Saluto dell’Arciprete
Un gioioso saluto ai regalbutesi e a quanti in occasione
della festa di San Vito, Patrono di Regalbuto, ci daranno di
sperimentare la ricchezza della loro presenza in mezzo a noi.
Un particolare caloroso benvenuto agli emigrati che
faranno ritorno al luogo nativo per condividere la gioia di un
abbraccio con i lori cari e rinnovare la propria fede a Dio e la
loro devozione a San Vito.
Negli ultimi tempi e con intensità crescente, la “crisi”
polarizza la nostra attenzione e le nostre preoccupazioni. Una
crisi che investe tutti gli ambiti della vita umana: da quello
economico, politico e sociale, a quello morale e religioso.
Guardandoci attorno si avvertono distintamente due modi di
reagire davanti alle sfide che ci vengono da questa difficile
situazione. In primo luogo, un atteggiamento di chiusura
egoistica - ognuno pensa a salvare se stesso - che in verità è
molto diffuso e sembra predominare, oppure, in alternativa, un
tentativo di solidarietà che dovrebbe permettere di uscire dalla
Foto di Prospero Trovato
precarietà dove ci troviamo. Se dovesse prevalere il primo
approccio sarebbe veramente la fine. Come è possibile pensare di abbellire il proprio appartamento
quando il palazzo dove è collocato sta per crollare? La risposta più giusta in un tempo di crisi non è
quella dell’individualismo, dell’utilitarismo (pensare solo a se stessi e perseguire solamente il proprio
utile a discapito di tutto il resto…), ma quella che ci vede impegnati in un recupero serio della
dimensione comunitaria in cui ognuno di noi è nato e vive.
L’uomo è un essere sociale, relazionale, che non può non vivere in una dimensione comunitaria. Ogni tendenza individualista è assolutamente devastante per se stessi e per l’intera società. Bisogna
che ritroviamo la forza necessaria per recuperare il senso comunitario, per impegnarci a mettere in
sinergia le risorse umane di ogni tipo così da reperire soluzioni nuove che il tempo di crisi ci impone
di trovare, per ricreare quel contesto vitale, comunitario appunto, in cui ognuno trova accoglienza,
solidarietà, amore, in cui sperimenta che di fronte alle difficoltà non si è da soli.
La festa del patrono ci aiuta a ritrovare le energie positive che ognuno di noi possiede,
ricordandoci che siamo una comunità, la cui grande storia affonda le radici nei millenni; che in mezzo
a noi ci sono le testimonianze di un passato glorioso sotto tutti gli aspetti (religioso, sociale, culturale,
politico, economico) che ha permesso a Regalbuto di attraversare i secoli e a noi di essere nati. Bisogna
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ritrovare la gioia dell’appartenenza alla nostra comunità, amare il proprio paese, conoscere e
valorizzare le proprie origini, rinvigorire le radici della fede cristiana che per Regalbuto è stato il
collante della sua unità e il motivo propulsore della sua crescita nel tempo. Bisogna che fioriscano animi
del calibro di Don Giuseppe Campione che è stato veramente un “campione” nella dedizione e
nell’impegno per la crescita della sua comunità. Non esagero nel dire che in lui Regalbuto ha avuto il
suo “Luigi Sturzo”.
È questo l’augurio che intendo rivolgere a tutti e ad ognuno. Ritroviamo uno spiccato senso di
responsabilità nell’affrontare la vita e le sfide di ogni giorno, disposti ad agire insieme, ad unire gli
sforzi, come una vera comunità. Bisogna cercare idee nuove che diventino progetti nuovi; aprire il cuore
alle necessità altrui perchè nessuno abbia a soffrire indigenza e privazioni di beni primari. Chiedo a
tutti di non vivere secondo la logica del profitto a scapito dei diritti fondamentali, questa logica crea
gravi ingiustizie e disuguaglianze sociali. La crisi economica non deve essere un alibi per tagliare
stipendi, posti di lavoro, creare precarietà e neanche la scusante per far crescere l’assistenzialismo e la
disaffezione al lavoro. Torniamo ad amare il nostro paese, la sua storia, la sua copiosa arte, perché
tutta la ricchezza che ci circonda - anche se in grande quantità è andata perduta - rappresenta ancora un notevole patrimonio che va ricuperato urgentemente, per scongiurare il rischio di una ulteriore
notevole perdita e per farlo diventare uno dei possibili motori dello sviluppo economico e culturale di
Regalbuto. Ritorniamo a considerare le ricchezze della nostre terre troppo presto abbandonate anche
a causa di una politica poco lungimirante che ha distrutto una delle grandi risorse della Sicilia,
l’agricoltura; consideriamo le potenzialità dei nostri artigiani, dei piccoli e medi imprenditori, dei
professionisti e la ricchezza ancora tutta da scoprire dei nostri giovani che vanno sostenuti, spronati,
perché emergano le loro potenzialità e le loro capacità. Non si può pensare ad un avvenire migliore
se non si coinvolge il mondo giovanile rendendolo protagonista del suo avvenire.
