La questione del Gesù storico
tre
il vangelo
quadriforme
«La santa madre Chiesa ritiene con fermezza che i quattro Vangeli, di cui afferma senza esitazione la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio
di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la
loro eterna salvezza, fino al giorno in cui fu assunto in cielo. Gli apostoli poi,
dopo l’Ascensione del Signore, trasmisero ai loro ascoltatori ciò che egli aveva
detto e fatto... illuminati dallo Spirito di verità» (Dei Verbum, 19).
D
a due millenni i quattro vangeli
canonici di Matteo, Marco, Luca e Giovanni sono stati considerati le fonti storiche principali
su Gesù di Nazareth.
In questo senso anche la costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione del
Concilio Vaticano II (18 novembre 1965) citata qui sopra ricorda che: «Gli autori sacri
scrissero i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte che erano tramandate a voce o già per iscritto, redigendo un
riassunto di altre, o spiegandole con riguardo alla situazione delle Chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferire su Gesù
cose vere e sincere» (Dei Verbum, 19).
Dunque, per ritrovare l’immagine autentica di Gesù non si può prescindere dai
Vangeli canonici. Recentemente è sorta
anche la questione dei vangeli apocrifi che
noi esamineremo inseguito.
La critica storica ottocentesca tendeva
a collocare la stesura scritta dei vangeli
canonici fino a un secolo dopo gli eventi
raccontati. Sembrava che i vangeli fossero
«favole popolari», amplificate e deformate
dalla fantasia. Ma le recenti scoperte papirologiche e l’analisi linguistica del greco
dei vangeli hanno imposto una datazione
anteriore, molto vicina agli eventi, di origine ebraica. Cerchiamo dunque di ricostruire i fatti.
La morte di Gesù è avvenuta intorno
all’anno trenta. Dopo di allora, gli apostoli sono rimasti a Gerusalemme circa
trent’anni, per costituire la prima comunità
cristiana, fedele agli insegnamenti del maestro. È la fase della predicazione orale.
Nel giudaismo dell’epoca la tradizione
orale veniva tramandata seguendo regole
precise e rigide di fedeltà, parola per parola. Nelle scuole rabbiniche gli insegnamenti venivano imparati a memoria, con il
controllo e l’autorità del maestro. È quindi
verosimile che anche la prima comunità
cristiana, costituita da ebrei, abbia seguito
questa prassi di trasmissione fedele delle
parole del maestro, fissate dall’autorità
degli Apostoli. Fu raccolto così il materiale
che confluirà nelle diverse fonti che precederanno la redazione scritta dei vangeli.
I. Cronologia del NT
Vediamo allora anzitutto la cronologia
degli scritti del Nuovo Testamento
A. Le Lettere di Paolo
Le prime opere del Nuovo testamento
13
ad essere scritte sono state le Epistole
di San Paolo. Nell’anno 50/51 abbiamo I
Tessalonicesi. La II ai Tessalonicesi, non
può essere stata scritta molto dopo, e la
sua intestazione è simile a quella della I
(menziona Timoteo e Silvano). Entrambe
sono state redatte a Corinto, ove Paolo si
trovava e dove venne raggiunto da Timoteo, che era stato a Tessalonica in sua
vece e che gli riportava notizie dalla Chiesa fondata dall’Apostolo, fornendo l’occasione per lo scritto.
La lettera ai Galati, che deve essere
stata scritta a Efeso tra il 54 e il 58. Alla
stessa data risalirebbe anche I Corinti, secondo le indicazioni dell’autore medesimo.
Anche Filippesi è ormai quasi comunemente datata al periodo efesino. II Corinti
invece è stata scritta dopo la partenza
da Efeso, in Macedonia (fine del 57). Da
Corinto, in un secondo soggiorno, è stata
scritta Romani nel 58. Colossesi ed Efesini sono difficilmente databili perché secondo gli esegeti sono della cerchia tardiva di
Paolo.
Tarde sono anche le «lettere pastorali».
