indice
Introduzione
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Il progetto
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Le associazioni
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Il film
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Il questionario
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Le interviste
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Una Costituzione per tutti
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Lo Statuto dei lavoratori
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Lavorare sicuri: intervista
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introduzione
Immigrato: più che una condizione, un’etichetta, se non una prigione.
Difficile, per chi arriva da lontano, scrollarsi di dosso gli stereotipi che accompagnano la figura dello straniero e che ne fanno agli occhi di molti
l’unica caratteristica distintiva del proprio essere. Troppo forte la tendenza a dimenticare che ogni immigrato ha alle spalle una vicenda personale, unica e irripetibile; troppo comodo per alcuni continuare a ridurre l’immigrazione a questione di numeri, problemi e cifre anonime dietro cui occultare persone, volti, storie e pensieri.
Il progetto “Un mondo di lavoro”, pensato e realizzato per far conoscere il
lavoro migrante in provincia di Cuneo, ha voluto recuperare in primo luogo la dimensione personale, spesso trascurata, chiedendosi come lavorino gli immigrati ma soprattutto cosa pensino del proprio lavoro, uno dei
temi più importanti della loro situazione ma anche uno dei più scottanti
dell’attuale panorama socioeconomico.
Lo ha fatto nutrendosi del contributo vivo e reale di quante più persone ha
potuto.
Innanzitutto con la realizzazione dei questionari, frutto dell’impegno di
una cinquantina di operatori con più di quattrocento intervistati.
Poi con le interviste scritte e filmate che hanno permesso ancor di più di
dare un volto alle persone coinvolte nel progetto, facendo incontrare i loro
sguardi e le loro emozioni.
Infine completando l’intero progetto con il contributo di decine di volontari
inseriti da anni in associazioni che lavorano e vivono soprattutto di relazioni tra persone.
I risultati
Non è questo il luogo per anticipare i risultati che costituiscono il cuore
della ricerca, semplificandoli e così snaturandoli. Solo dal loro intreccio e
da una paziente opera di confronto è possibile cogliere quanto siano arti2
colati e quanta ricchezza esprimano, talvolta molto lontani da attese
e risposte precostituite.
Importante è qui sottolineare come la ricerca abbia voluto essere la più “scientifica” possibile,
valorizzando nel contempo la
voglia di partecipare e il desiderio di conoscere che ha
animato chi ha preso parte
al progetto.
L’intento è stato quello di
presentare non solo il
lavoro dei migranti e il
loro vissuto, ma anche
il punto di vista dei migranti sul
proprio lavoro, su di un lavoro che, potenzialmente umanizzante, per molti rimane
motivo di servitù e di alienazione.
Legati al lavoro, emergono altri temi altrettanto vitali: la lingua, l’accoglienza, la sistemazione, il futuro proprio e dei figli, in una rete
che si complica ma anche si districa insieme, passo dopo passo. E proprio per poter coniugare aspetti così ricchi e complessi, il progetto ha
messo insieme i questionari, le interviste, il film, le strisce di Giorgio Sommacal comparse sul giornale “Di tutti i colori”, oltre una serie di incontri sul
tema della sicurezza e dell’antinfortunistica.
I diversi contributi sono stati raccolti in questo libretto, strumento che permetterà di diffondere in modo più snello i risultati dell’indagine e di fruirne
più agevolmente.
L’auspicio è che una più approfondita e diretta conoscenza della realtà
possa ancora una volta sottrarre terreno a stereotipi e pregiudizi, offrendone di nuovo alla costruzione di una società più accogliente.
Gigi Garelli
Orizzonti di Pace
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il progetto
“Un mondo di lavoro”, progetto finalizzato a far
conoscere il lavoro migrante nella provincia di
Cuneo nella sua valenza economica e i suoi risvolti umani, comincia il suo cammino con il
paginone del giornale del febbraio 2009.
“Un mondo di lavoro”, progetto realizzato con la collaborazione ed il sostegno del
CSV Società Solidale e sostenuto da una larga serie di associazioni di tutta la
provincia, si compone di vari momenti:
- i nove paginoni del giornale che, arricchiti dalle strisce di Giorgio Sommacal,
hanno caratterizzano “Di tutti i colori” per l'intero 2009;
- il corso su antiinfortunistica e sicurezza tenutosi a Bra nel novembre, strutturato
come modulare e replicabile;
- il questionario che ha visto 406 migranti della provincia rispondere a una serie
densissima di domande a cavallo dell'estate 2009;
- il dvd. Un mediometraggio di mezzora di filmati ed animazione, regista Remo
Schellino, ad un tempo autonomo artisticamente e portatore dei contenuti e dell'ispirazione del progetto;
- il libretto, un agile lavoro di 80 pagine che ripropone i momenti più importanti di
“Un mondo di lavoro”.
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le associazioni
Hanno promosso e partecipano al progetto
“Un mondo di lavoro”
le seguenti associazioni:
A.C.L.I.,
Associazione albanese BESA
Assoc. marocchina AL SALAM
Associazione romena ACASA
Assoc. senegalese ASBARL
Associazione somala STELLA
C.I.C. (Coord. Immigrati Cuneo)
Dalla parte dell’educare (Mondovì)
Granello di Senape (Bra)
Insonnia (Racconigi)
Laboratorio teatrale ALBATROS (Alba)
MondoQui (Mondovì)
Mosaico (Bra)
Orizzonti di pace (Cuneo)
Sportello immigrati Saluzzo
Voci del Mondo (Dronero)
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il FILM
Il film di “Un mondo di lavoro”, una trentina di minuti di immagini ed animazione, è
stato girato e montato a cavallo dell'estate 2010; con l'autunno inizia l'avventura
della sua presentazione al pubblico.
L'obiettivo che ci siamo dati è semplice: dare voce ai migranti della provincia di
Cuneo. Abbiamo così intervistato 12 lavoratori (6 donne e 6 uomini) di diverse
provenienze e settori lavorativi per capire e fare capire la ricchezza e la varietà, e
anche le difficoltà, dell'immigrazione.
Nel filmato non troverete sociologi, esperti, sindacalisti e via dicendo.
Nessuna sottovalutazione di questi mestieri e competenze, ma la scelta che è
principalmente nel vissuto dei migranti ciò che ci interessa.
La musica è di Marta Pistocchi e Jovica Jovic: perchè ci piace e per la consonanza della loro ispirazione, militante e multiculturale, con la nostra.
Il film si avvale, come già nei nostri lavori precedenti, della grafica e dell' animazione di Giorgio Sommacal e Silvio Arlenghi. Non è solo perché lavorano con noi
da sempre che non ne avremmo potuto fare a meno.
La costruzione del film è stato un fatto collettivo: l'idea generale, il canovaccio delle interviste, la scelta di chi intervistare, la prima selezione del materiale girato è
stata tutta dei volontari delle 16 associazioni che hanno partecipato al progetto e
della redazione di “Di tutti i colori”.
A Remo Schellino, che ha girato il film e che ne è il regista, le scelte tecniche ed
estetiche che in ultimo fanno del film “Un mondo di lavoro” quello che è e che speriamo abbia i titoli per essere utile e piacervi.
“A disposizione”
Il miglior modo per parlare di un film è farlo vedere. Così è per il nostro “Un mondo
di lavoro”. Lo troverete nel suo cofanetto insieme al libretto; sul nostro sito
www.dituttiicolori.net (schiacciando sull'icona con la pellicola fotografica in alto a
destra dell'homepage); andandolo a vedere nelle, confidiamo numerose, serate
in cui verrà presentato al pubblico.
Se volete riceverne una copia e/o collaborare direttamente alla diffusione e alla
discussione del film potete richiederlo direttamente alla redazione del giornale “Di
tutti i colori” o alle associazioni che hanno dato vita al progetto. Oppure anche
scrivendo alla mail [email protected]
Il dvd, come tutta l'attività che svolgiamo, è un prodotto di servizio.
E' dunque gratuito, è un progetto realizzato con la collaborazione ed il sostegno
del CSV Società Solidale e a disposizione per chi lo voglia per uso anche pubblico, per nostra scelta. Chiediamo solo di darcene preventiva informazione e di citare la fonte.
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il questionario
Un progetto di ricerca come “Un mondo di lavoro”, che si propone di conoscere e
far conoscere i migranti che lavorano in provincia di Cuneo, ha dovuto necessariamente dotarsi di uno strumento di indagine capace di fornire una serie ampia di
dati analizzabili statisticamente, quale è un questionario.
Certo il questionario dà solo dei risultati numerici la cui interpretazione è sempre
discutibile e non esaurisce la conoscenza dell’argomento, ma ci è stato tuttavia
utilissimo.
Per i dati che abbiamo ricavato, e che proponiamo ai lettori, ma ancor più per la
rete di attività e relazioni che ci ha permesso di intrecciarein tutta la provincia: tra
immigrati, di tutte le provenienze nazionali e settori di lavoro, tra immigrati ed italiani, tra associazioni.
I 406 questionari raccolti
Il questionario è stato distribuito nelle principali aree della provincia di Cuneo cercando di dare conto delle differenti provenienze, tipologie di lavoro, storie personali. Obiettivo: fotografare il più fedelmente possibile la realtà provinciale del lavoro migrante.
Ci siamo sostanzialmente riusciti mobilitando un plotone di una cinquantina di rilevatori volontari opportunamente formati, metà dei quali migranti, con il supporto
di ben 16 associazioni operanti in provincia.
Il risultato è stato di ben 406 questionari, anonimi e in busta chiusa, compilati tra
l’estate e l’autunno 2009.
Hanno risposto migranti di 33 diverse nazionalità che risiedono nei comuni di Alba, Bra, Canale, Cavallermaggiore, Cuneo, Dronero, Fossano, Mondovì, Novello, Racconigi, Savigliano, Saluzzo. Di essi il 48% donne e il 52% uomini.
A partire dalla tabulazione dei risultati abbiamo poi discusso e condiviso questa
sintesi che vi presentiamo e con la quale cerchiamo di mettere a fuoco tratti distintivi, opinioni, pratiche che emergono dalle risposte degli intervistati.
Le sezioni del questionario
Il questionario si compone di cinque sezioni da cui si sono rilevate le seguenti informazioni:
la crisi economica: le opinioni dei migranti e i riflessi sulla loro vita lavorativa e di
relazione; le opinioni sul sindacato.
Il paese di origine: gli studi e il tipo di formazione professionale; il lavoro svolto
l’Italia: il perché dell’immigrazione; le condizioni di lavoro (lo specifico contesto
lavorativo e quindi la posizione contrattuale, i rapporti con i propri compagni, con il
datore di lavoro, la sicurezza sul lavoro); la lingua italiana; le rimesse
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il futuro: le aspettative e le previsioni
Non era possibile, con le sole nostre forze, compiere un’analisi scientificamente
esauriente per numero e tipologia di questionari raccolti, ma il campione è già di
per sé significativo e quindi crediamo che i risultati ottenuti abbiano un discreto valore probatorio e statistico e un’alta attendibilità, tenuto conto anche delle modalità con cui si sono
rilevati i dati (per rispondere alle 54 domande
proposte si impiegava circa mezz’ora facilitati
più che da intervistatori da veri e propri “mediatori culturali”).
La crisi
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La percezione. IIniziamo da un primo blocco
di domande, caratterizzate dalla lettera A, che
mettono a fuoco come i migranti vedono la crisi
e come essa abbia inciso sul lavoro, sulla vita
propria e su quella delle famiglie.
Sembra che vi sia un certo ritardo nella comprensione della gravità della crisi (il
35% ne sa poco o niente anche se ne sente parlare, dato che aumenta se consideriamo solo le donne), non si riesce a identificarne le cause e benché essa cominci a mordere (siamo
nell’estate 2009 e già
l’11% degli intervistati ha
perso il lavoro) non sembra esservi un’adeguata
preoccupazione (il 46%
pensa che la situazione
migliorerà, il 30% la considera addirittura un’opportunità), parecchi si affidano principalmente alle misure che il governo
dovrà intraprendere.
La prospettiva. C’è comunque anche la volontà di un impegno nella ricerca di soluzioni collettive alla
crisi, sembra quasi che si attenda di essere chiamati alla partecipazione, ma non
è trascurabile la risposta di darsi da fare individualmente.
Il posto di lavoro. La minaccia di perdere il lavoro, e con esso lo stesso permesso di soggiorno, non sembra essere percepita in tutta la sua gravità, ciò forse perché nell’estate 2009 non era ancora così evidente l’entità della crisi economica in
atto.
Il ritorno. Interessante poi il dato del 33% degli intervistati che ritornerebbe al
paese di origine se aiutato economicamente, da notare che questo dato scende
al 26% tra le donne
(ogni quattro donne che hanno risposto a questa
domanda tre non
tornerebbero) facendo pensare ad
una specifica motivazione alla permanenza in Italia
legata alla condizione di vita della
donna.
I lavoratori italiani. Alla domanda se negli ultimi mesi, quelli già colpiti dalla crisi
economica, fosse cambiato qualcosa nell’atteggiamento dei lavoratori italiani nei
confronti degli immigrati un 42% denuncia peggioramenti, il 46% non nota cambiamenti e solo il 9% intravede miglioramenti e atteggiamenti solidali.
Il sindacato. Una specifica domanda riguardava la percezione del sindacato:
questo è apprezzato come organizzazione cui fare riferimento per la tutela dei diritti e gode di un discreto grado di fiducia; non è da sottovalutare però che la maggior parte degli intervistati si sia detta favorevole ad un sindacato dei migranti.
Il paese di origine
Nel secondo blocco di domande, identificate con la lettera B, si indaga sul paese
di origine: gli studi e il tipo di formazione professionale, il lavoro svolto, il perché
dell’immigrazione.
La scolarizzazione. Il dato che risulta più evidente è il livello medio-alto di scolarizzazione dei migranti: il 56% ha frequentato più di 10 anni di scuola ed è in possesso di diploma di scuola media superiore o di laurea (quest’ultima incide per il
16% del totale, poco meno del livello italiano); in ogni caso il 61% ha avuto un percorso di formazione o di apprendistato nel proprio paese.
Spreco di risorse intellettuali. Questi dati fanno riflettere sulla condizione lavorativa dei nostri migranti e sulle loro difficoltà di migliorare la propria condizione
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anche economica grazie al livello
di scolarizzazione e di competenza professionale.
Di nuovo per la mobilità sociale
nella società e sui luoghi di lavoro
più che il merito sembrano contare le condizioni di origine, la raccomandazione, la fedeltà, quando non l’asservimento ai desiderata del datore di lavoro.
Fa riflettere anche la sfasatura tra titoli di studio e lavoro effettivamente svolto (del
resto in misura minore tipica di tutta la società italiana): uno spreco di risorse intellettuali che sembra essere la cifra dell’attuale sistema economico-sociale.
Il lavoro (insoddisfacente) nel paese d’origine. Peraltro i nostri migranti anche
nel paese di origine svolgevano lavori non coerenti con gli studi effettuati (il 22%
non ha risposto a questa domanda) ed il salario ottenuto era considerato insufficiente per sé e la famiglia (per il 53% degli intervistati, ma anche in questo caso il
23% non risponde alla domanda).
Questi i settori lavorativi in cui erano inseriti (in ordine decrescente): servizi pubblici (scuola, ospedali, ecc.), agricoltura, industria, artigianato e commercio.
La maggior parte erano dipendenti, con contratti a tempo indeterminato (42%),
ma molti di essi anche senza contratto (31%).
In Italia
Passiamo ora ad esaminare il perché della migrazione e la situazione lavorativa
in Italia, definita dalle domande contraddistinte con la lettera C.
Il perché della migrazione. Abbiamo indagato in primo luogo le motivazioni che
hanno indotto gli intervistati ad emigrare e alla domanda C6 “Che cosa ti ha spinto a venire in Italia?”, avendo una sola risposta a disposizione, il 26% ha risposto
di aver cercato di
migliorare la propria vita, il 20%
che aveva un lavoro mal pagato, il
16% che non trovava lavoro nel
suo paese, il 12%
che intendeva migliorare la vita dei
suoi famigliari, il
12% di aver voluto ricongiungersi
con il coniuge e con i figli.
Alla domanda C7 “Qual è stata la tua impressione nel primo anno della tua vita in
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Italia?” il 60% ha dato una risposta negativa; i primi aiuti per l’inserimento nella
nuova realtà si sono avuti prevalentemente da famigliari o amici connazionali (domanda C8).
Mobilità. Quanto al lavoro si evidenzia subito che ben il 64% degli intervistati ha
cambiato tipo di lavoro in Italia, e anche più volte (il 55% fino a tre volte, il 45% anche più di tre volte).
Una mobilità così alta da un lavoro all’altro conferma che la maggior parte dei migranti è impiegata in lavori a bassa professionalità o anche suggerisce che sia in
costante ricerca di posizioni lavorative migliori.
Precarietà. Al di là della mobilità, se consideriamo la condizione di occupato che
gode di un salario accettabile come elemento prioritario delle proprie condizioni di
vita, vediamo che è invece la precarietà a farla da padrona: il 67% dichiara di aver
attraversato periodi di disoccupazione, il 52% degli occupati di dover svolgere un altro lavoro per il
sostentamento della famiglia (che questa viva in
Italia o nel paese di origine). Un quinto degli intervistati poi è disoccupato
al momento della rilevazione.
