Le trasformazioni reciproche tra le energie di tipo meccanico e il calore, classificato da tempo come una delle forme nelle quali avviene lo scambio di energia, sono l’oggetto di studio su cui si fonda la Termodinamica, una importante parte della Fisica. Il Primo Principio della Termodinamica sancisce, tra l’altro, la completa equivalenza tra lo scambio di energia meccanica (o lavoro) e il calore, l’uno legata a fenomeni su scala “macroscopica”, l’altro connesso al movimento su scala “microscopica”. In questi appunti presentiamo i concetti di base della Termodinamica, formuliamo il Primo Principio e ne studiamo l’applicazione in alcuni semplici fenomeni o processi. I temi qua trattati si affiancano al contenuto del capitolo 17 del testo, e ne approfondiscono e completano alcuni aspetti molto importanti. Trasformazioni termodinamiche - I parte La Termodinamica è tradizionalmente concepita come parte della Fisica, ma per la sua importanza assurge al ruolo di un settore autonomo della Scienza. I suoi principi sono alla base di molti sviluppi recenti di altre discipline, come la chimica e la biologia. Essa si occupa principalmente delle trasformazioni reciproche dell’Energia nei suoi vari aspetti, riconoscibili essenzialmente nelle varie forme di Energia meccanica, come lavoro, energie cinetica e potenziale, fino alla forma di Energia più elusiva, il calore. In altre parole essa si occupa delle trasformazioni tra le forme più organizzate di Energia con quelle meno organizzate come il calore, che è connesso in qualche modo al moto disordinato delle molecole. La Termodinamica si propone anche di gettare un ponte tra il mondo microscopico dei costituenti elementari delle sostanze, atomi e molecole, e il mondo macroscopico degli oggetti complessi, compresi gli esseri viventi. E’ il problema affrontato in particolare da un disciplina detta Meccanica Statistica: come comprendere e prevedere il comportamento degli oggetti macroscopici, che è molto complesso, organizzato e soggetto a leggi evolutive, partendo dai costituenti microscopici elementari, che sono soggetti alle leggi di conservazione della meccanica, che non sembrano a prima vista in grado di offrire l’incredibile varietà di comportamenti riscontrata nei fenomeni naturali a tutti i livelli. In questi appunti cominciamo il nostro studio dal primo principio delle Termodinamica, con alcune delle sue più importanti applicazioni. 1) Lo stato di un sistema Oggetto di studio della Termodinamica è il “sistema termodinamico”, ovvero qualunque corpo o oggetto, anche vivente, in relazione col suo ambiente esterno, con il quale è in grado di scambiare materia o energia. La descrizione del sistema si basa sulla misura o la conoscenza di grandezze fisiche come la pressione P, il volume V, la temperatura T, il numero di moli (la composizione chimica, la polarizzazione elettrica, la tensione elastica nei solidi, etc.), essenzialmente grandezze di tipo “macroscopico”, adatte a trattare collettivamente, anche con metodi statistici, un insieme di un gran numero di costituenti elementari, come atomi o molecole (dell’ordine del numero di Avogadro, 6.02·1023). Le grandezze menzionate descrivono lo “stato” del sistema, cioè la conoscenza che noi abbiamo di esso. In generale queste grandezze non sono indipendenti, ma sono legate tra loro da una relazione chiamata “equazione di stato”, che è una espressione matematica appropriata alle proprietà del sistema in esame, idealmente esistente per tutti i sistemi, e in genere nota quando il sistema è in equilibrio termico, stato nel quale l’equazione di stato è supposta essere valida in qualunque punto del sistema in esame. Il sistema più semplice da descrivere, su cui si proveranno e si ricaveranno importanti risultati, è il gas perfetto o ideale all’equilibrio termico, cioè un gas che obbedisce alla equazione di stato: PV = nRT (o PV = N k BT ) (1) dove n è il numero di moli del gas ( N è il numero delle molecole), R = 8.31 J/mole K è la costante dei gas ( K B = 1.38 x 10-23 J/K è la costante di Boltzmann) e T è la temperatura misurata sulla scala assoluta dei gradi Kelvin (K). La relazione tra le due formulazioni è data dal fatto che k B = R / N A dove N A è il numero di Avogadro. P Lo “stato” di un gas è completamente descritto da questa equazione; fissato il numero di moli (o di molecole) basta conoscere due delle tre A PA • grandezze P, V o T perché la terza è fissata dall’equazione di stato. Una utile rappresentazione grafica, di uso universale e non solo per i gas, è il 0 VA V piano cartesiano P-V. Il punto A in questo grafico rappresenta lo stato di un gas, determinato dalla