Affidiamo questi desideri al nostro patrono San Vito, esempio di totale dedizione a Dio e ai
fratelli, martire della fede cristiana. Ancora oggi la sua vita ci dice che è possibile realizzare gli ideali
della fede che inducono ogni uomo che crede ad un impegno responsabile, fedele e creativo.
A tutti il mio saluto e l’impegno a ricordarvi durante la celebrazione dell’Eucaristia.
L’ARCIPRETE
Sac. Alessandro Magno
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Le feste patronali
nella Sicilia Etnea
Can. Don Gaetano Pulvirenti
Non c’è paese, villaggio o città in Sicilia che non abbia la sua
festa che rappresenta in qualche modo l’identità stessa di un popolo,
quasi l’approdo sicuro e rassicurante in mezzo alle situazioni spesso
alienanti della vita. Il bisogno di protezione e di sostegno per superare le difficoltà e i pericoli ha costituito una costante nella vita del
popolo siciliano e risale alla notte dei tempi. Prima dell’avvento del
cristianesimo gli stessi culti pagani prevedevano una “devozione” alle
divinità dalle forme e dai ritmi non dissimili da quelle delle odierne
feste popolari. «Ogni festa religiosa, ogni periodo liturgico,
consistono nella riattualizzazione di un evento sacro avvenuto in un
passato mitico, al “principio”. […] Ad ogni festa periodica, ritroviamo
lo stesso tempo sacro, lo stesso di cui la festa dell’anno precedente, o
di un secolo prima» (Eliade). In tal modo il popolo siciliano ha potuto
resistere alle decine di cambiamenti politici, sociali e culturali che ha
dovuto subire nella sua storia, essendo sempre stata considerata terra
di conquista e avamposto imprescindibile di chi vuol detenere un
potere. La festa così diventa un’esigenza vitale, un modo per ritrovarsi e non disperdersi, luogo di condivisione di valori che altrimenti
andrebbero irrimediabilmente perduti in nome del potere e del
progresso. L’attaccamento alla Terra, la “dea madre” primordiale,
rimane così immutata fino ad oggi passando in epoca greca attraverso
il culto di Demetra e in epoca cristiana attraverso il culto alla vergine
Maria; culto così vivo ed ardente da far dire nei secoli passati che la
Sicilia fosse il “feudo di Maria”.
Così nonostante che le varie dominazioni succedutesi
nell’isola limitarono spesso il culto dei santi e dei martiri, tuttavia il
popolo seppe conservare viva la propria fede che riesplose al momento opportuno, soprattutto nel periodo normanno che incrementò
notevolmente il culto cristiano con la costruzione di nuove chiese e
cattedrali. Lo sviluppo economico che ne derivò fece sì che il culto nei
confronti dei santi patroni subisse un influsso notevole, specie nei
secoli successivi. Fu particolarmente nel XVIII secolo che le feste
popolari in onore dei santi patroni si definiscono in forme
cristallizzate da un cerimoniale rigido che si ripetono
pedissequamente di anno in anno e che sono in genere uguali in tutta
l’isola.
11 Agosto 1984
Le caratteristiche delle
feste patronali
Le feste della Sicilia etnea prendono le mosse da due dati
fondamentali. Il primo riguarda la tipologia della festa. Il sociologo siciliano Basilio Randazzo nel suo saggio intitolato “Sicilianità”
distingue due tipologie di feste nell’isola: la tipologia latina e la
tipologia greca. La tipologia latina entra in Sicilia con la conquista
normanna. Si tratta di una festa che si concentra in un solo giorno
e che vede due distinti momenti: quello liturgico la mattina e
quello processionale nel pomeriggio che spesso si prolunga per
tutta la sera e sovente anche per parte o per tutta la notte. I fuochi
d’artificio in questa tipologia di festa non sono in genere durante
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la processione, ma concentrate alla fine della festa e in
genere a chiusura. Si evince in questa tipologia di festa
una vera dicotomia tra la realtà ufficiale (quella liturgica del clero) e la realtà riservata al popolo. Dette processioni, quando sono lunghe ed importanti, hanno infatti inizio a partire da mezzogiorno o meglio dalle tredici
perché fuori dalle celebrazioni delle messe che prima del
Concilio Vaticano II venivano celebrate esclusivamente
la mattina. In genere questa è la tipologia di festa della
Sicilia occidentale. La tipologia greca è, invece, in
qualche modo quella endemica dell’isola ed è costituita
da tre giorni di festa: la vigilia, il giorno della solennità,
e il giorno successivo denominato in genere giorno del
“ringraziamento” o della “devozione cittadina”. L’idea
fondamentale è infatti quella di vedere nell’insieme dei
tre giorni una sorta di parabola che ha il suo culmine
intorno al mezzogiorno del giorno di mezzo. In genere
quell’ora risponde infatti al momento topico della festa
che può coincidere con l’”uscita” del santo dalla chiesa o,
come nel caso di sant’Agata, col momento del ricordo
del martirio (la sosta a piazza Stesicoro). Anche la
segregazione del simulacro dei santi è tipica della
teologia orientale, evidente nel culto delle icone e della
loro esposizione durante la festa. In questa tipologia di
festa risulta meno marcata la spaccatura clero-popolo.
