Tutto col gioco, niente per gioco Educare attraverso l’attività ludica: la finalità del metodo scout di Dora Montieri L’uomo e il gioco: una relazione ancestrale <<Il gioco è più antico della cultura, perché il concetto di cultura, per quanto possa essere definito insufficientemente, presuppone in ogni modo convivenza umana, e gli animali non hanno aspettato che gli uomini insegnassero loro a giocare>>. J. Huizinga L’inclinazione umana al gioco come fatto naturale Come gli animali, senza alcun intervento esterno di induzione, sono capaci di giocare, anzi tendono al gioco fin dai primissimi attimi di vita, così l’uomo ha immanente dentro di sé la predisposizione a giocare. L’homo ludens non è l’homo otiosus Johan Huizinga ci offre una definizione subito nitida di che cosa sia in realtà il ludus, sgombrando il campo da equivoche interpretazioni del tipo: gioco uguale ricreazione, e cioè marginalità in un processo pedagogico. Giocare, una nobile “arte” decaduta? • L’attività del gioco non può considerarsi simile a ciò che comunemente la nostra società designa come nullafacenza. • Non occorre addurre testimonianze ultra-remote per provare come il gioco abbia goduto in passato di una considerazione notevole. Basta ripensare alla concezione del gioco nell’antichità classica. L’ora della memoria: i giochi in Grecia Delfici, istmici, nemei e certamente giochi olimpici, questi ultimi a partire dal 776 a.C. in poi, in onore di Apollo, Poseidone e Zeus, ebbero sempre notevole importanza in Grecia per la forza di coesione culturale ed il senso della tradizione religiosa. Durante lo svolgimento di tali manifestazioni venivano addirittura applicate tregue militari. L’ora della memoria: i giochi a Roma Ancor più marcata la valenza sociale del gioco lo fu nella Roma imperiale, dove addirittura si giunse ad elaborare la celeberrima formula “panem et circenses”: la plebe aveva, attraverso l‘erogazione statale di servizi specifici fondamentali quali il sussidio alimentare e l’allestimento di attività ricreative, come la sensazione di essere necessariamente dipendente dalla magnanimità dell’imperatore. Giocare è secondo ragione <<Il gioco è una funzione che contiene un senso>>, secondo J. Huizinga. Oltre alla vacuità, nemmeno la banalità, come afferma nell’incipit del suo Homo ludens lo scrittore olandese, appartiene all’universo del gioco. Il gioco, un instrumentum pedagogico Lord Baden Powell, fondatore degli scout, definisce chiaramente il fine ultimo dell’attività ludica in alcuni scritti come Scoutismo per i ragazzi o Il libro dei Capi. Lo scoutismo impernia il proprio metodo educativo sul gioco: <<Tutto col gioco niente per gioco>>, sosteneva Powell. Avvincere ed entusiasmare: gli imperativi del gioco scout <<La chiave per un’educazione ben riuscita non è tanto quella di insegnare al ragazzo, quanto di indurlo a imparare da sé. L’argomento da instillare deve essere reso attraente e bisogna attirare il pesce con un verme succulento, non un pezzo di galletta secca>>. Baden Powell Le relazioni fra i soggetti giocanti: lo specchio della vita sociale Secondo il fondatore degli scout e primo propugnatore dello strumento educativo su cui si basa lo scoutismo, il gioco ha proprio quelle funzioni necessarie all’interazione tra soggetti diversi che, attraverso certe regole, imparano induttivamente e deduttivamente a conoscere i presupposti del vivere in relazione. Mens sana in corpore sano: la formazione armonica dell’Io proposta dal metodo scout <<Uno degli scopi dello scoutismo -sostiene Baden Powell- è quello di offrire al ragazzo giochi di squadra ed attività che possano potenziarne la salute e la vigorìa fisica e aiutare a formare il carattere. Questi giochi devono essere …basati sullo spirito d’emulazione; essi servono a dare ai ragazzi doti di coraggio, di lealtà nel rispetto delle regole, di disciplina… di altruismo nel giocare per la vittoria della squadra>>. Il fanciullo che gioca: il principio dell’imparar da sé Lo scoutismo si serve del gioco secondo una chiara teleologia per l’educazione del fanciullo: offrirgli, cioè, tutti gli strumenti per poter dedurre gli aspetti