La Lettera agli Ebrei, ritenuta generalmente non di Paolo né di un suo discepolo, era
già citata da Clemente Romano e quindi
deve essere anteriore al 96.
Apostoli, alcuni antichi (Eusebio, Gerolamo) supponevano che Luca avesse scritto
quando Paolo era ancora in vita, e perciò
all’inizio degli anni ‘60. I moderni oscillano
tra varie datazioni, ma in genere ritengono
che Luca abbia scritto il Vangelo dopo il
70, l’anno dell’assedio e della distruzione
di Gerusalemme
II. La questione sinottica
Esaminiamo finalmente i Vangeli. Anzitutto, cosa significa la parola «Vangelo»? Essa deriva dalla parola greca euanghélion e significa letteralmente “lieto
annunzio”, “buona notizia” (eu = buono,
anghelion = annuncio). Gli “angeli”, il cui
nome ha la stessa radice, sono coloro che
portano gli annunci di Dio.
Nonostante la conoscenza e l’accettazione di questi quattro libri chiamati «Vangeli», nelle opere dei Padri si continua a
conservare la parola singolare «Vangelo»,
per indicare tutta la collezione.
Quest’uso continua fino ai nostri giorni.
Ireneo adopera l’espressione «Vangelo
quadriforme» (cioé un unico Vangelo sotto
quattro forme) e, sicuramente a partire dal
III secolo, si é preso l’abitudine di specificare ogni Vangelo con il nome dello scrittore: nascono così le formule liturgiche
«secondo Matteo», «secondo Marco»…
Non si dice «Vangelo di Matteo», perché
si ritiene che il Vangelo sia solo «di Gesù
Cristo»; il nome dell’apostolo indica, dunque, la mediazione e l’elaborazione letteraria, non la paternità del contenuto. La
titolatura completa sarebbe dunque: «Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo».
Per studiare scientificamente gli scritti
del NT si è affrontata, anzitutto, la questione dei rapporti tra i Vangeli, per spiegare
analogie e differenze e cercare di definire
se ci sono stati contatti reciproci, e quali.
Pur all’interno di un genere comune,
infatti, i Vangeli si differenziano tra loro e
la valutazione di queste differenze ha da
sempre suscitato discussioni e ipotesi. La
difficoltà viene sentita soprattutto in quan-
B. I Vangeli
Per i Vangeli, si è d’accordo fin dall’antichità sul fatto che il Vangelo di Giovanni sia il più tardo (tra il 90 e il 100). Due
frammenti papiracei databili tra il 115 e il
125, provenienti dall’Egitto, ci confermano
l’ipotesi tradizionale che la redazione risalga all’ultimo decennio del I secolo.
Per quanto riguarda i sinottici la cronologia oscilla tra prima e dopo il 70, l’anno
della distruzione di Gerusalemme e del
Tempio ad opera dei Romani, in base alla
presenza o all’assenza di allusioni a questo avvenimento cruciale. Marco dovrebbe
essere anteriore al 70, mentre Matteo e
Luca sarebbero posteriori, anche perché
dipenderebbero da Mc.
Per il Vangelo di Luca e gli Atti degli
14
to le differenze sono un ostacolo per la
ricostruzione storica dei fatti e sembrano
contraddire il principio della veridicità della
Scrittura.
In antico si era cercato di ovviare alle
differenze dei Vangeli con alcune soluzioni
come le «armonie» evangeliche come il
Diatessaron (diá tessárôn, «attraverso i
quattro») di Taziano (ca.180) o con studi
come il De consensu evangelistarum di
Agostino–.
i sinottici: le parabole, l’invio dei Dodici
in missione, la Trasfigurazione, il discorso escatologico, le guarigioni di lebbrosi
e indemoniati (in genere i miracoli sono
pochi), l’istituzione dell’eucarestia (sostituita dalla lavanda dei piedi), ecc. Molto
materiale è soltanto suo: le nozze di Cana,
l’incontro con la Samaritana, la risurrezione di Lazzaro, ecc.
