Supplemento al numero odierno de la Repubblica Sped. abb. postale art. 1 legge 46/04 del 27/02/2004 — Roma LUNEDÌ 4 GIUGNO 2007 Copyright © 2007 The New York Times Nemici invisibili in una guerra senza fine Caos previsto dopo il ritiro delle truppe Usa Gli alleati di ieri sono una minaccia e i dubbi crescono di MICHAEL R. GORDON e ALISSA J. RUBIN di MICHAEL KAMBER WASHINGTON — Su un punto si trovano d’accordo i vertici militari americani , molti iracheni e alcuni dei più convinti critici dell’amministrazione Bush al Congresso: se quest’autunno gli Stati Uniti ritireranno i loro soldati dalle strade di Bagdad la violenza omicida e il caos aumenteranno. Ma l’accordo finisce qui. Il dibattito sul finanziamento della guerra che ancora infuria a Washigton nonostante la decisione dei democratici di rinunciare a imporre una data per il ritiro ha fatto passare in secondo piano il tema più importante del possibile futuro dell’Iraq in assenza delle truppe americane. Il ritiro del contingente Usa scatenerebbe una fase ancora più sanguinosa della guerra civile che spingerebbe all’implosione il governo iracheno? Oppure costringerebbe i politici iracheni a comporre finalmente le divergenze esistenti tra loro? Senza mezzi termini: come andrebbe a finire? Sono questi gli interrogativi che pesano sul dibattito nel momento in cui l’amministrazione è impegnata a definire i tempi e i modi di una graduale riduzione del contingente militare americano in Iraq, gli iracheni valutano i pro e i contro dell’autonomia in termini di sicurezza, e i parlamentari democratici, frustrati dal compromesso con la Casa Bianca del mese scorso, giurano di adottare una linea più dura nelle prossime occasioni di voto sul finanziamento alla guerra. Il New York Times ha intervistato più di 40 politici e cittadini iracheni e ha consultato gli esiti di recenti sondaggi condotti in Iraq. Abbiamo anche chiesto il parere di un ampio ventaglio di alti ufficiali delle forze armate, esperti di intelligence americani, politici e analisti indipendenti rientrati dall’Iraq. Il giudizio in certa misura sorprendente della maggior parte degli iracheni è chiaro. Nonostante l’avversione per l’occupazione americana molti temono che un ritiro in tempi brevi porterebbe a una violenta reazione a catena che rischierebbe di far cadere il governo. “Molti miliziani e gruppi terroristici non aspettano altro che gli americani se ne vadano”, dice Salim Abdullah, portavoce del Fronte della Concordia irachena (il maggior gruppo arabo sunnita presente in parlamento) che ha perso due fratelli quest’anno a seguito di attacchi da parte dei ribelli. “Questo non significa che la presenza delle truppe americane a Bagdad sia la soluzione ottimale”, aggiunge. “La gente in strada dice che gli Usa hanno un ruolo in questo marasma e che avrebbero potuto fare di più e migliorare la sicurezza. Tuttavia abbiamo bisogno dell’America per Michael Kamber per The New York Times Alcuni soldati della Compagnia Delta, a Khadamiya, dicono che in Iraq è in corso una guerra civile. segue a pagina IV BAGDAD — Il sergente capo David Safstrom non rimpiange i periodi passati al fronte in Iraq, neanche la seconda volta, quandoduedeisuoicommilitonisonorimasti uccisi in un’operazione per catturare alcuni membri della guerriglia. “A Mosul, nel 2003, sentivamo che stavamo rendendo la città un posto migliore”, dice. “Non c’erano violenze settarie, Saddam non era più al potere e noi davamo la caccia ai cattivi. Era una sensazione bellissima”. Ora, però, alla sua terza spedizione in Iraq, Safstrom non crede più in questa missione. La svolta, dice, è arrivata a febbraio, quando i soldati hanno un ucciso un uomo che stava collocando un ordigno sul ciglio della strada: quando hanno perquisito il cadavere dell’attentatore, hanno scoperto dai documenti che era un sergente dell’esercito iracheno. “Ho pensato: ‘Che stiamo facendo qui? Perché siamo ancora qui?’”, dice Safstrom, che fa parte della Compagnia Delta del 1mo battaglione, 325ma fanteria aviotrasportata, 82ma divisione aviotrasportata. “Stiamo aiutando gente che cerca di ammazzarci. Di giorno li aiutiamo e di notte ci voltano le spalle e cercano di ucciderci”. La pensano allo stesso modo molti dei suoi commilitoni della Compagnia Delta, rinomata per la sua aggressività. Solo una piccola minoranza di soldati della compagnia è ancora convinta delle ragioni di questa guerra: gli altri hanno sentimenti ambivalenti, divisi tra la paura di perdere altri amici in battaglia, la nostalgia della loro famiglia e il desiderio di portare a termine la missione. Dal momento che mancano inchieste attendibili sullo stato d’animo dei soldati, è impossibile estrapolare delle conclusioni basandosi su un piccolo numero di soldati di questa compagnia, ma dalle interviste fatte a maggio, nell’arco di una settimana, con oltre una dozzina di soldati (sugli 83 dell’unità) è emerso che quasi tutti provano delusione, per i continui richiami al fronte, per quella che considerano la totale incapacità delle forze di sicurezza irachene e per un conflitto che vedono come una guerra civile, che non possono fare nulla per arrestare. Hanno visto comandanti delle milizie infiltrarsi nelle file dell’esercito iracheno, dicono, hanno visto moltiplicarsi gli attentati dinamitardi, con bombe collocate ai posti di blocco dell’esercito iracheno, e hanno combattuto contro soldati che pensavano essere dalla loro parte. “Nel 2003 e nel 2004, il 100 per cento dei soldati era felice di essere qui, di combattere questa guerra”, dice il primo caporal mag- segue a pagina IV P U B B L I C I TÀ Se tutti viaggiano, chi sono oggi i turisti più temuti? di PAUL VITELLO lia, Spagna, Scandinavia e Germania. Diciamo che nessun gruppo di turisti detiene il monopolio del titolo di “terribile”. Expedia, il servizio di viaggi online, ha condotto un sondaggio tra gli enti del turismo di tutto il mondo da cui è risultato che i turisti più sgradevoli sono i britannici. Ma nel mondo del turismo c’è chi sostiene che i cinesi – l’ultima ondata di viaggiatori - lo siano addirittura di più. E’ dunque giunto finalmente il momento di cancellare dal dizionario il termine “terribile americano”? La risposta, stando agli esperti di turismo e di antropologia, potrebbe essere affermativa. Essere un “turista terribile” significa “dimostrare una generale mancanza di comJorge Colombo prensione verso le diffe- Ogni estate le persone di tutto il mondo riscoprono una profonda verità enunciata dall’attore e comico Steve Martin, che riferendosi ai turisti di ogni paese - non solo francesi - disse: “Accidenti, questi francesi hanno una parola per ogni cosa!”. Che la gente di diversi paesi abbia tradizioni diverse – e non solo nel linguaggio, ma anche quando si tratta di mangiare, di mantenere una certa distanza dagli altri, di dare la mancia ai tassisti e di fare la fila – è una cosa ovvia che tuttavia ciascuno non smette di ripetersi abbastanza. In particolare quest’anno, secondo i dati compilati dalla città di New York. Il dollaro è basso, lo shopping infinito, e la città prevede l’arrivo di circa sette milioni di visitatori stranieri, provenienti soprattutto da Gran Bretagna, Irlanda, Francia, Ita- renze culturali”, ha scritto in una e-mail la professoressa Inga Treitler, segretaria dell’Associazione nazionale dell’esercizio dell’antropologia. Valene Smith, professoressa di antropologia presso la California State University di Chico, che negli anni 70 fu tra i pionieri dello studio del turismo e dei viaggi a livello accademico, dice che oggi i turisti che hanno maggiori probabilità di sollevare le proteste dei padroni di casa sono i cinesi. “Si comportano come farebbero a casa loro”, dice. “Tra tanti spintoni e gomitate”. La scorsa estate – continua - è accaduto un episodio di cui si è discusso a lungo tra gli esperti di viaggi: 40.000 turisti cinesi approdarono nella cittadina tedesca di Trier per visitare il luogo natale di Karl Marx. “Fu una grande confusione”, dice la professoressa Smith. “Nessuno si era preparato in anticipo, e i tedeschi erano fuori di sè”. Una rivoluzione silenziosa in Algeria I giochi semplici di una volta Le donne diventano una risorsa nell’economia e nella politica. I bambini scoprono come era il mondo prima dei videogiochi. TENDENZE III VITA QUOTIDIANA VII Repubblica NewYork II LUNEDÌ 4 GIUGNO 2007 MONDO La Cina manda in orbita i suoi nuovi alleati di JIM YARDLEY PECHINO — Sono anni che laCinamasticaamaro di fronte ai tentativi americani di escluderla dal ristretto club dei paesi che hanno accesso all’esplorazione dello spazio e ultimamente sembra aver trovato una soluzione: fondare un altro club. Pechino sta cercando di crearsi un’immagine di benefattore spaziale per i paesi del Terzo Mondo (che in alcuni casi sono anche paesi che hanno quelle risorse naturali di cui la Cina ha bisogno). Il caso più recente e clamoroso è quello del mese scorso, quando Pechino ha lanciato un satellite per le telecomunicazioni per conto della Nigeria, uno dei maggiori produttori di petrolio, nell’ambito di un progetto che mostra come la Cina stia cercando di esercitare il suo potere anche nel campo dell’esplorazione spaziale. Oltre a progettare, costruire e lanciare il satellite, Pechino ha provveduto anche a erogare al paese africano un prestito colossale per permettergli di pagare il conto. Oltre alla Nigeria ha firmato un contratto per il lancio di un satellite con un altro grande fornitore di petrolio, il Venezuela, e sta sviluppando un sistema di osservazione satellitare insieme a Bangladesh, Indonesia, Iran, Mongolia, Pakistan, Perù e Thailandia, e, per finire, ha organizzato un’associazione per lo sviluppo del settore satellitare in Asia. “La Cina sta iniziando a proporre e vendere questa tecnologia ai paesi in via di sviluppo che ne hanno bisogno”, dice Shen Dingli, professore di Relazioni internazionali all’Università Fudan, di Shanghai. In Giappone manca il lavoro, e gli ingegneri vanno all’estero Ci sono ragioni di interesse e ragioni diplomatiche dietro questa strategia che per il governo di Pechino rappresenta da un punto di vista commerciale anche un modo per entrare nel mercato dell’industria satellitare. I satelliti, dicono gli analisti, sono diventati uno status symbol e una necessità tecnologica per molti paesi che non vogliono restare tagliati fuori dal mondo digitale dominato dall’Occidente. Gli obiettivi della Cina nel campo dell’esplorazione spaziale sono più ambiziosi e comprendono la costruzione di una son- Un programma spaziale che sfida la pressione degli americani. da da spedire su Marte e, in prospettiva, lo sbarco di un astronauta sulla luna. Ma Pechino punta anche a diventare competitiva nel settore satellitare, un’industria da 100 miliardi di dollari. Negli ultimi anni, il Celeste Impero è riuscito a guadagnarsi clienti offrendo servizi di messa in orbita a prezzi competitivi ma non ha ancora dimostrato di possedere la competenza tecnica per poter competere nel campo della fabbricazione dei satelliti. L’accordo raggiunto con la Nigeria ha modificato questo scenario: gli ingegne- Taiwan è stato uno dei primi paesi a corteggiare i professionisti giapponesi, ma altri paesi asiatici come Singapore e Cina hanno iniziato ad assumerli in massa. Pasona Global è specializzata in lavori all’estero per giapponesi. Numero di annunci di lavoro che cercano candidati giapponesi di Pasona Global Sede delle società da cui provengono le richieste: Singapore HSINCHU, Taiwan — Uno dei beni giapponesi d’esportazione che va per la maggiore non sono i videogiochi né le auto ecologiche ma gli ingegneri. Per sopravvivere alla concorrenza globale, l’industria elettronica giapponese, un tempo celebrata, ha dovuto ridurre le proprie dimensioni innescando senza volerlo una fuga di cervelli. In cerca di lavoro, migliaia di ingegneri e altri professionisti si sono trasferiti a Taiwan, in Corea del Sud e Cina, dove hanno trovato imprese dinamiche, in rapida crescita e desiderose di avvalersi delle conoscenze tecnologiche dei giapponesi. Heiji Kobayashi, 41 anni, un ingegnere di semiconduttori, è uno di loro. La sua carriera si era arenata qualche anno fa, quando la Mitsubishi Electric ha smesso di produrre schede di memoria. Le prospettive di lavoro in Giappone erano sconfortanti, e quindi Kobayashi si è rivolto alla fiorente industria taiwanese dei microconduttori. Da aprile lavora in questa città a sud di Taipei come responsabile del design delle linee di produzione della Powerchip Semiconductor, che fabbrica schede di memoria. Come vicedirettore, ha delle stock options (cosa rara in Giappone), ha una segretaria e sta scalando i vertici della società, che conta 6.500 dipendenti. “Qui le mie capacità sono molto Direttore responsabile: Ezio Mauro Vicedirettori: Mauro Bene, Gregorio Botta, Dario Cresto-Dina Massimo Giannini, Angelo Rinaldi Caporedattore centrale: Angelo Aquaro Caporedattore vicario: Fabio Bogo Gruppo Editoriale l’Espresso S.p.A. • Presidente onorario: Carlo Caracciolo Presidente: Carlo De Benedetti Consigliere delegato: Marco Benedetto Divisione la Repubblica via Cristoforo Colombo 90 - 00147 Roma Direttore generale: Carlo Ottino Responsabile trattamento dati (d. lgs. 30/6/2003 n. 196): Ezio Mauro Reg. Trib. di Roma n. 16064 del 13/10/1975 Tipografia: Rotocolor, v. C. Colombo 90 RM Stampa: Rotocolor, v. C. Cavallari 186/192 Roma; Sage, v. N. Sauro 15 - Paderno Dugnano MI ; Finegil Editoriale c/o Citem Soc. Coop. arl, v. G.F. Lucchini - Mantova Pubblicità: A. Manzoni & C., via Nervesa 21 - Milano - 02.57494801 • Supplemento a cura di:Paola Coppola, Francesco Malgaroli, Raffaella Menichini • Traduzioni: Emilia Benghi, Anna Bissanti, Antonella Cesarini, Fabio Galimberti, Guiomar Parada, Marzia Porta 67 ’02 355 68 ’06 54 ’02 ’06 Cina 842 Giapponesi che si sono registrati con Pasona Global per cercare lavoro in altri paesi asiatici. 