1, n. 1, 219 comma 2 e 223
L.F., per avere, nella sua qualità di legale rappresentante ed amministratore
della EURO TIR s.r.I., nonché di amministratore di fatto della SVET s.a.s., posto
in essere attività di distrazione di capitali della EURO TIR, concedendo alla SVET
finanziamenti di somme per un ammontare complessivo di euro 223.016,16,
privi di qualsiasi giustificazione economico - finanziaria.
Va premesso che in ordine a tale imputazione in primo grado v'era stata
sentenza di assoluzione del giudice di primo grado, che la Corte territoriale ha
riformato in seguito all'appello dei rappresentanti dell'ufficio del pubblico
ministero e delle parti civili.
5.1. Il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui la Corte territoriale
ha ritenuto che il finanziamento concesso dalla EURO TIR alla SVET per l'acquisto
di un immobile fosse un escamotage per distrarre i beni della società senza un
reale interesse.
Il giudice di primo grado aveva motivato l'assoluzione facendo riferimento al
fatto che il finanziamento erogato dalla EURO TIR a favore della SVET, per un
totale di euro 223.016,16, era stato correttamente contabilizzato, prevedeva
interessi e poi era stato interamente restituito.
La Corte territoriale non ha dato alcuna rilevanza a queste circostanze ed ha,
invece, ritenuto integrato il reato, affermando che quell'operazione non poteva
"essere finalizzata ad accrescere il capitale sociale della EURO TIR, posto che la
società si trovava già in stato di dissesto" e che quel finanziamento "non trovava
fondamento in alcuna giustificazione economico-finanziaria della EURO TIR".
Secondo il ricorrente la Corte territoriale non ha tenuto conto del fatto che, nel
momento in cui era stata erogata la parte rilevante del finanziamento, la società
non si trovava ancora in una fase di dissesto.
Tale circostanza è, però, del tutto irrilevante, per le ragioni che qui di seguito si
diranno, mentre va preliminarmente precisato che l'esame della motivazione
della sentenza impugnata consente di ritenere che la Corte territoriale,
riformando la pronunzia assolutoria di primo grado, non si sia solo basata su una
28
interpretazione alternativa degli stessi elementi probatori utilizzati dal Tribunale,
ma abbia argomentato in maniera adeguata e specifica sulle ragioni a sostegno
della diversa lettura delle risultanze processuali.
Secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite, il giudice di appello che riformi
totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti
del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i
più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle
ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma
del provvedimento impugnato (Sez. Un., n. 33748 del 12 luglio 2005, Mannino,
Rv. 231679). Tali principi sono stati costantemente ribaditi da questa Corte, con
la precisazione che il giudice dell'appello non può limitarsi ad imporre la propria
valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel
provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 8361 del 17 gennaio 2013, p.c. in proc.
Rastegar, Rv. 254638), ma deve provvedere ad una motivazione che,
sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle
scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova
diversi o diversamente valutati (Sez. 5, n. 42033 del 17 ottobre 2008,
Pappalardo, Rv. 242330), giungendo ad affermare l'illegittimità della sentenza
d'appello che, in riforma di quella assolutoria condanni l'imputato sulla base di
una alternativa interpretazione del medesimo compendio probatorio utilizzato nel
primo grado di giudizio, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore della
motivazione, tale da far cadere "ogni ragionevole dubbio" (Sez. 6, n. 49755 del
21 novembre 2012, G., Rv. 253909). In definitiva il giudice d'appello, quando,
immutato il materiale probatorio acquisito al processo, affermi sussistente una
responsabilità penale negata nel giudizio di primo grado, deve confrontarsi
espressamente con il principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, non limitandosi
pertanto ad una rilettura di tale materiale e quindi ad una ricostruzione
alternativa, ma spiegando perché, dopo il confronto puntuale con quanto di
diverso ritenuto e argomentato dal giudice che ha assolto, il proprio
apprezzamento è l'unico ricostruibile proprio al di là di ogni ragionevole dubbio,
in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano
caratterizzato il primo giudizio minandone conseguentemente la permanente
sostenibilità.
A tali oneri la Corte di Appello nel caso di specie ha provveduto in maniera
puntuale e logica, indicando le fonti di prova dalle quali ha desunto la
compromissione patrimoniale di consistenza della società EURO TIR, già
29
registrata nell'esercizio chiuso al 31 dicembre 2000, sicché l'operazione di
finanziamento alla SVET non ha avuto alcun fondamento e giustificazione
economico - finanziaria.
Nella sentenza sono evidenziati specificamente gli elementi di fatto a
confutazione della tesi difensiva e correttamente si rileva che l'avvenuta
restituzione delle somme finanziate, in seguito ad espressa richiesta della
curatela, non esclude la sussistenza del reato già consumatosi.
Come la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di affermare (Sez. 5, 23
marzo - 14 aprile 1999, n. 4739), l'elemento oggettivo del delitto in esame è
costituito dal distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore, con
conseguente possibilità di depauperazione patrimoniale nei confronti dei
creditori.
Anche il recupero - ad esempio attraverso un'azione revocatoria o con atto di
restituzione dell'imputato - o la possibilità del recupero del bene è del tutto
ininfluente sulla sussistenza dell'elemento materiale, in quanto la fattispecie si
perfeziona al momento del distacco del bene dal patrimonio, anche se il reato
viene ad esistenza giuridica con la dichiarazione di fallimento, mentre il recupero
della res rappresenta solo un posterius, equiparabile alla restituzione della
refurtiva dopo la consumazione del furto (Sez. 5, n. 39635 del 23/09/2010, Rv.
248658).
Anche il fatto che i creditori del fallimento comunque non sarebbero stati lesi,
secondo l'affermazione del ricorrente, non appare rilevante. L'accertamento dello
stato di insolvenza e la conseguente dichiarazione di fallimento del giudice civile,
infatti, non possono essere messi in dubbio dal giudice penale; con la
dichiarazione di fallimento vengono ad esistenza giuridica i fatti di distrazione
commessi
in
precedenza.
Gli eventi successivi a detta dichiarazione - quali ad esempio revocatorie
fallimentari che consentano il recupero di beni - non incidono sulla sussistenza
dell'illecito, il quale, pertanto, rimane integro anche nel caso in cui i beni
vengano successivamente rinvenuti e recuperati dagli organi fallimentari, avendo
il legislatore inteso colpire la manovra diretta alla sottrazione, con la
conseguenza che rimane tutelata anche la mera possibilità di danno per i
creditori (Sez. 5, 17 marzo - 15 maggio 1987, n. 6168).
5.2.
Secondo il ricorrente la motivazione della sentenza impugnata
sarebbe carente anche in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento
30
psicologico del reato in esame, in quanto non avrebbe preso in considerazione
tutte le circostanze evidenziate dalla difesa che, al contrario, dimostrerebbero
l'assenza di dolo in capo al CAPRARA.
Gli assunti difensivi sono infondati.
La Corte d'appello, dopo aver precisato che per il reato di bancarotta fraudolenta
per distrazione non è necessario il dolo specifico, ha rilevato che il CAPRARA non
poteva ragionevolmente ignorare che la corresponsione di risorse finanziarie così
rilevanti alla SVET (società di cui lui era amministratore di fatto), non giustificate
da un'esigenza dell'attività di impresa della EURO TIR, avrebbero potuto
danneggiare il ceto creditorio ed era, al contrario, perfettamente consapevole
dell'incompatibilità di tali operazioni con gli interessi della stessa EURO TIR, che
non a caso, solo in epoca successiva al fallimento avrebbe ottenuto la
restituzione della somma erogata a titolo di finanziamento.
Ha quindi evidenziato, con motivazione logica e coerente, gli elementi di fatto dai
quali ha desunto la sussistenza in capo all'imputato dell'elemento soggettivo
proprio del reato in esame.
Occorre, a tal proposito, tener presente che, secondo la giurisprudenza di questa
Corte, l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta è costituito dal
dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello
stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori,
essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una
destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. 5, n.
52077 del 04/11/2014, Rv. 261348; Sez. 5, n. 21846 del 13/02/2014, Rv.
260407; Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012, Rv. 253932).
6. Con il terzo motivo il CAPRARA ha dedotto il vizio di motivazione in relazione
all'imputazione di cui al capo Y, nel quale viene ascritto il reato di bancarotta
fraudolenta aggravata per distrazione di capitali della SVET s.a.s. e, in
particolare, di almeno euro 136.147,13 del maggiore importo di euro
149.197,13, costituendo il saldo (comprensivo di interessi di mora) del prezzo
dovuto alla suddetta società dalla ELLETI s.r.l. per il contratto di compravendita
di immobile.
La Corte territoriale, disattendendo la tesi difensiva, secondo la quale la SVET
non si sarebbe mai trovata in stato di insolvenza e che neppure il pagamento di
somme in favore della EURO TIR ed il successivo finanziamento operato in favore
della LOGISTICA avrebbero influito in tal senso, ha ritenuto che si trattasse di
31
operazioni che esulavano del tutto dall'attività della SVET e che soprattutto non
risultavano essere state effettuate nell'interesse della predetta società.
Secondo il ricorrente, non essendo stato provato che dall'attività posta in essere
dalla SVET sia derivata una diminuzione pregiudizievole del patrimonio sociale,
con lesione dei diritti dei creditori (essendo stata, peraltro, la richiesta di
fallimento presentata dal pubblico ministero) e, in assenza di situazioni debitorie
effettive, deve escludersi che si possa configurare il delitto di bancarotta
fraudolenta per distrazione.