sua pressione PA e dal volume VA (la temperatura è necessariamente definita dalla equazione di stato). Il gas perfetto o ideale è in realtà una costruzione teorica; i gas reali, su cui possiamo fare esperimenti di laboratorio, obbediscono abbastanza bene all’equazione di stato, ma se ne possono discostare parecchio a basse temperature, e quindi necessitano di equazioni di stato modificate. Però la semplicità dell’equazione di stato dei gas perfetti ne fa un potente strumento di studio, e quindi sarà sempre considerata valida. E’ importante considerare che l’equazione di stato dei gas (come anche tutte le equazioni di stato) vale se il sistema è omogeneo e all’equilibrio termico; solo in tal caso, infatti, le grandezze termodinamiche hanno valori ben definiti e validi per tutto il sistema, ed è possibile seguire le trasformazioni ad ogni passo. Pensiamo ad esempio al riscaldamento di un pentola d’acqua: si creano vortici e movimenti di strati di fluido, che hanno diverse temperature, pressioni etc. Bisogna aspettare lo stabilirsi dell’equilibrio termico e l’omogeneizzazione del sistema per avere una misura attendibile e globale di temperatura. Ritorneremo più avanti su questo discorso. 2) Trasformazioni e scambi di Energia Lo scambio di energia tra due sistemi termodinamici, o tra un sistema e l’ambiente, avviene principalmente in due modi: α ) trasmissione di calore, cioè scambio energetico di tipo microscopico, legato al movimento e agli urti delle molecole, e che non comporta variazione di volume del sistema; β ) lavoro meccanico, cioè scambio energetico di tipo macroscopico che avviene secondo le leggi della meccanica (azione di forze, teorema dell’energia cinetica etc.), e che implica spesso una variazione di volume. L’equivalenza tra lo scambio di energia per mezzo di calore o per mezzo di lavoro meccanico è stata stabilita con una numerosa serie di esperimenti da Joule nella prima parte dell’800, benché fosse già stata utilizzata molto prima nello studio delle macchine termiche; ma non essendovi chiarezza sulla natura microscopica del calore rimaneva allo stato di ipotesi. Molto noto è l’esperimento in cui Joule misura l’aumento di temperatura di una quantità d’acqua in un calorimetro ben isolato termicamente, in cui delle palette vengono fatte girare tramite carrucole mosse dalla caduta di alcune masse da un’altezza fissata. Si ha dapprima la trasformazione di energia potenziale gravitazionale in lavoro meccanico per far girare la paletta contro le forze di attrito viscoso presenti nel fluido, che quindi dissipano l’energia fornita dall’esterno in attrito e turbolenza nel fluido. Al ristabilirsi dell’equilibrio si osserva l’innalzamento di temperatura dell’acqua, cioè la trasformazione finale in “energia termica”. Questo risultato può essere naturalmente ottenuto semplicemente riscaldando l’acqua nel calorimetro, cioè fornendo una adeguata quantità di calore Q; rimane quindi dimostrata l’equivalenza tra le due forme di scambio di energia, e in particolare vale l’equivalenza tra le unità nelle quali le varie forme di energia vengono misurate, rappresentata dalla formula: T H2 O 1 cal = 4.186 J Passiamo ora a studiare in particolare le trasformazioni energetiche nel più semplice sistema fisico, cioè il gas ideale o perfetto, tenendo presente che le leggi e le conclusioni a cui arriveremo hanno comunque validità universale per tutti i sistemi, di qualsiasi natura o dimensione essi siano. Lo schema dell’apparato sperimentale di base è come nella figura: un recipiente, eventualmente isolato termicamente per impedire scambi di calore con l’esterno se necessario, contiene n moli di un gas perfetto che possiamo supporre per semplicità monoatomico. Un pistone consente di regolare dall’esterno la pressione P esercitata dal gas sulle pareti del recipiente, poiché all’equilibrio la pressione esercitata dall’esterno sarà uguale a quella del gas. Un termometro dy P misura la temperatura T , rigorosamente in gradi Kelvin (K), e un sistema di riscaldamento fornisce calore (o eventualmente un sistema di raffreddamento sottrae calore). Infine il volume V occupato dal gas è controllato dal movimento del pistone di T superficie A . Per quanto detto in precedenza, ogni trasformazione V termodinamica effettuata dal gas è utilmente descritte graficamente dQ da una linea nel piano P-V. a) Utilizzando la convenzione che il calore Q è positivo se assorbito dal gas, si ha che fornendo la quantità di calore infinitesima dQ la temperatura del gas si innalza della quantità dT secondo la legge: dQ = c ⋅ n ⋅ dT (2) dove c è il calore specifico molare (la quantità di calore