GUARDIA D’ONORE Registrazione del Tribunale di Roma n° 300/86 del 10/06/1986 C/0553/2011 Filippo Corridoni, sindacalista rivoluzionario, caduto alla Trincea delle Frasche il 23 ottobre 1915 maggio / giugno 2015 3 SOMMARIO pag. MAGGIO - GIUGNO 2015 Rivista bimestrale dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon Direzione: 00186 Roma - Via della Minerva, 20 Tel. 06.67.93.430 Fax. 06.69.92.54.84 Indirizzo Internet: www.guardiadonorealpantheon.it E-mail dell’Istituto: [email protected] Quote sociali 1 Cronaca delle delegazioni 2 Prossimi eventi 12 Servizi di Guardia 2014 14 Medaglie al merito di servizio 2014 18 Guardie scelte 2014 19 Cultura 20 Libri 42 Note liete 45 Necrologi 45 Nuovi iscritti 46 Oggettistica 47 Modulo di domanda di ammissione 48 Direttore Responsabile: Ugo d’Atri Le lettere e gli articoli esprimono unicamente le opinioni degli autori. Proprietà letteraria, artistica e scientifica riservata. per le riproduzioni anche se parziali, è fatto abbligo di chiederne preventiva autorizzazione, citarne la fonte, inviando all’Istituto una copia. Registrazione del Tribunale di Roma n.° 300/86 del 10-06-1986 Spedizione in abbonamento postale Del presente numero di 48 pagine sono state stampate 3700 copie Finito di stampare il Impaginazione e stampa: Co.Art s.r.l. www.co-art.it Prevista consegna alle poste il SOMMARIO La collaborazione del Direttore e dei soci è da sempre gratuita e mai può assumere la forma di lavoro dipendente o di collaborazione autonoma perché incompatibile con la natura volontaristica dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle reali Tombe del Pantheon, di cui la Rivista è organo. Fermo quanto precede, la direzione si riserva di ospitare, in attuazione all’art. 21 della Costituzione, interventi anche di non soci a titolo gratuito, riservandosi sempre e comunque il diritto di apportare tagli e modifiche ritenute necessarie. Ogni collaborazione implica accettazione integrale e senza riserve di quanto precede. Hanno collaborato a questo numero: Giorgio Aldrighetti Carlo Bindolini Valter Cotti Cometti Ugo d’Atri Onofrio L. delli Carri Domenico Giglio Pietro Grassi Riccardo Mattoli Fabio Monescalchi Lorenzo Orrino Ciro Romano GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 QUOTE SOCIALI AMMISSIONE .............................................................100 Euro (senza fascia e cravatta/foulard) .....................................................................................150 Euro (con fascia e cravatta/foulard) RINNOVI ANNUALI ................................................... 50 Euro (sostenitori oltre i 50 euro) PER EFFETTUARE IL PAGAMENTO UTILIZZARE LE SEGUENTI MODALITÀ Istituto Nazionale per la Guardia d'Onore alle Reali Tombe del Pantheon Conto corrente postale: 59325001 Bonifico: Poste Italiane codice IBAN: IT 08 D 07601 03200 000059325001 codice BIC: BBBIITRRXXX SOCI BENEMERITI E SOSTENITORI Baggio Veronica Bondioli Osio Mario Borrini Franco Cardellini Claudio Cecconi Anna Coppi Maria Beatrice Duvina Pierluigi Fazzi Giovanni Benedetto Formato Marco Frau Marcello Fumagalli Gianferdinando Galdini de Galda Marco Galli di Acciano Francesco Antonio Grandi Maria Luisa Gremo Vittorio Lapucci Francesco Levato Carmine Lubin Valentini Giuseppina Lucia di Masca Edoardo Nobili Giuseppe Panariti Benito Passoni Rodolfo Pizza Ciro Rubino Giacomo Sartor Giorgio Giulio GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 1 CRONACA DELLE DELEGAZIONI ALESSANDRIA Pecetto di Valenza, 28 marzo 2015 La delegazione provinciale ha organizzato una visita alla mostra su Borsalino e la Grande Guerra presso il museo del Cappello. Dell’evento ha dato notizia anche la stampa locale. Le Guardie d’Onore presenti erano: Ronza, Torielli, Luxardo, Amisano, Barco, Scaffino, Ulandi, Ferrari, Calvi di Bergolo, Lombardi, Raspagni, Cassero, Camagna, Marabello (delegazione di Savona), Tizzoni (Piacenza). AREZZO 6 febbraio 2015 In un ristorante del centro della città di Arezzo, si è tenuta una riunione conviviale della Delegazione della Guardia d’Onore delle Province di Arezzo e Siena. La riunione, dovuta all’iniziativa della Delegata Maria Isolina Forconi, ha rappresentato il secondo evento del genere svoltosi, a distanza di circa un anno dal precedente, nella città toscana. All’evento stesso hanno preso parte le seguenti Guardie d’Onore della Delegazione: Tiziana Bianchini, Luigi Borgia, Lorenzo Carlini, Massimo Cocchi, Francesco Saverio Farina, Maria Isolina Forconi, Luciano Gatteschi, Raffaello Giorgetti. Sono stati altresì presenti quattro aspiranti all’ingresso nella Guardia: Mino Marino Faralli che, nell’occasione, ha consegnato alla Delegata la relativa domanda di ammissione, Giuliano Caroti, Paolo Debolini, Ascanio Morreale. 2 Terminata la cena, su invito della Delegata, ha preso la parola la Guardia d’Onore Luigi Borgia, il quale ha trattato di un argomento, molto poco conosciuto, che ha riguardato la storia sabauda della prima metà dell’Ottocento: il legittimo trasferirsi dei diritti sulla corona del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda dall’ultimo rappresentante degli Stuart reali, il cardinale Enrico Benedetto (*1725†1807), a due generazioni della Reale Casa di Savoia. In breve, ecco i fatti. Il 2 febbraio del 1689 Giacomo II Stuart, Re d’Inghilterra e di Scozia, marito in seconde nozze della cattolica Maria Beatrice d’Este e favorevole al Cattolicesimo, venne deposto e sostituito dal genero Guglielmo III di Nassau Orange, figlio di Maria Stuart, prima sorella di Giacomo II, e marito di Maria II, figlia avuta dallo stesso Giacomo dalla prima moglie Anna Hyde. Morto Guglielmo III, gli succedette la regina Anna Stuart, secondogenita di Giacomo II e della Hyde. Come è noto, morta anche Anna senza discendenza nel 1714, il trono britannico (nel 1707 si era costituito il Regno Unito) passò al Principe Elettore Giorgio I di Hannover, nipote abiatico di Elisabetta Stuart, sorella maggiore di Re Carlo I. Da Giorgio di Hannover discende l’attuale Sovrana del Regno Unito. Da Maria Beatrice d’Este, però, Re Giacomo II aveva avuto nel 1688 un figlio maschio, anch’egli di nome Giacomo, detto il Vecchio Pretendente, che i legittimisti britannici riconobbero come Giacomo III. Da Maria Clementina Sobieska questi ebbe due figli. Il primo, Carlo Edoardo, detto il Giovane Pretendente, Re di solo titolo con il nome di Carlo III, condusse lo sventurato tentativo di restaurazione stuardiana culminato nel 1746 nel disastro di Culloden; dalla moglie, Luisa di Stolberg Gedern, la famosa Contessa di Albany amante di Vittorio Alfieri, non ebbe discendenza. Il secondo figlio, Enrico Benedetto, venne creato cardinale nel 1747 da Benedetto XIV e, alla morte del fratello primogenito, venne riconosciuto Re titolare con il nome di Enrico IX dai legittimisti cattolici britannici. GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 Il cardinale Enrico Benedetto, ultimo rappresentante della linea reale di Casa Stuart, morì a Roma nel 1807 dopo aver trasferito i suoi diritti al più prossimo parente, Vittorio Emanuele I di Savoia, Re di Sardegna. Questi discendeva dalle nozze che Re Vittorio Amedeo II di Savoia aveva contratto con Anna, figlia di Filippo di Borbone, duca di Orléans e fratello minore del Re Sole, e di Enrichetta Stuart, sorella ultragenita di Re Giacomo II: il legame di parentela che univa Enrico Benedetto con la Casa di Savoia era, quindi, più vicino di un grado rispetto al legame parentale con la Casa di Hannover, ascesa al trono britannico nel 1714. Perciò, morto Enrico Benedetto nel 1807, i legittimisti e i cattolici britannici riconobbero come legittimo pretendente al trono britannico Vittorio Emanuele I di Savoia con il nome di Vittorio I. Come è noto, nel Reame britannico non vige la Legge salica: pertanto, morto Vittorio I nel 1824 la successione stuarda fu raccolta, in mancanza di figli maschi, dalla figlia primogenita Maria Beatrice, riconosciuta come legittima pretendente con il nome di Maria III; alla morte di Maria, avvenuta nel 1840, i diritti derivanti dalla successione stuarda si trasferirono al figlio primogenito natole da Francesco IV d’Asburgo Este, Duca di Modena, il Duca Francesco V (Francesco I del Regno Unito). Dal ramo modenese degli Asburgo i diritti stessi si sono trasferiti, ancora per via femminile, al capo della Casa di Baviera del ceppo dei Wittelsbach. Ecco spiegato come, nel corso dei trentatré anni compresi tra il 1807 e il 1840 i legittimisti britannici hanno riconosciuto come loro Sovrani, sia pure di solo titolo, un Re e una Principessa di Casa Savoia. Per essere di ben scarsa notorietà, l’argomento ora rapidamente riassunto ha suscitato nell’uditorio un notevole interesse. GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 ASTI 5 marzo 2015 La Delegazione provinciale ha partecipato, nell’ambito delle iniziative per celebrare il centenario della Prima Guerra Mondiale (1914 – 1918), all’inaugurazione della mostra itinerante dello Stato Maggiore dell’Esercito presso la sala del Coro dell’Archivio Storico di Stato di Asti. L’invito a presenziare è pervenuto da parte della Prefettura di Asti, della Provincia e del Comune. La mostra offre la possibilità di vedere esposti pannelli con foto dell’epoca, tra cui divise, armi, piastrine, gavette, elmetti, mezzi. Presenti all’evento Mons. Francesco Ravinale Vescovo di Asti, il Vice Prefetto Reggente di Asti Dr. Paolo Ponta, il Sindaco e Presidente della Provincia Avv. Fabrizio Brignolo, vari Assessori, il Col. Antonio Zerrillo del Comando Regione Militare Nord, il Col. Bartolucci, la Consigliera provinciale delegata alla Cultura Dr.ssa Barbara Baino, il Dirigente dell’Ufficio Scolastico di Asti Dr. Alessandro Militerno, il Comandante dei Carabinieri, il Questore, il Comandante della Guardia di Finanza, giornalisti e operatori tv. Le Guardie d’Onore di Asti erano presenti con tre bandiere e il labaro. GG. d’O. presenti: Federico Bollito – Alfiere, Agagliati Severino – Alfiere, Michela Morreale – Alfiere, Vittorino Pia, Giorgio Galeasso, Paolo Ponta, Arnaldo Agresta, Paolo Mastrocola, Giuseppe Gallo, Osvaldo Dezzani, Ivano Gavazza, Giuseppe Nobili, Alessandro Raviola, Lucia Portioli. 14 marzo 2015 La Delegazione provinciale è stata invitata, presso la Sala Convegni del Comitato provinciale di Asti della Croce Rossa Italiana, alla conferenza sul tema: 3 “Come cambia la figura femminile all’alba del Grande Conflitto”. Relatrice della conferenza la Guardia d’Onore della Delegazione di Asti S.lla Lucia Portioli. L’argomento è stato molto interessante, corredato da filmati dell’epoca sulla condizione della donna durante la Prima Guerra Mondiale. La conferenza è stata inserita nell’ambito delle manifestazioni e celebrazioni del centenario della prima Guerra Mondiale. Presenti il Sindaco di Asti e Presidente della Provincia e vari Assessori. GG. d’O. presenti: Giovanni Triberti – Delegato, Federico Bollito, Michela Morreale, Osvaldo Dezzani, Ivano Gavazza, Alessandro Raviola, Viviana Cornaggia. 21 marzo 2015 La Sezione U. N. I. R. R. di Asti, con il Presidente Comm. Giovanni Triberti, il labaro e una decina di soci, su invito del Sindaco di Milano Avv. Giuliano Pisapia, ha partecipato alla cerimonia commemorativa in onore di tutti i caduti di Russia, nella ricorrenza del 72° anniversario della battaglia del Don, presso la Basilica di Sant’Ambrogio. La Santa Messa è stata celebrata da Mons. Enrico Pirotta, Capo del Servizio Spirituale Interforze, alla presenza di numerosissimi fedeli tra cui il Vice Sindaco di Milano e due assessori, il Consigliere Comunale Prof. Matteo Forte, il Vice Presidente della Provincia, un assessore regionale e autorità militari di alto grado. Presenti i labari del Comune di Milano e della Provincia. La Presidente Nazionale dell’U. N. I. R. R. Cav. Uff. Luisa Fusar Poli, ha pronunciato un toccante e commovente discorso commemorativo in onore dei caduti e dispersi nella Campagna di Russia. 4 Il Vice Presidente Nazionale dell’U. N. I. R. R., Presidente dell’U. N. I. R. R. Sezione di Asti e Delegato provinciale di Asti dell’Istituto, Giovanni Triberti, ha ringraziato la Presidente Nazionale Cav. Uff. Luisa Fusar Poli per l’impegno, la dedizione e il sacrificio profusi in questi anni per dare lustro all’U. N. I. R. R. e per ricordare i nostri caduti e dispersi in terra di Russia e per tenere alto l’onore dei pochi reduci ormai rimasti in vita. Giovanni Triberti ha pure ricordato il precedente Presidente Nazionale dell’U. N. I. R. R., Cav. Pietro Fabbris, reduce di Russia. Alla cerimonia hanno presenziato numerose associazioni combattentistiche e d’arma con labari e bandiere. Al termine della funzione sono stati resi gli onori con deposizione di corona d’alloro al sacrario dove riposano i resti di soldati caduti. Le Guardie d’Onore presenti sono state poi invitate al pranzo presso il Circolo degli Alpini. GG. d’O. presenti: Giovanni Triberti – Delegato, Romolo Triberti, Nello Scrimaglio – alfiere, Michela Morreale – alfiere, Federico Bollito, Osvaldo Dezzani, Greta Podavini. Cenni storici. Nella Basilica sotto il presbiterio vi è la tomba del Vescovo S. Ambrogio, patrono di Milano, accanto alle reliquie dei Santi Gervasio e Protasio. Nel 1928, accanto alla Basilica, è stato eretto dalle associazioni combattentistiche il sacrario dedicato ai caduti milanesi. Si tratta di un tempio ottagonale a ricordo delle otto porte della città. La nicchia anteriore accoglie la statua bronzea alta 5 metri del santo patrono che calpesta le serpi, simboleggianti i sette vizi capitali. Nei lacunari della volta sono rappresentati i 3 santi protettori delle varie armi: S. Martino, Santa Barbara e S. Giorgio. Nei diversi lacunari presenti sono rappresentati i simboli, i trofei, i fregi in bassorilievi degli anni delle guerre 1916/1917/1918. Sul portale della vittoria del 1918 sono incisi i nomi delle vittorie riportate nelle battaglie di cielo, mare e terra. Attraverso il portale si accede alla cripta sulle cui pareti si trovano le tavole bronzee con i nomi dei caduti della prima guerra mondiale. Il sacrario che raccoglie le spoglie dei caduti tumulati nei vari cimiteri cittadini, consiste in un enorme salone suddiviso in tre piani da ampie balconate; accoglie attualmente 4578 urne con i resti di caduti delle due grandi guerre ed è meta del continuo pellegrinaggio di scolaresche, di associazioni culturali, di associazioni combattentistiche italiane e straniere. GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 23 marzo 2015 La Delegazione provinciale di Asti ha partecipato, su invito del Comandante dei Carabinieri Col. F. Federici, del Comandante della Guardia di Finanza Col. M. Vendola e del Questore Dr. F. C. Di Francesco, presso la bellissima Cattedrale di Asti, alla celebrazione del precetto pasquale. La S. Messa è stata officiata da Mons. Francesco Ravinale, Vescovo di Asti. Presenti tutte le autorità civili, militari e religiose. Erano presenti le seguenti GG. d’O.: Giovanni Triberti – Delegato, Federico Bollito – Alfiere, Nello Scrimaglio – Alfiere, Maurizio Madonia, Dr. Paolo Ponta, Osvaldo Dezzani, Ivano Gavazza, Antonino Lo Giudice, Antonello Lilliu. BARI Corato, 14 marzo 2015 per saldare ulteriormente un afflato che dura ormai da molti anni. Nel citato convegno, oltre che le relazioni dei tre Delegati si sono affrontate le prospettive di futuri impegni e iniziative da intraprendere, tra cui, quella dell’istituendo Monumento alla Principessa Mafalda di Savoia, in fase già avanzata di realizzazione e di autorizzazioni amministrative nel Comune di San Severo a cura e spese, unicamente, delle Guardie d’Onore della provincia di Foggia, che doneranno alla città di San Severo. Alla Manifestazione erano presenti circa sessanta Guardie d’Onore delle tre province ed altri ospiti quali il Generale Pasquale Stella, il giornalista Franco Tempesta, il Presidente Regionale pugliese dei Granatieri di Sardegna Giuseppe Caldarola. Erano presenti, tral’altro, il prof. Gaetano Minenna, il Dott. Mariano Rubini, il dott. Felice De Carlo, Piccinni Vincenzo, Presidente ass. Combattenti e Reduci di Molfetta, Andrea de Gennaro e le Guardie d’Onore: Piazzolla Ruggiero, Oronzo Cassa, Onofrio delli Carri, Calvano Matteo, Galli Antonio, Miche Cupaiolo, Antonio De Giorgi, Agostino Franco, Frisoli Nicola, Bove Luigi, Piazzolla Filippo Antonio, Porcelluzzi Domenico, Di Staso Tommaso, De Nisi Alberto, squiccimarro Nicola, Leone Filomena, Ragno Sergio, Interesse Giuseppe, Mininno Michele, Tarantini Nunzia, Barione Giuseppe, Nevola Francesca, Rutigliani Niccolò, Sisto Damiano, Altini Giuseppe, Neri Nicola, Parato Vincenzo, Baldassarre Dionigi, Delia Anna, Albino Mariastella, Gigante Renzo. BIELLA Proseguendo nella politica di co-organizzazione le tre province della Puglia nord ossia Bari, Barletta-Andria-Trani, e Foggia, anche per merito dei tre Delegati Oronzo Cassa, Ruggiero Piazzolla e Onofrio delli Carri, si è consolidata una sorta di afflato, non solo tra i delegati, ma anche tra le guardie d’Onore che, sempre più volentieri e numerose, partecipano alle manifestazioni, culturali e celebrative, nelle quali non si notano, come nei decenni passati, invidie gelosie e rivalità ma unità ed uniformità di comportamenti tendenti alla crescita del nostro glorioso Istituto. Nel mese di Marzo a Corato (BA) nella sede del Club Reale Savoia che è anche la sede provinciale delle Guardie d’Onore si sono date appuntamento le Guardie d’Onore di Bari, la manifestazione è stata un’occasione per le tre Delegazioni della Puglia Nord GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 20 marzo 2015 Nel contesto delle celebrazioni del centenario della Grande Guerra, ad iniziativa della Prefettura di Biella, è stata presentata la mostra itinerante dello Stato Maggiore Esercito unitamente ad una selezione della mostra allestita dall’Istituto. Ha fatto seguito la proiezione del film “Fango e gloria” realizzato per l’occasione con la collaborazione di SME. Fra i presenti, tutte le autorità della Provincia e della città, il vice-comandante della Regione Militare Nord, Gen. Petrosino, le associazioni combattentistiche e d’arma, il Gen. Magnani, presidente dell’Istituto del nastro Azzurro, vari parlamentari locali, per l’Istituto, il labaro della delegazione biellese, il 5 presidente dell’Istituto, comandante d’Atri, il delegato provinciale R. Conzon, le Guardie d’Onore Bernardini, Bona, Cerami, A. Ferrari, Rosazza Mina Gianon, Semenzato. BRESCIA Temù, 18 aprile 2015 Ricordati i “Diavoli dell’Adamello”. “I morti è meglio che non vedano quel che sono capaci di fare i vivi e la strada storta che sta prendendo il mondo. È meglio che non si accorgano nemmeno che noi siamo diventati così poveri e tanto miseri che non siamo capaci di volerci bene. No, è meglio che i morti stiano nella neve e nel ghiaccio e che non sappiano di noi, altrimenti potrebbero pensare di essere morti invano ed allora si sentirebbero ancora più soli” Gian Maria Bonaldi – combattente sull'Adamello La Delegazione di Brescia nel contesto delle celebrazioni del centenario dell’inizio della Grande Guerra, in collaborazione con l’Ispettorato per la Lombardia ha organizzato la visita al Museo della Guerra Bianca di Temù, che custodisce le memorie del sacrificio e i segni del valore dei soldati combattenti sulle vette delle Alpi. Il Museo della Guerra Bianca nasce nel 1972 per iniziativa di Sperandio Zani – alpino reduce della prima Guerra Mondiale – che combatté proprio sul ghiacciaio dell’Adamello, con l’intento di conservare e valorizzare il patrimonio storico di quel periodo, in onore degli uomini che sulle nostre montagne hanno sofferto e si sono sacrificati per la Patria. Nelle sale del Museo sono raccolti manufatti, armi ed oggetti ritrovati sul ghiacciaio, a testimonianza delle fatiche e dell’eroismo di una guerra svoltasi ad oltre 3000 metri di quota. I numerosi Soci sono stati guidati nella visita dalla competente ed appassionata guida Fabio Fogliaresi che nella sua esposizione non ha inteso fare un’esaltazione della guerra bensì rendere un doveroso omaggio a uomini valorosi, senza 6 discriminazioni fra le parti in lotta. Soldati dello stesso ceppo montanaro si fronteggiarono per quasi quattro lunghi anni di guerra, chiamati dal senso del dovere ad assolvere un compito arduo ed ingrato, battendosi in silenzio per la propria causa, con la tenacia e la modestia che sono caratteristiche di tutta la gente di montagna. Le Guardie d’Onore bresciane hanno reso omaggio all’effige e al medagliere dell’eroico ufficiale degli Arditi alpini, il “camoscio” camuno Giacomo Comincioli a cui la Delegazione è dedicata (Cavaliere della Corona d’Italia, quattro volte decorato di M. A. V. M., tre volte decorato di M. B. V. M.), custodite nella prima sala museale. Alpini e Kaiserjäger scrissero pagine toccanti, in cui al valore puramente militare, si aggiunse quello di straordinarie esperienze alpinistiche e di vita in alta montagna, in condizioni difficilmente concepibili, oggi, a cent’anni di distanza. La Guerra Bianca fu lotta di piccoli reparti e di pochi uomini contro le insidie e le tremende difficoltà naturali la cui memoria, grazie alla meticolosa e precisa opera di catalogazione ed esposizione esplicativa, è tramandata dal solo Museo di Temù. Così, senza vana retorica, vengono degnamente ricordate le eccezionali battaglie di cui furono protagonisti italiani ed austriaci sui più elevati campi di battaglia della Grande Guerra perché si constati in quale misura gli uomini seppero, in passato, combattere e sopportare sacrifici per un alto sentimento del dovere. L’iniziativa è stata apprezzata dai Soci, particolarmente dai più giovani, che hanno potuto testimoniare ancora una volta i valori patriottici e storici del nostro Istituto ed ha ricevuto il plauso convinto dell’Ispettore Cav. Dott. Eugenio Longo. CAGLIARI Gesico, 21 marzo 2015 La Delegazione provinciale ha partecipato ad una Santa Messa solenne da requiem organizzata dagli Ordini Dinastici di Casa Savoia in occasione del 32° anniversario della morte di S. M. il Re Umberto II, nella Chiesa Parrocchiale di S. Giusta Vergine Martire, officiata dal Parroco Rev. Cav. don Luca Pretta. Erano presenti le Guardie d’Onore: Cav. Gr. Cr. Cav. Nob. Dott. Don Antonello Fois, Comm. Nob. Cav. Ing. Don Alessandro Grondona, Gr. Uff. Cav. Nob. Prof. Don Enrico Sanjust di Teulada, Comm. Enrico GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 NAPOLI De Murtas, Comm. Dott. Alberto Lazzardi, Comm. Gen. Pierluigi Pascolini, Cav. Prof. Peter Gregory Jones, Cav. Nob. Don Emanuele Aymerich di Laconi, Cav. Nob. Dott. Don Emanuele dei Conti Villa Santa, Cav. Uff. Pietro Pisu, Dama di Gr. Cr. N. D. Maria Antonietta Fois Camboni e Dama N. D. Alice Aymerich di Laconi.Gianon, Semenzato. 