salienti della propria personalità attraverso l’espediente ludico, che costituisce anche il momento ottimale per conoscerlo e “plasmarlo” indirettamente da parte del formatore. Il gioco e lo sviluppo completo della personalità <<Il nostro metodo di formazione-scrive Baden Powell nel Manuale dei Lupetti-consiste nell’educare dal di dentro piuttosto che istruire dal di fuori; nell’offrire giochi e attività che, mentre sono attraenti per il bambino, lo educheranno seriamente dal punto di vista morale, mentale e fisico>> La capacità ludica immanente nel fanciullo: le teorie di S. Hall e K. Gross Nella nostra disamina abbiamo già ribadito come il gioco sia necessario nella formazione del bambino, e la presenza della necessità di giocare e della propensione al gioco nello stesso fanciullo fin dai primi vagiti. Interessanti, ad uopo, le teorie di due grandi studiosi del secolo scorso: S. Hall e K. Groos. La teoria di Hall sul gioco: regressione al primordiale e viatico per il divenire • S. Hall, interpretando l’infanzia e l’adolescenza come un periodo durante il quale l’individuo ripercorrerebbe in breve le varie fasi attraversate dalla specie cui appartiene, tentò di spiegare i comportamenti ludici che appaiono nel bambino alle diverse età (giochi di caccia, di lotta) come una regressione alle attività primordiali caratterizzanti gli inizi dell’esistenza della specie stessa. • Al contempo, Hall definì tale regressione ad prima come un passaggio necessario per il divenire della specie, una sorta di lasciapassare verso funzioni più complesse. La teoria evoluzionistica di Gross: il gioco come pre-esercizio • Gross avanzò l’ipotesi che il gioco costituisca non una traccia fuggevole di attività passate, ma un preesercizio di attività future, proprie della vita adulta: un bambino giocherebbe con un bambolotto preparandosi a svolgere funzioni paterne o materne. • Lo studioso tedesco, inoltre, completò la sua teoria utilizzando un principio di natura prettamente evoluzionistica: solo quei soggetti che maggiormente praticano queste attività ludiche nella fase infantile sostenne Grossrisulteranno più pronti, da adulti, ad adattarsi alle pressioni dell’ambiente. La teoria di J. Piaget: l’adattamento all’ambiente e i processi di assimilazione e accomodamento • J. Piaget analizzò la connessione e l’interdipendenza tra attività ludica e i processi di tipo cognitivo, emotivo o affettivo presenti nel bambino o nell’adulto. Per Piaget l’adattamento del fanciullo all’ambiente è il risultato dell’interazione fra due processi: quello di assimilazione della realtà, e sua canonizzazione in schemi preordinati, ed il successivo di accomodamento, ovvero di modificazione, di tali paradigmi a seconda delle variazioni imposte dai nuovi aspetti della realtà conosciuti. Il gioco scout: la sollecitazione completa della personalità <<Ciò che rende un gioco un buon gioco – sostiene Baden Powellè la capacità di sollecitare all’unisono corpo, mente ed anima del bambino o del ragazzo o dell’adulto>>. A ciascuno il suo gioco… Il metodo scout utilizza come un proprio elemento cardine il principio della sollecitazione complessiva della personalità del fanciullo, considerando pure che il soggetto giocante è essenzialmente un’entità in divenire, a cui non possono essere riferiti modelli ludici sempre uguali. La proposta educativa scout: il sistema delle progressioni Anche l’azione educativa proposta dallo scoutismo attraverso il gioco tiene conto della progressione fisica, personale, sociale, tecnica e fantastica del bambino, del ragazzo o dell’adulto, senza trascurarne alcuna. La progressione fisica Oggi più che mai i bambini di città che convergono nei Branchi/Cerchi appaiono goffi e scoordinati nei movimenti, mancando ad essi stimoli adeguati per poter sviluppare in modo armonico il proprio corpo. Il metodo pedagogico scoutistico è finalizzato allo sviluppo complessivo del fisico, proponendo al fanciullo attività all’aria aperta e a contatto con la natura, nonché cercando di far comprendere l’importanza di camminare a piedi. La progressione sociale Il gioco rappresenta quello che gli psicologi