Supplemento al numero
odierno de la Repubblica
Sped. abb. postale art. 1
legge 46/04 del 27/02/2004 — Roma
LUNEDÌ 4 GIUGNO 2007
Copyright © 2007 The New York Times
Nemici invisibili in una guerra senza fine
Caos previsto
dopo il ritiro
delle truppe Usa
Gli alleati di ieri
sono una minaccia
e i dubbi crescono
di MICHAEL R. GORDON
e ALISSA J. RUBIN
di MICHAEL KAMBER
WASHINGTON — Su un punto si trovano
d’accordo i vertici militari americani , molti iracheni e alcuni dei più convinti critici
dell’amministrazione Bush al Congresso:
se quest’autunno gli Stati Uniti ritireranno
i loro soldati dalle strade di Bagdad la violenza omicida e il caos aumenteranno. Ma
l’accordo finisce qui. Il dibattito sul finanziamento della guerra che ancora infuria a
Washigton nonostante la decisione dei democratici di rinunciare a imporre una data
per il ritiro ha fatto passare in secondo piano
il tema più importante del possibile futuro
dell’Iraq in assenza delle truppe americane.
Il ritiro del contingente Usa scatenerebbe
una fase ancora più sanguinosa della guerra civile che spingerebbe all’implosione il
governo iracheno? Oppure costringerebbe
i politici iracheni a comporre finalmente le
divergenze esistenti tra loro? Senza mezzi
termini: come andrebbe a finire? Sono questi gli interrogativi che pesano sul dibattito
nel momento in cui l’amministrazione è impegnata a definire i tempi e i modi di una
graduale riduzione del contingente militare
americano in Iraq, gli iracheni valutano i
pro e i contro dell’autonomia in termini di sicurezza, e i parlamentari democratici, frustrati dal compromesso con la Casa Bianca
del mese scorso, giurano di adottare una
linea più dura nelle prossime occasioni di
voto sul finanziamento alla guerra.
Il New York Times ha intervistato più di
40 politici e cittadini iracheni e ha consultato
gli esiti di recenti sondaggi condotti in Iraq.
Abbiamo anche chiesto il parere di un ampio
ventaglio di alti ufficiali delle forze armate,
esperti di intelligence americani, politici e
analisti indipendenti rientrati dall’Iraq.
Il giudizio in certa misura sorprendente
della maggior parte degli iracheni è chiaro.
Nonostante l’avversione per l’occupazione americana molti temono che un ritiro
in tempi brevi porterebbe a una violenta
reazione a catena che rischierebbe di far
cadere il governo. “Molti miliziani e gruppi
terroristici non aspettano altro che gli americani se ne vadano”, dice Salim Abdullah,
portavoce del Fronte della Concordia irachena (il maggior gruppo arabo sunnita
presente in parlamento) che ha perso due
fratelli quest’anno a seguito di attacchi da
parte dei ribelli. “Questo non significa che la
presenza delle truppe americane a Bagdad
sia la soluzione ottimale”, aggiunge. “La
gente in strada dice che gli Usa hanno un
ruolo in questo marasma e che avrebbero
potuto fare di più e migliorare la sicurezza.
Tuttavia abbiamo bisogno dell’America per
Michael Kamber per The New York Times
Alcuni soldati della Compagnia Delta, a Khadamiya, dicono che in Iraq è in corso una guerra civile.
segue a pagina IV
BAGDAD — Il sergente capo David Safstrom non rimpiange i periodi passati al
fronte in Iraq, neanche la seconda volta,
quandoduedeisuoicommilitonisonorimasti
uccisi in un’operazione per catturare alcuni
membri della guerriglia. “A Mosul, nel 2003,
sentivamo che stavamo rendendo la città un
posto migliore”, dice. “Non c’erano violenze
settarie, Saddam non era più al potere e noi
davamo la caccia ai cattivi. Era una sensazione bellissima”.
Ora, però, alla sua terza spedizione in Iraq,
Safstrom non crede più in questa missione.
La svolta, dice, è arrivata a febbraio, quando
i soldati hanno un ucciso un uomo che stava
collocando un ordigno sul ciglio della strada:
quando hanno perquisito il cadavere dell’attentatore, hanno scoperto dai documenti che
era un sergente dell’esercito iracheno.
“Ho pensato: ‘Che stiamo facendo qui?
Perché siamo ancora qui?’”, dice Safstrom,
che fa parte della Compagnia Delta del 1mo
battaglione, 325ma fanteria aviotrasportata, 82ma divisione aviotrasportata. “Stiamo
aiutando gente che cerca di ammazzarci.
Di giorno li aiutiamo e di notte ci voltano le
spalle e cercano di ucciderci”. La pensano
allo stesso modo molti dei suoi commilitoni
della Compagnia Delta, rinomata per la sua
aggressività.
Solo una piccola minoranza di soldati della compagnia è ancora convinta delle ragioni di questa guerra: gli altri hanno sentimenti ambivalenti, divisi tra la paura di
perdere altri amici in battaglia, la nostalgia
della loro famiglia e il desiderio di portare a
termine la missione.
Dal momento che mancano inchieste attendibili sullo stato d’animo dei soldati, è
impossibile estrapolare delle conclusioni
basandosi su un piccolo numero di soldati
di questa compagnia, ma dalle interviste
fatte a maggio, nell’arco di una settimana,
con oltre una dozzina di soldati (sugli 83
dell’unità) è emerso che quasi tutti provano
delusione, per i continui richiami al fronte,
per quella che considerano la totale incapacità delle forze di sicurezza irachene e per un
conflitto che vedono come una guerra civile,
che non possono fare nulla per arrestare.
Hanno visto comandanti delle milizie infiltrarsi nelle file dell’esercito iracheno, dicono, hanno visto moltiplicarsi gli attentati
dinamitardi, con bombe collocate ai posti di
blocco dell’esercito iracheno, e hanno combattuto contro soldati che pensavano essere
dalla loro parte.
“Nel 2003 e nel 2004, il 100 per cento dei
soldati era felice di essere qui, di combattere
questa guerra”, dice il primo caporal mag-
segue a pagina IV
P U B B L I C I TÀ
Se tutti viaggiano, chi sono oggi i turisti più temuti?
di PAUL VITELLO
lia, Spagna, Scandinavia e Germania.
Diciamo che nessun gruppo di turisti
detiene il monopolio del titolo di “terribile”. Expedia, il servizio di viaggi online, ha
condotto un sondaggio tra gli enti del
turismo di tutto il mondo da cui è
risultato che i turisti più sgradevoli
sono i britannici.
Ma nel mondo del turismo c’è
chi sostiene che i cinesi – l’ultima ondata di viaggiatori - lo
siano addirittura di più.
E’ dunque giunto finalmente il momento di cancellare
dal dizionario il termine “terribile americano”? La risposta,
stando agli esperti di turismo e
di antropologia, potrebbe essere
affermativa.
Essere un “turista terribile” significa “dimostrare una generale
mancanza di comJorge Colombo
prensione verso le diffe-
Ogni estate le persone di tutto il mondo
riscoprono una profonda verità enunciata
dall’attore e comico Steve Martin, che riferendosi ai turisti di ogni paese - non solo
francesi - disse: “Accidenti, questi francesi hanno una parola per ogni cosa!”.
Che la gente di diversi paesi abbia
tradizioni diverse – e non solo nel linguaggio, ma anche quando si tratta
di mangiare, di mantenere una
certa distanza dagli altri, di dare la
mancia ai tassisti e di fare la fila – è
una cosa ovvia che tuttavia ciascuno non smette di ripetersi abbastanza.
In particolare quest’anno, secondo i
dati compilati dalla città di New York.
Il dollaro è basso, lo shopping infinito,
e la città prevede l’arrivo di circa
sette milioni di visitatori
stranieri, provenienti soprattutto da Gran Bretagna, Irlanda, Francia, Ita-
renze culturali”, ha scritto in una e-mail
la professoressa Inga Treitler, segretaria
dell’Associazione nazionale dell’esercizio
dell’antropologia.
Valene Smith, professoressa di antropologia presso la California State University
di Chico, che negli anni 70 fu tra i pionieri
dello studio del turismo e dei viaggi a livello accademico, dice che oggi i turisti che
hanno maggiori probabilità di sollevare le
proteste dei padroni di casa sono i cinesi.
“Si comportano come farebbero a casa
loro”, dice. “Tra tanti spintoni e gomitate”.
La scorsa estate – continua - è accaduto
un episodio di cui si è discusso a lungo tra
gli esperti di viaggi: 40.000 turisti cinesi
approdarono nella cittadina tedesca di
Trier per visitare il luogo natale di Karl
Marx.
“Fu una grande confusione”, dice la professoressa Smith. “Nessuno si era preparato in anticipo, e i tedeschi erano fuori di
sè”.
Una rivoluzione silenziosa in Algeria
I giochi semplici di una volta
Le donne diventano una risorsa
nell’economia e nella politica.
I bambini scoprono come era il mondo
prima dei videogiochi.
TENDENZE
III
VITA QUOTIDIANA
VII
Repubblica NewYork
II
LUNEDÌ 4 GIUGNO 2007
MONDO
La Cina manda in orbita i suoi nuovi alleati
di JIM YARDLEY
PECHINO — Sono anni che laCinamasticaamaro di fronte ai tentativi americani di escluderla dal ristretto club dei paesi
che hanno accesso all’esplorazione dello
spazio e ultimamente sembra aver trovato una soluzione: fondare un altro club.
Pechino sta cercando di crearsi un’immagine di benefattore spaziale per i paesi
del Terzo Mondo (che in alcuni casi sono
anche paesi che hanno quelle risorse naturali di cui la Cina ha bisogno). Il caso
più recente e clamoroso è quello del mese
scorso, quando Pechino ha lanciato un satellite per le telecomunicazioni per conto
della Nigeria, uno dei maggiori produttori di petrolio, nell’ambito di un progetto
che mostra come la Cina stia cercando di
esercitare il suo potere anche nel campo
dell’esplorazione spaziale.
Oltre a progettare, costruire e lanciare
il satellite, Pechino ha provveduto anche
a erogare al paese africano un prestito
colossale per permettergli di pagare il
conto. Oltre alla Nigeria ha firmato un
contratto per il lancio di un satellite con
un altro grande fornitore di petrolio, il
Venezuela, e sta sviluppando un sistema di osservazione satellitare insieme a
Bangladesh, Indonesia, Iran, Mongolia,
Pakistan, Perù e Thailandia, e, per finire,
ha organizzato un’associazione per lo sviluppo del settore satellitare in Asia.
“La Cina sta iniziando a proporre e vendere questa tecnologia ai paesi in via di
sviluppo che ne hanno bisogno”, dice Shen
Dingli, professore di Relazioni internazionali all’Università Fudan, di Shanghai.
In Giappone
manca il lavoro,
e gli ingegneri
vanno all’estero
Ci sono ragioni di interesse e ragioni
diplomatiche dietro questa strategia che
per il governo di Pechino rappresenta da
un punto di vista commerciale anche un
modo per entrare nel mercato dell’industria satellitare. I satelliti, dicono gli analisti, sono diventati uno status symbol e
una necessità tecnologica per molti paesi
che non vogliono restare tagliati fuori dal
mondo digitale dominato dall’Occidente.
Gli obiettivi della Cina nel campo dell’esplorazione spaziale sono più ambiziosi
e comprendono la costruzione di una son-
Un programma spaziale
che sfida la pressione
degli americani.
da da spedire su Marte e, in prospettiva,
lo sbarco di un astronauta sulla luna. Ma
Pechino punta anche a diventare competitiva nel settore satellitare, un’industria
da 100 miliardi di dollari.
Negli ultimi anni, il Celeste Impero è
riuscito a guadagnarsi clienti offrendo
servizi di messa in orbita a prezzi competitivi ma non ha ancora dimostrato di possedere la competenza tecnica per poter
competere nel campo della fabbricazione
dei satelliti.
L’accordo raggiunto con la Nigeria ha
modificato questo scenario: gli ingegne-
Taiwan è stato uno dei primi paesi a corteggiare i professionisti giapponesi,
ma altri paesi asiatici come Singapore e Cina hanno iniziato ad assumerli
in massa. Pasona Global è specializzata in lavori all’estero per giapponesi.
Numero di annunci di lavoro che cercano
candidati giapponesi di Pasona Global
Sede delle società da cui provengono le richieste:
Singapore
HSINCHU, Taiwan — Uno dei beni
giapponesi d’esportazione che va per la
maggiore non sono i videogiochi né le auto ecologiche ma gli ingegneri.
Per sopravvivere alla concorrenza
globale, l’industria elettronica giapponese, un tempo celebrata, ha dovuto ridurre le proprie dimensioni innescando senza volerlo una fuga di cervelli. In cerca di
lavoro, migliaia di ingegneri e altri professionisti si sono trasferiti a Taiwan, in
Corea del Sud e Cina, dove hanno trovato
imprese dinamiche, in rapida crescita e
desiderose di avvalersi delle conoscenze
tecnologiche dei giapponesi.
