DEL POPOLO il pentagramma ce vo /la .hr dit w.e ww & De praedictionis et de futurus gloriosus di Patrizia Venucci Merdžo Gentilissimi, ho fatto un sogno; o meglio ho vissuto oniricamente una… “profezia retrospettiva”; nel senso che ho visto qualcosa che sarebbe dovuta succedere l’anno scorso, che non è successa ma che comunque, un bel dì, succederà! (Non so se ho reso l’idea). Dunque, ero l’oracolo di Delfi (anche se in realtà stavo sulla cima del Monte Maggiore e guardavo tutti dall’alto in basso) e con aria ispirata osservavo la lussureggiante costa liburnica, quando ad un tratto!, a livello del loco di Tarsatica vidi un gran polverone! “Saranno Asterix e Obelix che si ‘patuffano’ con le legioni romane?” mi chiesi. Nix Asterix. Erano i potentati, i sapienti, i musici del loco che “a suon” di cazzotti e gomitate si contendevano il primato per i festeggiamenti del Centesimo anniversario della Società di Concerti (la lingua batte dove il dente duole)! I maggiorenti che tenevano la “scarsella” strillavano a più non posso: ”Tre milioni di sesterzi!...No! Sei milioni di sesterzi!...Dieci milioniiii!!!” Un , due, tre. Aggiudicato”! Sentenziava con gran dignità il paludato prefetto Ober(super)snellex. I musicologi del Centro di ricerche musicali di Tarsatica (che non esiste ancora ma che “prevedo”, esisterà) facevano a calci e pugni per l’allestimento di una maxi mostra. ”La faccio io! Tridimensionale e con le installazioni!! - Zitto tu (gomitata nello stomaco) che non capisci un cacchius! La faccio io. A quattro dimensioni e con la fotosintesi clorofilliana. Sic!”. “Il catalogo in musica An no 7 III • 200 o n. I • M z r ercoledì, 28 ma vix ecc. Insomma i bei tempi erano tornati, e d’estate nel castrum (in Citavecia), si tenevano le Olimpiadi musicali romane interprovinciali (leggi internazionali). Intervallo pubblicitario secundo; sogno prophetico tertio. Alle SEI - che al tempo di Roma erano della minoranza italiana cinquemila papiri lo curo io!”, rivendicava con (i romani erano la maggioranza) - avevano tagliato la corrente eletbile un terzo. “Giù le zampe dal catalogo. Zeus trica (bollette non pagate), per cui i karaoke non funzionavano più, me l’ha dato e guai a chi me lo tocca!”, ruggi- per cui le paidagoghe contrariate - facendo di necessitade virtude va il quartus. Bernardinx Modrix sbraitava infe- - avevano rispolverato gli strumentini demodé e ragnatelosi e tutti i rocito, battendo i pugni contro il muro dell’Aula pueri cantavano “Fra Martino campanaro” (canto avveniristico in consiliare: “Voglio fare un documentario di tre odore di eresia), accompagnati dai flautini e dai triangolini che al ore in cinemascopeee!”. Madamigella Matoševix punto giusto del canto sospetto facevano “din, don, dan”. Al quale si gorgheggiava: “Dieci concerti! Dieci concerti-i- aggiungeva il lascivo refrain madrigalesco “don-don-don diri-dirii-iiiiiiii!”, mentre Madonna Manix Gotovax, con don-don-don”, di Madona mia cara di Orlandus de Lassus (che fa: voce sepolcrale, braccia protese agli dei, decla- “madona mia cara mi volere canzon/ cantar sotto finestra lance bon mava in estasi: “Nooo! Nooooo! Quindici sinfo- compagnon…mi ti portar becazze grosse come rognon…don.don nici, quin-di-ci con-cev-ti sin-fo-ni-ciii!”. Aggiu- don ecc”), eseguito goliardicamente dai cori riuniti delle SMSI di dicato! Sentenziava con sussiego il prefetto-go- Histria e Tarsatica (i quali ogni tanto si volavano a bordo di velivoli vernatore di Liburnia-Giapidia Marcus Aureus leonardeschi nelle provincie canadesi e australiane di Roma a tener Comadicus, in toga e drappeggi purpurei. Dulcis concerto alla diaspora juliano-liburnica. E ci facevano pure i CD su in fundo; il dolce frutto di questo augusto e ap- tavolette di argilla. Insomma, erano pueri de mondo e globalizzati). passionato connubio delle scienze e delle arti, di E tutto l’aere era jucundo e pieno di din don e di campanelle che questo…concepimento perfetto (mostra-catalogo- crescevano ..crescevano… e diventavano enooormi come quelle di documentario, concerti), risultò un “non plus ul- Notre Dame… e il Gobbo suonava, suonava… e io volavo, volavo tra”! Neanche i metropolitani della “metropoli” (ooh! ooh!) e nel Mare Nostrum precipitavo… e con un tuffo mi svedi Agram (che tutti verdi, si mangiavano le mani) gliavo… Fine (ingloriosa) di gloriose visioni prophetiche con relatiavrebbero fatto di meglio! vo atterraggio nella grigia realtà. Intervallo pubblicitario. Visione prophetica seRealtà opaca che invero è stata “infranta”, dal bailamme de “I cunda. Glembaj”, (non ebbi cuore né timpani di sorbirmi quasi tre ore conL’ufficio concerti (addetto pure ai panem et tinuate di pop-rock microfonato fino al parossismo), permeato di circenses estivi) - abolito a suo tempo dal prefet- abusata satira sociale che si pretenderebbe originale, mentre in pento Gloriosus Linix - era stato ripristinato, ed era tola stanno bollendo i preparativi della attesa Tosca; con la “disintutto un gran organizzare, coordinare di concerti, volta” Francesca Patanè (ultimamente, discinta Salomè all’Opera di cicli da camera, un via vai di bardi, cantastorie, di Roma) e, la regia (facciamo gli scongiuri) di Zlatar Frey. Binomio contastorie, trovatori e trovieri tra i più illustri di alla nitroglicerina. (Avremo una Tosca in tanga?). Chi vivrà vedrà; Roma e provincie, quali Brutos Ughis, Mischa To- e forse, sopravviverà. polinius Maisky, Radus Lupus, Mstslv RostropoSibillinamente Vostra 2 musica Mercoledì, 28 marzo 2007 IL PERSONAGGIO Vulcanica, frenetica, simpaticissima Tamara La spiritualità popolare dell’Istria fonte inesauribile di creatività attuale di Helena Labus L a figura di Tamara Obrovac, cantante, compositrice e autrice di testi polese, è certamente una delle più interessanti nel firmamento musicale del nostro paese. Dotata di un’energia inesauribile, è attiva su diversi fronti – sia come performer con il suo Transhistria ensemble e altri complessi, sia come autore di musiche per spettacoli teatrali e film. Come interprete, Tamara Obrovac è una delle voci più ricche e intense sulla scena musicale della Croazia, mentre nella sua musica troviamo elementi jazz e un profondo legame con la musica autoctona istriana. Come è nato il suo amore per la musica jazz e in che modo è giunta all’idea di combinarla con gli elementi del “melos” istriano? Mi sono innamorata del jazz al termine della Scuola media di musica (la “Ivan Matetić Ronjgov” di Pola), dove suonavo il flauto. Ho avuto quindi un’educazione classica che non sentivo vicina. Sono venuta in contatto con la musica jazz a Zagabria, dove ho intrapreso gli studi di sociologia e ho avuto l’opportunità di vedere i primi concerti jazz. Dal momento che anche all’epoca componevo un po’, decisi di mettere insieme una band e di iniziare a fare della musica. Ero quasi una piccola Joni Mitchell! (risata). Ben presto, nei circoli musicali si è diffusa la voce dei miei tentativi e, a quanto pare, avevo destato la curiosità di giovani musicisti e ora colleghi quali Krunoslav Levačić, Mario Igrec, Mladen Baraković che nel frattempo si sono fatti un nome. In quel momento ho scoperto la vera libertà d’espressione e un suono completamente diverso. A Lubiana ha anche studiato il canto jazz? Non è stato facile ammettere a me stessa di non sapere, di aver bisogno di ulteriori studi. Per giungere a questa conclusione mi ci è voluto tanto tempo, ma infine mi sono decisa a partire per Lubiana e imparare. Quando si è giovani si crede di sapere tutto, invece non è proprio così. Ho iniziato a studiare seriamente tutto ciò che era legato a questo particolare stile musicale, in quanto non è possibile progredire e improvvisare senza avere sufficienti conoscenze. Uno è veramente libero di variare, improvvisare e modificare soltanto nel momento in cui possiede una buona base, altrimenti non si fa niente. La vera libertà vuol dire libertà di scelta. Dovevo quindi imparare la struttura della musica, l’armonia jazz, il ritmo e studiare l’improvvisazione. Anche l’improvvisazione si studia? Naturalmente. Si studia la creazione della linea melodica personale in contemporanea con la progressione delle armonie di base. Nel corso degli anni ho cantato di tutto, dal be-bop al funk e dal gospel al blues. Sono stata alla ricerca di una e della chitarra, nonché, in alcune composizioni, delle ‘sopile’ e della fisarmonica. Questo è stato il primo passo verso il Transhistria ensemble attuale, dove sia la chitarra che la fisarmonica sono degli strumenti melodici e armonici. Guardandovi in concerto, uno può notare un particolare affiatamento tra lei e i membri dell’ensemble... Quando si è giovani si crede di sapere tutto, invece non è proprio così. Ho iniziato a studiare seriamente tutto ciò che era legato a questo particolare stile musicale, in quanto non