definiscono social learning, occasione importante per costruire rapporti di interrelazioni con gli altri e per apprendere le necessità del vivere di relazione. Il metodo scout pone grande attenzione alla socializzazione stessa del bambino. I giochi di famiglia felice Le proposte di gioco avanzate dagli adultieducatori nei primi mesi di vissuto comunitario sono dirette a favorire l’affiatamento e vengono comunemente inglobate nella definizione giochi di Famiglia Felice. Prove di crescita: i giochi di team Alla fine dell’anno il formatore propone giochi di squadra in cui il bambino, consolidato ormai nella capacità di stare con i coetanei, si accorge di dover impegnarsi, e quindi esprimere al meglio le proprie qualità all’interno del team stesso nel rispetto delle regole Il Branco, una palestra di vita Le regole sono esatte dalla vita di Branco e ancor più dalla vita sociale in cui il bambino dovrà inserirsi. Il messaggio del gioco si fa qualità morale <<Il bambino –afferma S. Schmidtchen ne Il fenomeno gioco - si è identificato con le norme, che a questo punto guidano il comportamento anche fuori dal gruppo e hanno acquistato una qualità morale>>. La progressione personale La progressione personale è prevista dal metodo scout al fine di consentire al fanciullo la piena conoscenza di sé, con limiti e talenti sia fisici che morali, verificati e verificabili durante le attività ludiche. Il bambino è stimolato in connessione con il momento di crescita attraversato ed è spronato a porre le proprie capacità al servizio degli altri nonché a riprendersi gioiosamente dopo ogni insuccesso. I segni della crescita: i distintivi Scandiscono i tempi della progressione personale del fanciullo alcuni simboli visivi e tangibili che identificano la posizione del lupettococcinella lungo la pista (iter formativo del bambino). Le età diverse: una risorsa educativa Si realizza il principio di verticalità promosso dallo scoutismo, che si avvale della Progressione Personale come ulteriore elemento formativo. La scala della crescita: la verticalità Secondo il metodo scout vengono assegnati diversi distintivi al: • Lupo della Legge (bambino alle prime esperienze di vita in comune) • Lupo della Rupe (bambino con almeno un anno di vita di Branco) • Lupo Anziano (bambino con almeno due anni di vita di Branco che inizia ad assumere responsabilità di educazione nei confronti dei più piccoli). Progressione fantastica Favorire lo sviluppo fantasticocreativo è importante per il bambino, sia perché risponde a precise esigenze (che si evidenziano ad esempio nel bambino piccolo che dialoga con se stesso, che anima le cose nella ricerca del meraviglioso), sia perché la dimensione fantastica è fondamentale al fine della reinterpretazione della realtà da parte del fanciullo stesso. I bambini e la riscoperta autentica del fantasticare Si sente spesso dire che i bambini sono molto creativi: questo è vero in linea di massima, il che non significa che non si incontrino soggetti con una notevole aridità di fantasia, abituati non tanto a creare con la propria inventiva, bensì a ripetere modelli derivati dai mass-media. La fantasia blandisce l’aggressività L’attività fantastica aiuta a scaricare positivamente l’aggressività.Il gioco scout è indirizzato a consentire autonomamente al fanciullo di canalizzare gli istinti nel solco delle regole che, man mano, il capoformatore ha veicolato attraverso precedenti espedienti ludico, discorsivo, di manualità tecnica Fantasticare: la password con cui l’adulto entra nell’universo “fanciullo” La base fantastica è quella da cui il formatore scout parte alla ricerca della comunicazione col bambino. Il senso di gruppo e l’appartenenza Il raggruppare in sotto-unità varie i bambini o i ragazzi cui andrà indirizzata l’azione formativa non rappresenta unicamente uno strumento pratico di organizzazione di un gruppo eterogeneo e talora numeroso di persone, bensì il primo modo per indurre il senso di coesione e di appartenenza, per sollecitare ciascuno dei componenti ed esprimere le proprie potenzialità per il successo del team. Gioco e competitività fra gruppi: la sestiglia e la