Heiji Kobayashi, 41 anni, un ingegnere
di semiconduttori, è uno di loro. La sua
carriera si era arenata qualche anno fa,
quando la Mitsubishi Electric ha smesso di produrre schede di memoria. Le
prospettive di lavoro in Giappone erano
sconfortanti, e quindi Kobayashi si è rivolto alla fiorente industria taiwanese
dei microconduttori.
Da aprile lavora in questa città a sud
di Taipei come responsabile del design
delle linee di produzione della Powerchip
Semiconductor, che fabbrica schede di
memoria. Come vicedirettore, ha delle
stock options (cosa rara in Giappone),
ha una segretaria e sta scalando i vertici della società, che conta 6.500 dipendenti. “Qui le mie capacità sono molto
Direttore responsabile: Ezio Mauro
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Gregorio Botta, Dario Cresto-Dina
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Supplemento a cura di:Paola Coppola,
Francesco Malgaroli, Raffaella Menichini
•
Traduzioni: Emilia Benghi, Anna Bissanti,
Antonella Cesarini, Fabio Galimberti,
Guiomar Parada, Marzia Porta
67
’02
355
68
’06
54
’02
’06
Cina
842
Giapponesi che
si sono registrati
con Pasona
Global
per cercare
lavoro in altri
paesi asiatici.
4.930
157
’02
’06
Gli anni sono calcolati da settembre ad agosto
2.637
Fonte: Pasona Global
#*'/"&'.) #*'. 0(1 %*( $(3 &/1, %+-(2
'*=;41:9; (*2*4;8*" %$ *551" * ,-9:8*" 0* .*::6
+*881-8* .;681 ,*3 &1*7765- +64- 15/-/5-8- * )*1<*5#
più richieste”, dice Kobayashi, che prima lavorava a Taiwan per la Mitsubishi
Electric.
Un tempo, una mobilità simile sarebbe stata impensabile in Giappone, un
paese dove abbondano i pregiudizi e fino
a poco tempo fa i lavoratori praticamente sposavano la ditta dove lavoravano e
mantenevano il loro impiego a vita — e
la cui industria elettronica era motivo di
orgoglio nazionale.
La recente migrazione di persone in
cerca di lavoro dà la misura di quanto il
Giappone si sia trasformato in un decennio di concorrenza sempre più agguerrita, tagli aziendali e tramonto del lavoro
garantito a vita.
Il nuovo modo di pensare mostra come
l’economia giapponese, a lungo chiusa,
si stia finalmente adeguando a quella dei
vicini.
La Cina ha preso il posto degli Stati
Uniti come partner commerciale del
Giappone, e ormai molti giapponesi
vedono il loro futuro e quello del Paese
strettamente legato alle incandescenti
economie asiatiche.
“I dipendenti sono quelli che rischiano
di più”, dice Mitsuhide Shiraki, professore di Economia alla Waseda University
di Tokyo. “Logicamente scelgono di lavorare in Asia, dove ottengono benefici
maggiori rispetto al Giappone”.
Questa tendenza ha scatenato qualche
preoccupazione e il governo giapponese
teme di perdere colpi rispetto ai suoi rivali asiatici nel settore tecnologico. Alcune società si lamentano di non riuscire a trovare sufficienti ingegneri locali
di talento, mentre il numero di giovani
giapponesi che scelgono questo settore
Li Gang/Xinhua, via Associated Press
La Cina ha costruito un satellite per la Nigeria lanciato il 14 maggio.
americana sui satelliti lanciati dalla Cina.
Ha anche impedito alla Cina di partecipare alla Stazione spaziale internazionale,
e in alcuni casi ha proibito agli scienziati
cinesi di partecipare a conferenze sullo
spazio negli Stati Uniti.
Rufai però dice che sicuramente altri
paesi del Terzo Mondo si sono accorti di
quello che ha fatto la Cina con la Nigeria,
progettando, costruendo, lanciando e finanziando il satellite. “È un modello che
altri cercheranno di replicare”, dice.
DIARIO DA SAMBOR
$'-0' %(/.+" )+*.%*+ &%) #(%,,+*'
Taiwan
di MARTIN FACKLER
ri cinesi hanno progettato e costruito
per conto del paese africano, un satellite
geostazionario per le telecomunicazioni,
chiamato Nigcomsat-1. Una società aerospaziale di proprietà pubblica, la Great
Wall Industry Corporation, monitorerà
il satellite da una base di controllo nella
Cina Nord-occidentale, e addestrerà gli
ingegneri nigeriani che avranno il compito di gestire una stazione di tracciamento
ad Abuja, la capitale.
Il giorno dopo il lancio, il 14 maggio, Ahmed Rufai, il responsabile nigeriano per il
progetto, era euforico durante una pausa
tra un appuntamento e un altro, nel suo
albergo di Pechino.
La Nigeria è ricca di petrolio, dice, ma
le mancano molti dei tasselli fondamentali di una moderna economia dell’informazione.
“Vogliamo essere parte dell’economia
digitale”, dice Rufai. “Stiamo cercando di
diversificare l’economia del nostro paese”.
L’interesse della Cina per i satelliti sollevaperòanchedeisospetti,inparticolare
negli Stati Uniti, perché la maggior parte
dei satelliti sono tecnologie a “doppio uso”,
suscettibili di applicazioni in campo civile
e militare. La notizia più allarmante per i
paesi occidentali è stata il test antimissilistico condotto dalla Cina a gennaio, con
il lancio di un missile contro uno dei suoi
satelliti in orbita.
Da quasi un decennio Washington cerca di isolare il programma spaziale cinese con restrizioni alle esportazioni, che
impediscono l’uso di tecnologia spaziale
’02
fine marzo ’07
%*( $(3 &/1, %+-(2
Portano le loro competenze
tecniche a Taiwan, in Cina
e a Singapore.
è in calo. Il ministero del Commercio sta
cercando di mettere fine alla fuga degli
ingegneri convincendo le società a offrire loro una paga migliore e promozioni
più frequenti.
Sta anche aumentando il numero di
ingegneri in pensione che si trasferiscono nei Paesi dove l’economia è meno
sviluppata, le loro capacità sono molto
apprezzate e riescono a fare una “seconda” carriera in età avanzata. “In Asia è
possibile continuare a dare un contributo alla società”, dice Kazumitsu Nakamura, 64 anni, ex ingegnere dell’Hitachi,
che ha lasciato per andare a Taiwan,
dove è stato assunto da una consociata
dell’Hitachi per addestrare i dipendenti.
“In Giappone potremmo solo aspettare
la pensione”.
Taiwan è stata tra le prime a corteggiare i professionisti giapponesi e, negli
ultimi anni, secondo il governo taiwanese, almeno 2.500 professionisti si sono
trasferiti qui. Più recentemente però
la Cina e altri paesi del Sudest asiatico,
come Singapore, hanno iniziato ad assumere in massa i giapponesi.
“E’ una nuova era”, dice Tomolo Hata,
amministratore delegato di Pavona Global, un’agenzia di Tokyo specializzata
nel trovare lavoro all’estero. “Il numero
di giapponesi che lavorano all’estero è
destinato a crescere ancora”.
Tartarughe rare salvate dalla guerra,
e minacciate dalla pace in Cambogia
di SETH MYDANS
Con grande sorpresa di tutti, un
SAMBOR, Cambogia — Dodici
gruppo di giovani ricercatori, il Campiccole tartarughe corrono giù per la
bodian Turtle Conservation Team ha
riva fangosa del fiume Mekong, si tufsegnalato la presenza nella zona di
fano nell’acqua e, contorcendosi, spatartarughe Cantor e, a marzo, ha catriscono sotto la sabbia: è un momento
turato e poi liberato un esemplare che
di grande sollievo per l’uomo che le ha
pesava 11 chilogrammi.
liberate, David Emmett, dell’organizPoco dopo, era stata catturata anzazione Conservation International,
che una femmina giovane di tre chili,
che da quando sono nate, due settimache Emmett ha studiato per un mese
ne fa, le ha tenute in casa in piccole
a casa sua, a Phnom Penh, prima di
vaschette di plastica.
rilasciarla insieme alle dodici tarta“Sarebbe stato terribile ritrovarsi
rughine appena nate.
con tante tartarughe in via di estinzioIl ricercatore aveva trovato anche
ne che ti muoiono in bagno”, dice.
un nido di uova, alcune delle quali si
Le tartarughine appartengono
sono schiuse proprio nel suo bagno.
a una specie in via di estinzione - le
Senza un guscio che la protegga,
tartarughe giganti a guscio molle di
spiega Emmett, questa tartaruga
Cantor - scoperta recentemente nel
passa più del novantacinque per cento
nordest della Cambogia.
della sua vita quasi immobile sotto la
“La zona nella quale stiamo lavosabbia, emergendo soltanto due volte
rando è la parte migliore del
Mekong”, dice J. F. Maxwell, che
ha esplorato il fiume in tutta la
sua lunghezza. “La parte cinese è
un disastro”.
Questo tratto del fiume, lungo
48 chilometri, è stato per decenni un rifugio dei Khmer Rossi, le
milizie armate del regime che
è costato la vita a 1,7 milioni di
persone dal 1975 al 1979. La zona
è diventata accessibile, quando
i guerriglieri, verso la fine degli
anni ’90, si sono dispersi. Ora è
diventata un rifugio per piante e
animali, vittime dello sviluppo
in zone che sarebbero state più
sicure. “Garantire la conservazione di questo posto è una
questione di assoluta emergenza, perché se scompare, non c’è
niente che lo possa sostituire”,
dice Maxwell, curatore dell’erbario Chiang Mai Herbarium
Conservation International, via Associated Press
in Thailandia. Normalmente
Le tartarughe giganti di Cantor sono
sopravvivono solo due o tre di
sopravvissute perché il loro habitat
queste tartarughe appena nate.
Crescendo, diventano tartaruera una zona pericolosa.
ghe giganti, con dimensioni che
possono raggiungere quelle di
al giorno per prendere aria in un solo
un sofà, e possono vivere fino a un
grande respiro. Una volta all’anno
secolo, sotterrate quasi sempre sotto
esce dall’acqua per deporre le piccole
la sabbia, dice Emmett. Ora però, pouova tonde sulla riva del fiume.
trebbero scomparire del tutto, vittiLa sua stessa longevità dimostra il
me della pesca eccessiva, dell’inquisuccesso dell’adattamento di questa
namento e del degrado ambientale.
specie, dice Emmett. Ma la storia
“Queste bestie sono sopravvissute
moderna del Mekong, con i pescatori,
agli eventi che hanno determinato
le fabbriche, le industrie inquinanti
l’estinzione dei dinosauri e ora sae le dighe che vi sono state costruite,
remmo noi a farle sparire...”, dice
non lascia molte speranze ai conserEmmett, un biologo che vive in Camvazionisti.
bogia. “È ovvio che non possiamo
“Quando ci riuniamo, raccontiamo
lasciare che si estinguano”.
tutti la stessa storia”, dice Maxwell,
Questa enorme e poco studiata
riferendosi agli esperti di ecologia. “Io
tartaruga Cantor (Pelochelys cantoparlo di piante, altri parlano di pesci,
rii) era stata vista per l’ultima volta
altri parlano di uccelli o di anfibi. Ma è
in Cambogia nel 2003 e, fino a poco
sempre la stessa storia. Le cose vanno
tempo fa, nessuno sapeva se fosse somale. Sta scomparendo tutto”.
pravvissuta.
Repubblica NewYork
LUNEDÌ 4 GIUGNO 2007
III
MONDO
Le donne algerine guidano
una rivoluzione silenziosa
di MICHAEL SLACKMAN
ALGERI — In questo paese legato alla
tradizione e profondamente segnato dalla feroce guerra civile fomentata dagli
islamisti che ha fatto oltre centomila vittime, è in corso una rivoluzione silenziosa: le donne si stanno affermando come
una forza politica ed economica che non
ha eguali nel resto del mondo arabo. Sono
donne il 70 per cento degli avvocati algerini e il 60 per cento dei giudici. Le donne
dominano in campo medico e sempre di
più contribuiscono al reddito famigliare
in misura più consistente degli uomini.
Il 60 percento degli studenti universitari
sono di sesso femminile, dicono i ricercatori universitari.
In una regione dove le donne hanno innegabilmente un basso profilo pubblico,
Molte decidono di portare
il velo per trovare lavoro
e superare i tabù.
le donne algerine sono sempre più visibili ovunque. Iniziano a guidare autobus e
taxi, lavorano alle stazioni di benzina e
servono ai tavoli nei ristoranti. Sebbene
gli uomini detengano ancora le leve formali del potere, e le donne rappresentino
solo il 20 per cento della forza lavoro, si
tratta pur sempre di una percentuale
doppia rispetto a una generazione fa, e
pare che si stiano anche inserendo negli
apparati statali. “Se questo trend continuerà”, dice Daho Djerbal, direttore ed
editore di Naqd, una rivista di critica e
analisi sociale, “assisteremo a un nuovo
fenomeno: la nostra amministrazione
pubblica sarà controllata dalle donne”.