Il ricorso appare manifestamente infondato e basato su una serie di deduzioni in
fatto, non valutabili in questa sede; e, a tal proposito, si richiamano qui i principi
in materia di questioni deducibili con l'impugnazione in cassazione.
Va detto, inoltre, che la Corte territoriale, con motivazione congrua, logica ed
esaustiva, ha ritenuto la sussistenza del reato ascritto affermando, tra l'altro,
che le operazioni economiche indicate nel capo d'imputazione costituiscono atti
di distrazione patrimoniale di risorse finanziarie che la SVET aveva conseguito
incassando il prezzo riveniente dalla vendita dell'unico immobile di sua proprietà
e che nessuna giustificazione contabile veniva rilevata in relazione a tali
pagamenti.
Tali indicazioni appaiono sufficienti a fondare la conferma della pronunzia di
primo grado, dovendo rammentarsi, peraltro, che in sede di legittimità non è
censurabile la sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata
col gravame, quando questa risulta disattesa dalla motivazione
complessivamente considerata; è sufficiente, infatti, per escludere la ricorrenza
del vizio previsto dall'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., che la
sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della
prospettazione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida
alternativa (Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013 - dep. 15/01/2014, Cento e altri,
Rv. 259643; Sez. 5, n. 607 del 14/11/2013, Rv. 258679).
A completamento di quanto qui detto, si evidenzia infine che nel caso in esame
la sentenza impugnata ha confermato quella di primo grado, sicché vanno
ribaditi i principi secondo i quali, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si
trova dinanzi a una "doppia pronuncia conforme" e cioè a una doppia pronuncia
(in primo e in secondo grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di
assoluzione), l'eventuale vizio di travisamento può essere rilevato in sede di
legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione)
che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta
32
introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di
secondo grado (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Rv. 258438).
7.
Infondato è pure il quarto motivo di ricorso proposto dal CAPRARA in ordine
ai capi d'imputazione sub lettere W e X.
7.1. La Corte territoriale, in seguito all'appello del Pubblico Ministero e
della parte civile, ha ritenuto, riformando la sentenza di primo grado, provata la
responsabilità dell'imputato per entrambe le imputazioni in ordine a fatti
"analoghi" e, pertanto, analizzati congiuntamente, in quanto relativi alla
distrazione dalle casse della SVET della somma di euro 61.975,00, ricevuta dalla
ELLETI a titolo di IVA per la compravendita dell'immobile indicato nel punto
precedente, nonché della somma di euro 161.616,17, costituente la prima rata
del prezzo di vendita dello stesso immobile, somme che venivano destinate
all'estinzione dei crediti della stessa SVET verso la EURO TIR. I fatti sono riferiti
al fallimento della SVET ed ascritti al CAPRARA in qualità di amministratore di
fatto di tale società.
Il Tribunale di Gorizia ha assolto l'imputato dalla reato ascrittogli al capo W
perché il fatto non sussiste, ritenendo che, al momento della restituzione del
prestito a EURO TIR non risultava che la SVET fosse in condizioni di insolvenza
(testimonianza Busolini), nonché dal reato di cui al capo X per difetto
dell'elemento soggettivo del reato, in quanto la scelta di effettuare, con la prima
rata del prezzo di vendita dell'immobile, il pagamento del debito nei confronti di
EUROTIR poteva essere giustificato dal fatto che verosimilmente la curatela
aveva sollecitato detto pagamento.
7.2. Risulta dalla motivazione della sentenza impugnata che, in data 15
maggio 2002, la SVET vendeva alla società ELLETI l'immobile di Terzo in
Aquileia, precedentemente acquistato grazie al finanziamento da parte dell'EURO
TIR; a fronte di un prezzo pattuito di C 309.875, la società acquirente
corrispondeva una somma pari a C 223.591,17, di cui 61.975 euro a titolo di Iva
e 161.616,17 euro come prima rata del prezzo di acquisto del bene.
Successivamente, la SVET, a titolo di restituzione della somma ricevuta, nel
giugno del 2002, ovvero prima della dichiarazione di fallimento della EURO TIR,
versava, in più occasioni, alla predetta società la somma contante complessiva di
euro 73.600.
33
Questo pagamento, sostiene la Corte territoriale, integra la bancarotta
preferenziale, in quanto il CAPRARA ha voluto in qualche modo favorire la EURO
TIR rispetto agli altri creditori della SVET, di cui era amministratore di fatto.
7.3. Nella memoria del 21 novembre 2014 è stata dedotta violazione di
legge in relazione all'articolo 157 cod. pen., con riferimento alla prescrizione dei
reati di cui ai capi W e X.
La Corte territoriale, come si è detto, ha qualificato le condotte di cui ai suddetti
capi d'imputazione come reati di bancarotta preferenziale. Secondo il deducente
i due reati ad oggi hanno maturato il termine di prescrizione, ritenendo che tale
termine, a differenza di quello per il reato di bancarotta patrimoniale, si consumi
nel momento in cui sono stati effettuati pagamenti e non in quello in cui
interviene la sentenza dichiarativa di fallimento.
Tale assunto fa leva sull'indirizzo espresso da una pronuncia di questa Corte,
secondo cui il reato di bancarotta fraudolenta preferenziale si consuma nel
momento dei pagamenti, irrilevante essendo la data della sentenza dichiarativa
di fallimento (Sez. 5, n. 37428 del 19/05/2009, Gambino e altri, Rv. 244617).
Tale indirizzo, tuttavia, non può essere seguito.
Questo Collegio, infatti, ritiene di confermare il più recente orientamento, a
mente del quale, anche in caso di bancarotta preferenziale, il termine di
prescrizione decorre dal momento della sentenza dichiarativa di fallimento (Sez.
5, n. 48739 del 14/10/2014, Grillo Luigi, Rv. 261299; Sez. 5, n. 26548 del
19/03/2014, Rv. 260577; Sez. 5, n. 592 del 04/10/2013, De Florio, Rv.
258712).
Punto di riferimento sulla natura della sentenza dichiarativa di fallimento è
l'affermazione secondo cui "la dichiarazione di fallimento, pur costituendo un
elemento imprescindibile per la punibilità dei reati di bancarotta, si differenzia
concettualmente dalle condizioni obiettive di punibilità vere e proprie perché,
mentre queste presuppongono un reato già strutturalmente perfetto, sotto
l'aspetto oggettivo e soggettivo essa, invece, costituisce, addirittura, una
condizione di esistenza del reato o, per meglio dire, un elemento al cui concorso
è collegata l'esistenza del reato, relativamente a quei fatti connmissivi od
omissivi anteriori alla sua pronunzia; e ciò in quanto attiene così strettamente
all'integrazione giuridica della fattispecie penale, da qualificare i fatti medesimi, i
quali, fuori del fallimento, sarebbero, come fatti di bancarotta, penalmente
irrilevanti" (Sez. U, n. 2 dep. 25/01/1958, Mezzo, Rv. 98004).
34
Tale orientamento ha trovato conferma nella successiva giurisprudenza di questa
Corte e, più di recente, le Sezioni Unite hanno affermato quanto segue: "La
giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte è schierata nel senso che il
decreto di ammissione all'amministrazione controllata ripete, nell'ambito della
corrispondente fattispecie di bancarotta, la stessa natura e gli stessi effetti della
sentenza dichiarativa di fallimento ed integra, pertanto, un elemento costitutivo
del reato e non già una mera condizione obiettiva di punibilità, presupponendo
questa un reato già strutturalmente perfetto, sia sotto il profilo oggettivo che
sotto quello soggettivo" (Sez. U, n. 24468 del 26/02/2009, Rizzoli, Rv. 243585).
Il ruolo rivestito dalla sentenza dichiarativa di fallimento nelle fattispecie di
bancarotta prefallimentare - compresa la bancarotta preferenziale - si riflette
sull'individuazione del relativo tempus commissi delicti: si è così precisato che la
data di commissione del reato di bancarotta fraudolenta coincide normalmente,
tranne che per le ipotesi di bancarotta postfallimentare, con quella di
dichiarazione del fallimento, che è un elemento costitutivo del reato e non una
condizione oggettiva di punibilità, sicché "tale reato si concretizza in tutti i suoi
elementi costitutivi solo nel caso in cui il soggetto che abbia commesso anche in
precedenza attività di sottrazione dei beni sia dichiarato fallito" (Sez. 1, n. 1825
del 06/11/2006, Iacobucci, Rv. 235793; Sez. 5, n. 306 del 17/11/1989,
Sargenti, Rv. 183026).
Il principio ha trovato puntuale conferma con riguardo al termine di efficacia dei
provvedimenti relativi all'applicazione dell'amnistia o indulto (Sez. 5, n. 7814 del
22/03/1999, Di Maio ed altri, Rv. 213867), in tema di determinazione della
competenza per territorio (Sez. 5, n. 1935 del 19/10/1999, Auriemma, Rv.
216433) e in riferimento all'estinzione del reato per prescrizione: infatti, dal
principio di diritto in forza del quale la sentenza dichiarativa di fallimento è un
elemento costitutivo del reato di bancarotta fraudolenta, con la conseguenza che
fatti altrimenti irrilevanti sul piano penale o, comunque, integranti altri reati
possono essere considerati lesivi degli interessi dei creditori ed incidenti
negativamente sul regolare svolgimento dell'attività imprenditoriale, tanto da
essere specificamente perseguiti penalmente, deriva che la prescrizione decorre
dal momento della consumazione del reato e, quindi, nella specie, dalla sentenza
dichiarativa di fallimento (Sez. 5, n. 46182 del 12/10/2004, Rossi ed altro, Rv.