A. I tre “sinottici”
e il Vangelo secondo Giovanni
Se si prende in mano una sinossi, si notano subito le somiglianze e le differenze
tra i tre Vangeli di Marco, Matteo e Luca.
Marco, il più breve, ha 661 versetti di cui
solo una trentina risultano senza paralleli
negli altri due.
Buona parte del testo di Matteo e di
Luca trova riscontro in Marco (600 versetti
circa su 1068 in Matteo, 314 su 1149 in
Luca). Matteo e Luca hanno poi 230-240
versetti di materiale comune a entrambi e
non presente in Marco tra cui sette parabole (la pecora smarrita, il banchetto, i
talenti o le mine, ecc.) e in genere molti
discorsi (il discorso della montagna, che
in Lc è il discorso della pianura, il Padre
nostro, ecc.).
Solo Matteo e Luca presentano il racconto dell’infanzia di Gesù, che però ha
pochi elementi comuni. Infine ciascuno
dei due presenta materiale proprio, senza
paralleli negli altri Vangeli (Matteo ha 315
versetti propri, Luca 548). Per esempio,
Matteo ha otto parabole sue (zizzania,
vignaioli, vergini sagge e vergini stolte,
ecc.). Luca ha cinque miracoli (risurrezione del figlio della vedova di Naim, ecc.),
sedici parabole (il buon samaritano, il
figliuol prodigo, il ricco epulone e il povero
Lazzaro, il fariseo e il pubblicano, ecc.),
vari episodi (Marta e Maria, Zaccheo, i
discepoli di Emmaus, ecc.).
I due evangelisti distribuiscono in modi
diversi, all’interno dello schema fondamentale fornito dal Vangelo di Mc, il materiale proprio e quello comune a entrambi.
Matteo tende a concentrare le parole di
B. Analisi dei Vangeli sinottici
La critica moderna, a partire dal XVIII
sec., ha assunto un orientamento nuovo.
Ha riconosciuto innanzitutto una netta
distinzione tra il Vangelo di Giovanni da
una parte, e gli altri tre Vangeli, dall’altra,
che vengono definiti «sinottici» (da Johann Jakob Griesbach, 1774), in quanto
è possibile, ponendoli su tre colonne in
parallelo, avere una synópsis o «visione di
insieme».
Matteo (Mt), Marco (Mc) e Luca (Lc)
presentano infatti forti somiglianze. Seguono essenzialmente una struttura
comune, che prevede alcune tappe: la
preparazione del ministero di Gesù culminante col battesimo, il ministero in Galilea,
il viaggio a Gerusalemme, la passione e
la risurrezione. Anche all’interno di queste
sezioni concordano in molti racconti di
episodi, miracoli e discorsi di Gesù.
Invece il Vangelo di Giovanni (Gv), che
pure ha elementi in comune con gli altri,
soprattutto nel racconto della settimana
della passione, segue un piano diverso,
in cui è ridotto lo spazio del ministero in
Galilea, mentre a Gerusalemme Gesù si
reca almeno tre volte, e l’ultima volta vi resta circa sei mesi. Perciò anche la durata
complessiva del ministero di Gesù risulta
di due o tre anni invece che un anno. Inoltre in Gv i racconti sono quasi soltanto un
pretesto per grandi discorsi che trattano
uno o più temi in forma di dialogo.
Mancano in Gv elementi essenziali per
15
Gesù in grandi discorsi, che sono la sua
caratteristica più vistosa (discorso della
montagna; istruzioni agli apostoli, discorso
in parabole, regola della comunità, discorso contro Scribi e Farisei, discorso escatologico).
