2 04.00. La prospettiva lineare e le scienze matematiche Individuare un modello epistemologico che si servisse dei connotati della tradizione aristotelico-tomista, sviluppandoli in modo autonomo e, per alcuni versi originale, con la finalità di giungere ad una interpretazione unitaria dei diversi aspetti della realtà umana e naturale1, è in sintesi l’obiettivo del primo ordinamento didattico moderno che sia stato concepito in Europa, la Ratio Studiorum, promulgata da Claudio Aquaviva, quinto preposito generale (dal 1580 al 1615) della Compagnia di Gesù. L’ordinamento prevedeva già dalla sua prima redazione del 1591, la presenza, nei programmi di studio, delle scienze matematiche e, tra esse, della prospettiva lineare. Ciò si doveva al diretto intervento del matematico gesuita Christophorus Clavius. Dato che gli ambiti disciplinari propri del tardo Rinascimento non coincidono con quelli attuali, è forse opportuno ricordare che le scienze matematiche facevano parte dell’insegnamento della filosofia (intesa come physica o filosofia naturale nei collegi dei gesuiti), mentre i problemi teorici che costituiscono l’ambito di interesse della filosofia moderna erano di competenza della metafisica, intesa come speculazione astratta sugli enti. Alle ‘matematiche miste’ competeva invece il ruolo di affrontare gli aspetti applicativi delle matematiche, nelle quali rientravano l’ottica, la musica e la prospettiva. Da un esame della letteratura gesuitica concernente la prospettiva, della quale le schede di questa sezione vogliono offrire una sintesi significativa, è possibile ipotizzare una coesistenza tra una scienza della prospettiva intesa come istruzione pratica, comprendente le sue varie applicazioni nella pittura, architettura, cartografia e ingegneria, ed una prospettiva intesa come perspectiva communis in quanto scienza della visione derivata dall’ottica greca. Ad essa si fa esplicito riferimento in De studii generalis dispositione et ordine, che prescrive lo studio della Perspectiva di Witelo, uno dei principali compendi della disciplina in quanto riunisce la globalità delle conoscenze ottiche sino al XII secolo2. Definire le modalità secondo le quali la prospettiva lineare evolve e diverge al contempo dalla perspectiva medievale, è questione complessa per la quale si rimanda alla letteratura specialistica3. Se la trattatistica rinascimentale cerca di ridefinire la prospettiva come dominio esclusivo di artigiani, architetti e pittori, ponendo enfasi sugli aspetti empirici della “pratica prospettica” (04.01, 04.02), la prospettiva continua tuttavia ad essere considerata una scienza matematica. Per esempio John Dee (1527-1608), autore di una traduzione inglese degli Elementi di Euclide, emula Christophorus Clavius (04.06) nell’elaborazione di una complessa suddivisione della matematica in due scienze primarie: l’aritmetica in quanto scienza dei numeri e la geometria come scienza delle grandezze, seguita dalla pro- spettiva, dall’astronomia, dall’architettura e dalla navigazione4. Se da un lato assistiamo, durante il secolo XVII, ad una progressiva matematizzazione della teorica prospettica (04.03) dall’altro si constata una riscoperta degli studi intorno alla perspectiva medievale (04.09, 04.14)5, da intendersi come parte, nell’ambito della rinascita degli studi aristotelici, di una letteratura incentrata sull’analisi delle funzioni dei sensi come veicoli attraverso i quali si articola la facoltà cognitiva in concorso con l’intelletto. Questo sembra essere, in sintesi, il sicuro quadro di riferimento al quale i trattatisti gesuiti si conformano e che consente loro, mantenendo fede al richiamo alla prudenza 3 nei confronti dell’esposizione di nuove dottrine espresso in più punti