28 marzo 2015 La delegazione provinciale di Napoli dell’Istituto e la delegazione campana degli Ordini Dinastici di Casa Savoia, entrambe rette dal conte avv. Gerardo Mariano Rocco dei Principi di Torrepadula, hanno celebrato il precetto pasquale con una Santa Messa officiata nella Reale Basilica di San Francesco di Paola. Ha fatto seguito una cena di beneficenza presso il Circolo Canottieri Napoli con trantacinque partecipanti, fra i quali, oltre al delegato delle Guardie d’Onore e degli Ordini, il presidente dell’Istituto, capitano di vascello dr. Ugo d’Atri, l’ispettore per la Cultura, prof. dr. Ciro Romano, le Guardie d’Onore dr.ssa Iadicicco, avv. Scalingi, avv. Federica d’Atri, comm. Armenio, cav. Araimo, comm. Balzano, rag. Bruscino, ing. Di Martino, com.te Monda. RAVENNA GENOVA 11 febbraio 2015 La delegata provinciale, prof.ssa Raffaella Saponaro, ha tenuto una conversazione su “Mafalda di Savoia-Assia: principessa martire” per i “Convegni di Cultura Beata Maria Cristina di Savoia”. Il personaggio di Mafalda ha suscitato molta commozione. Santa Margherita Ligure, Marzo 2015 La prof.ssa Saponaro ha tenuto una conversazione su di un personaggio poco conosciuto, dal titolo: “Xavier de Maistre: un sabaudo alla corte di San Pietroburgo”. MILANO Nel numero della rivista marzo-aprile 2015 è stata riportata erroneamente la partecipazione al corteo svoltosi nel novembre 2014 a Milano del dr. Michele De Blasiis, presente a titolo meramente personale senza partecipare al corteo. Il dr. De Blasiis, inoltre, era presente nella veste di presidente del Gruppo Savoia alle esequie del dott. comm. PierLuigi Beretta, vice-presidente di quest’ultimo sodalizio. GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 Faenza, 12 aprile 2015 Dal 1983, anno della morte di S. M. il Re Umberto II, la famiglia Leonesi Ricciardelli fa celebrare una Santa Messa in suffragio del Sovrano e, dal 2001, di S. M. la Regina Maria Josè. Quest’anno, la partecipazione delle Guardie d’Onore è stata ancora più numerosa che negli anni precedenti; le presenze sono state circa un centinaio. Dopo la S. Messa, la Guardia d’Onore Alessandra Leonesi Ricciardelli, ha ospitato i convenuti a colazione nel suo palazzo. Fra i presenti il presidente Ugo d’Atri, Ciro Romano, Paolo e Antonella Arfilli, Giancarlo e Maria Luisa Flamigni, Serena Savorani, Jean ed Elisa de Vito, Raffaella Sparapano, Romano Giovannini, Luca Giunchi, Fernando Imbroglini, Marco Magnani, Alberto Urizio, Dionigi Ruggeri, Andrea de Tomasi, Elisa Squerzanti, Raffaele Galliani, Adolfo Legnani Annichini, Pietro Barbieri, Emilio ed Alessandra Manzini, Elisabetta Fava, Salvatore Caudarella, Franco Cacciari, Cristiano Lovatelli Ravarino, Antonia Pugliese Negroni, Domenico e Beatrice Guarnieri, Michele Claudia Romano, Luigi e Carla Guarnieri, Patrizio Gagliardi, Roberto Vittorio Favero con la consorte, Claudio Angeli, Lidia Angeli, Paolo Camorani, Giordano Cangini, Giammarco, Nice e Paolo Zannetti, Vittorio Berdondini, Pietro ed Elvira Maranca, Antonio Del Biondo, Giuseppe Be7 deschi, Gianni Ruzzier, Aleardo Maria Cingolani, Giorgio Galvani, Adalisa Cavuti, Antonella Bergamaschi, Marco Sgroi, Carlo Spaggiari, Andrea Elefanti, Marco Formato e Cecilia Dealessi, Riccardo Rubbiani, Gaetano Scaravelli, Anna Volta. ROMA 14 marzo 2015 L’Istituto, unitamente all’Associazione Amici della Somalia, ha ricordato gli anniversari della morte di S. M. il Re Umberto II e di S. A. R. il Principe Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi con una Santa Messa celebrata al Pantheon dalla Guardia d’Onore fra Marco Galdini de Galda. Circa settanta le persone presenti, fra le quali il principe Gonzaga marchese del Vodice, il capitano di vascello d’Atri, la marchesa Ripa di Meana, presidente, il nob. avv. A. Marini Dettina, il gen. Blais, i conti Harrach con la figlia, il dr. Pietroni, il col. pil. Caruso, l’ing. Piazzini, il nob. dr. R. Mattoli, il dr. T. Monescalchi, il cav. F. Monescalchi, il dr. Iannaccone, il dr. Formato, il comm. Mereu, la prof.ssa Piraccini, il rag. Giulivi, il cap. Gottardi, il sig. Polini, il sig. Preziosi, il dr. Amorosi Golisciani, il dr. Tabili, il sig. Crisafulli, la dr.ssa Pantano. 21 marzo 2015 154° anniversario della proclamazionedel regno d’Italia - Guardia Solenne. 17 marzo 2015 La Guardia d’Onore Costantino Lucatelli alla 415° fiera Nazionale di Grottaferrata 18 marzo 2015 Il sottosegretario alla Difesa On. Gen. C. d’A. Rossi, depone una corona d’alloro alla tomba del Padre della Patria. 8 10 aprile 2015 Nella sede dell’Unione Nazionale Ambiente Agriturismo (U. N. A. A. T.), gentilmente concessa dal suo presidente, la Guardia d’Onore Nob. dr. Carlo Dettori, è stato presentato il libro Piccolo grande Re. Vittorio Emanuele III. Un’altra storia della Guardia d’Onore Guglielmo Bonanno di San Lorenzo, con interventi di Emilio Petrini Mansi della Fontanazza, Ugo d’Atri e Raffaello Cecchetti. Oltre ottanta le persone presenti, fra le quali le Guardie d’Onore Principe Carlo Massimo, dr.ssa Anita Garibaldi, avv. Pazzaglia, nob. avv. A. Marini Dettina, nob. dr. Lazzarino de Lorenzo, dr. Carpinelli, avv. Rovere, cav. F. Monescalchi, cav. D’Orazio, prof.ssa Piraccini, nob. amb. Cassani Pironti, avv. F. Gagliani Caputo, sig.ra Pasquali, comm. Mereu, GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 prof. avv. Scarpa, dr. Gallelli Benso, gen. Gizzi, dr. Imperato di Montecorvino, gen. Calò, sig. Preziosi, dr.ssa Lombardi Satriani, maestro Lovera, amb. Bosco, ten. col. Cipriani ed inoltre i Principi Luigi e Orietta Boncompagni Ludovisi, il principe Stefano Pignatelli di Cerchiara, Pierluigi Brancia di Apricena, il dottor Pietro Lucchetti, il Prof. Avv. Fausto Giumetti, il dr. Ferrari, il dr. Felici, il dr. R. Mattoli, il dr. Guerriero, la sig.ra Pasqua, la sig.ra Carrozzo. VERCELLI 27 dicembre 2014 Si sono svolte le celebrazioni del 67° Anniversario della Scomparsa di S.M. Vittorio Emanuele III, del 60° anniversario del Ritorno di Trieste all’Italia, e dei Caduti di Tutte le Guerre. La cerimonia ha avuto inizio presso la Confraternita di Sant’Anna, dove l’Infermiera Volontaria Lucia Portioli, ha tenuto la Conferenza dal Titolo: ESODO e SOCCORSO per gli ISTRIANI, FIUMANI e DALMATI in VERCELLI. I presenti ne sono rimasti contenti della sua grande preparazione. Si è proseguito con il corteo, il quale si è diretto presso il Municipio di Vercelli, deponendo così una Corona GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 d’alloro ai Caduti della Prima Guerra Mondiale. La Fanfara degli Alpini della Valsesia ha accompagnato il Corteo. Il corteo è poi ripartito alla volta della stessa Chiesa per la Santa Messa, celebrata dall’Assistente Spirituale delle Delegazioni di Novara e Vercelli, Cav. Uff. Can. Mons. Gian Luca Gonzino. Al termine della Funzione, ha preso la parola l’Alpino Carlo Fedeli, il quale ha illustrato la figura di Re Vittorio Emanuele III durante la Prima Guerra Mondiale, riscuotendo gli applausi dei presenti. Il Delegato di Novara. Marco Lovison, ha voluto comunicare ai presenti che c’è ancora molto da testimoniare sulla figura del Re Vittorio Emanuele III, oltre al rientro della sua salma, si uniscono quelle della consorte, la Regina Elena, del figlio, Re Umberto II e della consorte la Regina Maria Josè. È stato letto il Messaggio Augurale di Sua Altezza Reale Vittorio Emanuele di Savoia, Capo di Casa Savoia. I Delegati delle Province di: Novara, Vercelli, Alessandria e Torino a conclusione, a riprova delle reciproche visite e del forte legame che le unisce, hanno voluto fortemente gemellarsi, unendo i relativi labari e bandiere con un nastro tricolore, il quale è stato tagliato dal Padrino, il conte Niccolò Calvi di Bergolo. Erano presenti: il Sindaco di Vercelli Prof.ssa Maura Forte, il Sindaco di Borgo Vercelli, Dr. Mario Demagistri. L’evento è stato Patrocinato dai Comuni di Vercelli e Olcenengo. Inoltre: Infermiere Volontarie – Ispettorato Provinciale di Vercelli; Associazione Nazionale Arma di Cavalleria Bianchi Lancieri di Novara (Sezione di Novara) – Presidente Prof. Ten. Agatino Pietro Paolo Marletta; Associazione Nazionale Bersaglieri Provinciale e Sezione di Vercelli – Presidente di Sezione Vercelli Bers. Franco Talpo, Alfiere, Luigi Zanellato; Associazione Nazionale Marinai d’Italia Sezione di Alessandria – Presidente 9 Enrico Brusa, Segretario Alberto Pozzo, Fabio Migletta, Carla Carucci; Associazione Nazionale Autieri d’Italia – Presidente di Novara Brig. Generale Salvatore Granatino; Associazione Nazionale Famiglie e Caduti e Disperi in Guerra Presidente Provinciale di Asti Dr. Maurizio Zarli, Consigliere Nazionale. Guardie d’Onore presenti: Novara – Delegato Marco Lovison, Alfiere Mario Angelo Crivelli, Segretario Angelo Larossa, Roberto Squarini, Paolo Guglielmi; Vercelli – Assistente Spirituale Can. Mons. Gian Luca Gonzino; Alessandria – Paola De Andrea, Conte Niccolò Calvi Bergolo, Natalino Amisano, Augusto Sensi, Emanuele Lombardi, Francesco Pastore, Simona Castellana; Torino – Claudio Cardellini; Asti – Alessandro Raviola. VITERBO Capodimonte, 25 – 26 ottobre 2014 La delegazione provinciale è stata invitata dal Comune di Capodimonte alla cerimonia per il centenario del primo conflitto mondiale. Il gen. C. d’A. Rocco Panunzi e la prof.ssa Felicita Menghini hanno tenuto una conferenza su “L’Europa in fiamme” mentre il giorno seguente si è svolto un corteo istituzionale per la deposizione della corona d’alloro al monumento ai Caduti della città lacuale. A seguire, si è tenuto un concerto per la pace e la lettura di lettere e poesie dalla trincea. Erano presenti con il labaro e la Bandiera stemmata le GG. d’O. Attilio Apolloni, Renato Pizzichetti, Franca Quadrani, Pier Ferdinando Petri, Aldo Quadrani, Mario Mochi e Paola Petri. 4 novembre 2014 In occasione della Festa dell’Unità Nazionale la delegazione provinciale, con le insegne dell’Istituto, ha partecipato alla cerimonia dell’alzabandiera e, nel pomeriggio, alla conferenza “Il rombo del cannone”. Capodimonte e Bagnaia, 9 novembre 2014 Le GG. d’O. viterbesi sono state presenti alle cerimonie che si sono tenute per la Festa delle Forze Armate nei due comuni della provincia. Capodimonte, 6 gennaio 2015 L’Istituto della Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon ha voluto portare un pacco di derrate alimentari all’Associazione della Caritas di Capodimonte. 10 11 aprile 2015 Nella chiesa di S. Angelo in Spatha in Viterbo è stata celebrata la S. Messa per ricordare il centenario della nascita del T. Col. pilota Francis Leoncini al quale è intitolata la sezione di Viterbo dell’Associazione Arma Aeronautica. Alla cerimonia oltre al Labaro associativo dell’Arma era presente la Bandiera del regno d’Italia per espressa volontà del figlio Francesco. Il Leoncini nacque a Viterbo l’11 aprile 1915 e morì in un incidente di volo il 10 maggio 1950 presso San Crispiano (TA) mentre era alla guida di un Bell P39 Airacobra. A seguito di un’avaria al motore anziché lanciarsi con il paracadute cercò di dirottare l’aeroplano dalle case sottostanti per un atterraggio di fortuna, ma la manovra gli fu fatale. Conseguì il brevetto di volo nel 1933, quello militare nel 1936 a seguito di chiamata alle armi. Partecipò alla guerra di Spagna ed alla Seconda Guerra Mondiale sul fronte dei Balcani, su quello Russo e nel Mediterraneo. Introdusse in Italia i primi velivoli a reazione (De Havilland Vampires) prelevandoli in Inghilterra nel 1950 e diresse la prima scuola di volo Aviogetti il NAVAR. Decorato di Medaglia d’Oro al Valor Aeronautico, tre Medaglie d’Argento al Valor Militare, una medaglia di Bronzo al Valor Militare, tre croci al merito, la Croce di Ferro tedesca di seconda classe, Medaglia di bronzo al Valor Militare spagnola e Cavaliere Ufficiale della Corona d’Italia. Abilitato al pilotaggio di numerosi velivoli, conseguì 835 ore di volo di guerra. GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 CANADA-QUÉBEC ARGENTINA Buenos Aires, 4 novembre 2014 Presso l’ufficio dell’addetto militare e navale dell’ambasciata d’Italia in Argentina, su invito del generale di brigata Antonio Dibello, il delegato dell’Istituto in Argentina, dr. Horacio Humberto Savoia, accompagnato dal dr. Manfredo Cordero Lanza di Montezemolo, hanno partecipato alla commemorazione della “Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate”. AUSTRALIA Il 26 settembre 2014 il delegato, maggiore Andrea M. Coda di San Grato, ha donato la cifra di tremila dollari canadesi all’ente benefico Le Pont Bridging, allo scopo di rendere omaggio alla memoria di due grandi italiani: il capitano di vascello, marchese Emilio Faà di Bruno, medaglia d’oro al valor militare nella sfortunata battaglia di Lissa del 1860, ed il giornalista e scrittore Giovanni Guareschi. Il successivo 11 ottobre una donazione di duemila dollari canadesi è stata recapitata a favore del Royal Canadian Legion and the Veterans of Canada, un’associazione combattentistica che si occupa di aiutare con iniziative di solidarietà i suoi aderenti e di promuovere la Memoria nazionale. Questa volta si è voluta onorare la memoria di tutti i caduti della Prima Guerra Mondiale e, in particolare, due importanti personaggi della politica italiana che si sono opposti alla nostra entrata in guerra, l’ex primo ministro Giovanni Giolitti ed il fondatore del quotidiano “La Stampa” di Torino, Alfredo Frassati. In data 24 ottobre, infine, il magg. Coda di San Grato ha effettuato un’ulteriore donazione a favore del Royal Canadian Legion and the Veterans of Canada. Questa donazione, come anche la precedente, era dedicata alla memoria della Guardia d’Onore canadese, dr. Riccardo Bonaccio, scomparso nel 2012. U.S.A. U.S.A. dicembre 2014 Il delegato INGORTP, prof. Eric Ierredi con la Guardia d’Onore barone Robert Larocca. Melbourne, 9 novembre 2014 La Delegazione dell’Istituto ha commemorato il 4 novembre nel municipio di Murchinson dove ogni anno l’Istituto si riunisce insieme alle altre associazioni d’Arma. Questo sacrario si trova a circa 200 chilometri da Melbourne, nello Stato di Victoria; era presente il delegato, comm. Salvatore Staglianò, il presidente della città di Avendale-Keilor Mario Sabatini, la presidente della città Greater Dandenong Lina Palermo, unitamente al vice-presidente Pietro Strangis, il segretario Francesco Nicotera, la tesoriera Lina Villella, il consigliere e madrina Maria Mete, le consigliere Vittoria Strangis, Concettina Nicotera, Maria Marotta; infine i signori Giovanni Mete e Pietro Marotta. GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 11 PROSSIMI EVENTI Domenica 31 maggio 2015 Padova, tempio della pace, ore 11, Santa Messa e deposizione di corone da parte della rappresentanza dell’Esercito e della delegazione provinciale dell’Istituto. Al termine, ore 12.30 circa, riunione conviviale. Sabato 6 giugno 2015 Caltanissetta, sala cineforum “Beata Maria Cristina di Savoia”, viale della Regione n° 1, ore 18.30, conferenza: “I martiri di via Medina ed il Referendum Istituzionale del 1946”. Domenica 7 giugno 2015 Roma, guardia congiunta alle Reali Tombe del Pantheon dei soci dell’Emilia-Romagna. Programma: ore 10.30 Santa Messa; ore 11.30 inizio del servizio di guardia; ore 13 partecipazione alla colazione sociale presso il Circolo Ufficiali FF. AA. Domenica 7 giugno 2015 Roma, Circolo Ufficiali delle Forze Armate d’Italia, via Venti Settembre n° 2, ore 13, colazione sociale in occasione della Festa dello Statuto (euro 40, prenotazioni presso la segreteria della presidenza). Giovedì 11 giugno 2015 Roma, sede da definire, ore 18, conferenza della Guardia d’Onore ing. Roberto Piazzini: “Storia della Bandiera italiana”. Sabato 13 giugno 2015 Roma, Pantheon, ore 17, Santa Messa in suffragio dei giovani caduti a via Medina nel 1946. Luglio 2015 Monza (MB), la delegazione provinciale organizza una cerimonia nell'anniversario del regicidio di Sua Maestà il Re Umberto I. Seguirà una riunione conviviale. Sabato 4 luglio – Domenica 26 luglio 2015 Riccione (RN), mostra storica sulla Grande Guerra curata dall’Istituto. Mercoledì 29 luglio 2015 Roma, Pantheon, ore 18, Santa Messa in suffragio di Sua Maestà il Re Umberto I. Sabato 8 agosto – Sabato 15 agosto 2015 Massa Martana (PG), mostra storica sulla Grande Guerra curata dall’Istituto. Venerdì 28 agosto – Domenica 6 settembre 2015 Viterbo, mostra storica sulla Grande Guerra curata dall’Istituto. Settembre 2015 La delegazione provinciale di Milano, Lodi e MonzaBrianza organizza una guardia solenne alle Reali Tombe del Pantheon. Venerdì 4 settembre – Domenica 13 settembre 2015 Trivignano Udinese (UD), la delegazione provinciale, in collaborazione con gli Ordini Dinastici, allestisce la Mostra sulla Grande Guerra. Sabato 20 giugno – Martedì 30 giugno 2015 Piovera (AL), mostra storica sulla Grande Guerra curata dall’Istituto. Venerdì 11 settembre/Domenica 13 settembre 2015 La delegazione di Udine, in collaborazione con gli Ordini Dinastici, promuove un incontro di pace a cento anni dalla Grande Guerra. I luoghi di incontro sono: Cividale del Friuli, Udine, Redipuglia, Palmanova e Cormons. Programma da definire. Sabato 27 giugno – Giovedì 30 luglio 2015 Senigallia (AN), mostra storica sulla Grande Guerra curata dall’Istituto Venerdì 25 settembre – Domenica 27 settembre 2015 Civitavecchia (RM), mostra storica sulla Grande Guerra curata dall’Istituto. 12 GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 Martedì 29 settembre – Sabato 10 ottobre 2015 Roma, Circolo Ufficiali delle Forze Armate d'Italia, mostra storica sulla Grande Guerra curata dall’Istituto. Domenica 8 novembre 2015 Peschiera del Garda (VR), commemorazione del Convegno storico. Sabato 10 ottobre 2015 Trivignano Udinese (UD), Parco della Dogana Vecchia, ore 11, commemorazione della Principessa Reale Mafalda di Savoia, Langravia d’Assia. Saranno presenti le Associazioni d’Arma, Combattentistiche e Sindaci. Sabato 21 novembre – Sabato 5 dicembre 2015 Cerignola (FG), mostra storica sulla Grande Guerra curata dall’Istituto. Lunedì 12 ottobre – Sabato 24 ottobre 2015 Messina, mostra storica sulla Grande Guerra curata dall’Istituto. Sabato 17 ottobre 2015 Grauglio (UD), ore 18, incontro presso la sala convegni di Palazzo Stefanato-Roncato: “ LA GRANDE GUERRA – Come siamo entrati in Guerra – scenario internazionale “ con il Patrocinio del Comune di San Vito al Torre e Trattoria Dogana Vecchia di Trivignano Udinese. Relatore: prof. Stefano PERINI. Sabato 24 ottobre 2015 Padova, circolo unificato dell’Esercito, ore 18, convegno: “La Grande Guerra vista dagli storici”, con la partecipazione dei professori Giulio de Renoche, Francesco Perfetti, Mario Eichta. Al termine, ore 19.45, riunione conviviale. Venerdì 30 ottobre – Domenica 15 novembre 2015 Campobasso, mostra storica sulla Grande Guerra curata dall’Istituto. Novembre 2015 Milano, la delegazione provinciale organizza il "corteo della Vittoria", cui seguirà pranzo di gala per la Vittoria. GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 Sabato 28 novembre 2015 Roma, Pantheon, ore 17, Santa Messa in suffragio di Sua Maestà la Regina Elena. Sabato 28 novembre 2015 Castellerio-Pagnacco (UD), chiesetta di S. SILVESTRO, ore 17, Santa Messa in suffragio di S. M. la Regina Elena. Seguirà la cena presso il Ristorante “AL CJAVEDAL” (in collaborazione con gli Ordini Dinastici del Friuli V. G). La Santa Messa sarà celebrata dal Cappellano, mons. Francesco Millimaci. Sabato 5 dicembre – Sabato 19 dicembre 2015 San Severo (FG), mostra storica sulla Grande Guerra curata dall’Istituto. Sabato 12 dicembre 2015 Castellerio-Pagnacco (UD), chiesetta di S. SILVESTRO, ore 17, Santa Messa in suffragio di S. M. il Re Vittorio Emanuele III. Seguirà la cena presso il Ristorante “AL CJAVEDAL”. La Santa Messa sarà celebrata dal Cappellano. mons. Francesco Millimaci. Lunedì 28 dicembre 2015 Roma, Pantheon, ore 17, Santa Messa in suffragio di Sua Maestà il Re Vittorio Emanuele III. Giovedì 7 gennaio – Giovedì 21 gennaio 2016 Foggia, mostra storica sulla Grande Guerra curata dall’Istituto. 