1 Intervento di Isabella Fiorentini Direttore dell’Archivio Storico Civico e Bibliteca Trivulziana Prima di tutto, a nome della Trivulziana, rinnovo il benvenuto ai relatori che hanno generosamente accolto l’invito della Soprintendenza Beni Librari a parlare oggi qui del valore del libro, e saluto il nutrito pubblico che ha giudicato utile e interessante unirsi a noi per questa lunga e, confido, piacevole giornata di studio e riflessione. Sono molto lieta che la dott.ssa Ornella Foglieni abbia pensato di organizzare questo seminario, perché il tema centrale riveste grande interesse per la categoria professionale alla quale appartengo, impegnata in attività nelle quali la capacità di condurre sugli oggetti e le collezioni librarie stime di valore, corrette e ragionevoli, è davvero essenziale: penso ad attività quali gli acquisti, i prestiti, i rapporti con le assicurazioni, ma anche, e meno banalmente, la catalogazione, la mappatura del patrimonio al fine di determinare le priorità di salvataggio in caso di emergenza, le strategie di investimento e di fund raising e più in generale la politica complessiva dell’istituzione di appartenenza; e naturalmente penso non soltanto al valore venale ma anche a parametri diversi, non traducibili, almeno direttamente, in misure di tipo patrimoniale. Nella capacità di esercitare stime di valore (e di utilizzarne efficacemente gli esiti per orientare la propria attività) si esprime quindi una parte significativa della professionalità del bibliotecario, soprattutto ma non solo se ricopre incarichi direttivi. Lascio agli altri interventi della giornata il compito di sviluppare in modo qualificato aspetti specifici, quali le dinamiche d’asta, il ruolo delle librerie antiquarie o gli strumenti disponibili per la determinazione del valore di mercato dell’oggetto libro. Ho scelto di accennare, nei limiti del tempo concessomi, ai modi con i quali il bibliotecario di una biblioteca storica e di conservazione può declinare a fini pratici il concetto di valore, naturalmente applicato al libro. E lo faccio partendo dalla suggestione di questo luogo, la sala Weil Weiss, che è il nostro spazio conferenze ma che è, come vedete, anche una delle sale di conservazione del patrimonio. Ricordo che qui è collocata, al livello inferiore, la biblioteca raccolta all’inizio del secolo scorso dal barone Giuseppe Weil Weiss di Lainate con una passione che possiamo definire propriamente bibliofilica, una passione esercitata soprattutto 2 nell’ambito del libro bello, il libro d’arte, il libro illustrato, ben confezionato, bel legato – come molti di voi sapranno questa biblioteca è famosa anche se non soprattutto, per le legature artistiche, molte delle quali commissionate dallo stesso Weil Weiss ai migliori legatori del suo tempo, a rendere unico e prezioso ogni esemplare in suo possesso. Al livello superiore è collocata invece la parte a stampa del fondo Morando, una raccolta straordinaria di edizioni, alcune rare quando non rarissime, di opere selezionate dalla contessa Lydia Caprara Morando in base ad un preciso interesse disciplinare: quello per le scienze esoteriche. Questi due fondi librari, arrivati in forma di legato, rappresentano una sorta di enclave, per la loro separatezza fisica e per il loro specifico profilo bibliografico e bibliologico, in un’istituzione il cui corpus librario principale è costituito dalla raccolta Trivulziana, una raccolta sviluppata nel corso di generazioni all’interno della famiglia Trivulzio con interessi che possiamo definire, per semplificare, di tipo storico-antiquario e filologico. Una biblioteca privata, cospicua per dimensioni ma anche per la scrupolo erudito e scientifico con cui sono coperti tanti ambiti di studio. . Ci confrontiamo qui, per fare solo i tre esempi più noti che ci riguardano – Trivulzio, Morando, Weil Weiss -, con biblioteche costruite in tempi diversi, con interessi diversi e, possiamo dire, con diversi criteri di selezione delle opere rispetto all’universo bibliografico. Al di là del valore di mercato dei volumi che le compongono e del valore euristico rappresentato dai contenuti delle opere, sono tre biblioteche milanesi che assumono anche un valore che possiamo definire storico-documentario, poiché non sono soltanto fonte storica diretta ma raccontano anche, a chi sappia correttamente interpretare le scelte di cui sono espressione, molto della storia culturale della città e dell’identità dei precedenti proprietari. A questi valori corrisponde in modo proporzionale – è il caso soprattutto dello straordinario fondo Trivulzio – anche una significativa valenza simbolica, ovvero la capacità con la sola presenza di richiamare alla memoria e alla coscienza le componenti culturali e la dimensione storica dell’identità collettiva. Per la Trivulziana, questa valenza simbolica esercitò forse il massimo del proprio potere evocativo