Un lavoro abbastanza
adeguato. Entrando più nello specifico della situazione lavorativa, gli intervistati
dicono di aver trovato un lavoro subito (il 33%) o entro un anno dal loro arrivo in Italia (il 50%); il 56% ritiene il lavoro che fa adeguato alla propria istruzione o formazione professionale anche se la maggior parte (83%) ha dovuto cambiare settore
di lavoro rispetto a quello esercitato nel paese di origine.
Da notare. C’è una certa incongruenza nelle risposte quando viene chiesto se
l’attuale occupazione consenta di vivere bene, e la risposta è per il 58% positiva,
e contestualmente si chiede se la stessa costringa a fare un altro tipo di lavoro e la
risposta è ancora per il 52% affermativa.
Le competenze acquisite. Alla domanda che chiede se le esperienze lavorative
fatte in Italia abbiano migliorato la formazione professionale quasi il 70% risponde
affermativamente ed infine alla domanda “pensi di avere adesso più competenze
anche in settori tecnologici più avanzati come l’informatica o l’elettronica” il 50%
degli intervistati risponde affermativamente.
Tipo di contratti. Al momento dell’intervista questi lavoratori immigrati avevano,
per il 47% contratti a tempo indeterminato, il 23% a tempo determinato, l’8% contratti atipici. A conferma sull’estensione anche nelle nostre zone del lavoro nero il
il 20% di coloro che hanno risposto lavorava senza alcun contratto.
Rapporti sul lavoro. Quanto ai rapporti sui luoghi di lavoro il 71% dichiara di avere una buona relazione con il datore di lavoro, il 60% altrettanto con i colleghi; in
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ultimo il 58% (vale qui il discorso del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto) degli
intervistati dichiara di non essere stato trattato male perché straniero.
Sicurezza. La domanda C26 riguarda la sicurezza sui luoghi di lavoro, aspetto
non secondario visto che tra gli infortunati l’incidenza è maggiore per i lavoratori
stranieri (dati Inail). Il 58% dichiara di essere stato informato dall’imprenditore sui
rischi e pericoli che possono incorrere
sui luoghi di lavoro e di avere a disposizione i mezzi di protezione individuale. Il
45% ritiene di essere sottoposto a ritmi di
lavoro molto elevati. Il 19% ha subito infortuni sul lavoro di durata superiore a tre
giornate, ma, di rilievo, il 60% degli infortuni non sono stati denunciati. Meno della
metà di chi ha risposto non è al corrente della possibilità di rivolgersi all’ASL per il
controllo di eventuali malattie professionali.
Conoscenza della lingua italiana. Tre domande – C9, C10, C11 – indagano sulla conoscenza della lingua italiana, fattore essenziale per l’integrazione: gli intervistati ritengono che il loro livello di conoscenza sia discreto benché l’italiano non
sia parlato in famiglia, ma solo nei contesti sociali. Buona parte degli immigrati ha
frequentato corsi di italiano, ma anche corsi di formazione professionale in Italia.
Questi ultimi, però, si sono rivelati poco utili per trovare lavoro (solo per il 33%).
Le rimesse. Altro elemento considerato sono le rimesse degli emigranti: a fronte
di un’alta percentuale di intervistati che non ha risposto in merito (il 45%) la più
parte dichiara di inviare al proprio paese fino a 100 euro mensili (il 47%), il 34% fino a 200 euro mensili, somme modeste ma che in molti casi si rendono vitali per
trattenere altra emigrazione, notevole il livello di rimesse inviato dalle badanti.
I parenti. La domanda C21 indaga su come i parenti e i famigliari rimasti nel paese di origine percepiscano la vita dei migranti in Italia: in generale essi conoscono
il reddito e il tenore di vita dell’emigrato e sanno anche che il suo tenore di vita in
Italia non è certo idilliaco ed è peggiore di quanto egli dica.
Il paragone. Rispondendo ad un’ultima domanda di questa sezione riguardante
le differenze delle condizioni di vita prima dell’emigrazione ed attuali viene dichiarato un leggero miglioramento.
Il futuro
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Nella sezione D viene chiesto all’emigrato di prefigurare le sue condizioni future.
Perché si vuole rimanere. Il 56% di coloro che hanno risposto vede il suo futuro
in Italia, avendo come principali motivazioni le sorti della famiglia, ovvero perché
pensa che i figli avranno più chance in Italia e perché ormai la sua famiglia si è
stabilita qui.
In secondo piano le motivazioni legate al lavoro, più soddisfacente e meglio pagato, o all’inserimento sociale o all’impossibilità di un futuro soddisfacente al proprio paese.
Perché si vuole tornare. Se viceversa l’immigrato dovesse ritornare al proprio
paese ciò dipenderebbe ancora dai legami famigliari e in seguito il richiamo alle
proprie radici, oppure perché con i guadagni ottenuti si è costruito una casa nel
paese di origine, o perché sente il peso delle discriminazioni. Ultima come motivazione la migliorata la situazione economica del proprio paese e l’impossibilità
di trovare lavoro in Italia.
Ringraziamenti
In un lavoro così lungo e complesso, al limite delle nostre possibilità (come è stato il questionario sul lavoro migrante) se ci si mette a ringraziare chi in un modo o
nell’altro ha dato una mano non si finisce più e si va a riempire la pagina.
Lo facciamo dunque con un grazie collettivo e uno ancora più speciale ad Enrico
Allasino, Francesco Belgrano e Angelo Brizio senza le cui competenze ed attività
il questionario non sarebbe stato possibile.
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le interviste
I nuovi
cittadini
voglia di lavoro
voglia di futuro
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Alban Mesi, sociologo (Albania)
Un rapporto sereno
con le sue appartenenze multiple.
Quando sei venuto in Italia?
Sono arrivato in Italia, e precisamente a Cuneo, nella metà
del 1995 e quindi vivo in Piemonte da 15 anni.
Mi puoi descrivere il momento in cui hai lasciato il tuo
paese?
Ricordo il giorno di partenza, un giorno d’aprile, grigio e piovoso, ma ancor meglio ricordo il mio stato d’animo, tra il melanconico per ciò che lasciavo e il curioso per quello che mi aspettava nel nuovo mondo. L’urgenza di quegli anni in Albania era
proprio quel «passaggio ad Ovest» che nessuno sapeva bene come immaginarsi.
Guardavamo con grande fiducia al futuro, anche perché dal 1991 il processo di
apertura avanzava senza contraccolpi ed il clima di continuo cambiamento che si
respirava nel paese generava ottimismo nei processi di democratizzazione.
Quali sono state le ragioni che ti hanno spinto ad emigrare?
La motivazione iniziale è stata quella di un lungo corso di formazione professionale, sponsorizzato da un’associazione di volontariato internazionale cuneese, al termine del quale sarei rientrato in Albania per mettere a frutto le conoscenze acquisite. Il mio progetto invece ha già subito un ripensamento con le contestazioni e la
violenza esplosa in seguito alle elezioni presidenziali albanesi del 1996, occasione
in cui ho avuto modo di disilludermi del fatto che una fine non traumatica del regime
comunista potesse rappresentare una promessa di stabilità incontrastata in così
pochi anni. Tuttavia la decisione definitiva di rimanere in Italia è arrivata con il crollo
delle società piramidali, nel 1997, che si trascinarono dietro il mito dell’arricchimento facile e condussero il paese sull’orlo di una guerra civile. In questo la mia storia
migratoria è simile a quella di tanti miei connazionali per i quali il trauma vissuto con
lo scoppio di quella nefasta crisi politica e sociale significarono la definitiva perdita
di fiducia di un futuro migliore in Albania e fornirono la spinta a lasciare il paese non
solo per motivi economici ma anche per ragioni di sicurezza.
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Come ti è sembrata l’Italia, che impressione ti ha fatto?
Ho amato questo paese sin dalla prima volta in cui vi ho messo piede e in questi
quindici anni non ho mai cambiato idea. È stato per la sua ricchezza paesaggistica, artistica, culturale e umana. Ciò non mi ha impedito tuttavia di cogliere anche
gli aspetti più problematici, come per esempio l’eccessiva frammentazione e il
debole senso dello Stato, fino alle paure e alle incertezze del presente, condizione che l’Italia condivide con altre società occidentali.
Come definisci il tuo Paese prima degli anni ’90?
Sono nato negli anni ’70 per cui la mia formazione primaria e secondaria è avvenuta all’interno di quell’ambiente culturale chiuso, etnocentrico, omogeneo ed
omologante che era l’Albania sotto il sistema politico totalitario. Non posso infatti
non pensare all’Albania di quegli anni senza associarle l’immagine dei bunker
sparsi ovunque nel paese che rendevano l’idea della psicosi di accerchiamento
portata avanti con la politica isolazionista del regime comunista. Certo, c’erano
anche alcune sicurezze sociali ma il prezzo che i cittadini dovevano pagare in termini di libertà in un siffatto sistema era enorme.
Perché hai scelto l’Italia per emigrare?
In un certo modo si può dire che sia stata l’Italia a scegliere me: da piccolo mio
nonno mi raccontava dei tanti viaggi fatti in gioventù nel Belpaese, dei miei familiari vi avevano dei parenti per cui erano a contatto anche con degli aspetti materiali di questo paese, la musica che ascoltavo (spesso di nascosto) era italiana,
così come una parte delle mie letture; le mie prime esperienze lavorative in Albania sono state fatte con degli italiani grazie ai quali ho avuto una socializzazione
alla cultura e alla società italiana, mediata non soltanto dalla televisione ma dalla
conoscenza diretta.
Come ti ha cambiato la tua esperienza migratoria?
Partendo dal presupposto che probabilmente sarei cambiato comunque, considero che gli anni vissuti in Italia hanno avuto il significato di una grande esperienza culturale che mi ha dato l’opportunità di conoscere e di sperimentare le condizioni di vita in un paese occidentale. Da questo punto di vista valuto positivamente il potenziale emancipatorio dell’immigrazione che, a partire dagli anni ’90, ha
dato agli albanesi la possibilità di definire autonomamente la loro identità nel confronto con individui appartenenti ad altre realtà culturali rompendo con gli schemi
della precedente costruzione identitaria fondata sull’epica nazional-comunista e
sulla retorica romantica ottocentesca del primato della razza.
Ti costa sofferenza star lontano dal tuo paese? Cosa hai in cambio dal vivere qui?
Anche se un po’ “forzata” all’inizio, la decisione di vivere in Italia è stata una mia libera scelta, ricercata e conseguita in modo del tutto naturale, che non mi ha provocato nessun tipo di sofferenza o di rimpianto, oltre al patimento del distacco dai
luoghi e dalle persone care. Complice anche i tanti anni di residenza, ormai per
vari motivi mi sento appartenere alla società in cui vivo, e con cui largamente mi
identifico, per quanto riguarda le abitudini, le aspirazioni e lo stile di vita. Nondimeno ciò non mi impedisce di continuare a fare riferimento alla cultura del mio
paese di origine per valori come l’ospitalità, l’amicizia, il rispetto e la parola data.
Ti sei laureato con ottimi risultati discutendo un tema che parla di immigrazione.
Si. Ho colto l’occasione per dare un contributo, con la mia modesta esperienza
pratica e teorica, alla conoscenza del percorso di integrazione seguito dai migranti albanesi nella realtà comunale dove vivo, Cuneo, una delle prime ad averli
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ospitati negli anni Novanta, e dove oggi rappresentano la comunità straniera più
numerosa. Attraverso i racconti di alcuni di loro ho cercato di descrivere qual è
stato il “prezzo” sostenuto e come è considerata l’integrazione raggiunta dopo un
percorso che ha dovuto scontare anche pregiudizi ed incomprensioni. Vicende a
volte dolorose, frutto di mille difficoltà e problemi incontrati in questi anni, ma raccontate con dignità e, nella maggior parte, con una punta di orgoglio per i risultati
positivi ottenuti grazie alla tenacia e allo spirito di adattamento. Come altri studiosi del fenomeno migratorio ritengo infatti che il percorso che ha portato la comunità albanese a passare dalla qualifica di “cattiva collettività straniera” per eccellenza, ad una prospettiva di integrazione auspicabile anche per gli altri immigrati, rimane un caso di riflessione esemplare sulla strategia fuorviante della ricerca di
capri espiatori per risolvere le incertezze e le preoccupazioni a cui porta la diffusa
precarietà economica e sociale delle nostre società.
Secondo te, come devono vedere i giovani di oggi l’immigrazione?
Sono convinto che dall’incontro con l’ “altro” generato dai flussi migratori si possa
costruire una prospettiva culturale più interessante, migliorata dal contributo di altre culture. Questa si trasmette o si insegna alle nuove generazioni attraverso un
alto grado di fiducia nella propria comunità, come presupposto di un atteggiamento di apertura e di sicurezza nella capacità di integrare altri individui al suo interno.
Mi pare che non ci sia niente del genere oggi tra larghe fasce della società italiana,
all’interno della quale prevale la tendenza di trovare un capro espiatorio per ogni
problema che la affligge sostenuta dal clima di allarme sociale costruito dall’uso
strumentale della paura e del tema della “sicurezza” per cinici calcoli elettorali da
parte di singoli e di intere formazioni politiche. Qualche speranza viene dal mondo
della scuola ma per ribaltare il senso comune sull’immigrazione serve una campagna stabile, con mobilitazioni e iniziative a tutti i livelli, per dare la parola agli immigrati e provare ad affermare l’idea che il vero pericolo oggi per la sicurezza delle
città italiane è rappresentato da un razzismo strisciante e crescente.
L’integrazione: quale parte della tua vita e del tuo carattere è più italiano o
più albanese?
Ottenendone la cittadinanza, ho promesso fedeltà allo Stato italiano e non mi sarà difficile mantenere la parola, vista l’esperienza e l’affetto che mi lega all’Italia
che è il Paese dei miei studi, della mia formazione, crescita personale e professionale. Tuttavia sono altrettanto riconoscente al mio Paese natale per tutto quello che mi ha potuto dare e trasmettere, che è sempre vissuto da me come ricchezza. Il rapporto sereno che ho con le mie appartenenze multiple è stato frutto
di una maturazione avvenuta con il passare degli anni, e che mi ha fatto capire
che la mia “salvezza” non sarebbe mai potuta venire dallo schierarsi con una cultura o un’identità contro un’altra, ma dal rispetto dei valori di ciascuna senza però
lasciarsene imprigionare.
(a cura di Leonora Memia, febbraio 2010)
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Tutte le storie a fumetti pubblicate su questo libretto sono state scritte da Gianni Audisio e
disegnate da Giorgio Sommacal.
Fadil R., agricoltore (Kosovo)
l’emigrazione come via d’uscita
alle sofferenze della guerra.
Molte sono le cause che portano alla scelta dell’emigrazione. Emigrare vuol
anche dire cercare un momento di pace. Questo mi dice Fadil, emigrante di
origine albanese venuto dal Kosovo-Drenica. La guerra è come un virus che
colpisce tutti, innocenti e non, e solo quando finisce si capiscono veramente i danni che ha provocato. Incontro Fadil come al solito alla domenica, la
passeggiata di fine settimana dove lui incontra tanti suoi amici connazionali
e dove si parla un po’ di tutto.
Come era la tua vita in Kosovo? Quali sono le cause della tua emigrazione?
Sono venuto in Italia nel 2002, dopo la guerra. In quegli anni si faceva molta fatica
a restare in piedi. La guerra nella mia città natale, Drenica, ha lasciato molte sofferenze. E’ stato distrutto tutto, si vedevano solo le macerie delle case bruciate,
qualche animale e la gente che cercava i famigliari. Questo era il panorama del
mio paese al momento della mia decisione di emigrare in Italia. Dopo la guerra
era molto difficile rimediare in qualche modo ai danni e fare una vita normale. I
giovani emigravano tutti. Davanti avevamo una situazione economica molto difficile e le possibilità di ricostruire la casa erano zero. Sono venuto in Italia perché
avevo dei parenti che vivevano qui a Canale, vicino ad Alba e ho scelto questo
paese. Appena sono arrivato, il paese mi è piaciuto molto. Era tranquillo, bello ed
è stato come una terapia per me. Perché avevo tanto bisogno di stare in un posto
cosi, dove non vedevi case bruciate, gente traumatizzata, e caos. Ero molto contento che alla sera si dormiva tranquilli senza sentire i pianti delle donne che avevano perso i figli o i mariti nella guerra. Però nello stesso tempo mi dispiaceva che
con me non ci fosse la mia famiglia, perché emigrare insieme a loro era molto difficile e costoso.
Adesso in Italia com’è la tua situazione di lavoro e di vita?