13 SERVIZI DI GUARDIA 2014 Il numero delle ore tiene conto anche dei servizi prestati presso le Tombe Reali provvisoriamente all’estero, per le quali sono state attribuite 4 ore per ciascun servizio, così come per le cerimonie di Roma (anniversario dell’Istituto, gennaio), e di Altacomba (marzo). Per le messe ufficiali al Pantheon sono state attribuite 2 ore di servizio. Si ricorda che i servizi di guardia sono esclusivamente quelli espletati presso le Tombe dei Re e delle Regine d’Italia (Pantheon, Alessandria d’Egitto, Montpellier, Altacomba), non altri. È stato quindi eliminato dal conteggio (e quindi dal totale) ogni altro tipo di servizio. Per quanto concerne i servizi resi a Superga e quelli resi a Monza nell’anniversario del regicidio, se ne terrà conto con riconoscimenti diversi. AGRIGENTO: Avona A.G. 9, Baldassano 8, Di Cesare C. 39, Iacona P. 4, La Mendola G. 5, Raia C. 2, Tornambè 5, Trafficanti P. 11, Vella S. 5, Vella Cannella G. 5, Vella Cannella P. 5, Vella Cannella P.G. 5 dera I. E. 4, Olivieri A. 4, Pileggi F. 4, Raimo E. 4, Rigollet O. 8, Toia A. C. 4, Vacca E. 8 ALESSANDRIA: Adiletta 4, Balossino A. 10, Balbo 4, Calvi Di Bergolo N. 6, Cappella 4, De Andrea P. 9, Degli Uberti 4, Francese 4, Gatti G. 4, Ferrari 4, Iori T. 2, Lume 4, Passalacqua 8, Pastore F. 4, Raspagni A. 14, Ronza A. 10, Scaffino P. 6, Sensi 4, Ulandi M. 6, Zaffino 8 AVELLINO: Genovese A. 7 ANCONA: Aiudi G. 4, Cesca A. 5, Cicconi Massi C. 8, Di Ruvo D. 12, Moresi M. 6, Petito A. 4, Pellegrino 4 AOSTA: Alessi A. 8, Alessi V. 8, Calderone N. 4, Fonte Iozzino R. 8, Galeone M. 8, Gasparini M. 8, Giannuzzi M. 4, Gobetto R. 9, Lo Drago L. 8, Morale P. 8, Nor14 AREZZO: Farina F. S. 2, Forconi M. I. 5 BARI: Albino M. 5, Baldassarre D. 4, Barione G. 4 Cassa O. 4, Gadaleta 4, Gigante R. 4, Lombardi L. 4, Minenna G. 31, Rubini M. 29 BARLETTA-ANDRIA-TRANI: Caputo G. 1, De Nisi 4, Leone F. 4, Piazzolla F. A. 4, Piazzolla R. 4, Pica A. 4, Porcelluzzi G. 13 BENEVENTO: Moccia 2 BERGAMO: Bressani C.M. 20, Buffoli F. 3 GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 BIELLA: Bona R. 6,Conzon R. 11, Rosazza Mina Gianon M. 6, Semenzato D. 2. BOLOGNA: Alberti G. 1, Balzarotti 4, Cacciari F. 2, De Tomasi A. 6, Galliani R. 1, Manzini E. V. 6, Pulito A. 2, Rocco Di Torrepadula N. 1, Ruggeri 4, Squerzanti E. 6, Spettoli A. 4 BRESCIA: Abbiatico E. 4, Belleri A. 4, Beltrami C. 4, Bodei 4, Buffoli F. 16, Cotti Cometti E. 6, Cotti Cometti V. 44, Didiano R. 2, Ertani F. 2, Gatelli G. 4, Guglielmi G. 4, Piantoni E. 7, Spada 4, Tonni A. 4 BRINDISI: Altavilla A. 9, Carrieri D. 9, Carrieri G. 9, Chiriatti S. 5, Danese C. 9 CAGLIARI: Antolino P. 11, Caboni L. 1, Piga C. 12,Piga L. 12 CALTANISSETTA: Abate G. 5, Alaimo S. 7, Andolina A. 7, Cardella M. E. 8, Citarda N. 5, D’angelo G. 9, Giammorcaro M. G. 5 Falcone M. 4, Falzone V. 4, Serpente S. 9 Caserta: Anzevino 6 CATANIA: Aversa V. 9, Barrale F. 5, Caruso G. 7, Caruso S. 7, De Francesco V. 5, Gatto A. 8, Guarino M. 8, Lapis 4, Novara M.8, Rapisarda 16, Schinocca S.11, Schinocca R. 4, Squillaci F. 23, Suriano P. G. D., 4 CATANZARO: Amelio S. 4, De Nardo F. 5, Papasidero 1 CHIETI: Carta A. 7, Dal Buono G. 7, Della Penna M. D. 4, Di Donato L. 6, Di Nardo 36, Di Pietro M. 4, D’orazio V. 55, Faieta P. 4, Frangione E. 9, Gaspari M. 4, Gatto F. 9, Luciano G. 6, Marini M. 7, Marino G. 4, Morelli F. 6, Natarelli N. 4, Patricelli A. 7, Petrocchi M. 12, Pizzola G. 4, Rapa A. 7, Rollo P. 9, Scampoli S. 6, Spatocco G. 4, Trinchini P. 6,Vitale R. 6 ENNA: Amico A. 6, Astorina A. 5, Astorina F. M. 9, Barbagallo A. 6, Barbagallo F. E. 6, Di Giorgio G. C. 6, Fundrisi P. 6, Platania Greco C. 10, Restifo G. 4, Salamone G. 6, Scarlata G. 6, Scillia L. 6, Valore G. 15 FIRENZE: Belli 4, Castini A. 4, Duvina G. 4, Duvina P. 4, Noferi G. 2 FOGGIA: De Giorgi A.M. 4, Delli Carri O. L. 6, Errico P. 1, Galli A. 8 FORLÌ-CESENA: Casadei A. 10, De Vito J. 1, Falli A. 1, Flamigni 4, Giunchi L. 4, Merendi R. 1, Savorani 4 FROSINONE: Coltellacci L. S. 4, Marche P. 2, Pasin M. A. 6, Sacchettino G. 2, Verrelli A. 2 GENOVA: Arena G. 3, Carlini G. 4, De Martiis 20, Patrone A. 9, Rachero M. T. 4, Zoppi Di Zolasco 4 GROSSETO: Giusti 4, Iori V. 2 IMPERIA: Davico O. 5 ISERNIA: Gaglione G. 2, Militano F. S. 3, Orrino F. 4, Rotondo D. 2 L’AQUILA: Addari A. B. 14, Agostinelli D. 1, Cerasoli F. 14, Cofini G. 1, Colasante L. 27, Del Pinto C. 4, Di Rocco G. 1, Iurlaro 2, Miceli F. 3, Micochero A. 1, Sid 2, Trinchini P. 1 LA SPEZIA: Riu P. 39 LATINA: Calandrini 4, Pece S. 1, Soldà N. 1 LECCE: Alemanno M. 4, Chianella 4, La Torre V. 2, Maggiulli L. 4, Maggiulli M. G. 4, Mazza L. 14, Miastkowski V.4, Murciano B. S. 8, Nutricati F. 6, Raho G. A. 6, Sarcinella A. 4, Tarantino C. 15, Zizzi A. 4 COMO: Compagnucci R. 4, Ortelli V. 28, Pichierri G. 13, Poggi C. 4, Puppi F. 10, Reina G. 13 LIVORNO: Sirabella A. 9 COSENZA: Bacci C. 4, Di Santo F. 2 LODI: Pirovano C. L. 5 CROTONE: Cerra F. 2, Costa V. 17, Fragale M. F. 4, Geracitano G. 4, Grosso F. 2, Panteca A. 11, Paturzo S. 2 MACERATA: Cicconi F. 2, Compagnucci R. 1, Compagnucci R. 6, Luciani L. 6 CUNEO: Bruno D. D. 7, Bruno P. 6 GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 MANTOVA: Martelli M. 6, Mattioli A. 1, Sassi F. 1, Venturelli 5 15 MASSA-CARRARA: Ambrosini A. 4, Barzaghi U. 4, Franzoni P. 4 nucci M. 4, Martucci G. 7, Ruffier C. 33, Sanese M. L. 4, Savini C. 9, Viscardi M. 4, Corselli R. 5 MESSINA: Arena L. 6, Branca M. C. 2, Brancato A. 2, Cacciolla G. 4, Cardullo D. 12, De Lorenzo M. 4, Felice S. 17, Giuffrè 4, Micali G. 7, Mignani G. 21, Mungo R. 2, Musolino R. 11, Proto S. 17, Sabato V. 6, Saja G. 2, Savica V. 11, Tomasello G. 4, Tortorici 4, Turiano Mantica A. 3 PIACENZA: Tizzoni D. 5 PISA: Dinelli B. 8, Lapucci F. 3, Medori 6, Sbranti L. 1 PORDENONE: Sciarrino 4 POTENZA: Dragonetti D. 4, Dragonetti S. 8 MILANO: Abbiate M. 8, Angiolini Ch. 2, Barbieri M. 4, Bauer S. 4, Bertoli R. 2, Cazzaniga P. 2, Centis A. 4, Dalla Chiara L. 8, Di Maria A. 16, Di Martino S. 28, Ervas R. 4, Finizio M. 21, Garosci 16, Gelsi A. 14, Giraudo M. 6, Gozzelino 2, Grancagnolo S. 5, Grosso F. 8, Letta M. 6, Longo E. 8, Magni M. 6, Marazzi M. L. 8, Mastroianni L. 10, Melandrone G. 6, Monfardini D. 30, Morfea E. 2, Olmari L. 4, Paltrinieri M. 8, Panza V. 4, Piccinelli Cassata V. 2, Pierato S. 12, Pirovano C. 9, Pizzi F. 9, Porretti F. 11, Sciaraffia 11, Stringhini P. 4, Tamburello Careddu A. 15, Ye Z. 15 MONZA-BRIANZA: Gentil V. G.2, Mazzù F. 1, Perego G. 26 PRATO: Paoletti A. 2, Previero L. 41 RAGUSA: Moltisanti M. 4 RAVENNA: Angeli C. 5, Angeli L. 1, Bedeschi G. 1, Bertoni A. 1, Cangini G. 1, Casadio Malagola 4, Del Biondo A. 1, Filippi D. 1, Maranca P. 1, Ricciardelli Colombi 1 REGGIO CALABRIA: Speciale A. 11 RIETI: Locci 43 RIMINI: Apicella M. 1, Ruzzier G. 6 NAPOLI: Alfonso S. 2, Buonaiuto M. 5, Cuccaro G. 6, Crovato M. 4, De Angelis C. 1, Del Mercato 4, D’iorio A. 4, Emione I. 2, Ferrara E. 2, Fiorenza P. 4, Gargiulo M. 1, Lombardo Di Cumia 4, Panico G. 12, Riva A. 6, Rocco Di Torrepadula 4, Romano C. 4, Rosano G. 6, Sautto P. 15, Scotti V. 6 NOVARA: Lovison 4 PADOVA: Giacalone R. 6, Giustiniani N. 9, Grassi P. 5, Pozzer A. 4, Ronzani G. 3, Scimeca S. 1 PALERMO: Di Giovanna A. 13, Minardo A. 2, Simone C. 12 PAVIA: Agrillo M. T. 8, Allegrini 4, Bellani E. 4, Bellinzona G. 4, Corbella G. 10, Meisina A.4, Moncalieri M. R.6, Rivoira A. 6 PERUGIA: Barlozzari S. 123, Micheli Vincenti M. C. 1, Vichi G. 4 PESARO URBINO: Belli L. 2 PESCARA: Cipriani C. C. 20, Manzo A. 12, Mari16 ROMA: Agostinelli 2, Alicicco F. 15, Alloggio F. 33, Ametrano 4, Amorosi Golisciani 4, Antonelli C. 4, Apicella 2, Arsetti 6, Assogna 1, Ballati A. 10, Bagalà 2, Baldan R. 4, Bastianelli S. 47, Bianchi 34, Bilotti 30, Binaghi J. 7, Blais V. 7, Bonaventura 2, Buccioni 2, Calandra 463, Calderara 4, Cantaboni 2, Capra 2, Cardinale 2, Carfora E. 2, Caroli G. 1, Caruso P. 87, Castoldi C. 1, Castoldi A. 1, Chirivì 2, Cialdini 2, Contedini 1, Coculo Satta 11, Covelli G. 2, Covino A. 8, Crisafulli A. 74, Cuomo 4, D’atri U. 27, De Angelis L. 2, De Angelis P. 3, De Donno A. 3, Deiana G. 15, Del Prete G. 14, De Marzo 2, De Nardo E. 9, De Piccis M. 18, De Santis 4, Dettori C. 21, Di Carlo 2, Di Conza M. 4, Di Crosta M. 5, Di Giacomo 2, Di Giovanni L. 1, Di Rocco 2, Di Tosto A. 6, Di Tota 2, D’orazio 2, Dongiovanni 6, Duma A. 5, Errico A. 21, Errico F. M. 4, Falaschi 2, Falcioni 4, Fantinel F. 4, Fatucci 4, Ferrero 2, Ficaccio V. 4, Figà Talamanca A. 8, Fiorani A. 4, Flammini M. 3, Flumeri 1, Fornaciari E. 8, Fornaciari P. 41, Furlan 39, Gagliani Caputo 10, Galano 2, Galdini De Galda 2, Galeone M. 8, Garofalo G. 49, Ghezzo E. 2, Giger M. 3, Giglio D. 12, Giordano E. 4, Giovannini M. L. 16, Giulivi G. 15, Gizzi 6, Gonzaga 2, Goretti 8, Gottardi 20, Grassi M. 4, Guerriero 2, GuinGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 zio F. 4, Hassan L. 2, Iannaccone A. 6, Ilardi 4, Ingrosso I. 43, James J. R. 10, Jelencovich C. 32, La Longa Mancin F. 4, La Nave 3, Landi Lauro A. 28, La Piana M. E. 15, Lazzarino De Lorenzo A. 6, Liverzani G. 24, Lombardi Satriani 2, Longobardi 2, Lovera 7, Lucatelli C. 8, Lupi 6, Luzi G. 5, Maddalena 2, Marcucci 2, Mariani Di Corneto G. 9, Marini Dettina A. 12, Mastrosanti G. B.58, Mereu B. 25, Messina D. 2, Miceli 2, Micochero 2, Militano V. 59, Monescalchi F. 24, Monescalchi T. 12, Morganti 7, Motolone G. 12, Mottola V. 21, Mulargia L. 3, Murace 2, Murano 20, Murciano B. S. 6, Nardacci 1, Nardi 15, Nicolosi A. 8, Oliveri G. 6, Ortenzi A. 15, Otta 2, Panariti 2, Pantano F. 8, Pasqua 2, Pazzaglia A. 4, Pelligra 3, Perciballi M. 2, Persico 14, Pesce M. 52, Petrilli C. 5, Picco L. M. 24, Pietroni A.16, Pignalosa A. 18, Piraccini V. 3, Pizzichetti 1, Pizzuti 2, Polini M. 36, Politelli R. 5, Porro Papa E. 183, Preziosi E. 30, Ricci 2, Rocchi M. 9, Rossi M. 2, Rovere A. 26, Ruffino A. 6, Russo F. 2, Russo S. 4, Rutili P. 2, Saldicco D. 37, Savarese A. T. 21, Schiano Di Pepe L. 45, Scuderi S. 15, Silvestri 2, Sinibaldi M. 12, Sordi 2, Stifano D. 2, Tabili De Andrade M. 2, Taddei R. 2, Tarelli 6, Tripepi P. 8, Trovalusci G. 4, Vassallo U. 2, Venditti A. 6, Vigliar Falaschi 2, Zanzotto 6, Zeppetella L. 1, Ziliani 2, Zucchi V. 4 Orlando D. 2, Piccinni C. 6, Tessariol S. 4 TERNI: De Angelis M. 8, Temperoni M. 1 TORINO: Cardellini 4, Garosci 4, Gozzelino F. 2, Gremo V. 1, Settimini A. 4, Rigoni C. 2, Rosa Brusin C. 1 TRENTO: Bertrand 4, Bonomi E. 1 TREVISO: Cannaò 9, Trentin A. 5 UDINE: Millimaci 4, Pontelli 4, Serafini P. 1 VARESE: Agrifoglio V. 23, Berlinguer P. 8, Castoldi G. 1, Cecchetti M. 1, Del Curatolo D. 1, Filimberti M. 8, Giussani Gallazzi A. 33, Lubin Valentini 10, Marzoli S. 2, Modena A. 3, Morresi P. 2, Premoli C. 9, Scolaro M. 7 VENEZIA: Belladonna G. 6, Busetto M. 4, Scrascia C. 19 VERONA: Braganza M. F. 4, De Razza Planelli 4, Meo F. 5 VIBO VALENTIA: Bonaventura G. 2 ROVIGO: Conventi M. R. 8, Ferro O. 4, Garbin L. 5, Gialain L. 5, Giliberto M. 4, Giuliotti W. 8, Manfrinato V. 5, Melloni G. 8, Panebianco C. 8. Valentini R. 4, Zennaro S. 8 SALERNO: Caruccio E. 2, Cuomo L. 4, D’errico A. 4, Gatto A. 6, Longobardi P. 11, Sguazzo R. 4 SASSARI: Dettori M. E. 6, De Murtas E. 16, Onida D. 6 VICENZA: Benazzato G. 7, Faedo I. 2, Lamonea F.10, Lembo A. 4, Leonardi M. 3, Ronzani G. 4, Tura M. 22 Viterbo: De Donno A. 35, Quadrani 6, Petri 4, Ramacciani 1 ARGENTINA: Pennino 4 CANADA: Di Renzo 1, Muia L. 3, Palermo L. 4, Stornelli C. 1 SAVONA: Sangiorgi B. 1 SIENA: Davitti 9 SIRACUSA: Fazzino L. 24, Grancagnolo F. 16, Grancagnolo I. 19 FRANCIA: Berod 4, Carrier-Dalbion 9, Curtenaz De Maronzier 4, Declercq 11, Torbiero 8 OLANDA: Ruijgrok 1, Stuive W. 5 SAN MARINO: Arfilli P. 9 TARANTO: Blasi E. 4, Calò F. 5, Caprioli E. 4, Carrozzo N. 7, Delli Quadri S. 6, Festa G. F. 2, Leo Aldo 6, Leo Angela 6, Lopresto C. 4, Miccoli 1, Montalto G. 7, Nisi N. 4, GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 SVIZZERA: Giuliano Di Sant’andrea 4, Hoegen Dijkhof H. 5 17 MEDAGLIE AL MERITO DI SERVIZIO 2014 HANNO OTTENUTO PER LA PRIMA VOLTA LA CONCESSIONE: AGRIGENTO: Trafficanti ALESSANDRIA: Balossino A., Calvi di Bergolo N., Raspagni A., Ronza A. AOSTA: Alessi A., Alessi V., Fonte Iozzino R., Gobetto R., Lo Drago L., Rigollet O., Vacca E. BARI: Minenna G., Rubini M. BOLOGNA: De Tomasi A., Manzini E. V., Squerzanti E. BRESCIA: Buffoli F., Piantoni E. BRINDISI: Altavilla A., Carrieri G., Danese C. CAGLIARI: Antolino P., Piga C., Piga L. CALTANISSETTA: Alaimo S., Andolina A. CATANIA: Gatto A. CHIETI: Luciano G., Patricelli A., Trinchini P. COMO: Puppi F. CUNEO: Bruno D. D. ENNA: Amico A., Barbagallo A., Barbagallo F. E., Fundrisi P., Salamone G., Scarlata G. FORLÌ – CESENA: Casadei A. L’AQUILA: Addari A. B., Cerasoli F. MACERATA: Compagnucci R., Luciani L. MILANO: Abbiate M., Letta M., Marazzi M. L., Melandrone G., Sciaraffia NAPOLI: Cuccaro G., Rosano G. PADOVA: Giacalone R. PALERMO: Di Giovanna A. PAVIA: Moncalieri M. R. PESCARA: Manzo A., Martucci G. ROMA: De Piccis M., Fornaciari P., Galeone M., Murano G., Polini M., Preziosi E., Rovere A. ROVIGO: Conventi M. R., Melloni G., Panebianco C., Zennaro S. SASSARI: Onida D. TARANTO: Carrozzo N., Delli Quadri S., Leo A., Piccinni C. TREVISO: Cannaò VARESE: Agrifoglio V. VICENZA: Benazzato G. VITERBO: De Donno A. 18 FRANCIA: Declercq HANNO OTTENUTO LA RICONFERMA: AGRIGENTO: Avona A. G., Baldassano, Di Cesare C. ALESSANDRIA: De Andrea P., Passalacqua, Scaffino P., Ulandi M., Zaffino ANCONA: Cicconi Massi C., Di Ruvo D., Moresi M. AOSTA: Galeone M., Gasparini M., Morale P. AVELLINO: Genovese A. BARLETTA – ANDRIA – TRANI: Porcelluzzi G. BERGAMO: Bressani C. M. BIELLA: Bona R., Conzon R., Rosazza Mina Gianon M. BRESCIA: Cotti Cometti E., Cotti Cometti V. BRINDISI: Carrieri D. CALTANISSETTA: Cardella M. E., D’Angelo G., Serpente S. CASERTA: Anzevino A. CATANIA: Aversa V., Guarino M., Novara M., Rapisarda, Schinocca S., Squillacci F. CHIETI: Carta A., Dal Buono G., Di Donato L., Di Nardo, D’Orazio V., Frangione E., Gatto F., Marini M., Morelli F., Petrocchi M., Rapa A., Rollo P., Scampoli S., Vitale R. COMO: Ortelli V., Pichierri G., Reina G. CROTONE: Costa V., Panteca A. CUNEO: Bruno P. ENNA: Astorina F. M., Di Giorgio G. C., Platania Greco C., Scillia L., Valore G. FOGGIA: delli Carri O. L., Galli A. GENOVA: De Martiis, Patrone A. L’AQUILA: Colasante L. LA SPEZIA: Riu P. LECCE: Mazza L., Murciano B. S., Nutricati F., Raho G. A., Tarantino C. LIVORNO: Sirabella LODI: Pirovano C. MANTOVA: Martelli M. MESSINA: Arena L., Cardullo D., Felice S., Micali G., Mignani G., Musolino R., Proto S., Sabato V., Savica V. MILANO: Dalla Chiara L., Di Maria A., Di Martino S., GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 Finizio M., Garosci R., Gelsi A., Giraudo M., Grosso F., Longo E., Magni M., Mastroianni L., Monfardini D., Paltrinieri M., Pierato S., Pizzi F., Porretti F., Tamburello Careddu A., Ye Z. MONZA – BRIANZA: Perego G. NAPOLI: Panico G., Riva A., Sautto P., Scotti V. PADOVA: Giustiniani N. PALERMO: Simone C. PAVIA: Agrillo M. T., Corbella G., Rivoira A. PERUGIA: Barlozzari S. PESCARA: Cipriani C. C., Ruffier C., Savini C. PISA: Medori S., Dinnelli B. POTENZA: Dragonetti S. PRATO: Previero L. REGGIO CALABRIA: Speciale A. RIETI: Locci F. RIMINI: Ruzzier G. ROMA: Alloggio F., Bastianelli S., Bianchi M., Bilotti E., Calandra A., Caruso P., Crisafulli A., d’Atri U., Dettori C., Errico A., Furlan C., Garofalo G., Gottardi M., Ingrosso I., Jelencovich C., Landi Lauro A., Liverzani G., Mastrosanti G. B., Mereu B., Militano V., Monescalchi F., Mottola V., Pesce M., Picco L. M., Pignalosa A., Porro Papa E., Saldicco D., Savarese A. T., Schano di Pepe L. ROVIGO: Giuliotti W. SALERNO: Gatto A., Longobardi P. SASSARI: Dettori M. E., De Murtas E. SIENA: Davitti D. SIRACUSA: Fazzino L., Grancagnolo F., Grancagnolo I. TARANTO: Leo A., Montalto G. TERNI: De Angelis M. VARESE: Berlinguer P., Filimberti M., Giussan Gallazzi A., Lubin Valentini, Premoli C., Scolaro M. VENEZIA: Belladonna G., Scrascia C. VICENZA: Lamonea F., Tura M. FRANCIA: Carrier-Dalbion, Torbiero SAN MARINO: Arfilli GUARDIE D’ONORE SCELTE 2014 AGRIGENTO: Di Cesare BARI: Minenna, Rubini BRESCIA: Cotti Cometti V. CHIETI: Di Nardo, D’Orazio COMO: Ortelli LA SPEZIA: Riu MILANO: Di Martino PERUGIA: Barlozzari PESCARA: Ruffier PRATO: Previero RIETI: Locci ROMA: Alloggio, Bastianelli, Bilotti, Calandra, Caruso, Crisafulli, Fornaciari, Furlan, Garofalo, Ingrosso, Jelencovich, Landi Lauro, Mastrosanti, Militano, Pesce, Polini, Porro Papa, Preziosi, Saldicco, Schiano di Pepe VARESE: Giussani Gallazzi VITERBO: De Donno GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 19 CULTURA EMANUELE FILIBERTO (TESTA DI FERRO) di Onofrio Luigi delli Carri Terzo figlio del Duca Carlo II e di Beatrice del Portogallo nacque a Chambéry l’8 luglio del 1528. I suoi genitori destinarono il giovane principe Emanuele Filiberto ad una carriera ecclesiastica di Cardinale o quanto meno di Vescovo. A seguito della morte del primogenito Adriano e poi del secondo genito Lodovico, Emanuele Filiberto è il Principe ereditario di un regno che non esiste più. Emanuele Filiberto, detto anche “Testa di Ferro”, è stato sicuramente, tra i tanti regnanti di Casa Savoia, il personaggio più determinato, il più efficiente. A soli 13 anni si offre all’Imperatore per combattere per la crociata, ma Carlo V non accetta tale offerta. Emanuele Filiberto due anni dopo, e cioè a 15 anni, torna dall’Imperatore per offrirsi quale combattente nell’esercito imperiale-spagnolo ma ancora una volta riceve un rifiuto. Nel 1545, con il consenso paterno, ben armato egli con il suo seguito è accettato dall’Imperatore e qui si copre di gloria a San Quintino nell’agosto 1557. Il suo motto, ”spoliatis arma supersunt” (ai nullatenenti restano le armi) lo vide vincitore e l’Imperatore Carlo V, suo zio, lo nominò governatore dei Paesi Bassi in un’epoca assai difficile di guerre religiose, che videro il calvinismo conquistare l’Olanda. Il successivo trattato di pace di “Chateau-Cambresis” attribuì al giovane Duca i vecchi possedimenti. Nel 1563 Torino, per volere di Emanuele Filiberto, diventa Capitale del Regno, e da qui l’illuminato sovrano, parte per la ricostruzione di quello stato che 20 non c’era più e che comprendeva: il Piemonte, la sesia, Nizza, i territori originari della dinastia Savoia, Chiablese, Moriana, Tarantàsia e Faucigny, oltre che Bresse, Bugey, e Valromey di là dal Rodano, ed una fetta di Ginevra, dove la lingua ufficiale era l’italiano. Emanuele Filiberto sposa Margherita di Valois, figlia del Re di Francia Francesco I e di Claudia di Francia, dalla loro unione nacque Carlo Emanuele I. Molti furono i figli naturali di Emanuele Filiberto. Egli ebbe l’abilità di trasformare, ridando vigore e fertilità a quei territori resi aridi ed improduttivi da decenni di incuria (periodo nel quale ai Savoia erano state tolte quelle terre). In poco tempo il Regno divenne un paese prospero e quella dei Savoia una delle Monarchie più forti e disciplinate di quel tempo. Dopo tanto sfacelo un giovane Principe accorto e risoluto operò quella grande trasformazione. Una nota di colore nella storia di Emanuele Filiberto è quella del rifiuto di Elisabetta Tudor figlia di Anna Bolena e di Enrico VIII, che rifiuta di convolare a nozze con Emanuele Filiberto, e pare abbia detto: “meglio la morte che il matrimonio con un Savoia”. Emanuele Filiberto morì di cirrosi epatica nel 1580 lasciando in eredità al figlio uno stato saldo, una potenza militare. A Torino è ricordato con una statua equestre in Piazza San Carlo opera dello scultore Marocchetti. DON GIUSEPPE GABANA di Valter Cotti Cometti Don Giuseppe GABANA nacque a Carzago della Riviera (Brescia) il 26 aprile 1904, figlio di Giovanni e di Maddalena Bigotti, genitori di altri sette figli. Giuseppe fu ammesso al Seminario Diocesano di Brescia in giovane età ed ordinato sacerdote il 2 giugno 1928, destinato dapprima a Pezzaze ed in seGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 guito alla Parrocchia di Gazzane, una frazione di Roè Volciano, ove peraltro si era trasferita anche la sua famiglia. Don Gabana svolse il suo apostolato parrocchiale fino al novembre del 1935, allorquando, volontariamente, decise di seguire i soldati inviati a combattere in Etiopia. Assunto in temporaneo servizio come "Cappellano Militare di mobilitazione con assimilazione al grado di Tenente" in data 25 novembre 1935, Don Giuseppe raggiunse Mogadiscio il 3 gennaio 1936. Assegnato ad un ospedale da campo, chiese in seguito di essere inviato insieme ai reparti combattenti in prima linea dove, mentre prestava aiuto ai militari colpiti, venne a sua volta ferito ricevendo anche per questo la Medaglia di Bronzo al V.M. e, successivamente, la Croce di Guerra. Terminato il conflitto e rientrato in Patria, il 24 aprile '37, l'Ufficiale fu destinato al Presidio Militare dì Villa del Nevoso, una località in provincia di Fiume, ove rimase sino allo scoppio della II guerra mondiale, assistendo i soldati e le guardie di frontiera dislocate in località disagiate del confine. Il 24 maggio 1941, Don Giuseppe cessò di prestare servizio presso il Regio Esercito e fu trasferito nei ranghi della Regia Guardia di Finanza, nominato Cappellano Militare presso la VI Legione "Giulia" di Trieste. Il sacerdote raggiunse la città in un momento delicato, che vedeva i reparti della Legione impegnati nel mantenimento dell'ordine pubblico, sconvolto da azioni terroristiche provocate dagli sloveni. Il Cappellano rimase legittimamente in servizio anche dopo l'8 settembre 1943, proseguendo così l'opera di sacerdozio fra le centinaia di Fiamme Gialle rimaste al proprio posto, oltre a svolgere opera umanitaria inizialmente in favore dei profughi istriani e, successivamente, a tutela degli ebrei triestini, perseguitati dopo l'arrivo dei tedeschi in città. A Trieste, ove l'8 settembre '43 ebbe risvolti più drammatici rispetto ad altre aree del Paese, la situazione degli ebrei era diventata insostenibile. In città, la presenza degli ebrei era consistente (4.000/5.000 ebrei su di una popolazione di circa 250.000 abitanti) e per le poGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 sizioni di rilievo ricoperte nei variegati ambienti locali, nonostante le leggi razziali in vigore. Dopo l'occupazione tedesca, i territori della Venezia Giulia furono incorporati nella "Adriatisches Küstenland", una vera e propria provincia del Reich, mentre nella stessa Trieste fu allestito un Lager all'interno dell'ex Risiera di San Sabba, munito di un forno crematorio, ove, si stima, furono detenute circa 5.000 persone, oltre alle migliaia di vittime di passaggio che dalla Risiera presero la strada verso altri campi di sterminio del Nord-Europa. I rastrellamenti degli ebrei, sia nella Venezia Giulia che nelle vicinissime province slave ed istriane, assunsero caratteristiche di particolare gravità, che i finanzieri della Legione di Trieste cercarono in qualche modo di mitigare. Tra i tanti ricordiamo il Cap. Luigi Pagliaro, allora Aiutante Maggiore presso il Comando della V Zona di Trieste. L'Ufficiale, dal settembre '43 al 31 marzo 1944 (data del suo trasferimento a Brescia), si adoperò per dare manforte - tramite una persona di fiducia - alla famiglia ebrea del Dott. Guido Goldsmith. Il Pagliaro precisò successivamente, con dichiarazione sottoscritta in data 9 settembre 1945, che la persona di fiducia altri non era che il citato Cappellano della stessa VI Legione Guardia di Finanza di Trieste, Ten. Don Giuseppe Gabana. Non solo, ma dal suo ufficio legionale, Don Giuseppe si recava giornalmente presso l'Oratorio dei Salesiani ove celebrava la Santa Messa, in un crescente clima di odio, sia etnico che nei riguardi del clero cattolico, fomentato dagli irredentisti slavi, per il timore che l'insegnamento religioso e l'apostolato avrebbero potuto rappresentare un'alternativa ai principi della dottrina marxista. In tale quadro si inserì la tragica fine del sacerdote: il 2 marzo 1944, verso le ore 19,35 tre uomini in divisa militare imprecisata e con volto travisato bussarono alla porta dell'abitazione di Don Gabana, qualificandosi come amici. Appena la vittima designata uscì, i tre assassini gli vibrarono un colpo alla testa con il calcio di una pistola e poi gli spararono, ferendolo gravemente all’addome. Il Cappellano, soccorso e trasportato all'Ospedale Militare, si spense il 4 marzo al termine di strazianti sofferenze tra le braccia del Vescovo Santin, non prima di aver invocato il perdono per i suoi