Sembra che il cambiamento sia avvenuto senza che gli algerini se ne accorgessero, visto che da anni sono attenti
allo scontro in corso tra un partito di
governo che cerca di restare al potere e gli islamici che ambiscono a impossessarsene. Quelli che conoscono
la regione dicono di essere rimasti
sorpresi dai dati ma suggeriscono
che il sistema educativo e il mercato
del lavoro possano spiegare questa
trasformazione.
Gli studi universitari non sono più
considerati una strada credibile per
fare carriera o raggiungere il benessere economico e, di conseguenza, gli
uomini decidono di abbandonarli e
provare a cercarsi un lavoro oppure
lasciano il paese, suggerisce Hugh
Roberts, storico e direttore del progetto per l’Africa Settentrionale dell’International crisis group. Aggiunge anche che per le donne gli studi
universitari rappresentano un mezzo
per uscire da casa e collocarsi meglio
in società. Questa generazione di donne algerine si è destreggiata tra uno
stato secolare e la spinta dell’Islam
estremista, i due poli della crisi degli
ultimi anni di questo paese.
In
Le donne sono più religiose rispetto
alle generazioni precedenti e, secondo i sociologi, sono più moderne. Si coprono la testa con il velo e nascondono il
corpo con gli abiti tradizionali islamici.
Pregano, vanno in moschea e lavorano,
spesso affiancando gli uomini, cosa che
un tempo era ritenuta un tabù. I sociologi e molte donne che lavorano sostengono che, adottando i precetti religiosi e
indossando il velo islamico che copre il
capo, detto hijab, di fatto le donne si sono
affrancate dai giudizi morali e dalle restrizioni imposte loro dagli uomini. Alla
sera tardi si vedono di rado donne senza
velo, mentre dopo la preghiera serale in
moschea si vedono a passeggio per la
città donne a capo coperto. “Non mi criticano mai, specialmente perché vedono
che indosso l’hijab”, dice Denni Fatiha,
44 anni, la prima a guidare un autobus
per le tortuose stradine di Algeri.
L’impatto del cambiamento è stato
radicale. In alcuni quartieri, per esem-
Switch on.
Shawn Baldwin per The New York Times
Algeria il 60 per cento degli studenti universitari sono donne che ritardano le nozze per finire gli studi.
pio, il tasso di natalità sembra essere
calato e gli alunni delle elementari sono
dimezzati di numero. Sembra che le donne ritardino il matrimonio alla fine degli
studi. In passato di solito si sposavano a
17 o 18 anni, mentre ora generalmente,
secondo quanto riferiscono i sociologi, si
sposano in media a 29 anni.
Molti analisti politici e sociali dicono
che la popolazione locale sempre più
spesso sembra aver perso fiducia nel
governo, che traeva la propria legittimità da una rivoluzione che risale ormai
a cinquant’anni fa. Nel paese dilagano
sistematicamente proteste e moti di
piazza. In questo contesto le donne forse sono sembrate la più potente forza di
cambiamento sociale dell’Algeria e la
loro presenza nell’apparato burocratico
e per le strade forse ha un’influenza moderatrice e modernizzatrice sulla società. “Le donne e il movimento femminile
potrebbero guidarci verso la modernità”, dice Abdel Nasser Djabi, docente di
sociologia all’Università di Algeri.
Ma non tutti sono felici di queste nuove dinamiche: alcuni analisti politici
e sociali sostengono che la recente recrudescenza dell’attività radicale degli
islamisti, attentati inclusi, deve essere
fatta risalire almeno in parte al desiderio di rallentare quanto più possibile la
trasformazione sociale che il paese sta
vivendo, specialmente per quello che riguarda il ruolo delle donne nella società.
Altri denunciano il fatto che la crescente
partecipazione delle donne alla società è
di fatto una violazione esplicita dei precetti religiosi.
Per adesso, comunque, la maggior
parte della popolazione dice che a causa
della lunga guerra civile la coscienza collettiva della comunità è semplicemente
troppo immatura perché i terroristi isla-
mici o le idee dell’Islam radicale possano
prendere piede tra la popolazione. Si ha
quasi la sensazione che il nuovo spazio
concesso alle donne possa essere almeno
in parte il riflesso di questa impressione
generale. Secondo i sociologi e le autorità religiose, la maggior parte della popolazione ha respinto l’interpretazione più
radicale dell’Islam e ha iniziato a far ritorno a un’interpretazione quasi mistica
della fede. “Credo che nulla di tutto questo contrasti o contraddica l’Islam”, dice
Wahiba Nabti, 36 anni. “Anzi, l’Islam ti
dà la libertà di lavorare. E a ogni buon
conto tutto si riduce al proprio rapporto
con Dio”. Nabti indossa un velo nero che
le copre il capo e un lungo abito nero che
cela le forme del suo corpo. “Mi auguro
un giorno di poter guidare una gru, così
da poter essere indipendente dal punto
di vista economico. Non sempre si può
contare su un uomo’’.
Switch off.
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Repubblica NewYork
IV
LUNEDÌ 4 GIUGNO 2007
MONDO
Il Pakistan accetta aiuti militari
ma allenta la caccia ai Taliban
Alle prese
con l’ostilità
degli ex alleati
di DAVID E. SANGER
e DAVID ROHDE
segue dalla prima pagina
giore scelto David Moore, “repubblicano di destra texano” (così si definisce)
e sergente di plotone, convinto della necessità di abbandonare l’Iraq. “Oggi, il
95 per cento del mio plotone è d’accordo
con me”.
Secondo Safstrom, la presenza americana in Iraq non serve a nulla. “Se anche
rimaniamo qui per cinque, o dieci anni, il
giorno in cui ce ne andremo qui scoppierà l’inferno”, dice. “Il Paese sprofonderebbe in una guerra civile vera e propria.
È come se stessimo qui per tenere un
cerotto premuto sull’Iraq, fino al giorno
che ce ne andremo”.
A mettere a dura prova il morale delle
truppe ci si mettono anche i continui richiami al fronte. Dopo aver passato sei
mesi in Iraq, i soldati della Compagnia
Delta sono rimasti a casa solo 24 ore, a
dicembre scorso, prima che arrivasse
la notizia. “Cambiate i vostri piani”, gli
hanno detto. “Si torna in Iraq”.
Diciannove giorni dopo, subito dopo
Natale, il capitano Douglas Rogers e gli
uomini della Compagnia Delta erano in
marcia verso Kadhimiya, un’enclave
sciita di circa 300.000 abitanti: il loro
obiettivo, nell’ambito del potenziamento della missione in Iraq voluto da Bush, era mantenere la stabilità nell’area
e preparare esercito e polizia iracheni
ad assumere il controllo.
“Pensavo che nel giro di poco tempo
ce ne saremmo potuti rimanere tranquilli nella nostra base, limitandoci ad
agire come forza di reazione rapida”,
dice il capitano Rogers di San Antonio,
nel Texas. “Pensavamo che avremmo
lasciato il posto alle forze di sicurezza
irachene”. Non è andata così. Nonostante tutto, la missione a Kadhimiya
è stata “un grande successo”.
“Abbiamo catturato 4 dei 10 guerriglieri più ricercati della zona”, dice, e
le strade di Kadhimiya sono affollate di
gente, i negozi sono aperti. Il capitano
Rogers ammette che tra i suoi soldati
circola un forte scetticismo. “La nostra
unità ha già avuto due uomini che sono
Michael Kamber per The New York Times
“La maggior parte di noi non sa più per che cosa sta combattendo”.
SERGENTE KEVIN O’FLARITY
Dice che metà delle forze di sicurezza è composta da guerriglieri.
tornati a casa dentro a un sacco”, dice.
“I miei soldati non vedono lo stesso impegno nell’esercito iracheno”. Ma non
c’è nessuna crisi nel morale dei soldati,
insiste: “Sono tutti dei professionisti.
Se gli dico di fare qualcosa, la fanno”.
Le sue affermazioni trovano conferma
durante il pattugliamento, quando i suoi
uomini camminano per ore per la strada con un caldo soffocante, coprendosi
le spalle a vicenda.
Il 29 aprile, dopo una segnalazione
una pattuglia della Compagnia Delta è
intervenuta alla moschea al-Sadr, vicina alla base. I soldati hanno visto degli
uomini che stavano innalzando delle
barricate: le hanno fatte saltare in aria
e le strade si sono rapidamente svuotate; poi, hanno cominciato a sparargli
dai tetti e dalle finestre.
Finita la battaglia, gli uomini della
Compagnia Delta hanno scoperto che
fra i nemici uccisi ce n’erano almeno
due che facevano parte dell’esercito iracheno, che le forze americane avevano
contribuito ad addestrare e armare.
Il capitano Rogers ammette che “il 29
aprile è stato uno spartiacque in senso
negativo, perché l’esercito iracheno non
ha combattuto insieme a noi”. E aggiunge: “Anzi, qualcuno ha addirittura preso
le armi per usarle contro di noi”.
Quella battaglia ha cambiato l’atteggiamento dei soldati. “Prima di quello
scontro, c’era ancora qualcuno che ci
credeva davvero, ma dopo il 29 aprile
credo che non ne sia rimasto neanche
uno. Sono dei parà, portano a termine
la loro missione, e su questo non c’è da
dubitare, ma ormai combattono per
spirito di corpo, per professionalità,
per lealtà nei confronti dei commilitoni
e rispetto delle gerarchie militari”.
Per il sergente Kevin O’Flarity, un
caposquadra che ha partecipato alla
battaglia del 29 aprile, le forze di sicurezza irachene sono milizie che rispondono ai leader locali, non al governo.
“La metà è composta da guerriglieri”,
dice. Rispetto alla guerra, O’Flarity aggiunge: “Secondo me, non dovremmo
stare qui, non dovremmo immischiarci
in una guerra civile”.
“Qui tutti abbiamo perso degli amici”,
dice sempre O’Flarity. “La maggior parte di noi non sa più per cosa sta combattendo. Serviamo il Paese e i nostri amici,
ma la ragione per cui usciamo fuori ogni
giorno è per i nostri commilitoni”. Continua: “Non voglio vedere nessun altro dei
miei ragazzi colpito o ucciso. Se fosse per
una giusta causa, allora forse sì, ma per
questo Paese e questo conflitto no, non ne
vale la pena”.
Il caporal maggiore James Griffin è al
comando di un reparto della Compagnia
Delta. Secondo lui, bisogna concedere
più tempo. “Se mettiamo da parte questo problema non possiamo pensare che
le cose andranno a posto da sole”, dice.
“Abbiamo creato le forze di sicurezza, gli
abbiamo dato gli Humvee el’equipaggiamento:dobbiamorestarefinchédiranno
che hanno bisogno di noi”.
WASHINGTON — Alcuni esponenti
dell’esercito americano, di recente, hanno chiesto di vincolare gli aiuti militari
al Pakistan ai risultati che ottiene nella
caccia ad Al Qaeda e all’impegno a evitare che i Taliban possano trasformare
il Paese in un rifugio da dove scagliare
attacchi contro il governo afgano.
Ma l’amministrazione Bush ha detto
che non c’è un piano di questo tipo, malgrado nuove prove mostrino che l’esercito pachistano spesso distoglie gli occhi
quando i guerriglieri Taliban si ritirano
al di là del confine pachistano, e ignora
i richiami fatti dagli osservatori americani per intercettarli.
Il generale James L. Jones, ex comandante supremo della Nato, ha riferito che
quando i soldati americani o del contingente Nato hanno avvistato gli insorti
Taliban che attraversavano il confine,
hanno avvisato via radio i pachistani,
ma spesso non hanno avuto risposta.
“Gli inviti a catturare, incarcerare o
ostacolare questi spostamenti spesso
non hanno ricevuto risposta”, ha detto il
generale. “Di frequente, le radio erano
spente”.
In un caso almeno le forze di sicurezza pachistane hanno aperto il fuoco per
supportare i guerriglieri Taliban che
avevano attaccato le postazioni afgane.
Gli Stati Uniti continuano a versare
circa un miliardo di dollari l’anno al
Pakistan per quello che viene definito
un risarcimento per l’opera di antiterrorismo condotta dall’esercito pachistano
lungo la frontiera con l’Afghanistan, anche se il presidente pachistano otto mesi
fa ha deciso di tagliare il numero di uomini in servizio nell’area dove Al Qaeda
e Taliban sono più attivi.
Gli americani lamentano che i pachistani sono pagati sia che svolgano effettivamente servizio sia che restino in
caserma.
“Ci mandano il conto e noi ci limitiamo
a pagare”, dice un militare americano.
“Nessuno sa spiegare che cosa riceDavid E. Sanger ha contribuito
all’articolo da Washington e Bruxelles,
David Rohde da Washington e New
York, Carlotta Gall da Islamabad.
Americani e iracheni sono d’accordo: se gli Usa si ritirano ci sarà il caos
segue dalla prima pagina
dare più stabilità al paese e non lasciarlo alle prese con i problemi che gli stessi
americani hanno causato”.