sull’opinione pubblica, quando negli anni Trenta del Novecento le 3 élites milanesi si mobilitarono per scongiurare la vendita del grosso del patrimonio Trivulzio alla città di Torino – una perdita che forse non avrebbe danneggiato, se non marginalmente, l’attività degli studiosi, ma che avrebbe comunque allontanato dalla città una parte della sua storia, rendendone remote e non più tangibili in loco le testimonianze. Il riconoscimento di quel valore intangibile per la città si tradusse concretamente nella disponibilità a pagare un prezzo, un prezzo piuttosto alto. Nove milioni di lire, com’è noto, furono pagati dal Comune di Milano, solo in parte con i proventi di una sottoscrizione pubblica. Nove milioni per acquisire i libri, ma anche opere di grafica, dipinti, oggetti di arte applicata, messi in vendita da Luigi Alberico Trivulzio. Grazie a quell’iniziativa di acquisto tutti questi oggetti si trovano oggi ancora a Milano, con due note eccezioni, riuniti per altro in un unico luogo, il Castello Sforzesco, che si presenta all’estremità dell’asse che lo congiunge al Duomo come una cittadella fortificata della cultura, non lontana dallo spirito con cui l’aveva concepita all’atto della ricostruzione di fine Ottocento l’architetto Beltrami, cittadella della cultura di cui il nostro Istituto fa orgogliosamente parte. Tale vicinanza aiuta ancor oggi a riconoscere più facilmente i legami reciproci originari tra i libri – manoscritti e a stampa – e le opere d’arte del museo Trivulzio, rendendo molti pezzi fonte evidente per una più ricca interpretazione e ricostruzione della storia degli altri. Nove milioni di lire del 1935, e sappiamo che quella somma aveva allora il potere di acquisto degli attuali 9 milioni di euro. Ma quanto vale davvero oggi la biblioteca Trivulziana? Per il mercato, per la città, per gli amministratori, per i suoi utilizzatori reali e potenziali, per i bibliotecari che ci lavorano. Sicuramente, se fosse lecito mettere all’incanto oggi la Biblioteca Trivulziana, in blocco o in piccoli lotti separati, non mancherebbero gli acquirenti disposti a pagare molto, moltissimo. La sommatoria del valore di mercato di ogni singolo ‘pezzo’ dell’acquisto Trivulzio supererebbe di gran lunga i nove milioni di euro. Ne abbiamo conferma continua nella verifica del prezzo sul mercato antiquario di esemplari simili ai nostri e nelle stime che facciamo a fini assicurativi. Solo quest’anno un nostro manoscritto è stato assicurato per cinque milioni di euro. 4 Senza fare troppi calcoli e riscontri di mercato, è sufficiente ricordare che rientrano nel gruppo d’acquisto del 1935, solo per citare gli esempi più clamorosi: uno dei manoscritti primari nello stemma codicum della Commedia dantesca, un libretto d’appunti di Leonardo da Vinci, una pala del Mantegna, il ciclo degli arazzi realizzati ai primi del ‘500 su disegno del Bramantino per Gian Giacomo Trivulzio il Magno. Ma per tornare ai libri, al potenziale prezzo di mercato assai alto della Trivulziana – determinato dalla rarità, bellezza, e anche buona conservazione degli esemplari – corrisponde ancor oggi un riconosciuto valore euristico e di profitto scientifico del suo patrimonio, testimoniato dal sempre vivo interesse degli specialisti, attivi in ambiti di ricerca anche piuttosto disparati. È sensato supporre che al valore venale e al potere conoscitivo di una raccolta libraria corrisponda sempre un investimento adeguato e proporzionato in risorse umane e finanziarie, finalizzato alla manutenzione conservativa, alla sicurezza, all’arricchimento degli strumenti di ricerca applicabili alla raccolta stessa, nonché alla sua accessibilità. Questo però per una biblioteca pubblica non avviene sempre e automaticamente, soprattutto se viene a mancare da parte della collettività e quindi dei suoi amministratori il riconoscimento anche del valore sociale, ovvero di un beneficio diffuso ricavabile dalla fruizione della raccolta, e quando si appanni anche la percezione del valore simbolico, identitario della biblioteca – valore al quale le biblioteche storiche e di conservazione hanno spesso ingenuamente creduto di poter affidare le loro prospettive di sviluppo, o almeno di dignitosa sopravvivenza. Gli effetti di questa disaffezione sociale si vedono soprattutto in tempi di crisi, quando i bilanci vengono passati più attentamente al setaccio ed è necessario rimettere in discussione scelte economiche del passato, perpetuatesi nel tempo magari non per reale convincimento degli amministratori che si sono avvicendati ma quasi solo per forza d’inerzia. Ricordiamo che il valore simbolico di un patrimonio è soggetto a fluttuazioni, quanto e più del valore venale; può attenuarsi o addirittura sfumare del tutto quando la storia e i contenuti di tale patrimonio, pur conservando interesse per la ricerca specialistica, non hanno più corrispondenze nell’immaginario collettivo o quando l’élite culturale che ne aveva promosso il riconoscimento ha perduto o ha rinunciato ad esercitare il suo ruolo di stimolo culturale e di coscienza critica della comunità locale o nazionale. 