squadriglia Se nel Branco/Cerchio la sestiglia ha ancora in nuce tali peculiarità, la squadriglia (unità nella quale converranno successivamente gli esploratori e le guide, i ragazzi cioè dai 12 ai 15 anni-progressione)avrà invece marcatamente la funzione di luogo di aggregazione fattivo per gli adolescenti stessi. Gli incarichi di squadriglia: la prospettiva dell’homo faber La squadriglia, nell’ambito della quale i singoli hanno tutti un incarico netto (magazziniere, cambusiere, guardiano delle tradizioni), costituisce la prospettiva di come dovrà comportarsi il futuro <<homo faber>>nella vita quotidiana. La squadriglia come unità giocante Come ci ricorda Baden Powell a proposito del gioco di squadra, è fondamentale<<che ogni squadra sia formata da una squadriglia>>. <<La squadriglia è l’unità dello scoutismo sempre-prosegue Powell-si tratti di lavoro o di gioco, di questioni disciplinari o di servizi da prestare>>. Il gioco scout: lealtà e dominio di sé Nel gioco, e ancor più nel gioco di squadra, i ragazzi imparano a operare in modo onesto e leale, mettendo in atto lo spirito di disciplina e il dominio di sé, osservando le regole e impegnandosi non per propria gloria ma per l’onore della squadra d’appartenenza. L’indispensabilità del formatore: il gioco a servizio del progetto educativo Il gioco non è educativo di per sé, ma deve essere usato come mezzo educativo dal formatore-capo. L’attenzione ai meno abili: la ripetizione del gioco per squadre Sulla metodologia da seguire nei giochi di squadra, è ancora Powell a tracciare la via maestra: il fondatore dello scoutismo, infatti, consiglia di organizzare i giochi in maniera tale che le finali avvengano tra perdenti, così da dare la possibilità ai meno abili di ripetere più volte le situazioni proposte della gara. Il gioco di squadra scout: l’incentivo al migliorarsi Il gioco di squadra scout non è finalizzato solo a promuovere i più capaci, ma a spronare i meno dotati a migliorare e migliorarsi secondo i propri tempi e le proprie capacità. Il gioco scout: tutti protagonisti, nessuna comparsa Il principio è che tutti siano attori e nessuno spettatore. Lo scoutismo vuole promuovere, oltre che la capacità dei singoli di fare vita comunitaria, anche l’attivismo di ciascuno inteso nel senso più ampio. Per <<lasciare il mondo un po’ migliore di come lo si è trovato>>, come predicava Baden Powell, occorre l’apporto fattivo di tutti. Non esistono, dunque, spazi per le comparse. Divertimento e avventura: lo spirito del gioco Il gioco di squadra scout ha infine un obiettivo notevole: quello di portare il ragazzo, entusiasmandolo e divertendolo, ad accettare con spirito sportivo sia la vittoria che la sconfitta, senza recriminare verso l’arbitro, senza inclinarsi al malumore. Il gioco di team: tornasole delle qualità dei singoli Non può passare in secondo piano il gioco di squadra allorché venga utilizzato dal capo formatore come cartina di tornasole delle propensioni e dei lati di carattere dei singoli. Ad un occhio attento, infatti, appariranno lampanti quali siano, e se vi siano, giocatori perspicaci, che si impegnano a fondo e lealmente; i presuntuosi, che credono di avere sempre ragione; quelli che cercano di aggirare le regole; i timidi; gli impulsivi; i distratti; gli irruenti; i paurosi. Il formatore e l’acribìa nelle scelte di gioco di squadra Per il capo formatore si impone una non comune acribìa nella scelta delle proposte di gioco da lanciare, nonché la puntualità nell’intervenire pedagogicamente, secondo il celeberrimo motto estote parati. Bibliografia F. Bagnasco, R. Grottin, L. Petacchi, Un gioco nascerà, Ed. Ancora, Milano, 1982. B.Powell, Giocare il gioco, Ed. Ancora, Milano, 1984. L. Varvelli, N. Varvelli, Il manuale dei giochi di gruppo, Ed. La Scuola, Brescia, 1987. D. Demetrio, L’educazione nella vita adulta, Carocci, Roma, 1999. A. Grieco, Enciclopedia illustrata dei giochi scout, Ed. Piemme, Casale Monferrato, 1993. S. Schmidtchen, Il fenomeno gioco, A. Erb. M. Edizione. J. Huizinga, Homo ludens, Ed Einaudi, Torino, 1946. P. De Sanctis Ricciardone, Antropologia e gioco, Liguori, Napoli, 1994.