La festa di sant’Agata è diventata il prototipo delle feste
della Sicilia etnea dettandone i momenti topici.
Un momento della processione dell’alloro - 1984
Particolarità delle feste patronali etnee
Individuiamo adesso quelle realtà che accomunano le feste patronali dell’aria etnea tra loro facendo emergere da ciascun elemento
i tratti antropologici e teologici.
I devoti (portatori) - Il trasporto del fercolo processionale è da sempre stato affidato a coloro che in tal modo rendevano grazie al
santo a cui si rivolgevano per grazia ricevuta o da ricevere. Per questo costoro dovevano essere riconosciuti in mezzo alla folla da tutti gli
altri devoti e dalla folla intervenuta alla festa. Nella Sicilia etnea in genere il devoto portatore del fercolo veniva denominato “nuru” (nudo).
Il suo abbigliamento infatti consisteva nel vestire il sacco penitenziale sotto il quale non si indossava nulla o solo un perizoma; e si procedeva a piedi scalzi. C’è infine da chiedersi del perché in tutte queste feste il devoto portatore debba partecipare alla festa fino allo sfinimento
fisico. Le classi sociali da cui soprattutto in passato provenivano detti devoti suggerisce il fatto che costoro dal punto di vista materiale erano
possessori di due sole realtà: i figli e la propria forza lavoro. Ambedue in qualche modo venivano poste a disposizione del santo a cui si doveva gratitudine e per tutta la vita: i figli, perché spesso il voto con relativo posto sotto il fercolo (vero e proprio privilegio) veniva trasmesso
al maggiore dei maschi; e la forza delle braccia per compensare in qualche modo lo sforzo “soprannaturale” del santo.
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Gli ex voto - Non c’è santo che nella
Sicilia etnea come nelle altre parti dell’isola non
si presenti coperto di gioielli più o meno storici e
preziosi. E’ frutto della devozione al femminile in
quanto le donne erano escluse dal trasporto del
fercolo e l’unico modo per mostrare gratitudine
con tanto di sacrificio personale era spogliarsi di
quei pochi oggetti d’oro che costituivano i doni
del periodo del fidanzamento. Un gesto, questo,
che comunque è da attribuirsi originariamente
alle classi abbienti così come ci viene
testimoniato dai cosiddetti tesori dei santi
patroni. E’ quindi come imitazione dei notabili
della città che il popolo si accoda alla tradizione
di dare qualcosa di prezioso ai santi patroni con
la differenza che mentre le classi abbienti davano
qualcosa del loro ingente patrimonio in genere la
donna del popolo si spogliava di tutto e spesso le
ultime cose (fede nuziale e orecchini) li toglieva
Il Canonico Pulvirenti benedice i pellegrini dell’alloro - 2008
proprio il giorno della festa davanti al simulacro
del santo. In tal modo si affidava, anche dal punto di vista economico, al patrono, emblema di quella provvidenza che il Cristo assicura nel
suo vangelo a coloro che mettono davanti a tutto il Regno di Dio.
L’apertura del cappella o svelata - Per chi ha una certa familiarità con le feste patronali sa che la notte della vigilia è, proprio come
dice l’origine della parola stessa, notte di veglia. Tradizione questa certo mutuata dalla liturgia cristiana stessa che, soprattutto nell’antichità paleocristiana, celebrava di notte i misteri di Cristo, di cui conserviamo solo un residuo nella veglia di Pasqua, che la Chiesa chiama la
madre di tutte le veglie, e la messa di mezzanotte a Natale. Si veglia perché si contano le ore che separano dal grande evento in cui finalmente, dopo un anno di assenza, il simulacro farà ritorno tra i suoi devoti. E’ probabile che l’incontro con l’immagine risalga alla spiritualità dell’icona che certamente si sviluppò in epoca bizantina anche in Sicilia. L’icona infatti per la teologia orientale non è una rappresentazione qualsiasi del sacro, corrispondente ad un ritratto della persona che si intende raffigurare; l’icona, per la spiritualità ortodossa è invece
presenza sensibile del divino in mezzo a noi. Il contatto con l’immagine, sia visivo che tattile, assume a questo punto un vero e proprio
contatto col divino che trascende la quotidianità. Per cui in qualche modo si può dire che nell’icona si rende materiale il divino. E’ chiaro che
il fedele in questo non perde il contatto con la realtà sensibile dell’icona e sa perfettamente che si tratta di legno, oro e pigmenti vari, ma sa
anche che il modo come questa è stata concepita l’innalza ad una realtà invisibile. A questo momento solenne di esposizione delle icone si
ispira l’apertura della cappella o sacello dove sono custoditi i simulacri e le reliquie dei santi patroni. Il termine svelata, con cui anche in taluni posti si chiama l’apertura della cappella dice più da vicino l’origine nel rito dell'esposizione delle icone della chiesa bizantina.