è possibile progredire e improvvisare senza avere sufficienti conoscenze mia espressione per quasi dieci anni e mi sono quindi fermata al jazz moderno. Mi affascinava in particolare la musica di Miles Davis, Herbie Hancock, Keith Jarrett, cioè il jazz strumentale. Ovviamente, non ho trascurato neanche il jazz vocale, ma il suono del jazz strumentale era quello che mi affascinava di più. Dopo aver scritto una serie di composizioni di jazz moderno in lingua inglese, a un certo punto mi sono resa conto di non essere americana ma istriana e che cantare in inglese non aveva senso. Inoltre, ho iniziato a rispettare di più la nostra tradizione, scoprendo che nella melodia del dialetto istriano (una delle varianti la parlo anch’io) c’è una grande ricchezza. Nel mio lavoro non ho quasi mai usato i canti popolari istriani nel senso della citazione, però ho sempre tratto ispirazione spirituale da questo patrimonio musicale. Come è nato il Transhistria ensemble? Avevo iniziato con un piano trio assieme a Krunoslav Levačić (batteria), Žiga Golob (contrabbasso) più un pianista, tra cui anche Matija Dedić che ha collaborato al secondo album “Ulika” del 1998. Come trio jazz interpretavamo sia pezzi d’autore in inglese che composizioni d’ispirazione istriana, ed i jazz standard. Dopo due album, il “Triade” del 1996 e l’”Ulika”, mi sono stufata del suono del jazz trio, in particolare del timbro del pianoforte che essendo uno strumento temperato non ci permette di ‘colorare’ un po’ il suo suono. Nell’album seguente mi sono avvalsa del violino Senza un tale rapporto questo tipo di musica non si potrebbe suonare in quanto un affiatamento del genere rappresenta i primi 50 p.c. del suo successo. Per me è importante sentire questo particolare legame con i miei musicisti. Infatti, mi bastano soltanto poche battute per capire immediatamente se un musicista ‘fa per me’ oppure no. È stato così anche con gli ultimi elementi arrivati al Transhistria ensemble, Fausto Beccalossi alla fisarmonica e Uroš Rakovec alla chitarra. È interessante il fatto che Fausto lo abbia- mo scoperto in parallelo Krunoslav ed io, sentendolo suonare in due occasioni separate. A un certo punto, ci è capitato di iniziare a parlare della stessa persona, un fisarmonicista meraviglioso, per capire infine che ci riferivamo ambedue a Fausto. Posso dire che tutti insieme siamo una grande famiglia. Nel 2004 è stata nominata per il BBC World Music Awards. Un grande riconoscimento per un artista... Certamente, perché si tratta di un riconoscimento internazionale. Noi eravamo nominati in due categorie – la ‘european music’ e per il premio del pubblico, il che mi ha reso particolarmente felice. L’anno scorso è stato per lei pieno di successi, ma anche molto impegnativo. Ha scritto la colonna sonora per un film di successo (Što je muškarac bez brkova? - Cos’ è un uomo senza baffi?), ma ha anche dato il via a un Etno festival a Rovigno... L’organizzazione del festival mi è stata proposta dall’Ente Turistico di Rovigno, ma niente sarebbe stato possibile senza l’aiuto di Vladimir Gašparović, del GIS music che è stato il produttore del festival. È stata interessante anche la collaborazione al film, in quanto al regista Hrvoje Hribar è subito piaciuta la mia proposta per il pezzo portante intitolato “Daleko je...” (È lontano...nda). Nel 2006 avete suonato anche negli Stati Uniti. Come è stato? È stato molto bello, ma anche impegnativo, e troppo breve. A Chicago siamo giunti praticamente lo stesso giorno in cui ci dovevamo esibire! Abbiamo suonato presso due rinomati club rispettivamente a New York (Joe’s pub) e Chicago (Old house), il che è un dato di notevole rilievo nel curriculum di qualsiasi musicista. Era interessante notare che tre giorni prima di noi nel Joe’s pub di New York si era esibita Susanne Vega, mentre due giorni dopo c’è stata Laurie Anderson. Cosa ne pensa della scena musicale in Croazia? Innanzitutto, da un piccolo paese come lo è la Croazia non ci possiamo aspettare una scena differenziata in diversi generi e ipersviluppata, in quanto su un mercato così piccolo un genere non può avere un pubblico numeroso. Questo è il problema principale. Personalmente, sento la mancanza di più progetti di tipo ‘crossover’, dove musicisti etno suonerebbero jazz, musicisti jazz suonerebbero etno, oppure quelli che suonano musica classica suonerebbero sia l’uno che l’altro che il terzo. Questo approccio alla musica esiste, ad esempio, in Bulgaria, dove all’Accademia per la musica popolare si impara a suonare diversi stili. Com è il suo ritmo quotidiano? Micidiale. Non sono contenta se al giorno non trascorro lavorando almeno dieci ore, certe volte anche venti. Compongo costantemente musiche per il teatro, penso a nuovi progetti... Proprio di recente c’è stata la prima dello spettacolo “L’orchestra Titanic” per il quale ho scritto la colonna sonora. Ci sono nuovi progetti in cantiere, qualche nuova collaborazione? Con il Transhistria ensemble sto preparando un album dal vivo tratto dal concerto tenutosi a Visignano e sto inoltre pensando di introdurre nel suono del complesso il timbro di un quartetto d’archi. Mi sono già messa in contatto con il quartetto ZAPP dai Paesi Bassi che, oltre a suonare musica classica, si cimenta anche nell’improvvisazione. Avendo collaborato l’anno scorso in un brano con il cantautore spalatino Tedi Spalato, si profila possibile la realizzazione di un album di duetti. Di recente sono stata contattata da Edo Maajka (cantante di hip-hop) e ho già messo insieme una canzone da realizzare con il cantautore montenegrino Rambo Amadeus. Ma lui non lo sa ancora! (risata). Le succedono mai i blackout creativi? Questa non è una buona domanda! (risata). Comunque, per fortuna non mi sono mai capitati e spero che così rimanga. Cosa la ispira a comporre? Mi ispira a comporre la vita stessa, ma l’incentivo principale sono le emozioni intense. Ritengo che una creazione vera può scaturire soltanto da una forte emozione. Cosa ascolta nel tempo libero? Sinceramente, non ho tempo per ascoltare musica altrui. Ho già la testa piena di musica mia. Comunque, quando mi capita preferisco ascoltare della musica popolare che mi colpisce per la sua verità e sincerità. Queste sono le qualità che oggigiorno mancano. Spero che prossimamente rinfrescherò un po’ la memoria ascoltando i quartetti d’archi di Béla Bartòk. Un sogno nel cassetto? Un ottetto femminile che si cimenterebbe nell’improvvisazione vocale. Una delle candidate è Björk (risata). musica 3 Mercoledì, 28 marzo 2007 VITA NOSTRA L’innovativo gruppo pop, caso unico in seno alla CNI La musica, collante per eccellenza dell’unione della CI gallesanese di Daria Deghenghi GALLESANO - Alla sede della Comunità degli Italiani di Gallesano l’immagine di un incessante viavai di soci, attivisti, pubblico e ospiti, descrive (molto più di quanto siano in grado di farlo le parole) la vivacità dell’agire in comunione e un forte istinto comunitario che qui regnano ancora sovrani, malgrado anche questa piccola “roccaforte” di italianità della Bassa Istria comincia a sentire sulle proprie spalle le prime frustrate di una spinta diametralmente opposta – quella della disgregazione – che altrove (soprattutto in comunità nume- decina in più), il coro si esercita una volta la settimana, canta a quattro voci e coltiva un repertorio in prevalenza popolare con validi spunti di musica d’autore. Tra gli spartiti c’è “Supplicazione” di Kreutzer, brani di Nello Milotti, canti popolari elaborati per coro dal Maestro Luigi Donorà, diversi titoli di Beppe De Marzi e poi un vasto repertorio d’occasione, natalizio, che include “Amici miei” (l’“Amasing Grace” in versione italiana) e “Il coro della notte” di P.A.Yon. Le apparizioni in pubblico vanno dai tradizionali appuntamenti in sede, quelli dedicati di Il coro misto è la sezione «storica» della CI, quella che affonda le radici nell’immediato Dopoguerra e risale al 1948 I minicantanti Le due sezioni folcloristiche (bambini e adulti), sfoggiano costumi tipici della Gallesano del 17. esimo secolo in balli antichi quali «el valser» e «la furlana», accompagnati da due strumenti altrettanto caratteristici che sono la piva, una sorta di zampogna, ed il «simbalo», un tamburello che della musica di accompagnamento ai balli detta il ritmo, mentre la piva ne «tesse» le melodie Il coro misto ricamente più solide) ha già fatto fior di “vittime”. Qua, come in altre sedi sociali più piccole dell’Istria, la musica mantiene di fatto e di diritto il titolo di collante par eccellenza di questo spirito di unione che permea gli ambienti della sede sociale facendo convergere in Comunità bambini, liceali, uomini e donne di mezza età ma anche anziani, fedeli ai propri gruppi di attività tra cui s’annoverano (ad eccezione della filodrammatica, di cui in questa