4.930 157 ’02 ’06 Gli anni sono calcolati da settembre ad agosto 2.637 Fonte: Pasona Global #*'/"&'.) #*'. 0(1 %*( $(3 &/1, %+-(2 '*=;41:9; (*2*4;8*" %$ *551" * ,-9:8*" 0* .*::6 +*881-8* .;681 ,*3 &1*7765- +64- 15/-/5-8- * )*1<*5# più richieste”, dice Kobayashi, che prima lavorava a Taiwan per la Mitsubishi Electric. Un tempo, una mobilità simile sarebbe stata impensabile in Giappone, un paese dove abbondano i pregiudizi e fino a poco tempo fa i lavoratori praticamente sposavano la ditta dove lavoravano e mantenevano il loro impiego a vita — e la cui industria elettronica era motivo di orgoglio nazionale. La recente migrazione di persone in cerca di lavoro dà la misura di quanto il Giappone si sia trasformato in un decennio di concorrenza sempre più agguerrita, tagli aziendali e tramonto del lavoro garantito a vita. Il nuovo modo di pensare mostra come l’economia giapponese, a lungo chiusa, si stia finalmente adeguando a quella dei vicini. La Cina ha preso il posto degli Stati Uniti come partner commerciale del Giappone, e ormai molti giapponesi vedono il loro futuro e quello del Paese strettamente legato alle incandescenti economie asiatiche. “I dipendenti sono quelli che rischiano di più”, dice Mitsuhide Shiraki, professore di Economia alla Waseda University di Tokyo. “Logicamente scelgono di lavorare in Asia, dove ottengono benefici maggiori rispetto al Giappone”. Questa tendenza ha scatenato qualche preoccupazione e il governo giapponese teme di perdere colpi rispetto ai suoi rivali asiatici nel settore tecnologico. Alcune società si lamentano di non riuscire a trovare sufficienti ingegneri locali di talento, mentre il numero di giovani giapponesi che scelgono questo settore Li Gang/Xinhua, via Associated Press La Cina ha costruito un satellite per la Nigeria lanciato il 14 maggio. americana sui satelliti lanciati dalla Cina. Ha anche impedito alla Cina di partecipare alla Stazione spaziale internazionale, e in alcuni casi ha proibito agli scienziati cinesi di partecipare a conferenze sullo spazio negli Stati Uniti. Rufai però dice che sicuramente altri paesi del Terzo Mondo si sono accorti di quello che ha fatto la Cina con la Nigeria, progettando, costruendo, lanciando e finanziando il satellite. “È un modello che altri cercheranno di replicare”, dice. DIARIO DA SAMBOR $'-0' %(/.+" )+*.%*+ &%) #(%,,+*' Taiwan di MARTIN FACKLER ri cinesi hanno progettato e costruito per conto del paese africano, un satellite geostazionario per le telecomunicazioni, chiamato Nigcomsat-1. Una società aerospaziale di proprietà pubblica, la Great Wall Industry Corporation, monitorerà il satellite da una base di controllo nella Cina Nord-occidentale, e addestrerà gli ingegneri nigeriani che avranno il compito di gestire una stazione di tracciamento ad Abuja, la capitale. Il giorno dopo il lancio, il 14 maggio, Ahmed Rufai, il responsabile nigeriano per il progetto, era euforico durante una pausa tra un appuntamento e un altro, nel suo albergo di Pechino. La Nigeria è ricca di petrolio, dice, ma le mancano molti dei tasselli fondamentali di una moderna economia dell’informazione. “Vogliamo essere parte dell’economia digitale”, dice Rufai. “Stiamo cercando di diversificare l’economia del nostro paese”. L’interesse della Cina per i satelliti sollevaperòanchedeisospetti,inparticolare negli Stati Uniti, perché la maggior parte dei satelliti sono tecnologie a “doppio uso”, suscettibili di applicazioni in campo civile e militare. La notizia più allarmante per i paesi occidentali è stata il test antimissilistico condotto dalla Cina a gennaio, con il lancio di un missile contro uno dei suoi satelliti in orbita. Da quasi un decennio Washington cerca di isolare il programma spaziale cinese con restrizioni alle esportazioni, che impediscono l’uso di tecnologia spaziale ’02 fine marzo ’07 %*( $(3 &/1, %+-(2 Portano le loro competenze tecniche a Taiwan, in Cina e a Singapore. è in calo. Il ministero del Commercio sta cercando di mettere fine alla fuga degli ingegneri convincendo le società a offrire loro una paga migliore e promozioni più frequenti. Sta anche aumentando il numero di ingegneri in pensione che si trasferiscono nei Paesi dove l’economia è meno sviluppata, le loro capacità sono molto apprezzate e riescono a fare una “seconda” carriera in età avanzata. “In Asia è possibile continuare a dare un contributo alla società”, dice Kazumitsu Nakamura, 64 anni, ex ingegnere dell’Hitachi, che ha lasciato per andare a Taiwan, dove è stato assunto da una consociata dell’Hitachi per addestrare i dipendenti. “In Giappone potremmo solo aspettare la pensione”. Taiwan è stata tra le prime a corteggiare i professionisti giapponesi e, negli ultimi anni, secondo il governo taiwanese, almeno 2.500 professionisti si sono trasferiti qui. Più recentemente però la Cina e altri paesi del Sudest asiatico, come Singapore, hanno iniziato ad assumere in massa i giapponesi. “E’ una nuova era”, dice Tomolo Hata, amministratore delegato di Pavona Global, un’agenzia di Tokyo specializzata nel trovare lavoro all’estero. “Il numero di giapponesi che lavorano all’estero è destinato a crescere ancora”. Tartarughe rare salvate dalla guerra, e minacciate dalla pace in Cambogia di SETH MYDANS Con grande sorpresa di tutti, un SAMBOR, Cambogia — Dodici gruppo di giovani ricercatori, il Campiccole tartarughe corrono giù per la bodian Turtle Conservation Team ha riva fangosa del fiume Mekong, si tufsegnalato la presenza nella zona di fano nell’acqua e, contorcendosi, spatartarughe Cantor e, a marzo, ha catriscono sotto la sabbia: è un momento turato e poi liberato un esemplare che di grande sollievo per l’uomo che le ha pesava 11 chilogrammi. liberate, David Emmett, dell’organizPoco dopo, era stata catturata anzazione Conservation International, che una femmina giovane di tre chili, che da quando sono nate, due settimache Emmett ha studiato per un mese ne fa, le ha tenute in casa in piccole a casa sua, a Phnom Penh, prima di vaschette di plastica. rilasciarla insieme alle dodici tarta“Sarebbe stato terribile ritrovarsi rughine appena nate. con tante tartarughe in via di estinzioIl ricercatore aveva trovato anche ne che ti muoiono in bagno”, dice. un nido di uova, alcune delle quali si Le tartarughine appartengono sono schiuse proprio nel suo bagno. a una specie in via di estinzione - le Senza un guscio che la protegga, tartarughe giganti a guscio molle di spiega Emmett, questa tartaruga Cantor - scoperta recentemente nel passa più del novantacinque per cento nordest della Cambogia. della sua vita quasi immobile sotto la “La zona nella quale stiamo lavosabbia, emergendo soltanto due volte rando è la parte migliore del Mekong”, dice J. F. Maxwell, che ha esplorato il fiume in tutta la sua lunghezza. “La parte cinese è un disastro”. Questo tratto del fiume, lungo 48 chilometri, è stato per decenni un rifugio dei Khmer Rossi, le milizie armate del regime che è costato la vita a 1,7 milioni di persone dal 1975 al 1979. La zona è diventata accessibile, quando i guerriglieri, verso la fine degli anni ’90, si sono dispersi. Ora è diventata un rifugio per piante e animali, vittime dello sviluppo in zone che sarebbero state più sicure. “Garantire la conservazione di questo posto è una questione di assoluta emergenza, perché se scompare, non c’è niente che lo possa sostituire”, dice Maxwell, curatore dell’erbario Chiang Mai Herbarium Conservation International, via Associated Press in Thailandia. Normalmente Le tartarughe giganti di Cantor sono sopravvivono solo due o tre di sopravvissute perché il loro habitat queste tartarughe appena nate. Crescendo, diventano tartaruera una zona pericolosa. ghe giganti, con dimensioni che possono raggiungere quelle di al giorno per prendere aria in un solo un sofà, e possono vivere fino a un grande respiro. Una volta all’anno secolo, sotterrate quasi sempre sotto esce dall’acqua per deporre le piccole la sabbia, dice Emmett. Ora però, pouova tonde sulla riva del fiume. trebbero scomparire del tutto, vittiLa sua stessa longevità dimostra il me della pesca eccessiva, dell’inquisuccesso dell’adattamento di questa namento e del degrado ambientale. specie, dice Emmett. Ma la storia “Queste bestie sono sopravvissute moderna del Mekong, con i pescatori, agli eventi che hanno determinato le fabbriche, le industrie inquinanti l’estinzione dei dinosauri e ora sae le dighe che vi sono state costruite, remmo noi a farle sparire...”, dice non lascia molte speranze ai conserEmmett, un biologo che vive in Camvazionisti. bogia. “È ovvio che non possiamo “Quando ci riuniamo, raccontiamo lasciare che si estinguano”. tutti la stessa storia”, dice Maxwell, Questa enorme e poco studiata riferendosi agli esperti di ecologia. “Io tartaruga Cantor (Pelochelys cantoparlo di piante, altri parlano di pesci, rii) era stata vista per l’ultima volta altri parlano di uccelli o di anfibi. Ma è in Cambogia nel 2003 e, fino a poco sempre la stessa storia. Le cose vanno tempo fa, nessuno sapeva se fosse somale. Sta scomparendo tutto”. pravvissuta. Repubblica NewYork LUNEDÌ 4 GIUGNO 2007 III MONDO Le donne algerine guidano una rivoluzione silenziosa di MICHAEL SLACKMAN ALGERI — In questo paese legato alla tradizione e profondamente segnato dalla feroce guerra civile fomentata dagli islamisti che ha fatto oltre centomila vittime, è in corso una rivoluzione silenziosa: le donne si stanno affermando come una forza politica ed economica che non ha eguali nel resto del mondo arabo. Sono donne il 70 per cento degli avvocati algerini e il 60 per cento dei giudici. Le donne dominano in campo medico e sempre di più contribuiscono al reddito famigliare in misura più consistente degli uomini. Il 60 percento degli studenti universitari sono di sesso femminile, dicono i ricercatori universitari. In una regione dove le donne hanno innegabilmente un basso profilo pubblico, Molte decidono di portare il velo per trovare lavoro e superare i tabù. le donne algerine sono sempre più visibili ovunque. Iniziano a guidare autobus e taxi, lavorano alle stazioni di benzina e servono ai tavoli nei ristoranti. Sebbene gli uomini detengano ancora le leve formali del potere, e le donne rappresentino solo il 20 per cento della forza lavoro, si tratta pur sempre di una percentuale doppia rispetto a una generazione fa, e pare che si stiano anche inserendo negli apparati statali. “Se questo trend continuerà”, dice Daho Djerbal, direttore ed editore di Naqd, una rivista di critica e analisi sociale, “assisteremo a un nuovo fenomeno: la nostra amministrazione pubblica sarà controllata dalle donne”. Sembra che il cambiamento