Disegni: Kasia Jackowska
Billo Heinzpeter Studer, FishEthoBase*
Come definisce il concetto di
benessere dei pesci FishEthoBase?
Il database sull’etologia1 dei pesci FishEthoBase è progettato per raccogliere,
sistematizzare e mettere a disposizione
1
etologia = ricerca del comportamento
* Come approvato dal Gruppo FishEthoBase
Research. Cito come: «Studer, Billo Heinzpeter 2015. Come definisce il concetto di benessere dei pesci FishEthoBase? In: FishEthoBase
Research Group (editore), FishEthoBase. World
Wide Web pubblicazione elettronica. www.
fishethobase.fair-fish.ch». Traduzione: Rachele Longhitano. Fa fede la versione inglese.
1 FisBase · Faltblatt 2/2015 · fair-fish.net
(libero accesso) tutta la conoscenza
disponibile sull’etologia del pesce, sia
natura sia cattività, con particolare attenzione per le specie d’allevamento con lo
scopo di contribuire a migliorare il benessere dei pesci in acquacoltura ed evitare
pratiche che ne danneggino la salute.
Nella comprensione di FishEthoBase, il
ben-essere dei pesci è garantito se un
pesce può vivere all’altezza del potenziale della sua specie e se può sviluppare la sua propria individualità.
Oppure, per usare nozioni della Legge
Svizzera sul Benessere degli Animali: se
la dignità dell’animale, cioè il suo valore
intrinseco, è rispettata.
Al fine di poter sostenere gli acquacoltori
con la migliore consulenza, FishEthoBase
si asterrà dal dare raccomandazioni che
potrebbero derogare al principio di benessere dei pesci.
Cosa dire sul dolore, la sofferenza e lo
stress? Non sono forse di prima preoccupazione per il benessere degli animali? La
teoria etica prevalente riguardo il trattamento degli animali da parte dell’uomo,
il patocentrismo, deriva dall’atteggiamento di molti scienziati e studiosi di etica che sottolineano la sensibilità al dolore. In altre parole, essi sostengono che
più un animale sembra mostrare dolore,
tanto più merita rispetto. Questa teoria,
tuttavia, non è in grado di spiegare, se
non in modo antropico, perché dovremmo preoccuparci per il benessere degli
animali di alcune specie e sottrarsi da
tale obbligo per resto del regno animale – senza considerare l’intero regno delle piante2.
Immaginate di essere esenti dal dolore,
senza sofferenza e senza stress - vorreste asserire di avere una buona vita? Sicuramente non lo sarebbe senza provare momenti di gioia, senza sentirvi, almeno di tanto in tanto, vivere fino al vostro potenziale e senza percepire voi stessi
come una persona distinta. Perché allora,
un pesce dovrebbe sentirsi bene solo per
l’assenza di dolore, sofferenza e stress?
Nel fare del suo meglio per mantenere
il suoi pesci all’altezza del potenziale
della loro specie, per sviluppare la loro
individualità, permettendogli lo spazio
anche per le esperienze positive tra cui
il così detto «inutile» giocare, un allevatore minimizza automaticamente il
dolore, la sofferenza e lo stress.
Se d’altra parte un allevatore concentra i
suoi sforzi nella riduzione del dolore, della sofferenza e dello stress dei suoi pesci, essi non vivranno necessariamente
all’altezza delle loro potenzialità.
Floriane Koechlin, 2008, PflanzenPalaver,
Belauschte Geheimnisse der botanischen
Welt. Della stessa autrice, 2008, Zellgeflüster,
Streifzüge durch wissenschaftliches Neuland.
Della stessa autrice, 2014 (Hsg.), Jenseits der
Blattränder, Eine Annäherung an Pflanzen.
Tutti: Lenos-Verlag, Basel.
2
2 FishEthoBase · Faltblatt 2/2015 · fair-fish.net
Definizione di benessere dei pesci: Razionale
Uno dei problemi fondamentali del dibattito sul benessere degli animali in generale e del benessere del pesce in particolare, è la reciproca accusa tra coloro
che sfruttano gli animali in un senso o
nell’altro contro coloro che scelgono di
non usare gli animali. A complicare le
cose, ci sono più di due frazioni che cercano di fare proselito della propria credenza.
Pertanto, il dibattito sul benessere degli
animali è bloccato dall’interferenza di
due decisioni da prendere:
a) una decisione morale individuale (uso
vs non uso degli animali) con
b) la decisione etica sul come interagire
con gli animali, indipendentemente
da se e da come essi vengono utilizzati.
Di conseguenza, il dibattito prende la
forma di una guerra morale tra parti in cui difficilmente si trova un punto
d’incontro in comune .