I vertici militari americani in Iraq
fanno valutazioni simili. Una riduzione
del contingente non è opportuna fino
a quando non migliorerà la sicurezza,
dicono, e anche allora dovrà essere graduale e pianificata con cautela. “Verrà
il momento in cui ci staccheremo dalle
forze irachene cedendo loro un controllo sempre maggiore”, dice il Luogotenente generale Raymond T. Odierno,
comandante delle forze di terra in Iraq,
che ha espresso la raccomandazione a
titolo personale che fino agli inizi del
2008 si mantengano livelli elevati di
truppe. “Ma dovrà essere un ritiro ponderato e ordinato, quando le condizioni
lo consentiranno”, aggiunge. Se le forze americane venissero ridotte troppo
presto, dicono i militari, l’esercito iracheno e le forze di polizia alle prime armi non sarebbero in grado di arrestare
l’ondata crescente di attentati suicidi a
opera di gruppi come Al Qaeda in Mesopotamia.
Le milizie sciite che avevano optato
per la tregua riprenderebbero gli attacchi su larga scala contro i residenti
sunniti. I quartieri a popolazione mista
sunnita e sciita, già a crescita lenta,
sparirebbero e le forze irachene sarebbero spaccate.
Un’opinione nettamente contrastante
prevale al Congresso dove i parlamentari hanno esercitato pressioni per imporre un calendario di ritiro delle truppe.
Alcuni esponenti democratici ammettono il rischio di un aumento delle violenze
in Iraq in caso di ritiro americano, ma
sostengono che gli iracheni non intraprenderanno il cammino doloroso verso
un reale accordo politico finché le forze
Michael R. Gordon ha collaborato da
Washington, e Alissa J. Rubin da
Bagdad. Wissam A. Habeeb ha collaborato da Bagdad, e altri da Tikrit, Mosul,
Kirkuk, Bassora e Sadr City.
americane non inizieranno a lasciare il
paese.
“E’ questo il meccanismo di leva”,
dice il senatore Carl Levin, democratico del Michigan, presidente della Commissione sui Servizi Armati. “Devono
trovarsi di fronte al baratro. E questo è
il baratro: vogliono una guerra civile o
una nazione?”, continua.
Sheik Ajmi al-Mutashar, ingegnere
agricolo e imprenditore della provincia
di Salahuddin nell’Iraq centrale, di fede
sunnita, dice di essere preoccupato che
un ritiro americano possa portare al
crollo del governo iracheno. “Se il governo cade sarà impossibile formarne un
altro”, dice. “Avremo piccoli emirati o
cantoni divisi in base a criteri settari e
etnici”.
Uno studio recente sulla percezione
che gli iracheni hanno della guerra,
condotto da un esperto americano, Anthony H. Cordesman del Centro studi
strategici e internazionali, afferma che
gli iracheni non considerano i militari
americani come alleati o liberatori ma
tuttavia temono le conseguenze di un ritiro improvviso delle truppe Usa. Circa
il 64 per cento degli abitanti di Bagdad
intervistati tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo scorso hanno detto che le
forze americane dovrebbero restare
finché non sarà ristabilita la sicurezza, il governo iracheno sarà più forte o
finché le forze irachene non saranno in
grado di agire autonomamente.
Solo il 36 per cento degli intervistati
ha affermato che le truppe americane
dovrebbero ritirarsi immediatamente.
Tra gli iracheni favorevoli a un ritiro rapido degli americani c’è chi pensa che il
paese si stabilizzerà dopo un’esplosione
viamo in cambio o dove vadano a finire
quei soldi”.
I militari americani e della Nato dicono che sono frustrati per il comportamento dell’esercito pachistano nelle zone di confine. Secondo loro, i guerriglieri
Taliban sono stati visti attraversare sistematicamente il confine sotto gli occhi
di pachistani e spesso questi hanno fatto
pochissimo per fermarli.
Due esperti e un soldato americano
dicono che le forze pachistane hanno
sparato colpi di mortaio e lanciagranate, con i Taliban, contro postazioni del-
Saeed Ali Achakzai/Reuters
I pachistani hanno ridotto i raid
contro i Taliban al confine con
l’Afghanistan, e alle volte danno
supporto militare alla guerriglia.
l’esercito afgano.
Un rapporto dell’esercito americano
ha descritto uno di questi attacchi e ha
concluso che “l’esercito pachistano aveva supportato attivamente l’assalto del
nemico” contro una postazione afgana.
James Dobbins, ex inviato americano
in Afghanistan, dice che i soldati gli hanno riferito molti altri casi simili.
“Mi è stato raccontato che alcune
unità dell’esercito pachistano avevano
fornito copertura con dei colpi di arma
da fuoco dalle loro postazioni in Pakistanalle operazioni dei Taliban contro
esercito afgano all’interno dell’Afghanistan”, ha detto.
di violenza e la ridefinizione dei confini
settari.
Alcune fazioni, tra cui numerosi sostenitori del religioso sciita Moqtada
al-Sadr, dicono che sarebbero capaci di
portare una maggiore stabilità, anche
se alle loro condizioni.
“Credo che i seguaci di Sadr governeranno il paese”, dice Muhammad Qasim
Ali, che vende valigie nel quartiere di
Karada, a prevalenza sciita .
“Sono la maggioranza, sono preparati
e questo dà loro l’opportunità di assumere il controllo. Una volta al potere
saremo clementi nei confronti dei sunniti. Di regola uccidiamo qualcuno solo
se sospettiamo che abbia legami con i
ribelli”.
Le reazioni al ritiro americano
Kirkuk
Ahmed Rahman
Menshid al-Asi,
sceicco sunnita
di Kirkuk
“Nei primi sei mesi dopo il ritiro americano dall’Iraq
o la riduzione della presenza Usa a Bagdad, il conflitto
raggiungerà l’apice. Dopo ci sarà la stabilità, alle
personalità irachene sarà riconosciuto un ruolo,
e la capitale vedrà la fine della violenza settaria
provocata dagli occupanti”.
John P. Murtha,
deputato
democratico della
Pennsylvania
“Non sono certo che nel breve periodo non si avrà
instabilità nel paese. I britannici restarono in India
75 anni e l’instabilità arrivò alla fine del loro
dominio... Sono convinto che la situazione non
sarà peggiore di come è adesso e se sarà peggiore
sistemeranno le cose da soli. Non si tratta di cosa
succederà. Succederà. E’ meglio che ci si preparino...
Il ritiro per noi è inevitabile”.
Bagdad
Hassan al-Sineid,
collaboratore del premier
Nuri Kamal al-Maliki
e membro del partito
sciita Dawa
“Un ritiro americano prima che si realizzino tutte
le condizioni porterà alla guerra civile perché non
possiamo sostituire la presenza di 130.000 soldati
americani in Iraq. Tutti i gruppi saranno coinvolti
in una guerra - sunniti, curdi e sciiti. Gli stati vicini
interferiranno. Nella regione ci sarà il caos”.
National Intelligence
Estimate sulle
“Prospettive di
stabilità in Iraq”,
gennaio 2007
Se ci sarà un ritiro rapido, “crediamo che le forze
di sicurezza irachene difficilmente sopravviverebbero
come istituzione nazionale non settaria. I paesi
confinanti – su invito delle fazioni irachene o
unilateralmente – potrebbero intervenire apertamente
nel conflitto, allora sarebbe probabile un alto numero
di vittime civili e un trasferimento forzato della
popolazione”.
SALAHUDDIN
Haidar Sami,
30 anni, disoccupato
sunnita che vive
nella provincia
di Salahuddin
“L’Iraq somiglia a una nave che affonda e, visto che
so nuotare, perché devo restare a bordo? Devo
trovare un rifugio sicuro. Ci sarà un’emigrazione
di massa provocata dalla paura, soprattutto tra
i giovani che vogliono salvarsi la vita e garantirsi
il futuro”.
Generale Anthony
Zinni, ex capo
del United States
Central Command
“Restando in Iraq sotto molti aspetti conteniamo
la violenza. Ritirandoci le lasciamo più spazio, e
questa potrebbe in qualche modo diffondersi e
diventare un problema regionale. Non dobbiamo
mantenere lo stesso livello di presenza ma servono
cinque-sette anni per arrivare ad una stabilità
ragionevole in Iraq”.
Repubblica NewYork
LUNEDÌ 4 GIUGNO 2007
V
EC O N O M I A E S O C I E TÀ
Fuori moda
i megaparty
a Hollywood
);;<CC7B: 7:B:< A:B <= >@?9@
La International Lease Finance Corporation ha come clienti diverse
compagnie aeree di tutto il mondo, ma soprattutto in Europa.
*/.,05.
+.6.4. 2,3 3,-.10,
$"8
In corsivo
sono indicati
i principali clienti
di LAURA M. HOLSON
HOLLYWOOD — La prima a marzo
della commedia con Will Ferrell, Blades
of Glory, grande successo al botteghino,
non potrebbe essere stata più favolosa. I
fotografi hanno affollato il tappeto rosso
davanti al Grauman’s Chinese Theater di
Hollywood per uno scatto a celebrità come Ben Stiller e Brooke Shields.
Poi è venuta la grande festa dopo la prima. Un momento: non c’è stata una grande festa. La Paramount Pictures, che distribuisce il film, ha scelto la formula di
una festa privata offerta dai produttori e
dal regista agli attori, alla troupe del film
e ad alcuni amici. Il costo: 50.000 dollari,
vale a dire, un decimo del costo di una prima tradizionale. Di fronte a una estate di
megaproduzioni difficili da promuovere,
gli studios hanno cominciato a tagliare il
budget per le feste delle prime degli altri
film, finanziando qualche volta delle cene
private o saltando addirittura del tutto il
party.
“Si assiste a un cambiamento culturale
a Hollywood, le dimensioni della festa non
riflettono quello che il produttore si aspetta dal film”, spiega Rob Moore, responsabile del marketing, della distribuzione e
delle operazioni internazionali della Paramount. “La festa non vende biglietti”.
Gli spettatori fuori dagli Stati Uniti sono ormai parte integrante del successo di
una megaproduzione, quindi gli studios
stanno spendendo di più per loro.
Se una prima modesta negli Stati Uniti
può costare tra i 300.000 e i 500.000 dollari,
gli studios sono pronti a spendere anche
Europa
Air France
Iberia
KLM Group
Virgin Atlantic
%(8
CLIENTI TOTALI
NEL 2006
157
'8
Axel Koeser per The New York Times
Steven Udvar-Hazy ha come clienti 157 compagnie ed esercita un’enorme
influenza sulla progettazione degli aerei.
Fonte: ILFC
Asia e Pacifico
Air New Zealand
Cathay Pacific
China Southern
Dragonair
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##8
America Latina
Aeroméxico
Stati Uniti
e Canada
Africa
e Medio Oriente
Emirates
#&% "%- $*+( #')%,
Le compagnie li fanno volare, ma un miliardario li possiede tutti
di LESLIE WAYNE
LOS ANGELES — Quando Steven
Udvar-Hazy era adolescente, a New
York,dopolascuolaandavaspessoall’aeroporto Idlewild, come allora si chiamava l’aeroporto internazionale Kennedy,
per guardare gli aerei che decollavano e
atterravano.
Per il giovane Hazy, emigrato con la
sua famiglia dall’Ungheria quando aveva 12 anni, gli aerei erano il simbolo della
libertà. Passava ore a individuare i diversi jet studiando gli orari per capire da
dove venissero o dove fossero diretti.
Chi osserva oggi gli aerei dall’aeroporto Kennedy — o nella maggior parte del
mondo — probabilmente vedrebbe jet di
proprietà di Hazy, che nel frattempo è
diventato un miliardario ed è uno dei più
influenti operatori economici dell’aviazione commerciale.
Come fondatore e amministratore delegato della International Lease Finance
Corporation di Los Angeles possiede 824
tra Boeing e Airbus mentre altri 254 o più
sono già stati ordinati. Questa flotta fa
sembrare piccola qualunque compagnia
aerea del mondo. Hazy possiede più aerei
della principale linea aerea americana,
la American Airlines, che ne ha 679 e più
di Air France (265), Lufthansa (245) e
British Airways (239) messe insieme.
Ma Hazy preferisce mantenere un
profilo basso, che è raro in un mondo che
ha sempre attratto troppi egocentrici.
Concede raramente interviste e non ha
problemi a permettere che i suoi clienti
— come la Cathay Pacific, l’Air France e
l’American — dipingano il loro nome e il
logo sugli aerei.
“Si può dire che, nel nostro settore,
Steven Hazy è Dio”, dice Edmund S.
Greenslet, direttore di AirlineMonitor.
com. “Nessuno è più autorevole di lui.
Esercita un’influenza enorme sul modo
in cui le industrie progettano i jet. Hazy è
il motore finanziario delle linee aeree di
tutto il mondo”.
Quasi metà degli aerei che oggi volano sono stati noleggiati in leasing dalle
compagnie aeree e Hazy, con il suo portafoglio di 45 miliardi di dollari, è il principale operatore economico, in termini di
volume di denaro, seguito dalla General
Electric. In 35 anni di attività ha ordinato
706 aerei alla Boeing e circa 600 alla Airbus, cosa che fa di lui il principale cliente
di entrambe. Il suo patrimonio personale
è valutato in 3,1 miliardi di dollari, una
cifra che lo colloca all’83mo posto tra gli
uomini più ricchi d’America, secondo
Forbes.