Risulta altresì chiaro il perché la ricerca del contatto fisico che si evince anche dallo strofinare di fazzoletti sulla statua del santo. In quel
giorno, infatti, quello non è più solo un simulacro di legno, anche se così appare agli occhi sensibili; quello è in qualche modo la vera presenza del santo in mezzo al suo popolo. In anni passati ciò ha fatto gridare l’ufficialità della Chiesa allo scandalo per idolatria. Ma basterebbe
comprendere l’origine storica, teologica ed antropologica che ne sta alla base per capire che una tale mentalità non solo non nuoce al credo
dei fedeli ma potrebbe diventare vero spunto per una buona catechesi.
I cerei delle maestranze o candelore - Se è vero che la festa di sant’Agata ha in qualche modo informato le altre feste del territorio etneo è tuttavia fuor di dubbio che l’offerta della cera non è da far risalire direttamente a detta festa ma ad altre esigenze da attribuire
più alla classe dirigente che non alla spontaneità del popolo. Sull’uso dei ceri anche qui dovremmo fare riferimento alla chiesa bizantina e al
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significato di supplenza che la candela accesa ha
riguardo alla persona: pur essendo fisicamente
assente, la mia presenza si consuma con il cero
acceso. Ma l’origine delle candelore sono piuttosto da far risalire al prestigio che i governi volevano esprimere facendo sfilare per le feste patronali la forza dell’artigianato del posto e quindi la
forza dell’economia locale. Più ceri erano presenti più la città era ricca ed opulenta. Sono infatti
da far risalire solo all’ottocento quelle tradizioni
goliardiche legate alle candelore nei giri
precedenti la feste: ancora una volta un modo del
popolo per appropriarsi di quanto spesso gli
veniva imposto.
I fuochi d’artificio - Per quanto riguarda questo elemento imprescindibile della
festa, i cosiddetti “iochi di focu”, cioè l’artifizio
colorato, sono entrati assai tardivamente nelle
feste patronali in quanto in un primo momento
10 Agosto 1984
relegati agli ambienti delle corti e in primis a quella francese.
L’arte pirotecnica notturna è dunque da far risalire alla fine del XIX secolo. Prima d’allora quello che assumeva importanza rilevante nelle
feste patronali era la cosiddetta “scarica di mascoli” o “batteria”, quella oggi conosciuta come moschetteria, e quella delle salve sparate da
mortai e in genere ad uno ad uno. E’ comunque certo che questi spari hanno avuto grande rilevanza nell’andamento delle feste patronali in
quanto hanno un forte significo apotropaico. E’ quasi un modo di aiutare il santo a compiere il proprio dovere nell’allontanare il male, per il
quale in certi casi i santi sono designati in maniera “specialistica” (Sant’Alfio per l’ernia, Santa Lucia per gli occhi, San Sebastiano per i muti
ecc.). Gli spari servono ad allontanare il male e più sono forti e lunghi più compiono il proprio dovere. In particolar modo inoltre nella Sicilia
etnea questo effetto apotropaico è invocato anche contro il fuoco dell’Etna; e certo grande impressione dovettero fare i giochi di fuoco con
le caratteristiche gettate colorate che tanto da vicino richiamavano le esplosioni di fuoco del vulcano.
In conclusione, l’approccio che si è tentato di portare avanti in queste poche righe è stato di non banalizzare, rimanendo a livello
descrittivo, la complicata realtà delle feste patronali nella Sicilia etnea. Se è vero che la sociologia si occupa del fenomeno sociale in quanto
tale, tuttavia non si può parlare delle nostre feste patronali senza entrarvi dentro, vivendo le emozioni che queste manifestazioni provocano
soprattutto quando ci si rende conto della ricchezza della cultura a cui fanno riferimento. Certamente la religiosità popolare è fragile,
circondata com’è da chi vorrebbe appropriarsene a scopi politici ed economici. Un ruolo fondamentale è in questo riservato alla Chiesa che
dovrebbe uscire allo scoperto nella difesa di queste manifestazioni per salvaguardarle da ogni contaminazione, occupandosi di fare passare la
religiosità popolare dalla liberazione dal bisogno (richiesta di soccorso immediato) al bisogno di liberazione (liberazione totale dell’uomo),
che deve meglio fondere il senso della passione con quello della risurrezione per non fare della fede una semplice forza di sopportazione ma
una efficace energia di liberazione.