della Ratio Studiorum, di porsi al riparo dall’intervento dei censori della Compagnia. I temi legati alla natura e propagazione dei raggi luminosi, il vuoto, l’esistenza di forme accidentali non inerenti ad alcun corpo, l’ipotesi di una struttura granulare e porosa della materia, erano assunti che, una volta sostenuti, avrebbero minato alle fondamenta il dogma stesso della transustanziazione. Fintantoché l’ottica, e la stessa teorica e pratica della prospettiva lineare, restarono ancorate ad una concezione metafisica e ad una interpretazione teologica, fu possibile ai matematici gesuiti esprimere cautamente il proprio distacco dall’aristotelismo ortodosso ed alludere, tra le righe, a nuove, ‘pericolose’ dottrine6. In tal modo Francesco Maria Grimaldi, nell’opera PhysicoMathesis de lumine, coloribus et iride (postuma, Bologna 1665), che offre spunti di grande apertura e modernità, soprattutto per quanto concerne la teoria della diffrazione luminosa – “Lumen propagatur seu difunditur non solum Directe, Refrac4 te, ac Reflexe, sed etiam alio quodam quarto modo, Diffracte” (“La luce non solo si propaga o diffonde direttamente, per rifrazione o per riflessione, ma anche in un certo altro quarto modo, per diffrazione”) – non esita a sostenere due tesi contrapposte, una a favore della corporeità della luce (De substantialitate luminis), l’altra a favore della sua accidentalità (De luminis accidentalitate). Lo fa ovviamente per mettersi al riparo dalle accuse di atomismo, cercando di mitigare la portata della tesi sulla natura corpuscolare della luce, tesi della quale non poteva non essere convinto, in virtù delle sperimentazioni condotte, e che dunque non poteva esimersi dal sostenere. Analogamente, quando le ricerche anamorfiche si fanno più complesse, il ricorso ai significati spirituali delle immagini così deformate, contribuisce ad assicurare la liceità di quelle sperimentazioni. Nella Tabula scalata illustrata nell’opera Apiaria universae philosophiae mathematicae in quibus paradoxa di Mario Bettini (04.14) ad esempio, due tubi a sezione triangolare sono stati fissati ad una tavola. Da questi, tutte le facce visibili da un certo punto di vista mostrano un’immagine di Cristo. Da un altro punto di vista l’osservatore può tuttavia leggere la seguente iscrizione: “Surrexit, non est hic. Vide illum per speculum in aenigmate” (“È resuscitato, non è più qui, guardalo simbolicamente attraverso lo specchio”)7. Il riferimento esplicito alla prima epistola ai Corinzi di san Paolo (1 Cor. 13, 12), ove appunto l’apostolo afferma che la conoscenza del mistero divino è possibile solo mediante la grazia e che, essendo essa resa imperfetta dalla condizione fisica terrena, risulta simile all’osservazione del riflesso in uno specchio, permette di concepire il mondo come una immensa anamorfosi, intelligibile solo adottando il giusto punto di vista. Elisabetta Corsi NOTE Cfr. BALDINI, 1992, p. 12s. NADAL 1552, in LUKÁCS 1965, vol. I, pp. 148-149. 3 DALAI 1981; CAMEROTA 2006. 4 HOMANN 1983, p. 234. 5 LINDBERG 1976, pp. 178-202; FIELD, FRANK 1993, pp. 73-95. 6 IANNIELLO 1986, pp. 226-234. 7 BLANCHARD 2005, p. 172. 1 2 04.01 Donato Bramante (Donato di Pascuccio di Antonio, detto), Modello del finto coro di Santa Maria presso San Satiro a Milano Legno, sc. 1:20, cm ....x .... A cura di Filippo Camerota; esecuzione di Daniela Corradino e Giuseppe Fioroni Opera Laboratori Fiorentini Il modello riproduce l’artificio prospettico messo in scena da Bramante (1444-1514) nella chiesa milanese di Santa Maria presso San Satiro per risolvere il problema della costruzione del coro, la cui edificazione era impedita dal passaggio di una strada pubblica oltre il muro del transetto. Il problema fu risolto con