Adesso sto benissimo. Ho cominciato subito a lavorare nell’agricoltura. E’ un lavoro che mi piace e mi sento bene anche economicamente. Mi piace fare questo
lavoro e nello stesso tempo sono riuscito a risparmiare per migliorare la vita della
mia famiglia in Kosovo. Mi sono rifatto una casa. Tre anni fa sono riuscito a far venire anche la mia famiglia e sono molto contento. Cosi anche loro possono provare come ci si sente ad essere tranquilli. Mia moglie ha cominciato a lavorare, mio
figlio va a scuola e gli piace moltissimo la compagnia dei suoi nuovi amici. Adesso
si vive con più serenità, e purtroppo al mio paese ancora si sente la disperazione
di tante persone, e da questo lato mi sento molto fortunato.
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Dove vedi il futuro qua o in Kosovo?
Gli anni della transizione in Kosovo si sentono ancora. Anche se dopo l’indipendenza tante cose sono cambiate. La vita politica ed economica in questo anno
sono migliorate. Veramente in Italia ho ritrovato la serenità che ho tanto voluto da
anni, ma il legame affettivo con il mio paese è molto forte. Nel mio paese ho tutti i
miei parenti e sento molto la loro mancanza. Nei prossimi anni penso di tornare di
nuovo a vivere là, quando avrò una situazione economica più stabile. Qui ho imparato tante cose, soprattutto come migliorare la produzione per le mie terre, e
cosi credo che riuscirò a vedere un futuro laggiù, insieme alla mia intera famiglia.
L’Italia sarà un bel ricordo di una vita che si può migliorare, e anche di un bel paese che mi ha ospitato.
L’indipendenza del Kosovo è un giorno di festa per voi. Come ti senti?
Il 16 settembre del 2008 è stato il giorno dell’indipendenza e nello stesso tempo il
giorno più bello della mia vita. Ho potuto vedere il mio paese indipendente e questo per un popolo che ha sofferto tanto nella sua storia vuol dire moltissimo. Non
ho potuto andare in Kosovo, però non mi sono staccato tutto il giorno dal televisore per vedere in diretta tutto quello che succedeva là. Un modo questo anche
per essere vicino ai miei parenti. Li chiamavo molto spesso per fare a tutti gli auguri. Anche quest’anno il ritmo dei festeggiamenti è uguale. E’ festa in ogni casa
albanese che vive dentro o fuori dal suo territorio.
Il tuo messaggio per tutti quelli che oggi sentono che il Kosovo è indipendente?
Il Kosovo è ormai uno Stato, il più nuovo dei Balcani. Finalmente c’è la possibilità
di avere un’opportunità di governare. Questa nuova realtà deve essere conosciuta da tutti, questa è una possibilità che si dà a un popolo di vivere una vita nella
sua casa. Ed è l’augurio che i Kosovari fanno a tutti i popoli del mondo che lottano per la loro indipendenza.
(a cura di Leonora Memia, febbraio 2009)
Le tranquille colline intorno a Canale
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Hafidha E., casalinga (Marocco)
...una vita affrontata senza paure...
Hafidha viene da Casablanca, ha una laurea in storia e un’altra mezza laurea in geografia. Nel 1998, ha raggiunto il marito emigrato in Italia nel 1991.
Oggi ha 38 anni e tre bambini, tutti e tre nati in Italia. Vorrei conoscere qualcosa della vita di Hafidha nel suo paese di origine e capire perché adesso la
sua vita è in Italia. Mi risponde con molta chiarezza.
Ho cercato un’occupazione in Marocco, ma non ho trovato niente, né l’insegnamento, né un lavoro da impiegata, niente. Allora mi sono sposata. Mio marito era
già in Italia, mi sono detta .. magari là trovo qualcosa da fare. Ma devo dire che
neanche qui ho mai trovato un vero lavoro, a parte qualche lavoretto, niente a che
fare con quello che avevo studiato. ... perché io adesso mi sento molto lontana
da quello che ho studiato, ho dimenticato molte cose, se almeno avessi trovato
un lavoro, continuerei a cercare, a imparare di più.
Parliamo di quello che potrebbe fare qui in Italia, per valorizzare le sue competenze, specializzarsi in italiano, prendere altri diplomi.. adesso che i bambini sono grandicelli e vanno a scuola ..
Certo, mi piacerebbe. Qualche mese fa ho aiutato una maestra italiana che insegnava italiano alle marocchine, mi piaceva, l’aiutavo, facevo quel lavoro che chiamate “mediazione culturale”, e lo sapevo fare perché conoscevo la lingua e le abitudini di quelle signore .. sarebbe bello.. e costerebbe meno, piuttosto che far venire una mediatrice da chissà dove, magari da Torino…perché non chiedono a noi
laureate che siamo in Italia da tanti anni e conosciamo sia l’Italia che il Marocco…
Le chiedo di parlarmi di suo marito. Perché è venuto in Italia? Cosa fa adesso? Sarebbe contento se lei lavorasse fuori casa, adesso che i bambini sono un po’ cresciuti?
Certo, sarebbe contento. Mio marito mi ha sempre dato tutta la libertà, mi diceva
“se vuoi ancora restare in Marocco, se magari trovi qualcosa qualche lavoro che
ti piace, che tu possa fare …”. Lui è venuto in Italia per provare, già lavorava in
un’officina e faceva il saldatore, e poi è andato a lavorare in una fabbrica di Casablanca che si chiama “Volvo”. Non è la povertà che ci ha portato in Italia, sono altre cose…. Per esempio è come sei trattato, perché in Marocco non hai tanta libertà, non c’è tanta democrazia , anche quando non ti piacciono certe cose non
puoi dirlo pubblicamente, non sai mai... sentiva che c’erano tanti ragazzi anche
vicini di casa che parlavano bene dell’Italia.. Per questo siamo venuti. Sai, lui in
Italia ha fatto, come dite voi, “la gavetta”, ha cominciato a raccogliere la frutta, poi
un altro lavoro in fabbrica, poi ha trovato un buon lavoro in una fabbrica di Savi24
gliano, e poi la fabbrica l’ha mandato a lavorare in Cina e lui ha dovuto accettare.
Il contratto in Cina scadrà a dicembre, speriamo in bene per dopo …
Parliamo della crisi, della cassa integrazione, delle fabbriche che chiudono.
Ma Hafidha è sorridente e fiduciosa, non si scoraggia. Le chiedo della sua
famiglia, i ricordi, la nostalgia..
I miei genitori erano contadini, vivevamo in campagna, poi siamo andati ad abitare a An-Nasiyy, il quartiere popolare di Casablanca. Ero l’unica femmina di sette
fratelli, e la più piccola, ero molto coccolata. Mio padre è morto quando ancora
studiavo, un grande dispiacere. Il più grande dispiacere è stato la morte del mio
fratello maggiore. Io ero già in Italia. Ha avuto un infarto. per strada, stava tornando a casa, è mancato per strada, a due passi da casa...è mancato. Due anni fa.
Ero l’unica per lui..sì, è stato un dolore enorme... Poi mia mamma è stata male
dopo di lui, e 9 mesi dopo la sua morte è mancata anche lei. È stato un anno doloroso, sono andata due volte in Marocco.. Dopo pranzo mi hanno chiamato “tuo
fratello è mancato! Cosa vuoi fare, vuoi venire?”, sono stata malissimo, volevo
andare, ma non c’era nessun viaggio a quell’ora lì che potessi prendere e allora
ho deciso di non partire e sono andata dopo, dopo il funerale, sono arrivata e non
ho più trovato...lui, non c’era più niente, no? Poi dopo 9 mesi, è stata male mia
madre e poi è mancata anche lei. Lui ha lasciato sua moglie e sei figli. Tutti sono
in Marocco, sposati, tutti vivono nei dintorni di casa, lavorano tutti, nessuno di loro
ha mai avuto idea di venire in Italia, nessuno ha mai provato, anche a venire con
le barche, sai come fanno tanti ragazzi ora, che rischiano la vita, no loro no hanno
tutti un lavoro normale, non è che guadagnano chissà cosa, ognuno fa qualcosa
e cerca di aiutare un po’ la famiglia, quello che basta per vivere...basta.
Vuoi dire che nel tuo Paese c’è più solidarietà in famiglia? Ma che cosa non
ti piace del tuo Paese?
Te l’ho già detto, non ti senti libero, non mi piace l’ambiente, l’arroganza del potere. E poi, quello che mi da’ fastidio nel mio paese è che se devi andare all’ospedale, devi fare la coda mezza giornata, poi entri e magari vieni trattata male, anche se sei malata, e se vai in Comune per fare un documento, uno ti manda dall’altro, l’altro dall’altro...quello che mi dà tanto fastidio nel mio Paese non è la povertà…. è il trattamento e il comportamento dei responsabili che mi manda in bestia... e non è che le cose stiano cambiando; anche per fare un documento, tu devi dare soldi. Io di fronte a quelle cose mi sento malissimo, non riesco a dir niente
e poi se dici qualcosa la gente che aspetta come te, non parla, sei tu la cattiva che
maltratta gli impiegati e ti tocca aspettare, magari anni...E poi in Marocco abbiamo una cosa, abbiamo i ricchi ricchi e poi i poveri che sono proprio per terra. Non
abbiamo un equilibrio.
Come in Italia, no? Ma qui cos’hai trovato di diverso, Hafidha? Cosa ti
aspettavi dall’Italia?
Ciò che mi piace qui in Italia...è una tranquillità, per esempio, vuoi prendere un
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appuntamento in ospedale, chiami e vai, prenoti dal medico. ci sono delle cose
belle, qui in Italia, il pronto soccorso, l’ospedale, anche la scuola,... mentre questo problema, nei paesi poveri, nei paesi africani, questo problema di trattamento, se uno ha un posto di responsabilità tratta gli altri male...Noi abbiamo lasciato
il Marocco anche per questo... Ecco, quello che non mi sarei mai aspettata è che
anche qui in Italia ci fosse così tanta gente povera, che ancora vive nelle baracche e non in case a posto. Fino a che non sono stata qui immaginavo che le baracche fossero solo nei paesi del Terzo Mondo, così come i ragazzi che non hanno lavoro. E non mi aspettavo neppure l’opposto, che ci fosse così tanta ricchezza, vicino a tanta povertà.
Ma adesso con la crisi le cose sono ancora peggiorate. Non ti viene mai
l’idea di tornare in Marocco?
Io ho 3 figli nati qui, amano il Marocco e si sentono italiani. Loro vivranno qui, come possiamo pensare di tornare là? E anch’io sai amo l’Italia, quando sono giù
sto benissimo, vado da un fratello all’altro, ma dopo un po’ mi viene nostalgia, voglia di tornare qui. Qui abbiamo fatto tanti sacrifici, comprato tutto il necessario, la
casa, l’auto, tante cose, cresciuto i figli. Inshallah, proveremo a comprare una casetta in Marocco, ma solo per le vacanze e per stare vicini alla nostra grande famiglia. Noi ci accontentiamo, speriamo che le cose vadano per il meglio, per noi e
per gli italiani.
Gli Italiani, appunto.. Come li trovi? Come sono i tuoi rapporti con loro?
Sono sincera, io sono un tipo che mi adatto e capisco … Ma a volte .. mi fanno
star male. Sai, molti non si sforzano di capire. Te lo fanno capire con gli sguardi
che non sei bene accettata. Quel loro “ma guarda quella come si veste” “ma chissà perché sempre il velo”. Ma io non faccio male a nessuno, è la nostra tradizione, lo porto sin da quando ero piccola. Mi è capitato quest’estate qui in piscina, ho
visto dei gesti… ho capito che me ne dovevo andare. Non è giusto e fa star male.
Comunque, c’è moltissima gente brava, vado d’accordo con tutti, quando posso
aiuto e mi aiutano. Sono ottimista, piano piano le cose si aggiusteranno. Ma tu
vieni a trovarmi, la mia porta è sempre aperta.
(a cura di Raffaella Botto, ottobre 2009)
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Manifestazione di donne a Casablanca
Il velo fa moda
Miss Marocco
Hamid Zaatam, camionista (Marocco)
..nel 1999 quando laggiu’
si pensava che l’Italia fosse il paradiso
Hamid Zaatam è nato in Marocco, a Beni Mellal. Proviene da una famiglia di contadini, si è laureato in legge a Marrakesh. E’ venuto in Italia nel 1999.
E’ tuo padre che ti ha spinto a studiare?
Sì, lui non aveva studiato ma aveva l’idea di mandare tutti i figli a scuola. La mia laurea è
stata una soddisfazione per lui, dopo tanta fatica sui campi.
Non sei riuscito a trovare un lavoro in Marocco dopo la laurea?
Avrei potuto fare un concorso da avvocato, ma se erano disponibili 100 posti, in un anno di
laureati in legge in tutto il Marocco ce n’erano dieci mila… e tanti laureati non avevano lavoro .. ecco, quando ho finito l’università ho fondato insieme ad altri studenti laureati un’associazione che…più o meno ti dico come è la traduzione in italiano, l’Associazione Nazionale
dei Disoccupati Diplomati del Marocco, eravamo tutti nella stessa situazione. Già all’università avevamo fondato un Sindacato degli studenti, tutte cose che purtroppo non hanno portato frutto. Devo dire che adesso le cose sono un po’ cambiate sono stati creati alcuni posti
di lavoro, non è più come una volta. Dopo la laurea sono andato a vivere da mio fratello a
Ka’alat Sa’ana, una città tra Marrakesh e Beni Mellal. Ho fatto un po’ il commerciante di abbigliamento, è andata male, sono stato in disoccupazione per quasi quattro anni. Non volevo essere un peso per i miei genitori, l’ultima scelta che ho avuto era di venire in Italia ..Ho
scelto l’Italia, allora in Italia era un po’ più facile, e poi qui ci sono tanti marocchini della mia
città, avevo dei contatti, era quasi come se fossi laggiù in Marocco…
E i tuoi genitori, cosa hanno pensato quando hai detto loro che volevi andare in Italia?
Sai, nel 1999, per loro andare in Italia, era un paradiso…. La gente di laggiù spendeva un
sacco di soldi per mandare i figli qui in Italia, non era facile per la gente là… Adesso laggiù
va un po’ meglio, ma ancora non è facile. E anche per noi, qui in Italia non è facile…in questo momento non solo per noi stranieri ma anche per gli italiani, ho amici italiani in difficoltà
per il lavoro, siamo quasi nella stessa situazione. Anche se abbiamo problemi in più perché
siamo stranieri, alla fine è la stessa cosa…
Ma tu lo dici quando vai in Marocco che qui in Italia la situazione è difficile?
Certo, dico sempre la verità. E qui dico anche com’è in Marocco, perché se facciamo un
confronto l’Italia è meglio del Marocco come modo di vivere. Per uno che non ha una professione e viene qua e non ha nessun parente è davvero un po’ difficile e alla peggio, magari finisce in giri brutti, va a rubare o peggio… Però, no, se là non ha nessuna possibilità…no!
Io non gli dico di restare là, se ha la possibilità di venire qui gli conviene provare, tutti hanno
il diritto di provare, a volte è una questione di fortuna .. Però bisogna dire sempre la verità…l’immigrazione che veniva dal Marocco in Italia dagli anni ’80 ai primi anni ’90 raccontava dell’Italia cose non vere, io ho trovato una grande differenza tra quello che ho sentito e la
realtà che ho trovato. Per esempio c’è gente che non lavora tutto l’anno o magari lavorano
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qualche mese, ma con i pochi risparmi comprano una macchina, vanno giù e fanno i signori, invece qui vivono veramente gravi disagi.
Cosa hai fatto dal 1999 dopo il tuo arrivo in Italia?
Atterrato a Milano, sono subito venuto qui nella zona di Cuneo, la prima volta a Sanfré. Mi
sono messo a cercare lavoro ed è stata una cosa un po’ dura…perché quando vai a domandare lavoro, prima di tutto ti chiedono sa hai esperienza in qualche settore.. e io non
avevo esperienza in nessun settore di lavoro prima di allora… Ho cercato di imparare l’italiano, perché ho capito che era molto importante sapersi presentare bene… Poi, i giri per le
varie agenzie, le domande, è stata dura all’inizio…e i lavori che trovavo erano molto pesanti. Uno dei primi lavori in cui mi hanno chiamato era qui a Cherasco, in una fabbrica di polli.
Quando sono entrato ho trovato un macello dentro, sono stato tre ore ho lasciato tutto e sono andato via! Dopo altri lavori, sono finito in una fabbrica a Caramagna, una fabbrica che
lavora la plastica e ci sono rimasto per cinque anni, intanto mi sono abituato alle cose qui in
Italia… Per la lingua, mi sono aggiustato, avevo il vocabolario francese italiano e italiano
francese. Per esempio prima di andare a fare una domanda o un colloquio da un datore di
lavoro io preparavo un discorso… in cui mi presento, cosa facevo… Solo all’inizio ho trovato problemi nel lavoro, ho imparato che con la volontà è facile imparare a destreggiarsi. Nella fabbrica di plastica, laggiù i materiali sono controllati da computer…e quindi se non capisci le istruzioni diventa difficile. Mi ricordo quando sono arrivato, il datore di lavoro mi ha detto “guarda che qui ci vuole un po’ di esperienza…”, e di qua e di là…così io mi sono detto
“provo e poi vediamo”. Nel giro di tre settimane mi sapevo muovere, e da allora non ho avuto mai problemi con il lavoro.
E adesso com’è la tua vita? Che lavoro fai?