sede non tratteremo), coro misto, minicantanti, giovani cantanti pop e folclore. Il coro misto è la sezione “storica” della CI, quella che affonda radici nell’immediato Dopoguerra e risale – stando a quanto c’informano Maria Capolicchio Dražović e Anita Hrelja – al 1948. Da allora e fino ad oggi la corale ha avuto diversi direttori, da Daicich e Vian dei primi anni, a Nello Milotti negli anni settanta, Danica Benčić e Franca Moscarda in seguito, sino al 2000 o giù di lì, quando la compagine venne affidata alla Maestra Maria Grazia Crnčić Brajković, docente universitaria impegnata ancora a dirigere la corale mista della CI di Fasana. Oggi fermo a quota sedici elementi (solo fino a qualche anno fa se ne contavano una rito ai patroni del paese, i Santi Pietro e Paolo, ai concerti di fine anno e di Pasqua. Nella missione di tramandare costumi e tradizioni del borgo, il gruppo folcloristico non è da meno. Le due sezioni (bambini e adulti), dirette da Pietro Demori e Chiara Debrevi, sfoggiano costumi tipici della Gallesano del 17.esimo secolo in balli ormai da “museo” quali “el valser” e “la furlana”, accompagnati da due strumenti altrettanto caratteristici che sono la piva, una sorta di zampogna, ed il simbalo, un tamburello che della musica di accompagnamento ai balli detta il ritmo, mentre la piva ne “tesse” le melodie. Il piccolo coro dei minicantanti, diretto da Arabella Višković – studentessa di cultura musicale alla Facoltà di Filosofia di Pola, attiva anche alla SAC “Lino Mariani” della CI polese – è composto di una decina di bambini che frequentano la sezione locale della SEI “Giuseppina Martinuzzi” di Pola: Jasmina, Antonella, Mattea, Diego, Toni, Daniela e Chiara (assenti provvisoriamente Gianni e Teuta), si produce in concerti in sede e partecipa regolarmente al festival “Voci Nostre” organizzato dall’Unione Italiana. Recentemente hanno brillato nell’interpretazione della canzone “Al mio La sezione folcloristica I giovani cantanti pop caro angelo”, all’ultima edizione in ordine di tempo della rassegna “Voci Nostre” e in “L’ispettore Maxwell” al penultimo festival. Spigliati e veloci a tirare fuori la battuta giusta, alla domanda sul perché vengono tanto volentieri a cantare in coro, rispondono prontamente: “Per perdere tempo” e “Per non studiare”. Già. Cos’altro, se no? Grande la passione per il canto anche in seno alla sezione dei giovani cantanti pop, un’invenzione della CI di Gallesano, una sezione inedita, innovativa, che forse non si è ancora guadagnata la “dignità” di una sezione… storica e tuttavia è degna di rispetto per il semplice fatto che lo stimolo alla fondazione è venuto dagli stessi giovani e non, come avviene solitamente, dall’”alto”. A guidare il gruppo è Martina Vojsković, studentessa diciottenne della Scuola Media Superiore Italiana “Dante Alighieri” di Pola, e organista alla locale Chiesa di San Rocco. Con Martina, c’è Clarissa, Melania e Samanta (assenti nella foto Fabiola e Ana). Il gruppo si è ricostituito due anni fa dopo una pausa di… riflessione successiva allo spegnimento del primo gruppo dei giovani cantanti guidato all’epoca da Nataša Goranović Ranković. Il repertorio? Chiaro: Laura Pausini, Laura Pausini e ancora Laura Pausini. Sì, lo ammettono le ragazze stesse all’unisono: “E’ ora di chiuderla con Laura Pausini!” Un nuovo progetto messo a punto da Martina Vojsković prevede di introdurre nel repertorio brani di Anastacia, del duo russo T.a.T.u. e famosi duetti del mondo pop. Ci fossero ancora finanziamenti più cospicui (per l’acquisto delle basi almeno) sarebbe l’ideale… Chi vuole udire, udirà… 4 musica Mercoledì, 28 marzo 2007 Mercoledì, 28 marzo 2007 5 L’ANNIVERSARIO ...mentre imperversano patinate e reticenti celebrazioni ufficiali in onore del Maestro parmigiano... Genio e imbarazzanti verità su Arturo Toscanini nel cinquantenario della morte di Fabio Vidali I l 16 gennaio 1957, nella sua casa di Riversale presso New York, chiudeva gli occhi il più celebrato personaggio mediatico musicale apparso a cavallo fra l’Ottocento e la prima metà del Novecento: il direttore d’orchestra italiano Arturo Toscanini; un direttore d’orchestra il cui nome contraddistingue indubitabilmente un’Era Storica della Musica e soprattutto del Teatro Musicale. Toscanini giovane In tale ricorrenza (ma già programmato certosinamente da oltre tre anni) è scattato l’immancabile sfruttamento pubblicitario e commerciale italiano ed internazionale della ghiotta occasione, con il coinvolgimento massiccio di Teatri, Orchestre, Radiotelevisioni, Internet, Case discografiche, giornali, riviste, Associazioni, Circoli, dibattiti, in un’affolatissima gara di personaggi “grandi” e piccini, ansiosi di mettersi in luce personalmente con la scusa di “onorare” Toscanini. Tale atteggiamento, del resto, è pienamente in linea con l’attuale “civiltà dei consumi”, pronta a “monetizzare” miopemente nell’immediato ogni scadenza utile al mercato (ricorrenze religiose o patriottiche, Feste di mamma, papà, nonni, Saldi di fine stagione). Il tutto acriticamente, in uncrescendo “rossiniano” di iperboli laudativi, esaltazioni eulogìe della più vieta ed inutile piaggeria, eludendo anche il più timido tentativo di storicizzare ed analizzare approfonditamente un fenomeno di fondamentale importanza nella recente Storia della Musica mondiale (e nella Storia del Costume). L’apporto di Toscanini rischia, perciò, di limitarsi al lampo di una passeggera meteora che squarcia per un attimo le tenebre, destinate subito a richiudersi nel buio assoluto di un cosmo senza stelle: quello della nostra epocale mediocrità. In fondo, un alibi pietoso per scagionarci d’ogni responsabilità per il grigiore che ci siamo intessuti attorno, mentre si resta inerti ad aspettare una nuova ed inutile... cometa. Eppure non parrebbe chiedere troppo, in questa circostanza, desiderare si profittasse del Cinquantenario toscaniniano per delineare la portata del suo lascito, fatto, come ogni contributo umano, di luci e di ombre; di caratteriali intemperanze e fulminanti intuizioni, di egocentrismo e generosità. Incorniciandolo nella società un po’ bècera in cui si trovò ad operare e a combattere, nelle sue passioni, nelle sue deluse illusioni. Parma melomane e repubblicana Claudio Toscanini, padre di Arturo, era un modesto sarto. Viveva nell’indomabile borgo parmense di Oltretorrente, tanto storico quanto povero e cadente. Vi si respirava la passione per l’opera lirica all’unisono con gli ideali repubblicani mazziniani, confusi con spiriti vagamente libertari e anarchici. Arturo vi nacque il 25 marzo del 1867 e già a nove anni fu iscritto al Conservatorio di Parma dove nel 1885 si diplomò col massimo dei voti in violoncello e composizione, ma già dal 1880 era attivo come violoncellista nell’orchestra del Teatro Regio dove fu battezzato, per immersione totale, al Melodramma. Ma qual era il Melodramma all’epoca del neofita Arturo Toscanini? Era una specie di “rito laico” nazionalpopolare dove c’era spazio per tutto e per il contrario di tutto. Pulsioni nazionali e sociali e “vizi” abitudinari di nobiltà e borghesia vi trovavano contemporaneamente ricetto sull’onda dei “do ti petto” e dei capricci più vieti dei cantanti che si arrogavano il ruolo e l’investitura di “comizianti” a ciò investiti per “grazia di dio e volontà della Nazione” talquale i regnan- ti intronati. In Italia il Melodramma era allora la versione aggiornata dei “circenses” romanoimperiali. Contrariamente a quanto avveniva nelle civiltà musicali d’oltr’Alpe, le orchestre d’opera italiane erano “stagionali” e raccogliticce, in grado unicamente di assecondare alla meno peggio il protagonismo dei “divi” dell’ugola di turno e di propiziarne i “bis” o, in peggior d’ipotesi, i “crucifige” richiesti a furor di popolo fra una merenda ed una bevuta. Sia in provincia che nelle capitali, i direttori (anche quei pochi validi) si adeguavano a ciò, limitandosi a pilotare complessi imprecisi e demotivati di sbuffanti portatori d’acqua. La Mu- sica era l’ultimo pensiero. Donde il decadimento del livello della musica strumentale nel Paese del Melodramma. Inseritosi in una di queste orchestre (non certo la migliore), il pragmatismo corporativo di Arturo Toscanini si propose di far funzionare al meglio questo cigolante meccanismo di suonatori, riscattandone “rivoluzionariamente” la dignità professionale, in uno con quella della Musica, non più “ancella tuttofare” ma protagonista di primo piano. Ciò divenne per Toscanini l’imperativo categorico che lo guidò inflessibilmente per tutta la vita e lo portò, nell’ultimo trentennio della sua giornata terrena, anche a vistose esagerazioni. Un po’ come succede agli ingegneri collaudatori dei bolidi di “Formula Uno” preoccupati e paghi unicamente del funzionamento ottimale della loro macchina ed assolutamente