sia avvenuto senza che gli algerini se ne accorgessero, visto che da anni sono attenti allo scontro in corso tra un partito di governo che cerca di restare al potere e gli islamici che ambiscono a impossessarsene. Quelli che conoscono la regione dicono di essere rimasti sorpresi dai dati ma suggeriscono che il sistema educativo e il mercato del lavoro possano spiegare questa trasformazione. Gli studi universitari non sono più considerati una strada credibile per fare carriera o raggiungere il benessere economico e, di conseguenza, gli uomini decidono di abbandonarli e provare a cercarsi un lavoro oppure lasciano il paese, suggerisce Hugh Roberts, storico e direttore del progetto per l’Africa Settentrionale dell’International crisis group. Aggiunge anche che per le donne gli studi universitari rappresentano un mezzo per uscire da casa e collocarsi meglio in società. Questa generazione di donne algerine si è destreggiata tra uno stato secolare e la spinta dell’Islam estremista, i due poli della crisi degli ultimi anni di questo paese. In Le donne sono più religiose rispetto alle generazioni precedenti e, secondo i sociologi, sono più moderne. Si coprono la testa con il velo e nascondono il corpo con gli abiti tradizionali islamici. Pregano, vanno in moschea e lavorano, spesso affiancando gli uomini, cosa che un tempo era ritenuta un tabù. I sociologi e molte donne che lavorano sostengono che, adottando i precetti religiosi e indossando il velo islamico che copre il capo, detto hijab, di fatto le donne si sono affrancate dai giudizi morali e dalle restrizioni imposte loro dagli uomini. Alla sera tardi si vedono di rado donne senza velo, mentre dopo la preghiera serale in moschea si vedono a passeggio per la città donne a capo coperto. “Non mi criticano mai, specialmente perché vedono che indosso l’hijab”, dice Denni Fatiha, 44 anni, la prima a guidare un autobus per le tortuose stradine di Algeri. L’impatto del cambiamento è stato radicale. In alcuni quartieri, per esem- Switch on. Shawn Baldwin per The New York Times Algeria il 60 per cento degli studenti universitari sono donne che ritardano le nozze per finire gli studi. pio, il tasso di natalità sembra essere calato e gli alunni delle elementari sono dimezzati di numero. Sembra che le donne ritardino il matrimonio alla fine degli studi. In passato di solito si sposavano a 17 o 18 anni, mentre ora generalmente, secondo quanto riferiscono i sociologi, si sposano in media a 29 anni. Molti analisti politici e sociali dicono che la popolazione locale sempre più spesso sembra aver perso fiducia nel governo, che traeva la propria legittimità da una rivoluzione che risale ormai a cinquant’anni fa. Nel paese dilagano sistematicamente proteste e moti di piazza. In questo contesto le donne forse sono sembrate la più potente forza di cambiamento sociale dell’Algeria e la loro presenza nell’apparato burocratico e per le strade forse ha un’influenza moderatrice e modernizzatrice sulla società. “Le donne e il movimento femminile potrebbero guidarci verso la modernità”, dice Abdel Nasser Djabi, docente di sociologia all’Università di Algeri. Ma non tutti sono felici di queste nuove dinamiche: alcuni analisti politici e sociali sostengono che la recente recrudescenza dell’attività radicale degli islamisti, attentati inclusi, deve essere fatta risalire almeno in parte al desiderio di rallentare quanto più possibile la trasformazione sociale che il paese sta vivendo, specialmente per quello che riguarda il ruolo delle donne nella società. Altri denunciano il fatto che la crescente partecipazione delle donne alla società è di fatto una violazione esplicita dei precetti religiosi. Per adesso, comunque, la maggior parte della popolazione dice che a causa della lunga guerra civile la coscienza collettiva della comunità è semplicemente troppo immatura perché i terroristi isla- mici o le idee dell’Islam radicale possano prendere piede tra la popolazione. Si ha quasi la sensazione che il nuovo spazio concesso alle donne possa essere almeno in parte il riflesso di questa impressione generale. Secondo i sociologi e le autorità religiose, la maggior parte della popolazione ha respinto l’interpretazione più radicale dell’Islam e ha iniziato a far ritorno a un’interpretazione quasi mistica della fede. “Credo che nulla di tutto questo contrasti o contraddica l’Islam”, dice Wahiba Nabti, 36 anni. “Anzi, l’Islam ti dà la libertà di lavorare. E a ogni buon conto tutto si riduce al proprio rapporto con Dio”. Nabti indossa un velo nero che le copre il capo e un lungo abito nero che cela le forme del suo corpo. “Mi auguro un giorno di poter guidare una gru, così da poter essere indipendente dal punto di vista economico. Non sempre si può contare su un uomo’’. Switch off. Energy costs* CO2 Emission* –30% –30% * Detailed calculations on our website AC EC AC conventional technology EC ebm-papst EC technology The calculation is impressive: If, for ventilation, refrigeration and air-conditioning, the European industry were to switch to so-called EC fans, like the latest generation made by ebm-papst, the environment could be saved a lot of trouble. For state-of-the-art EC technology, already surpassing the tough EFF1-directive, makes for a reduction in energy costs by about 30% - thus turning 4 coal-fired power plants redundant! At the same time, CO2 emission could be reduced by about 16 million tons each year. 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A mettere a dura prova il morale delle truppe ci si mettono anche i continui richiami al fronte. Dopo aver passato sei mesi in Iraq, i soldati della Compagnia Delta sono rimasti a casa solo 24 ore, a dicembre scorso, prima che arrivasse la notizia. “Cambiate i vostri piani”, gli hanno detto. “Si torna in Iraq”. Diciannove giorni dopo, subito dopo Natale, il capitano Douglas Rogers e gli uomini della Compagnia Delta erano in marcia verso Kadhimiya, un’enclave sciita di circa 300.000 abitanti: il loro obiettivo, nell’ambito del potenziamento della missione in Iraq voluto da Bush, era mantenere la stabilità nell’area e preparare esercito e polizia iracheni ad assumere il controllo. “Pensavo che nel giro di poco tempo ce ne saremmo potuti rimanere tranquilli nella nostra base, limitandoci ad agire come forza di reazione rapida”, dice il capitano Rogers di San Antonio, nel Texas. “Pensavamo che avremmo lasciato il posto alle forze di sicurezza irachene”. Non è andata così. Nonostante tutto, la missione a Kadhimiya è stata “un grande successo”. “Abbiamo catturato 4 dei 10 guerriglieri più ricercati della zona”, dice, e le strade di Kadhimiya sono affollate di gente, i negozi sono aperti. Il capitano Rogers ammette che tra i suoi soldati circola un forte scetticismo. “La nostra unità ha già avuto due uomini che sono Michael Kamber per The New York Times “La maggior parte di noi non sa più per che cosa sta combattendo”. SERGENTE KEVIN O’FLARITY Dice che metà delle forze di sicurezza è composta da guerriglieri. tornati a casa dentro a un sacco”, dice. “I miei soldati non vedono lo stesso impegno nell’esercito iracheno”. Ma non c’è nessuna crisi nel morale dei soldati, insiste: “Sono tutti dei professionisti. Se gli dico di fare qualcosa, la fanno”. Le sue affermazioni trovano conferma durante il pattugliamento, quando i suoi uomini camminano per ore per la strada con un caldo soffocante, coprendosi le spalle a vicenda. Il 29 aprile, dopo una segnalazione una pattuglia della Compagnia Delta è intervenuta alla moschea al-Sadr, vicina alla base. I soldati hanno visto degli uomini che stavano innalzando delle barricate: le hanno fatte saltare in aria e le strade si sono rapidamente svuotate; poi, hanno cominciato a sparargli dai tetti e dalle finestre. Finita la battaglia, gli uomini della Compagnia Delta hanno scoperto che fra i nemici uccisi ce n’erano almeno due che facevano parte dell’esercito iracheno, che le forze americane avevano contribuito ad addestrare e armare. Il capitano Rogers ammette che “il 29 aprile è stato uno spartiacque in senso negativo, perché l’esercito iracheno non ha combattuto insieme a noi”. E aggiunge: “Anzi, qualcuno ha addirittura preso le armi per usarle contro di noi”. Quella battaglia ha cambiato l’atteggiamento dei soldati. “Prima di quello scontro, c’era ancora qualcuno che ci credeva davvero, ma dopo il 29 aprile credo che non ne sia rimasto neanche uno. Sono dei parà, portano a termine la loro missione, e su questo non c’è da dubitare, ma ormai combattono per spirito di corpo, per professionalità, per lealtà nei confronti dei commilitoni e rispetto delle gerarchie militari”. Per il sergente Kevin O’Flarity, un caposquadra che ha partecipato alla battaglia del 29 aprile, le forze di sicurezza irachene sono milizie che rispondono ai leader locali, non al governo. “La metà è composta da guerriglieri”, dice. Rispetto alla guerra, O’Flarity aggiunge: “Secondo me, non dovremmo stare qui, non dovremmo immischiarci in una guerra civile”. “Qui tutti abbiamo perso degli amici”, dice sempre O’Flarity. “La maggior parte di noi non sa più per cosa sta combattendo. Serviamo il Paese e i nostri amici, ma la ragione per cui usciamo fuori ogni giorno è per i nostri commilitoni”. Continua: “Non voglio vedere nessun altro dei miei ragazzi colpito o ucciso. Se fosse per una giusta causa, allora forse sì, ma per questo Paese e questo conflitto no, non ne vale la pena”. Il caporal maggiore James Griffin è al comando di un reparto della Compagnia Delta. Secondo lui, bisogna concedere più tempo. “Se mettiamo da parte questo problema non possiamo pensare che le cose andranno a posto da sole”, dice. “Abbiamo creato le forze di sicurezza, gli abbiamo dato gli Humvee el’equipaggiamento:dobbiamorestarefinchédiranno che hanno bisogno di noi”. WASHINGTON — Alcuni esponenti dell’esercito americano, di recente, hanno chiesto di vincolare gli aiuti militari al Pakistan ai risultati che ottiene nella caccia ad Al Qaeda e all’impegno a evitare che i Taliban possano trasformare il Paese in un rifugio da dove scagliare attacchi contro il governo afgano. Ma l’amministrazione Bush ha detto che non c’è un piano di questo tipo, malgrado nuove prove mostrino che l’esercito pachistano spesso distoglie gli occhi quando i guerriglieri Taliban si ritirano al di là del confine pachistano, e ignora i richiami fatti dagli osservatori americani per intercettarli. Il generale James L. Jones, ex comandante supremo della Nato, ha riferito che quando i soldati americani o del contingente Nato hanno avvistato gli insorti Taliban che attraversavano il confine, hanno avvisato via radio i pachistani, ma spesso non hanno avuto risposta. “Gli inviti a catturare, incarcerare o ostacolare questi spostamenti spesso non hanno ricevuto risposta”, ha detto il generale. “Di frequente, le radio erano spente”. In un caso almeno le forze di sicurezza pachistane hanno aperto il fuoco per supportare i guerriglieri Taliban che avevano attaccato le postazioni afgane. Gli Stati Uniti continuano a versare circa un miliardo di dollari l’anno al Pakistan per quello che viene definito un risarcimento per l’opera di antiterrorismo condotta dall’esercito pachistano lungo la frontiera con l’Afghanistan, anche se il presidente pachistano otto mesi fa ha deciso di tagliare il numero di uomini in servizio nell’area dove Al Qaeda e Taliban sono più attivi. Gli americani lamentano che i pachistani sono pagati sia che svolgano effettivamente servizio sia che restino in caserma. “Ci mandano il conto e noi ci limitiamo a pagare”, dice un militare americano. “Nessuno sa spiegare che cosa riceDavid E. Sanger ha contribuito all’articolo da Washington e Bruxelles, David Rohde da Washington e New York, Carlotta Gall da Islamabad. Americani e iracheni sono d’accordo: se gli Usa si ritirano ci sarà il caos segue dalla prima pagina dare più stabilità al paese e non lasciarlo alle prese con i problemi che gli stessi americani hanno causato”. I vertici militari americani in Iraq fanno valutazioni simili. Una riduzione del contingente non è opportuna fino a quando non migliorerà la sicurezza, dicono, e anche allora dovrà essere graduale e pianificata con cautela. “Verrà il momento in cui ci staccheremo dalle forze