Faccio il camionista. Ho preso una patente e mi sono abituato subito a questo nuovo tipo di
lavoro… faccio anche l’estero, tutta l’Europa…Nel 2000 mi sono sposato in Marocco, e lei è
venuta qui subito. Ci conoscevamo dal tempo dell’associazione dei laureati disoccupati, anche lei è laureata in letteratura, storia e geografia… ho una famiglia, due bambine gemelle,
Iman e Ahlam, nate nel 2001 a Carmagnola, adesso che le bambine sono un po’ cresciute
sta facendo un corso che si chiama OSS, come operatore socio sanitario. Con i lavori che
ho fatto prima ho mandato un po’ di soldi giù in Marocco, alla mia famiglia, perché hanno bisogno. Un’altra parte li ho lasciati qua e poco per volta sono andato avanti così.
Non hai mai pensato di ritornar in Marocco?
No, no, poi con le bambine...adesso abbiamo qui la nostra casa, e abbiamo anche una casa a Marrakesh, una villetta a schiera, a due piani con il giardino... perché era un buon momento e per avere una casa al nostro paese... tornare giù adesso non avrebbe senso…è
difficile lavorare laggiù, mantenere una famiglia, non è per niente facile… Vivere qui in Italia
non è una cosa strana in Marocco, è quasi normale, quasi tutte le famiglie hanno qualcuno
che vive qui in Italia e anche per le mie figlie non è complicato... loro pensano di avere una
parte di famiglia in Marocco, parlano marocchino, studiano l’arabo, sono a casa loro in Marocco e qui sono bene inserite a scuola, fanno sport, musica coi compagni .. Abbiamo sempre avuto e abbiamo adesso buoni rapporti con tutti sia italiani che stranieri, mai avuto nessun genere di problema ..
Ma il Marocco è sempre il tuo Paese?
Mi sento bene qui perché tornare giù non ha senso per me...però quando ho la possibilità di
fare qualche attività giù....vado volentieri.… sento sempre il Marocco .. è la mia terra.
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Cosa pensi abbia facilitato questa buona integrazione nel tuo nuovo Paese?
Avrai capito che niente è stato facile! Però è stato utile avere degli amici già qua...sì certo se
non hai qualcuno che conosci non puoi dal nulla.. Poi il fatto di avere parenti già qui, parenti
di mia moglie in Italia, miei parenti in Francia. Ma soprattutto penso che se qualcuno decide
di fare una cosa la fa di sicuro... con determinazione …
Mi dici qualcosa di quell’associazione che avete fondato qui in Italia?
Mi hanno proposto di creare una filiale italiana del Centre des Droits des Gens, che ha come obiettivo di difendere i diritti umani. Ci sono tante persone che hanno studiato in Marocco e che qui non trovano spazio per riunirsi e per scambiare esperienze e idee. E poi come
“marocchini residenti all’estero” siamo ignorati anche dal nostro paese. Allora dobbiamo lavorare su temi che sono comuni tra di noi, ma anche con gli italiani. Ho avuto un po’ di esperienze con altre associazioni qui in Italia. Siamo “diversi” nel nostro Paese, quasi non abbiamo nessun diritto perché siamo isolati qua in Italia, eppure siamo “ diversi” anche qua in Italia. Penso ad un’associazione che faccia da ponte.
Manca molto uno spazio in cui i migranti facciano sentire la loro voce, importante che ci siano delle cose visibili che facciano vedere il lato positivo dell’immigrazione.
Quest’intervista è un estratto di quella rilasciata alla nostra collaboratrice Laura
Odasso il 31 maggio 2008. E’ stata riletta ed aggiornata da Hamid nel giugno 2010.
(A cura di Raffaella Botto, giugno 2010)
Hamid (il terzo da sinistra) durante una manifestazione a Cuneo
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Hassan Mhadi, disoccupato (Marocco)
Storia di Hassan che in Marocco
non aveva il cammello
Si chiama Ksar Sidi Boubker il paese di Hassane Mhadi. Da lì è partito per
l’Italia, e lì ha deciso di tornare. Lì ha lasciato la moglie e due bambine, la più
piccola non era ancora nata quando è partito. Sarà lunga la strada da Bra a
Ksar Sidi Boubker. Perché il paese è a pochi chilometri da Rissani, cittadina
ai bordi del Sahara, nelle oasi meridionali, che segnano la fine della strada
asfaltata e l’inizio delle piste che portano nel deserto. Gli “ksour” delle oasi,
nel Wadi Ziz, il fiume che nasce nell’Alto Atlante, sono villaggi, roccaforti o
castelli, dove le popolazioni sedentarie si proteggevano dagli assalti delle
tribù nomadi. Un po’ più a Nord, a 90 km, c’è la città di Errachidia. Sono luoghi ben noti ai turisti occidentali, soprattutto ai più avventurosi.
Ma perché sei venuto in Italia, Hassan? Che lavoro facevi in Marocco?
L’hai detto anche tu, la provincia di Errachidia da cui vengo è bellissima. C’è il deserto, le dune, grandi palmeti, i turisti amano guardare albe e tramonti, trovano la
tranquillità che loro cercano. Sono brava gente, vanno sui cammelli, girano sulla
sabbia, dormono in tende. Io facevo la guida turistica, ma non avevo il cammello,
guadagnavo poco. Ecco, se avessi potuto avrei comprato un cammello, avrei
adattato la casa. Ma niente soldi! Ho del terreno, ma coltivavo solo per i miei.
Avevo le pompe per l’acqua, ma ne veniva poca ed era salata. La casa è mia, dalle nostre parti le case sono di proprietà, non in affitto. Come una cascina. Quella
prima era una zona agricola, poi è venuta la siccità …
Allora hai deciso di venire in Italia…
E’ così. Era il 2006. Per guadagnare un po’ di soldi. Vedevo gli amici tornare con le
macchine e tanta roba, si facevano le case. “Si sta bene lì”, dicevano. Mi sono detto magari faccio un po’ di soldi, li mando giù e mettiamo su qualcosa per i turisti. Invece…
Eri già sposato? Come vivevi qui?
Mi sono sposato nel 2003, poi sono nate due bambine. La seconda è nata dieci
giorni dopo la mia partenza. Ho provato, per loro. Sono venuto qui perché sono
stato consigliato da un parente con cui ho abitato. Poi sono stato in una casa di
accoglienza e poi in un piccolo appartamento che condividevo con altri connazionali. Sai, c’è un proverbio arabo che dice “la na3alamu madha tukhabbi’uhu lana
alayamu”, non sappiamo che cosa ci nascondono i giorni.
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Ho capito, hai rischiato, anche noi diciamo “chissà cosa c’è dietro l’angolo”, è un po’ lo stesso, no? E cos’hai trovato qui in Italia?
Prima della crisi trovavo qualcosa, in nero e malgrado i controlli, riuscivo a mandare un po’ di soldi alla famiglia, qualche centinaio di euro al mese. Adesso i con-
trolli girano dappertutto, nei capannoni, nelle campagne, nelle vigne, e io sono
ancora senza documenti. Lavoravo da muratore in una casa privata con degli
amici e mi hanno portato in caserma, già avevano le impronte. Adesso non trovi
più nemmeno lavoro in nero, la gente ha paura dei controlli. Ho fatto tanti lavori in
Italia, falegname in una piccola impresa di marocchini, facevamo porte e finestre.
Saldatore per qualche mese. Poi ho aiutato un contadino a mungere le mucche.
Poi ho lavorato con un italiano, montavamo e smontavamo mobili.
Ma ti avevano fatto un contratto di lavoro, ti avevano fatto la domanda per i
flussi del 2007?
Sì, un marocchino con nazionalità italiana che aveva bisogno di manodopera. Ma
ancora non si sa niente, ha riconfermato la domanda e aspetta. Non sa ancora
niente per i flussi 2008. Allora cosa faccio io qui? Niente lavoro nero per aiutare la
famiglia. Ho deciso di tornare a casa.. Forse riusciamo a fare un ristorante insieme a moglie e figlie. Possono venire turisti italiani, io parlo italiano. Mia moglie ha
paura del futuro, ci sono difficoltà in Marocco, ma spero nell’aiuto di Dio.
Cosa riporti in Marocco dalla tua esperienza italiana?
Ricordo tante cose, ho conosciuto la gente e cosa pensa. C’è il buono e il cattivo.
Ma alla gente che è in Maghreb voglio dire di non venire senza essere regolare.
Perché così si trova in una brutta situazione, qui non trova nessuno che lo aiuta,
non sa cosa mangiare e dove dormire. Questo è il problema, lo so per esperienza
personale. E voglio dire di non venire soprattutto a chi è sposato e ha famiglia.
Perché sempre penserà a moglie e figli, dal primo giorno e fino alla fine e sempre
soffrirà pensando a loro.
Andrà tutto bene Hassan, coraggio, verremo nel tuo agriturismo, lasciami l’indirizzo, ti farò pubblicità. Ma chiamami prima di partire, così ci salutiamo.
(A cura di Raffaella Botto, giugno 2009)
Hassan Mhadi è partito un sabato del mese di maggio e ora vive a Ksar Sidi
Boubker con la sua famiglia.
“Non sappiamo che cosa ci nascondono i giorni”
Turismo nei deserti a sud di Rissani
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Ioan Patrascu, imprenditore edile (Romania)
...noi Romeni siamo abituati a divertirci
siamo gente allegra
ma qui dobbiamo stare tranquilli
Ioan Patrascu è nato a Bacau in Romania nel 1968. Dopo la maturità, ha conseguito un diploma triennale di specializzazione Industria Tessile. Attualmente è iscritto al 3° anno dell’Università di Giurisprudenza a Bacau, dove si reca
regolarmente a passare gli esami. Imprenditore edile, è in Italia da 10 anni.
Tu lavori nel settore dell’edilizia. E’ un settore in crisi anche questo?
Un po’ sì, tutte le cose sono collegate. C’è poco lavoro, la gente non ha soldi. Prima di costruire o ristrutturare, ci pensa. Quest’inverno quasi tutti non abbiamo lavorato a causa del clima. Crisi e clima hanno fatto danni, rimani indietro con l’affitto, le bollette e poi quando si riprende si fa fatica a rimettersi in squadra. Succede
per tutti, non solo per i Romeni,. Io lavoro come imprenditore autonomo, con partita IVA. Prima ero operaio dipendente, poi mi sono messo per conto mio, ma lavoro sempre con le stesse persone. Ci sono molte ditte individuali nell’edilizia.
So che molti Romeni lavorano in questo settore. Perché, secondo te?
Forse perché è più facile trovare lavoro! Ma non sono solo romeni.
Mi sembra che si sia un po’ calmata la “caccia al romeno” degli anni scorsi.
Tu cosa ne pensi?
Chissà, magari erano manovre politiche! Non è che adesso siamo diventati bravi.
Come sempre non bisogna generalizzare, in ogni comunità c’è di tutto, anche fra
gli italiani..
Sei in Italia dal 2000…. Mi dici perché hai scelto questo Paese? Com’era la
tua vita in Romania?
Lavoravo in fabbrica, ero capomastro in una fabbrica tessile. Stipendi bassi. Avevo dei parenti qui e ho trovato subito lavoro e mi sono integrato facilmente. Ho subito trovato nell’edilizia, un anno a Torino poi a Bra. Qualche mese in nero poi assunto regolarmente. Come tutti poco dopo volevo tornare a casa, poi ho fatto
l’abitudine. Poi è arrivata la fidanzata ci siamo sposati. Ho incontrato un po’ di difficoltà ad abituarmi, ma ripensandoci mi sembra che sia stato facile. Anche per la
presenza di parenti, mio cugino mi ha detto “vieni qui” e mi ha dato una mano, l’alloggio, il lavoro.
Com’è cambiata adesso la tua vita? Ti senti di far parte di questo nuovo
Paese?
Mi sono abituato, anzi quando vado in Romania dopo pochi giorni mi sembra di
dover tornare qui, questo è il mio Paese. Quando vado là mi sento spaesato.
Qualche parola in italiano ed è come qui, sono mezzo italiano e mezzo romeno.
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Ti dicono “hai dimenticato la tua lingua”. Non tutti ti invidiano, solo quelli che non
sono mai usciti dalla Romania e pensano ancora che qui sia il bengodi. “Tu hai i
soldi!”, dicono. Siamo un po’ cambiati con l’emigrazione, noi Romeni siamo abituati a divertirci, siamo gente allegra e qui abbiamo preso l’abitudine di pensare
solo al lavoro, a guadagnare soldi per vivere. Siamo casinisti ci piace far rumore,
far “casino”, ballare. In Romania facevo il DJ, organizzavo feste. Qui cerchiamo
di essere un po’ più tranquilli perché alla gente piace così.
Per ora non hai figli. Quando li avrai, vorresti che nascessero in Italia o in
Romania? Perché? In che paese vedresti per loro un futuro migliore?
Per adesso vedo un futuro migliore qui, se vivo qui avranno una vita migliore, diritti per lo studio, l’assistenza sanitaria. Laggiù c’è ancora molta strada da fare.
Qui la seconda generazione è già italiana, sono ragazzi nati qui . Non penso che
ci sarà differenza tra un giovane italiano o di origine straniera. Importa solo se fai
bene il tuo lavoro.
Il fenomeno del “ritorno al paese” che vediamo presso diverse comunità
straniere è presente anche per i Romeni? Sempre parlando del settore
dell’edilizia, quali possibilità lavorative ci sono in Romania?
Ce ne sono molte, perché si costruisce, ma negli ultimi due anni la crisi ha colpito
anche da noi. C’è lavoro ma gli stipendi sono bassi, soprattutto nel settore pubblico. Agli insegnanti hanno abbassato gli stipendi del 20%. Nel settore privato sono
molti a fare soldi.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Da quando sono nato ho visto le cose andare sempre peggio! Davanti a questo
non dobbiamo perdere la fiducia ed essere ottimisti. Perché la vita la dobbiamo
affrontare con coraggio e far in modo di vivere con serenità. Non voglio far progetti, prendo la vita come viene giorno per giorno. Lavoro sodo, studio, ogni tanto
provo a divertirmi, a tenere i contatti con la comunità romena e con gli italiani.
Faccio tante passeggiate con Tequila, la mia cagnetta rottweiler, mi occupo di lei.
Oggi andiamo a fare una grigliata con gli amici e verrà anche Tequila. Ti manderò
una sua foto.
Grazie Nelu! Buon pomeriggio, allora.
(a cura di Raffaella Botto, domenica 30 maggio 2010)
Ioan Patrascu (a destra) con il suo cane Tequila
37
Jerina Gostini Marku, infermiera (Albania)
Voglia di lavoro voglia di futuro.
Una laurea infermieristica
raggiunta con grande determinatezza
Brillano gli occhi di Jerina Gostini mentre mi parla del suo
corso universitario. La conosco sin dal suo arrivo in Italia, nel
2000, per ricongiungimento familiare. A novembre otterrà una
laurea infermieristica discutendo una tesi su “le complicanze
assistenziali dello stravaso degli antiplastici e del mezzo di
contrasto ed il loro trattamento”. Mi sembra un argomento
complicatissimo e le chiedo spiegazioni, che mi dà con serietà
e competenza.
E’ stata dura, Jerina?
E’ stata durissima! Ho seguito per tre anni il corso universitario a Cuneo, sede che
mi dava più garanzie di essere seguita. Partivo in pullman prestissimo da Bra . Ho
superato in tutto 22 esami, parte scritta e parte orale, ho seguito la teoria a Madonna dell’Olmo e tre periodi di tirocinio di un mese all’anno. Il 1° anno in urologia a
Savigliano, e in medicina interna a Cuneo. Nel 2° anno, a Fossano, in medicina
riabilitativa, e a Savigliano, in cardiologia e a Cuneo in chirurgia generale. Quest’anno ho fatto un mese in ortopedia a Cuneo, in cure domiciliari a Savigliano e
sto finendo adesso il tirocinio in gastroenterologia al Santa Croce di Cuneo, che mi
impegna dalle 7 alle 15.. Poi avrò gli ultimi 3 esami a Cuneo a luglio, poi a settembre l’esame di stato con una prova pratica e a novembre la discussione della tesi.
Finalmente! .. ma devono essere stati faticosi gli spostamenti…
e molto costosi...
Certo, anche perché ero sempre in pullman e solo quest’anno per i tirocini ho potuto usare una macchina. Partivo presto, non tornavo mai a casa prima delle 19 e
avevo pochissimo tempo per studiare. Per le spese per fortuna ho avuto una borsa di studio per il reddito e perché ho sempre dato regolarmente tutti gli esami.
C’erano altri stranieri nel tuo corso? Hai subito discriminazioni? Ti hanno
seguita nei tirocini?
C’erano pochi stranieri, c’è stata selezione, sì, nel mio canale A abbiamo cominciato in 80, adesso siamo 50. Ma discriminazione perché ero albanese quello no.
Posso dirti che è stata una bellissima esperienza, le tutor mi seguivano, aiutavano, correggevano. Tutti mi consideravano una loro collega, e in certi reparti anche i primari erano fantastici con me… sono loro grata.