necessaria per innalzare di un grado di temperatura una mole di gas). Per esser più esatti è necessario specificare in che modo è avvenuta la trasformazione; vedremo più avanti che esistono due diversi calori specifici fondamentali, detti “a volume costante” e “a pressione costante”, riferiti alle due trasformazioni elementari. Il calore totale fornito sarà ovviamente: Tf Q = ∫ c ⋅ n ⋅ dT Ti (3) dove Ti e T f sono rispettivamente le temperature iniziale e finale; dato che il calore specifico nei gas è praticamente costante rispetto alla temperatura, risulta: Q = c ⋅ n ⋅ (T f − Ti ) = c ⋅ n ⋅ ∆T b) Utilizzando la convenzione che il lavoro meccanico W è positivo se fatto dal gas verso l’esterno, il lavoro infinitesimo effettuato dal gas per innalzare il pistone di un’altezza dy è dW = Fy ⋅ dy dove Fy è la forza esercitata dal gas sul pistone (diretta sull’asse y). Ricordando che la pressione è la forza per unità di superficie (P = Fy / A) si ha subito: dW = P ⋅ A ⋅ dy = P ⋅ dV (4) dove dV è la variazione infinitesima del volume del gas. Questa è l’espressione fondamentale per il lavoro meccanico in ambito termodinamico. Il lavoro totale effettuato dal gas in una espansione dal volume iniziale Vi al volume finale V f è dato quindi da: Vf W = ∫ P ⋅ dV Vi (5) •B P e ha una rappresentazione grafica molto efficace sul piano P-V: A • come ci insegna la Matematica, questo integrale corrisponde all’area sottesa dal tratto di curva che partendo dal punto iniziale V 0 Vf Vi A arriva al punto finale B, seguendo i valori di pressione e volume percorsi dal gas durante la sua trasformazione. Questo fatto è molto importante e consente di trattare certi problemi anche per via grafica. Naturalmente anche in questo caso per poter effettivamente calcolare il lavoro meccanico effettuato dal gas è necessario conoscere nei particolari come si è svolta la trasformazione. 3) Esempi di trasformazioni nei gas perfetti e calcolo di W Con opportune combinazioni di riscaldamenti o raffreddamenti, compressioni del pistone o diminuzioni della forza esterna applicata è possibile eseguire e controllare qualunque trasformazione anche complessa del gas nel recipiente; la sua rappresentazione grafica sul piano P-V può essere qualunque curva a piacere. Qua trattiamo solo del calcolo del lavoro meccanico W per alcuni processi fondamentali. a) Riscaldamento del gas a volume costante (ottenuto tenendo fissato il pistone). Questo processo è rappresentato dal segmento verticale A→B ; dall’equazione di stato dei gas, se T aumenta deve aumentare anche la pressione P, essendo tenuto costante il volume. Il lavoro meccanico dW non può che essere zero. b) Espansione del gas a pressione costante; in questo caso il B P gas viene lasciato espandere dal volume iniziale V A al volume • finale VC mantenendo la pressione esterna P sul pistone costante. La rappresentazione grafica è il segmento orizzontale A • •C A→C, e il lavoro effettuato dal gas si calcola dalla (5): Vf VC W = ∫ P ⋅ dV = P ⋅ ∫ dV = P ⋅ (VC − VA ) Vi VA 0 VA (6) VC poiché la P costante può essere estratta dall’integrale. Il quale corrisponde all’area sottesa dal segmento, cioè il rettangolo (ACVCVA) come è evidente anche dalla formula. c) Espansione isoterma da V A a VB ; in questo caso il contenitore del gas è mantenuto a temperatura costante per mezzo di un opportuno termostato. Il gas viene lasciato espandere diminuendo la pressione esterna, infatti dalla legge dei gas vediamo che se T è costante deve essere PV = costante, la pressione è inversamente proporzionale al volume e la rappresentazione grafica è una iperbole. Dato che la pressione varia durante il processo, il calcolo del P lavoro meccanico fatto dal gas deve essere effettuato in A generale utilizzando l’equazione di stato dei gas (1), ricavando • PA la pressione: nRT P= V e sostituendola nell’integrale (5): B • PB 0 VA VB V Vf Vf W = ∫ P ⋅ dV = ∫ Vi Vi V f dV V nRT V = nRT ⋅ [ln V ]Vif = nRT ln f dV = nRT ⋅ ∫ Vi V V Vi (7) dove si è tenuto conto che anche T è costante se la trasformazione è isoterma. Nel nostro caso risulta dunque: VB VA W A→ B = nRT ln e al solito questa espressione corrisponde all’area sotto il tratto di iperbole da A a B nel piano P-V. Poiché per questo processo di espansione si ha VB > V A , risulta correttamente W > 0 , cioè il lavoro fatto dal gas nel sollevamento del pistone è positivo. Se consideriamo il caso opposto, un processo di compressione isoterma in cui il volume del gas viene portato dal volume iniziale VB al volume finale V A (quindi V A < VB ) la formula risultante sarebbe: VA <0 VB WB→ A = nRT ln ovvero il lavoro fatto dal gas risulterebbe