assassini. Terminava così l'esistenza un prete che amava l'Italia e i suoi finanzieri e predicava la pace fra le due etnie. Con dichiarazione sottoscritta il 4 marzo 1944 dal Direttore dello stesso Ospedale Militare, la morte del Tenente Giuseppe 21 Gabana fu ritenuta dipendente da causa di servizio e, come tale, il suo nome è stato iscritto fra i "Caduti della Guardia di Finanza durante la II guerra mondiale”. LA BATTAGLIA DI MONTEBELLO di Carlo Bindolini Trascorsi dieci anni dagli eventi che si conclusero con la “fatal Novara” e che avevano visto l’abdicazione di Re Carlo Alberto e la sua morte ad Oporto, grazie alla tenace attività diplomatica portata avanti da uno dei principali protagonisti del Risorgimento italiano: il Conte Camillo Benso di Cavour e dal nuovo Re Vittorio Emanuele II, il Regno di Sardegna, grazie all’alleanza con l’Impero di Napoleone III potè ritrovare la forza e l’orgoglio di sfidare una seconda volta il suo secolare nemico, gli Austriaci, sui campi di battaglia e riscattare l’eroico sacrificio di quanti erano caduti un decennio prima ed avevano arrossato con il loro sangue le zolle della terra lombarda e piemontese. Con la Seconda Guerra d’Indipendenza nazionale si aprì così una nuova pagina del nostro Risorgimento nazionale che avrebbe portato alla conquista della Lombardia. La battaglia di Montebello fu il primo scontro della Seconda Guerra d’Indipendenza Nazionale che vide contrapposta gli eserciti Franco-Piemontesi a quelli Austriaci. A Montebello per la prima volta si confuse insieme il sangue francese al sangue italiano. Pur non essendo paragonabile, sia per il numero dei combattenti, che per l’estensione dello scontro alle successive e più celebri battaglie di Solferino e di San Martino, costituì il battesimo del fuoco per gli eserciti in campo, inoltre il suo esito positivo per gli Alleati, che dopo questa battaglia presero l’iniziativa strategica per il resto della guerra. Importante fu l’esito favorevole della vittoria di Montebello per le truppe franco-piemontesi che, molto inferiori nel numero, rispetto a quelle austriache, riuscirono a dimostrare da un lato che l’armata sarda, piccola ma solida, era in grado di potersi finalmente misurare con uno dei maggiori eserciti europei, quello austriaco che dimostrò la propria inferiorità sul piano qualitativo e la scarsa abilità dei suoi comandanti. Tutto ciò agì negativamente sul piano psicologico nei confronti degli Austriaci che videro la loro armata superiore nei numeri e nei mezzi sconfitta da un pic22 colo contingente di forze nemiche anche a causa della mancanza di slancio e di rapida capacità reattiva dimostrata durante le fasi della battaglia che caratterizzò a Montebello il comportamento degli ufficiali dell’armata austriaca. La battaglia di Montebello è ricordata nella storia militare anche per il fatto che vide un moderno impiego delle forze della cavalleria, i cosiddetti cavalleggeri piemontesi che con le loro cariche e le loro azioni di disturbo riuscirono ad aggirare il nemico preponderante ed a ritardarne l’avanzata in attesa del sopraggiungere della propria fanteria. Fu proprio al seguito della battaglia di Montebello che venne infatti istituito un nuovo reggimento di cavalleria, che esiste ancora ai giorni nostri, i “Lancieri di Montebello”, che presero il nome dalla omonima battaglia. Il 20 maggio 1859, grazie all’indecisione degli austriaci, le truppe sardo-piemontesi si ricongiunsero con quelle francesi realizzando così la premessa che porterà al successo della guerra di Re Vittorio Emanuele II e dell’Imperatore Napoleone III. Ecco come si svolse la battaglia secondo le memorie di un testimone oculare. “Il 20 maggio verso il meriggio, gli Austriaci occupavano Casteggio e spingevano su Montebello gli avamposti composti da un distaccamento di cavalleria piemontese del corpo d’armata del generale di Sonnaz. A quell’avviso il generale Forey si portò immediatamente sugli avamposti sulla strada di Montebello, con due battaglioni del 74° di linea; e questo mentre tutta la divisione del maresciallo Baraguay-d’Hilliers prendeva le armi e marciava contro il nemico con una batteria d’artiglieria alla testa. Ma mentre queste mosse succedevano, gli Austriaci avevano da Montebello proceduto su Ginestrello in due colonne, l’una sulla strada maestra, l’altra sul cammino di Peno. Il generale Forey, aprì le sue ali onde impedire che il nemico potesse prenderlo alle spalle. Ciò era appena terminato allorché da ambo le parti incominciarono il fuoco su tutta la linea. Ben tosto le artiglierie cominciarono il loro triste ufficio. La dritta dei Francesi marciò allora avanti, i nemici piegarono allo slancio di quei soldati; ma gettandosi sulla sinistra sperò prendere il corpo francese tra due fuochi. Furono delusi, il generale de Sonnaz condusse contro di loro la sua cavalleria e li respinse. In quel fallo cadde ferito a morte con la sciabola in pugno caricando alla testa del suo distaccamento il colonnello conte Tommaso Morelli di Popolo, dei cavalleggeri di Monferrato. Allora i Francesi presero a GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 viva forza la posizione di Ginestrello e con l’aiuto della cavalleria piemontese ed organizzatisi in colonna d’attacco sotto gli ordini del generale Beuret si slanciarono su Montebello. L’assalto fu terribile, la resistenza imponente; il combattimento fu corpo a corpo, le strade del villaggio, e le case furono una per una espugnate. Il nemico si ritirò allora nel cimitero, posizione favorevole onde proteggere la sua ritirata su Casteggio; ed anche quello fu superato, e servì ai Francesi per molestare con le artiglierie le colonne in ritirata. Alle sei ore dopo il meriggio finì quel combattimento che in nulla e per nulla rivaleggia quello riportato dal grande Napoleone sul medesimo terreno il 9 giugno 1800 contro i medesimi nemici.” Queste memorie son tratte da: “Filippo Santi, Il caporale degli Zuavi, ovvero, il Re galantuomo Vittorio Emanuele II. Milano, Tipografia dell’Editore Francesco Panani, 1860. Le perdite della battaglia furono di 92 morti, 529 feriti e 69 prigionieri da parte francese; 17 morti, 31 feriti e 3 dispersi da parte piemontese; 331 morti, 785 feriti, 307 dispersi o prigionieri da parte austriaca. La fanteria francese era comandata dal generale Elie Frédrèric Forey, la cavalleria piemontese dal generale Ettore Gerbaix de Sonnaz, le forze austriache erano invece comandate dal Conte Philipp Franz von Stadion. Gli alleati franco-piemontesi avevano impiegato nella battaglia 6800 fanti, 800 cavalieri e 12 cannoni; circa un terzo delle forze avversarie. I più illustri caduti furono il generale francese Georges Beuret, che comandava la I brigata francese, ed il casalese Conte Tommaso Morelli di Popolo che, alla testa dei suoi due squadroni di cavalleria del “Reggimento Cavalleggeri di Monferrato”, fu ferito mortalmente dopo ripetute cariche di cavalleria che spezzarono le fila della fanteria austriaca. Il conte Tommaso Morelli di Popolo aveva ricevuto il comando del Reggimento dalle mani del colonnello de Sonnaz, che per quel fatto d’armi ottenne poi la medaglia d’oro e la promozione a generale. Il comando del Morelli di Popolo fu come una meteora di luce, che dura quanto un baleno. Morelli morì il giorno dopo a Voghera, dove era stato inutilmente ricoverato, insieme ad un soldato volontario lombardo, il marchese Fadini, che aveva fatto scudo con il suo corpo per salvare la vita del suo capo, il generale de Sonnaz. Nel combattimento di Montebello ufficiali e soldati gareggiarono in temerarietà ed i comandanti de Sonnaz e Boyl, i capitani Soman, la Forest de Divonne, Piola Caselli, Ferdinando Aribaldi-Ghillini e Francesco Ristori di Casaleggio, GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 furono quasi tutti feriti. Ma a questi dobbiamo unire la gloria di un altro nome: quello del marchese Carlo Medici di Marignano, che quando vide il suo comandante Morelli di Popolo a terra, circondato da una selva di baionette, si slanciò in suo soccorso, seguito dal bravo trombettiere Astesiano. Il giovane ufficiale, avendo trovato il suo colonnello tra i feriti, lo collocò su un cavallo vagante, e lo guidò verso le linee piemontesi che avanzavano. Disgraziatamente per il povero Morelli, passarono presso un fanatico tirolese che giaceva al suolo gravemente ferito mentre i cavalli avanzavano lentamente, in un impeto di furore questi si precipitò sul Morelli con la baionetta e gli aprì una ferita mortale nella schiena, ferita a causa della quale il Morelli morì il giorno dopo a Voghera. Un medico francese, chiamato sul luogo, aveva subito giudicato mortale il colpo inferto al Morelli, ma ciò nonostante procedette ad una prima medicatura e cucì la ferita. Venne imbastita alla meglio una barella, vi venne collocato il prode colonnello che venne trasportato fino all’ambulanza e di là a Voghera, dove morì senza dare un lamento. Dopo la battaglia il Re Vittorio Emanuele II, elogiando in un ordine del giorno il valore della sua cavalleria ne riassunse l’azione dicendo che “con vigore e replicate cariche ritardava l’avanzarsi delle poderose colonne finchè le prime truppe della divisione Forey, accorrendo, entrarono in linea. Giunte queste, con altre animose cariche secondava il loro attacco, contribuiva alla splendida vittoria di Montebello e riscuoteva l’ammirazione degli Alleati.” Anche l’Imperatore Napoleone III, nel far noto all’armata francese il brillante risultato della giornata di Montebello, pose in rilievo il non comune valore della cavalleria sarda. La battaglia di Montebello, primo combattimento della campagna intrapresa per l’Indipendenza italiana del 1859, fu dunque sostanzialmente vinta per l’immenso valore della cavalleria piemontese. A Montebello sul monumento dedicato al soldato si legge l’iscrizione ben conservata: “Onore a voi cavalleggeri di Novara, di Aosta, di Monferrato che il 20 maggio dell’anno 1859 nei campi di Montebello con ripetuti assalti sgominaste l’invasore austriaco. Pochi di numero, eppure grande aiuto alla vittoria delle federate armi di Francia. Onore a voi che avete mostrato al mondo come il soldato italiano a piedi, a cavallo non è secondo a nessuno dei più lodati”. 23 La battaglia di Montebello venne immortalata da una tela del pittore Giovanni Fattori che s’intitola “Carica di cavalleria a Montebello” del 1862 che è oggi conservata al Museo Fattori di Livorno. Probabilmente il cavaliere che nel quadro del Fattori cade da cavallo in primo piano, pugnalato dalle baionette austriache è proprio il Conte Tommaso Morelli di Popolo. La battaglia di Montebello è riprodotta anche su una tavola dell’album storico artistico 1859. Guerra d’Italia scritta dal corrispondente del “Times” al campo franco sardo con disegni dal vero del pittore luganese Carlo Bossoli. La litografia su carta è attualmente conservata presso il Museo del Risorgimento di Pavia. LA SCIARPA AZZURRA di Giorgio Aldrighetti Parlando della “sciarpa azzurra” che è, come noto, il simbolo particolare degli Ufficiali delle Forze Armate Italiane, annotiamo che l’origine di tale particolare insegna distintiva risale nientemeno al XIV secolo e precisamente al 21 giugno 1366 quando Amedeo VI il Conte Verde salpava da Venezia per la Terra Santa, al comando di una spedizione forte di circa duemila uomini, con una flotta composta da due grandi galere veneziane e numerose altre navi minori noleggiate a Genova ed a Marsiglia. Sull’albero di maestra della sua nave ammiraglia, per l’occasione egli aveva voluto che, accanto allo stendardo dei Savoja, di rosso alla croce d’argento, garrisse anche un’altra insegna, di zendalo azzurro, con caricata in cuore l’immagine di Maria SS.ma e l’intero drappo seminato di stelle d’oro, proprio per onorare la madre di Dio. Il Cibrario nella sua monumentale Storia della Monarchia di Savoia così descrive la galera ammiraglia di Amedeo VI il Conte Verde: “La galera capitana su cui veleggiava 24 il Conte Verde era, secondo la magnificenza di quell’età, leggiadramente dipinta e colla poppa coperta di foglie d’oro e d’argento. Sventolavano su quella nave molte bandiere, fra le quali primeggiava quella di devozione, di zendale azzurro coll’immagine di Nostra Signora, in un campo seminato di stelle. E quel color di cielo consacrato a Maria è, per quanto a me pare, l’origine del nostro colore nazionale. Gli altri stendardi erano quelli dei Savoia vermigli, colla croce d’argento; dei nodi d’argento in campo verde, special divisa di Amedeo VI; e quello dell’Ordine del Collare che, poco prima istituito, ebbe una stupenda occasione di segnalare il valore dè suoi cavalieri in lontane contrade e di renderne, da due opposte e famose riviere, spettatrici l’Asia e l’Europa. Amedeo levò l’ancora il 20 e il 21 giugno 1366 da Venezia”. Parimenti e sempre per onorare la nostra Madre celeste, alcuni Cavalieri della spedizione sabauda cinsero, in tale occasione e per la prima volta, delle sciarpe azzurre. L’uso delle sciarpe azzurre, da tale data, si diffuse tra gli Ufficiali dell’Esercito Savoiardo tanto che tale smalto assurse poi a simbolo araldico dinastico, al posto degli smalti di rosso e d’argento dello scudetto di Savoja antica. Il 10 gennaio 1572, il duca Emanuele Filiberto di Savoja, detto Testa di ferro, rese obbligatoria per tutti i suoi Ufficiali l’uso della sciarpa azzurra1, che da secolare tradizione era stato già adottato, per iniziativa personale di parecchi Ufficiali: “intendendo noi che i nostri soldati portino sciarpe e bende del nostro colore, cioè azzurro, osGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 sia celeste et non di altro a piacer loro, come siamo informati essi fanno”. Il di Gerbaix de Sonnaz, nel suo volume: Bandiere, stendardi e vessilli di casa Savoia dai Conti di Moriana ai Re d’Italia precisa che: “lo stendardo di zendale azzurro dal 1366 fu l’origine, come accenna il Cibrario, del colore azzurro nelle divise di casa Savoia, e tuttora dà il colore alla fascia di servizio degli Ufficiali di terra e di mare”. La fascia azzurra che tuttora portano gli Ufficiali di terra, di mare e di cielo ha quindi un’origine antichissima, quale forse nessun’altra insegna può vantare, legata alla speciale devozione a Maria, all’Aiuto dei cristiani; l’azzurro, infatti, per la scienza araldica, è simbolo di giustizia, di lealtà, di purezza, di gentilezza ma, soprattutto, è lo smalto tipico mariano. Parimenti i decorati al Valor Militare hanno il nastro della decorazione d’azzurro2. Infine ricordiamo che gli “Azzurri” della nostra Nazionale di calcio e di altre discipline sportive derivano, invece, dalla prima Olimpiade dell’era moderna, che si è svolta in Atene nel 1896, quando sorse il problema del colore da adottare per le divise delle nostre rappresentanze sportive che partecipavano al primo consesso sportivo internazionale. Vennero chiesti lumi al re d’Italia Umberto I di Savoja che assegnò subito alle nostre squadre sportive nazionali il colore azzurro, colore sabaudo e mariano, per eccellenza, dal 1366. 1 Sotto il regno di Carlo Emanuele II, il Regolamento stabilì, in data 24 febbraio 1750, che la sciarpa dovesse essere a strisce azzurre e oro, completata alle estremità da due fiocchi dorati, con la striscia centrale dorata che si assottigliava ed il fiocco che si rimpiccioliva a seconda dei gradi, scendendo a ritroso la scala gerarchica, verso i gradi inferiori. Nel 1775 Vittorio Amedeo III modificò la sciarpa per i Tenenti Colonnelli e i Maggiori, dividendola in tre strisce uguali, di cui la centrale rigata in azzurro, mentre per gli Ufficiali inferiori vi erano sottili distinzioni a seconda del grado. GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 Sotto Vittorio Emanuele I, il regolamento dell'8 novembre 1814 stabilì che la sciarpa fosse gialla cosparsa in file parallele di puntini azzurri, rimanendo invariata per gli Ufficiali Generali, cioè in maglia dorata a puntini azzurri. Dal 25 giugno 1833 si stabilì che la sciarpa fosse portata distesa attorno alla vita, con il nodo sul fianco sinistro, mentre gli Ufficiali di Stato Maggiore, gli Aiutanti di campo e gli Ufficiali applicati alle divisioni dovevano portarla ad armacollo da destra a sinistra. Dal 4 marzo 1843 la sciarpa si dovette portare arrotolata e non distesa in vita, per non celare la cintura. In data 25 agosto 1848 fu prescritto il colore turchino per tutti i gradi, tranne il fiocco. Essa veniva indossata ad armacollo dalla spalla destra al fianco sinistro, mentre gli Ufficiali di Stato Maggiore e gli Aiutanti di campo dovevano portarla ad armacollo al contrario. La sciarpa azzurra divenne definitivamente un distintivo di servizio e non di grado in data 9 ottobre 1850, uguale per tutti i gradi, in tessuto color turchino con i fiocchi del medesimo colore. I due capi della sciarpa erano uniti da un passante cilindrico o "noce" in tessuto di seta turchina. 2 Il nocchiero del Regia Marina Sarda, Domenico Millelire nella notte fra il 24 e il 25 febbraio 1793 - contribuisce, con grande coraggio, perizia e determinazione, a respingere con gravi perdite una formazione navale Francese guidata dal Ten. Col. Bonaparte. Il Re Vittorio Amedeo III di Savoja a seguito di questa brillante e ardita azione, emana Regie Patenti il 21 maggio1793 con le quali si prevede di premiare il Valore Militare con la Medaglia d’Oro o in subordine, di Argento da destinarsi a “bass’uffiziali” o soldati distintisi in combattimento. La prima medaglia d’Oro venne così appuntata sul “giustacuore” del nocchiero Millelire. Era previsto che tali distinzioni fossero solo individuali ma, nel combattimento del Colle del Brichetto (Mondovì) del 1796 il comportamento del Reggimento “Dragoni del Re” fu tale da indurre il Sovrano a concedere due medaglie d’Oro al Reparto che ora ha nome “Genova Cavalleria”: viene quindi sanzionata la possibilità di concedere medaglie collettive a Reparti o Città. L’insegna era ed è sostenuta da un nastro di seta “turchino-celeste” - Da qui il “Nastro Azzurro....”. L’ASSISTENZA FEMMINILE E DELLA CASA REALE DURANTE LA PRIMA GUERRA MONDIALE di Riccardo Mattoli Un secolo fa, con l’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale, mentre i nostri soldati furono impegnati al fronte per la conquista degli ultimi territori rimasti in mano allo straniero per quella che fu la quarta Guerra d’Indipendenza, si verificava in Patria un fenomeno ai nostri giorni dimenticato dal trascorrere del tempo: lo slancio patriottico delle donne italiane e di Casa Savoia. Con slancio unanime le donne d’Italia risposero all’appello della nazione che le chiamò a raccolta nell’ora del glorioso e solenne cimento; tutte, ricche e povere, colte e popolane, giovani e vecchie che videro 25 partire i mariti e i figli per il fronte, seppero soffocare l’ansia ed il dolore della necessaria separazione, per dedicarsi a molteplici opere di assistenza e di carità. L’attività femminile italiana gravitò attorno alla Croce Rossa che contava migliaia di abili infermiere della classe più educata, che conseguì il diploma dopo tre anni di serio studio teorico e due anni di pratica negli ospedali; corsi accelerati tenuti in tutte le grandi città prima e durante la guerra prepararono un grandissimo numero di infermiere ausiliarie, in grado anch’esse di rendere buoni servigi sotto la guida delle più anziane. Il compito che tutte le volontarie si assunsero, mise a dura prova la loro volontà e le loro forze: esse dovettero prestar servizio di turno negli ospedali regolari ed improvvisati, nelle ambulanze, nei treni e sulle navi ospedali, ai posti di primo soccorso e a quelli di ristoro, nelle stazioni ferroviarie. Non vi furono diserzioni o lagnanze per gli inevitabili disagi della missione liberamente prescelta, ma tutte, con mirabile slancio, servirono la nobilissima istituzione. Vennero offerti alla Croce Rossa palazzi privati interamente arredati per il loro scopo ospitaliero, ville al mare e molte famiglie agiate ospitarono dei soldati convalescenti. Un commovente plebiscito di carità riuscì a Milano: la festa del Tricolore, nel giorno dello Statuto del 1915: signore e signorine del Comitato della Croce Rossa ricavarono 75.000 lire dalla vendita di fiori e di distintivi. Un grande esempio venne fornito dalla Casa Reale ed in particolare dalle nostre Regine, sempre le prime a prodigare 26 soccorsi quando l’Italia attraversò ore decisive e supreme: aprirono a Palazzo Pitti, in Firenze un laboratorio per le ambulanze militari; la Regina Madre affidò alla Croce Rossa una delle palazzine di villa Margherita e la Regina Elena fece aprire ospedali al Quirinale, nei palazzi reali di Mantova e di Verona. La duchessa d’Aosta, che fu già l’angelo consolatore dei feriti libici – mirabile fu la sua abnegazione a bordo della nave Melfi – dopo aver ispezionato le varie istituzioni italiane della Croce Rossa, si fece visitatrice infaticabile di tutti gli ospedali militari ove incoraggiò i soldati col suo buon sorriso materno e sorvegliando tutti i servizi. La contessa Spalletti-Rasponi, presidente del Consiglio Nazionale delle donne italiane, inviò all’inizio della guerra ai capi dello Stato Maggiore il seguente saluto, nel quale si compendia l’entusiasmo e la bontà della femminilità italiana: “A voi, prodi soldati di terra e di mare, il saluto augurale delle donne italiane. Al vostro valore, l’onore e la gloria di consacrare col successo delle armi le fervide aspirazioni della grande anima italiana. Combattete da eroi e vi conforti il pensiero che sui vostri cari vegliamo noi”. Iniziative private Durante il conflitto la Croce Rossa, ebbe un grandissimo numero di ospedali territoriali. Ma se questi, nella massima loro parte, sorsero in pubblici locali forniti dal Governo, dalle prefetture e da comuni del regno (scuole, collegi, accademie ecc.), in parte vennero anche impiantati in ville e palazzi che il cuore di ricchi cittadini ceGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 dette all’ente benemerito. Innumerevoli le iniziative private tra le quali ricordiamo quelle di Casa Savoia. I nostri Sovrani, primi in ogni slancio di carità, aprirono subito le loro dimore regali al riposo ed alle cure dei soldati reduci dal fronte: dalla Regina Elena alla Regina Margherita, dalla Duchessa d’Aosta alla Principessa Letizia, tutti i componenti della Casa Regnante vollero portare il loro valido tributo nell’assistenza che l’Italia fece ai feriti. Il Palazzo del Quirinale, per lo zelo infinito della stessa Regina Elena, e del duca d’Oporto, si trasformò in modo da diventare uno dei più organici ospedali moderni. Nella «Sala del Trono», in quella degli «Ambasciatori» ed in quella da ballo, furono stabilite le condutture d’acqua e l’impianto dei bagni, mediante un ingegnoso rialzo del livello del pavimento; le stesse sale furono divise in ambienti ragionevoli, mediante tramezzi; nelle stanze attigue vennero istituite sale di medicazione, operatorie e di radiografia, guardarobe, refettori, farmacie e cucina. L’ospedale fu destinato ad accogliere soltanto soldati semplici e comprendeva l’intero appartamento del primo piano e constò di undici corsie, con 206 letti. I guardaroba occuparono quattro stanze, senza contare quello centrale (per la biancheria da GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 letto) che si trovava allogato nell’antica Cappella Paolina. In lato dell’appartamento vennero ospitate le 24 dame infermiere che, dirette dalla Principessa di Paternò e coadiuvate da 5 Figlie di S. Vincenzo, portarono agli ospiti il continuo conforto della loro delicata assistenza. La farmacia fu installata nella sala d’armi ed il gabinetto radiologico nel salottino del Don Chisciotte. Cappellano era monsignor Beccaria. I ricoverati ricevevano ottimi pasti, allietati dal suono di inni patriottici, che un grammofono offerto dai Principini, intonò di continuo, e, oltre a ricevere in lettura i giornali quotidiani e le riviste, avevano a disposizione anche una piccola biblioteca, messa insieme per loro dalla stessa Regina. Ai convalescenti furono aperti i viali dei giardini per qualche passeggiata ristoratrice. Non meno delizioso fu l’ospedale istituito dalla Regina Madre nel Palazzo Margherita e, per essere precisi, nella palazzina così detta dei Principini e nell’appartamento un tempo abitato dalla marchesa di Villa Marina. Esso comprendeva 120 letti e una quantità di poltrone a rotelle per il facile trasporto dei convalescenti attraverso i viali della villa. Nel suo interno tutto era nitido ed elegante, ed ogni comodità era offerta agli ospiti: sale di lettura e di scrittura, giornali e riviste, perfino acque minerali. In ogni camera spiccavano, sulle pareti, massime dettate dalla stessa Regina: che stimolavano fortemente le virtù civili e militari dei ricoverati. L’Augusta Signora (come la Regina Elena) ogni giorno, accompagnata dal medico capo, prof. Margarucci, faceva il giro delle sale, fermandosi letto per letto e lasciando in tutti il ricordo della sua infinità bontà. Alla Regina Elena (che offrì pure i palazzi Reali di Genova, Caserta e Firenze) e alla Regina Margherita, si unirono la Duchessa d’Aosta, col mettere a disposizione della Croce Rossa il Palazzo della Cisterna di Torino, e la Principessa Letizia, con l’offrire il castello di Moncalieri. 