irachene cedendo loro un controllo sempre maggiore”, dice il Luogotenente generale Raymond T. Odierno, comandante delle forze di terra in Iraq, che ha espresso la raccomandazione a titolo personale che fino agli inizi del 2008 si mantengano livelli elevati di truppe. “Ma dovrà essere un ritiro ponderato e ordinato, quando le condizioni lo consentiranno”, aggiunge. Se le forze americane venissero ridotte troppo presto, dicono i militari, l’esercito iracheno e le forze di polizia alle prime armi non sarebbero in grado di arrestare l’ondata crescente di attentati suicidi a opera di gruppi come Al Qaeda in Mesopotamia. Le milizie sciite che avevano optato per la tregua riprenderebbero gli attacchi su larga scala contro i residenti sunniti. I quartieri a popolazione mista sunnita e sciita, già a crescita lenta, sparirebbero e le forze irachene sarebbero spaccate. Un’opinione nettamente contrastante prevale al Congresso dove i parlamentari hanno esercitato pressioni per imporre un calendario di ritiro delle truppe. Alcuni esponenti democratici ammettono il rischio di un aumento delle violenze in Iraq in caso di ritiro americano, ma sostengono che gli iracheni non intraprenderanno il cammino doloroso verso un reale accordo politico finché le forze Michael R. Gordon ha collaborato da Washington, e Alissa J. Rubin da Bagdad. Wissam A. Habeeb ha collaborato da Bagdad, e altri da Tikrit, Mosul, Kirkuk, Bassora e Sadr City. americane non inizieranno a lasciare il paese. “E’ questo il meccanismo di leva”, dice il senatore Carl Levin, democratico del Michigan, presidente della Commissione sui Servizi Armati. “Devono trovarsi di fronte al baratro. E questo è il baratro: vogliono una guerra civile o una nazione?”, continua. Sheik Ajmi al-Mutashar, ingegnere agricolo e imprenditore della provincia di Salahuddin nell’Iraq centrale, di fede sunnita, dice di essere preoccupato che un ritiro americano possa portare al crollo del governo iracheno. “Se il governo cade sarà impossibile formarne un altro”, dice. “Avremo piccoli emirati o cantoni divisi in base a criteri settari e etnici”. Uno studio recente sulla percezione che gli iracheni hanno della guerra, condotto da un esperto americano, Anthony H. Cordesman del Centro studi strategici e internazionali, afferma che gli iracheni non considerano i militari americani come alleati o liberatori ma tuttavia temono le conseguenze di un ritiro improvviso delle truppe Usa. Circa il 64 per cento degli abitanti di Bagdad intervistati tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo scorso hanno detto che le forze americane dovrebbero restare finché non sarà ristabilita la sicurezza, il governo iracheno sarà più forte o finché le forze irachene non saranno in grado di agire autonomamente. Solo il 36 per cento degli intervistati ha affermato che le truppe americane dovrebbero ritirarsi immediatamente. Tra gli iracheni favorevoli a un ritiro rapido degli americani c’è chi pensa che il paese si stabilizzerà dopo un’esplosione viamo in cambio o dove vadano a finire quei soldi”. I militari americani e della Nato dicono che sono frustrati per il comportamento dell’esercito pachistano nelle zone di confine. Secondo loro, i guerriglieri Taliban sono stati visti attraversare sistematicamente il confine sotto gli occhi di pachistani e spesso questi hanno fatto pochissimo per fermarli. Due esperti e un soldato americano dicono che le forze pachistane hanno sparato colpi di mortaio e lanciagranate, con i Taliban, contro postazioni del- Saeed Ali Achakzai/Reuters I pachistani hanno ridotto i raid contro i Taliban al confine con l’Afghanistan, e alle volte danno supporto militare alla guerriglia. l’esercito afgano. Un rapporto dell’esercito americano ha descritto uno di questi attacchi e ha concluso che “l’esercito pachistano aveva supportato attivamente l’assalto del nemico” contro una postazione afgana. James Dobbins, ex inviato americano in Afghanistan, dice che i soldati gli hanno riferito molti altri casi simili. “Mi è stato raccontato che alcune unità dell’esercito pachistano avevano fornito copertura con dei colpi di arma da fuoco dalle loro postazioni in Pakistanalle operazioni dei Taliban contro esercito afgano all’interno dell’Afghanistan”, ha detto. di violenza e la ridefinizione dei confini settari. Alcune fazioni, tra cui numerosi sostenitori del religioso sciita Moqtada al-Sadr, dicono che sarebbero capaci di portare una maggiore stabilità, anche se alle loro condizioni. “Credo che i seguaci di Sadr governeranno il paese”, dice Muhammad Qasim Ali, che vende valigie nel quartiere di Karada, a prevalenza sciita . “Sono la maggioranza, sono preparati e questo dà loro l’opportunità di assumere il controllo. Una volta al potere saremo clementi nei confronti dei sunniti. Di regola uccidiamo qualcuno solo se sospettiamo che abbia legami con i ribelli”. Le reazioni al ritiro americano Kirkuk Ahmed Rahman Menshid al-Asi, sceicco sunnita di Kirkuk “Nei primi sei mesi dopo il ritiro americano dall’Iraq o la riduzione della presenza Usa a Bagdad, il conflitto raggiungerà l’apice. Dopo ci sarà la stabilità, alle personalità irachene sarà riconosciuto un ruolo, e la capitale vedrà la fine della violenza settaria provocata dagli occupanti”. John P. Murtha, deputato democratico della Pennsylvania “Non sono certo che nel breve periodo non si avrà instabilità nel paese. I britannici restarono in India 75 anni e l’instabilità arrivò alla fine del loro dominio... Sono convinto che la situazione non sarà peggiore di come è adesso e se sarà peggiore sistemeranno le cose da soli. Non si tratta di cosa succederà. Succederà. E’ meglio che ci si preparino... Il ritiro per noi è inevitabile”. Bagdad Hassan al-Sineid, collaboratore del premier Nuri Kamal al-Maliki e membro del partito sciita Dawa “Un ritiro americano prima che si realizzino tutte le condizioni porterà alla guerra civile perché non possiamo sostituire la presenza di 130.000 soldati americani in Iraq. Tutti i gruppi saranno coinvolti in una guerra - sunniti, curdi e sciiti. Gli stati vicini interferiranno. Nella regione ci sarà il caos”. National Intelligence Estimate sulle “Prospettive di stabilità in Iraq”, gennaio 2007 Se ci sarà un ritiro rapido, “crediamo che le forze di sicurezza irachene difficilmente sopravviverebbero come istituzione nazionale non settaria. I paesi confinanti – su invito delle fazioni irachene o unilateralmente – potrebbero intervenire apertamente nel conflitto, allora sarebbe probabile un alto numero di vittime civili e un trasferimento forzato della popolazione”. SALAHUDDIN Haidar Sami, 30 anni, disoccupato sunnita che vive nella provincia di Salahuddin “L’Iraq somiglia a una nave che affonda e, visto che so nuotare, perché devo restare a bordo? Devo trovare un rifugio sicuro. Ci sarà un’emigrazione di massa provocata dalla paura, soprattutto tra i giovani che vogliono salvarsi la vita e garantirsi il futuro”. Generale Anthony Zinni, ex capo del United States Central Command “Restando in Iraq sotto molti aspetti conteniamo la violenza. Ritirandoci le lasciamo più spazio, e questa potrebbe in qualche modo diffondersi e diventare un problema regionale. Non dobbiamo mantenere lo stesso livello di presenza ma servono cinque-sette anni per arrivare ad una stabilità ragionevole in Iraq”. Repubblica NewYork LUNEDÌ 4 GIUGNO 2007 V EC O N O M I A E S O C I E TÀ Fuori moda i megaparty a Hollywood );;<CC7B: 7:B:< A:B <= >@?9@ La International Lease Finance Corporation ha come clienti diverse compagnie aeree di tutto il mondo, ma soprattutto in Europa. */.,05. +.6.4. 2,3 3,-.10, $"8 In corsivo sono indicati i principali clienti di LAURA M. HOLSON HOLLYWOOD — La prima a marzo della commedia con Will Ferrell, Blades of Glory, grande successo al botteghino, non potrebbe essere stata più favolosa. I fotografi hanno affollato il tappeto rosso davanti al Grauman’s Chinese Theater di Hollywood per uno scatto a celebrità come Ben Stiller e Brooke Shields. Poi è venuta la grande festa dopo la prima. Un momento: non c’è stata una grande festa. La Paramount Pictures, che distribuisce il film, ha scelto la formula di una festa privata offerta dai produttori e dal regista agli attori, alla troupe del film e ad alcuni amici. Il costo: 50.000 dollari, vale a dire, un decimo del costo di una prima tradizionale. Di fronte a una estate di megaproduzioni difficili da promuovere, gli studios hanno cominciato a tagliare il budget per le feste delle prime degli altri film, finanziando qualche volta delle cene private o saltando addirittura del tutto il party. “Si assiste a un cambiamento culturale a Hollywood, le dimensioni della festa non riflettono quello che il produttore si aspetta dal film”, spiega Rob Moore, responsabile del marketing, della distribuzione e delle operazioni internazionali della Paramount. “La festa non vende biglietti”. Gli spettatori fuori dagli Stati Uniti sono ormai parte integrante del successo di una megaproduzione, quindi gli studios stanno spendendo di più per loro. Se una prima modesta negli Stati Uniti può costare tra i 300.000 e i 500.000 dollari, gli studios sono pronti a spendere anche Europa Air France Iberia KLM Group Virgin Atlantic %(8 CLIENTI TOTALI NEL 2006 157 '8 Axel Koeser per The New York Times Steven Udvar-Hazy ha come clienti 157 compagnie ed esercita un’enorme influenza sulla progettazione degli aerei. Fonte: ILFC Asia e Pacifico Air New Zealand Cathay Pacific China Southern Dragonair #&8 ##8 America Latina Aeroméxico Stati Uniti e Canada Africa e Medio Oriente Emirates #&% "%- $*+( #')%, Le compagnie li fanno volare, ma un miliardario li possiede tutti di LESLIE WAYNE LOS ANGELES — Quando Steven Udvar-Hazy era adolescente, a New York,dopolascuolaandavaspessoall’aeroporto Idlewild, come allora si chiamava l’aeroporto internazionale Kennedy, per guardare gli aerei che decollavano e atterravano. Per il giovane Hazy, emigrato con la sua famiglia dall’Ungheria quando aveva 12 anni, gli aerei erano il simbolo della libertà. Passava ore a individuare i diversi jet studiando gli orari per capire da dove venissero o dove fossero diretti. Chi osserva oggi gli aerei dall’aeroporto Kennedy — o nella maggior parte del mondo — probabilmente vedrebbe jet di proprietà di Hazy, che nel frattempo è diventato un miliardario ed è uno dei più influenti operatori economici dell’aviazione commerciale. Come fondatore e amministratore delegato della International Lease Finance Corporation di Los Angeles possiede 824 tra Boeing e Airbus mentre altri 254 o più sono già stati ordinati. Questa flotta fa sembrare piccola qualunque compagnia aerea del mondo. Hazy possiede più aerei della principale linea aerea americana, la American Airlines, che ne ha 679 e più di Air France (265), Lufthansa (245) e British Airways (239) messe insieme. Ma Hazy preferisce mantenere un profilo basso, che è raro in un mondo che ha sempre attratto troppi egocentrici. Concede raramente interviste e non ha problemi a permettere che i suoi clienti — come la Cathay Pacific, l’Air France e l’American — dipingano il loro nome e il logo sugli aerei. “Si può dire che, nel nostro settore, Steven Hazy è Dio”, dice Edmund S. Greenslet, direttore di AirlineMonitor. com. “Nessuno è più autorevole di lui. Esercita un’influenza enorme sul modo in cui le industrie progettano i jet. Hazy è il motore finanziario delle linee aeree di tutto il mondo”. Quasi metà degli aerei che oggi volano sono stati noleggiati in leasing dalle compagnie aeree e Hazy, con il suo portafoglio di 45 miliardi di dollari, è il principale operatore economico, in termini di volume di denaro, seguito dalla General Electric. In 35 anni di attività ha ordinato 706 aerei alla Boeing e circa 600 alla Airbus, cosa che fa di lui il principale cliente di entrambe. Il suo patrimonio personale è valutato in 3,1 miliardi di dollari, una cifra che lo colloca all’83mo posto tra gli uomini più ricchi d’America, secondo Forbes. Hazy è diventato il pioniere del noleggio di jet in leasing quando non era ancora trentenne ed è considerato il creatore di un’industria che fattura intorno ai 129 miliardi di dollari. Ha iniziato procurandosi dei finanziamenti da un piccolo gruppo di emigrati ungheresi e ha avviato la sua attività