231167; Sez. 5, n. 32164 del 15/05/2009, Querci, Rv. 244488, in tema di
bancarotta fraudolenta impropria).
35
È dunque in questo quadro che va collocata l'affermazione generale - riferibile
anche alla bancarotta preferenziale - delle Sezioni unite di questa Corte secondo
cui "la bancarotta pre-fallimentare si consuma nel momento e nel luogo in cui
interviene la sentenza di fallimento, mentre la consumazione di quella postfallimentare si attua nel tempo e nel luogo in cui vengono posti in essere i fatti
tipici" (Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011 - dep. 26/05/2011, P.M. in proc. Loy,
Rv. 249668; si veda anche, proprio con riferimento ad un'ipotesi di bancarotta
preferenziale, Sez. 3, n. 34912 del 13/07/2011, Sartore).
Alla luce della considerazioni svolte deve dunque conclusivamente affermarsi che
il reato di bancarotta preferenziale pre-fallimentare si consuma nel momento in
cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento.
In applicazione dei principi sopra enunciati, quindi, va rigettata la richiesta della
difesa di declaratoria di estinzione per prescrizione dei reati di bancarotta
preferenziale di cui ai capi di imputazione sopra indicati.
7.4. Passando all'esame degli altri profili del motivo di ricorso in esame,
va detto che il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui
disattende le risultanze della relazione del commercialista della difesa in
relazione ai bilanci della SVET, che escluderebbero l'elemento psicologico del
reato di bancarotta sul presupposto della prova della solvibilità della società
SVET.
Deduce, inoltre, che -affinché sia integrata la fattispecie del reato in questione- i
pagamenti devono essere stati eseguiti in costanza dello stato di insolvenza della
società fallita; ma lo stato di insolvenza accertato nella sentenza di fallimento secondo il ricorrente- non ha alcuna rilevanza per quanto riguarda il reato
contestato al capo W. Infatti, in quella sentenza è stato accertato che la SVET si
trovava in stato di insolvenza solo quando è stata presentata istanza di
fallimento, ossia al termine dell'anno 2003. Nessuna parola è stata spesa per
motivare se la società fosse già in stato di insolvenza nel momento in cui è stato
effettuato il pagamento alla EURO TIR nel giugno 2002. Secondo il ricorrente non
si può ragionevolmente ritenere che la SVET nel giugno 2002, dopo aver
incassato C 223.591,17, si trovasse in stato di insolvenza. Peraltro, nel momento
in cui è stato effettuato il pagamento alla EURO TIR non era neppure scaduto il
termine per il pagamento dell'Iva, che avrebbe dovuto essere versata entro il 15
luglio 2002; pertanto, secondo il ricorrente, il pagamento alla EURO TIR non
36
poteva arrecare alcun danno all'Erario, posto che, al momento della scadenza, la
società aveva ancora la disponibilità di € 149.991,17.
In ordine a tale profilo, però, la Corte territoriale ha motivato correttamente,
evidenziando che la questione relativa all'accertamento dello stato di insolvenza
della società è, in realtà, priva di rilevanza, poiché la sentenza di fallimento non
è in alcun modo sindacabile quanto alla sussistenza dei suoi presupposti dal
giudice penale (Sez. 5, n. 9279 del 08/01/2009, Carottini, Rv. 243160; Sez. U,
n. 19601 del 28/02/2008, Niccoli, Rv. 239398).
7.5.
Il ricorrente censura, altresì, la motivazione nella parte in cui la
Corte territoriale confuta l'ipotesi sostenuta dal giudice di primo grado, secondo
la quale mancherebbe la prova della consapevolezza che la SVET, pagando il
debito in favore della EURO TIR, volesse danneggiare gli altri creditori ed in
particolare l'Erario, il cui credito non era stato ancora compulsato attraverso
un'azione di messa in mora. Rileva il ricorrente che la condotta punita dal
comma tre dell'articolo 216 legge fallimentare consiste nell'avere, tra l'altro,
eseguito pagamenti prima o durante la procedura fallimentare "a scopo di
favorire, a danno dei creditori, uno di essi". Mancherebbe, nel caso di specie, tale
elemento soggettivo, che è integrato dal dolo costituito dalla volontà di recare un
vantaggio al creditore (o ai creditori) con l'accettazione dell'eventualità di un
danno per altri.
In ordine a tale profilo, però, la Corte territoriale ha reso motivazione congrua e
logica.
Si legge, infatti, che "il Caprara, in un momento in cui la SVET si trovava nello
stato d'insolvenza sopra descritto -ed a lui noto- abbia voluto, attraverso le
specifiche operazioni contestate, favorire la EURO TIR, alterando così la par
condicio creditorum, e rappresentandosi o, quantomeno, accettando il rischio di
cagionare un danno agli altri creditori, nel caso di specie l'erario, in virtù del
debito tributario derivante dal versamento dell'IVA, da parte della ELLETI, in
relazione al contratto di compravendita immobiliare".
Richiama, quindi, la Corte territoriale la giurisprudenza di questa Corte, secondo
la quale l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta preferenziale è costituito
dal dolo specifico, ravvisabile quando l'atteggiamento psicologico del soggetto
agente sia rivolto a preferire intenzionalmente un creditore, con concomitante
riflesso, anche secondo lo schema tipico del dolo eventuale, nel pregiudizio per
altri (Sez. 5, n. 673 del 21/11/2013, Lippi, Rv. 257963; Sez. 5, n. 592 del
37
04/10/2013, De Florio, Rv. 258713; Sez. 5, n. 31894 del 26/06/2009, Petrone,
Rv. 244498).
La Corte territoriale ha quindi evidenziato perché sia individuabile in capo al
CAPRARA il dolo specifico, affermando che "non v'è dubbio che ciò sia stato
oggetto di rappresentazione da parte dell'imputato, essendo evidente che
l'impiego di quelle somme a vantaggio della creditrice EUROTIR avrebbe
sostanzialmente privato definitivamente la SVET di ogni sua risorsa finanziaria,
che, pertanto, la società, come ha rilevato il curatore fallimentare, non avrebbe
più avuto i mezzi per il versamento dell'IVA e che, al contrario, l'esposizione
debitoria verso l'Erario avrebbe subiti un rilevante e progressivo incremento
senza che vi fosse alcuna concreta prospettiva di un suo proprio risanamento...".
Tale motivazione non appare meritevole di censure.
7.6.
In ordine al capo X deduce ulteriormente il ricorrente che la
sentenza di primo grado aveva correttamente escluso la sussistenza del reato
affermando che "la scelta di effettuare, con l'importo percepito quale prima rata
del prezzo di vendita, il pagamento del debito nei confronti di EURO TIR,
precedentemente al versamento dell'Iva trova giustificazione nel fatto che è
verosimile che la curatela fallimentare avesse sollecitato detto pagamento.
Appare dunque conforme alle risultanze probatorie esposte escludere una
volontà distrattiva in relazione alla prima rata del prezzo di vendita, dovendosi
anche rilevare che rimaneva a disposizione della SVET il residuo corrispettivo per
fare fronte alle altre obbligazioni". È evidente, pertanto, secondo il deducente,
che gli amministratori non sono stati mossi dall'intento di avvantaggiare un
creditore rispetto all'altro, ma che hanno agito solo al fine di evitare un possibile
fallimento della società o, comunque, un'azione legale da parte del curatore della
SVET, ben sapendo di poter estinguere successivamente il debito con l'Erario,
pur dovendo pagare la mora per il ritardo.
L'assunto è destituito di fondamento, dovendo invece condividersi quanto
rilevato dalla Corte d'appello, con adeguata e logica motivazione, affermando come si è già detto- che il CAPRARA era consapevole del fatto che così facendo
avrebbe lasciato la SVET priva di risorse economiche e che in tal modo la stessa
non avrebbe potuto pagare l'Iva.
Ciò, come si è sopra già rilevato, è indicativo della finalità perseguita dal
CAPRARA, ossia quella di favorire il creditore EURO TIR rispetto all'Erario.
38
8.
Nei motivi di ricorso proposto dal CAPRARA è stato dedotto il vizio di
motivazione anche con riferimento all'imputazione di cui al capo A, nel quale è
stato contestato al suddetto imputato di aver posto in essere, in concorso con
altri soggetti tra cui il GARLATTI, un'attività finalizzata a distrarre ed occultare i
beni del patrimonio della società EURO TIR, di cui era amministratore e legale
rappresentante, attraverso la cessione del parco automezzi (costituente gran
parte del patrimonio della società) ad una fantomatica società americana, la B&A
TRADE HOUSE.
Per tale vendita era stata emessa una falsa fattura in data 14 maggio 2002 e,
quindi, poco prima della sentenza dichiarativa di fallimento del 3 luglio 2002.
Dopo il fallimento il predetto parco automezzi era stato acquistato dalla
LOGISTICA EURO EST s.r.I., della quale il CAPRARA era amministratore di fatto,
con ciò consentendo a tale ultima società di poter svolgere la stessa attività di
trasporto per conto terzi, negli stessi locali della società EURO TIR ed in gran
parte con lo stesso personale.
In ragione di ciò, secondo la Corte territoriale oggetto di distrazione sono stati
anche i "fattori di produzione" della EURO TIR, costitutivi dell'avviamento, così
come specificamente contestato nel capo d'imputazione in esame. E sul punto ha
riformato la sentenza assolutoria di primo grado.
