Il social networking per lavorare insieme Se le parole hanno un senso, che il web si chiami così vorrà pur dire qualcosa. Già nelle intenzioni di uno dei “costruttori” della rete, Tim Berners Lee, l’obiettivo sarebbe dovuto essere non regalare al mondo un nuovo giocattolo, ma “aiutare la gente a lavorare insieme”. Ansia che gestiremmo diversamente se fossimo consapevoli che ciascun dato di letteratura non rappresenta che un elemento di base, un semplice mattone che solo insieme a molti altri potrà contribuire alla costruzione di un solido “sapere scientifico”. Cos’è un’informazione? “The web is more a social creation than a technical one. I designed it for a social effect – to help people work together – and not as a technical toy. (...) We develop trust across the miles and distrust around the corner.” TIM BERNERS-LEE A message in a form of a document or an audible or visual communication. E’ una premessa necessaria per discutere del lavoro di ricerca e, più ancora, di “governo” delle informazioni finalizzate alla valutazione delle tecnologie sanitarie (e non solo). Si parla molto di information overload, di “peso” dell’informazione che – invece di aiutarci – nuoce alla conoscenza. Non è novità se è vero che sin dai tempi di Gutenberg ci si preoccupava della iperproduzione di cultura (per così dire); più recente, semmai, è l’ansia di cui siamo preda di fronte ai circa 1.500.000 nuovi articoli pubblicati ogni anno sulle 25 mila riviste accademiche, quasi metà delle quali “scientifiche”. Le informazioni rappresentano qualcosa di diverso e più strutturato, dati arricchiti da commenti, annotazioni. Per esempio, in una rivista scientifica, riconosceremo i dati nei risultati di uno studio presentati in un Articolo originale; insieme all’Editoriale di inquadramento o da lettere di commento saranno informazioni già meglio contestualizzate. Il percorso dal dato alla conoscenza è almeno tanto lungo quanto la distanza che separa la teoria dalla pratica, il setting sperimentale da quello dove i risultati della ricerca devono essere trasferiti. cos’è Cos’è conoscenza? la conoscenza? Data refer to discrete, objective facts. Knowledge is a fluid mix of framed experience, values, contextual information, and expert insight that provides a framework for evaluating and incorporating new experiences and information. DAVENPORT & PRUSAK Davenport T., Prusak L. (1998). Working Knowledge. Harvard Business School Press: Boston, MA Dati e conoscenza conoscenze e evidenze Information is more valuable than data, but it takes data to say that. JOHN MAEDA conoscenza valutazione riflessione condivisione contesto riflessione esperienza ricerca informazione definizione del problema Attenzione: le necessarie precauzioni nell’uso del dato non devono essere viste come il desiderio di ridimensionare il valore delle “evidenze” nel processo decisionale. Al contrario, come sintetizza John Maeda, le informazioni possono sì essere considerate più utili dei dati, ma per sostenerlo è proprio di dati che abbiamo bisogno. Tutto ciò è sintetizzato nel percorso del cosiddetto “knowledge management”; la distanza che separa il dato dalla “saggezza” (insieme di saperi che possono motivare il cambiamento) è popolata da scambio, interazioni, confronto. In altre parole, dati e informazioni devono essere messi alla prova del contesto In definitiva, l’antidoto all’information overload è la gestione partecipata dei dati e delle informazioni che chiedono la nostra attenzione sulle riviste, sui quotidiani, ai congressi. Del resto, i gradini del knowledge management sono molto simili a quelli della evidence-based medicine: ricerca delle informazioni, valutazione dei dati, condivisione e riflessione/valutazione sull’utilità/correttezza del percorso compiuto. La collaborazione tra pari è una componente essenziale sia dell’attività clinica sia della clinical governance in sanità. Qualità dell’assistenza, gestione del rischio, educazione continua sono sfide complesse e solo un approccio “di sistema” può consentire di affrontarle. Il percorso del knowledge management La carta che vediamo è stata compilata da Matthew Maury, ufficiale della Marina americana che a metà dell’Ottocento raccoglieva mappe annotate da colleghi che come lui attraversavano l’Atlantico; con quelle, Maury preparava “metacarte” che raccoglievano le osservazioni di più marinai. Ne parla Melville nel Moby Dick e qualcuno ha visto nel lavoro di Maury il prototipo di una revisione sistematica… La mappa condivisa era strumento di navigazione sicura nei secoli scorsi e ne rivediamo oggi alcuni elementi attualizzati in molte funzionalità collaborative presenti su internet che testimoniano come i media siano uno dei motori fondamentali della accelerazione innovativa. Qualche esempio? Le Clinical Queries di PubMed (stringhe predefinite che guidano alle più frequenti ricerche di documentazione in Medline) o la funzione MyNCBI, che permette la condivisione di bibliografie tematiche. Così come le diverse opportunità di sharing che troviamo anche in siti molto rigorosi come quello della Cochrane Collaboration… Periodici come il BMJ puntano molto sull’interazione con i lettori; il sistema delle Rapid