quandoeraancoraunostudentedieconomia all’Università della California, a Los Angeles. Nel 1966 suggerì all’Air Lingus il modo di risparmiare denaro riducendo i modelli degli aerei della flotta. Una volta raggiunta una posizione più ‘Ho sempre associato gli aerei all’idea di fuga e di libertà, e lo faccio ancora’. avanzata fece da intermediario nella vendita di un aereo a turboelica dall’Air New Zealand alla Reeve Aleutian Airlines. Nel 1973 fondò con due soci la sua società di leasing, investendo 150.000 dollari per l’acquisto di un DC-8 usato da noleggiare all’Aeroméxico. In poco tempo il gruppo passò ai modelli più recenti. I soci di Hazy, due ungheresi padre e figlio, secondo Forbes, possiedono ciascuno un patrimonio di circa 1,6 miliardi. Per Hazy l’aviazione ha a che vedere più con i suoi sentimenti che con gli affari. “Per molte persone è difficile immaginare cosa significava essere un ragazzino che viveva dietro la Cortina di ferro negli anni Cinquanta, in piena Guerra Fredda”, ha detto in un’intervista concessa nel suo sontuoso ufficio di Century City, in California. “Da bambino venivo indottrinato. Mi sentivo intrappolato, prigioniero. Perciò ho sempre associato gli aerei all’idea della fuga e della libertà, e lo faccio ancora”. Oggi ha uno staff di 170 dipendenti. Nel suo ufficio ci sono quasi 2.000 modellini di aerei. “Vive e respira quest’aria”, dice John Leahy, responsabile delle vendite per la Airbus. “Quando era ancora fidanzato con Christine, oggi sua moglie, la sua idea di divertimento era andare alla fine della pista e parlarle dei DC-8”. Non c’è da sorprendersi che nel mondo dell’industria aeronautica, le sue opinioni siano tenute in grande considerazione e i produttori di Boeing, Airbus e motori a reazione richiedano i suoi consigli. “Lui guida e il mercato segue”, dice John Kutler, presidente della Admiralty Partners di Los Angeles, società di investimenti specializzata in questo settore. “Hazy è il responsabile delle tendenze dell’aviazionecivile e di ciò che esce dalla catena di montaggio”. Perché il lavoro somiglia a un videogioco Kevork Djansezian/Associated Press Kate Beckinsale e Ben Affleck alla festa da 5 milioni di dollari per la prima di “Pearl Harbor”, nel 2001. 10 milioni di dollari se il marketing di un film prevede un lancio in contemporanea in molte città. Non è passato molto tempo da quando ogni film era celebrato con un’occasione fastosa. Il culmine è stato raggiunto probabilmente nel 2001 con la festa da 5 milioni di dollari della Walt Disney Company per Pearl Harbor, nella quale i 2.000 ospiti furono intrattenuti alle Hawaii sulla piattaforma della portaerei U.S.S. John C. Stennis. Ora che i soci esigenti, i partner a Wall Street e gli azionisti delle case cinematografiche stanno tentando di tagliare sulle spese, per i dirigenti degli studios sta diventando sempre più difficile gestire gli affari come prima. “I vassoi traboccanti di caviale appartengono al passato”, dice Terry Press, responsabile del marketing dei film per la DreamWorks (la casa cinematografica che ha prodotto Blades of Glory) e per la DreamWorks Animation. La DreamWorks Animation non ha mai organizzato prime multimilionarie per i film della serie di Shrek, privilegiando invece le proiezioni nel fine settimana per alcuni ospiti e le loro famiglie. Nonsitagliasututteleprime.Ifilmconcepiti per una distribuzione mondiale vengono venduti anche così. Le grandi case di Hollywood hanno bisogno del numero di spettatori più alto possibile per pareggiare i conti. Il seguito di film di grande successo come Pirati dei Caraibi: ai confini del mondo o Spiderman 3 costano tre volte una produzione media. Moore, della Paramount, dice che si sta facendo uno sforzo per distinguere le dimensioni del party della prima dal valore del film. “Due anni fa, la gente diceva: ‘Guarda quella festa. E la nostra?’. Questo non succede più. E non vuol dire che non crediamo nel grande successo di un film”. Lavorare non è un gioco — ma forse dovrebbe esserlo. E’ per questo che Paul Johnston ha reimpostato la sua azienda basandosi sul concetto che il software destinato alle aziende funzionerebbe meglio se somigliasse a un gioco. Johnston non è un adolescente impacciato, ma il distinto presidente e direttore generale di Entellium, che produce software per la “Customer relationship management” cioè la gestione delle relazioMICHAEL ni con i clienti. FITZGERALD Le imprese spendono miliardi di dollari per programmi che cercano di seguire i risultati del personale addetto alle vendite, al marketing e al servizio clienti — chiunque rappresenti un collegamento con la propria clientela. Purtroppo la maggior parte dei programmi non sono molto apprezzati. Quello che è peggio suscitano il sospetto che i capi vogliano spiare i propri dipendenti. “I programmi di CRM sono pensati per permettere ai superiori di controllarti”, dice Johnston. E fa notare che nella stessa Entellium, a Seattle, ha avuto difficoltà a far sì che il personale addetto alle vendite aggiornasse costantemente i dati. Riflettendo sul fatto che sono ferocemente competitivi, Johnston ha pensato che un programma che mostrasse loro il proprio posizionamento rispetto agli obiettivi o ai colleghi, forse avrebbe potuto sensibilizzarli. Così è nato Rave, il programma lanciato ad aprile dalla Entellium che si basa su una varietà di tecniche già impiegate nei videogiochi. Rave permette di realizzare un fascicolo sui clienti reali e potenziali, con tanto di foto e di lista dei gusti, dei loro interessi e di quello che non gli piace in un modo che somiglia molto a un videogioco. Ai potenziali clienti vengono assegnate delle valutazioni, basate non su criteri cronologici, come accade nei programmi di CRM, ma sulle probabilità che comprino qualcosa. I potenziali clienti sono anche catalogati in base a una “timeline” — o sequenza cronologica — un’altra caratteristica dei giochi. Capita che i dirigenti sviluppino delle nuove capacità attraverso i giochi di ruolo e di strategia, dice Ben Sawyer, codirettore di Serious Games Initiative e a capo della Digitamill Incorporated, gruppo di consulenti di Portland, nel Maine, che collabora con alcune imprese per mettere in atto strategie di gioco. Sawyer sostiene che le aziende stanno iniziando a capire che è possibile sviluppare alcune capacità e diffondere una cultura aziendale, basandosi sui videogiochi. Le società hanno difficoltà a gestire decine di migliaia di persone, mentre i creatori di giochi come World of Warcraft hanno creato un ambiente di questo tipo. Nessuno sa in che misura il mondo dei videogiochi influenzerà le aziende. Ma le regole del gioco stanno cambiando. OPINIONE Repubblica NewYork VI LUNEDÌ 4 GIUGNO 2007 SCIENZA E TECNOLOGIA: GADGETS IN N OV A ZI O NI Quando la batteria muove i pedali In passato aveva un normale Suv a benzina, ma da settembre ha iniziato a lasciare l’auto a casa e a preferire un mezzo di trasporto più economico, silenzioso e pulito: una bicicletta elettrica. Per arrivare al lavoro gli occorre un po’ più di tempo ma pensa che la bicicletta sia più affidabile, agile, fortificante e divertente del Suv. Le biciclette elettriche hanno alcune caratteristiche in comune con le bici tradizionali: hanno pedali che funzionano e nella maggior parte dei casi hanno anche il cambio marce. La differenza comincia con l’avvio della batteria elettrica, spesso con una chiave. In alcuni modelli non resta che girare, o anche premere, l’acceleratore che è collocato sul manubrio e andare avanti senza pedalare. In altri modelli potete pedalare lentamente per poi accelerare. Le biciclette elettriche sono usate di solito a una velocità che non supera i 32 chilometri all’ora senza pedalare e in genere con una carica di batteria possono coprire dai 30 agli 80 chilometri. Se paragonate alle automobili, non possono andare molto lontano né molto veloce, ma a causa dei prezzi sempre più alti dei carburanti e all’ambiente, si stanno affermando come possibili alternative per i pendolari, per chi va a fare acquisti e commissioni. Una bici elettrica può costare da qualche centinaio di dollari per i modelli più economici fino a 2000 dollari o più. Con i conti della benzina che per ogni nucleo famigliare arrivano in media a superare i 2000 dollari l’anno, gli acquirenti di veicoli elettrici riescono a recuperare buona parte della cifra spesa, se non tutta, in qualche mese o in un anno al massimo. Ma le bici elettriche, popolari in Asia e in Europa, devono ancora diffondersi negli Stati Uniti. BARRY REHFELD Salvare dai furti le opere d’arte Secondo l’artista Scott Richter rubare un quadro è molto più facile di quanto si possa immaginare. Forse non proprio da uno dei grandi musei, che dispongono di allarmi raffinati e di vigilanza in ogni sala. Ma dopo aver lavorato per 30 anni come pittore, scultore e insegnante, ha capito che sempre meno istituzioni possono permettersi di dotarsi di simili sistemi di sicurezza. “Molte gallerie d’arte ricorrono ancora alle biglie nascoste dietro i quadri”, dice Richter che vive a Weston nel Connecticut e insegna disegno alla Cooper Union di New York. “Quando si solleva una tela le biglie cadono sul pavimento”. In teoria questo dovrebbe provocare un rumore sufficiente a richiamare l’attenzione di un impiegato, ma si tratta di un metodo che è difficile considerare infallibile. Richter spera che le gallerie e i piccoli musei prima o poi metteranno nel dimenticatoio le biglie a favore di Art Guard, il suo allarme, grande quanto il palmo di una mano e con un costo accessibile. Art Guard è avvitato al muro e intorno è arrotolato il cavo di supporto del dipinto. Se l’opera d’arte viene spostata di traverso, il dispositivo emette un segnale intollerabile. La sirena può essere disattivata solo con una chiave simile a un auricolare. Richter ha costruito il primo prototipo di Art Guard nel 2005. Man mano che è andato evolvendosi, Art Guard ha Art Guard emette un suono iniziato a somigliare sempre più a un gadget di uso comuse un quadro viene spostato. ne. “Essendo un grande ammiratore degli oggetti di design, ero rimasto molto colpito dall’iPod, dalla sua semplicità”, dice Richter che era stato industrial designer per Ibm. L’influenza dell’iPod è evidente. Art Guard ha una protuberanza che da lontano può essere scambiata per il tasto selezionatore dell’iPod. E’ stato messo in vendita circa tre mesi fa sul sito Web ArtGuard.net. Una confezione da dieci allarmi costa 399 dollari, o 375 l’una se se ne acquistano dieci. Per promuovere il suo prodotto, Richter fa pubblicità su alcune riviste come Art in America e ArtForum. Finora, ha detto, uno dei suoi clienti più importanti è stato il nuovo Hyatt Regency Hotel di Kiev, in Ucraina. BRENDAN I. KOERNER Proiettori pret-a-porter Le sale congressi, di solito, sono dotate di proiettori digitali che i relatori possono utilizzare per mostrare diapositive predisposte con PowerPoint e altri documenti grafici archiviati nei loro laptop. Ma gli uomini d’affari che vendono prodotti in giro o fanno discorsi a braccio non possono contare su questa utile apparecchiatura e sono costretti a portarsi sempre dietro i loro proiettori, nel caso in cui possano servire. Di questi tempi, tuttavia, è sempre meno faticoso farlo, perché le dimensioni dei proiettori negli ultimi quattro anni si sono notevolmente ridotte e la qualità delle immagini è aumentata. Adesso si possono scegliere proiettori compatti e portatili, che pesano meno di due chili. Hanno un’ottica studiata per esaltare la luminosità più che il colore così da poter proiettare immagini con una buona definizione di fogli elettronici anche quando sono accese le luci al neon. Nec Corporation offre un buon esempio di questo tipo di proiettori che pesano poco: NP60, disponibile pressoché ovunque da gennaio (1.299 dollari su ProjectorCentral.com). Il proiettore pesa solo un chilo e mezzo e il suo ampio display consente di vedere molto bene in sale che ospitano una quarantina o più di persone. Per le presentazioni in luoghi più piccoli — quando il pubblico è formato per esempio da due o tre persone all’interno di un cubicolo — può essere utile un altro tipo di proiettori. Si tratta di apparecchi tascabili, che usano led o diodi a luce intermittente invece