Hazy è diventato il pioniere del noleggio di jet in leasing quando non era ancora trentenne ed è considerato il creatore
di un’industria che fattura intorno ai 129
miliardi di dollari.
Ha iniziato procurandosi dei finanziamenti da un piccolo gruppo di emigrati
ungheresi e ha avviato la sua attività
quandoeraancoraunostudentedieconomia all’Università della California, a Los
Angeles. Nel 1966 suggerì all’Air Lingus
il modo di risparmiare denaro riducendo
i modelli degli aerei della flotta.
Una volta raggiunta una posizione più
‘Ho sempre associato gli
aerei all’idea di fuga e di
libertà, e lo faccio ancora’.
avanzata fece da intermediario nella
vendita di un aereo a turboelica dall’Air
New Zealand alla Reeve Aleutian Airlines.
Nel 1973 fondò con due soci la sua società di leasing, investendo 150.000 dollari
per l’acquisto di un DC-8 usato da noleggiare all’Aeroméxico.
In poco tempo il gruppo passò ai modelli più recenti. I soci di Hazy, due ungheresi padre e figlio, secondo Forbes,
possiedono ciascuno un patrimonio di
circa 1,6 miliardi.
Per Hazy l’aviazione ha a che vedere
più con i suoi sentimenti che con gli affari. “Per molte persone è difficile immaginare cosa significava essere un ragazzino che viveva dietro la Cortina di ferro
negli anni Cinquanta, in piena Guerra
Fredda”, ha detto in un’intervista concessa nel suo sontuoso ufficio di Century
City, in California. “Da bambino venivo
indottrinato. Mi sentivo intrappolato, prigioniero. Perciò ho sempre associato gli
aerei all’idea della fuga e della libertà, e
lo faccio ancora”. Oggi ha uno staff di 170
dipendenti. Nel suo ufficio ci sono quasi
2.000 modellini di aerei. “Vive e respira
quest’aria”, dice John Leahy, responsabile delle vendite per la Airbus. “Quando
era ancora fidanzato con Christine, oggi
sua moglie, la sua idea di divertimento
era andare alla fine della pista e parlarle
dei DC-8”. Non c’è da sorprendersi che
nel mondo dell’industria aeronautica, le
sue opinioni siano tenute in grande considerazione e i produttori di Boeing, Airbus
e motori a reazione richiedano i suoi consigli. “Lui guida e il mercato segue”, dice
John Kutler, presidente della Admiralty
Partners di Los Angeles, società di investimenti specializzata in questo settore.
“Hazy è il responsabile delle tendenze
dell’aviazionecivile e di ciò che esce dalla
catena di montaggio”.
Perché il lavoro somiglia
a un videogioco
Kevork Djansezian/Associated Press
Kate Beckinsale e Ben Affleck alla
festa da 5 milioni di dollari per la
prima di “Pearl Harbor”, nel 2001.
10 milioni di dollari se il marketing di un
film prevede un lancio in contemporanea
in molte città.
Non è passato molto tempo da quando
ogni film era celebrato con un’occasione fastosa. Il culmine è stato raggiunto
probabilmente nel 2001 con la festa da 5
milioni di dollari della Walt Disney Company per Pearl Harbor, nella quale i 2.000
ospiti furono intrattenuti alle Hawaii sulla
piattaforma della portaerei U.S.S. John C.
Stennis.
Ora che i soci esigenti, i partner a Wall
Street e gli azionisti delle case cinematografiche stanno tentando di tagliare sulle
spese, per i dirigenti degli studios sta diventando sempre più difficile gestire gli
affari come prima. “I vassoi traboccanti
di caviale appartengono al passato”, dice
Terry Press, responsabile del marketing
dei film per la DreamWorks (la casa cinematografica che ha prodotto Blades of
Glory) e per la DreamWorks Animation.
La DreamWorks Animation non ha mai
organizzato prime multimilionarie per i
film della serie di Shrek, privilegiando invece le proiezioni nel fine settimana per
alcuni ospiti e le loro famiglie.
Nonsitagliasututteleprime.Ifilmconcepiti per una distribuzione mondiale vengono venduti anche così. Le grandi case
di Hollywood hanno bisogno del numero
di spettatori più alto possibile per pareggiare i conti. Il seguito di film di grande
successo come Pirati dei Caraibi: ai confini del mondo o Spiderman 3 costano tre
volte una produzione media.
Moore, della Paramount, dice che si sta
facendo uno sforzo per distinguere le dimensioni del party della prima dal valore
del film. “Due anni fa, la gente diceva:
‘Guarda quella festa. E la nostra?’. Questo non succede più. E non vuol dire che
non crediamo nel grande successo di un
film”.
Lavorare non è un gioco — ma forse dovrebbe esserlo.
E’ per questo che Paul Johnston ha reimpostato la sua
azienda basandosi sul concetto che il software destinato
alle aziende funzionerebbe meglio se somigliasse a un
gioco. Johnston non è un adolescente impacciato, ma il
distinto presidente e direttore generale di Entellium, che produce software
per la “Customer relationship management” cioè la gestione delle relazioMICHAEL
ni con i clienti.
FITZGERALD
Le imprese spendono miliardi di
dollari per programmi che cercano di
seguire i risultati del personale addetto alle vendite, al
marketing e al servizio clienti — chiunque rappresenti
un collegamento con la propria clientela. Purtroppo la
maggior parte dei programmi non sono molto apprezzati. Quello che è peggio suscitano il sospetto che i capi
vogliano spiare i propri dipendenti.
“I programmi di CRM sono pensati per permettere ai
superiori di controllarti”, dice Johnston. E fa notare che
nella stessa Entellium, a Seattle, ha avuto difficoltà a far sì
che il personale addetto alle vendite aggiornasse costantemente i dati. Riflettendo sul fatto che sono ferocemente
competitivi, Johnston ha pensato che un programma che
mostrasse loro il proprio posizionamento rispetto agli
obiettivi o ai colleghi, forse avrebbe potuto sensibilizzarli.
Così è nato Rave, il programma lanciato ad aprile dalla Entellium che si basa su una varietà di tecniche già
impiegate nei videogiochi. Rave permette di realizzare
un fascicolo sui clienti reali e potenziali, con tanto di foto
e di lista dei gusti, dei loro interessi e di quello che non gli
piace in un modo che somiglia molto a un videogioco.
Ai potenziali clienti vengono assegnate delle valutazioni, basate non su criteri cronologici, come accade nei
programmi di CRM, ma sulle probabilità che comprino
qualcosa. I potenziali clienti sono anche catalogati
in base a una “timeline” — o sequenza cronologica
— un’altra caratteristica dei giochi.
Capita che i dirigenti sviluppino delle nuove capacità attraverso i giochi di ruolo e di strategia, dice Ben
Sawyer, codirettore di Serious Games Initiative e a capo
della Digitamill Incorporated, gruppo di consulenti di
Portland, nel Maine, che collabora con alcune imprese
per mettere in atto strategie di gioco.
Sawyer sostiene che le aziende stanno iniziando a capire che è possibile sviluppare alcune capacità e diffondere una cultura aziendale, basandosi sui videogiochi.
Le società hanno difficoltà a gestire decine di migliaia
di persone, mentre i creatori di giochi come World of Warcraft hanno creato un ambiente di questo tipo. Nessuno
sa in che misura il mondo dei videogiochi influenzerà le
aziende. Ma le regole del gioco stanno cambiando.
OPINIONE
Repubblica NewYork
VI
LUNEDÌ 4 GIUGNO 2007
SCIENZA E TECNOLOGIA: GADGETS
IN N OV A ZI O NI
Quando la batteria muove i pedali
In passato aveva un normale Suv a benzina, ma da settembre
ha iniziato a lasciare l’auto a casa e a preferire un mezzo di trasporto più economico, silenzioso e pulito: una bicicletta elettrica.
Per arrivare al lavoro gli occorre un po’ più di tempo ma pensa
che la bicicletta sia più affidabile, agile, fortificante e divertente
del Suv.
Le biciclette elettriche hanno alcune caratteristiche in comune
con le bici tradizionali: hanno pedali che funzionano e nella maggior parte dei casi hanno anche il cambio marce. La differenza comincia con l’avvio della batteria elettrica, spesso con una chiave.
In alcuni modelli non resta che girare, o anche premere, l’acceleratore che è collocato sul manubrio e andare avanti senza pedalare. In altri modelli potete pedalare lentamente per poi accelerare.
Le biciclette elettriche sono usate di solito a una velocità che
non supera i 32 chilometri all’ora senza pedalare e in genere con
una carica di batteria possono coprire dai 30 agli 80 chilometri.
Se paragonate alle automobili, non possono andare molto lontano né molto veloce, ma a causa dei prezzi sempre più alti dei carburanti e all’ambiente, si stanno affermando come possibili alternative per i pendolari, per chi va a fare acquisti e commissioni.
Una bici elettrica può costare da qualche centinaio di dollari
per i modelli più economici fino a 2000 dollari o più. Con i conti
della benzina che per ogni nucleo famigliare arrivano in media
a superare i 2000 dollari l’anno, gli acquirenti di veicoli elettrici
riescono a recuperare buona parte della cifra spesa, se non tutta,
in qualche mese o in un anno al massimo. Ma le bici elettriche, popolari in Asia e in Europa, devono ancora diffondersi negli Stati
Uniti.
BARRY REHFELD
Salvare dai furti le opere d’arte
Secondo l’artista Scott Richter rubare un quadro è molto più facile di quanto si possa immaginare. Forse non proprio da uno dei
grandi musei, che dispongono di allarmi raffinati e di vigilanza
in ogni sala. Ma dopo aver lavorato per 30 anni come pittore, scultore e insegnante, ha capito che sempre meno istituzioni possono
permettersi di dotarsi di simili sistemi di sicurezza.
“Molte gallerie d’arte ricorrono ancora alle biglie nascoste
dietro i quadri”, dice Richter che vive a Weston nel Connecticut e
insegna disegno alla Cooper Union di New York. “Quando si solleva una tela le biglie cadono sul pavimento”.
In teoria questo dovrebbe provocare un rumore sufficiente a richiamare l’attenzione di un impiegato, ma si tratta di un metodo
che è difficile considerare infallibile.
Richter spera che le gallerie e i piccoli musei prima o poi metteranno nel dimenticatoio le
biglie a favore di Art Guard,
il suo allarme, grande quanto
il palmo di una mano e con un
costo accessibile. Art Guard
è avvitato al muro e intorno è
arrotolato il cavo di supporto
del dipinto. Se l’opera d’arte
viene spostata di traverso,
il dispositivo emette un segnale intollerabile. La sirena
può essere disattivata solo
con una chiave simile a un
auricolare.
Richter ha costruito il primo prototipo di Art Guard nel
2005. Man mano che è andato
evolvendosi, Art Guard ha
Art Guard emette un suono
iniziato a somigliare sempre
più a un gadget di uso comuse un quadro viene spostato.
ne.
“Essendo un grande ammiratore degli oggetti di design, ero rimasto molto colpito dall’iPod, dalla sua semplicità”, dice Richter che era stato industrial
designer per Ibm. L’influenza dell’iPod è evidente. Art Guard
ha una protuberanza che da lontano può essere scambiata per il
tasto selezionatore dell’iPod. E’ stato messo in vendita circa tre
mesi fa sul sito Web ArtGuard.net. Una confezione da dieci allarmi costa 399 dollari, o 375 l’una se se ne acquistano dieci.
Per promuovere il suo prodotto, Richter fa pubblicità su alcune
riviste come Art in America e ArtForum. Finora, ha detto, uno
dei suoi clienti più importanti è stato il nuovo Hyatt Regency Hotel di Kiev, in Ucraina.
BRENDAN I. KOERNER
Proiettori pret-a-porter
Le sale congressi, di solito, sono dotate di proiettori digitali che
i relatori possono utilizzare per mostrare diapositive predisposte con PowerPoint e altri documenti grafici archiviati nei loro
laptop. Ma gli uomini d’affari che vendono prodotti in giro o fanno
discorsi a braccio non possono contare su questa utile apparecchiatura e sono costretti a portarsi sempre dietro i loro proiettori,
nel caso in cui possano servire.
Di questi tempi, tuttavia, è sempre meno faticoso farlo, perché
le dimensioni dei proiettori negli ultimi quattro anni si sono notevolmente ridotte e la qualità delle immagini è aumentata. Adesso
si possono scegliere proiettori compatti e portatili, che pesano
meno di due chili. Hanno un’ottica studiata per esaltare la luminosità più che il colore così da poter proiettare immagini con una
buona definizione di fogli elettronici anche quando sono accese le
luci al neon.
Nec Corporation offre un buon esempio di questo tipo di
proiettori che pesano poco: NP60, disponibile pressoché ovunque da gennaio (1.299 dollari su ProjectorCentral.com). Il
proiettore pesa solo un chilo e mezzo e il suo ampio display consente di vedere molto bene in sale che ospitano una quarantina
o più di persone.