una delle più straordinarie sperimentazioni prospettiche del Rinascimento, dove l’architectura ficta e quella edificata si compenetrano e si risolvono reciprocamente. Il coro prospettico, infatti, non è risolto pittoricamente ma plasticamente, con i materiali stessi dell’edificio in cui si colloca ed è concepito, almeno sul piano concettuale, come supporto statico e spaziale della cupola. La soluzione è di tipo scenografico con quinte laterali e fondale che sviluppano una profondità reale di appena 120 cm per dare l’illusione di uno spazio lungo quasi 12 metri, tanto quanto la lunghezza di ognuno dei bracci del transetto di cui il finto coro replica il disegno architettonico. È presumibile che Andrea Pozzo abbia studiato attentamente questo artificio prospettico durante il suo soggiorno milanese e forse un’eco della sua ammirazione per la soluzione bramantesca è ravvisabile nella prima tavola del trattato (Perspectiva, I 1) che illustra proprio la costruzione di un finto coro in una chiesa. FC 04.02 Iacomo Barozzi da Vignola, Le due regole della prospettiva pratica (con i commentarij del R. P. M. Egnatio Danti) (Roma, Francesco Zannetti) 1583, tavola 88: “loggia con colonne raffigurate di sotto in su”; Roma, Biblioteca Hertziana, Gh-VIG 5055-1830 raro Il trattato di prospettiva dell’architetto Jacopo Barozzi, detto Vignola (1507-1573), venne pubblicato postumo a Roma nel 15821583 in un’edizione commentata dal domenicano Egnazio Danti (1537-1586). Oltre ad una brillante carriera iniziata al servizio del Granduca di Toscana Cosimo I e, alla morte di questi, proseguita con l’incarico di professore di matematica all’Università di Bologna e terminata con l’elevazione al soglio episcopale di Alatri, Danti è noto anche in qualità di costruttore di strumenti scientifici, come ad esempio il quadrante astronomico e l’armilla equinoziale in S. Maria Novella, di cartografo e progettista di decorazioni prospettiche. Molte delle sue pubblicazioni scaturiscono dall’attività docente e sono dunque da intendersi come veri e propri libri di testo. È questo il caso dell’edizione, profusamente commentata, de Le due regole della prospettiva pratica, di Vignola. Nell’apparato didattico 5 04.03 all’opera, Danti intese fornire la più dettagliata teoria della prospettiva che fosse mai stata scritta, offrendo anche una valutazione critica dei risultati sino a quel momento conseguiti. Ciò contribuisce a fare di quest’opera, una delle più importanti fonti di riferimento per lo studio della prospettiva rinascimentale; opera che Pozzo deve aver studiato con cura ed assiduità, anche per l’importanza che in essa viene attribuita al “punto di distanza”. I commenti di Danti al trattato di Vignola, sono di un certo rilievo anche per quanto concerne la sezione dedicata all’ottica ed in particolare alla struttura dell’occhio ed a quella dell’humor crystallinus, ove si riteneva che avesse luogo il processo della visione, anche se hanno avuto un minor impatto rispetto alle sue ricerche sulla prospettiva lineare. Egli esprime una posizione critica nei confronti della scienza della visione medievale mentre risulta pienamente immerso nell’ambiente aristotelico cinquecentesco. I suoi interessi riguardo la scienza della visione di matrice aristotelica verranno sviluppati nei commentari alla traduzione del trattato di ottica e catottrica di Euclide, intitolata: La prospettiva di Euclide, nella quale si tratta di quelle cose, che per raggi diritti si veggono et di quelle , che con raggi riflessi nelli specchi appariscono. Tradotta dal R.P.M. Egnatio Danti cosmografo del seren. Gran Duca di Toscana…insieme con la prospettiva di Eliodoro Larisseo, Firenze, 1573 (esemplare nella Biblioteca Nazionale Centrale, 13 D. 14). EC Bibl.: CAMEROTA 2006, pp. 160-175; FRANGENBERG 1988, pp. 3-38. 