che le lampadine in uso nei proiettori portatili di più ampie dimensioni. Samsung offre uno di questi modelli, il Pocket Imager SP-P310MEMX (da 749 dollari), che pesa meno di un chilo. I proiettori portatili come quello di Samsung e i modelli Nec hanno anche altre applicazioni: quando la settimana lavorativa giunge al termine, li si può tenere in casa, collegarli alla console dei videogiochi o a un dvd per vedere un film. ANNE EISENBERG Un mondo di video catturati dal computer di PETER WAYNER Robert Sorel, trombonista di Woonsocket, Rhode Island, tiene il suo pc in uno studio nel seminterrato, collegato ad altri strumenti e lo usa come jukebox per la sua collezione di musica e video. A Woodbury, New Jersey, Dave Wasman, consulente informatico, ha un Mac Mini connesso a un televisore ad alta definizione e naviga così in rete per cercare notiziari e cortometraggi. Chris Lanier, studente dell’Università di Houston, usa la sua Xbox per collegare il televisore del salotto al computer dell’ufficio da cui attinge offerte commerciali e video archiviati. Tutti usano un pc per portare sullo schermo tv la ricchezza di informazioni di Internet. Lottano con formattazioni arcane, rumorose ventole e pagine web ideate per gli schermi del computer per sfuggire alle antiquate reti televisive e alla loro lista di canali limitata a qualche centinaia. La convergenza tra Internet e le emittenti tradizionali, da tempo annunciata, si sta avvicinando. A differenza della normale tv, che scodella programmi ogni mezz’ora, i siti offrono programmi in video-sharing, attraverso la rete. Ma trovare l’hardware giusto per questa convergenza richiede un certo impegno. C’è chi collega un computer a un grande schermo, una procedura semplice per la maggior parte degli schermi e dei computer moderni ma spesso complicata da piccole idiosincrasie, conseguenza di quella apertura che attrae gli utenti. Sia Apple che Microsoft stanno dotando i computer di pacchetti software, come Front Row o Media Center, che riproducono video e musica con un’interfaccia semplificata. Un’altra alternativa è costituita da un prodotto ideato per il salotto spesso dalle stesse case produttrici di computer. La nuova Apple TV o la Xbox riescono a trasferire video, foto o musica dal computer alla tv ma non consentono una navigazione completa della rete e di accedere a tutto il materiale disponibile online. Steve Perlman ha fondato nel 1996 WebTV, una società che costruisce un decoder per navigare il web che oggi viene venduto dalla Microsoft come MSN TV. Perlman osserva che i computer non sono adatti come strumenti da salotto perché possono impiegare molto tempo ad avviarsi, sono rumorosi e possono essere attaccati dai virus. L’interfaccia grafica classica del computer è difficile da usare dal divano per via dei caratteri piccoli e dei pulsanti minuscoli. I telespettatori stanno semisdraiati, non seduti diritti, e “avranno un bicchiere in una mano e magari nell’altra la fidanzata o il fidanzato”, dice Perlman. “In realtà si ha una sola mano a disposizione”. Una soluzione comune è la tastiera senza fili come la Adesso SlimTouch (circa 85 dollari su adesso.com) o la Logitech diNovo Edge (circa 165 dollari da logitech.com). Entrambe sono dotate di trackpad per muovere il cursore. Un’alternativa più sofisticata è un teleco- Alle fotografie digitali sfugge l’attimo di DAMON DARLIN Le macchine fotografiche digitali sono straordinarie: perfino quelle piccole e compatte, che costano meno di 100 dollari, sono in grado di scattare foto con una risoluzione eccellente. A patto, però, che il soggetto non si muova troppo velocemente: se l’obiettivo di chi fotografa è cercare di cogliere il piccolo calciatore che spedisce la palla in rete per il suo primo gol, rischia di ritrovarsi con la foto di un campo vuoto o di un cielo blu. Il tempo che la macchinetta digitale impiega a reagire dal momento dello scatto al momento dell’acquisizione dell’immagine è talmente lungo che l’attimo giusto è passato. Questo problema ha un nome: tempo di otturazione. “È la principale ragione di insoddisfazione dei nostri clienti”, dice Bob Gann, architetto di sistemi di digital imaging per la Hewlett-Packard. Ma evitarlo, o almeno cercare di ridurlo al minimo, non è semplice. Il problema è che i produttori di macchine fotografiche cercano di parlarne il meno possibile: non che abbiano qualcosa da nascondere, è semplicemente che il tempo di otturazione è un concetto troppo difficile per comunicarlo nelle pubblicità e nei materiali di marketing disponibili in negozio. Il primo problema è che più che di velocità di otturazione si dovrebbe parlare di velocità del processore. Quando il fotografo comincia a premere il Chris Reed mando programmabile come lo SnapStream Firefly (circa 50 dollari su snapstream. com). Premendo un tasto si accede a una lista di comandi che possono essere impartiti al computer. Se il computer è dotato di un telecomando, come l’iMac, prodotti come Remote Buddy (che si può comprare su spirit.com a circa 13, 50 dollari) o Mira (su twistedmelon.com a circa 16 dollari) permettono all’utente di attivare i programmi premendo un bottone. Molti utenti sfruttano le funzioni previste per le persone deboli di vista. Il browser Firefox, ad esempio, può aumentare le dimensioni dei caratteri nella maggior parte delle pagine web e un certo numero di programmi ingrandiscono sezioni dello schermo agevolando la visione di video sul grande schermo. Gran parte degli utenti cercano costante- mente di rendere leggibili i caratteri sfruttando le risorse del computer. Rendere più agevole la connessione è un obiettivo importante per le società produttrici nel tentativo di trovare il modo migliore di soddisfare sia i creatori dei contenuti che la coppia sul divano. “Come si possono vedere siti web su dispositivi mobili, mi aspetto siti web adatti a essere visti su uno schermo televisivo”, dice Perlman, che promuove e finanzia le nuove imprese che producono tecnologie e contenuti mediatici attraverso la Rearden Companies. “Quando accadrà, avremo una totale trasformazione del settore. Credo che in futuro le emittenti tradizionali chiuderanno perché hanno una disponibilità molto limitata di contenuti”. www.shooting-digital. com/columns/schwartz/shutter_release_test/ default.asp. Un altro parametro che entra in gioco quando si tratta di prendere foto di soggetti in movimento è la sensibilità Iso. Questo parametro permette di scattare con efficacia foto di soggetti in movimento anche in condizioni di scarsa illuminazione. La Kodak Z712 ISO da 300 dollari arriva fino a 3200 di sensibilità Iso. I fotografi usano alcuni Illustrazione per The New York Times trucchi per scattare foto pulsante per scattare, i sensori della macchi- di soggetti in movimento con le macchinetnetta iniziano a prendere una serie di misure: te digitali. Nei casi dove potete prevedere il processore calcola la distanza dall’oggetto, quando avverrà l’evento, tenete premuto il stabilisce la quantità di luce necessaria ed pulsante a metà: azionando la messa a fuoco esegue anche qualche bilanciamento in ter- automatica, tutto il procedimento si mette in mini di colore e luminosità, quindi acquisisce moto. Quando premi il pulsante fino in fondo l’immagine sul processore e la invia alla me- la macchina fotografica può elaborare le inmoria. Un procedimento che può richiedere formazioni più rapidamente. Molte macchianche un secondo di tempo. Un consumatore nette, poi, prevedono una modalità “animali che voglia comprare una macchina fotografi- domestici” o “bambini”, per fotografare ca veloce non dovrà fare altro che guardare il tutto quello che tende a non rimanere fermo foglietto con le caratteristiche del prodotto. quando glielo dici. Ma molte macchine fotografiche non forniMan mano che le macchine fotografiche scono dati che possano aiutare. L’acquirente digitali scenderanno di prezzo, diventando può trovare indicato il tempo di esposizione, contemporaneamente più sofisticate, il temma è un dato che da solo serve a poco. po di otturazione sarà un problema sempre “Il tempo di esposizione è solo uno degli ele- meno sentito. menti”, dice Chuck Westfall, portavoce della “Dateci ancora qualche anno e non ne senCanon. “Se rientra in una gamma di valori tirete più parlare”, dice Gann della Hewlettragionevole, non fa una gran differenza”. Packard. “Ma il costo delle macchinette digiSe avete già una macchinetta digitale, po- tali salirà. Sappiamo come fare per renderle tete fare da soli un test, andando all’indirizzo più veloci, ma costeranno di più”. Repubblica NewYork LUNEDÌ 4 GIUGNO 2007 VII V I TA Q U O T I D I A N A Piccoli consiglieri per mamma e papà di STEPHANIE ROSENBLOOM Quando Helen Barahal doveva decidere se vendere o meno l’appartamento di East Harlem che teneva affittato, si fece consigliare dal figlio Marcus. “Sapevo che all’epoca quella zona non era molto rinomata, ma presto sarebbe cambiata”, dice Marcus. “Le dissi di tenerlo perché sapevo che l’affitto le avrebbe fruttato più denaro della vendita”. La signora Barahal seguì il consiglio e tenne l’appartamento, che oggi sta per essere venduto a un prezzo quattro volte superiore rispetto ai 100.000 dollari che le era costato nel 2000. La vendita, dice la signora Barahal, è stata approvata da Marcus. Marcus ha 11 anni. Ma come si dice, l’età è solo un numero. Il mediatore immobiliare della signora Barahal, Jeffrey Gardere (che si dà il caso abbia un dottorato in psicologia) dice che come molti genitori dei nostri giorni la sua cliente non si limita a dare ascolto al figlio. “Si fida di ciò che lui le dice”, dice. E’ da tempo che i genitori fanno affidamento sui figli, considerandoli esperti di moda, tecnologia e cultura pop e contando sul fatto che facciano conoscere loro musica nuova, li aiutino ad ripulire il proprio guardaroba da capi orrendi e partecipino a decisioni di famiglia come la scelta della destinazione delle vacanze invernali o di un sostituto per il pesciolino rosso deceduto. Ma il carattere e la diffusione delle consulenze figli-genitori ha raggiunto proporzioni inedite. Molti genitori trattano i figli alla stregua di esperti alla pari e li considerano dei confidenti. Per questo si rivolgono a loro per farsi dare consigli su decisioni di vita oltre che su acquisti importanti come automobili, computer, vacanze o per scelte di carattere immobiliare e di arredamento. Susan Linn, psicologa presso il Judge Baker Children’s Center della Harvard Medical School e autrice di Il marketing all’assalto dell’infanzia. Come media, Sulle questioni importanti sempre più genitori fanno scegliere ai figli. pubblicità e consumi stanno trasformando per sempre il mondo dei bambini ha indagato perchè si diffondono i consigli richiesti agli adolescenti. Uno dei motivi è dato dall’aumento delle famiglie dove c’è un unico genitore. Non avendo con chi condividere le responsabilità dell’educazione dei figli, i genitori single sono più stressati, dice la dottoressa Linn, e la dinamica con i figli tende ad essere più negoziabile. “Siamo solo noi due”, dice la dottores- sa Betsy Kavaler, che vive a Manhattan insieme alla figlia Sonia Brozak, di 11 anni. “Per certi versi questo la rende più una compagna che una figlia”. Quando la dottoressa Kavaler, un’urologa, era al lavoro, è stata Sonia a trattare con l’uomo che ristrutturava il loro appartamento; ha anche scelto dove sarebbero andate in vacanza - basandosi sui propri studi di storia dell’arte, e ha persino deciso quale sarebbe stata la scuola media migliore per lei. “E’ così diverso da quando eravamo piccoli noi”, dice la dottoressa Kavaler. “Adesso ci si domanda ‘cosa vogliono fare i figli?’. Mio padre diceva: ‘che importa cosa vogliono fare i figli?’”