Per le presentazioni in luoghi più piccoli — quando il pubblico
è formato per esempio da due o tre persone all’interno di un cubicolo — può essere utile un altro tipo di proiettori. Si tratta di
apparecchi tascabili, che usano led o diodi a luce intermittente
invece che le lampadine in uso nei proiettori portatili di più ampie
dimensioni. Samsung offre uno di questi modelli, il Pocket Imager SP-P310MEMX (da 749 dollari), che pesa meno di un chilo.
I proiettori portatili come quello di Samsung e i modelli Nec
hanno anche altre applicazioni: quando la settimana lavorativa
giunge al termine, li si può tenere in casa, collegarli alla console
dei videogiochi o a un dvd per vedere un film.
ANNE EISENBERG
Un mondo di video catturati dal computer
di PETER WAYNER
Robert Sorel, trombonista di Woonsocket,
Rhode Island, tiene il suo pc in uno studio nel
seminterrato, collegato ad altri strumenti e
lo usa come jukebox per la sua collezione di
musica e video.
A Woodbury, New Jersey, Dave Wasman,
consulente informatico, ha un Mac Mini
connesso a un televisore ad alta definizione
e naviga così in rete per cercare notiziari e
cortometraggi.
Chris Lanier, studente dell’Università di
Houston, usa la sua Xbox per collegare il televisore del salotto al computer dell’ufficio
da cui attinge offerte commerciali e video
archiviati.
Tutti usano un pc per portare sullo schermo tv la ricchezza di informazioni di Internet.
Lottano con formattazioni arcane, rumorose
ventole e pagine web ideate per gli schermi
del computer per sfuggire alle antiquate reti
televisive e alla loro lista di canali limitata a
qualche centinaia.
La convergenza tra Internet e le emittenti
tradizionali, da tempo annunciata, si sta avvicinando. A differenza della normale tv,
che scodella programmi ogni mezz’ora, i
siti offrono programmi in video-sharing,
attraverso la rete.
Ma trovare l’hardware giusto per
questa convergenza richiede un certo
impegno.
C’è chi collega un computer a un grande schermo, una procedura semplice
per la maggior parte degli schermi e
dei computer moderni ma spesso complicata da piccole idiosincrasie, conseguenza di quella apertura che attrae gli
utenti.
Sia Apple che Microsoft stanno dotando
i computer di pacchetti software, come
Front Row o Media Center, che riproducono video e musica con un’interfaccia
semplificata.
Un’altra alternativa è costituita da un
prodotto ideato per il salotto spesso dalle stesse case produttrici di computer. La
nuova Apple TV o la Xbox riescono a trasferire video, foto o musica dal computer
alla tv ma non consentono una navigazione
completa della rete e di accedere a tutto il
materiale disponibile online.
Steve Perlman ha fondato nel 1996 WebTV,
una società che costruisce un decoder per navigare il web che oggi viene venduto dalla Microsoft come MSN TV. Perlman osserva che i
computer non sono adatti come strumenti da
salotto perché possono impiegare molto tempo ad avviarsi, sono rumorosi e possono essere
attaccati dai virus.
L’interfaccia grafica classica del computer
è difficile da usare dal divano per via dei caratteri piccoli e dei pulsanti minuscoli.
I telespettatori stanno semisdraiati, non
seduti diritti, e “avranno un bicchiere in una
mano e magari nell’altra la fidanzata o il fidanzato”, dice Perlman. “In realtà si ha una
sola mano a disposizione”.
Una soluzione comune è la tastiera senza fili
come la Adesso SlimTouch (circa 85 dollari su
adesso.com) o la Logitech diNovo Edge (circa
165 dollari da logitech.com). Entrambe sono
dotate di trackpad per muovere il cursore.
Un’alternativa più sofisticata è un teleco-
Alle fotografie
digitali
sfugge l’attimo
di DAMON DARLIN
Le macchine fotografiche digitali sono
straordinarie: perfino quelle piccole e compatte, che costano meno di 100 dollari, sono
in grado di scattare foto con una risoluzione
eccellente. A patto, però, che il soggetto non si
muova troppo velocemente: se l’obiettivo di
chi fotografa è cercare di cogliere il piccolo
calciatore che spedisce la palla in rete per il
suo primo gol, rischia di ritrovarsi con la foto
di un campo vuoto o di un cielo blu. Il tempo
che la macchinetta digitale impiega a reagire
dal momento dello scatto al momento dell’acquisizione dell’immagine è talmente lungo
che l’attimo giusto è passato.
Questo problema ha un nome: tempo di otturazione. “È la principale ragione di insoddisfazione dei nostri clienti”, dice Bob Gann,
architetto di sistemi di digital imaging per la
Hewlett-Packard. Ma evitarlo, o almeno cercare di ridurlo al minimo, non è semplice.
Il problema è che i produttori di macchine fotografiche cercano di parlarne il meno
possibile: non che abbiano qualcosa da nascondere, è semplicemente che il tempo di
otturazione è un concetto troppo difficile per
comunicarlo nelle pubblicità e nei materiali
di marketing disponibili in negozio.
Il primo problema è che più che di velocità
di otturazione si dovrebbe parlare di velocità
del processore.
Quando il fotografo comincia a premere il
Chris Reed
mando programmabile
come lo SnapStream Firefly (circa 50 dollari su snapstream.
com). Premendo un tasto si accede a una lista di comandi che possono essere impartiti
al computer.
Se il computer è dotato di un telecomando,
come l’iMac, prodotti come Remote Buddy
(che si può comprare su spirit.com a circa
13, 50 dollari) o Mira (su twistedmelon.com a
circa 16 dollari) permettono all’utente di attivare i programmi premendo un bottone.
Molti utenti sfruttano le funzioni previste
per le persone deboli di vista. Il browser Firefox, ad esempio, può aumentare le dimensioni
dei caratteri nella maggior parte delle pagine
web e un certo numero di programmi ingrandiscono sezioni dello schermo agevolando la
visione di video sul grande schermo.
Gran parte degli utenti cercano costante-
mente di rendere
leggibili i caratteri sfruttando le risorse del computer.
Rendere più agevole la connessione è un
obiettivo importante per le società produttrici nel tentativo di trovare il modo migliore di
soddisfare sia i creatori dei contenuti che la
coppia sul divano.
“Come si possono vedere siti web su dispositivi mobili, mi aspetto siti web adatti a
essere visti su uno schermo televisivo”, dice
Perlman, che promuove e finanzia le nuove
imprese che producono tecnologie e contenuti mediatici attraverso la Rearden Companies.
“Quando accadrà, avremo una totale trasformazione del settore. Credo che in futuro
le emittenti tradizionali chiuderanno perché
hanno una disponibilità molto limitata di contenuti”.
www.shooting-digital.
com/columns/schwartz/shutter_release_test/
default.asp.
Un altro parametro
che entra in gioco quando si tratta di prendere
foto di soggetti in movimento è la sensibilità
Iso. Questo parametro
permette di scattare con
efficacia foto di soggetti
in movimento anche in
condizioni di scarsa illuminazione. La Kodak
Z712 ISO da 300 dollari
arriva fino a 3200 di sensibilità Iso.
I fotografi usano alcuni
Illustrazione per The New York Times
trucchi per scattare foto
pulsante per scattare, i sensori della macchi- di soggetti in movimento con le macchinetnetta iniziano a prendere una serie di misure: te digitali. Nei casi dove potete prevedere
il processore calcola la distanza dall’oggetto, quando avverrà l’evento, tenete premuto il
stabilisce la quantità di luce necessaria ed pulsante a metà: azionando la messa a fuoco
esegue anche qualche bilanciamento in ter- automatica, tutto il procedimento si mette in
mini di colore e luminosità, quindi acquisisce moto. Quando premi il pulsante fino in fondo
l’immagine sul processore e la invia alla me- la macchina fotografica può elaborare le inmoria. Un procedimento che può richiedere formazioni più rapidamente. Molte macchianche un secondo di tempo. Un consumatore nette, poi, prevedono una modalità “animali
che voglia comprare una macchina fotografi- domestici” o “bambini”, per fotografare
ca veloce non dovrà fare altro che guardare il tutto quello che tende a non rimanere fermo
foglietto con le caratteristiche del prodotto.
quando glielo dici.
Ma molte macchine fotografiche non forniMan mano che le macchine fotografiche
scono dati che possano aiutare. L’acquirente digitali scenderanno di prezzo, diventando
può trovare indicato il tempo di esposizione, contemporaneamente più sofisticate, il temma è un dato che da solo serve a poco.
po di otturazione sarà un problema sempre
“Il tempo di esposizione è solo uno degli ele- meno sentito.
menti”, dice Chuck Westfall, portavoce della
“Dateci ancora qualche anno e non ne senCanon. “Se rientra in una gamma di valori tirete più parlare”, dice Gann della Hewlettragionevole, non fa una gran differenza”.
Packard. “Ma il costo delle macchinette digiSe avete già una macchinetta digitale, po- tali salirà. Sappiamo come fare per renderle
tete fare da soli un test, andando all’indirizzo più veloci, ma costeranno di più”.
Repubblica NewYork
LUNEDÌ 4 GIUGNO 2007
VII
V I TA Q U O T I D I A N A
Piccoli consiglieri per mamma e papà
di STEPHANIE ROSENBLOOM
Quando Helen Barahal doveva decidere se vendere o meno l’appartamento di East Harlem che teneva affittato,
si fece consigliare dal figlio Marcus.
“Sapevo che all’epoca quella zona non
era molto rinomata, ma presto sarebbe cambiata”, dice Marcus. “Le dissi
di tenerlo perché sapevo che l’affitto le
avrebbe fruttato più denaro della vendita”. La signora Barahal seguì il consiglio
e tenne l’appartamento, che oggi sta per
essere venduto a un prezzo quattro volte
superiore rispetto ai 100.000 dollari che
le era costato nel 2000. La vendita, dice
la signora Barahal, è stata approvata da
Marcus.
Marcus ha 11 anni. Ma come si dice,
l’età è solo un numero. Il mediatore immobiliare della signora Barahal, Jeffrey
Gardere (che si dà il caso abbia un dottorato in psicologia) dice che come molti
genitori dei nostri giorni la sua cliente
non si limita a dare ascolto al figlio. “Si
fida di ciò che lui le dice”, dice.
E’ da tempo che i genitori fanno affidamento sui figli, considerandoli esperti
di moda, tecnologia e cultura pop e contando sul fatto che facciano conoscere
loro musica nuova, li aiutino ad ripulire
il proprio guardaroba da capi orrendi
e partecipino a decisioni di famiglia come la scelta della destinazione delle
vacanze invernali o di un sostituto per il
pesciolino rosso deceduto.
Ma il carattere e la diffusione delle
consulenze figli-genitori ha raggiunto
proporzioni inedite. Molti genitori trattano i figli alla stregua di esperti alla pari e
li considerano dei confidenti. Per questo
si rivolgono a loro per farsi dare consigli
su decisioni di vita oltre che su acquisti
importanti come automobili, computer,
vacanze o per scelte di carattere immobiliare e di arredamento.
Susan Linn, psicologa presso il Judge
Baker Children’s Center della Harvard
Medical School e autrice di Il marketing
all’assalto dell’infanzia. Come media,
Sulle questioni importanti
sempre più genitori
fanno scegliere ai figli.
pubblicità e consumi stanno trasformando per sempre il mondo dei bambini
ha indagato perchè si diffondono i consigli richiesti agli adolescenti.
Uno dei motivi è dato dall’aumento
delle famiglie dove c’è un unico genitore. Non avendo con chi condividere le
responsabilità dell’educazione dei figli, i
genitori single sono più stressati, dice la
dottoressa Linn, e la dinamica con i figli
tende ad essere più negoziabile.
“Siamo solo noi due”, dice la dottores-
sa Betsy Kavaler, che vive a Manhattan
insieme alla figlia Sonia Brozak, di 11
anni. “Per certi versi questo la rende più
una compagna che una figlia”.
Quando la dottoressa Kavaler, un’urologa, era al lavoro, è stata Sonia a trattare con l’uomo che ristrutturava il loro
appartamento; ha anche scelto dove sarebbero andate in vacanza - basandosi
sui propri studi di storia dell’arte, e ha
persino deciso quale sarebbe stata la
scuola media migliore per lei. “E’ così
diverso da quando eravamo piccoli noi”,
dice la dottoressa Kavaler. “Adesso ci
si domanda ‘cosa vogliono fare i figli?’.
Mio padre diceva: ‘che importa cosa vogliono fare i figli?’”.
Jodi Seidler, creatrice di Makinglemonade.com - un sito web dedicato a genitori single - dice che suo figlio Sam che ha
da poco compiuto 17 anni “mi dava consigli su tutto”. Persino sul fatto che ricominciasse a frequentare degli uomini.
“Diceva ‘Be’ mamma, perché non provi
on-line?’”, dice la signora Seidler, che vive a Santa Monica, in California, e che da
allora di siti web per single ne ha visitati
diversi. Teneva Sam informato sui possibili incontri promettenti e ascoltava
le sue risposte - non solo perché tiene ai
suoi consigli ma anche perché desidera
“vedere chi è e come la pensa”.
Regolarmente però, i consigli dati ‘alla pari’ dai figli presentano degli svantaggi.