8.a.l. In ordine alla posizione del CAPRARA va subito affrontato l'esame
della parte dell'imputazione riguardante la distrazione dell'avviamento.
Con la memoria del 21 novembre 2014 è stata dedotta la violazione di norma
processuale con riferimento alla riforma in appello della pronunzia assolutoria in
primo grado.
Sostiene il ricorrente, infatti, che sul punto non hanno proposto impugnazione,
nei confronti del CAPRARA, né il pubblico ministero né il procuratore generale,
che hanno invece impugnato la sentenza di primo grado con riferimento al capo
A solo nei confronti dell'avvocato GARLATTI.
La Corte territoriale, però, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di
Gorizia, ha dichiarato il CAPRARA colpevole del reato di cui al capo A anche con
riferimento alla contestata distrazione dell'avviamento. In tal modo, secondo il
ricorrente, è stato violato il principio devolutivo di cui all'articolo 597 cod. proc.
pen.
39
La doglianza è fondata e di conseguenza merita accoglimento, sebbene si tratti
di motivo del tutto nuovo (non è stato infatti dedotto con il ricorso originario),
essendo la relativa questione rilevabile di ufficio.
In effetti, anche dalla stessa sentenza risulta che solo negli atti di appello delle
parti civili è stata dedotta la questione relativa alla distrazione dell'avviamento
(pag. 29 della sentenza), mentre negli atti dei rappresentanti dell'ufficio del
Pubblico Ministero non risulta interposto appello avverso la pronunzia assolutoria
del CAPRARA in ordine al profilo in esame (pagg. 26 - 29 della sentenza).
L'esame diretto degli atti conferma peraltro quanto rilevato.
La Corte territoriale ha quindi errato nel riformare la sentenza di primo grado con
una pronunzia di affermazione di responsabilità penale dell'imputato, non
essendo stata devoluta la relativa questione negli atti dei rappresentanti della
pubblica accusa.
8.a.2.
Dovendo provvedersi alla rideterminazione del trattamento
sanzionatorio sul punto e dovendo peraltro essere vagliate le ragioni dedotte in
ordine alle statuizioni civili, va annullata la sentenza impugnata con rinvio per
nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Trieste in ordine alla
posizione di Flavio CAPRARA relativamente alla distrazione dell'avviamento
dell'EURO TIR di cui al capo A delle imputazioni.
Tale decisione rende superfluo l'esame degli altri profili posti dal ricorrente
CAPRARA in ordine alla decisione della Corte territoriale sulla distrazione
dell'avviamento.
8.b.
Con riferimento alla stessa imputazione di distrazione
dell'avviamento di cui al capo A la sentenza va annullata in ordine alla posizione
di Bruno GARLATTI per non aver questi commesso il fatto.
Come si dirà più avanti in riferimento alla condotta distrattiva degli automezzi,
questa Corte ritiene sia configurabile in capo al GARLATTI il reato di
favoreggiamento originariamente contestato nell'imputazione alternativa sub AA.
Fondato, invece, deve ritenersi il motivo di ricorso proposto dal suddetto
imputato in relazione al fatto di distrazione dell'avviamento.
In effetti, come sostiene il ricorrente, nel capo di imputazione in esame (capo A),
sebbene articolato in una lunga descrizione dei fatti, non è stata delineata la
condotta del GARLATTI, all'epoca difensore del CAPRARA, nella quale si sarebbe
sostanziato il concorso nella distrazione dell'avviamento.
40
Invero, tutta l'attività del GARLATTI descritta nell'imputazione è riconducibile
nell'agevolazione del CAPRARA ad assicurare l'avvenuta distrazione gli
automezzi, mentre nessun ruolo sembra aver avuto il difensore nella cessione
dell'avviamento alla Logistica Euro Est s.r.l.
Né sul punto possono trarsi spunti ulteriori dalla lettura della motivazione della
sentenza della Corte territoriale, che -va ricordato- sul punto ha riformato la
pronunzia di primo grado.
Tutte le risultanze probatorie descritte e valutate dalla Corte di Appello delineano
un ruolo del GARLATTI incentrato sul favoreggiamento del CAPRARA ovvero nel
portargli ausilio per assicurare gli effetti del disegno criminoso relativo alla
distrazione degli automezzi della EURO TIR, mentre non risulta indicata alcuna
condotta, alcun dato fattuale, alcun elemento concreto da cui desumere
l'esistenza di un'attività rafforzativa della volontà del CAPRARA di distrarre
l'avviamento in favore della società LOGISTICA.
La stessa Corte territoriale ha nella motivazione evidenziato che la condotta del
GARLATTI non era finalizzata a fornire un contributo alla distrazione realizzata
dal CAPRARA in via del tutto autonoma, ma ha avuto lo "specifico scopo di
consentirgli di mantenere la disponibilità dei beni oggetto di sottrazione".
Si tratta, quindi, di un intervento del legale GARLATTI successivo alla condotta
distrattiva posta in essere dal CAPRARA in concorso con altri soggetti.
9. Non può essere accolto il ricorso del CAPRARA in relazione alla imputazione,
contestata sempre nel capo A, di bancarotta per la distrazione degli automezzi
della EURO TIR.
Pare opportuno affrontare ancora congiuntamente, poiché riguarda lo stesso
fatto, anche il ricorso di Bruno GARLATTI, dovendo peraltro, in relazione alla
posizione di costui, essere annullata la sentenza senza rinvio.
Infatti, ritiene questa Corte che correttamente il giudice di primo grado aveva
ritenuto configurabile il reato di favoreggiamento di cui al capo AA in relazione
alla condotta tenuta dal GARLATTI per la distrazione degli automezzi sub capo A.
Qualificato in tal senso il reato, sì deve dichiarare la sua estinzione per
prescrizione.
9.a.
Il ricorso del CAPRARA è manifestamente infondato, giacché basato
su una serie di deduzioni in fatto e di profili già rappresentati con l'atto di
appello, che la Corte territoriale ha dettagliatamente vagliato e ai quali ha
41
risposto con motivazione esente da vizi logici e di metodo.
Giova rammentare in proposito quanto già evidenziato in ordine al principio
secondo il quale a questa Corte non possono essere sottoposti giudizi di merito,
non consentiti neppure alla luce del nuovo testo dell'art. 606, lettera e), cod.
proc. pen.; la modifica normativa di cui alla legge 20 febbraio 2006 n. 46 lascia
inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che può
essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito. Il
nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, la cui mancanza,
illogicità o contraddittorietà può essere desunta non solo dal testo del
provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente
indicati; è perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova,
che si realizza allorché si introduce nella motivazione un'informazione rilevante
che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova
decisiva ai fini della pronunzia. Più approfonditamente, si è affermato che la
specificità dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., dettato in tema di ricorso per
Cassazione al fine di definirne l'ammissibilità per ragioni connesse alla
motivazione, esclude che tale norma possa essere dilatata per effetto delle
regole processuali concernenti la motivazione, attraverso l'utilizzazione del vizio
di violazione di legge di cui al citato articolo, lett. c). E ciò, sia perché la
deducibilità per Cassazione è ammessa solo per la violazione di norme
processuali stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o
decadenza, sia perché la puntuale indicazione di cui al punto e) ricollega ai limiti
in questo indicati ogni vizio motivazionale; sicché il concetto di mancanza di
motivazione non può essere utilizzato sino a riconnprendere ogni omissione od
errore che concernano l'analisi di determinati, specifici elementi probatori (Sez.
3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567).
Tanto premesso, occorre rilevare che tutti i profili del motivo in esame proposti
dal ricorrente si limitano a censurare proprio la sussistenza di prove a suo carico,
con riferimento sia all'elemento oggettivo sia a quello soggettivo del reato
contestato.
Quanto dedotto è però -come si è detto- incentrato su una serie di
argomentazioni finalizzate a una rilettura ovvero ricostruzione dei fatti diversa da
quella operata dai giudici di merito, ricostruzione inibita a questa Corte.
Peraltro, l'esame del provvedimento impugnato consente di apprezzare come la
motivazione del giudice d'appello sia congrua ed improntata a criteri di logicità e
coerenza, anche nella valutazione dettagliata delle risultanze processuali, sicchè
42
appare destituita di fondamento anche la censura del ricorrente il quale ha
lamentato il rigetto della richiesta di esame in appello del curatore e del giudice
delegato.
Tale censura non può apprezzarsi neppure come "error in procedendo" rilevante
ex art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen., che -come è noto- è
configurabile soltanto quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con
le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti decisiva, cioè
tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa; e la
valutazione in ordine alla decisività della prova deve essere compiuta accertando
se i fatti indicati dalla parte nella relativa richiesta fossero tali da poter inficiare
le argomentazioni poste a base del convincimento del giudice di merito (Sez. 4,
n. 23505 del 14/03/2008 - dep. 11/06/2008, Di Dio, Rv. 240839).