incuranti dell’itinerario stradale che stanno percorrendo. Come succede anche a “patiti” dell’”alta fedeltà” delle registrazioni elettroniche che, alla lunga, ascoltano più il “rendimento” delle loro apparecchiature che non la musica che riproducono. Quest’ultima esemplificazione non sembri un paradosso. Infatti Toscanini, negli ultimi anni, visse di persona quest’estremizzazio- ne quando si sforzò di adeguare al “rendimento” tecnico ottimale gran parte della sua sterminata produzione discografica pregressa. Dell’indomaile borgo di Oltretorrente, Toscanini bevve la musicalità, ma anche l’estremismo passionale ed ideologico. Da concertatore a direttore L’accenno al noto episodio del 1886 che vede per la prima volta Toscanini accedere al podio direttoriale del Teatro Imperiale di Rio de Janeiro nella verdiana Aida, in improvvisata sostituzione del diret- La “rivoluzione” assolutistica di Toscanini aboliva il rito dei “bis”, bloccava fuori teatro i ritardatari, rifuggiva dagli applausi a scena aperta, scimmiottava, in questi aspetti esteriori, l’ideale wagneriano del “Teatro Tempio”. In cambio un grandioso concerto l’occupazione italiana della città. Varrà ricordare che, fra il 1917 ed il 1920, La Scala rimase chiusa per mancanza di fondi. Un comitato di potenti mecenati, con a capo il sindaco di Milano, Caldara, si di- Introduceva il «rigore esecutivo» perseguito fino alle sue conseguenze più estreme, in nome d’una dichiarata «fedeltà assoluta» alla volontà di ogni singolo autore interpretato. Tale «fedeltà assoluta» non tardò a trasformarsi nella «certezza» maniacale della propria «infallibilità» introduceva il “rigore esecutivo” perseguito fino alle sue conseguenze più estreme, in nome d’una dichiarata “fedeltà assoluta” alla volontà di ogni singolo autore interpretato. Tale “fedeltà assoluta” non tardò a trasformarsi nella “certezza” maniacale della propria “infallibilità”, tanto che Toscanini si permise sempre più spesso di “correggere” di propria mano le partiture che interpretava (anche di Verdi e di Puccini) con la scusa di “favorire” così la comprensione “autentica” del “vero” pensiero dell’autore, dall’autore stesso “meno felicemente espresso” di come era capace di farlo lui. In una lettera, Verdi si lamenta di ciò, con queste parole “Ora vi è la tirannia dei direttori d’orchestra! Male, male!” (18.3.1899). Ciò non toglie che Verdi, Puccini (e l’elenco potrebbe continure) lo lasciassero fare, ben contenti del risultato. Ci fu peraltro anche qualche episodio meno idilliaco, come quando (1902) Ricardi tentò di impedire la rappresentazione del Trovatore alla Scala non condividendo gli “aggiustamenti” che Toscanini vi aveva apportato, spiazzando la parte più tradizionalista del pubblico e quindi mettendo in pericolo il risultato del “botteghino”. La «rivoluzione» assolutistica di Toscanini aboliva il rito dei «bis», bloccava fuori teatro i ritardatari, rifuggiva dagli applausi a scena aperta, scimmiottava, in questi aspetti esteriori, l’ideale wagneriano del «Teatro Tempio» tore titolare Minguez (fischiato e dimissionario) e gli valse il primo clamoroso successo in tale ruolo, non sembri pleonastico. Infatti fotografa la situazione delle orchestre italiane dell’epoca. Italiano era infatti il complesso scritturato per questa tournée in Brasile a supporto d’una notevole compagnia di canto. Toscanini partecipava come violoncellista e secondo maestro del coro, nonché come ripassatore di spartiti ai cantanti. Dopo Aida, Toscanini fu riconfermato sul podio per tutta la stagione. In Italia, solo il giornale parmense “Riscossa” diede notizia del singolare evento, probabilmente per legittimo orgoglio campanilistico. Al ritorno in Italia nulla per lui sarebbe cambiato ed avrebbe dovuto riprendere il suo posto di violoncello di fila in qualcuna delle solite orchestre d’opera, se il tenore di quell’Aida, Figner, impressionato per le miracolose qualità del giovane Toscanini, non lo avesse segnalato all’editrice musicale milanese Giovannina Lucca, allora impegnata nell’allestimento dell’Edmea di Catalani al Carignano di Torino. Inizialmente Toscanini fu scritturato come preparatore e concertatore ma, per l’assenza del direttore designato (A. Pomè), si ritrovò nuovamente sul podio e con ottimo successo. Il salto definitivo non s’era ancora compiuto, ma la traiettoria era quella giusta. Continuò per circa due anni a fare il violoncellista d’orchestra, beccandosi, fra l’altro, una strapazzata da Verdi alle prove della prima di Otello alla Scala, perché lui solo aveva seguito le indicazioni della partitura suonando “piano” quando i colleghi suonava- no “forte”. Ma già nel 1888, dopo un periodo di direzioni in provincia, debuttava al Dal Verme di Milano, dirigendo con pieno successo Forza del Destino, Francesca da Rimini (Cagnoni), Promessi Sposi (Ponchielli). La stima e l’affetto di Catalani, la vicinanza con la Casa Lucca, i legami con l’editore Sonzogno per la diffusione del repertorio francese e, poco più tardi, l’infatuazione per Wagner avvicinarono Toscanini agli ultimi superstiti della Scapigliatura Milanese (specie a Boito che per lui fu fondamentale), con grande disappunto del potentissimo Giulio Ricordi che ne comprese subito l’anticonformismo e l’autoritarismo, e non mancò di punzecchiarlo sulla sua Gazzetta Musicale. Apprendista tiranno Sono gli anni d’una attività direttoriale frenetica: Genova, Torino, Barcellona, Milano, Palermo, Bologna. Ma determinante è l’incarico, assegnatogli dalla Municipalità di Torino, di soprintendere alla costituzione di un’Orchestra Comunale da impiegarsi anche nelle stagioni liriche del Teatro Regio. E’ questa la prima volta che Toscanini realizza il sogno d’aver un’orchestra “tutta sua” e di suo gusto e scelta, inserita in un teatro di grande prestigio: il tutto a sua piena disposizione e sotto la sua unica guida monocratica, quale responsabile unico di ogni settore dello spettacolo, dalla scelta dei repertori dei cantanti, ai problemi di scene, costumi regìa ecc. Tiramolla con La Scala Immagine giovanile del Maestro Nasceva così la nuova figura del direttore d’orchestra, arbitro unico d’ogni spettacolo posto sottola sua guida. Toscanini concepiva solo così il ruolo del direttore d’orchestra. Tale riuscì a tenere per tutta la durata della sua attività. Quella del Regio di Torino era destinata essere solo la “prima” delle orchestre e delle organizzazioni teatrali “sue personali”. Seguiranno la Scala, la Filarmonica di New York, la Sinfonica di Palestina (poi d’Israele), l’Orchestra sinfonica della N.B.C. Per citare solo le più importanti. Con la scomparsa di Toscanini, le varie componenti dello spettacolo musicale ritornarono “autonome” e spesso l’una contro l’altra armate e nessuno spettacolo ebbe più una sua unica ed inconfondibile cifra. Alla testa dell’orchestra torinese, Toscanini diresse tre successive stagioni e, nel 1898 ben 43 concerti nel quadro dell’Esposizione di Torino. Nel dicembre di quello stesso anno Arrigo Boito lo faceva chiamare alla Scala. Dura trent’anni il rapporto Toscanini-Scala, contraddistinto da trionfi, da irati distacchi e prolungate assenze (impegni stagionali in Argentina, New York ecc.). Ma ogni ritorno lascia la sua testimonianza, sia nelle scelte coraggiose di nuovi repertori, sia nell’ assetto tecnico architettonico di palcoscenico e fossa orchestrale (1908). Nel 1913 onora alla Scala il Centenario verdiano, in tempo per darsi da fare (come mazziniano interventista) per sostenere l’entrata in guerra dell’Italia contro gli imperi centrali, guerra cui Toscanini mette a disposizione la sua bacchetta, dirigendo concerti di beneficenza a favore delle forze armate sia in teatro che sul campo, come quando, nel 1917, diresse una banda militare sul Monte santo, sotto fuoco nemico. Nel 1918, a guerra vinta, Toscanini s’impegna anima e corpo per ricostruire la nuova orchestra della Scala e dar vita all’Ente Autonomo di quel teatro con sovvenzione comunale fissa e certa. Ma questi impegni, che dureranno due anni, non gli impediscono di precipitarsi a Fiume (1919) per celebrare con chiarò pronto a sostenere le spese necessarie alla riapertura ed al funzionamento del teatro. Unica condizione posta fu che fosse Toscanini a guidare il risorto teatro, con poteri assoluti (sia in campo artistico che amministrativo). La prima a risorgere fu l’orchestra selezionata, persona per persona, direttamente da Toscanini, e tosto collaudata in una tournée italiana (1920-21) rimasta leggendaria e subito esportata negli Stati Uniti. La definitiva riapertura della Scala (26.12.1921) col Falstaff di delle orchestre, per le quali, come è noto, proclamava necessaria la “dittatura” ed inadeguata la “democrazia”. Inevitabile, nel suo profilo psicologico, l’adesione al fascismo quale presunto garante di “ordine