Altri esempi: il racconto di Gesù nel
deserto, che in Marco è estremamente
laconico (1,12-13), viene sviluppato in
tre tentazioni da Matteo (4,1-11) e Luca
(4,1-13). Le beatitudini sono nove in Mt
(5,3-12) e quattro in Lc (6,20-23), che le fa
seguire, solo lui, da quattro «guai». Sia Mt
sia Lc dànno una genealogia di Gesù, ma
Mt la dà all’inizio del suo Vangelo (1,1-17)
e parte da Abramo per arrivare a Gesù, Lc
invece la pone dopo il battesimo (3,23-38)
e risale da Gesù fino ad Adamo.
Anche i racconti dell’infanzia sono molto diversi nei contenuti specifici. Mt parla
del fidanzamento di Maria e di Giuseppe
e dei dubbi di Giuseppe sulla sua sposa
incinta, dubbi fugati da un sogno; si sofferma sulla visita dei Magi al bambino, sulla
fuga in Egitto e sulla strage degli innocenti. Lc invece incomincia dall’annuncio della
nascita di Giovanni Battista a Zaccaria
e dall’annuncio della nascita di Gesù a
Maria, narra la visita di Maria a Elisabetta,
la nascita di Giovanni Battista e la profezia
di Zaccaria; racconta la nascita di Gesù e
l’annuncio ai pastori, la presentazione al
Tempio e le profezie di Simeone e Anna,
l’episodio di Gesù tra i dottori.
gelo primitivo, scritto in aramaico e più
volte rielaborato; oppure a dipendenza
da varie raccolte di miracoli, di discorsi, di
fatti relativi alla passione, ecc.; oppure a
dipendenza dalla tradizione orale ecc.
Il risultato è che ancora oggi prevale fra
gli studiosi, l’ipotesi della priorità marciana. Semplificando questa ipotesi si potrebbe dire che Matteo e Luca, avrebbero
tratto entrambi ispirazione da Marco, ma
anche da una seconda fonte (la cosiddetta
fonte Q, dall’iniziale di Quelle, «fonte» in
tedesco), consistente in una raccolta di
detti del Signore, presumibilmente scritta
e in greco; questa fonte sarebbe rimasta
sconosciuta a Marco. Nacque così la cosiddetta «teoria delle due fonti», che ottenne presto l’adesione dei più grandi biblisti
del Novecento.
Oggi l’origine dei Sinottici, sulla base
di un secolo di studi e di una bibliografia
sterminata, è stata in qualche modo riscritta. È nata così la teoria delle quattro fonti
principali (cfr. Philippe Rolland 1984). Ma
vediamo le ipotesi più accreditate sulle
diverse tappe che hanno condotto alla
formazione dei Vangeli sinottici.
III. LE TAPPE DI FORMAZIONE
1. La tradizione orale
In principio era la predicazione. Il
gruppo degli apostoli, dopo la Pasqua di
Gesù Cristo, ha iniziato ad annunciare
a Gerusalemme la sua risurrezione e la
sua dignità messianica: erano ebrei che
predicavano ad altri ebrei sulla venuta del
Messia e lo identificavano con Gesù di
Nazaret crocifisso e risorto. La primitiva
comunità cristiana annuncia oralmente
la buona notizia di Gesù che é il Cristo: il
contenuto essenziale di questa predicazione viene chiamato, con il termine tecnico,
«kerygma».
Esempi concreti di questo primo annuncio li troviamo ripetutamente negli Atti
degli Apostoli; leggiamo, come campione
significativo, la predica tenuta da Pietro
C. La teoria delle due fonti
Le spiegazioni che sono state tentate di
questi fenomeni, a partire dal XVIII secolo,
sono numerosissime e talora molto complicate. La difficoltà deriva dal fatto che
certamente ci fu un processo graduale di
formazione dei Vangeli a partire da tradizioni precedenti, orali e scritte, ma noi non
abbiamo una documentazione di questo
processo: lo si può ricostruire, e in forma
soltanto ipotetica, attraverso il confronto e
l’analisi dei testi evangelici stessi.