Va, inoltre, evidenziato che nel giudizio d'appello, trattandosi di un procedimento
critico che ha per oggetto la sentenza impugnata, la rinnovazione dell'istruttoria
dibattimentale è un istituto di carattere eccezionale, rispetto all'abbandono del
principio di oralità del secondo grado, nel quale vale la presunzione che
l'indagine istruttoria abbia ormai raggiunto la sua completezza nel dibattimento
svoltosi innanzi al primo giudice. In una tale prospettiva, l'art. 603, comma 1,
cod.proc.pen. non riconosce carattere di obbligatorietà all'esercizio del potere del
giudice d'appello di disporre la rinnovazione del dibattimento, anche quando è
richiesta per assumere nuove prove, ma vincola e subordina tale potere, nel suo
concreto esercizio, alla rigorosa condizione che il giudice ritenga, nella sua
discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti. Con la conseguenza
che, se è vero che il diniego dell'eventualmente invocata rinnovazione
dell'istruzione dibattimentale deve essere spiegato nella sentenza di secondo
grado, la relativa motivazione (sulla quale nei limiti della illogicità e della non
congruità è esercitabile il controllo di legittimità) può anche ricavarsi per
implicito dal complessivo tessuto argomentativo, qualora il giudice abbia dato
comunque conto delle ragioni in forza delle quali abbia ritenuto di potere
decidere allo stato degli atti (Sez. 4, 28/04/2011, n. 23297). Tanto è in concreto
avvenuto nel caso di specie.
Né va trascurato ancora una volta che la sentenza impugnata sul punto in esame
ha confermato quella di primo grado (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 - dep.
29/01/2014, Capuzzi e altro, Rv. 258438).
Si deve giusto precisare, rispondendo in tal modo a una specifica censura
avanzata dal ricorrente, che del tutto irrilevante per la configurabilità della
43
condotta distrattiva è il fatto che gli automezzi sono stati in gran parte recuperati
dalla curatela e da quest'ultima venduti.
Va infatti ribadito il principio secondo il quale, in tema di bancarotta fraudolenta,
il recupero del bene distratto a seguito di azione revocatoria non spiega alcun
rilievo sulla sussistenza dell'elemento materiale del reato di bancarotta, il quale perfezionato al momento del distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore viene a giuridica esistenza con la dichiarazione di fallimento, mentre il recupero
della "res" rappresenta solo un "posterius", avendo il legislatore inteso colpire la
manovra diretta alla sottrazione, con la conseguenza che è tutelata anche la
mera possibilità di danno per i creditori. (Sez. 5, n. 39635 del 23/09/2010, Rv.
248658; Sez. 5, n. 8607 del 28/05/1982, Rv. 155366; Sez. 5, n. 14905 del
25/02/1977, Rv. 137340).
E altrettanto irrilevante deve ritenersi la circostanza di fatto che una buona parte
degli automezzi siano rimasti fisicamente nell'area della sede della società EURO
TIR anche dopo l'attività del CAPRARA finalizzata alla loro vendita.
La bancarotta fraudolenta per distrazione si configura ogniqualvolta la condotta
dell'imputato sia diretta ad impedire che un bene del fallito sia utilizzato per il
soddisfacimento dei diritti della massa dei creditori. Tale effetto si produce o può
prodursi sia quando il bene sia venduto, sia quando venga anche
temporaneamente ceduto e lo spostamento possa recare pregiudizio ai creditori
(arg. da Sez. 5, n. 10220 del 19/09/1995, Rv. 203006), tant'è che anche un
contratto di locazione può integrare gli estremi della bancarotta per distrazione
ove sia stipulato in previsione del fallimento ed allo scopo di trasferire la
disponibilità di tutti o dei principali beni aziendali ad altro soggetto giuridico
(Sez. 5, Sentenza n. 3302 del 28/01/1998, Rv. 209947). In particolare, si è
rilevato che "un contratto di locazione stipulato per finalità estranee all'azienda
può integrare gli estremi della bancarotta per distrazione, quando venga
stipulato in previsione del fallimento ed allo scopo di trasferire la disponibilità di
tutti o dei principali beni aziendali ad altro soggetto giuridico. Un tale contratto,
infatti, lascia l'impresa dissestata nell'impossibilità di esercitare qualsiasi attività
economica e poiché produce effetti anche dopo il fallimento del locatore (art. 80
legge fall.), ostacola gli organi del fallimento nella liquidazione dell'attivo
(rendendo difficile la collocazione sul mercato di beni non immediatamente
disponibili) e danneggia i creditori concorsuali (determinando una drastica
diminuzione del valore di mercato dei beni locati)" (Sez. 5, n. 46508 del
44
27/11/2008, Rv. 242614; Sez. 5, Sentenza n. 11207 del 29/10/1993, Rv.
196456).
9.b. Come si è già detto in relazione alla posizione del GARLATTI la
sentenza va annullata senza rinvio, dovendo essere qualificata la condotta
ascrittagli con riferimento alla distrazione degli automezzi della società EURO TIR
come favoreggiamento e come ipotizzato nella originaria contestazione
alternativa sub capo AA
La stessa descrizione dei fatti che si legge nelle contestazioni e la loro
ricostruzione operata dai giudici di merito, sulla base delle risultanze processuali,
consentono di ritenere che in effetti l'intervento del GARLATTI nelle vicende
relative alla distrazione degli automezzi si è sostanziato in una attività successiva
al distacco di tali beni dal patrimonio della fallita EURO TIR ovvero quando il
CAPRARA aveva già fatto emettere e registrare in contabilità la falsa fattura di
vendita degli stessi automezzi.
Va, a tal proposito, ribadito che la Corte territoriale ha riformato
in peius la
sentenza di primo grado con riferimento alla qualificazione giuridica dei fatti
descritti nel capo A, ritenendo sussistente il concorso nel reato di bancarotta
fraudolenta e non quello di favoreggiamento, come detto, contestato
nell'imputazione alternativa sub capo AA.
E fondate appaiono, in proposito, le censure mosse dal ricorrente in ordine al
fatto che il giudice di appello ha preso in esame una serie di fatti diversi ed
ulteriori rispetto alle specifiche condotte indicate nel capo d'imputazione sub A,
nel quale si fa riferimento soltanto alla formazione del falso contratto di vendita
del 29 agosto 2002 e alla formazione della proposta di acquisto del dicembre del
2003, riportante firme apocrife apposte dallo stesso GARLATTI.
Nella sentenza impugnata sono però evidenziate ulteriori condotte del GARLATTI
ovvero una serie di contatti intrattenuti da quest'ultimo con la curatela ed il
legale della curatela, la rinuncia della B&A Trade House a fare valere eventuali
eccezioni, le ulteriori trattative in tal senso. Si tratta di condotte non contestate
nel capo d'imputazione e che la Corte, unitamente alle due condotte
espressamente contestate, ha ritenuto idonee ad integrare il reato di concorso in
bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Quanto accaduto, tuttavia, non comporta -come sostenuto dal ricorrente- la
nullità della sentenza impugnata, essendo principio consolidato nella
giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui si ha violazione del principio di
45
corrispondenza tra accusa e decisione solo nel caso in cui l'imputato risulti
concretamente pregiudicato nel suo diritto di difesa. Per accertare se la modifica
dell'addebito nella sentenza determini un vulnus di tale diritto non è sufficiente il
mero confronto letterale fra l'imputazione e la decisione, ma bisogna accertare
se sia mutato il fatto, vale a dire se risulti radicalmente trasformata la fattispecie
concreta contestata, in maniera tale da risultare incerto l'oggetto della
contestazione.
Al contrario, deve escludersi la violazione del diritto in oggetto allorquando
l'originaria contestazione, considerata nella sua interezza, contenga gli stessi
elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza e si accerti -come nel
caso in esame- che l'imputato si è trovato, in concreto, nella condizione di
difendersi.
Inoltre, ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e
contestazione di cui all'art. 521 cod.proc.pen., deve tenersi conto non solo del
fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie
portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale
contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul
materiale probatorio posto a fondamento della decisione.
Alla luce di tanto nessuna violazione di legge può dirsi consumata nel caso in
esame, avendo avuto il GARLATTI la possibilità di difendersi in relazione a tutti i
fatti emersi durante l'attività di acquisizione delle prove.
Va, tuttavia, detto che anche le ulteriori condotte cui ha fatto riferimento nella
sua motivazione la Corte territoriale sono tutte successive a quella posta in
essere dal CAPRARA con l'emissione della falsa fattura di vendita degli automezzi
alla società americana e quindi con l'attività distrattiva degli automezzi.
Le risultanze processuali di cui danno atto i giudici di merito evidenziano che il
GARLATTI è intervenuto solo a fine agosto 2002, allorquando, predisposto il
contratto falsamente datato 14 maggio 2002 (di cui si parlerà più diffusamente
trattando le questioni relative al capo E) ed avviati i contatti come difensore con
il curatore, ha consegnato tale contratto di vendita dei mezzi.
Come si è già detto sopra, sul punto la stessa Corte territoriale ha affermato che
la condotta del GARLATTI ha avuto lo specifico scopo di consentire al CAPRARA di
mantenere la disponibilità dei beni oggetto di sottrazione.
E' evidente allora la correttezza della decisione del giudice di primo grado, che
aveva ritenuto configurabile il reato di favoreggiamento reale, non essendo
emersi elementi per ritenere che il GARLATTI, in qualità di "extraneus" nel reato
46
di bancarotta fraudolenta patrimoniale, consapevole sin dall'inizio dei propositi
distrattivi del CAPRARA, abbia fornito consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici
idonei a sottrarre i beni ai creditori, mentre indubbiamente l'intervento del
suddetto difensore si è sostanziato in successive attività, dirette a garantire al
CAPRARA il conseguimento del profitto della condotta distrattiva, secondo lo
schema della fattispecie del favoreggiamento di cui all'art. 379 cod. pen.
Tale reato, come si è già rilevato, è estinto per intervenuta prescrizione, sicché
l'annullamento della sentenza va disposto senza rinvio.
10. Infondato deve ritenersi l'ulteriore motivo di ricorso del CAPRARA in ordine
all'imputazione di cui al capo E.