27 Nel castello di Moncalieri, che tante memorie custodisce della Casa Sabauda, furono raccolti un certo numero di mutilati e divenne la pietosa dimora di 120 tra i più eroici soldati d’Italia, perché fra i più provati. Con una serie di adattamenti, il vetusto castello alleviò le sofferenze fisiche e morali di tanti infelici, si trasformò adattandosi ad ogni esigenza dell’igiene moderna. La Principessa sorvegliò di persona la convalescenza di ciascuno, fino al giorno in cui, debitamente munito del suo arto posticcio, potè uscire dal castello e tornare in seno alla famiglia. Un egregio professore si incaricò di insegnare a leggere e a scrivere agli analfabeti, e, due volte alla settimana, in brevi conferenze, si spiegarono ai soldati gli ultimi eventi della guerra. Poche suore e dame volontarie coadiuvarono l’Augusta Signora nella sua non semplice né lieve opera di carità. Nel Castello di Moncalieri si provvide anche alla rieducazione dei mutilati. IL CONTE VERDE di Lorenzo Orrino Il paese di S. Stefano, oggi frazione del comune di Campobasso, è famoso soprattutto perché qui morì di peste Amedeo VI di Savoia, meglio conosciuto come il Conte Verde per la sua predilezione per questo colore che usò non solo per i suoi vestiti, ma anche per le divise dei suoi soldati e per gli arredi delle sue stanze. Amedeo VI di Savoia, il Conte Verde, era nato a Chambéry il 4 gennaio 1334. Signore della Savoia, aveva combattuto i Turchi su invito di papa Urbano V. Dopo una serie di imprese militari nel bacino mediterraneo arrivò con le sue navi fino a Costantinopoli che occupò. Si spostò sul Mar Nero e poi ad Anchialo, Mesembria, Varna e Sozopoli per tornare nel 1367 a Costantinopoli stabilendosi nel palazzo imperiale. Poi cominciò il viaggio di ritorno. Passò per Gallipoli e poi per Corfù per rientrare a Venezia. Si recò a Pavia per spostarsi finalmente a Viterbo a scortare il papa Urbano V che riportava il papato a Roma. Il 10 dicembre 1367 finalmente ritornò nella sua Chambéry e nel 1371 si spostò in Piemonte dove aderì alla Lega Italica contro i Visconti di Milano. Intanto il papato con Gregorio XI, l’ultimo papa francese, nel 1374 riconosceva la forza dei Visconti. 28 Con la morte di Gregorio XI nella Chiesa cominciava un complicato conflitto scismatico fino ad arrivare al 1382 quando la regina Giovanna moriva ammazzata a Muro dove era prigioniera. Luigi d’Angiò partiva dalla Francia con 12.000 cavalieri per venire a Napoli a prendersi il regno usurpato da Carlo III. Nel suo esercito anche le 1000 lance del Conte Verde, cento delle quali costituivano la sua guardia d’onore. Il 17 luglio di quello stesso anno l’esercito francese arrivava in Abruzzo dove, come ricorda Michele Camera (M. CAMERA, Elucubrazioni storiche-diplomatiche su Giovanna I regina di Napoli e Carlo III di Durazzo, Salerno 1889), riusciva a riunire i baroni filo-angioini particolarmente irritati nei confronti del Durazzo che, per prepararsi ai nuovi eventi bellici, li aveva obbligati alla riscossione di un donativo di 300.000 fiorini e al pagamento di nuove imposte per cinque anni. Tra gli alleati di Luigi vi furono anche i Caldora. Amedeo VI, il Conte Verde, dopo una serie di peripezie nell’Abruzzo, Lazio e Campania, venne nel Molise con il fisico fortemente compromesso dalla peste che aveva, peraltro, decimato le sue truppe. Da Montesarchio (BN) si era spostato a S. Stefano, frazione del comune di Campobasso, dove il 15 febbraio 1383 aveva sistemato ciò che rimaneva del suo esercito, compresi i cento lancieri della sua guardia. La sua malattia si aggravava e qui, all’età di 49 anni, finiva i suoi giorni il 1° marzo 1383. La morte del Conte Verde fu ricordata da Arnaldo De Lisio in una delle sue pregevoli lunette della Banca d’Italia di Campobasso. LA REGIA NAVE “ZEFFIRO” di Fabio Monescalchi Nome: ZEFFIRO Tipo: cacciatorpediniere (dal 1905 al 1921) Torpediniera (dal 1921 al 1924) Classe: Nembo GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 Altre unità della classe: NEMBO(1901) TURBINE (1901) AQUILONE (1902) BOREA (1902) ESPERO (1902) Note tecniche: le navi della classe turbine furono progettate dall’Ing. Scaglia in collaborazione # " " 23 . // . % 4 33 50 0 1" 0 4 33 6 " 0 44 6/ 0 . 3 3 " / 7 0 /1 ! 5 2 3 $% $ % & / 8% 44 " %55 4 3 " %55 9:"/ ; " % 91:" ; " % % % / 1 " con la Thornycroft. È evidente infatti la discendenza dal modello “27-Knotters” inglesi. Tra il 1908 ed il 1912 le navi di questa classe furono sottoposte ad importanti modifiche nel campo della propulsione e dell’armamento. Si passò dall’alimentazione a carbone alla nafta, mentre furono sostituiti i cannoni da 57 mm con 4 pezzi da 76, e i quattro tubi lanciasiluri da 356 mm con altrettanti da 450 mm. Esternamente cambiò la sagoma della nave perché il numero dei fumaioli passò da due a tre. GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 Altre modifiche avvenute nel 1914 consentirono la possibilità di trasportare e posare da 10 a 16 mine. Nel dopoguerra fu eliminata una caldaia con il relativo fumaiolo. La potenza massima sviluppabile scese a 3400 hp. La plancia venne arretrata verso poppa e fu eliminato uno dei pezzi da 76, sostituito da una mitragliera antiaerea da 6,5/80 mm. Anche in conseguenza di questi lavori, nel 1921 fu declassata a torpediniera. Il 13 marzo 1924 avvenne la radiazione per demolizione. Impiego operativo: Lo Zeffiro partecipò alla guerra italo-turca. Il 29 settembre 1911 prese parte, insieme ad altre navi italiane, ad uno scontro con due torpediniere turche, la Tokat e l’Antalya, uscite dal porto di Prevesa. Lo Zeffiro, insieme ai cacciatorpediniere Alpino e Carabiniere ed alla torpediniera Spiga, circondò l’Antalya, che, gravemente danneggiata, andò ad incagliarsi e venne catturata, per poi essere finita a cannonate dall’Alpino. Nella prima guerra mondiale operò in Adriatico. In particolare partecipò alle operazioni di forzamento dei porti austro-ungarici. Lo Zeffiro faceva parte della IV Squadriglia Cacciatorpediniere, con base a Brindisi, che formava unitamente ai cacciatorpediniere Ascaro, Alpino, Carabiniere, Pontiere e Fuciliere. Al comando della nave il Capitano di Corvetta Arturo Ciano. La notte successiva alla dichiarazione di guerra, alle ore due circa del 24 maggio 1915, lo Zeffiro entrò a gran velocità nel canale navigabile che portava a Porto Buso, nella laguna di Grado, dove erano presenti un porticciolo nemico ed una caserma. Giunto a circa 500 metri dalla caserma (intorno alle 3 di notte), il cacciatorpediniere lanciò un siluro contro il pontile, danneggiandolo, distrusse le piccole imbarcazioni ormeggiate, cannoneggiò con i cannoni da 76 mm, la caserma e la torretta di guardia danneggiandole ed incendiandole. Il distaccamento comprendeva un ufficiale, il tenente della riserva Johann Mareth, di origini ungheresi ma cresciuto a Vienna, 68 uomini, di cui 17 erano dislocati in altri punti della laguna, 11 uomini della guardia di finanza e 2 uomini addetti all’eliografo da poco installato. Della guarnigione, 11 uomini rimasero uccisi nel cannoneggiamento od annegarono nel tentativo di fuggire, 23 – solo 6 dei quali, tuttavia, erano effettivamente a Porto Buso al momento dell’attacco – raggiunsero le proprie linee, 48, compreso l’ufficiale si arresero e furono presi a bordo dello Zeffiro, che li condusse a Venezia, ove giunse alle 6 del mattino. 29 Gli austroungarici, dal racconto degli scampati, ma anche dalla lettura dei giornali italiani, si convinsero che la colpa dell’accaduto fosse da addebitare in gran parte alla presunta codardia del tenente Mareth e non all’audacia dell’azione. I testimoni raccontarono di aver visto uomini in mutande scappare dalla caserma per arrendersi agli italiani. Inoltre i giornali riportarono il resoconto di un’umiliante cessione della sciabola da parte del tenente al capitano della nave. Il rapporto austrungarico di quell’azione riporta i seguenti nomi dei prigionieri: % 0 + 00 @ % I ' 5 . 0 0 2 5 . 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Il 12 giugno 1916 al comando di Costanzo Ciano, fratello di Arturo, e Nazario Sauro come pilota, irredento nativo di Capodistria, alla ricerca degli Hangar degli idrovolanti austroungarici, parteciparono al forzamento del Porto di Parenzo. il CT Zeffiro entrò nel porto di Parenzo, con l’appoggio dei cacciatorpediniere Alpino e Fuciliere e delle torpediniere costiere 40 PN (tenente di vascello Emilio Stretti) e 46OS (tenente di vascello Roberto Sinclair de Bellegarde), degli Hangar non v’era traccia, così si decise di accostare al molo dove tre gendarmi osservavano stupìti le manovre del CT. Nazario Sauro rivolgendosi in veneto (lingua ufficiale della marina austroungarica) ai gendarmi, si fece aiutare da questi ad ormeggiare, a quel punto, insieme a dei marinai scese a terra per catturarli. Due gendarmi scapparono e il terzo fu catturato. Fu lasciato sul molo del materiale propagandistico. Dall’interrogatorio del gendarme si ottenne la posizione approssimativa del rimessaggio degli idrovolanti. Usciti dal porto, le unità iniziarono il cannoneggiamento contro costa al quale pochi minuti dopo risposero i difensori del porto. Dopo circa 40 minuti le navi ripresero la via del ritorno. Durante quest’ultima fase le navi furono attaccate anche da idrovolanti nemici. Il numero degli apparecchi è rimasto imprecisato per discordanza delle fonti. Nave Fuciliere ed Alpino furono colpite e dovettero registrare 4 morti e 8 feriti. Gli idrovolanti seguirono le navi finché non vennero a loro volta intercettati da aeroplani italiani e francesi. Aerei italiani ed alleati continuarono a bombardare la base anche nei giorni successivi. Il rapporto nemico diede la colpa all’ufficiale di picchetto e alle vedette che nel dubbio sulla nazionalità delle navi in avvicinamento rimasero inattivi. Emanarono nuove regole d’ingaggio oltre a raccomandazioni sulle licenze domenicali (il nemico attaccava nei giorni di festa) e la sincronizzazione degli orologi. Gli austriaci ancora oggi descrivono la loro organizzazione marinaresca “perfetta” contrapposta a quella italiana definita “dilettantistica”. Il 18 luglio dello stesso anno lo Zeffiro trainò – fino ad una ventina di miglia da Meleda (di fronte a Ragusa - Croazia), ed appoggiò, insieme alle torpediGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 della notte e, scoperta la corazzata MARS contro essa lanciò i suoi siluri che purtroppo non scoppiarono. L’intrepido motoscafo, nonostante che la piazzaforte si fosse levata in allarme, potè uscire dal varco, sapientemente preparato, e raggiungere incolume le unità di protezione. Il 24 settembre 1917 Zeffiro, Pontiere e Carabiniere salparono da Venezia per intervenire in uno scontro tra le torpediniere costiere 9 PN, 10 PN, 11 PN e 12 PN e quattro cacciatorpediniere austroungarici, ma il combattimento ebbe termine, in seguito all’intervento di aerei italiani, prima dell’arrivo delle navi salpate da Venezia. Dal 18 aprile 1918 ebbe il compito di protezione del traffico marittimo nazionale. 20 20 niere Climene e Procione, tre idrovolanti («L 141», «L 156», «L 157») che effettuarono un’infruttuosa incursione nel canale della Morlacca, che si risolse senza risultati e con la perdita di due velivoli. Alla sera del 1° novembre 1916 una spedizione composta dal CT Zeffiro, dalla torpediniera 9 PN e dal MAS 20 partì da Venezia per tentare il forzamento di Pola e penetrare nel canale di Fasano. Nella notte la 9 PN riuscì ad applicare un congegno ed aprire un varco nelle ostruzioni, per il quale il MAS 20 condotto dal Tenente di Vascello GOIRAN entrò nelle chiuse acque del nemico. Cercò il bersaglio nel buio Corvetta a vela, scafo di legno costruita a Napoli, varata il 19 dicembre 1832. Dislocamento 594 tonn. Passata alla Regia Marina Italiana nel 1861, fu radiata il 9 maggio 1869. Cacciatorpediniere, costruito a Sestri Ponente dalla Ansaldo. Varata il 27 maggio 1927. Affondata nel porto di Tobruk il 5 luglio 1940. Dislocamento: tra 1200 e 1800 tonn. Lunghezza: 93 m. largh. 9,2 m. pesc. 3,9 m. Potenza: max 40.000 hp vel. 33 nodi Autonomia: 3200 miglia a 14 nodi GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 31 Equipaggio: 145 uomini Armamento: 4 cannoni da 120/45 2 mitragliere da 40/39 mm 2 mitragliere da 13,2/76 mm Siluri: 6 da 533 mm 2 tramogge per bombe di profondità Attrezzatura per la posa di 52 mine Fregata missilistica, costruita a Riva Trigoso da Fincantieri, varata il 19 maggio 1984. Potenza: max 50.000 hp velocità 31 nodi Autonomia: 6000 miglia a 15 nodi Lunghezza: 123 m. largh.12,9 m. Equipaggio: 225 uomini Armamento: 1 cannone 127/54 2 ciws AA da 40 mm Missili: 4 lanciamissili otomat antinave 1 impianto AA albatros Siluri: 2 tubi da 533 mm 2 lanciasiluri da 324 mm Mezzi aerei: 2 elicotteri AB 212 ASW VITTORIO EMANUELE III AL CONVEGNO DI PESCHIERA di Ciro Romano Il 24 ottobre 1917, con la disfatta di Caporetto, per l’Italia sembra iniziare la fine e sembra profilarsi all’orizzonte la disfatta e la perdita della guerra; una sconfitta che però avrebbe significato per la Nazione, e per la stessa Casa regnante, ben più di una sola disfatta militare, già di per sé non piacevole. La sconfitta, la perdita del I° Conflitto mondiale avrebbe avuto ben altro significato poiché avrebbe bruscamente impedito la conclusione del processo di unificazione territoriale del Regno d’Italia, processo che si sarebbe compiuto con l’annessione di quei territori ancora asburgici e che non erano stati annessi al Regno d’Italia a circa cinquant’anni dall’Unità nazionale. La guerra contro l’Austria, quindi, doveva es32 ser vinta non solo per una questione prettamente militare, ma anche - e soprattutto - per una questione “ideologica” si potrebbe dire, cioè per concludere il processo risorgimentale di unificazione d’Italia, e la Dinastia sabauda in tutto questo giocava un ruolo fondamentale a livello simbolico. Ma anche a livello pratico, e quindi attivo (e fattivo), la Monarchia o meglio il Re, nei concitati giorni post-Caporetto ha ricoperto un ruolo non secondario Dopo Caporetto il Generale Cadorna che, insieme al Governo presieduto da Boselli, aveva guidato le truppe al fronte, diffuse un bollettino dove scaricava tutte le colpe sulle truppe, un bollettino che recitava “La mancata resistenza di reparti della II Armata, vilmente ritiratisi senza combattere, ignominiosamente arresisi al nemico o dandosi codardamente alla fuga, ha permesso alle forze austrogermaniche di rompere la nostra ala sinistra del fronte Giulia”. Alla lettura di queste parole il Re Vittorio Emanuele III rimase fortemente turbato tanto da affermare che “Quel bollettino di Cadorna per Caporetto fu una cosa stupidissima. Non si insulta un esercito che è come dire una nazione. Fu una brutta cosa - dice il Re - e poi non era vero che i soldati non avessero combattuto. Non era vero”; tanto che il Ministero della Guerra rivide il testo e si riuscì a non far pubblicare l’originale sui giornali italiani, ma all’estero la prima versione - quella di Cadorna - fu quella maggiormente diffusa. E di questo bollettino i nemici si servirono per fiaccare moralmente le truppe italiane alle quali venivano lanciati in trincea dei volantini stampati con le seguenti parole:“Italiani ! Italiani! Il comunicato del Gen. Cadorna del 28 ottobre vi avrà aperto gli occhi sull'enorme catastrofe che ha colpito il vostro esercito. In questo momento così grave per la vostra nazione, il vostro generalissimo ricorre ad uno strano espediente per scusare lo sfacelo. Egli ha l'audacia di accusare il vostro esercito che tante volte si è lanciato dietro suo ordine in inutili e disperati attacchi! Questa è la ricompensa al vostro valore! Avete sparso il vostro sangue in tanti combattimenti; il nemico stesso non vi negò la stima dovuta come avversari valorosi. E il vostro generalissimo vi disonora, v'insulta per discolpare sé stesso”. In questi volantini il nemico stesso riconosceva il valore delle truppe italiane, ma allo stesso tempo le induceva allo scoraggiamento, alla sovversione, all’ammutinamento ed alla diserzione. Insomma, anche agli alleati, era giunta l’idea che le truppe italiane erano allo sbando e non più governabili, e che l’unica cosa utile da fare fosse l’attestarsi su posizioni di difesa ben più arretrate rispetto alla linea del Piave. In tutto questo sfacelo il Re è al fronte, potremmo dire è ovunque: il 31 ottobre è ad Abano (il Quartier Generale era ad Altichiero) poi a Padova e Treviso, sulla sinistra della linea del Piave a Porcia, a Motta di Livezza, sale sul monte Grappa per controllare i GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 lavori di fortificazioni lì condotti. L’8 novembre di ritorno da Padova, quindi, il Re decide di prender parte al Convegno con gli Alleati per gestire la situazione, non facile, dopo Caporetto. La situazione era di forte panico ed indecisione, soprattutto per i politici e gli altri vertici militari, e la delegazione (12 persone in tutto) si incontra al primo piano di piccolo edificio a Peschiera del Garda proprio nelle immediate vicinanze delle vecchie mura della fortezza del quadrilatero che riportava alla memoria la Guerra del 1848/49. Questa palazzina, che era una scuola elementare prima della guerra, era in quel momento adibita a Comando di Battaglione. L’Italia era rappresentata, oltre che dal Re Vittorio Emanuele III, dal Presidente del Consiglio On. Emanuele Orlando, dal Barone Sidney Sonnino, dal Generale Alfieri e dall’On. Bissolati; per l’Inghilterra erano presenti il Primo Ministro Lloyd Gorge, il Generale Wilson, il Generale Robertson, ed il Generale Smutz; la Francia era rappresentata da Painlevé Capo del Governo, da Franklin Bouillon ed dal Maresciallo Foch. Il colloquio non durò - in tutto - forse tre ore, ma in queste tre ore il Re, che fu l’unico a parlare tra gli Italiani, riuscì a far presente ai rappresentanti delle potenze alleate i punti principali per cui doveva esser mantenuta - e potenziata - la linea del Piave, fidando sulle forze delle truppe italiane. Tra gli italiani è solo il Re a parlare perché è l’unico a saper usare fluentemente sia l’inglese che il francese, e nelle due lingue egli esamina le cause di Caporetto. Per il Re le gravi condizioni metereologiche con le conseguenti serissime difficoltà oggettive per i combattenti, la scarsa visibilità dovuta alla nebbia (che era in realtà il fumo prodotto dai gas asfissianti usati dai nemici), la giovane età di tanti ufficiali preparati troppo sommariamente e spediti al fronte, la lunga durata della guerra, la propaganda antimilitarista a cui i combattenti non restarono insensibili, rappresentarono le cause di quella fiacchezza che portò alla disfatta. Non fa parola il Re di quella viltà di cui parla Cadorna nel suo bollettino, né scarica la colpa sui suoi Generali, ben consapevole che agli alleati poco interessava il gioco dello scaricabarile delle colpe. Con decisione e fermezza il Re impone la linea del Piave, certo che le truppe non l’avrebbero persa e che da lì sarebbe partita la riscossa e con un’arguzia particolare il Re traduce in inglese il detto italiano “alla guerra si va con un bastone per darle, e con un sacco per prenderle” e l’Italia a Caporetto aveva usato quel sacco, intendeva dire il Re, ora era il momento di usare il bastone. E con padronanza, concisione, e senza inutili retoriche fece presente gli alleati la necessità di fornire quegli appoggi necessari affinché non si perdesse tutto il Veneto, arretrando ancora (così come gli paventavano alcuni generali). GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 Il Primo ministro inglese disse del Re