Potremmo invece cercare di distinguere chiaramente l’etica dalla morale. Partendo dal presupposto che qualsiasi animale, uomo compreso, dipende dal con-
sumo di altri esseri viventi3. Potremmo,
in secondo luogo, considerare che dagli
ultimi 70 000 anni gli esseri umani sono
sempre stati predatori, sfruttando tutti
gli altri esseri viventi, nonostante la nostra predisposizione fisica piuttosto debole. Potremmo, in terzo luogo, essere così
intelligenti da capire che la nostra straordinaria posizione nel cosmo è dovuto alla
nostra singolare abilità di narrazione collettiva (Harari) che ci ha fatto inventare
delle cose una volta incredibili4.
Questo ci deve portare, infine, alla conclusione che la costituzione specifica dello status di predatore dell’umanità ha un
legame implicito: Se collettivamente siamo in grado di inventare la nostra sopravvivenza al grado superiore della natura,
siamo nolens volens in un’infinita ed inevitabile auto-riflessione collettiva su ciò
che si può o non si può fare.
Non si può fare uso della nostra intelligenza collettiva per la predazione e
spegnerla per il resto, in modo che il racconto va avanti e avanti. Abbiamo perso
l’innocenza dei predatori che sfruttano
Lettori madrelingua inglese potrebbero essere perplessi nel trovare la qualità di «essere» attribuita anche alle piante poiché queste
non dispongono di spirito o anima. Sicuri di
no? (cfr nota 2) Usiamo la parola «essere»
facendo allusione alla parola tedesca «creatura» che abbraccia tutte le creature che sono
in grado di nascere, svilupparsi, reagire al loro
ambiente, di riprodursi e di morire.- Per il resto, vi è un numero crescente di esseri per i
quali la scienza dubita ad associare: vegetale
o animale?
3
Yuval Noah Harari, «Eine kurze Geschichte
der Menschheit», DVA, 2013.
4
3
semplicemente la nicchia di natura ecologica assegnataci.
L’unico modo per conciliare con l’infinito
disagio mentale è quello di trovare un
fondamento etico in ciò che facciamo. Rinunciare a qualsiasi forma di uso
di qualsiasi essere vivente può essere
una scelta morale personale, ma nella
sua totalità non rappresenta ovviamente un’opzione per l’umanità. L’umanità,
invece, può sviluppare una filosofia comune di riconoscimento e di rispetto per
tutte le forme di vita, specialmente degli
esseri che sfruttiamo.
Se abbiamo bisogno di vivere con un animale domestico, possiamo concentrare
il nostro interesse nel ricercare il modo
in cui l’animale desidererebbe vivere, e
facilitarlo. Se abbiamo bisogno di mangiare il pane, possiamo almeno scoprire
ciò che l’erba del grano vorrebbe vivere di per sé e modificarne di conseguenza l’agricoltura. Se abbiamo bisogno di
cacciare, dovremmo prima capire come
l’animale si comporta in modo naturale
e come si può cacciare, stordire e uccidere, nel modo meno doloroso e nel minor
tempo possibile. Se abbiamo bisogno di
mangiare un pezzo di carne, potremmo
sostenere almeno le iniziative che sostengono i modi più rispettosi di riproduzione, allevamento e macellazione.
Non importa quale decisione morale prendiamo singolarmente, tutti possiamo contribuire congiuntamente allo
sviluppo di un atteggiamento filosoficamente meno contraddittorio, un’etica
che riconcilia l’uso e il rispetto per gli altri
esseri viventi.
Quando accettiamo che la nostra vita dipende dal consumo di altri esseri in qualsiasi caso, non vi è alcuna contraddizione
etica principale nel mangiare un pesce e
sostenere il benessere dei pesci. Potrebbero apparire, naturalmente, molte contraddizioni individuali, come comportarsi da attivista del benessere degli animali ma non distinguere tra pesce allevato
spietatamente e pesce allevato con rispetto se comprato. Analogamente, sarebbe ipocrita richiedere per la maggior
parte delle specie di pesci che venga appropriatamente allevato ma non preoccuparsi gli impatti ambientali o sociali del
processo di produzione.
Di conseguenza, la vera questione è:
4 FishEthoBase · Faltblatt 2/2015 · fair-fish.net
Cosa rende la vita di un essere vivente «buona»? 1. Essere vivo, ovviamente – ma dopo
la morte, che è un ingrediente indispensabile di qualsiasi vita, da cosa giudicheresti che un’esistenza è stata buona?
2. Vivere all’altezza del potenziale della specie. Nel caso degli esseri umani:
imparare, riuscire nei propri compiti,
godere dei momenti speciali, stare in
buona compagnia, fare affidamento sulle relazioni forti, guardare indietro al proprio cammino con soddisfazione, percepire la mancanza qualcuno quando è venuto a mancare ... Ma che cosa potrebbe significare per i pesci di vivere fino al
potenziale della propria specie? Questo è
esattamente il campo che FishEthoBase
cerca di esplorare.
3. Differenziare gradualmente se stessi dai conspecifici. Negli esseri umani questo è un tratto fondamentale che
ha a che vedere con la coscienza di sé e
della propria personalità. Perché dovrebbe essere così diverso per molte se non
tutte le specie di pesci? Come si spiegherebbe altrimenti la precisione del movimento ad alta velocità di una scuola se
non dall’interazione tra individui? Macchinario? Forze esogene nascoste? Dio?