ed efficienza” nonché di “patriottismo” (anche sciovinistico). Risale al 1919 la sua ufficiale opzione pubblica per il fascismo con la candidatura elettorale nella lista dei fascisti milanesi. Suo compagno di lista era il noto interverventista Benito Mussolini. Toscanini non fu eletto, in quanto totalizzò solo 5.000 voti, ma fatto resta, anche se poi Toscanini rifiutò la tessera del partito fascista. Mussolini, dal canto suo, le tentò tutte per tenerselo amico. Lo convocò pure a Palazzo Venezia per persuaderlo, con blandizie, promesse e minacce, senza nulla ottenere. Toscanini ormai personalità di livello nazionale ed internazionale, dovette solo alla sua fama se non subì ritorsioni quali la prigione ed il confino e continuò ad essere il “dittatore” della musica italiana malgrado l’imperante regime, con buona pace del regime stesso. Il suo fu un antifascismo “accademico” che, praticamente “disturbò” ben poco il regime e non scese in trincea contro le sue specifiche iniquità, quali, ad esempio l’assassinio Matteotti (1924). Le reazioni di Toscanini furono Toscanini studia al pianoforte Verdi, ovviamente diretto da Toscanini, segna l’ultimo periodo scaligero del Maestro e corrisponde al culmine di suo potere assoluto nel mondo della Lirica italiana ed europea. Tale periodo, ricco di episodi eclatanti e spesso anche assai burrascosi, dovrà concludersi nel 1929 e sarà presto seguito dall’abbandono della direzione d’opera e della stessa patria italiana. Candida con Mussolini ma poi lo scarica Della complessa personalità toscaniniana, è stato scarsamente messo in luce il suo comportamento politico, glissando su tutto ciò che non appartenga alla sua tarda ma assai enfatizzata professione di “antifascismo”. Ciò non ha permesso di delineare il nucleo di tale personalità, fondamentalmente estremistica ed autoreferenziale. In barba alla sua confusa formazione anarcorepubblicana, Toscanini fu soprattutto un “uomo d’ordine” teso al buon funzionamento ed all’efficienza della società come ben diverse quando (1931) fu aggedito e bastonato a Bologna per essersi rifiutato di eseguire l’inno fascista (Giovinezza) in apertura di un concerto commemorativo di Martucci. L’anno prima aveva opposto analogo rifiuto a Torino e non era successo niente. Stavolta, toccato di persona, non volle più dirigere in Italia e circa due anni dopo lasciò definitivamente il Bel Paese. Con l’estendersi in tutta l’Europa della marea nazifascista, Toscanini appose la sua firma a documenti di condanna delle discriminazioni razziali inviati anche direttamente a Hitler e disertò i Festival di Bayreut (1933) e di Salisburgo (1939). Quante volte, però, aveva già prima piantato teatri e rappresentazioni solo perché “beccato” da qualcuno del pubblico o dell’ambiente e non certo per motivazioni politiche od etiche? Moltissime. L’unico reato per lui imperdonabile era in realtà quello di “leso Toscanini”. Dopo la guerra, ritornò ad inaugurare la ricostruita Scala (1946) dove diresse ancora una commemorazione di Boito (1948) ed il Requiem di Verdi (1954). Ma quella che ormai sentiva come la sua nuova Patria, l’America, lo reclamava, gelosa del suo ultimo respiro. In fondo, con la “One World Award for Music”, conferitagli nel 1947, l’America ne aveva fatto un “suo” eroe per “i suoi grandi meriti nel resistere all’oppressione, per il progresso della libertà”. Nel 1949 l’Italia lo aveva nominato “Senatore a vita”, ma Toscanini non accettò il laticlavio. Il misterioso voltafaccia verso Smareglia Che i rapporti interpersonali di Toscanini con gli altri (musicisti e non) non fossero facili né senza pericoli di improvvise non grate “sorprese”, non è certo una novità, né stupisce. Però, praticamente, tutte queste sgradite “sorprese” toscaniniane partono da qualche motivazione più o meno accettabile o plausibile, sempre tenuto conto del suo carattere “impossibile”. Resta invece assolutamente misterioso il “perché” del clamoroso voltafaccia di Toscanini nei riguardi del polesano Antonio Smareglia che Toscanini, inizialmente, stimò moltissimo come compositore al punto da imporre e dirigere alla Scala la sua opera Oceana (1903). Che tale giudizio di Toscanini su Smareglia non fosse un “fuoco di paglia”, lo ribadì Toscanini stesso nel 1913 quando, invitato dalla Scala a dirigervi il Falstaff per il centenario verdiano, così rispose: “non intendo metter piede in un teatro dove per tanti anni non viene accolta un’opera di Smareglia”. Presa di posizione che sortì l’effetto della prima rappresentazione scaligera dello smaregliano Abisso, diretto da Tullio Serafin (1914). Inoltre Toscanini e Smareglia condividevano la familiarità e l’amicizia di Arrigo Boito per il quale entrambi provavano un’autentica venerazione. Venuto a mancare Boito (1918), Toscanini incaricò Smareglia di completare la strumentazione del boitiano Nerone, rimasta incompiuta per la morte dell’autore, in vista della prima programmazione scaligera dell’opera. Nell’appartamento di Toscanini, Smareglia iniziò subito questolavoro per il quale doveva percepire un appannaggio di 1000 lire al mese. Dopo tre mesi Toscanini partì per l’America ed il lavoro fu sospeso. Prima del rientro di Toscanini, l’esecutore testamentari di Boito (Albertini) comunicò a Smareglia che non se ne sarebbe fatto più nulla e liquidò a Smareglia le 3 mila lire di spettanza. Alla strumentazione ci avrebbe pensato Toscanini o un suo altro incaricato. Alla vigilia della prima di Nerone (1924) Smareglia rilasciò un’intervista al “Piccolo” su Nerone (senza rivendicare il suo interrotto lavoro di strumentazione) tesa ad elogiare la genialità dell’opera. Toscanini, informato dell’intervista, cercò, troppo tardi, di impedirne la pubblicazione, se la prese come un torto personale e da allora si comportò in maniera ostile contro Smareglia, tanto che ciò fu amaramente rilevato nel testamento smaregliano. Su questo voltafaccia permane il mistero. Un mistero che non onora il ricordo di Toscanini ma non scalfisce la portata del suo personalissimo ed irripetibile lascito musicale ed epocale. Che ormai fa parte della Storia e storicisticamente va studiato in ogni suo aspetto, purificato da ogni occasionale retorica celebrativa. 6 musica Mercoledì, 28 marzo 2007 MUSICA SACRA Lo Stabat Mater è stato musicato da quattrocento compositori Le sublimi vette pergolesiane L o Stabat Mater (dal latino per Stava la Madre) è una melodia gregoriana, più precisamente una sequenza cattolica del XIII secolo attribuita a Jacopone da Todi (ma la questione è controversa). Fu abrogata dal Concilio di Trento e poi reintrodotta successivamente nella liturgia solo nel 1727 da papa Benedetto XIII. Tuttavia, anche durante il periodo di abrogazione, questo testo ebbe grande risonanza. Fu posto in musica da oltre 400 compositori, tra cui si ricordano principalmente: Emanuele d’Astorga, Luigi Boccherini, Gaetano Donizetti, Antonin Dvorak, Franz Joseph Haydn, Giovanni Battista Pergolesi, Lorenzo Perosi, Antonio Porpora, Francis Poulenc, Joseph Rheinberger, Gioachino Rossini, Antonio Salieri, Alessandro Scarlatti, Antonio Vivaldi, Nicola Antonio Zingarelli. Tale preghiera, che inizia con le parole Stabat Mater dolorosa (“Stava la Madre soffrendo”) medita sulle sofferenze di Maria, madre di Gesù, durante la Passione e Crocifissione ed agonia di Cristo. Un canto amatissimo da fedeli e da musici È importante notare che, anche se il testo è in latino, la struttura ritmica è già quella italiana: non si hanno sillabe lunghe e corte, ma una serie di ottonari rimati AABCCB, con alcune rime interne. È recitata in maniera facoltativa durante la messa dell’Addolorata (15 settembre) e le sue parti formano gli inni latini della stessa festa. Prima della Riforma liturgica era utilizzata nell’ufficio del venerdì della Settimana di Passione (Madonna dei sette dolori - venerdì precedente la Domenica delle Palme). Ma popolarissima era soprattutto perché accompagnava il rito della Via Crucis e la processione del Venerdì Santo. Un canto amatissimo dai fedeli, non meno che da intere generazioni di musicisti colti. Lo Stabat Mater di Pergolesi Quando si parla di Stabat Mater l’associazione a Giovanni Battista Pergolesi è inevitabile, in quanto la sequenza gregoriana da Egli messa in musica rappresenta uno dei brani più sublimi e toccanti della musica sacra in assoluto. Secondo quanto riporta la tradizione, la commissione di un nuovo Stabat Mater - che doveva sostituire il precedente di Alessandro Scarlatti (considerato antiquato) - arrivò a Giovanni Battista Pergolesi (1710 - 1736) quando il giovane musicista era già in pre- Giovanni Battista Pergolesi carie condizioni di salute. Il musicista, che sarebbe morto di lì a breve per tisi, terminò la composizione del brano mentre si trovava a vivere i suoi ultimi giorni nel convento dei cappuccini