d’Italia che a Peschiera “parlò con il fervore di Mazzini, con la chiaroveggenza di Cavour e conquistò tutti. Egli propugnò la resistenza a qualunque costo per la causa comune, anche se l’Italia aveva dovuto abbandonare temporaneamente al nemico una provincia. Si dichiarò pronto ad abdicare. Con la sua eleganza dissipò tutte le dubbiezze, troncò tutte le titubanze. Egli fu, in quella precarietà, il salvatore della causa degli alleati”. Questa testimonianza è fondamentale perché il Primo Ministro inglese, presente al Convegno, è da ritenersi una fonte attendibile e scevra da intenti propagandistici a favore del Re. Viene riconosciuto al Re d’Italia il merito della “motivazione”, perché è grazie a quel suo intervento a Peschiera se gli Alleati, poi, decisero di non abbandonare la linea del Piave e di giocare tutto sulla ripresa di quanto perso con Caporetto. Il Re, inoltre, riuscì a rassicurare gli Inglesi ed i Francesi che lo spirito sovversivo non era tra le truppe italiane e che il “contagio” di certe idee non doveva esser ritenuto pericoloso. Indubbiamente la presa di posizione del Re, e il suo personale coinvolgimento hanno dato al Convegno di Peschiera quella direzione, che potremmo definire “politica”, che orientò le sorti belliche successive verso Vittorio Veneto. Il Re, in prima persona, si spende per indirizzare le azioni successive in quella direzione da lui ritenuta più congeniale per la causa italiana, innanzitutto. Una direzione che era quella del perseguimento dell’unità territoriale piena, in ossequio agli italiani morti al fronte, ed agli italiani delle guerre risorgimentali. La consapevolezza del Re, che metteva in gioco se stesso e la sua corona, era ben chiara a lui per primo, e paventò l’eventualità dell’abdicazione, come abbiamo letto nelle parole del Primo Ministro inglese, ma anche il generale Wilson (sempre della parte inglese) scrive che Vittorio Emanuele III lo chiamò qualche giorno dopo, il 12 novembre, e l’alto ufficiale britannico riconosce che il Re in quella guerra si giocava tutta la sua posizione, il suo trono, l’avvenire di sua moglie e dei suoi figli, il futuro della sua fortuna e dell’Italia. La Monarchia era pienamente coinvolta e il suo principale attore era il Re che in primo piano si era messo in gioco dimostrando fiducia nelle truppe, e dimostrando una capacità di persuasione non indifferente. Quel pessimismo “cadorniano” che adduceva tutte le cause della sconfitta alla viltà dell’esercito, che paventava fucilazioni di massa, che preferiva un arretramento ulteriore della linea del fronte lasciando un pezzo d’Italia maggiore al nemico, fu vinto in quelle poche ore a Peschiera proprio grazie alla comunicazione diretta che il Re seppe mantenere - senza interpreti - con gli altri alleati. Per Cadorna, dimostrando una miopia intellettuale molto profonda, la sua Caporetto non era diversa dalla sconfitta di Chemin des Dames che 33 nell’aprile del 1917 fu subita dai Francesi contro i Tedeschi, in quell’occasione il generale Foch non fu sollevato dall’incarico ed anzi era a Peschiera come rappresentante degli Alleati. Mentre Cadorna fu sostituito da Diaz. Questo a conferma del fatto che la percezione della guerra e della sconfitta era ben diversa in Cadorna e nel Re. Al Re era più che chiaro che la guerra per l’Italia aveva ben altro valore rispetto alla Francia, rappresentava la conclusione dell’Unificazione della Nazione. Il Capo del Governo Orlando, del resto, scrisse che a Peschiera il Re “fu il principalissimo oratore di tale convegno. Con assoluta padronanza dell’argomento espose la nostra situazione militare e conquistò coloro che lo ascoltavano. Il Re ebbe sempre una fede incrollabile nel nostro esercito. È bene che il popolo italiano sappia che l’umile ed anonimo soldato italiano, quello che doveva esser glorificato come il Milite Ignoto, ebbe nel re un difensore tenace e commosso anche quando era di moda far gravare su di esso le cause del rovescio”. Del resto il Re era ben consapevole che il disastroso stato dei soldati era da imputare a Cadorna che li angariò, li sfruttò, li tenne lontani da casa per mesi, li equipaggiò malissimo, li sottopose alle intemperie, li mandava stoltamente ad assalti criminali, ma di tutto ciò non ne fece parola al Convegno perché non amava attardarsi nella ricerca delle colpe di qualcuno, non credeva nell’utilità di soffermarsi sulle varie recriminazioni intorno al passato, ma non condivideva nemmeno che la colpa, per intero, venisse scaricata sui combattenti. Il Re tiene fermo, a Peschiera, sulla linea del Piave andando contro chi voleva l’abbandono anche del Veneto, ed alla fine persuade che la sua linea è quella vincente. Come Vittorio Emanuele II divenne un collante per la neonata Italia, con il Convegno di Peschiera Vittorio Emanuele III rappresentò per la Nazione un motivo di rivalsa, e soprattutto di fiducia, fiducia che esattamente 12 mesi dopo, si sarebbe tramutata in realtà poiché fu l’Italia a sfondare a Vittorio Veneto e a travolgere ogni resistenza; ed il seguente mito del “Re soldato” a giusta ragione pose Vittorio Emanuele III come principale protagonista dell’epopea della Ia Guerra Mondiale. Dopo Peschiera il Re, lontano da ogni colpevolizzazione, emana un bollettino in cui parla dell'incoercibile diritto dell'Italia che doveva esser tutelato e protetto da ogni violazione ed invita gli Italiani ed i soldati ad esser un Esercito solo. Il Re è certo che ogni viltà è tradimento, ogni discordia è tradimento, ogni recriminazione è tradimento. Con immensa fiducia e speranza Vittorio Emanuele III conclude con una lucidissima osservazione: “Al nemico, che ancor più che sulla vittoria militare conta sul dissolvimento dei nostri spiriti e della nostra compagine, si risponda con una sola coscienza, con una voce sola: tutti siamo pronti a dar tutto, per la vittoria e per l'onore d'Italia!”. 34 Bibliografia di riferimento: Bertoldi Silvio, Vittorio Emanuele III, UTET, Torino 1970. Ceschin Daniele, Gli esuli di Caporetto, Laterza, Roma-Bari, 2006. Cognasso Francesco, I Savoia, Il Corbaccio, Milano 1999. Silvestri Mario, Isonzo 1917, BUR, Milano 2014. DALLA NEUTRALITÀ ALL’INTERVENTO 28 LUGLIO 1914 – 24 MAGGIO 1915 di Domenico Giglio Nulla faceva presagire, alla fine di giugno 1914, quanto stava per avvenire a Serajevo, nel corso della visita dell’arciduca ereditario dell’Impero AustroUngarico Francesco Ferdinando, accompagnato dalla sua consorte, sposa morganatica, Sofia Chotek, città dove si sapeva sussistere qualche possibilità di disordini e di contestazioni, in quanto si riteneva fosse stata programmata dalla imperial-regia polizia ed esercito, un adeguato servizio d’ordine e di sicurezza. Invece le vicende andarono come andarono, ma malgrado lo sdegno, la solidarietà dinastica, la riprovazione unanime che scosse tutti gli stati europei, non si immaginava ancora quello che sarebbe accaduto un mese dopo, con l’inaccettabile ultimatum dell’Austria-Ungheria, che la Serbia non poteva discutere, ma accettare integralmente, il che, non essendo avvenuto, fu ritenuto motivo sufficiente per la diplomazia austroungarica, forte del richiesto appoggio e consenso germanico, ma non di quello italiano, punto fondamentale sul quale ritorneremo, per dichiarare guerra al Regno di Serbia, che pur sapevano essere sotto l’alta protezione, per solidarietà religiosa e slava, dell’Impero Russo. Perché doveva l’Austria-Ungheria rivolgersi anche al Regno d’Italia? Perché così era chiaramente previsto in un articolo di quel trattato di alleanza difensivo, denominato “Triplice alleanza”, che dal 1882 legava il Regno d’Italia all’Impero Germanico ed a quello Austro-Ungarico, e doveva scattare solamente quando uno dei tre contraenti fosse stato attaccato da altre nazioni, e inoltre prevedeva compensi agli altri firmatari se uno dei tre avesse ottenuto in Europa, dei vantaggi territoriali. Per cui giustamente un autore non italiano, Oswald Uberegger, precisa: “…l’Austria e la Germania non coinvolsero l’Italia, ciò violava chiaramente le clausole del Patto difensivo che prevedevano l’obbligo di consultazione con violazione dell’art.1 e 3…”. Purtroppo questo timore del grande impero Austroungarico nei confronti del piccolo Regno di Serbia, era da qualche tempo una costante della diplomazia austriaca, anche dopo che la stessa aveva proceduto all’annessione formale della Bosnia Erzegovina, dove era Serajevo, avvenuta GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 nel 1908 dopo decenni, dal 1878, di amministrazione fiduciaria austriaca, ed a questo proposito si seppe che già nel 1913, senza alcun pretesto l’Austria volesse attaccare la Serbia, venendone dissuasa dal governo italiano, presieduto da Giolitti. Perciò la dichiarazione della neutralità italiana, da parte del governo presieduto da Antonio Salandra, era la logica conseguenza della violazione austriaca dei patti, anche se la stessa fu malvista ed anche vituperata da Vienna e dall’opinione pubblica austriaca che ritenevano la “servetta” Italia dovesse fare quello che decidevano i “padroni”! La guerra iniziata vedeva perciò in campo da una parte Germania ed Austria-Ungheria, alle quali si sarebbe aggiunto diversi mesi dopo l’Impero Ottomano, dall’altra parte la Serbia, la Francia, il Regno Unito e l’impero Russo, mentre il neutrale Regno del Belgio, veniva attraversato dalle armate germaniche, malgrado la resistenza del suo piccolo e valoroso esercito, comandato personalmente dal Re Alberto, suscitando lo sdegno sia nei paesi della “Intesa”, termine usato per l’alleanza franco-britannica, sia nei paesi neutrali, fra i quali l’Italia. Perché allora il Regno d’Italia si era legato all’Austria ed alla Germania? La risposta è lunga ed articolata e discende dalla solitudine dell’Italia, dopo il 1870, quando con Roma, si era completata l’unificazione del Regno, nato nel 1861, salvo il Trentino e l’Istria, quella che poi chiamammo Venezia-Giulia, “…si com ‘a Pola, presso del Quarnaro, che Italia chiude e suoi termini bagna…” (Dante – canto IXvv.113/114), in quanto la Francia, caduto Napoleone III, non ci era più amica, temendo la nostra concorrenza nel Mediterraneo ed in Africa, ed i cattolici francesi non ci perdonavano il nostro ingresso a Roma, ponendo fine all’assurdo potere temporale, che, a quei tempi molti ancora ritenevano indispensabile per l’indipendenza del Pontefice. C’era poi l’Austria che nel suo intimo avrebbe desiderato riprendersi, anche con le “cattive” il ricco LombardoVeneto. Rimaneva fuori la Gran Bretagna, che pur essendoci stata vicino ed amica durante il nostro processo unitario, non intendeva impegnarsi nel continente europeo, volendo ancora accrescere e consolidare il suo impero negli altri continenti, impero come mai se ne era visto, né si sarebbe visto successivamente, l’eguale. Quanto a Spagna e Portogallo, dove era Regina Maria Pia, figlia di Vittorio Emanuele II, la loro importanza in Europa era ormai secondaria ed erano oltre tutto lontani, come lo era l’Impero Russo, che all’epoca cercava quella alleanza dei tre imperatori di Austria, Germania e Russia, che, finché fu mantenuta fino alla fine del XIX secolo, tanto contribuì alla pace europea. Rimaneva la Germania che aveva raggiunta anch’essa nel 1870 la sua unità imperiale, e con la quale il regno d’Italia era già stato alleato nella guerra del 1866 (per noi terza guerra d’indipendenza). Qui il GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 cancelliere Bismarck, ottenuti e raggiunti gli obiettivi territoriali con le guerre tutte vittoriose, da quella del 1864 contro la Danimarca, insieme con l’Austria, per i due ducati dello Schleswig e dell’Holstein, alla successiva guerra del 1866 contro l’Austria, alleata con il regno di Baviera, per estrometterla dalla guida degli stati tedeschi, ed infine la guerra del 18701871 contro la Francia, con l’acquisizione della Alsazia e della Lorena, voleva dedicarsi, sia alla politica coloniale, alla quale l’Austria non era interessata, sia al rafforzamento interno dell’Impero Germanico, ed assicurare quei decenni di pace di cui l’Europa godette fino allo sciagurato luglio 1914, quando Bismarck era morto da anni (1898), dopo essere stato estromesso nel 1890, dalla guida del governo. In questa ottica possiamo affermare che Bismarck fu l’ideatore ed il fautore della “Triplice”, che impediva all’Austria di attaccare l’Italia, tranquillizzava l’Italia stessa e formava un blocco territoriale, che dal mare del Nord e dal mar Baltico, raggiungeva il mare Adriatico ed il Mediterraneo. Si arrivò così sotto il Governo Depretis, esponente principale della “sinistra storica”, alla firma del trattato, avvenuta a Vienna, il 20 maggio 1882, da parte del nostro ambasciatore di Robilant, trattato segreto, di carattere esclusivamente difensivo, che ripetutamente rinnovato, era ancora in vita nel 1914, trattato in cui era stato aggiunta una interessante postilla, da noi sollecitata, nella quale si precisava che non doveva essere usato “contro” la Gran Bretagna. Se queste erano le più che giustificate motivazioni storiche della “Triplice”, non possiamo dimenticare che in Italia, esisteva fin dal 1866 un fondo di amarezza, negli spiriti risorgimentali, per Trento e Trieste, rimaste all’Austria, chiamato “irredentismo”, che l’atteggiamento austriaco nei confronti delle esigenze scolastiche, linguistiche e culturali della minoranza di lingua italiana, in diverse occasioni provvedeva a rinfocolare, mantenendolo così vivo e vitale, come si vide proprio nel periodo che esaminiamo, quando a Trieste il principe di Hohenlohe, ancora nel 1913, emetteva una ordinanza con la quale venivano licenziati dagli impieghi i cittadini italiani, accentuando la politica slavofila che già da anni veniva svolta nell’Istria e nella Dalmazia, favorendo l’invasione dell’elemento slavo, le cui conseguenze si sono protratte anche dopo la nostra vittoria del 1918 ed hanno pesantemente determinato il destino degli italiani dopo la seconda guerra mondiale. Di tutto ciò il Regno d’Italia era consapevole. Operava diplomaticamente, accoglieva gli italiani provenienti da queste regioni, ma non poteva scatenare una guerra, contando su di una evoluzione naturale, anche dinastica, del vicino impero, per cui lo scoppio della guerra nel luglio 1914 apriva di colpo e senza alcun preavviso nuovi scenari e prospettive, alle quali non eravamo preparati, né materialmente, 35 né psicologicamente. Il Regno d’Italia, non aveva nessuna colpa o responsabilità nello scoppio della guerra, come ribadito da Domenico Fisichella, nel suo recente studio Dal risorgimento al fascismo, anche se qualche scrittore italiano masochista sostiene questa tesi, facendo riferimento alla nostra guerra di Libia contro l’impero Ottomano, alla quale erano seguite nel 1913 le guerre balcaniche che avevano senza dubbio modificato la geografia politica della regione ed ingrandito il Regno di Serbia, ritenendola prodromica alla grande guerra, ma la tesi è facilmente opponibile dal momento che senza l’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando, nessuna guerra sarebbe scoppiata in quella estate del 1914 che ancora vedeva le località termali, come Vichy dove riposava Giolitti, ed altri siti turistici pieni di esponenti politici dei più vari paesi. Per cui giustamente Giacomo Perticone, nella sua L’Italia contemporanea 1871-1948, scrive testualmente: “…l’Italia, l’unica tra le grandi potenze che avesse escluso dalla sua politica estera una soluzione del problema dell’equilibrio attraverso un conflitto armato. Gli Italiani credevano nella ragione, contro la forza. Era stata l’Italia l’unica che aveva gettato apertamente un ponte tra le due coalizioni europee, mettendole in guardia contro i facili calcoli degli stati maggiori militari. L’Italia aveva inequivocabilmente negato ogni solidarietà alla politica della sciabola guglielmina, alla politica della sacra “revanche” francese, ponendosi in questo modo fuori del circolo delle responsabilità che gravano, più o meno, sulle altre Potenze”. Giustamente quindi, rifacendosi alle clausole del Trattato, disattese dall’Austria, il governo Salandra, in carica dal 21 marzo 1914, raccogliendo quasi l’unanimità della Camera, il 2 agosto 1914 proclamava la neutralità dell’Italia, nel conflitto appena iniziato, ed il Ministro degli Esteri, il marchese Antonino di San Giuliano, in una nota successiva spiegava che essere neutrali non significava non provvedere alla tutela degli interessi nazionali, nota particolarmente importante perché proveniva da un ministro che dal 1910 dirigeva la nostra politica estera ed era quindi stato Ministro con Giolitti, nel precedente governo. In quanto Giolitti si era sì dimesso il 10 marzo 1914 per l’uscita dei radicali dalla sua maggioranza, ma aveva lui stesso indicato al Re il nome di Salandra come successore. È infatti da ricordare che già altre volte Giolitti si era ritirato dal governo, lasciando spazio temporaneo ai Fortis, ai Sonnino ed ai Luzzatti, prima di riprenderne le redini, ma questa volta il destino aveva deciso diversamente e Salandra, al governo da pochi mesi si trovò a gestire con il di San Giuliano, purtroppo già malato e che sarebbe mancato il 16 ottobre 1914, il più grave problema che l’Italia avesse dovuto affrontare e risolvere da quando era unita e con Roma Capitale. Giova qui ricordare che Antonio Salandra, 36 di origine pugliese, nato a Troia in provincia di Foggia, era uno degli esponenti principali delle “destra” liberale, ed era tra quelli che maggiormente intendevano collegarsi con i valori patriottici e risorgimentali della “Destra storica”, dei Ricasoli, Minghetti e Sella. L’ipotesi di scendere in campo con gli alleati della Triplice, se albergò in qualche vecchio Senatore, ambasciatore o addetto militare, non fu mai presa in considerazione per il noto motivo che era stata l’Austria ad aggredire la Serbia e non il contrario, per cui il problema era il mantenimento della neutralità o la entrata in guerra a fianco dell’Intesa, se non si fossero altrimenti ottenute le famose modifiche delle frontiere, rimaste tali dal 1866 e che vedevano centinaia di migliaia di Italiani, ancora sotto un governo straniero, da cui quell’irredentismo, che tenuto a freno per quarant’anni per i motivi già esposti poteva finalmente tornare ad essere l’ago della bilancia e con l’irredentismo, si muoveva l’interventismo, che aumentava di peso di giorno in giorno e nel quale confluivano le tendenze più disparate, che ci voleva a fianco della “cugina” Francia, dove già una “legione garibaldina” di volontari era accorsa, memore di quanto era già avvenuto con Garibaldi nel 1870, anche se di quell’intervento la Francia non gli era stata grata, avendo già avuto numerosi caduti tra i quali proprio i nipoti Bruno e Costante Garibaldi. Abbiamo parlato di tendenze disparate dell’interventismo, a cominciare dalla massoneria, legata particolarmente alle Logge Francesi, dai repubblicani, dove riemergeva con prepotenza la componente patriottica e risorgimentale, dai sindacalisti rivoluzionari, che più antiveggenti di altri ritenevano che dalla guerra, come poi accadde, con la scomparsa di quattro imperi, sarebbe uscito un mondo del tutto diverso da quello in essere, dai futuristi ed anche dai nazionalisti dopo una iniziale sbandata. A questi via via, specie dall’ottobre si sarebbero aggiunti anche gruppi cattolici, con personalità di spicco quale Giuseppe Donati e successivamente Filippo Meda, che divenne successivamente Ministro, ed ai primi del 1915, anche gli aderenti all’Unione Popolare dei cattolici italiani, nella loro assemblea approvavano per acclamazione un ordine del giorno che affermava la necessità della piena efficienza delle Forze Armate ed invitava i cattolici a sottoscrivere il prestito nazionale di un miliardo, che, a titolo indicativo, ma significativo, ebbe poi sottoscrizioni per 1380 milioni, ed il loro Presidente, Giuseppe della Torre affermava che la neutralità era “…condizionata dall’inviolabilità di quei diritti, di quelle aspirazioni, di quegli interessi che costituiscono il patrimonio di una Nazione che sono la vita della sua vita, la speranza di tutto il suo avvenire”. Quanto ad altri interventisti persino un famoso anarchico Enrico Malatesta proclamava che la Monarchia neutralista era condannata e da Torino, Efisio Giglio Tois, paGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 cifista, fondatore della Federazione Internazionale studentesca “Corda Fratres”, telegrafava minacciosamente al Re, “se non avesse portato l’Italia in guerra, sarebbe stato spazzato via dalla rivoluzione.” E successivamente si intimò “o guerra o repubblica”, simile anche come origine a “o la repubblica o il caos”, del 1946! Dunque il Re! fino ad ora non avevamo mai accennato al Re, Vittorio Emanuele III. Ebbene il Re era profondamente legato alla storia ed alle tradizioni della Sua Casa, e particolarmente al Risorgimento, e da bambino non voleva giuocare nel giorno dell’anniversario della tragica giornata di Novara del 1849, per cui pur mantenendo la Triplice Alleanza, aveva intensificato i rapporti personali con la Gran Bretagna, la Francia e l’Impero Russo, recandosi e ricevendo i relativi Capi di Stato, Re, Presidenti ed Imperatori, in modo che l’Italia non fosse ritenuta esclusivamente legata agli Imperi centrali, ma aperta all’amicizia ed alla collaborazione con tutte le altre maggiori potenze dell’epoca, per preservare il bene inestimabile della pace europea, pur “pensando da irredentista”, come scrissero personalità che lo avvicinarono in quegli anni. Ed a tale proposito è bene ricordarlo e ripeterlo, il prestigio internazionale del Re era tale che a Lui furono affidate da altre nazioni, arbitrati su questioni di confini, ed a Lui si rivolse un prestigioso uomo d’affari statunitense, anche se nato in Europa, David Lubin, israelita, per i problemi della agricoltura, ottenendo il Suo consenso ed il suo aiuto, che portò, il 7 giugno 1905, alla nascita dell’Istituto Internazionale dell’Agricoltura, con sede in Roma, progenitore dell’attuale FAO, che per questo motivo ha mantenuto la sua sede nella Capitale d’Italia. Il Re dunque, nel 1914, seguiva attentamente le vicende internazionali, ed aveva già dovuto prendere delle decisioni che si sarebbero rivelate fondamentali nel prosieguo del tempo, la prima con la nomina, 10 luglio 1914, di Luigi Cadorna, a Capo di Stato Maggiore Generale del Regio Esercito, essendo deceduto improvvisamente il primo luglio, Alberto Pollio, che ricopriva tale carica, e la nomina a Ministro degli Esteri, di Sidney Sonnino, uomo politico toscano, nato a Pisa, e più volte oltre che Ministro, Presidente del Consiglio, ed esponente della “destra” liberale, anche in questo caso per la morte del marchese di San Giuliano. Si afferma che entrambe queste personalità scomparse fossero “tripliciste”, ma su questo punto è bene fare chiarezza. Se la Triplice era l’alleanza ufficiale del Regno d’Italia potevano due altissimi funzionari dello stato remare “contro?”