22 Esuli e Rimasti
LA VOCE DEL POPOLO
SABATO, 11 settembre 2010
CIACOLADE
di Alfredo Fucci
Quele donne fiumane distirade per tera
Sbisigar fra le carte de
casa, alle volte xe come dialogar con i nostri che non xe
più. Queste xe robe che poso
far solo adesso che son in
pension e go voia de riveder i
volti cari ma mai dimenticadi dei mii. Cussi go trovà dei
scriti de la mia mama, fiumana, che la scriveva:
”Me era care le suore Benedettine (se parla del
1910), la Suor Edoarda Superiora, la Suor Placida, vigilatrice d’infanzia, suor
Pia de Padova,quela che me
ga insegnà ad amar l’Italia,
Dante,i poeti e el Re d’Italia che allora regnava. La
vita era bela nel Collegio de
Graz, dove go passado qua-
si cinque anni; ma durante
la guera non gavevimo pan
e mi scondevo nel leto quel
che la mama me mandava in
pachetto da Fiume. La Suora
Norberta Ethel, superiora, la
gaveva un fratel archeologo
che scriveva libri sull’Africa,
sui fiumi, sulla flora e sulla
fauna che dovevimo studiar.
Poi el profesor de matematica e disegno, che me ga insegnà ad amar el color, e le
mie amiche: tante ma soprattutto quela dalmata, che la
me ga installà la febbre irredentista, l’amor per l’Italia e
con essa, come i patrioti del
risorgimento parlavimo de
scondon in italian e se esaltavimo come i carbonari e quei
RICORDI
de la Giovane Italia del Risorgimento. Crollada l’Austria, tornada a Fiume, dopo
cinque ani xe arrivadi i legionari e el mio primo amor, el
legionario Alfonso di Carlo
che i mii non voleva che frequentassi e che dopo el me
ga continua a scriver per due
ani. Ma mi non savevo niente, perché la mia zia, impiegata de la posta, la intercettava e la faceva sparir le sue
lettere. Me go amalà de dolor
per questo. Era stà el tempo
de D’Annunzio e come tanti fiumani de allora, ex sudditi dell’Impero presi da la
ventada irredenista portada
da sti baldi giovani italiani in
divisa, anca mi me go iscritto
di Aggeo Biasi
Sfida rusticana
Gli ultimi raggi di sole di quel lontano settembre accendevano di tinte rossastre e dorate la vetusta chiesa di San Giusto. Due candide colombe, spaventate dall’improvviso
schiamazzo, si librarono in volo dal piccolo
campanile a vela, fecero un giro, poi sparirono. Sull’attigua piazzola, alcuni giovani gallesanesi si divertivano sfidandosi “a brasse”,
una tipica lotta paesana. Due persone si stringevano l’un l’altra con le braccia cercando di
atterrare l’avversario. C’era qualcosa di comico nei visi dei lottatori e nella determinazione con cui cercavano di superarsi a vicenda: una comicità sottolineata anche dalle loro
battute spiritose e dallo sforzo di non lasciarsi sfuggire qualche “moccolo”. Difatti, assisteva alla competizione anche il nostro amato
parroco don Marino, giovane sacerdote, colto, intelligente, buono. Alla fine, risultò vincitore su tutti i lottatori “Lissandro Burgucian”,
un giovanotto alto e robusto che aveva steso
tutti gli antagonisti con estrema facilità. Entusiasta di quel passatempo, don Marino, vigoroso montanaro, volle sfidare il vincitore.
“Ma, la vol scherzar, reverendo, mo non me
permeterò mai de farghe un sgarbo a lei… e
poi… el sacro? si schermì Alessandro.