Bibliografia: Cocchiara G., Storia del folklore in Italia, Palermo 1984; Pitrè G., Feste patronali nella Sicilia Occidentale e Orientale, Palermo 1990; Di Leo M.D., Feste popolari di
Sicilia, Roma 1997; Eliade M., Il sacro e il profano, Torino 1983; Terrin A. N., Religioni esperienza verità. Saggi di fenomenologia delle religioni, Urbino 1986; AA. VV. , Il Cristo
siciliano, in Quaderni di Synaxis, Milano 2000; Randazzo B., Sicilianità, Palermo 1980; AA. VV., La settimana santa: liturgia e pietà popolare, Atti del 4° convegno liturgico
pastorale, Palermo 1995.
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Il culto delle Reliquie
Fra le manifestazioni del culto dei Santi ha particolare importanza il culto
delle Reliquie. Esso, per quanto trovi delle analogie sorprendenti con modi e forme
usate nell'antichità pagana, ha esclusivamente origine dall'idea della grande dignità
del martire, e dalla venerazione in cui era tenuto dai fedeli. La prima testimonianza
riguarda la venerazione tributata al sepolcro di S. Policarpo (156). Il sepolcro dei
martiri diventa presto, dovunque esso si trova, un luogo di venerazione comunitario. Dopo la pace di Costantino (313), che garantisce alla Chiesa di poter manifestare senza timori la propria fede, si ha il fiorire in ogni parte del mondo cristiano di
modeste edicole fino ad arrivare a sontuose basiliche funerarie (martyria) edificate
sul loro sepolcro. Alle reliquie dei santi viene assegnato un posto d'onore accanto
all'altare, associandole al sacrificio di Cristo, e i fedeli dopo la loro morte desiderano
essere riposti presso quelle tombe venerate, come per un più confidente asilo di pace.
La conservazione delle reliquie determina la realizzazione di custodie che
prendono il nome di reliquiari. Si tratta di contenitori di vario genere, di cui le forme
più antiche sono la capsa, se il corpo del martire era stato seppellito integro, e la
capsella o cofanetto, se non se ne possedevano che delle ossa o delle ceneri, oppure
se si avevano soltanto delle reliquie di contatto (brandea, palliola). A partire dal IV
secolo, sono frequenti gli accenni a scatole in metallo, in legno, in avorio, contenenti reliquie che, come abbiamo visto, vengono deposte negli altari all'atto della loro
dedicazione, o seppellite presso le tombe dei defunti perché ne avessero suffragio.
Venivano anche portate al collo (encolpia), o custodite in casa come oggetto di devozione.
I resti mortali dei martiri erano espressione di gloria per le Chiese che li
possedevano; quelle che ne erano prive, si reputavano fortunate se riuscivano a ottenerne almeno una minima parte. Inizia così la ricerca di reliquie, che comincia in
Oriente verso la metà del IV secolo. Le grandi metropoli, Antiochia, Alessandria,
Costantinopoli, Cesarea, come le città minori, vi partecipavano con eguale ardore.
Anche i vescovi occidentali facevano di tutto per ottenere questi resti sacri.
Emblematica la testimonianza su S. Gaudenzio di Brescia (+ 410) che visitò a questo scopo le principali Chiese d'Oriente dove, raccolto un ricco tesoro di reliquie,
rientrando ne distribuì parte a vescovi amici, come S. Ambrogio, S. Vittricio di
Rouen e parte li depose nella sua chiesa.
Le Chiese d'Oriente vissero con particolare ardore il culto verso le
reliquie e furono proprio queste Chiese che avviarono il processo di spartizione sulla
base degli effetti benefici della presenza di un santo martire attraverso le sue spoglie
Particolare del reliquiario contenente un osso del braccio di San Vito
o di una parte di essa. Tale processo contagiò subito anche le Chiese d'Occidente.
La Chiesa di Roma non seguì questo processo, erede del sacro rispetto verso i cadaveri proprio degli antichi romani, seppe tener duro contro la
devozione indiscreta che avrebbe voluto mettere le mani sui sepolcri dei martiri, e non permise la frammentazione dei corpi. A Roma, invece, si ebbe la
diffusione delle semplici reliquie di contatto. Di questo genere, erano pure le reliquie che si deponevano nella consacrazione delle chiese.