. Potevano, specie il Pollio, militare, uomo di vasta cultura storico-militare, autore di importantissimi studi su “Custoza 1866” e su “Waterloo”, progettare piani d’azione contro gli alleati, e questo anche a prescindere dal fatto del fascino che esercitava, non solamente in Italia, lo Stato Maggiore e l’esercito gerGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 manico, il primo in Europa e nel Mondo, dopo la disfatta dell’esercito francese nel 1870 e di quello russo, nella guerra russo-giapponese del 1904? Quindi che fossero “triplicisti” non era assolutamente una colpa e lo stesso Cadorna, appena insediato, pensava a progetti di appoggio, in caso di guerra, all’esercito germanico sul Reno! Quanto a di San Giuliano, oltre e dopo la nota già citata sul significato della neutralità, negli ultimi travagliati mesi della sua vita, aveva già ipotizzato e studiato il distacco dalla Triplice e l’adesione all’Intesa. Quindi la guerra dichiarata dall’Austria, modificava lo scenario, anche se come già detto l’Italia aveva scelto la neutralità, il che sul piano della guerra appena iniziata giovò alla Francia che potè così sguarnire la frontiera alpina, e ci consentiva di rivolgere l’attenzione ai problemi dell’esercito, in quel momento ridotto a poco più di 300.000 uomini, anche a causa della recente guerra di Libia, terminata nel 1912, che aveva richiesto un notevole dispendio di uomini e di materiali, e a richiamare alcune classi per portarlo lentamente a 900.000, ed infine, quando si decise l’intervento, con la relativa mobilitazione generale, alla cifra di 1.554.535 soldati. Che la giusta decisione del 2 agosto 1914, cioè, la neutralità non potesse essere definitiva fu presto evidente per il fronte “interventista”, ma era altrettanto evidente che l’eventuale passaggio dalla neutralità all’intervento, presentava sul piano diplomatico difficoltà gravissime, anche se proprio da Bismarck, molto tempo addietro, era venuta questa lapidaria affermazione che “nessun popolo, sull’altare della fedeltà ad un trattato (in altra occasione definito “chiffon du papier”) potrà mai sacrificare le ragioni della propria esistenza”. Per cui il fronte interventista si andava ulteriormente ampliando, con la svolta del socialista Mussolini, ancora direttore dell’Avanti, che nell’ottobre passa alla neutralità “attiva ed operante”, e da lì a poco all’interventismo, con la conseguente estromissione dall’Avanti ed all’espulsione, il 29 novembre, dal Partito socialista, ed alla contemporanea nascita di un nuovo giornale, da Lui diretto, Il Popolo d’Italia. Strani mesi per l’Italia quelli da agosto a dicembre 1914, quando avviene una sterzata governativa, prima con la frase del “sacro egoismo”, pronunciata da Salandra, ma particolarmente con il suo discorso, da Presidente del Consiglio, il 3 dicembre, che annuncia una “neutralità poderosamente armata e pronta”, ed i deputati della maggioranza sorgono in piedi inneggiando all’Italia ed a Trieste, atteggiamento che viene criticato da Alfredo Frassati, direttore de La Stampa di Torino, e senatore del Regno dal 1913, uno dei quotidiani più importanti e diffusi dell’epoca, decisamente neutralista, anche se di profonde convinzioni patriottiche, convinto che l’Italia non dovesse essere “rinunciataria”, ma neutrale, sfruttando questa sua neutralità in maniera dinamica ed attiva, utiliz37 zando gli strumenti diplomatici e negoziando le acquisizioni territoriali con l’Austria finché fosse possibile. Sulla sponda opposta, Il Giornale d’Italia, sonniniano e diretto da Alberto Bergamini, il Secolo, ma soprattutto l’altro maggiore quotidiano italiano, Il Corriere della sera, di Luigi Albertini, anche lui senatore del Regno, che era fautore deciso dell’intervento, ritenendo la guerra “metafora della rigenerazione morale, civile e politica del paese”, atteggiamento che avrebbe influito sulla media ed anche piccola borghesia urbana, indirizzandola verso l’intervento, e sugli studenti, da cui provennero successivamente numerosi volontari, convincendo che l’Italia, se voleva essere una potenza europea non potesse rimanere fuori dal conflitto. Lo scontro che avrebbe assunto nel successivo 1915, anche per l’intervento di Gabriele d’Annunzio, oratore principe del fronte interventista, toni sempre più aspri e violenti, favorito anche dai mesi di incertezza, come non era accaduto nel resto dell’Europa, dove la fulmineità delle decisioni governative non dettero tempo a contrasti e polemiche e quindi furono accolte con entusiasmo dalle popolazioni e dalle forze politiche, socialisti compresi, con l’eccezione della Francia, dove il leader socialista Jean Jaurès, noto antimilitarista fu ucciso il primo agosto 1914, alla vigilia della guerra, da un nazionalista. Abbiamo sottolineato il confronto ed il conflitto giornalistico esistente a livello dei maggiori quotidiani, ma anche nelle numerose riviste esistenti, nate nel primo quindicennio del secolo ventesimo, testimonianza di una notevole vivacità intellettuale e della volontà di uscire dal provincialismo della vecchia Italia preunitaria, ricordiamo Lacerba, il Leonardo, Hermes, Il Regno, ma particolarmente La Voce, fondata nel 1908 dall’allora giovanissimo Giuseppe Prezzolini (1882-1982), che si firmava Giuliano il Sofista, che nel 1914, prima di essere sostituita da La Voce politica, erano tra le voci più qualificate e documentate a favore dell’intervento, a fianco dell’Intesa. E questo non solo per il raggiungimento della completa unità nazionale e territoriale, ma, come scrisse lucidamente Gaetano Salvemini perché “la vittoria della Triplice Intesa non minaccia l’indipendenza nazionale dell’Italia né di alcun’altra nazione europea, al contrario di ciò che si deve aspettare da una vittoria austro-germanica”, e perché “L’ Italia non essendosi fatta da sola, aspetta finalmente l’atto che la dimostrerà capace di fare da sé”. Su queste riviste, è bene sottolinearlo, scrivevano giovani scrittori, poeti e letterati che coerenti parteciparono alla guerra, arruolandosi anche come “volontari”, pagando in molti casi con la vita la loro scelta e la loro passione da Giosuè Borsi ad Umberto Boccioni, Alberto Caroncini, Renato Serra, Antonio Sant’Elia, Scipio Slataper e Carlo Stuparich. Nelle decisioni che si sarebbero poi prese, argomento 38 non indifferente, anche se di minore impatto emotivo, e molto trascurato nella pubblicistica sia recente che dell’epoca, ma che doveva essere tenuto ben presente dai governanti, era quello degli approvvigionamenti di merci, anche alimentari, di materie prime e di materiali di cui l’Italia aveva assolutamente bisogno, essendone in tutto o in parte priva, approvvigionamenti che arrivavano via mare, via controllata dalla Gran Bretagna, la cui flotta era la prima del mondo, e che, pertanto, sarebbero mancati nel caso di una nostra confermata neutralità, che, a questo punto, sarebbe divenuta un vantaggio non indifferente sul piano militare per gli Imperi Centrali e quindi svantaggiosa per le Potenze dell’Intesa che ne avrebbero tratto le relative conseguenze. In ogni caso prima di svincolarci in modo civile dai residui finali della Triplice, dovevamo esperire con l’Austria, secondo l’articolo 7, del trattato, la strada dei compensi territoriali dovutici e solo la loro dimostrata impossibilità di conclusione positiva, avrebbe giustificato agli occhi di tutti, l’accordo con l’Intesa. Iniziava così il 9 dicembre 1914, come da istruzioni date da Sonnino, sull’art. 7 che, ripetiamo, imponeva l’obbligo, previ accordi, di congrui compensi per occupazioni territoriali, la lunga trattativa con il governo austroungarico, tenuta dal nostro ambasciatore a Vienna, Avarna, con contemporanea conoscenza al governo germanico, da parte dell’ambasciatore Bollati. Questa trattativa protrattasi per mesi, fino ad aprile, è documentata nel “Libro verde”, predisposto per la seduta del 20 maggio della Camera dei Deputati, dal Ministero degli Esteri, ricco di ben 77 documenti ufficiali, che dimostra la iniziale riluttanza della diplomazia austriaca a riconoscere le nostre ragioni, poi la lentezza nell’approfondire le nostre richieste territoriali, poi una loro respinsione, poi ancora una accettazione parziale e riduttiva, portando così l’Italia a stipulare il 26 aprile 1915 il “Patto di Londra” con l’Intesa, Gran Bretagna, Francia e Russia. In questa vicenda delle trattative con l’Austria, si inserisce la missione straordinaria diplomatica a Roma, che l’Impero Germanico, più lungimirante e concreto del suo alleato, affidò ad una personalità di primo piano, già Cancelliere dell’impero, il Principe di Bulow, buon conoscitore dell’Italia e della sua classe politica e governativa, oltre tutto sposato con la figlia di Donna Laura Minghetti e cognato del Senatore del Regno, il Principe di Camporeale. Il Principe di Bulow, dal suo alloggio di Villa Malta, si prodigò in quei mesi sia a convincere gli amici italiani sulla opportunità e sui vantaggi del mantenimento della neutralità, sia soprattutto a convincere Berlino, che a sua volta convincesse Vienna ad accedere a tutte le richieste italiane dal Trentino a Trieste, intervento che portò alle tardive ed ancora incomplete concessioni del 18 maggio, quando già il GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 Governo Italiano aveva provveduto il 3 maggio alla denuncia della “Triplice”. Qui giunti è necessario fare il punto sulle accuse di tradimento, cambio di fronte, disprezzo dei trattati, definiti come una “costante” della storia italiana e come tali ripetute incoscientemente anche da noi, cominciando dal Risorgimento, che portò all’Unità d’Italia, in quanto prima dello stessa vi erano gli italiani dispersi in vari stati, diversi dei quali per di più con Sovrani stranieri, ma non l’Italia. La Storia d’Italia, come disse mirabilmente Giovanni Pascoli, nel suo discorso del 9 aprile 1911 agli Allievi dell’Accademia Navale di Livorno, inizia dal 1861! In ogni caso vediamo la Prima Guerra d’Indipendenza, 1848 – 1849. Il Regno di Sardegna iniziò da solo la guerra all’Austria nel 1848 e da solo la terminò, sia pure sconfitto, nel 1849, dato che il concorso iniziale di truppe pontificie e napoletane, venne a mancare essendo state ritirate dai rispettivi governi. La seconda Guerra d’Indipendenza del 1859 vide il Regno di Sardegna alleato con l’Impero Francese di Napoleone III, ed aveva lo scopo di liberare il Lombardo-Veneto dal dominio austriaco, ma dopo la battaglia pur vittoriosa, di Solferino, Napoleone firma con Francesco Giuseppe l’armistizio di Villafranca, ritirandosi dalla guerra, senza tener conto dei patti e dell’alleanza con Vittorio Emanuele, limitando così il ricongiungimento della sola Lombardia al Regno Sardo. La terza Guerra d’Indipendenza del 1866 vede il Regno d’Italia alleato con il Regno di Prussia, ma i prussiani dopo la vittoria di Sadowa sull’esercito austriaco, ritengono raggiunti gli scopi della guerra e non tengono conto dell’alleato italiano che ottiene egualmente il Veneto, ma grazie all’intervento di Napoleone III. Nella guerra Franco-Prussiana del 1870-1871, il Regno d’Italia si mantenne neutrale non avendo né patti, né trattati con i due belligeranti, e sarà Garibaldi, libero da impegni di carattere istituzionale ad accorrere in soccorso della Francia, ottenendo a Digione, l’unica vittoria sull’esercito prussiano. Dal 1871 al 1914 l’Europa rimase in pace, Balcani esclusi, per cui non vi potevano essere cambiamenti di fronte ed il Regno d’Italia partecipò insieme con le altre potenze alle vicende di Creta e della Cina, ed alla guerra, oggetto di queste note, l’Italia partecipò dall’inizio nel 1915 alla fine nel 1918 a fianco dell’Intesa. Quindi quali cambiamenti di fronte? Ed i trattati stracciati? Ripetiamo che la Triplice era un trattato esclusivamente difensivo e prevedeva la solidarietà solo nel caso che una delle tre potenze venisse attaccata da altre potenze, ”casus foederis”, mentre nel luglio 1914 avvenne decisamente il contrario! I due imperi germanico ed austroungarico non si curarono di chiedere il parere dell’Italia, prima di gettarsi nel conflitto, forse perché ritenevano che sarebbe stato negativo, come nel 1913. AlGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 lora chi ha violato i trattati? Non certo l’Italia che cercò, nell’ambito ancora della Triplice di raggiungere i risultati territoriali che si era storicamente proposta e dopo il tergiversare dell’Austria, come già detto, prese contatto con le altre potenze, la vittoria delle quali, in quella primavera del 1915 non era poi così certa, per cui non si può dire che ci buttammo dalla parte dei vincitori! In conclusione il Patto di Londra dava al Regno d’Italia molto di più di quanto ci avrebbe riconosciuto l’Austria, cioè ci riconosceva il confine del Brennero, invece che a Salorno, confine che avrebbe ripetuto la vulnerabilità della nostra frontiera, così come era stato il confine del 1866 che vedeva l’Impero Austriaco, con il Trentino incuneato tra Lombardia e Veneto, con i conseguenti rischi che si videro nel 1916 quando l’Austria, sferrò la famosa offensiva, la spedizione punitiva, “Strafexpedition”, e l’altro confine delle Alpi Giulie, con Trieste, non più “città imperiale”, l’Istria, e poi la Dalmazia, le isole Curzolari e Zara, bloccando le pretese di ingrandimento della Serbia, dopo il 1918, divenuta Jugoslavia, che voleva raggiungere il confine dell’Isonzo, che solo la sfortunata guerra del 1940, le ha consentito di avere, escluse però Gorizia e Trieste sulle quali ancora sventola quel tricolore, che dovemmo invece ammainare a Pola, Fiume e Zara, con l’esodo di oltre trecentomila giuliano-dalmati. Ed a proposito di Fiume, che dopo la fine della guerra, nel 1919, fu motivo di scontri, e di accuse di “dimenticanza” nel Patto di Londra, è bene precisare che all’epoca del patto, che oltre tutto non prendeva in considerazione lo smembramento dell’Impero Austro-Ungarico, risultava essere maggiore desiderio dei fiumani di avere una ampia e completa autonomia, piuttosto che l’annessione all’Italia, per divenire lo sbocco commerciale di tutto il retroterra slavo. Il Patto di Londra, firmato il 26 aprile 1915, prevedeva un mese di tempo per la nostra entrata in guerra, per cui la strada dell’intervento era aperta, ma i neutralisti erano ancora numerosi, specie nel Parlamento. Fu bello ci si chiese e si chiede negoziare quasi contemporaneamente su due fronti? A questa domanda recentemente ha risposto Sergio Romano: “No, ma è impossibile negare che le concessioni degli Alleati Occidentali rispondessero maggiormente agli interessi nazionali come erano allora percepiti dalla maggioranza della classe dirigente e della società italiana“.Tornando alla Camera dei Deputati, la stessa eletta nel 1913, con le prime elezioni a suffragio quasi universale, era in maggioranza di osservanza giolittiana, e, malgrado il voto favorevole dato al governo Salandra, guardava sempre a Giolitti e specie di fronte a questo nuovo ed imprevisto problema della guerra, era neutralista perché sapevano che Giolitti sconsigliava la guerra. Ma il neutralismo di Giolitti era così assoluto? Era invece un neutralismo condizionato e ritenuto tale per via di 39 una sua famosa lettera all’amico Peano, in cui si faceva l’ipotesi, ma non la certezza, non essendo lui al governo, che si sarebbe ottenuto “parecchio” dall’Austria, senza ricorrere alle armi, perché “…io considero la guerra come una disgrazia, la quale si deve affrontare solo quando è necessario per l’onore e per i grandi interessi del paese”. Posizione perciò assolutamente diversa e contrastante con il neutralismo dei socialisti, l’unico vero ed assoluto, anche dopo le critiche mosse allo stesso da Mussolini, di cui abbiamo già parlato. Ora questa posizione, forse volutamente non capita, fece di Giolitti in quei primi mesi del 1915 il bersaglio principale degli interventisti, con definizioni volgari ed oltraggiose, con sospetti ed accuse infamanti di corruzione, con minacce all’integrità fisica della persona, che si dovette proteggere, e spiace che in questa campagna contro Giolitti si distinguesse d’Annunzio, che forse non gli perdonava la censura che aveva dovuto doverosamente adottare nel 1911, quale Presidente del Consiglio, su una sua “canzone d’oltremare”, dove veniva colpita la persona dell’allora alleato Imperatore Francesco Giuseppe. Quindi il mese di maggio del 1915 fu uno dei mesi più drammatici che avesse attraversato la storia dell’Italia unita, per un possibile conflitto tra le istituzioni dello stato e nella società civile, per cui la riapertura della Camera, prevista per il 20 del mese era attesa con un interesse, mai, forse raggiunto in precedenti occasioni. Gli interventisti avevano toccato il culmine della loro propaganda sull’opinione pubblica con i discorsi di Gabriele d’Annunzio, il 5 maggio a Quarto, per l’inaugurazione del monumento ai “Mille”, dove sarebbe dovuto intervenire anche il Re, presenza che il Governo non aveva ritenuto opportuna, per cui il Re si limitò a mandare un telegramma, il cui testo predisposto da Ferdinando Martini, era però particolarmente significativo: “Se cure dello Stato, mutando il desiderio in rammarico, mi tolgono di partecipare alla cerimonia …non si allontana…dallo scoglio di Quarto il mio pensiero. A codesta …sponda…che vide nascere chi primo vaticinò l’unità della Patria (Mazzini) e il duce dei Mille (Garibaldi) salpare…verso immortali fortune, mando il mio commosso pensiero. E con lo stesso fervore di affetti che guidò il mio grande Avo…traggo la fede nel glorioso avvenire d’Italia”, ed il successivo discorso il 16 maggio dalla ringhiera del Campidoglio. Giolitti, non era a Roma, dove giunse da Cavour, la mattina del 9 maggio, trovando i famosi trecento biglietti da visita di parlamentari suoi devoti, ed ebbe subito colloqui con Salandra, ed il successivo 10 maggio con il Re, dove spiegò il suo pensiero ed anche l’origine del suo neutralismo, che non era antipatriottismo, ma nasceva dalla sua visione, oltre modo pessimistica dell’Italia in caso di guerra, sia sul terreno militare, sia per possibili rivolgimenti in40 terni, il che è ben strano nell’uomo che tanto aveva contribuito alla crescita economica, politica e sociale dell’Italia stessa nei tredici anni dei suoi governi, e che aveva condotto positivamente la recente annessione della Libia. Di fronte a questa posizione il Governo ritenne doveroso dimettersi il successivo 13 maggio, ed il Re, nel suo abituale rispetto delle consuetudini parlamentari, iniziò con estrema urgenza le consultazioni per la soluzione della crisi, convocando per primi i Presidenti delle Camere, Manfredi e Marcora, poi Giolitti, che dichiarandosi non disponibile per costituire un nuovo governo, suggerì il nome dell’on. Carcano, e poi ancora un vecchio stimato parlamentare, Boselli, ma avendo avuto tutte risposte negative, il Re non potè che respingere le dimissioni del governo, rinviando lo stesso alle Camere. Con questa decisione, statutariamente ineccepibile, il Re, come sempre si assumeva le sue responsabilità, mentre altri sfuggivano le loro, per cui non può parlarsi, come da alcuni fu detto allora e ripetuto successivamente, di “colpo di stato”, termine assurdo se consideriamo che il Re era il Capo dello Stato. Quindi mentre Giolitti ripartiva il 17 per Cavour, il successivo 20 si apriva la Camera ed il Governo presentava un disegno di legge, di un solo articolo, che attribuiva al governo stesso, “..in caso di guerra e durante la guerra...”, poteri straordinari per agire,“...dalla difesa dello stato, dalla tutela dell’ordine pubblico, e da urgenti e straordinari bisogni della economia nazionale...”, disegno di legge che veniva approvato con 407 voti favorevoli, 74 contrari, in gran maggioranza socialisti e un astenuto, ed il 21 maggio il Senato confermava l’unanime l’approvazione da parte dei 281 senatori presenti. Così dopo dieci mesi di discussioni anche accese, di ragionevoli incertezze, di trattative necessariamente nascoste, l’Italia entrava in guerra il 24 maggio, in quella che fu anche definita “Quarta Guerra d’Indipendenza”, e sottolineo questa dizione, a dimostrazione che la nostra guerra non aveva fini imperialistici, ma quello di raggiungere i confini storico-geografici della Nazione Italiana e compiere così l’impresa del Risorgimento, per cui la formale dichiarazione di guerra, che statutariamente spettava al Re, fu inviata alla sola Austria-Ungheria, e non alla Germania, con la quale non avevamo alcun contenzioso, ed alla quale fummo costretti ad inviarla il successivo 25 agosto 1916. Il larghissimo voto favorevole della Camera e la successiva entrata in guerra, se non crearono quella “unione sacra” che sarebbe stata necessaria, perdurando l’atteggiamento negativo dei socialisti, ebbero però un riscontro positivo, anche in chi, fino ad allora aveva professato convinzioni neutraliste ed a tale riguardo ritengo particolarmente significativo citare il discorso che proprio Giolitti tenne al Consiglio Provinciale di Cuneo, di cui era Presidente, il successivo 5 luglio, che per nobiltà di termini, oggi deGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 sueti, andrebbe affisso a testimonianza di un sentire nazionale, altrettanto oggi desueto: “Quando il Re chiama il paese alle armi, la provincia di Cuneo, senza distinzioni di parti e senza riserve, è unanime nella devozione al Re, nell’appoggio incondizionato al Governo, nell’illimitata fiducia nell’esercito e nell’armata… L’impresa cui l’Italia si è accinta è ardua e richiederà gravi sacrifici, ma nessun sacrificio ci parrà troppo grave se ricorderemo sempre che dall’esito di questa guerra,... “dalla situazione politica che ci troveremo a pace conclusa, dipenderà l’avvenire dell’Italia per un lungo periodo della sua storia,” invocando infine concordia, perseveranza e la calma dei forti”. Con l’entrata