Per tale imputazione è stata affermata pure la responsabilità del GARLATTI,
sicché appare opportuno trattare ancora una volta congiuntamente le posizioni
dei due imputati.
10.1. La Corte territoriale precisa in punto di fatto che "l'oggetto della
imputazione è rappresentato dalla registrazione, nelle scritture contabili della
EURO TIR, dell'operazione economica relativa alla falsa cessione del parco
automezzi della EURO TOR alla società americana B.&A. Trade House Ltd, come
documentata dal contratto apparentemente redatto in data 14 maggio 2002 trattasi della scrittura , di cui al capo g) di rubrica- e dalla -pure falsa- fattura n.
293, apparentemente emessa in pari data; in particolare, secondo la
prospettazione accusatoria, attraverso la realizzazione di quella fattura, cui
aveva provveduto materialmente la Del Moro, su indicazione del CAPRARA, e la
formazione, da parte dell'avv. GARLATTI, previo concerto con quest'ultimo, del
contratto di compravendita che veniva predisposto in data 29 agosto 2002 e
retrodatato al 14 maggio 2002 -stesso giorno di emissione della fattura-, gli
imputati, in concorso tra loro, avevano falsificato le scritture contabili della EURO
TIR, allo scopo di non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del
movimento degli affari della società e di procurare al CAPRARA un ingiusto
profitto, costituito dall'assicurarsi la disponibilità materiale e giuridica dei beni
distratti".
Il giudice di appello ha quindi ritenuto che i suddetti fatti integrino l'ipotesi di
bancarotta fraudolenta documentale ascritta al CAPRARA e in concorso al
GARLATTI.
47
10.2.a. Secondo il ricorrente CAPRARA tale decisione non sarebbe stata
adeguatamente motivata, non avendo risposto la Corte territoriale alle specifiche
doglianze difensive formulate con l'atto d'appello e nulla avendo chiarito in
ordine alla circostanza, non accertata, dell'effettiva lesione degli interessi dei
creditori.
Sostiene, altresì, il ricorrente che non vi sarebbe adeguata motivazione sulla
sussistenza dell'elemento soggettivo del reato ascritto, non avendo egli mai agito
con la piena consapevolezza di recare danno ai creditori ovvero di impedire la
ricostruzione del patrimonio dell'impresa, essendo stata invece la sua condotta
finalizzata a tentare di salvare i beni della società, ritardando l'eventuale
fallimento, nonché ad ottenere liquidità che servisse non ad aumentare il suo
patrimonio ma quello della massa dei creditori.
Nella memoria del 21 novembre 2014 il ricorrente censura ulteriormente la
motivazione della sentenza, sostenendo che non si può ragionevolmente ritenere
che la sostituzione di un'unica fattura con un'altra sia idonea a rendere
impossibile la ricostruzione del movimento degli affari della società e quindi ad
integrare la condotta di bancarotta documentale. In ogni caso, la Corte
territoriale non avrebbe adeguatamente motivato sul punto.
10.2.b. Ancora una volta le doglianze del CAPRARA sono da ritenersi
manifestamente infondate, perché sostanzialmente reiterano i motivi di appello e
in ordine ad essi la Corte territoriale ha reso adeguata, congrua e logica risposta
in motivazione.
Va ricordato a tal proposito che la funzione tipica dell'impugnazione è quella della
critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce, che si realizza con
la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod.
proc. pen.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di
fatto che sorreggono ogni richiesta.
Il motivo di ricorso in cassazione, poi, è caratterizzato da una duplice specificità.
Deve essere senz'altro conforme all'art. 581, lett. c, cod. proc. pen. ovvero
contenere l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che
sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell'impugnazione; ma quando
censura le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì, enucleare in modo
specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i tre
soli vizi previsti dall'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., deducendo poi,
altrettanto specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso
48
logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata,
sì da condurre a decisione differente (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013 - dep.
21/02/2013, Leonardo e altri, Rv. 254584).
Risulta pertanto di chiara evidenza che se il motivo di ricorso si limita - come nel
caso in esame- a riprodurre il motivo d'appello, viene meno in radice l'unica
funzione per la quale è previsto e ammesso (tra le tante, Sez. 5 n. 25559 del 15
giugno 2012, Pierantoni; Sez. 6 n. 22445 del 8 maggio 2009, p.m. in proc.
Candita, rv 244181; Sez. 5 n. 11933 del 27 gennaio 2005, Giagnorio, rv.
231708).
In conclusione, la riproduzione, totale o parziale, del motivo d'appello può essere
presente nel motivo dì ricorso solo quando ciò serva a "documentare" il vizio
enunciato e dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che si
riferisca al provvedimento impugnato con il ricorso e che si confronti con la sua
integrale motivazione (si vedano, tra le più recenti, Sez. 3, n. 44882 del
18/07/2014 - dep. 28/10/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608; Sez. 6, n. 34521 del
27/06/2013 - dep. 08/08/2013, Ninivaggi, Rv. 256133).
E nel caso in esame, per quanto già accennato, seguendo tale erronea
impostazione, il ricorrente in ordine al capo di imputazione sub capo
E si è
limitato a ribadire, tanto pedissequamente quanto inammissibilmente, le
contestazioni mosse in appello alla sentenza di primo grado, senza tener conto
del tenore effettivo delle argomentazioni espresse nella sentenza per superare i
rilievi; sentenza che peraltro va apprezzata per la motivazione congrua ed
improntata a criteri di logicità e coerenza.
10.2.c.
Va giusto precisato che sui rilievi relativi alla sussistenza
dell'elemento soggettivo e sul pregiudizio per i creditori, la Corte territoriale ha
adeguatamente motivato, evidenziando la sussistenza del dolo specifico del reato
di bancarotta documentale post - fallimentare (art. 216, comma 2, parte II
legge fall.), che si sostanzia nella finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto
profitto o di recare pregiudizio ai creditori mediante sottrazione, distruzione o
falsificazione di libri e scritture (Sez. 6, n. 4038 del 13/01/1994, Rv. 198454).
Nel caso in esame l'annotazione della falsa fattura e del falso contratto di
compravendita nelle scritture contabili della società ha avuto la specifica finalità
di portare a compimento ulteriore l'attività di dissimulazione della distrazione del
parco automezzi della EURO TIR, proprio attraverso la falsa rappresentazione
contabile della vendita dei beni ad un terzo in epoca anteriore al fallimento.
49
10.3.a. Con riferimento alla bancarotta documentale post-fallimentare di
cui al capo E, il ricorrente GARLATTI sostiene che sia il giudice di primo grado
che la Corte territoriale avrebbero errato nel ritenere configurabile tale reato con
riferimento all'avvenuta formazione del contratto ideologicamente falso di
vendita dei mezzi alla B&A House Trade ed alla consegna dello stesso al curatore
fallimentare.
Le condotte penalmente rilevanti di bancarotta documentale post fallimentare
sono soltanto quelle di sottrazione, distruzione, falsificazione dei libri e/o delle
scritture contabili. Nel caso di specie la condotta ascritta al GARLATTI è quella di
aver falsificato un contratto di vendita di automezzi e consegnato al curatore del
fallimento: consegnare al curatore un contratto non equivale a falsificare una
scrittura contabile, secondo il ricorrente. All'epoca in cui tale contratto venne
formato, poi, era già stata registrata in contabilità la relativa falsa fattura di
vendita e il contratto non è mai stato registrato.
Le doglianze del GARLATTI sono infondate.
Egli ha pacificamente formato il falso contratto di compravendita finalizzato a
supportare la annotazione della fattura relativa alla vendita degli automezzi alla
società americana.
Il fatto che solo la fattura sia stata annotata nelle scritture contabili (e non
poteva essere diversamente) non esclude affatto il concorso del GARLATTI nel
reato contestato.
Invero, i documenti e le scritture che, se tenuti in modo irregolare, integrano il
delitto di bancarotta fraudolenta documentale sono tutti quelli che possano
impedire la ricostruzione del patrimonio della società ed alterino, di
conseguenza, i rigidi meccanismi di soddisfazione dei singoli creditori, non
consentendo, ad esempio, tempestive azioni revocatorie o l'esperimento di altri
rimedi che consentano di reintegrare il patrimonio sociale posto a garanzia dei
creditori. Il reato di bancarotta documentale punito dall'art. 216 legge
fallimentare individua espressamente i libri e le altre scritture contabili che
hanno la funzione di rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del
movimento degli affari, così ricollegandosi direttamente all'art. 2214 cod.civ.
E' quindi il collegamento tra quelle scritture e la funzione che assolvono nella
ricostruzione della contabilità della società fallita a delineare una parte
dell'oggetto materiale del reato.
50
Rimane, allora, del tutto irrilevante che il documento cui si riferisce sia
direttamente annotato nella scrittura contabile oppure, come nel caso di specie,
costituisca l'atto, peraltro formato posteriormente, finalizzato a giustificare
proprio quella falsa annotazione e rafforzarne, quindi, la portata illecita, quale
ostacolo alla ricostruzione del patrimonio (arg. da Sez. 5, 23 novembre 2006,
Piovesan, in Cass. Pen. 2008, 3, 1181, che ha escluso che la falsificazione di un
verbale del consiglio di amministrazione integrasse il delitto in discussione; si
veda anche Sez. 5, n. 36595 del 16/04/2009, Bossio ed altri, Rv. 245133).