40
Torniamo un po’ indietro, Jerina, dimmi qualcosa dei tuoi studi in Italia…
Appena arrivata ho passato la terza media, senza troppe difficoltà. Mi sono impegnata. Poi mi hanno indirizzata all’IPC e ho preso una maturità di Operatore Gestione Aziendale con 84/100. Ho fatto una tesina sulla condizione della donna in
Albania e in Italia. L’IPC non è stata una buona esperienza, non mi dovevano
orientare lì perché ero albanese e non conoscevo abbastanza la lingua. Ho recuperato velocemente la lingua, ma mi sono mancate le basi per i miei studi successivi. Prima pensavo di fare giurisprudenza, volevo diventare avvocato per difendere le cause degli stranieri, ma anche la medicina mi attirava, soprattutto dopo
un periodo di malattia di mia mamma. Mi sono detta, anche lì potrai essere utile,
anche agli stranieri! E poi, chi ti darà i soldi per metter su uno studio di avvocata?
Mi hai spesso raccontato delle difficoltà dell’inizio della vostra vita familiare
qui in Italia, i brutti inizi, le impressioni negative, il dolore delle separazioni
dal 1997, anno di arrivo di tuo padre, da solo. Chi, che cosa ti ha dato la forza di resistere?
Prima di tutto il mio carattere, io voglio guadagnarmi tutto. Poi sono albanese e voglio dare un’immagine positiva degli Albanesi, siamo sempre nell’occhio del ciclone! Poi sento sempre in me la voglia di progettarmi il futuro. Ma soprattutto la mia
famiglia, i miei genitori e i miei fratelli, E adesso l’amore di mio marito. Ci siamo conosciuti in Albania e ci siamo sposati, ci adoriamo e viviamo l’uno per l’altro. Quest’estate andiamo in Albania, e per fare un po’ di soldi per il viaggio, dopo il tirocinio
vado ancora a fare qualche lavoretto fino alla sera tardi, per aiutare una signora.
Quando sarai laureata, cosa ti proponi per il futuro?
Vedi, nella mia voglia di costruirmi il futuro, non ho pensato tanto agli ostacoli. Ed
io potrò avere la cittadinanza italiana solo fra un paio d’anni almeno. E nel frattempo non posso fare i concorsi nelle strutture pubbliche, per poter avere un contratto a tempo indeterminato, e chissà magari progettare un figlio!. Non ho la cittadinanza e l’Albania è un paese extracomunitario. Ti confesso che questo mi rende molto arrabbiata! Dopo tanti sacrifici, delusa, devo dire anche discriminata! Lo
so, sono le leggi italiane e le rispetto, ma perché queste ingiustizie di vedere altri
che sì e io no? Nella mia ingenuità questo l’ho saputo alla fine, per fortuna, sono
andata avanti. Perché no? Io mi sento italiana ma non lo sono ufficialmente. So
che potrei lavorare nelle strutture private o nelle cooperative, ma sappiamo quello
che questo comporta. Niente sicurezza nel domani, problemi per i periodi di maternità, scarsa considerazione da parte degli altri e caduta dell’autostima. Perché
l’Albania non fa parte della C.E., siamo esclusi dai concorsi pubblici mentre altre
nazionalità possono partecipare.
Non pensare troppo a questo adesso, Jerina, forse qualcuno potrà darti qualche consiglio. Adesso ti lascio. Ma non avevi detto che ci facevamo un caffè?
(a cura di Raffaella Botto, luglio 2009)
Jerina è laureata, ed è attualmente libera professionista, associata ad
un’agenzia di liberi professionisti infermieri e fisioterapisti. Ha un impiego a
tempo indeterminato presso la Casa di Cura Città di Bra, reparto ortopedia.
41
Leonora Memia (Albania)
Storie di emigrazione
Il volontariato, il modo in cui si inizia una bellissima esperienza di vita!
La mia vita in Italia cominciò 4 anni fa, con una voglia di andare via dal paese e
provare delle cose nuove, esperienze che mi possono far crescere, e questo
possibilmente vicino alla mia famiglia. Venuta dall’Albania con un desiderio di cominciare il lavoro da giornalista, lavoro che svolgevo anche al mio paese, vedevo
tutto davanti a me come delle notizie. La vita appena cominciata, chiedevo informazioni di ogni tipo, volevo imparare la lingua italiana, cercare lavoro, casa e altre cose che servono per iniziare una nuova vita in un paese nuovo. E se volete
proprio la verità, quella verità che ti esce dallo stomaco, gridando da quella paura
che nessuno può sentire, la vita di un emigrante in Italia è molto difficile.
Cercando informazioni utili per regolarizzare la mia posizione, un giorno mi presentai allo Sportello Servizi Stranieri di Canale (Alba), e aspettando in coda,
prendo in mano dei giornali scritti nella lingua albanese. Era un giornale che riportava notizie proprio nella lingua del paese da dove proveniva l’informazione, come l’Albania, il Marocco, la Romania ecc. Mi sentii come a casa mia, con delle informazioni provenienti dalla mia “Casa Albania” e nella mia lingua. Per ogni straniero un modo molto diretto di essere informati nel modo giusto. Il desiderio di
avere contatti con questo giornale, come una possibilità di aprire una finestra per
la mia passione, quella dell’informazione, fece che in quel momento dimenticai
tutto, la vera ragione per la quale ero andata lì.
“Voglio avere contatti con questo giornale che scrive per gli stranieri, vi è possibile darmeli?” Questa fu la mia domanda al responsabile dell’Ufficio Stranieri, il
quale un po’ sorpreso mi risponde: “ Sì, è un piacere informarti!” Una risposta
che aspettavo da tempo.
Era il Giornale “Di Tutti i Colori”, che esce a Bra. Un giornale con uno staff molto serio in questo campo e soprattutto nella vita degli emigranti, svolgendo un lavoro di volontariato. Accolta molto bene da loro, che come segno di benvenuto,
ospitalità e collaborazione mi regalarono un computer, il mio primo computer.
Iniziai a scrivere informazioni provenienti dall’ Albania, scrivevo anche nella mia
lingua. Questo è stato il mio primo lavoro da giornalista in un giornale di volontariato, con delle persone che lavoravano ormai da anni per i cittadini stranieri. Non
potevo trovare una cosa migliore per essere vicina alla mia professione, vicino alla vita degli emigranti. Insieme a Raffaella, Carlo, Piero e Vera e altri emigrati e
italiani che scrivevano sul giornale sono entrata a far parte del gruppo dei volontari che facilitano la vita degli emigranti, anche con i gesti più semplici, nello stesso tempo più umani come loro hanno fatto con me.
Adesso io scrivo su questo giornale di volontariato, racconto della vita di emigranti albanesi e non, e collaboro alle iniziative che aiutano l’integrazione dei giovani
come me, con il desiderio che molta gente straniera e italiana si uniscano a queste iniziative volontarie.
Leonora Memia, gennaio 2010
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Mariana Cucuteanu, sarta artigiana (Romania)
...con ago e filo dalla Romania all’Italia
Mariana Cucuteanu mi aspetta nella sua “SARTORIA”
di Bra, in via Mendicità.
Mi apre, entro, e la vedo che cammina con fatica. “Sono scivolata sul ghiacchio- mi dice – Una brutta slogatura, dovrei
star ferma ancora, ma non ce la faccio, ho un vulcano dentro
che mi spinge.” Poi vedo lacrime e tristezza sul suo sorriso
solare: “E’ perché è morto un amico italiano che era come
mio padre, morto 10 anni fa nel 1999.”
Così comincia il nostro incontro nella sua sartoria, che è come un’isola che le somiglia “Amo la vita, la bellezza, l’amore”, mi aveva detto. Il
locale si allarga al di là delle sue dimensioni per i particolari che fanno pensare a
grandi spazi, specchi, fiori, ghirlande, foto e poster alle pareti. Ogni cosa ordinata
al posto giusto. E tanto lavoro, capi di abbigliamento pronti da ritirare, altri da fare,
appesi con ordine. Una gonna da restringere sulla macchina da cucine. Sul tavolo, una moderna “tagliacuci”. “L’ho appena comprata per 400 euro. Ho anche
comprato la macchina con un finanziamento in 4 anni. No, non penso alla casa,
non voglio fare debiti.”
Sei contenta del tuo lavoro e dei tuoi clienti?
“Posso dire, ringraziando Dio, che sono felice. Sono in Italia dal 2001. Certo è
stata dura. Per metter su questa sartoria per un anno ho fatto due lavori, cameriera fino alle 15, poi qui. Ma ho avuto aiuto e appoggio da amici romeni e da ragazzi che avevo aiutato, di tutte le nazionalità. Coi clienti ci vogliamo bene e ci accordiamo sempre sul prezzo del mio lavoro. Pensa che ogni tanto qualche cliente
entra per farsi riattaccare un bottone! Gratis, naturalmente…”
Com’era la tua vita in Romania? Facevi lo stesso lavoro?
“Da bambina avevo problemi di salute e sono guarita grazie ai miei genitori che
mi hanno sempre amata e protetta. Solo mio padre lavorava e aveva 4 figli. Di
giorno lavorava la terra e di notte all’ospedale di Iasi guidava le autoambulanze.
C’erano problemi, ma non ci lamentavamo, avevamo amici e vivevamo dei prodotti della terra e dell’allevamento. Sono andata a scuola fino a 18 anni, una
scuola di sartoria. Ho lavorato subito 5 o 6 anni in fabbrica. Poi da sola. A 27 anni
avevo 3 figli, la mia sartoria, una casa di proprietà e molti amici. Facevo vestiti su
misura. E’ un mestiere per le donne, ancora oggi ci sono tante sarte in Romania.
Mio marito lavorava come precario. La vita era cara, ma si riusciva.”
44
Allora perché sei venuta in Italia nel 2001?
“Mentre lavoravo i miei genitori hanno cresciuto i miei figli, mio padre si è ammalato gravemente, ho dovuto trasferirmi a casa loro per curarlo. E’ morto nel 1999 e
sono rimasta in quella casa. I miei figli andavano a scuola, erano bravi. Il figlio più
grande voleva fare la scuola militare dello stato. Dovevo pagare per farlo entrare
nella carriera, occorrevano soldi che non avevo. Altri sono entrati ma il mio no.
Dopo 8 classi e buoni risultati non è entrato nel liceo militare. E’ stata una delusione per lui e per me. Forse non sarei venuta via se fosse entrato nella scuola che
lui voleva.”
E’ per questo che sei venuta via?
“Sì, provavo un senso di rivalsa. Perché gli altri sì e noi no? Volevo fare un futuro
migliore ai miei figli. Adesso i 2 grandi lavorano, l’altra studia. Hanno un buon rapporto con compagni e colleghi.”
Nessun altro motivo ti ha spinta a venire in Italia?
“Il futuro dei miei figli fa parte del mio futuro. Difficoltà nei rapporti familiari, solitudine, forse c’era qualcosa del genere, ma questo fa parte della vita delle donne, in
ogni parte del mondo. Io non volevo fuggire da questo. Avevo una vita indipendente, anche se uscivo poco dalla famiglia. A questo mi avevano abituata i miei
genitori che temevano che gli altri mi offendessero. E poi non pensavo di venire in
Italia perché mi aspettavo qui un’altra mentalità. Anche qui la vita delle donne è
difficile e devono sopportare spesso violenza e mancanza di rispetto. Come in
Romania.”
Pensi di tornare in Romania, un giorno?
“No, ho deciso di non andarmene più. Qui sono felice. Voglio far conoscere le bellezze del mio Paese, ma non vedo il mio futuro lì.”
Come vedi il futuro dei tuoi figli in Italia?
“Certo, dovranno affrontare crisi e difficoltà, come i giovani italiani, ma non più di
loro. Loro hanno coraggio e, rispetto agli italiani, sono più fiduciosi ed ottimisti.
Vogliono farsi una vita indipendente e non sono così dipendenti dai genitori come
i ragazzi italiani. Più di loro hanno “voglia di futuro”.”
Cosa pensi di questa che chiamano “invasione di stranieri” qui in Italia?
“Il diritto alla vita non guarda le frontiere. E’ una questione di vita o di morte. Bisogna salvare le persone dalla fame e dalla morte. Loro lanciano un SOS, è la disperazione che fa affrontare loro rischi e onde del mare. Se molti stranieri non rispettano le regole bisogna anche capire perché. Se te li fai amici, rispetteranno le
regole. Se sono maleducati, proviamo ad educarli, a vivere con loro, e non ad
emarginarli.”
(a cura di Raffaella Botto, gennaio2009 )
45
Mimoza Sali, addetta alla ristorazione (Albania)
“le mie ferite le ho curate
con le bende della nostalgia”
Mimoza Sali, cittadina italiana, nata a Durazzo il 13.4.1973.
Arrivata in Italia il 1° marzo ‘95, con visto turistico. Rimasta
in Italia a causa del peggioramento della situazione politica in Albania. Ha conseguito a Tirana il diploma universitario di lingue straniere e in Italia il diploma di mediatrice interculturale. Segue attualmente un corso di specializzazione di mediazione nelle scuole medie.Ha partecipato a diversi concorsi di poesia, vincendo premi prestigiosi.
Mimoza, ricordo alcuni versi di una tua bellissima poesia.
...“E adesso ritorno
con la veste dell’emigrante
come una donna
che canta con la voce dell’amore bianco
le mie ferite le ho curate
con le bende della nostalgia”...
Vuoi spiegarceli un po’ meglio?
Sono versi che ho scritto dopo un ritorno al mio Paese. L’ispirazione mi è venuta
dal ricordo della mia infanzia, un periodo triste per la mia famiglia, condannati politici durante il regime comunista. Mio padre era militare di un battaglione il cui generale era stato fucilato dal dittatore Enver Hoxha. Era un dissidente di origine
greca epiriota di Igoumenitza. Sono ricordi che pesano come ferite, ma il tempo le
ha curate, lenite, quasi rimarginate, e quando torno al mio Paese la sofferenza è
sopraffatta dalla nostalgia del tempo che è passato.
Cosa ti ha spinto a venire in Italia? Cosa ti ha spinto a rimanere?
Non è stato un fuggire, non è stata una scelta, né una volontà di cambiamento. E’
stato un avvenimento tragico nella mia vita, la morte di un mio giovane fratello, ucciso in uno scontro politico dopo un meeting rivoluzionario. Per questo siamo stati perseguitati, minacciati di morte, ed ho dovuto abbandonare mia madre e venire a rifugiarmi in Italia dai miei fratelli, in attesa che la situazione si calmasse. Ma la situazione è peggiorata fino al 1998 e sono rimasta. Dopo un paio di mesi ho iniziato a lavorare come barista in un pub, ho trovato l’amore, ed ho cominciato una nuova vita.
46
Quali sono state le tue prime impressioni in Italia?
Sono sincera, orrende. Nel primo anno sono stata una “reclusa”, ho avuto solo il
rapporto coi libri, mai con gli Italiani (anche se il mio Lui era italiano!). Avevo un “difetto”, ero albanese, quindi ero “una di quelle” e “una di quelli che arrivano coi gommoni”. Devo dire che di “m” ne ho mangiata a palate!!!, ma sono una buongustaia e
l’ho digerita…
Ma qualcosa che ti è piaciuto subito non l’hai trovato?
Sìììì, la cucina!!! La pastasciutta che allora in Albania era quasi sconosciuta, la
pizza squisita (quante ne ho fatte e servite…. dopo… ma ancora mi piace e la
mangerei anche a colazione). Poi mio fratello Gianni - che vive tuttora a Carmagnola e ha 4 splendidi bambini italianissimi – mi ha portata a Roma ed è stato un
colpo di fulmine e lì ho pensato “questa è l’Italia, non la nebbia di Carmagnola..”
Sono contenta, anche a me piace molto Roma! Ma dimmi, quanti lavori hai
dovuto fare per la tua sopravvivenza?
Tantissimi … Ho fatto la cameriera in diversi ristoranti, pizzerie, pub, ho fatto la
segretaria in un’agenzia di assicurazione, ho fatto esperienze di mediazione, la
commessa in una gelateria. Adesso faccio la cuoca in un ristorante.
Questi lavori erano tutti regolari, o in nero?
La maggior parte delle volte erano in nero, mal pagati e a volte nemmeno pagati.
Infatti, se il lavoro è in nero, chi può dimostrare che ho lavorato? E le persone se
ne approfittano. Ho ancora una causa in corso perché non mi sono state retribuite diverse mensilità e la cosa che mi fa molto rammarico è la giustizia italiana.
Ho capito! Ma almeno hai trovato un miglioramento nel modo di trattare gli
stranieri, da parte degli Italiani?
Cosa devo dirti? Non si può generalizzare, però ci sono troppe persone che giudicano la provenienza e non la persona, non giudicano in base a quello che sei e a
quello che fai. Ed è amaro sentirsi dire, ad esempio, “Ah ma tu non capisci perché
sei straniera..” oppure “sei di bella presenza e parli bene l’italiano, però sei albanese” . Parole testuali! Però ci sono persone eccezionali come quelle che ho conosciute al giornale al quale collaboro da 5 anni (ndr: il giornale “Di Tutti Colori”) o
nelle associazioni.