. Jodi Seidler, creatrice di Makinglemonade.com - un sito web dedicato a genitori single - dice che suo figlio Sam che ha da poco compiuto 17 anni “mi dava consigli su tutto”. Persino sul fatto che ricominciasse a frequentare degli uomini. “Diceva ‘Be’ mamma, perché non provi on-line?’”, dice la signora Seidler, che vive a Santa Monica, in California, e che da allora di siti web per single ne ha visitati diversi. Teneva Sam informato sui possibili incontri promettenti e ascoltava le sue risposte - non solo perché tiene ai suoi consigli ma anche perché desidera “vedere chi è e come la pensa”. Regolarmente però, i consigli dati ‘alla pari’ dai figli presentano degli svantaggi. “E’ questo che li rende complicati”, di- ce la signora Seidler. “Quando tuo figlio è più evoluto, intuitivo, sensibile o buffo degli uomini che incontri”. La dottoressa Linn dice che il marketing è uno dei motivi per cui si cerca il parere degli adolescenti. Oltre a riempire la testa dei ragazzi con informazioni sui prodotti e dare loro “una parvenza di maturità”, il marketing diffonde la nozione che i ragazzi di oggi la sappiano più lunga delle generazioni passate, dice la dottoressa Linn. Ai figli pesa essere considerati dai genitori una risorsa? Attribuire troppo potere ai figli può farli sentire indifesi, ma invitarli a partecipare alla scelta del gioco a cui giocare o del dvd da noleggiare può insegnare loro a prendere parte a decisioni collettive. In realtà, l’idea che i ragazzi di oggi siano più saggi che in passato, dice la dottoressa Linn, è un “fenomeno costruito commercialmente che in un certo senso priva i giovani di una parte dell’infanzia”. E aggiunge: “Per certi versi, li stiamo derubando della loro infanzia”, dice. Quando il dottor Google fa la diagnosi Riscoprire i giochi semplici di una volta di ALEX WILLIAMS Joseph Gallo, 10 anni, di Santa Cruz, è superattrezzato per la battaglia contro la noia; la sua camera da letto è un arsenale munitissimo: computer con collegamento a internet, lettore Dvd, due Game Boys, una Xbox e un GameCube. Nelle ultime settimane, però, Joseph ha trovato una nuova passione: le biglie. Può ringraziare Michael Cohill, progettista e appassionato di giochi, che qualche settimana fa ha tenuto un seminario sulle biglie in una fiera per l’infanzia, a cui Joseph ha partecipato. “Si divertono con le biglie proprio come i bambini di cento anni fa”, dice Cohill, 52 anni. Beh, non proprio. All’epoca, i bambini non dovevano frequentare un seminario per imparare a giocare a un gioco così semplice. Nell’epoca del tempo libero superstrutturato, delle ore di doposcuola sovraffollate di attività, dei genitori terrorizzati che i bambini si possano far male, molti giochi tradizionali dell’infanzia sono diventati antiquati quanto il concetto stesso di ozio. Recentemente, però, una serie di educatori (come Cohill), genitori ed esperti di sviluppo dei bambini stanno cercando di rilanciare i passatempi tradizionali, come le biglie, il gioco della campana e il kickball (una specie di baseball giocato con in piedi). Frequentano conferenze sui giochi, tengono corsi per insegnare come si gioca e organizzano campionati per attività che un tempo non avevano bisogno di campionati (bastava una palla ed un bastone): a spingerli a questo è il timore che il declino dei giochi tradizionali possa impoverire la capacità di immaginazione e inibire l’interazione sociale, e anche un personale sentimento di nostalgia, il desiderio di creare un ponte che metta in comunicazione le generazioni passate con la generazione Nintendo. Un segnale che forse qualcosa si sta muovendo è arrivato con il successo inaspettato del libro The Dangerous Book for Boys, di Conn e Hal Iggulden, che celebra le arti perdute dell’infanzia, con tutte le istruzioni su come si costruisce una casa sull’albero, come si fa un aeroplanino di carta e come si tira una pietra nell’acqua facendola rimbalzare. Intervistato per e-mail, Conn Iggulden dice di aver ricevuto lettere da genitori che bramano “un ritorno ai piaceri semplici”, un sentimento che sembra nascere da “forze potenti, come la comprensione che tenere i bambini chiusi in casa a giocare alla Playstation non gli fa bene, o le reazioni irritate di molti genitori di fronte Shiho Fukada per The New York Times Sonia Brozak, 11 anni, ha dato consigli alla madre, Betsy Kavaler, sulla ristrutturazione della casa, le vacanze e la scuola a cui iscriversi. Nelle ultime settimane i miei bambini hanno stabilito che hanno la lebbra, la sindrome dell’intestino irritabile e la malattia di Lyme. “Sono contagiosa” ha detto mia figlia di nove anni, alzando gli occhi dal laptop sul quale pochi giorni fa aveva digitato i sintomi riMICHELLE scontrati al mattino. SLATALLA “Non dovrei andare a scuola con la strip throat. “Si dice strep throat (tonsillite)”, le ho detto. “E soprattutto non ce l’hai. Quindi, vai a prepararti”. Ai vecchi tempi i bambini temevano come non mai le visite dal pediatra. Oggi che invece Dr. Google visita a domicilio, i miei passano delle ore online a digitare domande nei riquadri pensati apposta per indagare i vari sintomi - “Mamma, non ti sembra che questa immagine della tigna somigli alla macchia che ho sulla gamba?” - prima di stampare la prova del fatto che non si dovrebbe chiedere loro di uscire fuori col freddo a portare a spasso il cane. In casa mia nessuno è malato sul serio. La presunta tigna si è rivelata essere il segno lasciato dall’elastico delle calze. Ma una cosa è certa: i miei figli hanno tutti i sintomi di una nuova sindrome. Inserendo online i loro sintomi seguono l’esempio di un bel numero di adulti. Come dimostrano gli autori di studi recenti un crescente numero di persone – fino al 40 per cento dei 39.000 adulti intervistati da un sondaggio del 2006 di Consumer Reports – indaga sulle proprie condizioni di salute su internet. Queste indagini online, però, portano spesso a risultati contradditori: secondo lo stesso sondaggio, il 41 per cento dei medici di base ha riferito che i pazienti arrivano negli studi con pessime informazioni trovate su internet. L’Associazione americana dei medici che mette in guardia dal reperire on line informazioni poco accurate che potrebbero confondere le persone o metterne a repentaglio la salute, avvisa i pazienti di non consultare dottor Google ma di andare a farsi visitare da un medico in carne e ossa. Ammetto di aver anch’io digitato qualcosa su internet per poi dedurre dopo pochi secondi che dovevo assolutamente prendere degli antibiotici. I miei figli sono destinati a questa stessa sorte? Per scoprirlo ho telefonato al dottor J. James Rohack, membro dell’Ama che lavora a Temple in Texas. “Una cosa è certa: oggi i bambini sanno usare bene internet e non dovremmo aspettarci che per scoprire una cosa consultino l’Enciclopedia britannica” mi ha detto. “Insegnerei però ai bambini che pur essendo possibile accedere a ogni tipo di informazione online, non è opportuno accettarla come un dato di fatto. È necessario fargli capire che bisogna fare ricerche dove OPINIONE Michael Temchine per The New York Times Oliver Meade, 10 anni, è incoraggiato dalla madre a giocare all’aperto. ‘‘The Dangerous Book for Boys” insegna a costruire una casa sull’albero. a questa cultura igienista e salutista che vieta metà delle attività che da bambini loro davano per scontate, e che sanno quanto sono state importanti per la loro crescita e la loro maturazione”. Birgit Meade, economista che vive a College Park, nel Maryland, ha vietato il computer ai suoi due figli (Oliver, 10 anni, e Anna, 7) e gli fa vedere pochi dvd, incoraggiandoli invece ad andare a cercare bruchi o a giocare a saltare con la corda insieme agli amici. La Meade ammette che suo figlio corre il rischio di passare per “uno un po’ strano” con i suoi amici che giocano ai videogame mentre lui si diverte con il trampolo a molla, ma è lo stesso Oliver a sottolineare di essere felice per aver fatto 2.000 rimbalzi di fila. Kathy Spangler, responsabile delle collaborazioni nazionali per la National Recreation and Park Association (un’organizzazione con sede in Virginia che rappresenta circa 6.000 parchi giochi), dice che sono sempre di più i bambini che si divertono con giochi tradizionali come i “quattro cantoni” (quattro giocatori ai quattro angoli che si passano la palla cercando di eliminarsi a vicenda), la caccia al tesoro e la campana. C’è chi sostiene, però, che il modo migliore per sviluppare l’immaginazione e affinare la capacità di relazione dei bambini è lasciarli liberi di inventare da soli i giochi. Geoffrey Godbey, professore di Scienze ricreative alla Penn State University, dice che l’idea che i genitori riportino in auge i giochi di un tempo è contraria allo spirito del gioco. Per lui la colpa è dei genitori di una certa generazione “che voglio rifare quei giochi perché non sono mai cresciuti”. Il suo consiglio? “Lasciate liberi i bambini di giocare come vogliono”. le informazioni che si ricevono si basano su dati scientifici”. Rohack mi ha pertanto suggerito di dirottare le indagini dei miei figli dai motori di ricerca generali a fonti più attendibili, come Medem.com, il sito al quale ha contribuito anche l’Ama. Atri siti che è possibile consultare gratuitamente online sono Mayoclinic. com, CDC.gov (i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie), NIH. gov (l’Istituto nazionale della sanità), e Bestbuydrugs.org (il sindacato dei consumatori), che offrono esaurienti informazioni sanitarie e sui farmaci. Il sindacato dei consumatori, che pubblica Consumer Reports, permette di iscriversi al sito Medicalguide.org che classifica i trattamenti in base ai risultati ottenuti dai test clinici. Tuttavia i pazienti non dovrebbero esimersi dall’andare dal medico privilegiando queste consultazioni online. A differenza dei sessantacinquenni e più, i bambini di oggi sono del tutto a loro agio con il mondo digitale nel quale sono per così dire nati e sanno effettuare Una generazione che sa usare Internet analizza i suoi sintomi online. ricerche online senza problemi: lo afferma Marc Prensky, consulente educativo e autore di Don’t Bother Me Mom — I’m Learning! (Non mi disturbare, mamma, sto imparando!). “I bambini sanno trovare informazioni più rapidamente di noi e sanno come metterle insieme” dice Prensky. “Un signore che lavora alla Microsoft mi ha raccontato che quando sua madre ha scoperto di avere un tumore e di doversi operare, suo figlio le ha detto: ‘Nonna, ho fatto alcune ricerche e spero che ti operi il dottor X, perché su Internet ho scoperto che ha le migliori percentuali di successo per questo tipo di intervento’”. Prensky prevede che a mano a mano che i bambini di oggi cresceranno, faranno sempre più affidamento sulla collaborazione online con i loro coetanei e sapranno stare alla larga dalle informazioni sbagliate. “La nostra generazione si tiene ben stretta le informazioni che un giorno potrebbero tornarle utili, mentre i bambini le mettono in comune” dice, aggiungendo poi che in futuro “i bambini davanti a un certo problema diranno: ‘Per risolvere questo problema occorrono venti persone’, oppure ‘Per risolvere quest’altro problema ne occorrono dieci’, e a quel punto lo suddivideranno e metteranno in comune con gli altri l’esito delle loro ricerche’’. Repubblica NewYork VIII LUNEDÌ 4 GIUGNO 2007 ARTI E TENDENZE Il maestro dell’imprevisto che gioca con le allegorie di CAROL VOGEL COLONIA, Germania — Di tutti i materiali, l’arsenico è particolarmente caro a Sigmar Polke. Così come l’olio di lavanda, la polvere di meteorite e le scaglie d’oro e vermiglione, tutti elementi che Polke, in un’occasione o in un’altra, ha usato per fare i suoi dipinti. In un pomeriggio piovoso di qualche giorno fa, però, ad assorbire ogni pensiero dell’artista era un pigmento violetto puro, cristallizzato. Entrando in quello che definisce il suo atelier estivo — una tenda di tela cerata dietro la casa, simile a un magazzino, in un quartiere industriale della città — Polke si è diretto verso tre giganteschi dipinti. I quadri sono stati realizzati in vista della Biennale di Venezia che il prossimo 10 giugno aprirà le porte ai visitatori di tutto il mondo. Polke, 65 anni, ha applicato alle tele numerosi strati di stoffa imbevuta di lacca, poi altra lacca, e ancora pezzi di stoffa nera trasparente. Nella fioca luce che riesce a penetrare all’interno della tenda, i quadrisembranoriflettereunaluminescenza eterea. “Una volta applicati con un pennello i pigmenti violetti, la superficie diventerà dorata”, dice osservando con attenzione le tele, che misurano tre metri per cinque. “Con il riflesso della luce, il colore cambierà”. Gordon VeneKlase, il mercante d’arte che lo rappresenta insieme a Michael Werner, osserva: “Il violetto ha avuto proprietà