Conclusivamente può dirsi che i documenti e le scritture che, se tenuti in modo
irregolare, integrano il delitto di bancarotta fraudolenta documentale sono tutti
quelli che impediscono la ricostruzione del patrimonio della società ed alterano,
di conseguenza, i rigidi meccanismi di soddisfazione dei singoli creditori, non
consentendo l'esperimento di rimedi che consentano di reintegrare il patrimonio
sociale posto a garanzia dei creditori.
Va detto ancora che la ricostruzione dei fatti come operata nella sentenza
impugnata, in relazione alla quale questa Corte non può fare alcuna valutazione
nel merito, consente senza alcun dubbio di ricondurre la condotta dell'imputato
nella fattispecie del concorso dell'extraneus nel reato di bancarotta documentale
come ascritto.
A tal proposito va rammentato che questa Corte da tempo ha ritenuto che
l'estraneo può concorrere nei reati di bancarotta anche quando sia una persona
che esercita la professione di avvocato o consulente contabile, con la sola
precisazione che, in questo caso, non deve essere confusa l'assistenza tecnica,
che rimane sempre doverosa e garantita dall'ordinamento, col concorso nel
reato. Infatti, mentre è consentita e non è illecita l'opera di consulenza e di
intervento svolta da un avvocato o da un consulente contabile a favore di un
imprenditore o di una società in dissesto, deve invece ritenersi illecito e
penalmente rilevante il fatto del legale o del consulente che, essendo
consapevole dei propositi dell'imprenditore, dia a questi consigli o suggerimenti
sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori o li assista nella
conclusione dei relativi negozi ovvero svolga un'attività diretta a garantire
l'impunità o che, comunque col proprio aiuto e con le proprie preventive
assicurazioni, favorisca o rafforzi l'altrui progetto delittuoso (Sez. 5, n. 1341 del
22/10/1986, Sonson, Rv. 175013; si veda, nello stesso senso, per i consulenti
contabili Sez. 5, n. 49472 del 09/10/2013, Albasi e altro, Rv. 257566; Sez. 5, n.
569 del 18/11/2003, Bonandrini e altro, Rv. 226973).
51
Come si è detto anche sopra, trattando della distrazione dei beni, il GARLATTI
sicuramente è intervenuto in un momento successivo ed autonomo rispetto alla
formazione della fattura attestante la vendita degli automezzi, ma lo ha fatto
concorrendo con il CAPRARA nella formazione della scrittura di compravendita, a
supporto della predetta fattura, poi esibita al curatore proprio con l'intento di
ostacolare la corretta ricostruzione del patrimonio della società fallita.
10.3.b. Il GARLATTI rileva che la Corte territoriale ha ritenuto assorbito
nell'imputazione di cui al capo E il fatto ascrittogli originariamente nel capo L, ai
sensi dell'articolo 232, comma uno, legge fallimentare, per aver presentato
domanda di ammissione al passivo del fallimento in relazione al credito fraudolentemente simulato- di euro 6408,32, asseritamente maturato per aver
predisposto e redatto il contratto di apparente vendita in data 14 maggio 2002,
nel quale la società fallita figura cedere il proprio parco automezzi alla
fantomatica società americana. Secondo il ricorrente, tenuto conto
dell'autonomia del reato di cui all'articolo 232, comma uno, legge fallimentare
rispetto a quello di bancarotta fraudolenta documentale post-fallimentare, la
Corte territoriale non doveva ritenerlo assorbito nell'imputazione di cui al capo E)
e, conseguentemente, doveva dichiarare la sua estinzione per intervenuta
prescrizione.
Anche tale censura è infondata e sul punto la Corte territoriale ha correttamente
messo in luce, confermando la decisione del giudice di primo grado, che il credito
vantato dall'avv. GARLATTI era del tutto fittizio, stante la natura simulata del
predetto rapporto negoziale e la sua finalità illecita, e costituiva, quindi,
l'ulteriore svolgimento della condotta finalizzata a far apparire fraudolentemente
stipulato un contratto in effetti mai concluso.
11.
Infondato è il ricorso del CAPRARA nella parte in cui è stato dedotto il vizio
di motivazione in relazione all'imputazione di cui al capo I.
La Corte territoriale ha ritenuto provata la responsabilità dell'imputato in ordine
al fatto di avere, in concorso con l'avvocato GARLATTI (in relazione al quale è
stato dichiarato estinto il reato per prescrizione), formato la falsa proposta
d'acquisto, apparentemente proveniente dalla società americana sopra citata,
per l'acquisto del parco automezzi della EURO TIR e di aver apposto, in calce alla
stessa, la firma apocrifa di Filomonau Alhe, apposizione materialmente
commessa dall'avvocato GARLATTI.
52
11.1. Va, in primo luogo, disattesa la richiesta della difesa di declaratoria
di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Il fatto risulta commesso, secondo la contestazione e la ricostruzione dei fatti da
parte dei giudici di merito, in data 14 ottobre 2003.
Tenuto conto che al CAPRARA è stata contestata (ed è stata ritenuta) la recidiva
ex articolo 99 comma quattro cod. pen. e che il reato è stato commesso prima
dell'entrata in vigore della legge 251/2005 (che ha riformulato completamente la
disciplina della prescrizione del reato e prevede che, ai fatti posti in essere prima
dell'entrata in vigore della stessa si continua ad applicare la vecchia normativa,
ad eccezione dei casi in cui "per effetto delle nuove disposizioni, i termini di
prescrizione risultino più brevi" - articolo 10), precisato che nella specie si
applica la vecchia normativa, il termine di anni dieci (anni sei più due terzi, per
la recidiva ex art. 161 cod. pen.) è maturato il 14 ottobre 2013.
Va però calcolato anche il periodo di sospensione dei termini rilevabile dagli atti,
pari complessivamente a anni uno e mesi due, per cui il termine di prescrizione
decorrerà definitivamente il 14 ottobre 2014.
11.2. Passando all'esame dei motivi di ricorso, va ricordato che secondo il
CAPRARA la sentenza impugnata andrebbe annullata nella parte in cui ha
ritenuto (pur rilevando la necessità di una verifica in ordine alla circostanza di
avere o meno il Filomonau prestato il consenso all'apposizione della propria
firma) non provato il dato riferito dalla difesa in ordine alla possibilità che fosse
stato proprio il suddetto Filmonau ad acconsentire alla falsificazione e non ha
quindi ravvisato la necessità di esaminare quest'ultimo, la cui testimonianza
sarebbe risultata necessaria anche per chiarire tutta un'altra serie di dubbi sulla
vicenda.
Ancora una volta il ricorrente lamenta la mancata assunzione di una prova
testimoniale e a tal proposito si richiamano i principi enunciati sopra nel
paragrafo 9.a.
Peraltro, la Corte territoriale ha motivato in maniera articolata in ordine alla
irrilevanza per la configurazione del reato in esame della asserita autorizzazione
da parte del Filomonau per la apposizione della sua falsa firma, richiamando i
principi affermati da questa Corte in materia, secondo la quale, ai fini della
sussistenza del reato di falso in scrittura privata, il consenso o l'acquiescenza
della persona di cui sia falsificata la firma non svolge alcun rilievo, in quanto la
53
tutela penale ha per oggetto non solo l'interesse della persona offesa, apparente
firmataria del documento, ma anche la fede pubblica, la quale è compromessa
nel momento in cui l'agente faccia uso della scrittura contraffatta per procurare a
sé un vantaggio o per arrecare ad altri un danno; pertanto anche l'erroneo
convincimento sull'effetto scriminante del consenso costituisce una inescusabile
ignoranza della legge penale (Sez. 5, n. 16328 del 10/03/2009, Livi, Rv.
243342; Sez. 2, n. 42790 del 24/10/2003, Del Miglio, Rv. 227615).
Non vale, peraltro, ad escludere il dolo specifico del fine di vantaggio richiesto,
alternativamente a quello di danno, per il falso in scrittura privata il fatto che la
firma falsa sia stata apposta con il consenso del titolare (Sez. 5, n. 2091 del
26/01/1984 - Ricciardi, Rv. 163019).
11.3. E' anche infondato il rilievo, sollevato solo con la memoria del 21
novembre 2014 ma rilevabile d'ufficio (trattandosi di questione relativa alla
condizione di procedibilità), della mancanza di querela del soggetto di cui è stata
falsificata la firma.
La Corte territoriale ha correttamente ritenuto sufficiente la querela proposta dal
curatore, perché questi è certamente titolare del relativo diritto, stante il danno
subito dal fallimento.
Giova a tal proposito rammentare che la persona offesa titolare del diritto di
querela nel reato di falsità in scrittura privata è non solo la persona di cui sia
stata falsificata la sottoscrizione, ma anche ogni altro soggetto che in concreto
abbia ricevuto un danno per l'uso delle scritture private (Sez. 5, n. 22690 del
26/03/2010, Nardini, Rv. 247961).
Peraltro, poiché il reato di falso in scrittura privata di cui all'art. 485 cod. pen.
richiede per la sua consumazione non soltanto l'attività di formazione di una
falsa scrittura o alterazione di una scrittura vera, ma anche il successivo uso
della scrittura falsificata, ne deriva che persona offesa da tale reato non è solo
colui il cui interesse all'autenticità della scrittura è già configurabile prima
dell'uso, e cioè al momento della contraffazione o della alterazione della
scrittura, quale è il titolare della firma falsificata, ma anche chi, pur non essendo
l'autore apparente del documento o una delle parti da cui proviene la scrittura
falsificata, risulta titolare di un interesse che riceve pregiudizio attraverso l'uso
del documento (Sez. 2, n. 4153 del 20/02/1987, Occhipinti, Rv. 175565).