negativo. Infatti in questo caso è necessario intervenire dall’esterno agendo sul pistone, quindi il lavoro meccanico fatto dall’ambiente esterno è positivo, mentre il lavoro del gas viene eseguito contro le forze esterne e quindi deve essere negativo. La formula (7) descrive quindi correttamente tutte le trasformazioni isoterme. E’ da notare che in tutti questi processi di espansione (o di compressione) una certa quantità di calore ha dovuto essere fornita al gas (o ceduta dal gas) perché questi avesse energia da impiegare nel sollevamento del pistone (o energia ricevuta dall’abbassamento del pistone); su questo punto ritorneremo presto. Notiamo infine che il lavoro meccanico fatto dal gas dipende strettamente dal percorso, cioè dal tipo di trasformazioni effettuate. Questo lo si vede chiaramente dalle rappresentazioni grafiche dei processi, oltre a poterlo verificare con calcoli espliciti. Ad esempio in figura vediamo un gas che viene portato dallo stato iniziale A allo stato finale B in tre modi diversi: P (I) (curva rossa) il gas viene raffreddato a volume (II) (III) costante fino a raggiungere la pressione PB , A poi riscaldato a pressione costante fin a • PA raggiungere il volume finale; il lavoro WI è dato dall’area del rettangolo sotto la linea a P B costante. PB • (II) (curva blu) il gas si espande isotermicamente; il lavoro WII è l’area sotto il tratto di iperbole. 0 VB VA V (III) (curva verde) il gas subisce una trasformazione (I) di tipo non elementare che lo porta a passare su alti valori della pressione; il lavoro totale fatto WIII è dato dall’area sotto la curva. E’ evidente che il lavoro fatto dal gas nei tre percorsi è ben diverso, WIII > WII > WI , e questo è un fatto molto importante anche per le possibili utilizzazioni pratiche del gas come meccanismo per effettuare trasformazioni energetiche, ad esempio per trasformare energia microscopica e disorganizzata in forma di calore, in energia macroscopica e organizzata in forma di lavoro meccanico. Lo stesso discorso può essere fatto per il calore Q ; si osserva infatti che nelle trasformazioni termodinamiche tra uno stato iniziale e uno stato finale il calore assorbito dal gas dipende strettamente dal percorso. Schema riassuntivo delle convenzioni riguardo alle diverse forme di scambio di energia tra il sistema in esame e l’ambiente Macroscopico: lavoro meccanico W (W<0) W>0 Ambiente Sistema Scambio di Energia Q>0 (Q<0) Microscopico: calore Q Trasformazioni termodinamiche - II parte 4) Il Primo Principio della Termodinamica Il primo principio della Termodinamica è essenzialmente l’affermazione della conservazione dell’energia per tutti i sistemi termodinamici. Abbiamo visto che l’energia può essere scambiata tra sistemi, o tra un sistema e l’ambiente esterno, nelle due forme dette calore Q e lavoro meccanico W. Inoltre è noto dalla teoria cinetica dei gas, o più in generale dalla meccanica statistica, che un sistema qualsiasi possiede una sua energia, detta energia interna e indicata convenzionalmente con U, che dipende dal moto delle particelle, dal loro stato di legame e da altri fattori. Ad esempio ricordiamo che nel caso del gas perfetto monoatomico la sua energia interna si calcola tramite la teoria cinetica ed è data da 3 3 U = N kB T (U = n R T ) (8) 2 2 ed è quindi una funzione della sola temperatura, mentre nei casi più generali l’energia interna potrà essere anche funzione delle altre grandezze o variabili di stato. (N.B. nel caso di gas perfetto biatomico il fattore numerico vale 5/2, nel caso di gas poliatomici vale 3, poiché vi sono contributi energetici provenienti dai movimenti di rotazione delle molecole, oltre al movimento di traslazione nelle tre direzioni cartesiane degli atomi nel gas monoatomico). Enunciamo quindi il Primo Principio della Termodinamica nella forma generale: ∆U = Q − W (9) dove ∆U = U f − U i è la variazione di energia interna del sistema in esame quando avviene una qualsiasi trasformazione, Q è il calore assorbito e W il lavoro meccanico eseguito dal sistema verso l’ambiente esterno. Il bilancio energetico tra l’energia che entra sotto forma di calore e l’energia che viene persa verso l’esterno in forma di lavoro meccanico dà l’energia rimasta immagazzinata internamente nel sistema. Questo principio costituisce una sorta di generalizzazione della legge di conservazione dell’energia meccanica a comprendere anche il mondo microscopico; infatti, la legge che vale per corpi macroscopici, i quali scambiano energia tramite lavoro, viene qua allargata a comprendere gli scambi di energia sotto forma di calore (essenzialmente urti tra oggetti microscopici