allegoriche sin dal Rinascimento, cosa che ha sempre affascinato Sigmar”. Stregone, giullare, saggio, visionario: per molti artisti contemporanei Polke è un eroe, oltre che una calamita per curatori e collezionisti. Parte del suo fascino risiede nell’incessante ricerca di ottenere qualcosa di più dalle tele convenzionali, applicando gocce di antiche sostanze o pezzi di tessuto da poco prezzo in un insolito accostamento con figure appena abbozzate. Michael Werner Gallery; a sinistra, Albrect Fuchs per The New York Times Uno dei sette dipinti astratti, riuniti sotto il titolo “The Axis of Time”, creati da Sigmar Polke per la Biennale di Venezia che aprirà il 10 giugno. In un’epoca in cui non emerge un movimento artistico in grado di dominare i gusti del pubblico, Polke è famoso per essere un maestro dell’imprevisto. E, dicono artisti e curatori, anche se le sue opere affondano le radici nell’antica mitologia, nella filosofia e nella chimica, sembrano sempre nuove. Il pittore John Baldessari, 75 anni, descrive Polke come l’artista degli artisti. Collezionisti e direttori di museo fanno la fila per acquistare qualunque cosa venga prodotta da lui. Quando, durante un cocktail party organizzato lo scorso febbraio a Manhattan all’Art Show annuale, sono stati esposti dei disegni in bianco e nero, dopo 10 minuti erano tutti venduti. Il fascino di questo artista risiede anche nella sua inaccessibilità. Polke sfugge la celebrità e difende la sua vita privata. E’ famoso perché passa mesi senza rispondere al telefono e perché non per- mette ad alcun visitatore di entrare nel suo studio. Su consiglio di VeneKlasen, ha concesso che, in vista della Biennale, un giornalista visitasse il suo atelier. “Sentivo che queste opere sono una pietra miliare e dovevano essere spiegate”, dice il mercante d’arte. Polke spiega che i dipinti realizzati per la Biennale nascono da idee precise che si sono trasformate mentre le realizzava. “Rappresenta il punto d’incontro di idee e materiali”, osserva nel suo inglese dall’accento tedesco. “Si vede quello che si vuole, ma bisogna lavorare con il dipinto, e il risultato è sempre differente”. Complessivamente, gli ci sono voluti due anni per applicare e far asciugare i vari strati di lacca usati sui sette dipinti astratti realizzati per la Biennale. Riuniti sotto il titolo The Axis of Time, costituiranno il centro della mostra che si svolgerà nel Padiglione italiano e che si inti- tolerà Think With the Senses – Feel With the Mind. Art in Present Tense (“Pensare con i sensi, sentire con la mente. L’arte nel tempo presente”). Come i dipinti, le spiegazioni offerte da Polke non sono sempre facili da analizzare. Indica un quadro dove, attraverso un velo di polvere volutamente applicata, è visibile un’impronta digitale dell’artista. “Questo genere di dipinti raccontano molte cose”, dice. “Le impronte digitali, come quelle dei criminali, sono qualcosa della quale si ha paura ma che, allo stesso tempo, si desidera toccare. Per me l’immagine non è importante: lo è il comportamento umano di volerla toccare”, aggiunge. In questi mesi, l’artista ha trascorso gran parte del suo tempo nell’atelier estivo, occupato a terminare i quadri realizzati per Venezia. Di recente la sua attenzione si è concentrata su come la luce modifica la trama e i colori delle tele. “La luce è un elemento metaforico”, che assume significati emotivi diversi, spiega sorseggiando una tazza di tè in soggiorno. “C’è la luce verde e c’è quella rossa. Poi c’è quella nera, che è la più pericolosa”, dice. “Io sto cercando di creare un’altra luce, una luce che viene dalla meditazione”. In un solo dipinto sono presenti figure umane: una fila di bambini che scruta un’immagine confusa. Quell’immagine è l’ingrandimento di una diapositiva rovinata, trovata da Polke in un cimitero, proiettata su una tela e quindi dipinta. Come sempre, Polke dà per scontato che il pubblico di Venezia si sforzerà di interpretare le sue opere. Ma aggiunge che nemmeno lui riesce a ricavare dai suoi quadri un significato univoco. “Un dipinto finito è l’impressione di milioni di impressioni”, dice. Gioielli sovietici di un’era dimenticata Fotografie di Harry N. Abrams A sinistra, un’edizione di otto centimetri della “Proclamazione di emancipazione” di Lincoln del 1863; minialmanacchi francesi del XVIII e XIX secolo, sopra. Grandi libri formato mignon di WILLIAM GRIMES Negli anni ’30 del Novecento apparvero i libri in brossura. In Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti i lettori accolsero con entusiasmo l’idea di un libro di dimensioni ridotte da portare in tasca per leggerlo in autobus o in treno. Sembrava una grande novità, un moderno prodotto per il tempo libero adatto a un’epoca di sviluppo scientifico. In realtà il minilibro esisteva già da quasi cinquecento anni. I primi libri in miniatura, manoscritti che si potevano portare alla vita legati a una catenella, precedono l’invenzione della stampa a caratteri mobili. Al confronto, i classici paperback sembrano colossali. L’esemplare più grande misura un po’ meno di otto centimetri per lato. Con l’evolversi della tecnologia editoriale le dimensioni si sono ulteriormente ridotte. In Russia e in Giappone i rilegatori hanno pubblicato libri, con tanto di bordure, più o meno delle dimensioni della lettera “a” stampata su questa pagina. Alla storia dell’incredibile rimpicciolimento della carta stampata è dedicata la mostra Miniature Books: 4,000 Years of Tiny Treasures, al Grolier Club di New York fino al 28 luglio, e un catalogo dallo stesso titolo opera di Anne C. Bromer e Julian I. Edison, pubblicato da Harry N. Abrams in collaborazione con il Grolier Club. I libri sono piccoli ma la materiali trattata è sorprendentemente ampia, dalle tavolette cuneiformi mesopotamiche grandi quanto un’unghia, alla “mini- Bibbia” dedicata inizialmente ai bambini nel XVII secolo, alla prima edizione in forma di libro della Proclamazione d’EmancipazionediAbramoLincoln,un volume di otto centimetri distribuito ai soldati dell’Unione e agli schiavi durante la Guerra di secessione americana. Tra i mini-libri si annoverano anche breviari miniati e adorni di pietre preziose, pratiche collezioni di classici pensate per i viaggiatori e una sinistra serie tedesca degli anni ’30 intitolata Il Führer fa la storia. In origine i mini-libri avevano come scopo principale l’utilità. I libri di preghiere di dimensioni ridotte consentivano di praticare la devozione in viaggio. Ma il fascino per la miniaturizzazione in sé prese presto piede. Nel 1480 Salvadore Gagliardelli, scrivano fiorentino, creò un libro di preghiere miniato che conteneva 17 dipinti delle dimensioni di circa due centimetri quadrati. Negli anni ’60 dell’Ottocento Frances Elizabeth Barrow sorprese il mercato dei libri per l’infanzia con una serie di racconti con i bambini e i loro animali. Ben presto l’aspetto pratico dei minilibri cedette il passo all’irrefrenabile impulso a ridurre sempre più le dimensioni, nel contemporaneo rispetto dei più elevati standard dell’arte editoriale: eleganti rilegature, calligrafia o caratteri di stampa raffinati e illustrazioni a colori su carta costosa. In ordine decre- scente di importanza, i collezionisti classificano i mini-libri in macrominiature (dai sette ai dieci centimetri di lato), miniature (dai tre ai sette centimetri), microminiature (da 0,6 a tre centrimetri) e infine ultramicrominiature (meno di 0,6 centimetri). Esther Inglis, ugonotta francese che lavorava a Edimburgo alla fine del XVI secolo,produssenotevolimini-libriusando una grafia semplice ed elegante che, alla lente di ingrandimento, si rivelava composta da minuti scarabocchi. Successivamente arrivarono i creatori di caratteri di stampa. Henri Didot, ingegnere e incisore francese, creò nel 1819 un carattere di due punti e mezzo (un punto tipografico nel sistema Didot corrisponde a 0,376 mm), il più piccolo mai usato, superato mezzo secolo dopo da uncarattere italiano di due punti chiamato “occhio di mosca”, usato la prima volta nel 1878 per la Divina Commedia. Le dimensioni hanno continuato a ridursi. Grazie a un processo di fotoriduzione in sette anni un editore di Worcester, Massachusetts, compresse i versi del Rubaiyat di Omar Khayyam in un libro pubblicato nel 1932 di 4 millimetri per 6. Nel 1978 la Gleniffer Press di Paisley, in Scozia, diede alle stampe I tre topolini ciechi, di Agata Christie, in un volume di 2,1 millimetri quadrati. Sette anni dopo pubblicò un’edizione della filastrocca Old King Cole grande la metà. NEW YORK — CCCP: Cosmic Communist Constructions Photographed, una mostra sull’architettura sovietica tra gli anni Settanta e Ottanta allestita allo Storefront for Art and Architecture di Manhattan, potrebbe essere un’esperienza illuminante per quelli che ritenevano che RECENSIONE DI ARCHITETTURA l’architettura sovietica fosse morta con l’ascesa di Stalin. La mostra, che copre un periodo di tempo in gran parte ignorato da studiosi e architetti tradizionali, è ricca di gioielli architettonici poco noti. Il tema della mostra sembra particolarmente felice considerato che oggi i giovani architetti stanno riesaminando le opere realizzate durante la Guerra Fredda dagli omologhi dei sovietici in città occidentali come Rotterdam e San Paolo. Organizzata dal nuovo direttore dello Storefront, Joseph Grima, la mostra si affida quasi esclusivamente alle fotografie di Frédéric Chaubin, direttore di una rivista parigina che ha trascorso cinque anni viaggiando attraverso l’ex Unione Sovietica, scoprendo opere architettoniche dimenticate. Il risultato è una rivelazione. Tra le opere più preziose c’è il ministero delle Strade realizzato da Georgy Chakhava nel 1975, un reticolo monumentale di elementi in cemento collegati tra loro realizzato su un ripido terreno boscoso a Tiblisi, in Georgia. Il progetto dell’edificio che ospita il ministero sfata molti luoghi comuni sulla tarda architettura sovietica. Erette su una pendenza situata tra due autostrade, le pesanti forme a sbalzo che compongono l’edificio riflettono la predilezione dell’epoca per le dimensioni monumentali. Tuttavia, queste si accordano in modo intelligente al contesto e rendono omaggio al paesaggio naturale che si estende direttamente al di sotto dell’edificio. La composizione dei moduli collegati tra loro, che sono ideati come una serie di ponti, riporta alla mente l’opera dei metabolisti giapponesi della fine degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta, NICOLAI OUROUSSOFF Frédéric Chaubin Il ministero delle Strade di Georgy Chakhava, a Tiblisi, rappresenta la passione per le opere monumentali. come prova del fatto che gli architetti sovietici non lavoravano in una sorta di vuoto intellettuale. Allo stesso modo, la clinica Druzhba (che significa “Amicizia”) di Yalta, in Ucraina, progettata da Igor Vasilevsky e ultimata nel 1986, offre una dimostrazione pratica di audaci soluzioni architettoniche. L’edificio a forma cilindrica si erge su una collina che guarda una spiaggia. Per entrare, i visitatori devono attraversare un ponte racchiuso in un tubo di vetro per poi scendere all’interno del complesso, che si appoggia su solide gambe in cui sono stati collocati ascensori e scale. L’aspetto piacevole di questa mostra è l’assenza di un programma ideologico: è aperta a qualunque possibilità. Il romanticismo in stile Gaudi di una clinica a Druskininkai, in Lituania, ad esempio, sposta l’estetica in una nuova direzione. Costruita come una serie di cilindri collegati, le sue forme sono leggermente sollevate dal terreno e creano un’illusione di leggerezza. L’edificio sembra quasi aprirsi ed è un misto di creatività e follia sotto gli occhi di tutti. In un altro progetto, un complesso sportivo e un teatro dell’opera realizzati a Yerevan, capitale armena, una gradinata all’aperto scende fin dentro il terreno, fiancheggiata da due immense pareti di cemento e da strette scale che evocano lo scavo di una qualche dimenticata città futurista: una metafora che si adatta bene all’intera mostra. La mostra apre ai nostri occhi un territorio sconosciuto. Avvincente e facile da assimilare, stimola il nostro interesse come istituzioni più grandi spesso non riescono a fare. E questo è abbastanza. Repubblica NewYork