“E’ questo che li rende complicati”, di-
ce la signora Seidler. “Quando tuo figlio
è più evoluto, intuitivo, sensibile o buffo
degli uomini che incontri”.
La dottoressa Linn dice che il marketing è uno dei motivi per cui si cerca il
parere degli adolescenti. Oltre a riempire la testa dei ragazzi con informazioni
sui prodotti e dare loro “una parvenza
di maturità”, il marketing diffonde la
nozione che i ragazzi di oggi la sappiano
più lunga delle generazioni passate, dice
la dottoressa Linn.
Ai figli pesa essere considerati dai genitori una risorsa?
Attribuire troppo potere ai figli può
farli sentire indifesi, ma invitarli a partecipare alla scelta del gioco a cui giocare o del dvd da noleggiare può insegnare
loro a prendere parte a decisioni collettive.
In realtà, l’idea che i ragazzi di oggi
siano più saggi che in passato, dice la
dottoressa Linn, è un “fenomeno costruito commercialmente che in un certo senso priva i giovani di una parte dell’infanzia”. E aggiunge: “Per certi versi,
li stiamo derubando della loro infanzia”,
dice.
Quando il dottor Google
fa la diagnosi
Riscoprire
i giochi semplici
di una volta
di ALEX WILLIAMS
Joseph Gallo, 10 anni, di Santa Cruz, è
superattrezzato per la battaglia contro
la noia; la sua camera da letto è un arsenale munitissimo: computer con collegamento a internet, lettore Dvd, due
Game Boys, una Xbox e un GameCube.
Nelle ultime settimane, però, Joseph ha
trovato una nuova passione: le biglie.
Può ringraziare Michael Cohill,
progettista e appassionato di giochi,
che qualche settimana fa ha tenuto un
seminario sulle biglie in una fiera per
l’infanzia, a cui Joseph ha partecipato.
“Si divertono con le biglie proprio come
i bambini di cento anni fa”, dice Cohill,
52 anni.
Beh, non proprio. All’epoca, i bambini
non dovevano frequentare un seminario
per imparare a giocare a un gioco così
semplice. Nell’epoca del tempo libero
superstrutturato, delle ore di doposcuola sovraffollate di attività, dei genitori
terrorizzati che i bambini si possano far
male, molti giochi tradizionali dell’infanzia sono diventati antiquati quanto il
concetto stesso di ozio.
Recentemente, però, una serie di educatori (come Cohill), genitori ed esperti
di sviluppo dei bambini stanno cercando
di rilanciare i passatempi tradizionali,
come le biglie, il gioco della campana e il
kickball (una specie di baseball giocato
con in piedi). Frequentano conferenze
sui giochi, tengono corsi per insegnare
come si gioca e organizzano campionati
per attività che un tempo non avevano
bisogno di campionati (bastava una palla ed un bastone): a spingerli a questo è
il timore che il declino dei giochi tradizionali possa impoverire la capacità di
immaginazione e inibire l’interazione
sociale, e anche un personale sentimento di nostalgia, il desiderio di creare un
ponte che metta in comunicazione le
generazioni passate con la generazione
Nintendo.
Un segnale che forse qualcosa si sta muovendo è
arrivato con il successo inaspettato del libro
The Dangerous Book
for Boys, di Conn e Hal
Iggulden, che celebra le
arti perdute dell’infanzia, con tutte le istruzioni
su come si costruisce una
casa sull’albero, come si
fa un aeroplanino di carta
e come si tira una pietra
nell’acqua facendola rimbalzare.
Intervistato per e-mail,
Conn Iggulden dice di aver
ricevuto lettere da genitori che bramano “un ritorno ai piaceri semplici”, un
sentimento che sembra nascere da “forze potenti, come la comprensione che
tenere i bambini chiusi in casa a giocare
alla Playstation non gli fa bene, o le reazioni irritate di molti genitori di fronte
Shiho Fukada per The New York Times
Sonia Brozak, 11 anni, ha dato consigli alla madre, Betsy Kavaler, sulla
ristrutturazione della casa, le vacanze e la scuola a cui iscriversi.
Nelle ultime settimane i miei
bambini hanno stabilito che hanno
la lebbra, la sindrome dell’intestino
irritabile e la malattia di Lyme. “Sono
contagiosa” ha detto mia figlia di nove
anni, alzando gli occhi
dal laptop sul quale
pochi giorni fa aveva
digitato i sintomi riMICHELLE
scontrati al mattino.
SLATALLA
“Non dovrei andare
a scuola con la strip
throat. “Si dice strep throat (tonsillite)”, le ho detto. “E soprattutto non ce
l’hai. Quindi, vai a prepararti”.
Ai vecchi tempi i bambini temevano
come non mai le visite dal pediatra.
Oggi che invece Dr. Google visita a domicilio, i miei passano delle ore online
a digitare domande nei riquadri
pensati apposta per indagare i vari
sintomi - “Mamma, non ti sembra che
questa immagine della tigna somigli
alla macchia che ho sulla gamba?”
- prima di stampare la prova del fatto
che non si dovrebbe chiedere loro di
uscire fuori col freddo a portare a
spasso il cane. In casa mia nessuno
è malato sul serio. La presunta tigna
si è rivelata essere il segno lasciato
dall’elastico delle calze. Ma una cosa
è certa: i miei figli hanno tutti i sintomi di una nuova sindrome. Inserendo
online i loro sintomi seguono l’esempio di un bel numero di adulti. Come
dimostrano gli autori di studi recenti
un crescente numero di persone – fino
al 40 per cento dei 39.000 adulti intervistati da un sondaggio del 2006 di
Consumer Reports – indaga sulle proprie condizioni di salute su internet.
Queste indagini online, però, portano spesso a risultati contradditori:
secondo lo stesso sondaggio, il 41 per
cento dei medici di base ha riferito che
i pazienti arrivano negli studi con pessime informazioni trovate su internet.
L’Associazione americana dei medici
che mette in guardia dal reperire on
line informazioni poco accurate che
potrebbero confondere le persone o
metterne a repentaglio la salute, avvisa i pazienti di non consultare dottor
Google ma di andare a farsi visitare
da un medico in carne e ossa.
Ammetto di aver anch’io digitato
qualcosa su internet per poi dedurre
dopo pochi secondi che dovevo assolutamente prendere degli antibiotici. I
miei figli sono destinati a questa stessa
sorte? Per scoprirlo ho telefonato al
dottor J. James Rohack, membro dell’Ama che lavora a Temple in Texas.
“Una cosa è certa: oggi i bambini
sanno usare bene internet e non dovremmo aspettarci che per scoprire
una cosa consultino l’Enciclopedia britannica” mi ha detto. “Insegnerei però
ai bambini che pur essendo possibile
accedere a ogni tipo di informazione
online, non è opportuno accettarla come un dato di fatto. È necessario fargli
capire che bisogna fare ricerche dove
OPINIONE
Michael Temchine per The New York Times
Oliver Meade, 10 anni, è incoraggiato dalla madre a giocare all’aperto.
‘‘The Dangerous Book for Boys” insegna a costruire una casa sull’albero.
a questa cultura igienista e
salutista che vieta metà delle
attività che da bambini loro
davano per scontate, e che
sanno quanto sono state importanti per la loro crescita
e la loro maturazione”.
Birgit Meade, economista che vive a College Park,
nel Maryland, ha vietato il
computer ai suoi due figli
(Oliver, 10 anni, e Anna,
7) e gli fa vedere pochi
dvd, incoraggiandoli invece ad andare a cercare
bruchi o a giocare a saltare
con la corda insieme agli amici.
La Meade ammette che suo figlio corre il rischio di passare per “uno un po’
strano” con i suoi amici che giocano ai
videogame mentre lui si diverte con il
trampolo a molla, ma è lo stesso Oliver a
sottolineare di essere felice per aver fatto
2.000 rimbalzi di fila.
Kathy Spangler, responsabile delle
collaborazioni nazionali per la National
Recreation and Park Association (un’organizzazione con sede in Virginia che
rappresenta circa 6.000 parchi giochi),
dice che sono sempre di più i bambini che
si divertono con giochi tradizionali come
i “quattro cantoni” (quattro giocatori ai
quattro angoli che si passano la palla cercando di eliminarsi a vicenda), la caccia
al tesoro e la campana. C’è chi sostiene,
però, che il modo migliore per sviluppare
l’immaginazione e affinare la capacità di
relazione dei bambini è lasciarli liberi di
inventare da soli i giochi. Geoffrey Godbey, professore di Scienze ricreative alla
Penn State University, dice che l’idea che
i genitori riportino in auge i giochi di un
tempo è contraria allo spirito del gioco.
Per lui la colpa è dei genitori di una certa
generazione “che voglio rifare quei giochi perché non sono mai cresciuti”. Il suo
consiglio? “Lasciate liberi i bambini di
giocare come vogliono”.
le informazioni che si ricevono si basano su dati scientifici”.
Rohack mi ha pertanto suggerito di
dirottare le indagini dei miei figli dai
motori di ricerca generali a fonti più
attendibili, come Medem.com, il sito
al quale ha contribuito anche l’Ama.
Atri siti che è possibile consultare
gratuitamente online sono Mayoclinic.
com, CDC.gov (i Centri per il controllo
e la prevenzione delle malattie), NIH.
gov (l’Istituto nazionale della sanità),
e Bestbuydrugs.org (il sindacato dei
consumatori), che offrono esaurienti
informazioni sanitarie e sui farmaci.
Il sindacato dei consumatori, che pubblica Consumer Reports, permette di
iscriversi al sito Medicalguide.org che
classifica i trattamenti in base ai risultati ottenuti dai test clinici.
Tuttavia i pazienti non dovrebbero
esimersi dall’andare dal medico privilegiando queste consultazioni online. A
differenza dei sessantacinquenni e più,
i bambini di oggi sono del tutto a loro
agio con il mondo digitale nel quale sono per così dire nati e sanno effettuare
Una generazione che sa
usare Internet analizza
i suoi sintomi online.
ricerche online senza problemi: lo afferma Marc Prensky, consulente educativo e autore di Don’t Bother Me Mom
— I’m Learning! (Non mi disturbare,
mamma, sto imparando!). “I bambini
sanno trovare informazioni più rapidamente di noi e sanno come metterle
insieme” dice Prensky. “Un signore che
lavora alla Microsoft mi ha raccontato
che quando sua madre ha scoperto di
avere un tumore e di doversi operare,
suo figlio le ha detto: ‘Nonna, ho fatto
alcune ricerche e spero che ti operi il
dottor X, perché su Internet ho scoperto
che ha le migliori percentuali di successo per questo tipo di intervento’”.
Prensky prevede che a mano a mano che i bambini di oggi cresceranno,
faranno sempre più affidamento sulla
collaborazione online con i loro coetanei e sapranno stare alla larga dalle
informazioni sbagliate. “La nostra
generazione si tiene ben stretta le informazioni che un giorno potrebbero
tornarle utili, mentre i bambini le
mettono in comune” dice, aggiungendo poi che in futuro “i bambini davanti
a un certo problema diranno: ‘Per
risolvere questo problema occorrono
venti persone’, oppure ‘Per risolvere
quest’altro problema ne occorrono
dieci’, e a quel punto lo suddivideranno e metteranno in comune con gli
altri l’esito delle loro ricerche’’.
Repubblica NewYork
VIII
LUNEDÌ 4 GIUGNO 2007
ARTI E TENDENZE
Il maestro dell’imprevisto
che gioca con le allegorie
di CAROL VOGEL
COLONIA, Germania — Di tutti i
materiali, l’arsenico è particolarmente
caro a Sigmar Polke. Così come l’olio di
lavanda, la polvere di meteorite e le scaglie d’oro e vermiglione, tutti elementi
che Polke, in un’occasione o in un’altra, ha
usato per fare i suoi dipinti. In un pomeriggio piovoso di qualche giorno fa, però, ad
assorbire ogni pensiero dell’artista era un
pigmento violetto puro, cristallizzato.
Entrando in quello che definisce il suo
atelier estivo — una tenda di tela cerata
dietro la casa, simile a un magazzino,
in un quartiere industriale della città —
Polke si è diretto verso tre giganteschi dipinti. I quadri sono stati realizzati in vista
della Biennale di Venezia che il prossimo
10 giugno aprirà le porte ai visitatori di
tutto il mondo.
Polke, 65 anni, ha applicato alle tele numerosi strati di stoffa imbevuta di lacca,
poi altra lacca, e ancora pezzi di stoffa nera trasparente. Nella fioca luce che riesce
a penetrare all’interno della tenda, i quadrisembranoriflettereunaluminescenza
eterea.
“Una volta applicati con un pennello i
pigmenti violetti, la superficie diventerà
dorata”, dice osservando con attenzione
le tele, che misurano tre metri per cinque.
“Con il riflesso della luce, il colore cambierà”.
Gordon VeneKlase, il mercante d’arte che lo rappresenta insieme a Michael
Werner, osserva: “Il violetto ha avuto proprietà allegoriche sin dal Rinascimento,
cosa che ha sempre affascinato Sigmar”.