Si è pensato a dipendenza da un van16
alla famiglia del centurione Comelio:
sinottici (a differenza di Giovanni) sono
composti di brevi unità letterarie che
hanno una propria organicità con un inizio
ed una fine e si comprendono anche fuori
del loro contesto. Ognuna di queste unità
minime é stata chiamata «pericope» (in
greco = «elemento tagliato tutt’intorno»),
capace di vita autonoma.
Prima, dunque, dei Vangeli completi
sono nate moltissime pericopi, ciascuna
con una forma ben precisa, che permette al testo di essere appreso, ricordato e
tramandato.
Il materiale evangelico in questa fase
di formazione letteraria può essere diviso
sommariamente in due grossi blocchi: i
detti e i fatti di Gesù, ricordati e riproposti
dalla predicazione apostolica. Le parole
che diceva Gesù (chiamate con tennine tecnico «loghia») si sono fissate ben
presto in una forma precisa e sono state
insegnate e ripetute molte volte, spesso
senza contesto e con collegamenti vari.
Tutte queste cose sono state tramandate
in modo costante e fedele.
La formazione delle raccolta di pericopi
e loghia, è stata motivata dalle necessità
liturgiche, catechetiche e kerigmatiche..
Questo lavoro non e stato solo frutto
dell’attività umana: gli apostoli e gli uomini
della loro cerchia, infatti, hanno collaborato con lo Spirito di Dio che li ha guidati
al ricordo e alla comprensione piena e
corretta della vita e della parola di Gesù.
Ricordate la promessa di Gesù stesso:
«Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre
manderà nel mio nome, lui vi insegnerà
ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi
ho detto» (Gv 14,25-26).
L’insegnamento dei testimoni, dunque,
non è un semplice resoconto di cronaca,
ma offre anche l’interpretazione dei fatti,
corretta perché guidata dallo Spirito Santo. Ma attenzione: interpretazione non vuoi
dire invenzione e nemmeno mistificazione!
«Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la
Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il
battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio
consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di
Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del
diavolo, perché Dio era con lui. E noi siamo
testimoni di tutte le cose da lui compiute nella
regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo
uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo
ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni
prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato
e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai
morti. E ci ha ordinato di annunciare al popolo e
di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei
morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno
questa testimonianza: chiunque crede in lui
riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo
nome» (At 10,37-43).
Questa predica é un autentico vangelo
in miniatura e riproduce nelle linee essenziali l’intera composizione dei sinottici: parte dal battesimo di Giovanni, accenna alla
predicazione di Gesù in Galilea e ai suoi
miracoli, ricorda il viaggio a Gerusalemme,
la condanna alla morte di croce e la risurrezione, fonda nell’esperienza del Cristo
risorto l’origine della missione apostolica.
Gli apostoli, dunque, raccontavano a
voce gli episodi di cui erano stati testimoni
durante la loro vita con Gesù e ripetevano,
a chi non l’aveva conosciuto, le sue parole
e suoi insegnamenti.
2. Le forme letterarie pre-evangeliche
La primitiva predicazione apostolica era
strettamente legata alla vita della comunità cristiana, soprattutto di Gerusalemme e
lentamente i ricordi ed i racconti assumevano una forma ben precisa che si conservava poi nella seguente trasmissione.
Lo studio attento e minuzioso di questo
processo di formazione letteraria é stato
compiuto da alcuni esegeti che, intorno
agli anni 20 del Novecento hanno dato vita
al metodo chiamato «Storia della forme»
(in tedesco: Formgeschichte).
Come possiamo facilmente notare nelle
nostre celebrazioni liturgiche, i Vangeli
3. I primi testi scritti
È molto probabile che la predicazione
17
Il Vangelo dei Dodici, tuttavia, continuava a rimanere per molti predicatori itineranti il testo base per l’insegnamento cristiano. Come Barnaba per Antiochia, così
e possibile che Sila, membro autorevole
della Chiesa di Gerusalemme, divenuto
collaboratore di Paolo, abbia introdotto il
Vangelo dei Dodici nelle nuove comunità
fondate da Paolo: Filippi, Tessalonica,
Corinto. Lì il testo tradotto in greco fu certo
arricchito con tradizioni orali, utilizzate da
Paolo e dal suo gruppo nella predicazione
formando così un «Vangelo paolino».