Nel caso in esame, peraltro, è evidente che l'uso della scrittura privata in oggetto
abbia provocato un danno al fallimento, così come rilevato dai giudici di merito.
54
D'altro canto le censure in ordine a tal profilo formulate dal ricorrente nella
memoria del 21 novembre 2014 si risolvono in ulteriori deduzioni in fatto,
certamente non valutabili in questa sede.
12.
Con altro motivo di ricorso è stato dedotto dal CAPRARA il vizio di
motivazione in relazione all'imputazione di cui al capo O.
Tale imputazione riguarda la falsa attestazione di autenticità da parte
dell'avvocato GARLATTI, in concorso con il CAPRARA, delle firme apposte
sull'istanza di dissequestro presentata presso gli uffici della procura della
Repubblica di Gorizia. La Corte territoriale ha affermato la responsabilità del
CAPRARA, precisando che il termine prescrizionale del reato non era ancora
maturato e rinviando a quanto motivato sul punto dal giudice di primo grado.
Non è condivisibile l'assunto della Corte territoriale sulla prescrizione.
Il reato infatti, pur tenendo conto, per le ragioni già sopra evidenziate, della
recidiva contestata ed applicata la normativa più favorevole ex art. 157 cod.
pen., risulta estinto per intervenuta prescrizione alla data del 29 settembre 2012
ovvero prima dell'emissione della sentenza di appello.
Va quindi accolto in tali termini il ricorso del CAPRARA, non essendovi peraltro i
presupposti per un accoglimento dei motivi con i quali è stata contestata
l'affermazione di responsabilità.
A tal proposito va sinteticamente precisato che inammissibile deve ritenersi il
motivo nuovo della violazione di legge di norme processuali con riferimento alla
ordinanza del 2 ottobre 2006, con la quale il Tribunale di Gorizia ha disposto la
trascrizione di alcune conversazioni telefoniche intercorse tra il CAPRARA e
l'avvocato GARLATTI, ritenendo inapplicabile il divieto di cui all'articolo 103,
comma cinque, cod. proc. pen..
Tale motivo, infatti, è stato dedotto solo con la memoria del 21 novembre 2014
e si tratta di questione nuova, del tutto autonoma rispetto a quelle del ricorso e
non rilevabile d'ufficio.
E' ormai principio giurisprudenziale consolidato quello per cui i "motivi nuovi" a
sostegno dell'impugnazione, previsti nella disposizione di ordine generale
contenuta nell'art. 585 cod. proc. pen. (e, in quella particolare, di cui all'art. 611,
per il procedimento in camera di consiglio), devono avere ad oggetto i capi o i
punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell'originario atto di
gravame (ex plurimis, Sez. U. del 25 febbraio 1998, Bono, RV. 210259; Sez. 3
del 22 gennaio 2004, Sbragi, RV. 228525; Sez. 2 del 4 novembre 2003,
55
«P'
Marzullo, RV. 226976) e devono semplicemente specificare le doglianze
tempestivamente presentate, non potendosi risolvere nella prospettazione di
nuovi vizi (Sez. 5, n. 14991 del 12/01/2012 - dep. 18/04/2012, P.G. in proc.
Strisciuglio e altri, Rv. 252320;Sez. 1 del 30 settembre 2004, Burzotta, RV.
230634; Sez. 1, n. 40174 del 2009; Sez. 6, n. 27325 del 20/05/2008, Rv.
240367, D'Antino).
La normativa consente la presentazione di motivi nuovi e i motivi non sono altro
che le ragioni che sostengono una certa domanda; nel ricorso per cassazione le
domande si identificano con le specifiche censure che vengono mosse al
provvedimento impugnato e che identificano i vizi da cui il provvedimento
sarebbe affetto. Consentendo la proposizione di nuovi motivi, ma non di nuove
censure, la normativa ammette che possano essere portati nuovi argomenti a
sostegno di una specifica censura, ma non consente, invece, che possano essere
indicate censure del tutto nuove, mai indicate in precedenza.
E' consentito, dunque, al ricorrente, indicare ulteriori elementi da cui si desume
l'esistenza di uno specifico vizio di motivazione del provvedimento impugnato, se
tale era la censura originaria, ma non è consentito dedurre una violazione di
legge - pur se afferente allo stesso capo della sentenza - se si era
originariamente dedotto solo il vizio di motivazione o diversa violazione di legge.
13. E' superfluo trattare i motivi di ricorso proposti dal CAPRARA in relazione al
trattamento sanzionatorio (e di conseguenza viene pure disattesa l'istanza di
sospensione formulata con riferimento alla questione della recidiva), giacché
l'accoglimento parziale dello stesso ricorso e l'annullamento con rinvio comporta
inevitabilmente che la Corte territoriale debba rideterminare il suddetto
trattamento sanzionatorio.
Ovviamente, e ciò vale anche per il GARLATTI (in tal senso si ritiene assorbita la
trattazione del motivo dedotto da questi con riferimento agli articoli 74 cod. proc.
pen., 185 cod. pen., 2555 cod. civ., 216, 219, 223 legge fallimentare), la Corte
territoriale dovrà tener conto dell'annullamento parziale conseguente alla
presente decisione pure con riferimento alle statuizioni in favore delle parti civili.
14. Passando ad analizzare il ricorso di Paolo MULITSCH, va rilevato che la
sentenza impugnata ha correttamente dichiarato l'estinzione per prescrizione del
reato di cui al capo P, per il quale il suddetto imputato era stato condannato in
primo grado.
56
All'imputato è stato ascritto il reato di cui all'articolo 481 cod. pen., per avere,
nell'esercizio della professione forense, attestato falsamente l'autenticità della
firma di Desolina Pausi, vergata dallo stesso avvocato Paolo MULITSCH, in calce
alla procura speciale alle liti riportata sul margine destro dell'atto di precetto in
data 28 luglio 2003, con il quale la suddetta Pausi sembrava intimasse alla
ELLETI s.r.l. di pagare la somma di euro 148.258,83, oltre ad accessori.
14.1. Come si è già detto, il ricorrente ha proposto ricorso deducendo il
vizio di violazione di legge, perché vi sarebbe la prova positiva ed evidente della
sua innocenza. Ha sostenuto che non sarebbe stata acquisita la prova che sia
stato lui ad apporre la firma per l'autentica della firma falsa e che la Corte
territoriale avrebbe basato la sua decisione solo su mere illazioni, valutando
negativamente quanto emerso dalla consulenza della difesa.
In effetti, i motivi dedotti dal ricorrente sono solo formalmente evocativi di vizi di
legittimità, ma in concreto sono articolati sulla base di rilievi tendenti ad una
rivalutazione delle risultanze probatorie con valutazioni di merito, inibite a
questa Corte.
Peraltro, va detto che la Corte di Appello si è limitata alla verifica della causa
estintiva e dell'assenza di elementi che rendessero evidente l'applicabilità di una
formula più favorevole, a norma dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen.,
fondando la sua decisione su argomentazioni del tutto congrue, coerenti ed
articolate, non riesaminabili da questa Corte nel "merito" dei relativi
apprezzamenti.
Nella sentenza sono indicati specificamente i motivi per cui non sussiste
l'evidenza della prova che possa condurre ad una pronunzia assolutoria.
Giova, a tal proposito, ricordare che la formula di proscioglimento nel merito
prevale sulla dichiarazione di improcedibilità per intervenuta prescrizione
soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l'assoluta
assenza della prova di colpevolezza a carico dell'imputato ovvero la prova
positiva della sua innocenza, e non anche nel caso -come quello in esame- di
mera contraddittorietà o insufficienza della prova, che richiede un
apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (Sez. 6, n. 10284 del
22/01/2014, Rv. 259445; Sez. 6, n. 23836 del 14/05/2013, Rv. 256130; Sez. 2,
n. 9174 del 19/02/2008, Rv. 239552).
57
14.2.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna
dell'imputato al pagamento delle spese processuali e di euro mille in favore della
cassa delle ammende.
P.Q. M.
La Corte,
dispone lo stralcio degli atti relativi al reato di cui al capo T, con formazione di un
nuovo fascicolo intestato a Flavio CAPRARA perché è necessario acquisire atti,
rinviando il relativo procedimento a nuovo ruolo;
annulla la sentenza impugnata senza rinvio:
-
in ordine alla posizione di Bruno GARLATTI relativamente alla distrazione
dell'avviamento della EURO TIR di cui al capo A per non aver commesso il
fatto e relativamente al reato di favoreggiamento di cui al capo AA, così
riqualificata la distrazione degli automezzi sub capo A, per essere il reato
estinto per prescrizione;
-
in ordine alla posizione del CAPRARA relativamente al capo O della rubrica
per essere il reato estinto per prescrizione;
annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della
Corte di Appello di Trieste in ordine alla posizione di Flavio CAPRARA
relativamente alla distrazione dell'avviamento dell'EURO TIR di cui al capo A
delle imputazioni;
rigetta:
-
il ricorso del GARLATTI relativamente al capo E;
-
il ricorso di Flavio CAPRARA in ordine ai capi Z, Y, 3, W, X, E, I, nonché
per la distrazione degli automezzi della EURO TIR contestata al capo A;
annulla la predetta sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di
Trieste per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio nei confronti dei
ricorrenti CAPRARA e GARLATTI;
dichiara inammissibile il ricorso di Paolo MULITSCH e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore
della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 9 dicembre 2014
cons'glie estensore
Gr
ccol i
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DE
dck
TATA CANCILLENA
2 3 APR 2015
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sentenza 23-04-2015 n. 17084 - Studio Ghiglione Commercialisti