L'atteggiamento severo imposto dai papi in fatto di reliquie era destinato a non durare a lungo. A Roma, come altrove, i più illustri sepolcri dei
martiri e tutti i cimiteri stavano fuori della città, conseguentemente erano in quel tempo esposti all'irruzione ed al saccheggio di un esercito invasore. Infatti,
le orde vandaliche di Alarico nel 410, e poi di Genserico nel 435, fecero danni immensi, non solo alla città, ma anche ai santuari suburbani dei martiri. Ancor
più disastroso fu l'assedio ed il sacco dei Goti nel 545. Papa Vigilio, e successivamente Giovanni III, Sergio I, Gregorio III si adoperarono per riparare i
cimiteri e mantenervi l'esercizio del culto, ma con scarsi risultati. Le Chiese suburbane erano fin troppe, la campagna romana, desolata, malsicura, vedeva
appena qualche pellegrino avventurarsi a cercare le catacombe, e diventare ricovero di armenti e di ladroni. L'assedio dei Longobardi nel 755 ne aggravò
talmente la rovina, che Paolo I (761) si decise di aprire i sepolcri di cento martiri tra i più famosi e trasferirne le reliquie in Roma nella chiesa di S. Silvestro
in capite. Più tardi fecero altrettanto i papi Pasquale I che nell'818 trasferì in S. Prassede ben 2300 corpi di martiri, e Sergio I e Leone IV (+ 855), i quali
deposero nelle chiese dei Ss. Silvestro e Martino e dei Ss. Quattro Coronati molti resti di martiri. Si può ritenere che nella seconda meta del IX secolo le
catacombe romane fossero state ormai del tutto spogliate.
Queste grandiose traslazioni di reliquie diedero un'occasione propizia a quelli che, come i popoli di Gallia e di Germania, ambivano possedere dei
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corpi santi. Le richieste infatti arrivarono da ogni parte, e Roma, anche per rafforzare i suoi legami con i vari popoli, fece largamente donazioni delle preziose reliquie.
Dopo l'epoca carolingia, si ebbe in tutti i paesi d'occidente una tale straordinaria richiesta e una moltiplicazione di reliquie che portarono ad una
potente rifioritura del culto dei Santi, offrendo una straordinaria occasione espressiva ai movimenti sociali ed artistici. Infatti, prima l'arte romanica e poi
quella gotica fecero a gara per creare ad onore dei Santi nuovi edifici di culto, e ingrandire e perfezionare quelli esistenti. I frequenti pellegrinaggi ai santuari più illustri e venerati, a scopo sia di pietà come di penitenza, divennero uno dei fenomeni religiosi e sociali pia rilevanti dell'epoca, perchè riuscirono ad
affratellare nella fede uomini di costumi e nazioni diversi, a potenziare con le loro offerte Chiese ed abbazie, e a far rifluire nelle comunità dei popoli ricchezza e civiltà.
Con la dispersione della reliquie si affermò anche la divisione dei corpi. Quando nel IX secolo, svuotati gli antichi cimiteri, era ormai difficile soddisfare
richieste di chi chiedeva il corpo intero di un martire, i Papi cominciarono a dividerne le spoglie, trattenendone a Roma una parte principale e donando la
rimanente. Inoltre, emulando le usanze dei greci, le teste di molti martiri illustri furono staccate dal loro corpo e deposte qua e la per le chiese di Roma, mentre le più insigni vennero custodite nell'Oratorio del Sancta Sanctorum al Laterano.
In questo tempo (IX - XII sec.), purtroppo, la smania di possederle e la loro penuria fecero insorgere i deplorevoli fenomeni di falsificazione, di
commercio, di abuso e di furto delle reliquie. Naturalmente la Chiesa in vari concili, come ad esempio quello di Milano del 1282, condannò severamente
tutto questo e vi aggiunse anche severe sanzioni canoniche.
Gli abusi criminali da una parte e la creduloneria dei fedeli dall'altra, hanno determinato che la Chiesa e i vescovi nei secoli successivi fino ad oggi
ponessero la massima attenzione al fine di impedire che reliquie non vere o non autentiche diventassero oggetto di culto.
Per quanto riguarda i riliquiari nel Medioevo la capsa od urna, che conservava i resti del S. Patrono, dalle cripte sotterranee prese posto sull'altare accanto
all'Eucaristia, divenne meta di pellegrinaggi, fu considerata come sacro palladio della città e associata alle gioie e alle sventure della patria. Dall'XI secolo le
capse diventano l'oggetto più in vista nelle Chiese e assumono dimensioni e forme imponenti. Tutto questo ne determinò la preziosità e la bellezza artistica. Nel periodo romanico prevalse un tipo architettonico che, mantenendo le linee tradizionali del cofanetto, le avvicinava alla forma di un piccolo edificio
rettangolare, coperto di un tetto a due spioventi, rivestito di placche metalliche ornate di filigrane, di smalti, di pietre dure; sui due fianchi una divisione ad
arcature portava incise o in rilievo immagini di santi od episodi della vita di Cristo o del Patrono, mentre alle due estremità avevano posto rispettivamente
Cristo assiso e la Vergine Santa o il S. Patrono. Con l'avvento del gotico, le urne, nei secoli XIVXV, perdono sempre più l'aspetto di cofano casa per
trasformarsi in piccole cattedrali con navi, contrafforti, archi rampanti, pinnacoli, portali, dove le statuine e i dettagli decorativi raggiungono una finezza
incredibile.