di Pozzuoli, dove si era ritirato per lenire il dolore del male incurabile che lo affliggeva. Studi recenti hanno però suffragato altre ipotesi: intanto appare possibile che la stesura dello Stabat fosse iniziata tempo addietro, non soltanto a Napoli, dove il musicista abitava ormai da tempo, ma anche in concomitanza di altri lavori importanti. Ad esempio, è ipotizzato che lo Stabat Mater venne iniziato nel 1734 al tempo della composizione dell’Adriano in Siria (e soprattutto degli intermezzi Livietta e Tracollo) e soltanto terminato a Pozzuoli nel 1736 durante gli ultimi mesi della sua vita, ed insieme all’altro capolavoro sacro del compositore, ovvero il Salve Regina. Con lo studio dell’autografo, uno dei pochi rimasti e riconosciuti come autentici dell’autore, si nota però una grande fretta di scrivere, confermata da numerosi errori, parti di viole mancanti o soltanto abbozzate, e più in generale un certo disordine tipico di chi ha poco tempo davanti a sé. Quest’ultimo elemento, unito anche al significativo “Finis Laus Deo” posto in calce nell’ultima pagina, quasi un intimo ringraziamento nei confronti del Signore per avergli concesso tutto il tempo necessario per concludere l’opera prima di farlo passare a miglior vita, porta doverosi dubbi e infittisce di problematiche la vicenda. Che lo Stabat Mater fosse almeno terminato a Pozzuoli appare quasi una verità assodata, rimane da capire fino a che punto l’opera fosse già iniziata. Anche perché fu Pergolesi stesso a confidare al suo vecchio maestro Francesco Feo, andato a trovarlo per sincerarsi del suo stato di salute, che non aveva tempo per riposarsi o pensare a rimettersi, poiché l’opera andava finita, e anche in fretta. La Quaresima si avvicinava, e le scadenze si facevano incombenti. Ma c’era di più: lo Stabat Mater viene da sempre considerato il testamento spirituale di Pergolesi, ed un testamento non si lascia incompleto. L’ammirazione del grande Bach In una vicenda così intricata, rimangono due certezze: intanto la bellezza pura, malinconica ma non drammatica, che risplende tutta la sequenza, quasi come se Pergolesi vi si fosse rispecchiato ed avesse ritrovato gli accenti più veri del suo dolore in quel canto sincero e profondamente sentito. In seconda analisi, il grande successo che riportò lo Stabat fin da subito, al punto che il grande Bach decise di farsene una copia propria, un succcesso che commosse il mondo, come se da quella piccola celletta la musica del compositore jesino riuscisse a parlare a tutti. A tutti, per la sua semplicità (non banalità) unita a una verità ed a una varietà di stili, ad una partecipazione, che faceva intuire dove poteva arrivare Pergolesi se non fosse stato strappato al mondo ancora in giovane età. È una musica non pretenziosa, si direbbe Masaccio umile, dove sono eliminati ogni sorta di virtuosismo esteriore fine a sé stesso ed ogni sorta di artificio superfluo ed inutile. Tutto sorregge il canto ed è funzionale al risplendere delle due voci femminili, e già dall’introduzione si delinea un clima commovente e malinconico, la musica prende vita, forma, diventa arte altissima e sembra quasi di scorgere il volto in lacrime della Madonna davanti al Cristo. La commozione di Bellini Altri musicisti si sono cimentati nello Stabat: Haydn, Boccherini, Rossini, Dvorak, Penderecki, ma nessuno - eccetto forse Rossini - è riuscito ad eguagliare il capolavoro pergolesiano, dove non c’è solo musica, ma vi è l’autore stesso, la sua vita disgraziata, i suoi dolori, il suo sorprendente ottimismo nonostante tutto, la sua amarezza per il suo destino. Non a caso Bellini al pianoforte soleva ripetere che non poteva suonare lo Stabat Mater pergolesiano senza fare a meno di piangere. E lo stesso Rossini, peraltro, giunto ormai nei suoi anni della maturità, meditò a lungo prima di scrivere il suo, perché riteneva l’opera di Pergolesi sublime ed irraggiungibile. Ancora oggi lo Stabat è rappresentato nelle chiese cristiane e nei teatri di tutto il mondo, considerato uno dei massimi capolavori della musica sacra di tutti i tempi. DIDATTICA Della pratica musicale nelle scuole. I laboratori musicali e i cori rivestono un ruolo Rivalutare e dare visibilità sociale all’educazione C on decreto dello scrivente del 4 ottobre 2006 è stato conferito al Prof. Luigi Berlinguer l’incarico di presiedere un Comitato di esperti con il compito di formulare proposte per la realizzazione di iniziative finalizzate alla diffusione della cultura della pratica musicale nelle scuole. L’attività del Comitato ha già maturato una serie di riflessioni atte a rilanciare le politiche del Ministero nello specifico settore, la cui valenza educativa troppo spesso non trova né riscontro né adeguato riconoscimento nel panorama delle attività che gli studenti sono chiamati a svolgere. La necessità di rivalutare il ruolo educativo della pratica musicale nasce dalla convinzione che l’essenza dell’apprendimento musicale risieda nella creazione e non nella replicazione. Attraverso l’esperienza del fare ognuno apprenderà a leggere e a scrivere musica, a comporla e a improvvisarla. Si intende infatti per improvvisazione quel gesto che sintetizza in un unico istante/istinto creativo le fasi che caratterizzano i processi del comporre: conoscenza, pensiero, decisione. L’obiettivo principale è pertanto quello, ambizioso e tale da richiedere un’inversione della tendenza culturale prevalente, di rilevare, attraverso momenti di riflessione e di proposta, le condizioni necessarie per l’inserimento della pratica musicale a pieno titolo nelle attività educative e didattiche delle scuole... La settimana nazionale della musica a scuola Istituita a partire dal 1999, la Settimana nazionale della musica a scuola vedeva il suo momento culminante nella data del 5 maggio di ogni anno con iniziative mirate a coinvolgere le scuole di ogni ordine e grado e a consentire loro un ragionato momento di visibilità rispetto alle varie esperienze realizzate. Quella prima esperienza e quelle condotte negli anni immediatamente successivi hanno dimostrato l’esistenza di un elevatissimo grado di interesse da parte delle scuole ed un’ampia partecipazione degli studenti che hanno colto la valenza del loro coinvolgimento da protagonisti nel processo educativo e la grande occasione di socializzazio- gole scuole, ma anche un momento di collaborazione con soggetti esterni, privati ed istituzionali, al fine di stimolare una riflessione culturale quanto più generalizzata sull’incidenza della musica nei processi di formazione dei giovani. In tale cora- sati alla diffusione della cultura della pratica musicale nelle scuole. Da parte sua questo Ministero assumerà l’onere di ripristinare, in un giorno da individuare nella prima settimana di maggio di quest’anno, una manifestazione nazionale che si arti- Nell’intento di rivalorizzare il ruolo formativo, culturale e di socializzazione dell’educazione musicale nelle scuole, il ministro della pubblica istruzione d’Italia Giuseppe Fioroni ha diramato un documento contenente le disposizioni circa gli indirizzi da perseguire a tal fine, e del quale pubblichiamo i contenuti salienti ne derivante dalle relative attività. ... A tal fine viene istituita la settimana dal 2 all’8 maggio quale settimana dedicata alla musica ferma restando, come culmine, la giornata del 5 maggio... Non solo, quindi, un momento finale di rappresentazione delle esperienze condotte nelle sin- lità di collaborazioni ampie, le scuole nelle quali siano presenti risorse professionali specifiche potranno rendersi disponibili a supportare le iniziative adottate da altre scuole del territorio, supporto che sarebbe auspicabile venisse fornito anche dai soggetti esterni a vario titolo interes- colerà in una rappresentazione degli alunni delle scuole da svolgere nel cortile centrale del Ministero e nella rappresentazione di un’edizione speciale di Scuola Musicafestival ...”concertone” al quale partecipano centinaia di studenti, provenienti da ogni parte d’Italia, all’esito di musica 7 Mercoledì, 28 marzo 2007 SCHITARRANDO Merchi e Francesco Molino, ovvero il duo violino - chitarra L’evoluzione dal barocco al classicismo di Alessandro Boris Amisich G li anni che comprendono il periodo che va dalla seconda metà del Settecento fino ai primissimi decenni dell’Ottocento segnano un momento di grandi trasformazioni nella morfologia della chitarra; il popolare strumento infatti, uscendo dalla pratica barocca, perde i raddoppi delle cinque corde (ora in unisono, ora in ottava) a favore di una maggior tensione delle stesse e di una conseguente ricerca di volumi sonori più consoni ai nuovi ambienti della musica. menti con sette, otto, nove e dieci corde, tutte ad aumentare l’estensione nel basso - e dotandosi di maggiori potenzialità per svolgere una funzione di