I biologi della pesca hanno trovato prove riguardo la personalità in specie diverse come salmonidi (trota iridea5, tro-
te6, salmoni dell’Atlantico7), Orata8 o
Tilapia9. Ciò non dovrebbe sorprendere poiché tratti di personalità sono stati ritrovati pure negli invertebrati come i
grilli10. FishEthoBase è stato progettato
con l’obiettivo di cercare e di richiamare l’attenzione sui risultati delle categorie
che molti scienziati non considerano ancora e che spesso non prenderebbero in
considerazione con il pesce, come il gioco, la gioia e il desiderio, il concetto di sé
e anche la personalità.
Siamo naturalmente consapevoli di una
grande varietà di differenti definizioni
di benessere dei pesci.
Al polo conservatore del continuum troviamo ancora alcuni scienziati che negano la capacità dei pesci di percepire il
dolore, come John D. Rose11 12 o Robert
Kortet, R., A. Vainikka, et al. Behavioral variation shows heritability in juvenile brown
trout Salmo trutta. Behavioral Ecology and
Sociobiology, 2014
6
fishethobase.fair-fish.ch/en/ethology/2/findings/salmo-salar#Intelligence
7
fishethobase.fair-fish.ch/en/ethology/5/findings/sparus-aurata#Intelligence
8
fishethobase.fair-fish.ch/en/ethology/6/
findings/oreochromis-niloticus#
intelligence_consciousness
9
Niemela, P. T., E. Z. Lattenkamp, N. J. Dingemanse. Personality-related survival and sampling bias in wild cricket nymphs. Behavioral
Ecology, 2015; DOI: 10.1093/beheco/arv036
10
Rose, James D. The neurobehavioral nature
of fishes and the question of awareness and
pain. Reviews in Fisheries Science,10(1):1–38
(2002).
11
Brown, G. E., M. C. O. Ferrari, et al. Retention of acquired predator recognition among
shy versus bold juvenile rainbow trout. Behavioral Ecology and Sociobiology, 2012; DOI:
10.1007/s00265-012-1422-4
5
Rose, James D., Robert Arlinghaus, et al.
Can Fish really Feel Pain? Fish and Fisheries,
2014, 15, 97-133
12
5
Arlinghaus12 13 che sollecitano norme sul
benessere di essere «basati sulla natura», su «indicatori oggettivi», piuttosto
che «basato su sensazioni» e quindi «altamente speculativo»13.
Si oppongono da un gruppo maggioritario di scienziati, chiaramente rappresentati da vari studi di revisione14 15, che continuano a fornire prove sulla sensibilità al
dolore nei pesci, come Lynn Sneddon16, o
Arlinghaus, Robert, S J Cook, et al. Fish
welfare: a challenge to the feeling-based
approach, with implications for recreational
fishing. Fish and Fisheries 2007, 8, 57-71
13
Maccio-Hage, Isabelle. Pain in fish (overview). 2005, fair-fish. www.fair-fish.ch/files/
pdf/wissen/pain_in_fish.pdf
14
Segner, Helmut. Fish, Nociception and
pain. A biological perspective. 2012, Federal
Committee on Non-Human Biotechnology
ECNH. http://www.ekah.admin.ch/fileadmin/
ekah-dateien/dokumentation/publikationen/
EKAH_Band_9_Fish__Englisch__V2_GzA.pdf
15
Sneddon, Lynn U. The evidence for pain
in fish: The use of morphine as an analgesic. Applied Animal Behaviour Science, 2003,
83, 153–162. doi:10.1016/S0168-1591(03)
00113-8
16
in decapodi, come Robert Elwood17.
Al polo progressista del continuum18 troviamo un piccolo ma crescente gruppo
di ricercatori che guardano oltre il problema del dolore. Per citarne solo due di
loro qui: Veronica Braithwaite19 che sostiene un concetto che racchiude «anche
la paura, la fame, la sete e il piacere», e
Gilson Volpato20 che si avvicina alla comprensione di benessere del pesce, dando
loro la libera scelta tra diverse opzioni per
imparare quello che piace o non piace.
Elwood, Robert W.. Evidence for pain in
decapod crustaceans. Animal Welfare, 2012,
21, 23-27. doi: 10.7120/096272812X13353
700593365 ISSN 0962-7286
17
Brunner Singh, Jeannine, and Billo Heinzpeter Studer. Fischleid (overview). 2011, fishfacts 3. http://www.fair-fish.ch/files/pdf/feedback/facts_3_dl.pdf
18
Braithwaite, Victoria A, and P. Boulcott. Pain
perception, aversion and fear in fish. Diseases
of aquatic organisms, 2007, 75, 131-138.
19
Volpato, Gilson L. Challenges in assessing
fish welfare. 2009, Ilar Journal, 50, 329-337.
20
6 FishEthoBase · Faltblatt 2/2015 · fair-fish.net
Scarica

Come definisce il concetto di benessere dei pesci FishEthoBase?