Insieme con le grandi capsae e sui tipi stilistici di
esse, abbiamo poi tutta una serie di reliquiari minori; chiusi, i
più antichi, a reliquia visibile quelli dopo il sec. XIII: la maggior
parte pediculati e cuspidati; antropomorfi, cioè foggiati a somiglianza del membro che vi è custodito, quindi a mezzo busto, a
testa, a braccio, a piede; in forma di statua, sul petto della quale
si applicava un piccolo cilindro di cristallo contenente la reliquia.
Le reliquie di S. Vito subirono lo stesso processo fin
qui descritto. La tradizione lo vuole seppellito insieme a
Modesto e Crescenzia in una grotta presso il fiume Silaro in
Lucania. In seguito ad un evento prodigioso le spoglie furono
ritrovate e collocate in una chiesetta vicino Eboli. Dopo qualche tempo furono spostate presso una chiesa a nella città di
Mariano. Nell'836 l'imperatore Ludovico il Pio fece prelevare
alcune reliquie passando per Mariano che portò con se in
Sassonia e ne fece dono al cugino Venceslao di Boemia. Da allora, infatti le reliquie sono conservate nella cattedrale di Praga a
lui dedicata. Altre parti dei corpi dei martiri Vito, Modesto e
Crescenzia sono state distribuite fra molte città italiane. Le reliquie più importanti e vicine a noi sono quelle conservate a
Mazara del Vallo, così come parte del cranio, un braccio e un
piede sono conservati oggi a Regalbuto in reliquiari di tipo
Particolare del reliquiario contenente un osso del piede di San Vito
antropomorfo del XVI secolo.
Angelo Plumari
RIGHETTI M., Manuale di storia liturgica, II vol., Milano 1969, 1998 anastatica; CASSANELLI R.-GUERRIERO E. (A CURA), Reliquiario - Dizionario di
conografia e Arte cristiana, Cinisello Balsamo 2004; Greco S. (a cura), I Santi Patroni di Sicilia, Palermo 1995.
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Notizie storiche sulle feste
e le reliquie dei santi martiri
Vito, Modesto e Crescenzia a Regalbuto
Ricerca a cura di Vito Bonanno
1484 - La celebrazione della festività dedicata a S. Vito a Regalbuto avvenne
sicuramente prima di questa data, tenuto conto che il 14 Aprile la
Confraternita di San Vito ottenne dall’Arcivescovo di Messina Pietro De Luna
la "franchezza di dogana" ed altri oneri durante la fiera che si teneva quattro
giorni prima e quattro dopo la festività del 15 Giugno.
1 Settembre 1530 - Il Papa Gregorio XIII a futura memoria, concesse alla
Chiesa di San Vito di Regalbuto.
10 Agosto 1539 - Attuazione dell'applicazione dell'indulgenza plenaria.
Luglio 1540 - In una domenica prelevamento di un pezzo della testa, uno del
braccio e uno di altro membro dalla Chiesa del Casale San Vito Diocesi di
Catanzaro.
31 Gennaio 1541 - Presentazione delle reliquie nella sede Episcopale di
Catania.
1 Febbraio 1541 - Consegna delle reliquie al Vicario Antonio L’Episcopo
Arciprete di Regalbuto.
2 Febbraio 1541 - Arrivo delle reliquie a Regalbuto e, da allora, in questo
giorno della Candelora si celebrava la festività di San Vito, attestata fino al
1916.
Dopo questa prima traslazione i nostri antenati vollero riunire nella
nostra chiesa quella che era la famiglia spirituale di San Vito, prima con la
richiesta della reliquia del suo educatore San Modesto e successivamente con
quella di Santa Crescenza sua nutrice.
4 giugno 1611 - A Roma il cardinale Gennari consegna al canonico Agostino
Castiglione protonotaro Apostolico di Lentini la reliquia di San Modesto.
15 aprile 1616 - Si ha l'autorizzazione a donare le reliquie di San Modesto ai
regalbutesi, e successiva esecuzione con approvazione del vescovo di Siracusa.
20 giugno 1620 - Nella Chiesa di San Giacomo di Lentini si ha la consegna
della reliquia di San Modesto ai regalbutesi, con conseguente trasferimento a
Regalbuto.