Parli delle Associazioni. Collabori anche al volontariato?
Certo, il lavoro di mediatrice più che un lavoro retribuito, per me è una forma di volontariato, e non solo con i miei connazionali, ma con persone di diverse nazionalità. Per esempio, collaborazione a feste interculturali, a reading, alla costruzione
di reti e legami tra le persone, in tutto il Piemonte.
E queste attività oltre a fare conoscere la cultura albanese, mi servono per conoscere e far conoscere tutte le culture.
Pensi che ormai questo sia il tuo Paese? Come vedi il tuo futuro in Italia?
Assolutamente sì! Io mi considero un’italo-albanese, che ha nel cuore due paesi. Il
mio futuro lo vedo positivo, malgrado le difficoltà che tutti conosciamo. Faccio progetti, adesso aspetto l’uscita del mio libro di poesie, in tre lingue, è stato pubblicato in Albania. Oltre a fare la cuoca, sto lavorando con un’agenzia di Milano nel
mondo dello spettacolo, spero di raccogliere quello che sto seminando. Insomma,
l’importante è credere in quello che si fa, non ti pare? E soprattutto avere fiducia.
(a cura di Raffaella Botto, maggio 2010)
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Mohamed Baraket, dipendente vivaista (Tunisia)
una persona per stare bene
deve star bene con le persone
non e’ mica solo il lavoro...
Mohamed Baraket è nato in Tunisia nel 1972, proviene da una famiglia della
classe media, ha conseguito nel suo Paese un diploma di Istituto Superiore di
Gestione ed ha frequentato l’università di Economia. E’ in Italia da 10 anni.
Perché questa decisione di venire in Italia?
Non lo so… dato che non volevo finire di fare l’università, ho detto devo cambiare
un po’ la mia vita. E cambiare la mia vita non voleva dire rimanere in Tunisia. Mi
sono detto il posto più vicino era l’Italia, perché avevo un fratello qui ed era più facile.. Non è che avessi problemi di soldi, mio padre ha sempre lavorato e mi diceva “stai con me qui…se è solo per lavorare un lavoro lo troviamo”
Avevi un’idea buona dell’Italia?
La vedevo in TV sin da bambino. A quell’epoca tutti i giovani volevano andare in
Europa, si pensava - io come tutti gli altri - di “trovare l’America”, come dicono
qui…ma poi è tutta un’altra cosa.
Hai trovato subito lavoro?
Si, prima ho avuto un contratto di lavoro stagionale per sei mesi e poi ho chiesto
un rinnovo del contratto e me lo hanno fatto subito.
Mi hanno fatto un contratto di lavoro indeterminato e ho sempre lavorato dove sto
lavorando adesso, in un vivaio. Sono stato da mio fratello per un po’, poi ho preso
questa casa in affitto, il salario me lo permetteva.
Ho avuto un permesso di lavoro per due anni e poi ogni due anni dovevo rinnovarlo, andar in questura, fare la coda, aspettare alla pioggia al freddo e capire come funziona… è un po’ faticoso…
Non ti è mai capitato di pensare “potevo stare a Tunisi”?
Sì, dopo due mesi! Poi ho iniziato a fare il corso di italiano per stranieri dell’associazione Mosaico, mi sono impegnato e ho imparato la lingua italiana velocemente.
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Hai fatto altri studi dopo il corso di italiano?
Sì, ho fatto la terza media per adulti, poi il corso d’informatica presso l’Istituto Salesiano.
Mi sono detto faccio il corso per la terza media cosi imparo altre cose..
Hai sempre vissuto da solo in quest’appartamento? Speravi di vivere con
altri?
Quando sono arrivato cercavo soprattutto delle persone del mio paese…ma io
sono una persona socievole, mi piace stare tra la gente; prima di iniziare il corso
di italiano per stranieri, non conoscevo quasi nessuno. E stavo male. Al mio paese vedevo gente tutti i giorni.. qui i primi mesi …boh…non so come li ho passati,
uscivo e non sapevo dove andare … Poi ho conosciuto gente, prima di tutto arabi, e poi piano piano .. C’erano ragazzi di tutto il mondo al corso …
Non hai mai pensato di continuare l’università in Italia?
Certo, nel 2003 mi sono detto ora l’italiano lo conosco un po’ meglio, mi sono detto..proviamo, e mi sono iscritto nel 2003 all’Università di economia. Mi hanno dato una borsa di studio, sono andato a Torino e ho frequentato ... Sono riuscito a
dare gli esami, cinque il secondo, il terzo anno uno e poi mi sono fermato, perché
lavoravo a tempo pieno e non facevo più altro che lavorare e studiare.
Come ti trovi adesso nel tuo lavoro?
E’ un’azienda a conduzione famigliare, c’è il proprietario, la moglie, la figlia, un’altra dipendente ed io. Dobbiamo andare in giro a piantare le piante nei giardini,
muoverci...
Ma da quando sei qua non ti è mai venuta voglia di dire “me ne vado, me ne
torno a casa”?
Certo, mi capita di pensare “ho fatto una cavolata”, mi capita anche di pensare di
cambiare lavoro, è un lavoro che non mi piace, però sono qui da otto anni e se
guardo i padroni, io sto bene con loro... non me la sento di andare in un altro posto
dove magari mi piace il lavoro ma non il padrone, perché se non mi piacciono le
persone rischio di andarmene sicuramente e diventa un altro problema. Certo
che mi piacerebbe fare qualcosa che ha a che fare con quello che ho
studiato…che ha a che vedere con la gestione delle aziende.
Come è cambiata la tua vita nel corso di questi 8 anni?
La mia vita è cambiata proprio tanto. Dopo il corso di italiano, quando sapevo già
bene l’italiano e mi sembrava di capire un po’ anche i problemi degli stranieri qui,
ho fatto la proposta di fare un giornale che parlasse di questi problemi, che desse
voce agli stranieri ... Il giornale è nato e mi sono impegnato per un po’, poi ho fatto
un corso di mediazione interculturale e sono stato di supporto per ragazzi marocchini appena arrivati ... Adesso esco meno , non come gli anni scorsi, perché le
attività culturali hanno perso molto del loro peso.
Dopo tutti questi anni , quando torni in Tunisia, ti fa piacere, ti fa un effetto
particolare? Pensi di sposarti, di stare qui in Italia?
Certo, ci vado con piacere in Tunisia ... è come tornare al passato ... Ma ci vado
da “ospite” e dicono “va sempre tutto bene, problemi non ci sono”, però la realtà è
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sicuramente tutta un’altra cosa. Sposarmi in sha’ allah, voglio dire, anche di fare
una famiglia, sì … ma di stare qui o no..non saprei... Tornare in Tunisia sarebbe
facile se avessi ancora 20 o 25 anni.
Cosa ti manca qui del tuo Paese?
E’ proprio l’atmosfera... ad esempio quando sono a Genova e mi imbarco sul traghetto, già lì al porto, sono quasi tutti tunisini e anche se sono ancora in Europa,
nel porto...mi sento già in Tunisia e in nave ... quando salgo ancora di più...eppure non sono ancora arrivato…la fatica è che mi sembra non ci sia crescita .... i
giorni mi paiono troppo uguali.. Se fossi in Tunisia il tempo libero sarebbe più produttivo ... , lo gestirei meglio, farei sempre qualcosa.. troverei un legame, una rete
per fare sempre qualcosa. Quando torno in Tunisia di solito ritorna anche tutta la
famiglia sparsa all’estero, è il momento in cui ci si ritrova.. tutta la famiglia, va giù
da fine luglio a fine agosto... se torniamo indietro nel tempo ... vorrei ritornare nel
1995.
Cosa ti ha deluso di più in Italia...?
… gli Italiani ... l’idea che avevo era un’altra ... la cosa che mi ha colpito...è che sono troppo chiusi ... mentre tra qui e quando ritorni a casa ci sono dei comportamenti o degli atteggiamenti che non senti più tuoi ... Anch’io sono cambiato, quando torno gli altri giù in Tunisia mi dicono che certi miei comportamenti sono cambiati, ci sono cose che non faccio più... cose che avrei fatto in precedenza. Credo
che una persona per stare bene debba star bene con le persone, non è mica solo
il lavoro.
Sono gli spazi di socialità che ti mancano qui?
Non è un problema di spazi, anche nelle associazioni qui, mi sembra che ci sia
ancora troppo distacco, non so, gli immigrati devono parlare fino ad un certo punto e gli altri decidono, a me così non piace e questo mi ha tagliato fuori da una fetta grossa di gente e di socialità... Ad un certo momento mi sono detto “questi anni
sono persi”, io non penso ai soldi, perché...non sono importanti per me, non ho lasciato come qualcun altro il mio paese per tentare la fortuna, anzi… stavo bene in
Tunisia... non ho mai pensato di lasciare la Tunisia per motivi economici ... ho
pensato di farlo per cambiare la vita, per fare incontri, per conoscere….Lo so,
probabilmente se avessi una famiglia la penserei diversamente, magari direi che
amo vivere qui e ci resterei per sempre. Ma l’essere solo, adesso come adesso.
Cosa pensi dell’Italia di oggi?
In questo momento osservo l’Italia con attenzione, seguo i programmi politici. Sono turbato, penso alla Lega, alla questione “sicurezza” e mi dico beh gli italiani cascano su tutto ... E poi vedo anche che gli stranieri qui sono più chiusi. Io guardo
molto la televisione e mi sembra che veda le cose un po’ dal di fuori, non so, mi
sembra che non vi accorgiate delle cose.
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Quest’intervista è un estratto di quella rilasciata alla nostra collaboratrice
Laura Odasso il 12 maggio 2008. L’anno scorso Mohamed si è sposato e
sua moglie è venuta a Bra con ricongiungimento familiare.
Mohamed, com’è cambiata la tua vita dopo il matrimonio?
Hai qualcosa da modificare, da aggiungere a quello che dicevi due anni fa?
E’ cambiata sì la mia vita!
Più responsabilità, più paura, più pensieri per il futuro della famiglia.
Spero che il futuro ci porti delle belle cose, tranquillità e serenità, soprattutto.
(A cura di Raffaella Botto, domenica 6 giugno 2010)
Mohamed con Laura Odasso e la piccola Omaima in una foto di qualche anno fa
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Niang El Hadji , operaio metalmeccanico (Senegal)
La bella famiglia di El Hadji
finalmente tutti insieme
Niang el-Hadji ha 42 anni e viene dal Senegal. Metà della sua vita l’ha trascorsa in Italia dove, da poco più di un anno, è stato raggiunto dalla famiglia.
Lo incontro nella sua casa insieme alla moglie e ai loro quattro bambini.
Perché hai deciso di venire in Italia?
In Senegal ho fatto i primi due anni delle superiori al liceo linguistico, ma ho smesso perché non avevo i soldi per continuare. Inoltre c’era poco lavoro e così a 21
anni sono venuto in Italia. Sono arrivato nel 1989, prima a Torino dove sono stato
per alcuni mesi, poi in Sicilia, a Catania. Sono arrivato come clandestino, ma dopo alcuni mesi, con la legge Martelli del ’90 sono stato regolarizzato con la sanatoria. A Catania sono rimasto fino al 1996, poi sono venuto a Bra. Nell’aprile 2009
è arrivata la mia famiglia. Ho quattro figli: due vanno alle elementari, uno ha due
anni e l’ultimo è nato qui a Bra quattro mesi fa.
E del lavoro cosa mi dici?
A Catania ho lavorato come ambulante. A Bra, invece, ho lavorato per due mesi in
campagna, poi in una cooperativa ad Alba (la Vitale Robaldo) dal ’96 al 2000. Facevo le pulizie alla Miroglio. Dal 2000 al 2003 ho lavorato alla Trau, prima sotto
agenzia, poi mi hanno assunto a tempo indeterminato. Ora lavoro alla Rolfo con
un contratto a tempo indeterminato, sono operaio al reparto plastica. Alla Rolfo
devo dire che mi trovo bene. Quando ero in cooperativa, invece, è capitato certe
volte di sentirmi discriminato perché straniero.
Devo dire che quando sono arrivato pensavo di trovare di meglio, ma alla fine non
è stato così male. Sai, quando parti pensi che tutto sia più facile, ma la realtà non
è mai come te la aspetti. Per fortuna ho trovato aiuto in altri connazionali.
Hai frequentato dei corsi in Italia?
Ho frequentato corsi di italiano già in Sicilia, anche quelli per prendere la terza
media. A Bra ho frequentato un corso di informatica presso i Salesiani, perchè
penso che possa essermi utile nella vita privata ma magari anche nel lavoro. Ho
frequentato anche il corso sulla Costituzione con Mosaico e i corsi del CSV sulla
comunicazione e la contabilità per le associazioni. Come sai, da alcuni anni sono
presidente di Asbarl.
La nostra associazione va avanti piano piano. Ma abbiamo già mandato del materiale e medicine in Senegal per aiutare bambini e donne e ne stiamo raccogliendo ancora.
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Secondo te, che sei in Italia da così tanti anni, come è cambiata la situazione per gli immigrati?
In Italia, o comunque a Bra, la situazione è cambiata molto rispetto ai primi anni
per quanto riguarda l’integrazione, la vita sociale. Voglio dire che l’integrazione è
migliorata dal punto di vista della convivenza con i cittadini. Ad esempio, adesso è
più facile per uno straniero trovare lavoro. Anche la casa, prima la rifiutavano a
gente di colore. È vero, alcuni dicono che oggi è ancora così, ma secondo me, in
generale è più facile. Però dal punto di vista amministrativo la situazione è peggiorata vista la nuova legge sull’immigrazione con i permessi di soggiorno legati
al lavoro, i permessi di soggiorno a punti, ecc…
E il tuo futuro dove lo vedi?
È difficile dire dove lo vedo. Sicuramente vorrei tornare in Senegal, un giorno o
l’altro. Vorrei che i miei figli potessero costruirsi qualcosa là. Intanto spero che
passi la crisi. Ogni tanto sono anch’io in cassa integrazione, una settimana su tre
o su due. Spero che il lavoro sia più regolare.
Te lo auguro anch’io. E complimenti per la tua bella famiglia finalmente
riunita!
(Intervista di Chiara Rubriante)
Niang El Hadji durante una manifestazione nelle vie di Bra
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Cristina Iacob, infermiera (Romania)
...mentre studiavo
raccoglievo ravanelli e cipolle...
Ha 33 anni e viene dalla Romania. La incontro nella sua
casa, a Bra, insieme al marito Gianfranco. Mi racconta
della sua esperienza migratoria e di come si senta realizzata e pienamente soddisfatta della sua vita.
Come sei venuta in Italia?
In Romania quando ho finito il liceo classico ho fatto tre anni
di infermiera professionale. Ho fatto l’esame finale a luglio
2004 e a settembre sono venuta in Italia con un visto turistico di tre mesi per trovare un’amica che lavorava come badante a Roreto. Sono poi ritornata in Romania
per rinnovare il passaporto che nel frattempo mi era scaduto e quindi sono ritornata
in Italia.
La mia amica mi ha fatto conoscere una signora di Cherasco, Maria Marengo che
ha aiutato tanti stranieri e grazie a lei ho trovato un lavoro come badante presso
una famiglia. Fino al 2005 ho lavorato in nero, poi quando c’è stato il decreto flussi
mi hanno messa a posto. Nel 2006 l’anziana che accudivo è stata messa in casa di
riposo, ai Glicini a Bra.
Lì stavano cercando personale e mi hanno assunta subito a tempo indeterminato
come OSS, anche se non avevo fatto il corso, perché al tempo non era richiesto. Si
sono fidati del fatto che ero infermiera professionale, ma intanto stavo facendo le
pratiche per il riconoscimento del titolo di studio.
C’è voluto tanto per ottenerlo?
Beh, sì. È stato un iter lungo: ho preso un’aspettativa di due mesi dal lavoro per poter andare a Bucarest al Ministero della Salute e procurarmi tutti i documenti necessari. Con quelli sono poi dovuta andare al Ministero della Salute a Roma e, finalmente, dopo un anno, nel 2008, ho avuto il riconoscimento. Così mi sono iscritta all’albo degli infermieri della provincia di Cuneo. Nell’ottobre 2009 ho fatto il concorso
per entrare in ospedale a Bra e l’ho vinto. Domani è il mio primo giorno in chirurgia.
Ehi, complimenti! Ma sono stati tanti i sacrifici e le difficoltà per arrivare
fino a qui?
Eh, abbastanza. Ad esempio, mentre studiavo, per mantenermi gli studi e l’affitto,
andavo per due mesi all’anno a lavorare in Germania a raccogliere ravanelli e cipolle. Era un lavoro faticoso: tutti i giorni dalle sei del mattino alle dieci di sera nei
campi, anche con la pioggia, il vento, nel fango… però con i soldi che guadagnavo mi mantenevo per tutto l’anno.
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Ho sempre lavorato fino alla fine degli studi. Ma non ho mai provato a lavorare in
Romania perché lì, per passare il concorso e entrare negli ospedali, bisognava
pagare 2000 €. Io non li avevo e anche se me li facevo imprestare non potevo
restituirli.
E in Italia come è andata?