sostegno armonico. Ecco che così potrà meglio sorreggere l’armonia di melodie tracciate con bravura dai cantanti e dai virtuosi di strumenti melodici. Non subisce lo stesso travaglio lo strumento ad arco per la semplice ragione che… l’aveva già subito in precedenza e aveva adeguato le sue forme e le sue potenzialità già nei secoli precedenti: in questo scorcio di pochi decenni si limita a perfezionare e a definire percorsi già intrapresi. Dalle intavolature alla grafia musicale moderna Discussione entre les carulistes et les molinistes Lo strumento si evolve, lasciandosi alle spalle il ruolo di raffinato sottofondo ai giochi di società dei salotti aristocratici e si avvia nel breve volgere di qualche decennio a raggiungere nuovi fruitori - intesi come ascoltatori e anche come esecutori dilettanti - nella borghesia frequentatrice dei teatri. La metamorfosi tecnica della chitarra La chitarra vede aumentare le proprie dimensioni e il proprio volume sonoro; nel frattempo comincia a cambiare anche il linguaggio dei compositori, pur con retaggi consistenti dell’epoca appena trascorsa. Solo nel primo Ottocento la chitarra aggiungerà però la sesta corda al basso, ampliando così quasi definitivamente la sua gamma sonora – a dire il vero nell’epoca romantica ci saranno anche stru- Le prime opere per la nuova chitarra, non più barocca ma non ancora classica, vengono stampate a Parigi tra il 1755 e il 1765: si va abbandonando il sistema dell’intavolatura (ossia l’utilizzo della rappresentazione grafica della tastiera e delle corde) per introdurre nell’uso la grafia musicale vera e propria, quella che noi ancor oggi utilizziamo, con la chiave di sol, intendendo però che i suoni reali risultano un’ottava più in basso di ciò che la grafia stessa rappresenta. E sia nel secondo Settecento che nel primo Ottocento gli autori che danno impulso alla letteratura per/con chitarra provengono quasi tutti dalla pratica dello strumento ad arco: questo implica una tipizzazione, una radicalizzazione - se vogliamo utilizzare questi termini - della prassi compositiva: la melodia è sempre rilevante e ben caratterizzata, la funzione armonica e di sostegno diventa sempre più chiara ed inequivocabile: i ruoli dello strumento melodico e di quello armonico vengono a definirsi con estrema chiarezza. Ciò ovviamente non toglie la possibilità che qua e là Charles de Marescot, immagine da “La Guitaromanie” – 1825 anche alla chitarra venga offerta monotematico (retaggi del baroc- combattute usando le chitarre come la possibilità di cantare e dialo- co), mentre i tempi rimanenti han- vere e proprie armi. I duetti per viogare con lo strumento melodico, no dimensioni minori e carattere lino e chitarra di Molino si articoma i ruoli in genere sono (sempre più “galante” (si tratta di minuetti lano sempre in due tempi; il primo più) rigidi: non deve quindi ap- e rondeaux ora chiamati esplicita- ha una fluenza lirica, con forti conparire paradossale che la chitarra mente con il loro nome, ora cela- notazioni espressive e patetiche e melodizzi di più in Merchi, che è ti sotto l’indicazione di grazioso o con funzione introduttiva al secondo tempo, che è sempre una danza settecentesco, che non in Molino, allegro). brillante: se da una parte continuiail quale invece appartiene a una Le innovazioni mo a trovare ancora ben attestato il generazione successiva. vecchio rondo, (che però sopravvichitarristiche I brani galanti ve alle epoche precedenti adeguandi un violinista do forme e caratteristiche al nuovo di Giacomo Merchi sentire ottocentesco), dall’altra si Giacomo Merchi (1730-1793) Siamo già in pieno Ottocento affermano danze tipicamente otè bresciano e dapprima suona in con la figura di Francesco Molino, tocentesche, come la polacca e la duo col fratello Giuseppe Bernar- nato ad Ivrea nel 1768 e morto a Pa- scozzese (ecossais). I momenti in do. Arrivato in Francia, a Rennes, rigi nel 1847. Violinista alla cappel- cui la chitarra può “cantare” sono nel 1751, dopo una serie di tours la reale di Torino (1814-18), autore molto più ridotti, rispetto a Merchi, concertistici in Francia e nei pae- di concerti per violino e orchestra, e la melodia quindi appare affidasi di lingua tedesca, si trasferisce si avvicina poi alla chitarra, al cui ta quasi sempre e quasi totalmena Parigi. Le sue prime opere sono linguaggio apporta innovazioni no- te al violino; se occasionalmente per chitarra sola, per chitarra e can- tevoli. Il suo arrivo a Parigi lo vede la chitarra deve emergere (ma, se to, per chitarra e violino. Ci lascia divenire suo malgrado caposchie- avviene, è sempre per pochissime 36 numeri d’opera ed altre compo- ra di una “fazione” chitarristica, battute), il violino addirittura presizioni senza numero. I suoi Sei (quella che appunto si chiamerà dei ferisce tacere. Nel giro di pochi deduetti a chitarra e violino con sor- molinisti) che si contrapporrà alla cenni appare evidente come i ruoli dina raccolti nell’oeuvre XIIe si vecchia scuola, rappresentata nel- dei due strumenti abbiano percorso articolano tutti in due o tre tempi, la capitale francese dal napoletano un’evoluzione che ha dato origine, di cui il primo è il più consistente Ferdinando Carulli. Una rivista del- praticamente, a un vero e proprio dal punto di vista formale, biparti- l’epoca ci rappresenta gustose … schematismo nella prassi compoto, ritornellato e sostanzialmente discussioni tra carullisti e molinisti sitiva . basiliare nello sviluppo dell’istinto creativo e nella formazione della giovane personalità... musicale con apposite e mirate strategie una procedura di selezione concordata con il Ministero stesso. Istituire laboratori musicali e cori Negli anni in cui più viva è stata l’attenzione del Ministero verso la valorizzazione della pratica musicale nelle scuole, l’iniziativa più concreta assunta č stata quella di finanziare, secondo un modello strutturato e diffuso in modo equilibrato su tutto il territorio nazionale, l’istituzione di laboratori musicali in ogni provincia. L’esperienza si è rivelata molto positiva tanto che i laboratori musicali attivati hanno, nella gran parte dei casi, consolidato e radicato la propria presenza nel territorio tanto da costituire preziosi punti di riferimento per ogni ipotesi di espansione delle esperienze realizzate... Peraltro, l’organizzazione in rete consente di allargare il terreno dei docenti coinvolti nelle attività laboratoriali, in modo da sopperire, almeno nel medio periodo, all’eventuale carenza di risorse umane in possesso di tutte le abilità richieste. La ricerca di collaborazioni plurime non esclude ovviamente il ricorso a risorse umane esterne alle scuole coinvolte (docenti di strumento di altre scuole, docenti di conservatori e istituti musicali, musicisti, ecc…), almeno fino a quando non si creeranno le condizioni per una stabilizzazione della specifica figura professionale;...Le considerazioni anticipate in questa sede hanno lo scopo di fornire il senso di prospettiva programmatica che questo Ministero intende fornire alla materia all’interno del complessivo quadro degli obiettivi riguardanti la politica scolastica... I laboratori musicali, luogo fisico attrezzato che costituisce spazio operativo per un insegnamento/apprendimento della musica che dia luogo ad un’attività espressiva, partecipata e creativa, costituiscono il veicolo principale di diffusione della cultura musicale ma non il mezzo esclusivo. Esiste un’ul- teriore possibile area che può efficacemente contribuire a realizzare le valenze formative della musica e precisamente quella che si esprime nella costituzione di cori che, per loro intrinseca natura, si prestano ad una diffusione che non presuppone necessariamente strutture laboratoriali... Nelle more si ravvisa l’opportunità che le scuole in condizioni di poterlo fare costituiscano cori fin da ora. Attività di medio-lungo periodo Nel ribadire l’intenzione di questo Ministero di pervenire a soluzioni strutturate della complessa materia secondo criteri di gradualità, si ritiene opportuno indicare fin da ora alcuni dei temi che dovranno essere oggetto di attenzione e valutazione nei momenti e nelle sedi opportune: - individuazione di una specifica struttura amministrativa di riferimento all’interno dell’Amministra- zione centrale in sede di riorganizzazione dei servizi affidata al regolamento in corso di emanazione; - individuazione di referenti all’interno di ciascun Ufficio scolastico regionale; - potenziamento dell’apertura pomeridiana delle scuole, quale occasione per riservare spazi e mezzi adeguati alla pratica musicale; - progettazione di una Conferenza internazionale ove approfondire e onfrontare le diverse esperienze nel campo della didattica musicale a scuola, sotto i profili teorici e pratici della sua rilevanza educativa e del profondo cambiamento