come le molecole), e l’immagazzinamento di energia in forma di movimento microscopico che viene misurata direttamente dalla grandezza macroscopica temperatura T, almeno per il semplice caso del gas ideale. Osserviamo che, come abbiamo visto in precedenza, il calore Q e il lavoro W dipendono dalla particolare trasformazione fatta; la variazione di energia interna ∆U è invece indipendente dal percorso, ma dipende soltanto dagli stati iniziale e finale. Quest’affermazione è di dimostrazione immediata nel caso del gas perfetto, nel quale l’energia interna U dipende solo dalla temperatura, cioè da una grandezza che specifica lo stato del sistema. Vale anche per sistemi più complessi e viene ritenuta universalmente verificata (fanno eccezione solo certi rari e particolari sistemi dotati di “memoria”). Si dice che l’energia interna è una funzione di stato, e quindi una volta specificato lo stato del sistema si conosce idealmente anche la sua energia interna. 5) Un semplice processo termodinamico: l’espansione libera dei gas Il fatto che l’energia interna di un gas perfetto è funzione della sola temperatura (vedi la formula (8)) era in realtà già stato stabilito da Joule in un suo esperimento, ben prima della formulazione della teoria cinetica dei gas da parte di Boltzmann (che diede appunto il nome alla costante k B ). L’esperimento in questione è l’espansione libera di un gas nel vuoto, e fa parte di quella serie di esperimenti fondamentali e di carattere concettuale che costituiscono le basi della Fisica, e servono a chiarire e stabilire importanti risultati. Questo esperimento si ritroverà anche quando si studieranno alcuni aspetti del secondo principio. Come si vede in figura, in un calorimetro, isolato dall’esterno e contenente acqua, vi sono due contenitori di uguale volume, connessi da un condotto con una valvola. Il contenitore A è riempito inizialmente un gas all’equilibrio termico, le cui due variabili di stato indipendenti hanno i valori VA e TA , e in particolare la temperatura è indicata dal termometro (la pressione dipende dalle altre due tramite l’equazione di stato). Il contenitore B è inizialmente vuoto. L’esperimento consiste nell’apertura della valvola: il gas si espande quindi in tutti e due i contenitori. Dopo il ristabilirsi dell’equilibrio termico una lettura del termometro del calorimetro mostra che la temperatura non è praticamente variata; anzi, per un gas perfetto si ammette che la temperatura rimanga esattamente identica. Questo significa che non vi è stato alcun passaggio di calore tra il gas e l’acqua del calorimetro, e quindi Q = 0 . D’altra parte il nostro gas non ha compiuto nessun lavoro all’esterno, perché non c’è stato nessuno spostamento meccanico di nessun pistone o parete, e quindi W = 0 . Se ne deduce dal primo principio che l’energia interna del gas è rimasta costante: ∆U = 0 ; U = costante . Nell’esperimento quindi vi è stata una variazione di volume del gas (si è raddoppiato), ma la temperatura non è variata, e nemmeno l’energia interna. Dobbiamo concludere che una variazione di volume a T costante non ha conseguenze sull’energia interna del gas, o in altre parole l’energia di un gas perfetto è funzione solamente della temperatura: U = U (T ) (T in gradi K) e questo vale per tutti i gas; per il gas monoatomico l’espressione esplicita di U (T ) è la (8). 6) Primo Principio della Termodinamica per processi di equilibrio L’esperimento precedente ha mostrato una semplice applicazione del primo principio nella sua forma “macroscopica”, cioè nella forma di validità universale in cui compaiono quantità finite di calore scambiato e lavoro fatto dal sistema. D’altra parte la trasformazione realizzata è un esempio di processo di non-equilibrio, cioè un processo che avviene in modo non omogeneo, “disordinato” e in tempi brevi (il moto delle molecole che si muovono per occupare l’altro contenitore non è certamente regolare). In questi processi, benché gli stati iniziali e finali siano di equilibrio termico e quindi con variabili di stato P,V e T ben definite e uniformi per tutto il sistema, per gli stadi intermedi non è possibile specificare una precisa temperatura o una precisa pressione. I processi di non-equilibrio hanno anche un carattere di “irreversibilità”, cioè avvengono in genere in modo spontaneo, senza intervento esterno, come si studierà approfonditamente esponendo il secondo principio. Mentre l’intervento esterno diventa necessario se volessimo far ritornare tutto il gas nel recipiente di partenza A; non ci aspettiamo certo che le molecole si muovano da sole tutte insieme per ritornarvi. Le variabili di stato