Stregone, giullare, saggio, visionario:
per molti artisti contemporanei Polke è
un eroe, oltre che una calamita per curatori e collezionisti. Parte del suo fascino
risiede nell’incessante ricerca di ottenere
qualcosa di più dalle tele convenzionali,
applicando gocce di antiche sostanze o
pezzi di tessuto da poco prezzo in un insolito accostamento con figure appena
abbozzate.
Michael Werner Gallery; a sinistra, Albrect Fuchs per The New York Times
Uno dei sette dipinti astratti, riuniti sotto il titolo “The Axis of Time”, creati da Sigmar Polke per la Biennale di Venezia che aprirà il 10 giugno.
In un’epoca in cui non emerge un movimento artistico in grado di dominare i
gusti del pubblico, Polke è famoso per essere un maestro dell’imprevisto. E, dicono artisti e curatori, anche se le sue opere
affondano le radici nell’antica mitologia,
nella filosofia e nella chimica, sembrano
sempre nuove. Il pittore John Baldessari,
75 anni, descrive Polke come l’artista degli artisti.
Collezionisti e direttori di museo fanno la fila per acquistare qualunque cosa
venga prodotta da lui. Quando, durante un
cocktail party organizzato lo scorso febbraio a Manhattan all’Art Show annuale,
sono stati esposti dei disegni in bianco e
nero, dopo 10 minuti erano tutti venduti.
Il fascino di questo artista risiede anche
nella sua inaccessibilità. Polke sfugge la
celebrità e difende la sua vita privata.
E’ famoso perché passa mesi senza
rispondere al telefono e perché non per-
mette ad alcun visitatore di entrare nel
suo studio. Su consiglio di VeneKlasen, ha
concesso che, in vista della Biennale, un
giornalista visitasse il suo atelier. “Sentivo che queste opere sono una pietra miliare e dovevano essere spiegate”, dice il
mercante d’arte.
Polke spiega che i dipinti realizzati per
la Biennale nascono da idee precise che si
sono trasformate mentre le realizzava.
“Rappresenta il punto d’incontro di idee
e materiali”, osserva nel suo inglese dall’accento tedesco. “Si vede quello che si
vuole, ma bisogna lavorare con il dipinto,
e il risultato è sempre differente”.
Complessivamente, gli ci sono voluti
due anni per applicare e far asciugare i
vari strati di lacca usati sui sette dipinti
astratti realizzati per la Biennale. Riuniti
sotto il titolo The Axis of Time, costituiranno il centro della mostra che si svolgerà nel Padiglione italiano e che si inti-
tolerà Think With the Senses – Feel With
the Mind. Art in Present Tense (“Pensare
con i sensi, sentire con la mente. L’arte nel
tempo presente”).
Come i dipinti, le spiegazioni offerte da
Polke non sono sempre facili da analizzare. Indica un quadro dove, attraverso un
velo di polvere volutamente applicata, è
visibile un’impronta digitale dell’artista.
“Questo genere di dipinti raccontano molte cose”, dice. “Le impronte digitali, come
quelle dei criminali, sono qualcosa della
quale si ha paura ma che, allo stesso tempo, si desidera toccare. Per me l’immagine non è importante: lo è il comportamento umano di volerla toccare”, aggiunge.
In questi mesi, l’artista ha trascorso
gran parte del suo tempo nell’atelier estivo, occupato a terminare i quadri realizzati per Venezia.
Di recente la sua attenzione si è concentrata su come la luce modifica la trama e
i colori delle tele. “La luce è un elemento
metaforico”, che assume significati emotivi diversi, spiega sorseggiando una tazza di tè in soggiorno. “C’è la luce verde e
c’è quella rossa. Poi c’è quella nera, che è
la più pericolosa”, dice. “Io sto cercando
di creare un’altra luce, una luce che viene
dalla meditazione”.
In un solo dipinto sono presenti figure
umane: una fila di bambini che scruta
un’immagine confusa.
Quell’immagine è l’ingrandimento
di una diapositiva rovinata, trovata da
Polke in un cimitero, proiettata su una tela e quindi dipinta.
Come sempre, Polke dà per scontato
che il pubblico di Venezia si sforzerà di interpretare le sue opere.
Ma aggiunge che nemmeno lui riesce
a ricavare dai suoi quadri un significato
univoco. “Un dipinto finito è l’impressione
di milioni di impressioni”, dice.
Gioielli sovietici
di un’era
dimenticata
Fotografie di Harry N. Abrams
A sinistra,
un’edizione di otto
centimetri della
“Proclamazione di
emancipazione” di
Lincoln del 1863;
minialmanacchi
francesi del XVIII
e XIX secolo, sopra.
Grandi libri
formato mignon
di WILLIAM GRIMES
Negli anni ’30 del Novecento apparvero i libri in brossura. In Germania, Gran
Bretagna e Stati Uniti i lettori accolsero
con entusiasmo l’idea di un libro di dimensioni ridotte da portare in tasca per
leggerlo in autobus o in treno. Sembrava
una grande novità, un moderno prodotto
per il tempo libero adatto a un’epoca di
sviluppo scientifico.
In realtà il minilibro esisteva già da
quasi cinquecento anni. I primi libri in
miniatura, manoscritti che si potevano
portare alla vita legati a una catenella,
precedono l’invenzione della stampa a
caratteri mobili. Al confronto, i classici
paperback sembrano colossali. L’esemplare più grande misura un po’ meno di
otto centimetri per lato. Con l’evolversi
della tecnologia editoriale le dimensioni
si sono ulteriormente ridotte. In Russia e
in Giappone i rilegatori hanno pubblicato
libri, con tanto di bordure, più o meno delle dimensioni della lettera “a” stampata
su questa pagina.
Alla storia dell’incredibile rimpicciolimento della carta stampata è dedicata
la mostra Miniature Books: 4,000 Years
of Tiny Treasures, al Grolier Club di New
York fino al 28 luglio, e un catalogo dallo
stesso titolo opera di Anne C. Bromer e
Julian I. Edison, pubblicato da Harry N.
Abrams in collaborazione con il Grolier
Club.
I libri sono piccoli ma la materiali trattata è sorprendentemente ampia, dalle
tavolette cuneiformi mesopotamiche
grandi quanto un’unghia, alla “mini-
Bibbia” dedicata inizialmente ai bambini nel XVII secolo, alla prima edizione
in forma di libro della Proclamazione
d’EmancipazionediAbramoLincoln,un
volume di otto centimetri distribuito ai
soldati dell’Unione e agli schiavi durante
la Guerra di secessione americana. Tra i
mini-libri si annoverano anche breviari
miniati e adorni di pietre preziose, pratiche collezioni di classici pensate per i
viaggiatori e una sinistra serie tedesca
degli anni ’30 intitolata Il Führer fa la
storia.
In origine i mini-libri avevano come
scopo principale l’utilità. I libri di preghiere di dimensioni ridotte consentivano di praticare la devozione in viaggio.
Ma il fascino per la miniaturizzazione in
sé prese presto piede. Nel 1480 Salvadore
Gagliardelli, scrivano fiorentino, creò un
libro di preghiere miniato che conteneva
17 dipinti delle dimensioni di circa due
centimetri quadrati.
Negli anni ’60 dell’Ottocento Frances
Elizabeth Barrow sorprese il mercato
dei libri per l’infanzia con una serie di
racconti con i bambini e i loro animali.
Ben presto l’aspetto pratico dei minilibri cedette il passo all’irrefrenabile
impulso a ridurre sempre più le dimensioni, nel contemporaneo rispetto dei
più elevati standard dell’arte editoriale:
eleganti rilegature, calligrafia o caratteri di stampa raffinati e illustrazioni a
colori su carta costosa. In ordine decre-
scente di importanza, i collezionisti classificano i mini-libri in macrominiature
(dai sette ai dieci centimetri di lato), miniature (dai tre ai sette centimetri), microminiature (da 0,6 a tre centrimetri) e
infine ultramicrominiature (meno di 0,6
centimetri).
Esther Inglis, ugonotta francese che
lavorava a Edimburgo alla fine del XVI
secolo,produssenotevolimini-libriusando una grafia semplice ed elegante che,
alla lente di ingrandimento, si rivelava
composta da minuti scarabocchi.
Successivamente arrivarono i creatori di caratteri di stampa. Henri Didot,
ingegnere e incisore francese, creò nel
1819 un carattere di due punti e mezzo
(un punto tipografico nel sistema Didot
corrisponde a 0,376 mm), il più piccolo
mai usato, superato mezzo secolo dopo
da uncarattere italiano di due punti chiamato “occhio di mosca”, usato la prima
volta nel 1878 per la Divina Commedia.
Le dimensioni hanno continuato a ridursi. Grazie a un processo di fotoriduzione
in sette anni un editore di Worcester,
Massachusetts, compresse i versi del
Rubaiyat di Omar Khayyam in un libro
pubblicato nel 1932 di 4 millimetri per 6.
Nel 1978 la Gleniffer Press di Paisley, in
Scozia, diede alle stampe I tre topolini
ciechi, di Agata Christie, in un volume di
2,1 millimetri quadrati. Sette anni dopo
pubblicò un’edizione della filastrocca
Old King Cole grande la metà.
NEW YORK — CCCP: Cosmic Communist Constructions Photographed,
una mostra sull’architettura sovietica
tra gli anni Settanta e Ottanta allestita
allo Storefront for Art and Architecture di Manhattan,
potrebbe essere
un’esperienza illuminante per quelli
che ritenevano che
RECENSIONE DI
ARCHITETTURA l’architettura sovietica fosse morta con
l’ascesa di Stalin.
La mostra, che copre un periodo di
tempo in gran parte ignorato da studiosi e architetti tradizionali, è ricca di
gioielli architettonici poco noti. Il tema
della mostra sembra particolarmente
felice considerato che oggi i giovani
architetti stanno riesaminando le opere
realizzate durante la Guerra Fredda
dagli omologhi dei sovietici in città occidentali come Rotterdam e San Paolo.
Organizzata dal nuovo direttore dello
Storefront, Joseph Grima, la mostra si
affida quasi esclusivamente alle fotografie di Frédéric Chaubin, direttore di
una rivista parigina che ha trascorso
cinque anni viaggiando attraverso l’ex
Unione Sovietica, scoprendo opere architettoniche dimenticate. Il risultato è
una rivelazione.
Tra le opere più preziose c’è il ministero delle Strade realizzato da Georgy
Chakhava nel 1975, un reticolo monumentale di elementi in cemento collegati tra loro realizzato su un ripido terreno
boscoso a Tiblisi, in Georgia. Il progetto
dell’edificio che ospita il ministero
sfata molti luoghi comuni sulla tarda
architettura sovietica. Erette su una
pendenza situata tra due autostrade, le
pesanti forme a sbalzo che compongono
l’edificio riflettono la predilezione dell’epoca per le dimensioni monumentali.
Tuttavia, queste si accordano in modo
intelligente al contesto e rendono omaggio al paesaggio naturale che si estende
direttamente al di sotto dell’edificio.
La composizione dei moduli collegati
tra loro, che sono ideati come una serie
di ponti, riporta alla mente l’opera dei
metabolisti giapponesi della fine degli
anni Sessanta e dei primi anni Settanta,
NICOLAI
OUROUSSOFF
Frédéric Chaubin
Il ministero delle Strade di Georgy
Chakhava, a Tiblisi, rappresenta la
passione per le opere monumentali.
come prova del fatto che gli architetti
sovietici non lavoravano in una sorta di
vuoto intellettuale.
Allo stesso modo, la clinica Druzhba
(che significa “Amicizia”) di Yalta, in
Ucraina, progettata da Igor Vasilevsky
e ultimata nel 1986, offre una dimostrazione pratica di audaci soluzioni architettoniche. L’edificio a forma cilindrica
si erge su una collina che guarda una
spiaggia. Per entrare, i visitatori devono attraversare un ponte racchiuso in
un tubo di vetro per poi scendere all’interno del complesso, che si appoggia su
solide gambe in cui sono stati collocati
ascensori e scale.
L’aspetto piacevole di questa mostra
è l’assenza di un programma ideologico: è aperta a qualunque possibilità.
Il romanticismo in stile Gaudi di una
clinica a Druskininkai, in Lituania, ad
esempio, sposta l’estetica in una nuova
direzione.
Costruita come una serie di cilindri
collegati, le sue forme sono leggermente sollevate dal terreno e creano un’illusione di leggerezza. L’edificio sembra
quasi aprirsi ed è un misto di creatività
e follia sotto gli occhi di tutti.
In un altro progetto, un complesso
sportivo e un teatro dell’opera realizzati a Yerevan, capitale armena, una
gradinata all’aperto scende fin dentro il
terreno, fiancheggiata da due immense
pareti di cemento e da strette scale che
evocano lo scavo di una qualche dimenticata città futurista: una metafora che
si adatta bene all’intera mostra.
La mostra apre ai nostri occhi un territorio sconosciuto.
Avvincente e facile da assimilare, stimola il nostro interesse come istituzioni
più grandi spesso non riescono a fare. E
questo è abbastanza.
Repubblica NewYork
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Se tutti viaggiano, chi sono oggi i turisti pi temuti?