8 luglio 1666 - A Roma donazione di varie reliquie, tra cui quelle di
S. Crescenzia, da parte del cardinale Ginnettu, Vicario Generale del papa, a
don Vincenzo Cascio di Piazza Armerina.
10 agosto 1668 - Disponibilità di don Cascio a donare le reliquie di Santa
Crescenzia e di S. Vito, di cui era in possesso, su richiesta dei Giurati di
Regalbuto.
8 Agosto 1670 - Arrivo delle reliquie a Regalbuto.
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festa del patrono della città
San Vito
PROGRAMMA 2010
MARTEDÌ 3 AGOSTO
Ore 22.00: Chiostro degli Agostiniani
FEDE, ARTE, TERRITORIO - 2ª Edizione: Una voce, il mio diletto! Lettura di testi sull’amore di
coppia intercalati da brani tratti dai concerti per pianoforte e orchestra di J. S. Bach, eseguiti dal
gruppo di musica da camera “Strade Varie”
Seguirà degustazione di prodotti locali a cura delle locali Ditte artigianali
TRIDUO DI PREPARAZIONE ALLA FESTA sul tema: Fedeltà a Dio, fedeltà all’uomo
GIOVEDÌ 5 AGOSTO
Ore 19.00: Santa Messa e riflessione sul tema
VENERDÌ 6 AGOSTO
TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE - Festa
Ore 19.00: Santa Messa e riflessione sul tema
Ore 20.30: La reliquia di San Vito visita il quartiere di San Sebastiano
Processione dalla Chiesa Madre, preghiera, benedizione e rientro in Matrice
SABATO 7 AGOSTO
Ore 19.30: Santa Messa della Domenica e riflessione conclusiva sul tema del triduo in Chiesa Madre
GIORNI DELLA FESTA - 8 AGOSTO
ORE 8.00: Santa Messa nella Chiesa dei Cappuccini
ORE 9.00: Il suono a festa delle campane, lo sparo delle bombe, a cura della Ditta D’Amplo di Mineo, l’ingresso del
Gran Complesso Bandistico “G. Verdi” Città di Troina, diretto dal M.to Rosario Terrana, annunciano
l’inizio dei festeggiamenti in onore di San Vito
Ore 9.30: Santa Messa nella Chiesa di San Domenico
Ore 11.00: Santa Messa in Chiesa Madre per i pellegrini dell’alloro
Ore 17.00: Dalla Chiesa dei Cappuccini: processione dell’alloro per i devoti che si concluderà in Piazza della
Repubblica con la solenne benedizione con le reliquie di San Vito
N.B. La Santa Messa serale della domenica è anticipata al sabato 7
Ore 22.00: Serata musicale a cura dell’Amministrazione comunale
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9 AGOSTO
Ore 9.00: Giro per le vie cittadine della Banda Musicale
Ore 19.30: Processione delle Reliquie di San Vito alla Tribona. Sosta delle reliquie a Santa Maria per la
celebrazione della Santa Messa. Proseguimento della processione fino a P.zza San Vito per l’atto di
affidamento al Santo Patrono della nostra comunità regalbutese e rientro delle Reliquie in Chiesa
Madre
Ore 22.00: Romeo e Giulietta … dall’odio all’amore. Musical liberamente tratto dall’omonimo spettacolo musicale
di Gérad Resgurvic, presentato dal gruppo musicale “Corincanto” di Nissoria
10 AGOSTO
Ore 9.00: Giro per le vie cittadine della Banda Musicale
Ore 10.30: Santa Messa per gli Emigrati presso la Chiesa dei Cappuccini
Ore 19.00: Processione con la statua del Santo Patrono nel nuovo quartiere San’Ignazio: via V. Emanuele, via
Del Popolo; celebrazione della Santa Messa nella chiesa di Sant’Ignazio; rientro in chiesa Madre per
via A. De Gasperi e via Dante
Ore 22.30: Serata musicale a cura dell’Amministrazione Comunale
Ore 9.00:
Ore 9.30:
Ore 11.00:
Ore 19.30:
Ore 21.00:
Ore 22.30:
Ore 24.00:
11 AGOSTO
Giro per le vie della Città della Banda Musicale
Santa Messa
Concelebrazione eucaristica presieduta dal Sac. Carmelo Di Gregorio in occasione del 50°
anniversario della sua ordinazione sacerdotale
Solenne Concelebrazione eucaristica presieduta da S. E. Rev.mo Mons. SALVATORE MURATORE,
Vescovo di Nicosia
Processione con la statua del Santo Patrono, secondo il consueto giro processione
Serata musicale a cura dell’Amministrazione Comunale
Conclusione con i fuochi d’artificio all’ex campo sportivo
IL COMITATO
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Speciale S. Vito 2010 - San Basilio Regalbuto