P, V, T sono grandezze di tipo macroscopico e hanno senso solo se riferite a un sistema con un gran numero di atomi o molecole, come nel gas, ma omogeneo e all’equilibrio termico. Il concetto statistico di “velocità con modulo e direzione a caso” che è necessario alla teoria cinetica dei gas per ricavare l’espressione dell’energia, non è chiaramente applicabile a un insieme di molecole che si muovono da un luogo dove ve ne sono tante (il contenitore A) verso un luogo in cui ve ne sono poche (il contenitore B); solo quando si è ristabilito l’equilibrio termico, e quindi la densità (il numero di molecole per unità di volume) è ritornata uniforme si può tornare a parlare di “velocità a caso” e di statistica. In conclusione i processi di non-equilibrio non possiedono in ogni istante valori ben definiti delle variabili di stato, e quindi non sono rappresentabili Espansione libera graficamente sul piano P-V; di solito si ricorre a una linea ondulata A P irregolare che li simboleggia. Nel disegno vediamo per l’appunto • l’espansione libera di Joule a confronto con l’espansione isoterma; sono processi analoghi dato che per entrambi T è costante, e quindi •B entrambi possono iniziare e finire dagli stessi stati, ma solo per la 0 V seconda possiamo specificare i valori di P e V durante il processo. Isoterma Abbiamo però supposto tacitamente che questa espansione isoterma faccia parte di un'altra categoria di processi, e cioè dei processi che avvengono attraverso stati di equilibrio. Queste trasformazioni sono molto importanti perché in esse le variabili di stato mantengono valori ben definiti durante tutta la trasformazione, per cui valgono in ogni istante le equazioni di stato, il sistema è sempre omogeneo e virtualmente in equilibrio termico. Si può rappresentare il processo sul piano P-V, e ogni punto della curva è uno stato di equilibrio. Perché una trasformazione termodinamica avvenga attraverso stati di equilibrio è necessario che essa avvenga molto lentamente e senza perturbazioni; si tratta cioè di processi chiamati quasi-statici. Se si tratta di un riscaldamento, il calore deve essere fornito in piccole quantità (infinitesime) e ogni volta si attende il ristabilirsi dell'equilibrio. Se si tratta di lavoro meccanico sul pistone, l’aumento o la diminuzione di pressione deve essere piccolo (ad esempio aggiungendo o togliendo granelli di sabbia). Da queste considerazioni si vede anche che questi processi possiedono caratteristiche di “reversibilità”, cioè possono essere invertiti tornando alle condizioni precedenti, intervenendo con le stesse modalità con cui stavano procedendo, senza grosse perturbazioni (ad esempio togliendo o mettendo lo stesso granello di sabbia sul pistone). In realtà i processi quasi-statici sono idealizzazioni, sullo stesso piano della idealizzazione del gas perfetto, realizzabili quindi sperimentalmente con qualche approssimazione, ma sono comunque processi termodinamici reali, un potente oggetto di studio e il punto di partenza per ricavare numerosi risultati di portata generale applicabili anche per sistemi naturali complessi, fino a quelli di tipo biologico. Da quanto detto è evidente che possiamo formulare nel seguente modo il: Primo Principio della Termodinamica per processi di equilibrio (reversibili) dU = dQ − dW (10) dove dQ è la quantità infinitesima di calore assorbito, dW è la quantità infinitesima di lavoro fatto dal sistema verso l’esterno, dU è la variazione infinitesima di energia interna. Ovviamente da questa relazione tra quantità microscopiche (10) discende direttamente la relazione tra le quantità macroscopiche (9) per integrazione (cioè somma delle quantità infinitesime su tutto il percorso fatto dal sistema in una trasformazione). Il viceversa è vero solo se si tratta di processi che hanno la proprietà di essere di equilibrio e reversibili, cioè avvengono in modo quasi-statico. 7) Applicazioni del Primo Principio Consideriamo alcune semplici applicazioni del primo principio a trasformazioni termodinamiche, senza specificare se avvengono attraverso stati di equilibrio o meno perché risulta evidente dalla trattazione. La prima applicazione elementare, l’espansione libera di Joule è già stata presentata nel paragrafo 5). a) Riscaldamento di un gas a volume costante In questa trasformazione il gas è nel recipiente mostrato nella I P B B • parte; il pistone viene tenuto fermo, si fornisce calore e si osserva un aumento della temperatura da TA a TB (oltre al corrispondente aumento PA •A di pressione). Dato che dW = 0 , dal primo principio nella forma 0 microscopica e dalla formula dello scambio di calore (2) si ha: V dU = dQ = cV ⋅ n ⋅ dT (11) dove cV è il calore specifico molare a volume costante, cioè il calore specifico appropriato per questo tipo di trasformazione. Per un gas monoatomico dall’espressione esplicita della sua energia interna (8) U = 3 / 2 nRT , si ha subito la variazione macroscopica ∆U = 3 / 2 nR ∆T e la variazione microscopica (differenziale) dU = 3 / 2 nR dT (ricordiamo che l’energia dipende solo dalla temperatura T) e quindi troviamo: 3 n R dT = cV n dT 2 ⇒ cV = 3 R 2 (12) che è l’espressione del calore specifico a volume costante per tutti i gas prefetti monoatomici (non dipende dalla natura del gas, e ha quindi carattere universale, come del resto l’equazione di stato). Per gas biatomici risulta invece cV = 5 / 2 R , mentre per i gas poliatomici si ha cV = 3R ; in questi casi bisogna fornire più calore per l’aumento di temperatura specificato perché vi sono più gradi di libertà delle molecole (possibilità di movimento, vedi il principio di equipartizione). Osservazione importante: vista l’espressione esplicita (12) per il calore specifico a volume costante (e anche quelle successive) per tutti i gas perfetti possiamo riscrivere l’espressione della variazione di energia interna nella forma molto usata: dU = cV ⋅ n ⋅ dT (13) b) Riscaldamento di un gas a pressione costante In questo caso il pistone viene lasciato libero di muoversi, ma viene mantenuta costante la pressione esercitata dall’esterno; si osserva quindi un aumento di volume del gas. Il lavoro totale fatto dal gas nell’espansione si calcola come fu fatto per la formula (6); qua invece consideriamo la variazione di energia interna e applichiamo qiuindi il primo principio: P •B A• 0 VA VB dU = dQ − dW = c p n dT − P dV dove si sono usate le espressioni esplicite dei differenziali dQ e dW , con il calore specifico a pressione costante c P , appropriato per questo tipo di processo. Dalla equazione di stato PV = nRT , essendo in questo caso la pressione costante possiamo scrivere immediatamente la formula per la variazione infinitesima del volume con la temperatura, che è P dV = nR dT ; sostituendo con questa e con quella già nota di dU otteniamo: 3 n R dT = c p n dT − n R dT 2 ⇒ cP = 5 R 2 (14) che è l’espressione del calore specifico a pressione costante per tutti i gas prefetti monoatomici. Osserviamo che in tutti i casi possiamo scrivere c P = cV + R (15) che è una fondamentale relazione che connette i due calori specifici dei gas perfetti (tale relazione si dimostra subito in generale utilizzando la (13) per dU ). Il fatto che c P sia sempre maggiore di cV è presto spiegato: nel riscaldamento a pressione costante il gas impiega una parte dell’energia assorbita sotto forma di calore per effettuare lavoro meccanico all’esterno sollevando il pistone, per cui a parità di variazione di temperatura necessita di una maggior quantità di calore. All’opposto, se il riscaldamento avviene a volume costante tutta l’energia assorbita diventa energia interna. c) Trasformazioni isoterme Questo tipo di trasformazione è già stato discusso nella parte I; il sistema è mantenuto a temperatura costante T, la rappresentazione grafica è un tratto di iperbole sul piano P-V, il lavoro è dato dalla formula (7). Dato che l’energia interna dipende solo dalla temperatura, essa rimane costante: dU = 0 . Applicando il primo principio si ha dunque: dQ = dW P A • •B 0 V (Q = W ) (16) cioè tutta l’energia fornita sotto forma di calore viene impiegata per effettuare lavoro meccanico all’esterno. Questo tipo di processo, come vedremo, potrebbe quindi essere indicato per le macchine termiche, cioè per quegli oggetti il cui scopo è produrre energia macroscopica (lavoro meccanico) a partire dalla energia microscopica (calore). d) Trasformazioni adiabatiche Si chiama adiabatica una trasformazione termodinamica che avviene senza scambio di calore con l’esterno. Ad esempio, processi adiabatici per il gas perfetto nel recipiente mostrato nella I parte avvengono se il contenitore viene isolato termicamente dall’esterno (come per i calorimetri, dove avvengono pure processi adiabatici). Un altro importante caso è quando un processo avviene molto rapidamente, cioè in tempi più brevi del tempo necessario al sistema per scambiare calore; è il caso delle onde acustiche nell’aria: la vibrazione sonora (movimento ordinato di molecole) che fa aumentare e diminuire localmente la pressione dell’aria è tanto rapida da impedire praticamente ogni scambio di calore (movimento microscopico disordinato) e quindi l’eventuale dissipazione di energia che smorzerebbe presto il suono. Per un processo adiabatico si ha quindi dQ = 0 , e dal primo