Queste edizioni diverse del Vangelo
sarebbero le fonti principali dei tre sinottici:
il Vangelo ellenista servì da fonte a Matteo, il Vangelo paolino a Luca e tutti e due
furono fusi insieme da Marco, desideroso
di conservare la ricchezza di entrambi.
E la famosa fonte «Q», cioe i 240 versetti comuni a Matteo e Luca, ma ignorati
da Marco? Si tratta quasi esclusivamente
di loghia, cioe parole di Gesù. Alcuni pensano che sia l’eco della catechesi ai «timorati di Dio» (convertiti di origine greca).
Tale testo sarebbe nato a Cesarea Marittima, città collegata con la figura del diacono ellenista Filippo (cfr. At 8,40; 21,8), il
quale viene chiamato abitualmente «evangelista». Fu lui, forse, che prendendosi
cura della comunità di Cesarea, negli anni
40, raccolse in greco molti insegnamenti di
Gesù in un testo che possiamo chiamare
«Vangelo dei timorati di Dio». A questa
fonte «Q» hanno attinto Matteo e Luca,
ma non Marco. n
orale degli apostoli venisse ben presto
messa per iscritto. Ed e in questa fase
molto arcaica che si pone la composizione
ipotetica del «Vangelo dei Dodici», che
sarebbe la più antica raccolta di materiale evangelico, elaborata prima dell’anno
36, nella comunità di Gerusalemme per il
diretto contributo degli apostoli. Doveva
raccogliere tutti i testi comuni ai tre sinottici. Data l’arcaicita della composizione e
l’ambiente vitale di Gerusalemme, é quasi
sicuro che questo testo fosse scritto in
lingua semitica, ebraico o aramaico.
Quando, la comunità degli «ellenisti»
verso l’anno 36, fu cacciata da Gerusalemme, essa portò l’annuncio nelle regioni
della Siria:
«Alcuni di loro, gente di Cipro e di Cirene, giunti
ad Antiòchia, cominciarono a parlare anche ai
Greci, annunciando che Gesù è il Signore. E la
mano del Signore era con loro e così un grande numero credette e si convertì al Signore.
Questa notizia giunse agli orecchi della Chiesa
di Gerusalemme, e mandarono Bàrnaba ad Antiòchia. Quando questi giunse e vide la grazia
di Dio, si rallegrò ed esortava tutti a restare, con
cuore risoluto, fedeli al Signore, da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede. E
una folla considerevole fu aggiunta al Signore»
(At 11,19-24).
È chiaro che questa comunità di Antiochia ebbe ben presto bisogno di documenti riguardo a Gesù per la sua catechesi
e la sua liturgia. Il Vangelo dei Dodici, il
testo della Chiesa madre di Gerusalemme, costituiva una fonte normativa e,
molto probabilmente, fu portato alla nuova comunita da Barnaba, come segno di
comunione con il gruppo apostolico.
Il testo fu tradotto in greco e adattato
alla situazione della comunità ellenistica di
Antiochia. Cosi l’antico Vangelo dei Dodici
fu tradotto in greco ed accresciuto di un
gran numero di tradizioni degli ellenisti
che mettevano in evidenza soprattutto la
portata universale del messaggio cristiano. Nacque così ad Antiochia una nuova
edizione del Vangelo primitivo che possiamo chiamare il «Vangelo ellenista».
Il pensiero di Madre Paolina
«Dio ha disposto tutto al meglio e
continuerà a farlo con amore di Padre.
Chissà come vorrà ordinare ogni cosa
alla fine? Spesso per anni prepara i
suoi piani e li realizza quando gli piace. Il Signore ha fatto bene ogni cosa».
18
19
Scarica

GESUSTORICO - Cap. 3 - Suore della Carità Cristiana