Responses, completamente informatizzato, è attivo già da anni. Le “risposte rapide” sono accettate dopo un filtro solo formale, così che da questa condivisione immediata scaturisca un confronto aperto e autogestito dagli utenti. Partecipare è anche (o soprattutto) commentare ciò che leggiamo sulle riviste. Un’altra funzionalità orientata alla condivisione è quella dei Most viewed e Most cited, presente nella edizione online di molte riviste internazionali. Sono “sommari alternativi” che suggeriscono letture consigliate da altri utenti che, come noi, hanno downloadato articoli (nel primo caso) o citati su altri lavori pubblicati su riviste indicizzate. Questa funzionalità svolge un ruolo ancora più importante nelle riviste online only, come PLOS Medicine, finendo per sostituire le tradizionali Table of Contents, che hanno sempre meno significato in periodici elettronici trasformati in spazi di aggregazione quotidiana di contenuti. I consigli sono preziosi, soprattutto se l’offerta è così ricca. Suggerimenti molto importanti sono anche quelli dei direttori (la Editor’s Choice del BMJ) o dei collaboratori delle riviste, come quelli che troviamo sui blog dello stesso BMJ o di siti come Theheart.org/. Al computer si è aggiunto il notebook, poi lo smartphone e forse l’iPad. Come tornare sulle informazioni “preferite”? Per esempio con strumenti come Xmarks per Firefox per mantenere i propri segnalibri e opzionalmente le proprie password sincronizzate automaticamente. Ma in un’ottica di condivisione, Delicious è l’ideale, perché - agli utenti registrati - offre oltre alla possibilità di avere accesso all’insieme dei propri bookmark da qualsiasi computer, anche la possibilità di accedere alle risorse più usate da persone che hanno i nostri stessi interessi. Come fare? Semplicemente seguendo i link dai tag che classificano i siti selezionati da altri utenti, così da ricostruire utilissime linkografie per completare al meglio le nostre. Queste raccolte di siti possono essere sia curate individualmente, sia da gruppi di clinici e ricercatori raccolti in un network. In questo caso, ciascun componente della rete contribuisce con propri suggerimenti offrendo ai colleghi il risultato della propria esperienza di utente della rete. seguire l’icona vicina agli articoli pubblicati sulle principali riviste internazionali. Connotea permette anche di estrapolare bibliografie pronte per essere a loro volta integrate in un articolo, essendo compatibile con i principali software di reference management. C’è chi dice che il suo successo dipenda dall’essersi … limitata a reinventare qualcosa che esiste da tempo – lo scambio di copie di documenti -, attualizzandola in maniera da renderla molto più efficiente. In realtà, ciò che dimostra una risorsa come questa, sottolinea Clay Shirky, è che internet permette di passare con facilità da un media ad un altro, in un sistema di vasi comunicanti che facilità enormemente l’organizzazione del lavoro (e non solo). “In an ideal world, all scientists would advance their knowledge by carefully reading the work of other scientists”, sosteneva Harold Varmus in The art and politics of science; con strumenti così è molto più facile. All media now can slide from one to another. CLAY SHIRKY Per condividere bibliografie Connotea è lo strumento ideale. E’ nata per iniziativa del gruppo editoriale della rivista Nature e, agli utenti che si registrano gratuitamente, consente di archiviare nel proprio scaffale virtuale qualsiasi documento scaricato dal web; in assenza del testo completo, è ovviamente possibile catalogare il solo record bibliografico. Come vediamo dalle immagini– pagine web del BMJ e del JAMA – la procedura di archiviazione è molto semplice: è sufficiente Condivisione è la parola chiave e la forma può talvolta non essere quella accademica. Un editoriale sul BMJ (Trevena, 2011) sollecita l’uso dei wikis come strumento per creare database informativi accessibili ovunque e a chiunque. Il modello di Wikipedia (così come del WikiProject Medicine) può servire per soddisfare il bisogno del medico di accedere a informazioni basate sulle prove, a sintesi semplici piuttosto che a lunghi e dettagliati articoli scientifici inaccessibili ai non abbonati alle riviste o ai database. “Se davvero vogliamo vedere più diffuse le informazioni basate sull'evidenza e facilitare il trasferimento delle evidenze nella pratica, forse è necessario iniziare a scrivere articoli per Wikipedia.” Siti web collaborativi costruiti secondo la filosofia wiki stanno nascendo in diversi ambiti della medicina e rappresentano una nuova frontiera: in un mondo (web) senza autori (o con tutti autori) anche l’autorità perderà di significato. Uun ambiente come LinkedIn è nato per scopo di business, ma sta progressivamente ridefinendosi come luogo di discussione di tematiche di attualità professionale. Un progetto come la Public Library of Medicine sfrutta la piattaforma di LinkedIn – oltre che per segnalare opportunità di impiego – anche per suggerire approfondimenti, interventi sui blog collegati alla rivista, articoli appena pubblicati in uno dei diversi aggregatori di contenuti della Library. Gli utenti di LinkedIn, inoltre, danno