principio: dU = − dW ( ∆U = − W ) (17) cioè il lavoro fatto dal sistema all’esterno ( dW > 0) avviene a spese dell’energia interna che diminuisce (si ha dU < 0 ). All’opposto, se l’ambiente esterno esegue lavoro meccanico sul sistema (quindi il lavoro del sistema dW < 0 per convenzione) si ha che l’energia interna aumenta, dU > 0 ; ad esempio è questo il caso dell’esperimento di Joule volto a dimostrare l’equivalenza tra calore e lavoro. Nel caso delle trasformazioni adiabatiche di un gas ideale, usando la (13) possiamo connettere direttamente il lavoro fatto con la variazione di temperatura: (dW )adiab. = dU = − cV ⋅ n ⋅ dT Adiabatica La rappresentazione grafica di un processo adiabatico P sul piano P-V è una curva simile a una iperbole, ma più ripida, e questo è un fatto di importanza capitale per la teoria del ciclo di Carnot di cui si parlerà nelle lezioni Isoterma successive. Nel disegno osserviamo la curva rappresentativa di un processo adiabatico a confronto con 0 un processo isotermo (che per l’appunto è rappresentato V dall’iperbole PV = cost.). L’espressione esatta della funzione P(V ) che lega la pressione al volume del gas perfetto in una trasformazione adiabatica è ricavata negli Approfondimenti; si può comunque comprendere in maniera elementare l’andamento della curva. Supponendo di considerare un processo di espansione del gas, l’energia spesa per il lavoro fatto sul pistone deriva dal calore assorbito nel caso dell’isoterma, ma viene prelevata dall’energia interna nel caso dell’adiabatica; quindi in questo secondo caso la temperatura del gas si abbassa rispetto a quella, costante, del primo caso; di conseguenza la pressione tenderà ad abbassarsi ulteriormente, e la curva tenderà a scendere al di sotto della isoterma. e) Trasformazioni cicliche Nel caso che una successione di processi qualsiasi inizi da uno A P stato iniziale del sistema e finisca allo stesso stato, si dice che la • I trasformazione è ciclica. Un esempio è in figura: una trasformazione (I) porta il sistema dallo stato iniziale A allo stato B, • B II successivamente un’altra trasformazione (II) riporta il sistema in A, 0 V ma con un percorso diverso. Dato che l’energia interna U è una funzione di stato, sul ciclo completo si ha ∆U = 0 , e quindi dal primo principio (18) Q =W ( processi ciclici ) ovvero il lavoro totale fatto durante un ciclo è uguale al calore totale assorbito. Inoltre, dato che il lavoro W è rappresentato dall’area sotto la curva nel piano P-V, il lavoro totale di un processo ciclico corrisponde all’area racchiusa nel ciclo stesso, e in particolare sarà W > 0 per un ciclo percorso in senso orario, W < 0 per un ciclo percorso in senso antiorario. Infatti, come si vede dalla figura successiva che mostra il caso del ciclo orario, il lavoro totale è la somma del lavoro WI positivo (aumenta V) col lavoro WII che è negativo (diminuisce V); l’area corrispondente a quest’ultimo è negativa perché viene percorsa nel senso “sbagliato”; la somma delle aree corrisponde dunque a quella contenuta nel ciclo, che è positiva dato che l’area I è maggiore della II. Nel caso opposto di ciclo antiorario l’area nel ciclo risulterà negativa. P A P • • 0 B V A P • + • 0 WI>0 B V WII<0 = A • • 0 B V Wciclo>0 f) Cambiamenti di fase (fusione, ebollizione) Nel caso in cui si abbiano dei cambiamenti di fase delle sostanze sappiamo che la temperatura rimane costante durante l’intera trasformazione, mentre viene fornito calore dall’esterno. E’ ad esempio il caso del processo di ebollizione dell’acqua, in cui la temperatura rimane fissata ai 100 0C (al livello del mare) anche se del calore viene assorbito, e questo rimane valido fino a che tutta l’acqua non è convertita allo stato di vapore. L’energia interna della sostanza però non può rimanere costante perché, a differenza delle trasformazioni isoterme nei gas, la sostanza risultante da una trasformazione di fase è diversa da quella che lo ha iniziato. Vi è quindi una variazione di energia interna propria del cambiamento di stato, che viene attribuita in genere all’energia necessaria alla rottura dei legami tra le molecole (o all’energia rilasciata dalla loro ricomposizione nel caso del fenomeno opposto). Nel caso dell’ebollizione il primo principio si scrive dunque: ∆U eboll = Qlat − W (19) dove ∆U eboll è la variazione di energia interna propria del cambiamento di fase di una massa m d’acqua, Qlat = m ⋅ L è il calore assorbito per l’ebollizione ( L è il calore latente di ebollizione) e W sarà il lavoro fatto dal vapore acqueo per espandersi contro la pressione atmosferica, trattabile in genere come espansione a pressione costante.