Saper rivivere con piacere il
passato è come vivere due volte
Don Marino si levò la veste talare, la depose su una grossa pietra, si avvicinò al Burgucian, lo afferrò e… dopo due secondi si trovò col sedere per terra. E, mentre il sacerdote
si rialzava sorridente, quei giovani spensierati
cantavano: “E la corente elettrica xe ‘na corente forte; chi toca don Marino, pericolo de
morte!” Nella espansività, nella cordialità di
quei bravi giovani c’era un auspicio di felicità
futura: una promessa che gli eventi avrebbero brutalmente vanificata, rendendoci la vita
grama. Per dirla con Anton Cechov: “La vita
si abbatté su di noi con una tale pesantezza
Fiume,1919: legionari e fanciulle su uno dei moli del porto
da non permetterci di rialzarci, si abbatté con
mille gravi bastonate. “ Misurarsi in questa
tipica competizione era allora un passatempo
consueto. Numerose erano le sfide non solo
fra compaesani, ma anche fra campioni di paesi limitrofi. In una di queste gare, anni addietro, una giovane vita era stata accidentalmente spezzata. Un Marcantonio di Lavarigo, alto
un metro e novanta, aveva sfidato un gallesanese piccolo di statura ma dalle braccia di acciaio. Questi, nell’abbraccio, aveva spezzato
la gabbia toracica all’avversario, uccidendolo. Tragica fatalità, legittima difesa, triste incidente? Forse solo incoscienza. I ricordi bussano continuamente alla mia porta. Il passato
gallesanese mi si ripresenta con una precisione che mi sbalordisce. E ciò che mi aveva stupito, divertito, incantato un tempo, mi affascina e diverte ancora. Un epigramma di Marziale asserisce che saper rivivere con piacere
il passato è viver due volte.
Tratto da Gente di Gallesano
subito ai “fasci de combattimento fiumani”. Noi a Fiume
a quei tempi non savevimo
ben cossa che era sti ‘fasci’
ma iscrivendose ne pareva
de esser più italiani dei altri. L’Italia del ‘oio di ricino’ (la storia la go leta solo
dopo) la ne era ignota. Così
a Cantrida me gavevo distirà
anche mi per tera con le altre mule fiumane per impedir
che D’Annunzio lassi la nostra ‘Fiume d’Italia’…”
Così scriveva la mia
mama in tei sui diari. Ogi per
mi leger quel cha la ga lassa
scrito xe come aprir la tomba de Tutankamon e trovar
reperti archeologici, rimasti
sepelidi per ani e ani in un
quaderneto che, a insaputa
de tuti, la scriveva. A queste
sue memorie la ghe gaveva
dado el titolo “Fiume la mia
città nativa, mio amore perduto per sempre”.
In prima pagina la gaveva scrito: “Là a Fiume go la
tomba dei mii antenati. Mai
più sarò sepolta vicin a mio
papà, el mio unico amor,
morto a 27 anni nel pien de
le sue speranze per un futuro
del suo lavor e de la bottega
che el gaveva apena aperto”.
Quel che più me ga colpì de
quel che mia mama ga lassa
scritto xe i passi indove che
la parla del suo intenso amor
di Patria, de quela febbre fiumana che la gaveva per l’Italia
Quanti che era a quei
tempi i fiumani che, come
mia mamma, i se vantava de
esser veri patrioti, che i se
esaltava per Nazario Sauro,
per Oberdan, per Cesare Battisti o Fabio Filzi. E a mi alle
elementari la me vestiva con
la montura de balilla, Me ricordo che vagego al collo el
fazzoletto celeste coi leoni
de Zara, indove che son nato
per caso, perché a quei tempio mio papà lavorava alla
Manifattura Tabacchi de Arbanasi.
Invecio, e come che faceva i nostri veci, parlo sempre
de più de ricordi lontani. Po’
magari me dimentico cossa
che go fato ieri, ma me ricordo sempre de più de quel che
facevo de picio. Insomma go
la testa sempre indrio, a Fiume e ai ricordi dei mii veci,
finidi insieme con mi esuli in
Pianura padana, a morir lontan del nostro mar e dei nostri monti.
Conto questo perché tuto
quel amor de Patria che go
sentì per tuta la mia infanzia
sprizar fora dei pori dei mii
veci fiumani, me par oggi
quasi roba impossibile che
fosse esistida. Ogi che el tricolor i lo tira fori solo se se
vince un campionato de calcio.
Alfredo Fucci
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