All’inizio che ero qui, la mia amica mi portava in ospedale a guardare qualche anziano, ma avevo difficoltà con la lingua, perché non capivo e non riuscivo a esprimermi. Ma ho avuto difficoltà solo per due settimane. Poi ho incontrato la famiglia
presso cui ho lavorato che mi faceva sempre parlare, mi davano tanti libri da leggere, incominciando con quelli per bambini, di fiabe, semplici. Ho imparato così
l’italiano, con l’aiuto degli altri, senza fare corsi. Questa famiglia mi ha adottata
quasi come una figlia, devo dire che non ho avuto mancanza dei miei genitori con
loro. Mi hanno aiutata molto, anche dopo che ho smesso di lavorare da loro, diciamo fino a che non ho incontrato mio marito, nel 2006. Ma comunque ci sentiamo ancora e continuano a considerarmi come una figlia.
Posso dire che in generale non ho incontrato problemi in questa mia esperienza
migratoria. Diciamo che sono stata fortunata ad aver incontrato le persone giuste
che mi hanno sempre aiutata. Anche nel lavoro hanno avuto tutti molta pazienza
con me. Quando ho incontrato mio marito, lui e la sua famiglia mi hanno aiutata
molto. Tutto questo mi ha fatto andare avanti.
E in clinica com’era il rapporto con i colleghi?
È andato sempre tutto bene. Solo quando sono passata da OSS a infermiera professionale, all’inizio mi sembrava che non accettassero il fatto che fossi “superiore” rispetto a loro, anche se io non mi ritenevo tale. Io facevo solo il mio lavoro. Poi
però è passata.
Il tuo futuro dove lo vedi?
Beh, sicuramente qui in Italia. Anche se quasi tutti gli anni andiamo in Romania in
vacanza, non potrei mai tornare lì definitivamente. È una vita troppo diversa: il
mio è un piccolo paese di montagna di 2500 abitanti, dove l’economia è basata
prevalentemente sull’agricoltura. Sai, sto bene così, sono soddisfatta della mia
esperienza e sono la donna più felice del mondo: ho un marito, un lavoro, spero
poi anche un figlio!
Te lo auguro! Intanto grazie e vai a riposarti che domani ti aspetta un giorno
importante! In bocca al lupo!
(Intervista di Chiara Rubriante)
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Rozeta Plumbini, medico e
Leonard Plumbini, insegnante
di musica (Albania)
Grazie Mongardino
E’ cominciata in questo paesino
la nostra avventura italiana
Com’è iniziata la vostra “avventura italiana”?
Siamo in Italia da circa 10 anni. All’inizio siamo stati accolti dai genitori e il fratello di
Rozeta che abitano a Mongardino, un paesino di 900 abitanti in provincia di Asti.
La lingua italiana la conoscevamo già. Abbiamo conosciuto subito il parroco don
Mario, che mi ha invitato a suonare in Chiesa e abbastanza in fretta ci siamo creati
delle amicizie che ci sono state sempre vicine nelle difficoltà e ci hanno tenuto su
di morale, amicizie che continuano ad essere vive anche oggi che non abitiamo più
lì. Per il permesso di soggiorno un’artigiana ad Asti ha assunto mia moglie in una
sartoria per pura beneficenza nonostante non avesse bisogno di un’aiutante finché è uscito un posto in una casa di riposo come assistente agli anziani.
Quali sono state le vostre prime impressioni, all’arrivo?
Quando eravamo in Albania l’Italia ci sembrava un paradiso e pensavamo che
per noi non sarebbe stato difficile integrarci. Quando siamo arrivati qui abbiamo
visto che al contrario era molto difficile perché i nostri studi non erano validi..Abbiamo dovuto fare tanti lavori molto diversi da quelli cui eravamo abituati e in ambienti molto diversi dalla nostra cultura e mentalità che ci portavano spesso sofferenze morali.
Qual è adesso la vostra situazione?
Nella mia famiglia ci siamo io che insegno violoncello in una scuola privata e suono in diverse orchestre, mia moglie Rozeta che fa il medico di guardia e medicina
generale, nostra figlia Jane frequenta la terza al liceo scientifico, va bene con gli
studi dà lezioni di canto ha partecipato in tanti concorsi canori con buoni risultati
ed è stata anche premiata, e suona a livello dilettante chitarra e pianoforte, Amadeus frequenta la prima media e studia violoncello all’ “Istituto Verdi” dopo aver
studiato con me per 5 anni da quando aveva 6 anni, inoltre ha vinto premi nei
concorsi nazionali di musica. Per quanto riguarda il rapporto con i nostri connazionali e gli italiani, devo ammettere che quando incontro un albanese mi è più facile conoscerlo, mentre quando entriamo in rapporti amichevoli non c’è assoluta60
mente alcuna differenza tra albanesi e italiani. Nell’ambito lavorativo cerchiamo
di adattarci all’ambiente ed essere corretti nei rapporti interpersonali, e perché
no, creare anche rapporti di amicizia.
Tutto sommato, come valutate la vostra esperienza di emigrazione?
Se prima di venire mi avessero detto che cosa avremmo dovuto affrontare, non
so se avremmo avuto il coraggio di fare questa avventura. Adesso che abbiamo
fatto sacrifici ma siamo arrivati al punto che volevamo raggiungere, non siamo
pentiti delle difficoltà passate perché ci sentiamo realizzati ed ha aumentato la
nostra autostima. Abbiamo sempre nostalgia del nostro paese e ci fa sempre piacere visitarlo. D’altra parte sentiamo che anche qui dove siamo contribuiamo per
l’Albania perché noi immigrati siamo gli ambasciatori della cultura albanese nel
mondo e il nome buono o cattivo nel mondo lo diamo noi.
Che messaggio volete dare ai connazionali che vivono in Italia?
Il messaggio che possiamo dare agli altri immigranti è di vivere e lavorare con
onestà e adattarsi alle regole e alla società italiana, di insegnare ai figli la lingua
madre, di non far credere loro che essere straniero possa essere un minus, prendere dalla cultura italiana i lati positivi, mantenendo con determinazione le nostre
qualità. Non posso generalizzare i difetti e i valori degli italiani. Di loro amo l’umanità e sensibilità, ma spesso non condivido la superficialità e falsità.
(a cura di Mimoza Sali, aprile 2010)
La famiglia Plumbini durante un viaggio a Roma
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Rositza Stefanova , badante (Bulgaria)
Come l’emigrazione ha rubato le mie
emozioni Rosy dal Paese delle rose
Rosy Stefanova è nata e ha vissuto a Shumen in Bulgaria. Ha 56 anni. E’ laureata in lettere e letteratura bulgara.
Da più di 5 anni è in Italia, dove lavora come badante. E’
appena tornata dalla Spagna dove è andata per conoscere IVO, il primo nipotino, figlio di sua figlia Albena, anche
lei bulgara emigrata. Ha partecipato con poesie di grande valore al nostro concorso “La Musica del Cuore”.
Sai Rosy, quando penso alla Bulgaria, mi vengono sempre in mente le rose? E’ così?
E’ vero, le rose non sono solo un simbolo, ma una realtà, si coltivano dai tempi più
antichi, ci sono leggende, si produce l’essenza di rose migliore del mondo, l’immancabile componente di ogni profumo. Pensa che per fare un litro di essenza ci
vogliono tonnellate di petali di rose!
Ma la Bulgaria non sono solo rose, no?
Certo che no! Il mio paese è grande come il pugno di una mano, ma è bellissimo.
Pensa alle coste del Mar Nero, al Danubio, a montagne e pianure ancora incontaminate, alla gente ospitale. Un ambiente splendido, malgrado l’inquinamento
presente lì come altrove. Ci sono parchi naturali Patrimonio dell’Unesco, riserve
ornitologiche e faunistiche, monumenti storici di valore universale. I reperti archeologici mostrano le tracce di popoli e culture (Traci, Bizantini, Romani, Slavi,
Bulgari, Ottomani..)
Il passato regime, finito nel 1989. ha fatto qualcosa per mantenere queste
ricchezze naturali?
Potrei dire che quei 50 anni, dopo la fine della 2.a guerra mondiale, sono stati il 2°
periodo d’oro per la nostra cultura (il 1° è stato prima dell’arrivo degli Ottomani,
nel X° sec.).
Mi hai detto che lavoravi nel campo culturale? In cosa consisteva il tuo
lavoro?
Ho lavorato 3 anni come insegnante di lettere, poi come giornalista e come organizzatrice di eventi culturali.
Per esempio?
Il 24 maggio è la Festa Nazionale dell’Alfabeto e della Cultura bulgara. Me ne sono occupata dal 1985 fino al 1994. Si organizzavano concorsi musicali e altri,
esposizioni ecc.
Questo durante il regime socialista?
Certo. Curavo anche la pubblicazione di materiale utile all’attività dei centri
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culturali.
Allora ti piaceva il tuo lavoro! Perché nel 2004 sei venuta in Italia?
La vita è imprevedibile, a volte ti fa brutti scherzi! Nel 79 ero venuta in Italia come
turista, visitando un castello la guida ci ha detto: “questa è la stanza della servitù”.
Era bella, tutta dorata, e ho detto: “allora mi piacerebbe lavorare anch’io come
una serva!” Si potrebbe dire che è per questo che sono in Italia. Ma i motivi sono
diversi.
Allora perché sei qui?
Dopo il crollo del regime, ci sono stati cambiamenti strutturali, licenziamenti. Sono rimasta senza lavoro nel 1994. Con tenacia ho cambiato, provato il commercio, la pubblicità, e altro, ma la situazione politica ed economica non permetteva
ai piccoli imprenditori di sopravvivere. Ci fu una forte inflazione, il cambio della
moneta, la deflazione ha quasi azzerato quel poco che eravamo riusciti a mettere
da parte. Le privatizzazioni hanno fatto arricchire i furbi e i politici sulla cresta dell’onda.
Già. Allora, che fare? Perché in Italia? Come hai fatto?
Già amavo l’Italia per la cultura e le bellezze naturali. Poi, come succede, ho pagato un intermediario bulgaro che mi ha trovato il lavoro ed è cominciata la mia
seconda vita.
Come ti ha cambiata la tua esperienza di emigrazione?
Avrei tante risposte, prima di tutto vorrei dire che non esistono lavori umilianti ma
situazioni umilianti. E me ne sono già capitate! Se fossi una scrittrice potrei fare
tanti ritratti delle persone con cui sono venuta a contatto. Ho capito cosa c’era in
fondo alle loro parole, ai loro sguardi. La vita non è mai in bianco e nero, i nostri
sentimenti, le nostre esperienze prendono tutti i colori dell’arcobaleno. Se ne sono accorti anche in Bulgaria che sono cambiata: “ma come, dov’è la tua grinta, il
tuo senso dell’indipendenza?” Questo lavoro mi ha fatto diventare più umile,
schiava dei bisogni altrui.
Ti costa sofferenza star lontana dal tuo Paese? Cosa hai in cambio dal tuo
vivere qui?
Vivo con la nostalgia che hanno tutti gli stranieri. Poi il mio lavoro di badante mi
impedisce di muovermi e di comunicare. E questo mi costa fatica, dolore, sofferenza. Mi sento come prigioniera dei soldi che devo guadagnare e mandare alla
mia famiglia.
Hai scritto delle belle poesie, perché non le scrivi più? Cosa vuol dire per te
scrivere poesie?
Per scrivere poesie servono emozioni profonde, legate alla vera vita, non quella
che vivo adesso stretta fra 4 mura con impegni quotidiani. Ma anche in questo caso la vita grigia, monotona, ti crea pensieri, tipici di una straniera, di una badante.
Ecco, finisco la nostra conversazione con due versi di una mia poesia che esprime la vera storia di tanti come me:
“ non chiedermi per i soldi ce li ho per il pane e le lacrime”
Coraggio Rosy, continua a scrivere, non privarci delle tue poesie!
(a cura di Raffaella Botto, dicembre 2009)
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Simona Antohi, operaia (Romania)
...ho scelto l’Italia
perche’ e’ il paese della musica
Simona Antohi è arrivata dalla Romania tre anni e mezzo
fa. Ricordo che l’ho incontrata per la prima volta in occasione del concorso “La musica del cuore” al quale partecipò con alcune poesie meritevoli. Le chiedo di parlarmi della sua esperienza migratoria.
Perché hai deciso di lasciare la Romania?
Per semplice curiosità e perché volevo crescere come persona. In Romania ero insegnante, laureata in Sociopsicopedagogia con una specializzazione in Istitutor-Educazione musicale. Ho insegnato musica e fatto la maestra elementare per sei anni. Mi piaceva il mio lavoro, ma in Romania non è facile avere un posto stabile. Ogni anno mi spostavano
da una scuola all’altra. Così ho scelto l’Italia perché è il paese della musica. E poi
volevo viaggiare e conoscere gente nuova.
È stata dura quando sei arrivata?
Beh, all’inizio sì, anche perché da fuori tutto sembra bello, poi quando ci sei dentro è diverso: è difficile trovare lavoro, la casa. Non sapevo la lingua, ma ho imparato in fretta. Sono arrivata prima a Torino e lì ho lavorato come badante. Poi sono
rimasta senza lavoro. Allora sono venuta a Bra perché mi avevano detto che tramite la Caritas si poteva trovare qualcosa.
Qui ho incontrato Rodi che mi ha aiutata a trovare un posto come badante. Ma
era un lavoro pesante: soprattutto mi pesava il fatto di avere poco tempo per me.
I datori comunque erano gentili e non abbiamo mai avuto problemi. Poi sono stata assunta in una cooperativa e lì ho imparato cosa vuol dire essere sfruttati e
umiliati e anche che cos’è il razzismo: prima lo conoscevo solo come parola, lì invece l’ho provato sulla mia pelle. Eravamo in maggioranza stranieri di diverse nazionalità e si sentiva la differenza di trattamento. Non era un lavoro continuativo
perchè mi chiamavano (e mi pagavano) solo quando c’era da fare. Alla fine mi sono licenziata.
Per qualche mese ho aiutato una famiglia con una anziana a letto, ma da settembre sono stata assunta alla BRC di Cherasco.
Mi piace il lavoro e mi trovo bene con i colleghi. Purtroppo il contratto è sempre a
tempo determinato, però me lo hanno già rinnovato una volta. Posso dire che ho
cominciato una fase buona. Ora sono felice!
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Si vede dalla luce che hai negli occhi!! Ma tu studi anche, vero?
Come sai, qui in Italia, ho preso la terza media (i miei titoli di studio non sono riconosciuti) e ho fatto i primi due anni delle superiori. Quest’anno però non riesco più
a frequentare perché faccio i turni al lavoro e quindi sono in corsa solo per la qualifica. Intanto sto anche provando a farmi riconoscere il liceo per iscrivermi all’università. Spero di farcela. Mi piacerebbe anche far riconoscere la laurea per ricominciare a lavorare con i bambini. Sai, la musica è la mia grande passione, ma
qui non ho molto tempo da dedicarle, perché faccio una vita diversa da quella che
facevo in Romania. Però faccio cose che mi piacciono: ad esempio, appena sono
arrivata a Bra, mi sono iscritta all’associazione romena ACASA e in alcune occasioni ho preparato i programmi artistici e ho accompagnato un coro di bimbi romeni con la chitarra.
E poi, quando ho tempo, collaboro al giornale “Di tutti i colori”!
Eh già! E alla Romania non pensi mai?
Come no! Io sono molto patriottica (l’hai vista la bandierina della Romania di là in
camera?) e torno volentieri a casa ogni anno, ma per ora non penso di ritornare a
vivere là. Quando sto bene non penso di tornare a casa. E poi mi piace stare a
Bra. Di Bra mi piace tutto: è una città calda, con brava gente e qui sono riuscita a
farmi amici di tutti i colori! Io sono una che ama comunicare, conoscere gente e
imparare dagli altri.
In questi anni ho avuto momenti difficili che però mi hanno aiutata a crescere:
posso dire che in tre anni sono cresciuta quanto in trenta e ora voglio solo guardare avanti ed essere ottimista. Da qualche tempo penso a quando potrò chiedere la cittadinanza. Sento che Bra ormai è la mia casa!
Che bello sentirti dire queste cose e vederti così felice! Allora in bocca al lupo per i tuoi progetti futuri e cerchiamo di vederci più spesso…!
(a cura di Chiara Rubriante, aprile 2010)
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una
Costituzione
per tutti
Il dvd e il libretto di “Una Costituzione per tutti” che avevamo prodotto in occasione del sessantesimo della Costituzione hanno avuto un grande successo e sono
ormai esauriti da tempo.
Alcuni di voi li ricorderanno: con cartoni e filmati vi si ripercorrono attraverso le
vicende di una classe multietnica le tappe e i contenuti della Costituzione
repubblicana.
Li riproponiamo, grazie al progetto realizzato con la collaborazione ed il sostegno
del CSV Società Solidale, in occasione dell'uscita del dvd di “Un mondo di lavoro”. Lo facciamo non solo per le richieste che continuano a giungerci e per la persino ovvia considerazione che “la Costituzione non scade”.