vita a gruppi di discussione talvolta molto vivaci, che in diversi casi raccolgono ex allievi di prestigiose università o di Master di specializzazione. Questa selezione a monte rende la partecipazione qualificata e interessante. Oltre a saltare da un media all’altro, una delle opportunità di internet è di … saltare da una persona all’altra, aprendosi ad altri ambienti o discipline abbattendo steccati: “in questo spazio, la mobilità è più importante della località, la connessione è più importante del confine” (De Biase, 2011). Pochi strumenti, come Twitter, permettono di avvicinare – e in maniera emotivamente coinvolgente – persone non conosciute. Studiare “chi segue e chi è seguito” è un ottimo esercizio per perfezionare il proprio network, nella costante tensione tra collegamenti deboli e forti: “Weak links find better things to do. Strong links find ways to do things better”(Koch & Lockwood, 2010). Strumenti come MentionMapp permettono di visualizzare queste reti e di segnalare nuovi percorsi per ampliarle. Nonostante il successo del microblogging, resta il video il tipo di documento più caricato/scaricato su web. Usare YouTube per condividere saperi: anche per un ambito così specialistico come l’Health Technology Assessment sono disponibili interviste (per esempio aMike Drummond e Tom Jefferson) e tutorials. Molte istituzioni di primo piano, come il National Health Service o i Centers for Disease Control and Prevention o la Food and Drug Administration hanno un proprio canale di video, attraverso il quale informano i cittadini e aggiornano/formano gli operatori sanitari. The social use of our new media tools have been a big surprise, in part because the possibility of these uses wasn’t implicit in the tools themselves. CLAY SHIRKY Indubbiamente, gran parte degli strumenti del social web non sembrava disegnata per uno scopo diverso dall’aggregare un pubblico di giovani utenti, per lo più interessati alle opportunità ricreative offerte dalla rete. Il caso di Facebook è probabilmente il più emblematico. Si tratta, a tutti gli effetti, di una piattaforma che si presta agli usi più diversi: dalle chiacchiere adolescenziali all’e-learning di medici e infermieri. E’ stata giustamente definita “una forma di organizzazione dell’attenzione e del tempo” (De Biase, 2011); questo perché, di fatto, supporta la condivisione di documenti, fotografie, video, lo scambio di link, di segnalazione di eventi, di informazioni riservate. Per queste ragioni, oltre a essere stato già sperimentato come strumento per la conduzione di studi sperimentali multicentrici, è ormai routinariamente usato come vetrina e spazio di discussione da parte di enti e istituzioni. Accanto, in alto, la pagina Facebook del National Health System; in basso, una delle pagine della Cochrane Collaboration. Già da qualche stagione la CC si è interrogata sul “come usare” al meglio questa risorsa; sembra aver colto uno degli aspetti più qualificanti: condividere è ciò che rende divertente “il fare” … The sharing, in fact, is what makes the making fun. CLAY SHIRKY Proprio navigando su Facebook arriviamo sulla pagina della Stanford University, una delle più prestigiose istituzioni formative del mondo, e abbiamo conferma che il social web vive di … storie. Storcerà il naso chi, lavorando in Medicina, è abituato a sostenere piuttosto il primato del dato quantitativo su quello qualitativo – nella forse troppo pubblicizzata alternativa tra Medicina di popolazione e Medicina individuale. In conclusione 1.l’attività di social networking e –più in generale – il fare rete aiutano a esporre i dati e le informazioni al vento della discussione, al confronto, all’approfondimento condiviso e libero dai condizionamenti dell’autorità; 2.i media gerarchici si bilanciano coi media relazionali e l’economia del gratuito e della condivisione è un’alternativa credibile al modello profit dell’editoria e della comunicazione; 3.la retorica controllata dello storytelling è la necessaria integrazione dei dati quantitativi, restituendo umanità alla statistica, volti ai numeri; 4.la narrazione aiuta a trasferire la ricerca al quotidiano, favorendo l’indispensabile contestualizzazione all’elaborazione teorica. Eppure, sono sempre maggiori le evidenze che ci convincono come una Sanità migliore, perché più efficiente, efficace e – soprattutto – più equa, non possa non tenere in massima considerazione il dato biografico accanto a quello biologico. Allo stesso modo, sempre più spesso accade che le “evidenze” siano solo formalmente tali e che solo “le storie dietro le prove” – amplificate, condizionate o, più semplicemente, fabbricate – possono riuscire a ridimensionarne la portata. Basti pensare all’affaire Influenza, non a caso ricostruito da una “storia sottostante la revisione Cochrane”… Ecco la tentazione: prendere ciò che è studiato e pubblicato e farlo rotolare per il mondo, per una sfida e una contaminazione che non abbia riserve e confini. Come nella scultura – installazione di Michelangelo Pistoletto, Mappamondo, globo di giornali pressati che dalla sua gabbia ferrea di meridiani e paralleli esce dai musei più importanti del mondo per andare in strada rotolata dalla gente…