in guerra, il Re, partendo per il fronte dove per quaranta mesi avrebbe seguito giornalmente e personalmente le operazioni, la cui responsabilità tecnica era demandata al Capo di Stato Maggiore, Cadorna, nominava suo Luogotenente Generale, lo zio Tommaso di Savoia, Duca di Genova, fratello della Regina Madre Margherita, onde assicurare la continuità dell’attività governativa, legislativa ed amministrativa del Regno, e con il Re, tutti gli altri componenti della Casa Savoia assumevano posti di responsabilità nella conduzione della guerra stessa, dal Duca d’Aosta, comandante della Terza Armata, al Conte di Torino, comandante dell’Arma di Cavalleria ed al Duca degli Abruzzi, comandante della Forze Navali, mentre tutti i più giovani principi dei due rami, Genova ed Aosta, partecipavano alle operazioni belliche dando prova di valore e di coraggio ed infine le Regine Elena e Margherita trasformavano in ospedali militari il palazzo del Quirinale ed il Palazzo Margherita, e la Duchessa d’Aosta, ispettrice nazionale della Croce Rossa, visitava instancabilmente gli ospedali da campo e le altre strutture sanitarie in zona di guerra. Dal Quartier Generale, il 26 maggio il Re indirizzava un proclama ai Soldati di Terra e di Mare, messaggio, che lo storico Perticone nella sua opera già citata considera in termini positivi e per il quale il periodico La Voce, che non era certo una voce cortigiana, scrisse questo commento: ”Il proclama del Re: eccellente. Tutti lo dicono. Tutti lo sentono. Breve, sobrio, efficace, senz’ira, senza vanteria. Se lo Stato Maggiore condurrà la guerra con lo stessi stile, l’Italia farà una bella figura. Ma c’è di più: il proclama del Re è una lezione di scrittura. Dovrebbe essere dato come modello ai giornalisti, agli oratori, agli studenti. Senza Dio e senza paura, proprio moderno. In questa Italia, dove non si sa far nulla senza l’aquile romane, il proclama del Re ha portato una nota simpatica e nuova.” Ed ecco il proclama: “L’ora solenne delle rivendicazioni nazionali è suonata. Seguendo l’esempio del mio grande Avo, assumo oggi il comando supremo delle Forze di Terra e di Mare, con sicura fede nella vittoria, che il vostro valore, la vostra abnegazione, la vostra disciplina sapranno conseguire. Il nemico che vi accingete a comGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 battere è agguerrito e degno di voi. Favorito dal terreno e dai sapienti apprestamenti dell’arte, egli opporrà tenace resistenza, ma il vostro indomito slancio saprà di certo superarlo. Soldati, a voi la gloria di piantare il Tricolore d’Italia sui terreni sacri che Natura pose a confine della Patria Nostra; a voi la gloria di compiere finalmente, l’opera con tanto eroismo iniziata dai nostri Padri”. Bibliografia: 1) Antonio Salandra: La neutralità italiana - Collezione italiana diari etc. diretta da Angelo Gatti.Edizioni Mondadori - 1928 2) Antonio Salandra: L’intervento - 1915 - Collezione italiana diari etc. diretta da Angelo Gatti- Edizioni Mondadori – 1930 3) Amedeo Tosti: Storia della Guerra della Guerra Mondiale vol.2 (volume primo) - Edizioni Mondadori – 1937 4) Gian Dauli: L’Italia nella Grande Guerra – Edizioni Aurora – Milano - 1935 5) Giacomo Perticone: L’Italia contemporanea – 1871 - 1948 dalla Storia d’Italia illustrata vol. 8. Edizioni Mondadori - 1962 6) Gioacchino Volpe: L’Italia Moderna vol. 3 (volume terzo dal 1900 al 1915). Editore Sansoni – 1952 (l’opera è stata ristampata con prefazione del prof. Francesco Perfetti) 7) Indro Montanelli: L’Italia di Giolitti – editore Rizzoli 1974 8) Aldo A. Mola: Giolitti – lo statista della nuova Italia. Collana “Le Scie”- Edizioni Mondadori - 2003 9) Documenti diplomatici presentati al Parlamento Italiano dal Ministro degli affari esteri - Roma Tipografia Editrice Nazionale - 1915 10) Alberto Pollio: Custoza - 1866 edizione della Libreria dello Stato – Roma - 1935 IV edizione 11) Domenico Fisichella: Dal risorgimento al fascismo editore Carocci - 2012 Nota sui Principi di Casa Savoia dei Rami Aosta e Genova impegnati al fronte, Amedeo – n. 1898 – Duca delle Puglie - volontario - artiglieria da campagna – una medaglia di bronzo e due di argento (duca d’Aosta dopo la morte del Padre, Emanuele Filiberto) Aimone - n. 1900 – Duca di Spoleto – guardiamarina, poi capo squadriglia idrovolanti – due medaglie di bronzo ed una di argento (Duca d’Aosta dopo la morte del fratello Amedeo) Umberto – n. 1889 – m.1918 – Conte di Salemi - tenente, due medaglie d’argento Ferdinando – n.1884 – Principe di Udine – tenente di vascello – due medaglie di argento (Duca di Genova dopo la morte del padre Tommaso) Filiberto – n. 1895 - Duca di Pistoia - ufficiale di cavalleria – una medaglia di bronzo Adalberto - 1898 – Duca di Bergamo – ufficiale di cavalleria nei Lancieri di Novara. 41 LIBRI CESARE MARIA DE VECCHI DI VAL CISMON: il quadrumviro scomodo di Domenico Giglio “Onora il padre…”, è il quarto Comandamento che Mosè, portò giù dal Sinai, che mi è venuto spontaneo alla mente, incominciando a leggere il volume “Diari 1947 – 1949 “ di Giorgio De Vecchi di Val Cismon, pubblicato da “Editrice Dedalo Roma – Euro 18,00”, nell’anno 2014, ad opera dei figli di Giorgio, Cesare, Paolo (mancato anni or sono) e Vittorio, perché pubblicandolo hanno reso onore all’azione svolta dal padre Giorgio, che a sua volta, come si evince dai Diari, con l’opera appassionata svolta in difesa di suo Padre Cesare, aveva onorato il comandamento divino. I Diari, relativi agli anni 1947, 1948 e 1949, oltre che delle vicende economiche della famiglia De Vecchi, e della vita quotidiana che la famiglia svolgeva tra Torino e Roma in quel periodo, testimoniano le faticose ricerche da parte di Giorgio, di documenti, di testimonianze, gli incontri con quanti avevano conosciuto e collaborato con il padre Cesare Maria, auto-esiliato in Argentina, che doveva difendersi di fronte alla Corte d’Assise Speciale di Roma, per i cosiddetti “delitti fascisti”, di cui era accusato secondo il D. L. Lt. 27/7/1944, n.159, dimenticando il ruolo da Lui svolto il 25 luglio 1943 e dopo l’8 settembre, non aderendo alla repubblica sociale e partecipando alla Resistenza, accuse che grazie appunto all’imponente massa di prove e testimonianze favorevoli raccolte dal figlio, portarono alla sentenza praticamente assolutoria del 14 novembre 1947, confermata dalla Corte Suprema di Cassazione il 16 giugno 1949, che consentirono finalmente il ritorno in Italia di Cesare De Vecchi, il 10 luglio 1949. Quanto poi all’altra accusa rivolta a Cesare De Vecchi dei “profitti di regime”, anche qui la minuziosa analisi svolta dal figlio Giorgio, risalendo addirittura ai Nonni, esemplare per chiarezza e precisione doveva portare al totale ridimensionamento delle richieste fameliche del Fisco. 42 Il volume è poi ricco oltre che di note storiche, di interessanti allegati, particolarmente la memoria difensiva predisposta dall’avvocato Manassero, di particolare importanza oltre che per la parte storico-politica, per la parte giuridica, nella quale si smontano pezzo per pezzo, articolo per articolo, le accuse rivolte a De Vecchi, rifacendosi alla giurisprudenza che si veniva formando in quegli anni, dopo i tormentati processi del biennio 1944-1945, dimostrando la rinnovata, allora, “apartiticità” e “apoliticità “della Magistratura italiana. Con questa pubblicazione viene così a riempirsi un vuoto storico nei confronti di questo valoroso soldato, fedele al Re ed alla Patria, al di là ed al di sopra della scelta politica da lui fatta nel 1921, spintovi dal biennio “rosso”, 1919-1921, che troppi oggi dimenticano, riscattata in ogni caso con il voto a favore dell’ordine del giorno Grandi, il 25 luglio 1943, voto per il quale era stato condannato a morte, fortunatamente in contumacia, dal Tribunale Speciale della repubblica sociale, in quel processo di Verona, che aveva disonorato la nostra millenaria civiltà giuridica, condannando coloro che, in una libera votazione, su di un documento conosciuto in precedenza da chi poi lo pose regolarmente ai voti, avevano espresso una altrettanto libera volontà di pacifico cambiamento in quella tragica estate del 1943. La Guardia d’Onore Giuseppe Melloni di Rovigo ha curato la realizzazione di un volume fotografico sul gemellaggio tra le delegazioni di Rovigo ed Aosta. L’evento, di cui abbiamo dato notizia nella rubrica “Cronaca delle delegazioni”, si è svolto nei giorni 25 e 26 ottobre 2014, con la visita di alcuni GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 dei luoghi più suggestivi della Val d’Aosta; ora l’intento è quello di far svolgere un evento analogo nell’anno corrente, con la visita dei soci valdostani a Rovigo. Le Edizioni Tigulliana di Santa Margherita Ligure (GE) hanno pubblicato il volume Pianeta Donna 2014, raccolta antologica a cura di Marco Delpino e Francesca Laganà, contenente due profili biografici di cui è autrice la prof.ssa Raffaella Saponaro Monti-Bragadin, delegata dell’Istituto di Genova, dedicati a Maria Cristina di Savoia, la reginella santa e alla Regina Margherita. LE VIE DI SABAUDIA DEDICATE AI SAVOIA IN UN BEL LIBRO DI FRANCO BRUGNOLA di Pietro Grassi Il 18 dicembre 1932, in occasione della inaugurazione del capoluogo delle nuove terre prosciugate dell’agro pontino (Littoria, ora Latina), il Capo del governo Benito Mussolini così definì i nuovi impegni che avrebbero portato a compimento la grande opera di bonifica: “Il 28 ottobre si inaugureranno altre 981 case coloniche; il 21 aprile 1934 si inaugurerà il nuovo comune di Sabaudia” lasciando interdetti i responsabili dei lavori, che disponevano di soli 16 mesi per quella realizzazione, anch’essa diretta dal Commissario del governo per l’Opera Nazionale Combattenti (O. N. C.), il Conte Valentino Orsolini Cencelli. Si tralasciano i tanti, interessanti e a volte incredibili particolari che caratterizzarono l’edificazione della nuova città, limitandoci a sottolineare che essa fu coGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 struita in soli 253 giorni: posa della prima pietra il 5 agosto 1933 ad opera di Benito Mussolini “nella terra ancora intrisa nell’acqua della palude” e inaugurazione il 15 aprile 1934 da parte dei Sovrani Vittorio Emanuele III e Regina Elena poiché il nome della nuova città, stabilito con decreto ministeriale del 22 luglio 1933, fu coniato per onorare la Dinastia dei Savoia così come recita l’aulica epigrafe scolpita sulla torre civica: REGNANDO VITTORIO EMANUELE III – BENITO MUSSOLINI CAPO DEL GOVERNO PRESSO LE VESTIGIA DI REMOTE CIVILTÀ – DIEDE VITA A SABAUDIA – CHE PORTA NEL NOME GLI AUSPICI DELL’AUGUSTA DINASTIA REGNANTE. Lo scorso anno la splendida cittadina pontina sita in riva al mare, ai piedi del Circeo e al centro del Parco nazionale omonimo in un ambiente naturale talmente peculiare da essere stato dichiarato di recente dall’UNESCO “patrimonio dell’umanità”, ha celebrato l’ottantesimo anniversario della fondazione (1934 – 2014).Vi sono state molte manifestazioni; il 15 aprile, data della sua nascita, è stato particolarmente fitto di avvenimenti: Consiglio comunale straordinario, sfilata lungo le strade della città presente il ministro dei Trasporti e Infrastrutture, mostra “Come eravamo” sulla vita dei cittadini nel corso degli ottant’anni e concessione della cittadinanza onoraria a Vittorio Storaro, amante del luogo e vincitore di ben 3 premi Oscar quale tecnico delle luci. Ma l’azione più meritevole per la ricorrenza va attribuita a mio avviso a Franco Brugnola, che ha pubblicato di sua iniziativa il volume Il «chi è» delle strade di Sabaudia incentrato sulla “odonomastica sabaudiana” che va oltre la semplice toponomastica cittadina in quanto sublimata da un puntuale studio storico-linguistico sui nomi che indicano le vie cittadine (ed. APS – Gruppo Editoriale L’Espresso, euro 18,00 – sito: ilmiolibro.it). Poiché il nome di Sabaudia, come detto, fu stabilito in omaggio ai Savoia, il volume si apre con gli odonimi della Dinastia: ben 29 personaggi storici ad iniziare dal fondatore Umberto Biancamano dalla cui via, non a caso, si accede alla città e che si tramuta, alle prime case, in corso Vittorio Emanuele II, Padre della Patria e protagonista dell’unificazione nazionale. Prima di accedere alla piazza del Comune, al cospetto della bianca torre civica, detta via incrocia la seconda grande arteria trasversale, il corso Vittorio Emanuele III che onora il Regnante dell’epoca. A seguire le altre strade con i nomi dei protagonisti della 43 Casa; l’Autore ha stilato per ognuno dei profili sintetici, scorrevoli che ben illustrano la storia millenaria dei Savoia attraverso i suoi protagonisti. Opera meritoria, in contrasto con un diffuso senso di sufficienza se non di fastidio verso i Savoia per via della “damnatio memoriae”, non ricordando che quella Dinastia ha fatto l’Italia e che, dall’anno Mille, essa fu protagonista dell’intera storia europea. Per il lettore il libro di Brugnola costituisce un gradevole, utile ”prontuario” per la conoscenza dei Savoia attraverso i nomi che ne indicano le vie. Unico rilievo, per altro suscettibile di eventuale rettifica nelle prossime edizioni: l’assenza di una figura centrale come quella di Vittorio Amedeo II che elevò il Ducato a Regno nel 1713 (trattato di Utrecht), anche se a ciò indotto, forse, da una “svista” dei quattro urbanisti vincitori del concorso che stilarono la pianta della città (gruppo Cancellotti, Montuori, Piccinato, Scalpelli). Dopo aver trattato i Savoia, l’Autore completa l’opera curando altri interessanti “profili”: gli urbanisti, i santi, le lestre e gli antichi mestieri, personaggi storici e tanti altri argomenti riferiti a questi luoghi incantevoli che, dalla preistoria, non hanno perso il loro fascino. Un plauso a Franco Brugnola e un grazie da parte di chi scrive, che nel 1971 stilò una tesi su Sabaudia, che fu il primo studio organico sulla cittadina e il suo territorio. Ci si augura, infine, che nelle prossime edizioni il volume possa essere corredato da una piantina toponomastica che consenta al lettore di meglio rendersi conto dello sviluppo viario cittadino, apprezzandone ancor più il messaggio storico. TUITIO FIDEI ET OBSEQUIUM PAUPERUM di Marco Letta Anno 1048, Gerusalemme. Qui, in un contesto di continui scontri tra cristiani e musulmani, Frà Gerardo fondò quello che, nel corso dei secoli, sarebbe divenuto il Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta stabilendone, fin da subito, i due carismi fonda44 mentali cristallizzati nel motto Tuitio fidei et obsequium pauperum. L'Ordine, crescendo per importanza e numero dei propri membri, aumentando le proprie ricchezze e i propri possedimenti, moltiplicando i propri ospedali nei quali forniva una eccelsa assistenza a tutti i bisognosi, destreggiandosi nelle alleanze tra i diversi regnanti europei, svolgendo un importantissimo ruolo militare nelle diverse battaglie terrestri e marine tra cristiani e musulmani, trovandosi a mutare diverse volte la propria sede a causa degli eventi politici e militari susseguitesi, mantenendo sempre uno speciale rapporto con la chiesa cattolica, è riuscito a sopravvivere a tutte le vicissitudini e a diventare, oggi, con le sue strutture e organizzazioni e forte del suo ruolo internazionale, un fondamentale protagonista nelle opere umanitarie di soccorso e assistenza che si svolgono in tutti gli scenari mondiali, non solo nei paesi poveri ma anche in quelli più sviluppati, in cui vi siano persone bisognose colpite da fame, malattie, guerre, catastrofi naturali, emarginazione e delle quali, talvolta, il resto della comunità mondiale sembra dimenticarsi o non volersi occupare. Menotti Garibaldi fu il primogenito di Giuseppe e Anita. Nato in Brasile nel 1840, partecipò dal 1859 al 1871 a tutte le campagne militari del padre, compresa la Spedizione dei Mille. Si distinse in particolare a Bezzecca, nel 1866, dove meritò una medaglia d’oro. Negli anni Settanta divenne deputato del collegio di Velletri, carica che ricoprì per un ventennio, battendosi sempre per il miglioramento delle condizioni dell’Agro Romano e dei suoi abitanti. Divenne imprenditore agricolo di una vasta area nella zona veliterna, trasformando il piccolo centro campestre di Carano in un borgo rurale attivo e importante, provvisto di telegrafo, scuola e stazione sanitaria. La sua incessante attività di bonificatore lo portò ad ammalarsi e a morire, nel 1903, sconfitto dalla malaria. GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 Una figura fra le più romantiche del mondo garibaldino e certamente un “degno figlio di tanto padre”. Il volume ha il patrocinio dell’Istituto. L’autore, Marco Formato, è Guardia d’Onore. Nato a Parma nel 1983, è laureato in “Arte, spettacolo, immagine multimediale” (Università di Parma). Vicepresidente del Circolo Culturale “Filippo Corridoni” e vicesegretario del comitato parmense dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, da anni svolge l’attività di organizzatore di spettacoli ed eventi culturali in tutta Italia. Collabora saltuariamente con la Gazzetta di Parma. MONOGRAFIA SULLA CAVALLERIA La Guardia d’Onore di Varese, membro della Consulta dei Senatori del Regno, avv. Santino Giorgio Slongo, è autore di un opuscolo dal titolo: “ La cavalleria: cenni storici. L’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro”. NOTE LIETE Il 17 febbraio 2015 è nata Stella, figlia della Guardia d’Onore Marco Di Conza. NECROLOGI BIANCULLI Victor Josè – Buenos Aires (Argentina) – socio n° 23004 iscritto dal 25 giugno 2013 CARLETTI Marco P. – Carrara (MS) – socio n° 19241 iscritto dal 2 dicembre 2005 MARLETTA Agatino P. P. – Novara – socio n° 23067 iscritto dal 13 settembre 2013 GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 45 NUOVI ISCRITTI NUMERO COGNOME E NOME GRADO MILITARE PROFESSIONE CITTÀ NASC. 23.451 MALAFRONTE Massimo Luogotenente Sottufficiale Guarda di Finanza 23.452 BIASCO Emanuele Carabiniere scelto Graduato dei Carabinieri Specchia (LE) 23.453 ZANINELLI Giusy Imprenditrice Brescia 23.454 MARTINICO Giuseppe Commerciante Brescia 1957 23.455 SERRATORE Michele A. Sottufficiale dei Carabinieri Cerreto Guidi (FI) 1962 23.456 TROVATO Giuseppe Dottore commercialista Messina 1969 23.457 SANNA Luis Fernando Carabiniere scelto Graduato dei Carabinieri Tortona (AL) 1983 23.458 MARCHIONI Felice Caporalmaggiore Agente immobiliare Rieti 1966 23.459 CAMAGNA Matteo Studente Balzola (AL) 1987 23.460 DE LELLIS Orazio Capitano medico Medico chirurgo Roma 1958 23.461 ASCARI Renato Sergente degli alpini Consulente finanziario Asti 1966 23.462 CALIENDO Mauro Avvocato San Damiano (AT) 1973 23.463 CERMELJ Paolo Ingegnere Roma 1945 23.464 ZEILSTRA Ijtsen Imprenditore Anversa (BELGIO) 1931 23.465 van ZWET Peter Willem Imprenditore S. Gravenhage (OLANDA) 1956 23.466 DIGIORGIO Giampaolo Capitano di Corvetta Pensionato Viareggio (LU) 1952 23.467 FRESCHI Alessandro Tenente Perito navale Viareggio (LU) 1973 23.468 ELEFANTI Andrea Carabiniere Guardia del corpo Parma 1961 23.469 LAGANÀ Michele Paracadutista Imprenditore Misano Adriatico (RN) 1955 23.470 TJAPKES Manfred Wilhelm Capitano dei Granatieri Consulente Groningen (OLANDA) 1968 23.471 ARNONE Ida 23.472 BUSCEMI Giuseppe 23.473 Luogotenente Scafati (SA) 1960 1981 Docente di lettere a riposo Sciacca (AG) Avvocato Menfi (AG) 1969 CUSUMANO Santo Libero professionista Menfi (AG) 1969 23.474 ELLERA Angela Casalinga Naro (AG) 23.475 PALMINTERI Antonio Impiegato Menfi (AG) 1979 23.476 URICOLO Vincenzo Nicola Imprenditore S. Margherita di B. (AG) 1963 46 Nocchiere di porto Caporale scelto istruttore GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 OGGETTISTICA Fascia da Braccio Foulard Cravatta sociale Cravatta Marinella Dist. commemorativo per il trentennale della morte del Re Umberto II Distintivo G. d’O. Scelta € 20,00 € 30,00 € 30,00 € 100,00 € 30,00 € 20,00 Distintivo Ispettore Distintivo G. d’O. Scelta Ispettore Distintivo G. d’O. Medaglia al Merito di Servizio grande Medaglia al Merito di Servizio piccola Gemelli € 20,00 € 20,00 € 10,00 € 50,00 € 30,00 € 30,00 Barrette di riconferma perla Medaglia al Merito di Servizio piccola Calendario 2014 € 20,00 € 10,00 Centenario morte V.E. II € 30,00 Calendario 2015 Volume “Morire a Napoli” Volume “Storia e ruolo della Guardia d’Onore” € 10,00 € 10,00 € 15,00 DISTINTIVI COMMEMORATIVI Quarantennale Quarantennale Scudetto di stoffa morte V.E. III morte V.E. III € 30,00 CD AUDIO "Alle radici della millenaria Casa Savoia" € 10,00 Medaglia Regina Elena Fregio in materiale plastico € 30,00 € 10,00 € 20,00 € 5,00 Fregio da basco Crest € 15,00 € 35,00 Scudetto ricamato Bandiera (in imitolana) Adesivo tricolore Distintivo Ispettore riconfermato (più di una conferma) € 25,00 € 50,00 € 2,00 € 20,00 Sotto ciascun oggetto sono indicate le offerte minime per la cessione dei gadget sopraelencati. La cessione può essere effettuata soltanto ai soci. Gli oggetti sono disponibili presso l'Istituto; in caso di spedizione occorrerà aggiungere € 5 per le spese postali. Per verificare l’effettiva disponibilità dei singoli articoli, consultare la sezione “Oggettistica” del nostro sito internet www.guardiadonorealpantheon.it GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 47 48 GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015 MONTE NERO Spunta l’alba del sedici giugno – comincia il fuoco l’artiglieria il terzo alpin è sulla via – monte nero a conquistar. Arrivati a trenta metri – dal costone trincerato con un assalto disperato – il nemico fu prigionier monte nero monte nero – traditore della vita mia, ho lasciato la casa mia – per venirti a conquistar. E per venirti a conquistare – abbiam perduto molti compagni tutti giovani sui vent’anni – la lor vita non torna più. Il Colonnello che piangeva – al veder tanto macello fatti coraggio alpino bello – ché l’onore sarà per te ma Francesco imperatore – sugli alpini mise la taglia egli premia con la medaglia – e trecento corone d’or a chi porta un prigioniero – di quest’arma valorosa che con forza baldanzosa – fa sgomenti i suoi solda’. Ma l’alpino non è vile – tal da darsi prigioniero. Preferisce di morire – che di darsi prigioniero. Bell’Italia, devi esser fiera – dei tuoi baldi e forti alpini che ti danno i tuoi confini – ricacciando lo stranier. O Italia, vai gloriosa – di quest’arma valorosa che combatte senza posa – per la gloria e la libertà. Antonio Salandra, Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d’Italia nel 1915