che essa può introdurre nell’impianto pedagogico italiano anche in linea con quanto accade nei contesti di altri paesi; - organizzazione di Convegni nazionali aperti ad un confronto con personalità dell’arte, della scienza e dello spettacolo, in vario modo implicate nell’esperienza musicale; - realizzazione di eventi, a carattere nazionale o locale, per sensibi- lizzare l’opinione pubblica sull’importanza della musica come educativo dei giovani. In tale contesto si inserisce anche il ripristino della Settimana nazionale della musica; - avvio di una ricerca nazionale nelle scuole per realizzare una ricognizione delle iniziative già oggi condotte nelle stesse, sia in maniera autonoma sia in collaborazione con soggetti esterni; - incentivazione dei laboratori musicali già esistenti con l’offerta di occasioni di confronto e visibilità.... - istituzione di centri musicali di eccellenza che possano eventualmente assumere il coordinamento della rete territoriale; - sviluppo e sostegno del progetto “Rete telematica e musica elettronica” al fine di realizzare un felice connubio tra il fenomeno sonoro e le nuove tecnologie e di cogliere i connessi aspetti di dinamismo culturale. (IL MINISTRO - Giuseppe Fioroni) 8 musica Mercoledì, 28 marzo 2007 L’EVENTO Prezioso e stimolante corso pianistico del grande Konstantin Bogino Esprimere la propria personalità tramite la musica Q uando la musica diventa vita e la vita musica, quando il rapporto tra maestro ed allievo diventa trasmissione di sapere, scoperta di mondi e dimensioni di pensiero e di emozioni nuovi, di creatività nella libertà, di arricchimento umano e musicale, allora diciamo Konstantin Bogino, il grande pianista e pedagogo russo che nel c.m. ha tenuto un corso pianistico alla Scuola di Musica di Fiume; seminario al quale han- Bogino al pianoforte no aderito parecchi allievi ed insegnanti delle SM di Fiume dell’Istria, di Zagabria, delle Accademie dei Musica di Lubiana e quella zagabrese riportando insegnamenti, ed impressioni di grande stimolo e crescita. In realtà si tratta di un rapporto di grandissima apertura nel quale la dedizione e la disponibilità dell’insegnante nei confronti di ogni singolo giovane musicista sono assolute in quanto “ogni bambino, ragazzo, ha il diritto di esprimere e sviluppare la propria personalità”. Il maestro Bogino ha espresso il suo particolare apprezzamento per la strutturazione del sistema scolastico musicale da noi che permette ad ogni bambino, fin dalla più tenera età, di avvicinarsi alla musica e di apprendere in maniera sistematica i rudimenti, le fondamenta dell’arte pianistica, il che è di primaria importanza in quanto basi solide rendono possibile l’ulteriore crescita del giovane pianista. “Io tengo delle master class in diversi paesi europei ed extraeuropei però, devo osservare che non in tutti esiste questa verticale, questa, piramide scolastica –livello elementare, medio ed accademico - che consente ad ogni ragazzo di studiare musica fin dalla prima infanzia. Il fatto che voi insegniate alla Scuola di Musica di Fiume non sminuisce affatto l’importanza e la responsabilità del vostro operare rispetto al mio”. È singolare osservare come il Maestro durante le lezioni instauri con grande facilità un rapporto umano immediato, aperto e costruttivo con ogni singolo alunno. Qualche battuta scherzosa per sdrammatizzare l’ansia iniziale del ragazzo, dopodiché bastano poche parole, un accenno, un esempio, un’oc- Sans Souci: un Vivaldi innovativo e del Sonar pitoresco I l tredicesimo Cd del Sans Souci è stato immesso nel mercato discografico dalla prestigiosa etichetta Dynamic di Genova, per la quale l’ensemble padovano ha già inciso altri nove titoli. Il presente che reca iltitolo “Aurei Zeffiretti”, comprende un interessante programma di sonate e triosonate di Antonio Vivaldi per il flauto dolce (qui impiegato in tre diverse taglie), l’oboe e il fagotto, accompagnati dal cembalo e dall’ arciliuto. Gli interpreti sono: Gianpaolo Capuzzo (flauto dolce), Giuseppe Nalin, (oboe), Paolo Tognon (fagotto), Pierluigi Polato (arciliuto), Lorenzo Feder (Clavicembalo). La durata del cd è di oltre un’ora e porta la seguente sigla: Dynamic - CDS 538. 2007www.dynamic.it In vendita in tutti i negozi di edizioni discografiche e presso la Jupiter Distri- buzione di Gravellona Toce (VB) Tel. 0323 840669 – www.jupitercalssics.com Altro importante prodotto di alta tecnologia e documentazione acustico filmografica è il DVD prodotto dal Sans Souci con un programma di 35 minuti di film girati nella stupenda villa Pigafetta Camerini di Mossano (VI), situata in un ameno parco del Colli Berici. Sono state registarte due triosonate di A. Califano, una di Vivaldi e una di A. Besozzi, il tutto in una cornice rutilante di colori, in cui compare anche la città di Venezia come sfondo ad una conversazione storica sugli strumenti impiegati e sui musicisti veneziani operanti nella Repubblica veneta e in Germania. Il tutto per la durata totale di oltre un’ora. Le riprese sono state effettuate con tre telecamere digitali ad alta definizione e con tecniche di montaggio, vivaci e innovative. Pubblicato 2007. Foto di gruppo con il Maestro, gli insegnanti e gli alunni chiata e tutto si trasforma, prende il giusto senso, si arriva alla soluzione tecnica “che ci voleva”, il colore del suono si trasforma, l’espressione emerge... Le origini italiane del Maestro Pochi sapranno che il Maestro Bogino ha origini italiane; infatti il suo bisnonno musicista, che si trasferi in Russia, era torinese. Da allora tutti i Bogino di mestiere hanno fatto i musicisti. Konstantin Bogino appartiene alla terza generazione di pianisti. “I miei non ave- vano molta fantasia nella scelta della professione. Si faceva il pianista e basta. Il padre (autore di un apprezzato metodo di studio di pianoforte), la madre, la sorella, il cognato, la nonna, erano tutti pianisti... quand’ero piccolo il mio lettino stava sotto il pianoforte”. Ricorderemo che Konstantin Bogino tiene corsi di perfezionamento in Italia, Francia, Germania, Austria, Slovenia, Giappone, Corea e Russia. Fondatore del celebre Trio pianistico Tschaikovski, l’artista si è esibito nelle sale da concerto più prestigiose e nei massimi festival mondiali, come pure a Fiume (pvm) ANEDDOTI E AMENITÀ Confessione dello strumentista O Direttore possente e misericordioso, Abbiamo errato, e ci siamo allontanati dalla Tua bacchetta come gregge disperso; Troppo abbiamo seguito l'intonazione e il tempo dei nostri cuori, Abbiamo peccato contro le Tue indicazioni dinamiche, Non abbiamo suonato le note che dovevano essere suonate, abbiamo suonato note che non dovevano essere suonate, e non c'è più sostegno nel nostro suono. Ma Tu, o Direttore, abbi pietà di noi miseri suonatori; Soccorri chi si trova nelle difficoltà tecniche, Ristora coloro che hanno bisogno di prove di sezione, Risparmia coloro che hanno il lapis a portata di mano. Perdona i nostri errori, e confida che d'ora in poi seguiremo il Tuo gesto, E suoneremo insieme in perfetta armonia. Amen. Quando seppe a quanto ammontava la somma, Rossini ostentò meraviglia e disse: "Datemi il denaro, e starò sul piedistallo io stesso!" ------------Un tale vuole comprare un biglietto per una rappresentazione al Festival di Bayreuth, e protesta perché gli vogliono dare un posto in fondo alla sala. "Ma se è il posto migliore!", dice l'impiegato. "Come sarebbe a dire, il migliore?" "Ma sì, è proprio accanto alla porta!" -------------Come si fa a dire quando una soprano wagneriana è morta? I cavalli appaiono molto sollevati. Il monumento a Rossini Gli amici di Rossini, lui vivente, avevano raccolto una fortuna per fargli un monumento. La cavalcata delle valchirie Jacques Thibaud Un ammiratore porse al celebre violinista Jaques Thibault un libretto per autografi. "Non c'è molto spazio in questa pagina, disse Thibault, che cosa devo scrivere?" Un altro violinista lì presente suggerì: "Scrivici il tuo repertorio". (Thibaud si esibì in concerto a Fiume negli anni Venti grazie alla Società di Concerti) ------------Un giudice, dopo aver guardato in faccia l'imputato, gli domanda: "Dove l'ho vista prima d'ora?" "L'inverno scorso ho dato lezioni di violino a suo figlio", risponde questi. Il giudice ricorda: "Ah, già... Vent'anni di carcere!" Anno III / n. I 28 marzo 2007 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: MUSICA Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Andrea Malnig Collaboratori: Alessandro Boris Amisich, Daria Deghenghi, Helena Labus, Fabio Vidali Foto: Daria Deghenghi Il presente supplemento viene realizzato nell’ambito del Progetto EDIT Più in esecuzione della Convenzione MAE-UPT n.1868 del 22 dicembre 1992 Premessa 8, supportato finanziariamente dall’UI-UPT e dal Ministero Affari Esteri della Repubblica italiana.