E' utile, perfino urgente, la ristampa di un corso sulla Costituzione destinato elettivamente al mondo dell'immigrazione ed ai giovani, perché:
- è stato approvato dal governo il 20 maggio 2010 e dovrebbe entrare in vigore l'1
gennaio 2011 il permesso a punti che vede nella lingua e nella conoscenza della
Costituzione gli elementi basilari della concessione del permesso di soggiorno ai
nuovi immigrati
- nel regolamento del permesso a punti sono previsti corsi di italiano e cultura tenuti oltre che da enti pubblici anche dalle associazioni che ne facciano richiesta,
parecchie delle quali verosimilmente della nostra area di riferimento
- sono sempre più numerosi i migranti che ottengono la cittadinanza italiana.
Qualche sindaco ha introdotto la (buona) consuetudine di accompagnare la cerimonia del giuramento con la consegna di una copia della Costituzione, vorremmo poter loro offrire anche con una copia di una “Una Costituzione per tutti”.
Con questa ristampa riteniamo di venire incontro ad un bisogno sociale, svolgere
una funzione di servizio e, con tutta la modestia del caso, portare il nostro piccolo
contributo a far vivere nelle esigenze di una società che cambia la legge fondamentale del nostro paese.
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Lo Statuto
dei Lavoratori
Questa denominazione è da tempo entrata nel vocabolario del movimento
operaio italiano e sta ad indicare la Legge 300 del 1970 "Norme sulla tutela della
libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei
luoghi di lavoro e norme sul collocamento.", finora la più importante norma di diritto del lavoro. Perché la più importante?
Perché fa compiere un balzo decisivo rispetto al passato nel riconoscimento
della dignità, delle libertà, delle tutele che ogni lavoratore detiene sui luoghi di lavoro e determina un nuovo rapporto tra i datori di lavoro, i lavoratori dipendenti e
le loro rappresentanze sindacali che ancora oggi, nonostante i ripetuti attacchi e
le tenui difese, consente la salvaguardia delle posizioni più deboli, insieme alla
Costituzione e ai contratti collettivi di categoria.
Il lavoro nella Costituzione
La Repubblica italiana, pone il lavoro come punto fondamentale del suo assetto democratico: la Costituzione lo considera fondante della nostra democrazia
(articolo 1), diritto di ogni cittadino (articolo 4) e pertanto impegna le istituzioni nella sua tutela in tutte le sue forme ed applicazioni (articolo 35).
Nel Titolo III – Rapporti economici la Costituzione sancisce i diritti principali –
indisponibili - dei lavoratori, anzitutto la retribuzione proporzionata alla quantità e
qualità del lavoro, la durata massima della giornata lavorativa, il riposo settimanale e le ferie annuali retribuite (articolo 36), per continuare con la protezione del lavoro femminile e minorile (articolo 37) e di chi il lavoro non ce l’ha o l’ha perso, o
non può esercitarlo perché inabile o è in pensione (articolo 38).
Vengono poi due articoli, il 39 e il 40, che trattano della libertà sindacale e del
diritto di sciopero.
Lo Statuto in gran parte da seguito alle norme costituzionali nel campo delle
relazioni sui luoghi di lavoro e raccoglie le istanze rivendicate dai lavoratori stessi
in anni di lotte.
Lo stesso Codice civile, peraltro, già dettava norme specifiche sui rapporti di
lavoro nell’impresa (Libro V, Titolo II), configurando nel dettaglio diritti e doveri dei
lavoratori e degli imprenditori.
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Come nasce lo Statuto
Ma torniamo allo Statuto per tracciare brevemente le sue premesse storiche e
sociali. Fin dalla nascita della Repubblica si manifesta la volontà di dar vita a nuove relazioni industriali in linea con le premesse democratiche dello Stato e con
l’accresciuta rilevanza del mondo del lavoro per la crescita del paese, che avrà il
suo apice nel cosiddetto miracolo economico italiano fin verso la metà degli anni
sessanta del secolo scorso.
La società italiana in quegli anni si trasforma, da agricola, chiusa in rapporti ingessati dal ventennio fascista e da retaggi storico-culturali e religiosi, diventa industriale, aperta alle nuove tendenze occidentali, culturalmente vivace e con la rivendicazione di nuovi rapporti ad ogni livello: nelle fabbriche e nelle università,
nelle istituzioni pubbliche e nella chiesa si contestano i vecchi rapporti autoritari e
si reclama una partecipazione attiva di tutti i soggetti che intervengono nella vita
sociale.
E’ la stagione delle lotte ugualitarie del ’68 e ’69 per il salario unico, contro le
differenze e divisioni tra i lavoratori, contro la separazione tra lavoro manuale e
intellettuale, per la difesa del posto di lavoro contro la discrezionalità imprenditoriale, per la libertà sindacale e per il diritto all’informazione sui destini dell’impresa
mentre fuori, nelle scuole e università gli studenti si ribellano all’autoritarismo che
riproduce le stesse differenze e divisioni.
Tutto ciò farà compiere un balzo di discontinuità rispetto al passato e caratterizzerà le riforme degli anni settanta. In questo clima di rinnovamento profondo
della società italiana, segnato dalle lotte operaie e da un più autorevole ruolo dei
sindacati, e dalla necessità di norme coerenti con il dettato costituzionale prende
forma lo Statuto dei lavoratori: quella è la sua vera paternità, come riconobbe lo
stesso ministro del lavoro, il socialista Giacomo Brodolini, che lo promosse con
convinzione. Sul piano politico il centrosinistra aveva già avviato alcune importanti riforme nel diritto del lavoro come la tutela della donna lavoratrice, o il Testo
unico sugli infortuni e le malattie professionali, sulle pensioni sociali e quelle di
anzianità, sull’abolizione delle gabbie salariali.
Libertà e dignità del lavoratore
Esaminando i contenuti dello Statuto il Titolo I tratta Della libertà e della dignità
del lavoratore. Fin dall’articolo 1 sancisce la libertà di opinione del lavoratore, che
non può subire discriminazioni per le sue opinioni politiche o religiose, o essere indagato per queste nemmeno in vista dell’assunzione. “I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali o di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi di lavoro dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero
nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge”.
Non si può dimenticare infatti che nel dopoguerra si verificarono numerosi casi
di operai licenziati per la loro attività politica o sindacale o inviati in reparti confino
isolati dai propri compagni di lavoro. Sulla disciplina nei luoghi di lavoro, dopo aver
fissato i limiti per la vigilanza interna e per gli accertamenti sanitari all’art. 7 si affer74
ma tra l’altro che “Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa … il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi, anche
per mezzo dell’associazione al quale sia iscritto ovvero conferisca mandato, la costituzione, tramite l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di
un collegio di conciliazione e di arbitrato …”. Fondamentale poi l’articolo 9 che tratta della tutela e dell’integrità fisica del lavoratore, con il diritto al controllo delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali anche con l’intervento delle rappresentanze sindacali. Per la prima volta si sanciscono i diritti dei
lavoratori studenti, agevolati nella frequenza e negli esami, premessa del riconoscimento dei permessi retribuiti di 150 ore annuali per il completamento delle
scuole dell’obbligo che le Confederazioni sindacali otterranno negli anni settanta.
Libertà e attività sindacale
Passando al Titolo II Della libertà sindacale, l’articolo 14 recita: “Il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale, è garantita a tutti i lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro” e i successivi tutelano sui possibili atti discriminatori derivanti dall’esercizio dell’attività sindacale. Vi è poi, importantissimo, l’articolo 18 che coerentemente con l’articolo 2119 del Codice civile che ammette il licenziamento solo per giusta causa (ossia il verificarsi di condizioni che non consentano la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto) o giustificato motivo (inadempimenti del lavoratore, gravi mancanze disciplinari, ripetuti ritardi, scarso rendimento, ecc.) prevede la reintegrazione nel posto di lavoro
in caso di licenziamento illegittimo. Dichiara infatti l’art. 18 che “il giudice, con la
sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento … o annulla il licenziamento
intimato senza giusta causa o giustificato motivo ovvero ne dichiara la nullità a
norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel
posto di lavoro”. Mentre scriviamo queste note (fine agosto 2010) è in corso un
contenzioso di tre operai della Fiat di Melfi licenziati dall’azienda ma reintegrati
dal giudice nel loro posto di lavoro: nonostante la sentenza inequivocabile la Fiat
si rifiuta di far tornare al loro posto di lavoro i tre operai, incurante dello Statuto e
delle leggi, della Costituzione, dello stato di diritto in cui tutti sono sottoposti alla
legge e alle sentenze della magistratura.
Il Titolo III Dell’attività sindacale, rappresenta anch’esso un’importante novità
nelle relazioni industriali perché introduce norme che consentono l’agibilità dell’attività sindacale all’interno delle fabbriche. Anzitutto il superamento delle vecchie Commissioni interne con la costituzione delle rappresentanze sindacali
aziendali (art. 19) elette direttamente dai lavoratori (poi indicate come R.S.U.) e il
diritto dei lavoratori di riunirsi in assemblea per 10 ore annue in orario di lavoro
anche con l’intervento di dirigenti sindacali esterni (art. 20). Come si vede sono
aspetti fondamentali e innovativi di democrazia partecipata sui luoghi di lavoro,
come pure l’art. 21 che tratta della possibilità di tenere dei referendum “su materie
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inerenti l’attività sindacale”. Oggi assistiamo ad un declino di questo diritto, alcune sigle sindacali si oppongono al pronunciamento diretto dei lavoratori in materia contrattuale, oppure si chiamano i lavoratori a pronunciarsi di fronte a scelte
già compiute, prender o lasciare! I successivi articoli del Titolo III riguardano la regolamentazione dei trasferimenti dei rappresentanti sindacali, i permessi retribuiti per svolgere il loro mandato, il diritto di affissione dei comunicati sindacali nei
luoghi di lavoro, i locali che l’azienda deve mettere a disposizione delle RSU nelle
unità produttive con almeno 200 lavoratori.
Non ci occupiamo dei successivi Titoli IV, V e VI che contengono disposizioni
meno significative anche se non prive di innovazione come la repressione della
condotta antisindacale (art. 28), l’aspettativa per i lavoratori chiamati a funzioni
pubbliche elettive o a ricoprire cariche sindacali (art. 31), ed infine un limite non
indifferente: lo Statuto si applica solo per le aziende con più di quindici lavoratori
(ridotti a cinque per le aziende agricole), e non possiamo certo dimenticare che
gran parte delle aziende italiane si contano come piccole imprese!
Nel momento in cui scriviamo vengono avanti tentativi di superamento dello
Statuto dei lavoratori: il ministro del lavoro in carica ha in serbo uno Statuto dei lavori che dovrebbe tener conto delle nuove condizioni di precarietà in cui è caduto
il lavoro nel nostro paese: occorrerà vigilare affinché i diritti fondamentali che lo
Statuto afferma non vengano stravolti dietro un presunto nuovismo e un fiume di
parole.
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Intervista
al direttore
del Patronato
INCA CGIL di Cuneo
Emilio Ciuccio ricopre da anni l’incarico di direttore provinciale del patronato INCA della CGIL.
E’ stato uno dei docenti al Corso sulla sicurezza
sul lavoro che si è tenuto a Bra nell’ambito dei questo progetto. Con lui vogliamo proseguire la discussione nell’approfondire alcuni aspetti più delicati della discussione avuta nel corso.
D. I lavoratori sanno che la tutela collettiva
della salute sui luoghi di lavoro è garantita dalle
leggi (nel nostro caso dal Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro
d.lgs 81/2008 e successive modificazioni) e dai contratti collettivi di categoria. Talvolta, però, i lavoratori, ed in particolare quelli stranieri, non hanno
ben chiaro quali siano i passi da compiere per latutela individuale.
R. Spesso capita che un operaio straniero privo di permesso di soggiorno,
che quindi lavora in nero, subisca un infortunio sul lavoro e che si rechi al pronto
soccorso dichiarando di essersi infortunato per cause extra-lavorative.
Ciò per paura di perdere il proprio posto di lavoro e quindi il reddito. Succede
poi che allo stesso lavoratore intervengano complicazioni che lo costringono a recarsi nuovamente in ospedale per le ulteriori cure e solo a quel punto si reca presso i nostri uffici perché la gravità del caso lo costringe.
Ho ben presente un caso recente di un operaio di origine senegalese che ha
subito un grave infortunio che gli ha provocato il rischio di cancrena ad un braccio; dopo essere stato per la seconda volta al P.S. ospedaliero è venuto da noi per
attivare la procedura del riconoscimento dell’infortunio precedentemente non denunciato. Fortunatamente la legge non fa distinzioni tra cittadini italiani e non per
cui l’operaio è stato curato a dovere. Da parte nostra abbiamo subito attivato la
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procedura con denuncia all’Ispettorato del lavoro, all’INAIL, allo SPRESAL (il
Servizio di medicina preventiva dell’Asl),e, quando è necessario, anche la denuncia all’autorità giudiziaria. Noi però interveniamo a posteriori; è necessario che
tutti i lavoratori comprendano il valore della tutela dai rischi sui luoghi di lavoro e
che quindi adottino tutte le precauzioni del caso e non si facciano sconti a quegli
imprenditori che non tengono conto adeguatamente della sicurezza, denunciando i fatti in modo veritiero.
D. Questo per quanto riguarda gli infortuni. E per le malattie professionali che derivano da una prolungata esposizione ad agenti nocivi o da posizioni lavorative stressanti?
R. Mentre per gli infortuni parliamo di eventi traumatici violenti, che quindi sono immediatamente messi in luce dai traumi subiti, per le malattie professionali
parliamo di una situazione più subdola, che spesso ha un decorso lento meno
evidente. Si pensi agli operai addetti alla smerigliatura che a causa del rumore
assordante perdono l’udito, o per via delle polveri si espongono a broncopatie
causate da polvere di silice. O chi è costretto a spostare manualmente carichi pesanti (sforzo ripetuto) con conseguenti patologie alla colonna vertebrale. In casi
come questi, quando il lavoratore si mette in malattia, il medico di base ha l’obbligo di segnalare l’evento se ritiene che vi siano probabili correlazioni tra la malattia
stessa e la sua origine sul luogo di lavoro. Tocca al medico compilare un apposito
certificato e avviare la procedura di accertamento presso l’INAIL per il riconoscimento dello stato di malattie professionale. Talvolta succede che il medico non intenda procedere in questo senso anche se ne ricorrerebbero i motivi per non doversi sobbarcare tutto l’iter burocratico che comporta.
Anche in questo caso il Patronato, che ha a disposizione propri medici specialistici, interviene se ne ravvisa la necessità “invitando” il medico di base a riaprire
il caso. Perciò, il nostro è anche un intervento preventivo.
D. In che senso?
R. Le nostre segnalazioni ripetute di casi di infortunio o malattie professionali in
una determinata azienda evidenziano carenze nei sistemi di protezione o di nocività dell’ambiente di lavoro, o di stress prolungato. Le autorità competenti interverranno in seguito per rimuovere gli ostacoli a corrette procedure sui luoghi di lavoro,
con evidente beneficio per i lavoratori e per l’azienda che non dovrà ulteriormente
sopportare spese per l’indennità al lavoratore e ne beneficierà anche l’ambiente.
D. Una volta ottenuto dall’INAIL il riconoscimento dell’infortunio o della
malattia professionale cosa consigliate di fare?
R. Oggi viene riconosciuta al lavoratore non solo la perdita della capacità lavorativa ma anche il danno biologico, ossia il danno alla persona in quanto tale.
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Quando il danno biologico viene riconosciuto dall’INAIL si ottiene un indennizzo se si raggiunge almeno il 6% di invalidità. Ad esempio, se ad un operaio di circa 35 anni gli viene riconosciuto il 6% di invalidità può ottenere un indennizzo in
una sola trance di circa 3500 – 4000 euro.
Vi è poi il caso del danno differenziale che è possibile richiedere in sede civile
con un contenzioso verso il datore di lavoro se viene accertata la sua responsabilità perché non ha preso tutte le misure preventive dovute. In questo caso, se il
giudice ne ravvisa la responsabilità l’imprenditore può essere condannato ad un
risarcimento per un importo che copre la differenza tra il danno alla persona subito (biologico) per i traumi ricevuti, indennizzati dall’INAIL, e il danno complessivo,
biologico e patrimoniale. In questo secondo caso la tutela può essere esercitata
tramite l’Ufficio vertenze della CGIL.
D. Questioni piuttosto complesse che richiedono un’efficiente e capillare organizzazione.
R. Certo. Per attendere a queste complesse incombenze siamo presenti con
nostri uffici nelle sedi CGIL delle sette maggiori città della provincia e effettuiamo
permanenze in altri centri minori.
Ci avvaliamo della consulenza di nostri medici del lavoro, di medici specializzati in medicina legale, in pneumologia, allergologia e oculistica. Segnalo inoltre il
nostro sito www.cgilcuneo.it e il sito dell’INCA CGIL nazionale: www.inca.it.
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Stampato nel mese di ottobre 2010
presso i tipi della Comunecazione di Bra
Progetto realizzato con la collaborazione ed il sostegno
del CSV Società Solidale
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il libretto - Osservatorio sull`immigrazione in Piemonte