5 L’interesse degli specialisti non è infatti sufficiente a surrogare l’assenza o la perdita di valore simbolico o di percezione diffusa di utilità sociale della biblioteca storica e di conservazione, anche se ogni tanto porta un po’ di ossigeno grazie al finanziamento di specifici progetti promosso da università e fondazioni. Con l’eclissi del valore simbolico e sociale spesso sopravvive nella comunità unicamente la percezione del valore cimeliale dei fondi della biblioteca storica; e questo comporta il pericolo della musealizzazione della stessa, ovvero la sua trasformazione in una collezione di oggetti preziosi, o per riprendere una crudele ma efficace definizione di Alfredo Serrai, un «deposito di reliquie il cui capitolo di spesa quasi tutti auspicano possa venir falcidiato», e che solo i grandi specialisti continuano ancora a frequentare con interesse e profitto. In un intervento presentato molti anni fa in un convegno organizzato a Verona sulle biblioteche storiche lo stesso Serrai (v. A. SERRAI, Biblioteche e bibliografia. Vademecum disciplinare e professionale, a cura di Marco Menato, Roma, Bulzoni, 1994, pp. 17-28) sollecitava così i bibliotecari a non propagandare le proprie istituzioni solo in termini di testimonianza storica o di venustà e vetustà dei singoli pezzi (anch’io in realtà all’inizio di questo mio discorso sono caduta nella stessa trappola per amor di sintesi) e di lavorare invece per consentire ad un pubblico pertinente ma per quanto possibile ampio di «estrarre i frutti culturali compresi nelle […] estese e ricchissime potenzialità bibliografiche [delle biblioteche storiche]». Quattro erano le raccomandazioni che rivolgeva in modo particolare ai responsabili, tutte però nel segno del recupero e della comunicazione efficace dell’esatto rilievo e della precisa incidenza nel panorama documentario dei volumi della propria biblioteca, sia come entità separate che come insieme. È solo non stancandosi mai di ridefinire l’utilità del patrimonio rispetto a diverse classi di potenziali fruitori che è possibile svolgere, anche come biblioteca storica, un ruolo vitale nella comunità e trovare nello stesso tempo il giusto riconoscimento economico essenziale alla sopravvivenza. Un freno a questo approccio alla gestione bibliotecaria può essere il timore di esporre eccessivamente il prezioso patrimonio all’usura rappresentata da una consultazione eccessiva e maldestra da parte di lettori non preparati. Ma in realtà questo pericolo non sussiste, o solo in minima parte, se la biblioteca predispone 6 progressivamente percorsi, strumenti, servizi, regole di consultazione a misura di documento e di fruitore, realizzando sempre le condizioni più propizie ad ogni incontro tra l’uno e l’altro. E per far questo non sempre è necessario disporre di un grande capitale iniziale, se non fatto di idee, di impegno morale e di salda consapevolezza professionale. La missione di una biblioteca e la salvaguardia dei suoi valori tangibili e intangibili passa comunque sempre attraverso l’uso e la visibilità. E permettetemi di concludere con una citazione da Gabriel Naudé. Nel 1627, nelle sue Avvertenze Naudé ricordava al signor de Mesmes che «… le cose si devono valutare solo in rapporto al profitto e all’uso che se ne può fare, e che, per ciò che concerne in particolare i libri, essi assomigliano a quello di cui parlava Orazio nelle sue Epistole [Tu odi le chiavi e i sigilli graditi ai pudichi, soffri ad esser mostrato a pochi e desideri la pubblicità]» (v. G. NAUDÉ, Avvertenze per la costituzione di una biblioteca, introduzione traduzione e note di Vittoria Lacchini, Bologna, CLUEB, 1992, p. 109). «Tuttavia – continua Naudé – dal momento che non sarebbe ragionevole profanare in modo indiscreto ciò che deve essere amministrato con giudizio, si dovrà innanzitutto osservare che, non potendo tutte le biblioteche essere sempre aperte come l’Ambrosiana, dovrebbero almeno essere concesso a tutti coloro che ne avessero bisogno di rivolgersi liberamente al bibliotecario per esservi introdotti da lui senza alcuna dilazione o difficoltà… ». Qui troviamo espressi in modo semplice e diretto alcuni concetti fondamentali: il valore di una biblioteca che trova riconoscimento nell’uso, l’obbligo di coniugare le esigenze di consultazione con quelle della tutela e della buona conservazione, il ruolo del bibliotecario quale mediatore intelligente tra le raccolte e il pubblico – bibliotecario per il quale in un altro punto del trattato – ricordo ancora che siamo nel 1627 – Naudé auspica uno stipendio congruo, portando l’esempio degli addetti dell’Ambrosiana giustamente assai ben pagati per il loro lavoro.