6 Jan Vredeman De Vries, Perspectiva teoretica ac practica: hoc est, Opus pticum absolutissimum; continens aedificiorum, templorum, pergularum alarumque structurarum perfectissima fundamenta, icones atque delineamenta; iuxta veterum ac recentiorum autorum doctrinam accuratè exaratum (...). Multis verò notis illustratum per Samuelem Marolois Amstelodami: sumptibus ac typis Joannis Janssonii, 1647 (prima edizione: Leyden, 1604-05), pars I, tav. 29, 30, 32, pars II, tav. 22; Roma, Biblioteca Hertziana, mar 5441-2620 raro Jan Vredeman De Vries (1527-dopo il 1604) fu pittore, incisore e architetto, svolgendo una intensa attività itinerante in tutta Europa. La Perspectiva teoretica ac practica venne inizialmente pubblicata in francese a L’Aia e Leida negli anni 1604-1605. Le settanta illustrazioni delle due parti del testo forniscono interessanti variazioni su temi architettonici, alcune delle quali, rappresentate da angoli inconsueti e da punti di vista ravvicinati, risultano simili ad immagini anamorfiche. Esse sono sicuramente in rapporto con le decorazioni illusionistiche che sappiamo eseguite dall’artista ma oggi perdute. L’opera di Vredeman De Vries è significativa in quanto esemplifica la diffusione della tecnica italiana di pittura architettonica nell’ambiente olandese del primo Seicento, anche se la Perspectiva teoretica ac practica rivela, in non pochi casi, una certa approssimazione e improvvisazione, applicazione non rigorosa di quell’“arte visiva” che l’opera intendeva celebrare. Gli scritti di Vredeman de Vries (1526-1609) vennero a più riprese pubblicati insieme a quelli, piuttosto teorici, sulla matematica, la prospettiva e le fortificazioni, del matematico francese Samuel Marolois (1572-1627), attivo nei Paesi Bassi settentrionali. EC Bibl.: SCHEPPE 2004, p. 113; KEMP 1994, pp. 126-128; WRIGHT 1985, p. 144. 04.04 Ludovico Cardi Cigoli, Strumento prospettico Ottone, cm 50x48x28 Ricostruzione a cura di Filippo Camerota (da L. Cigoli, Prospettiva pratica, ms., GDSU 2660 A) Opera Laboratori Fiorentini Lo strumento è il risultato più importante degli studi prospettici del Cigoli. Secondo le intenzioni dell’autore, il meccanismo avrebbe consentito di disegnare gli oggetti lontani con la stessa precisione che si richiedeva alle regole geometriche nel disegno degli oggetti vicini. Dal punto di vista morfologico lo strumento mostra chiare analogie con i prospettografi di Giacomo Barozzi da Vignola, Egnazio Danti e Bernardo Buontalenti, ma sul piano operativo l’invenzione è del tutto originale. Lo strumento serviva a disegnare dal vero oggetti, figure, vedute urbane e paesaggi ma poteva anche essere usato per ingrandire un disegno su una parete o perfino su una volta. Per quest’ultima operazione, il Cigoli escogita la possibilità di inclinare l’asta di sezione in modo da controllare il disegno delle verticali sulla superficie curva della volta. Questo accorgimento tecnico suggerisce all’artista di usare lo strumento per il disegno delle anamorfosi. Ritraendo un oggetto con la sezione inclinata, si ottiene un’immagine deformata che riacquista le giuste proporzioni solo se osservata da un preciso punto di vista. L’uso anamorfico dello strumento è illustrato da JeanFrançois Niceron nel Thaumaturgus opticus, edito a Parigi nel 1646. FC 04.05 Pietro Accolti, Lo inganno de gl’occhi: prospettiva pratica Firenze (Cecconcelli) 1625, pp. 140-141 Roma, Bibliotheca Hertziana, Gh-ACC 5497-2250 raro Ingegnere alla corte medicea, Pietro Accolti, nel suo trattato di prospettiva pratica Lo inganno de gl’occhi, sviluppa le potenziali applicazioni della prospettiva lineare nel campo dell’architettura militare e dell’ingegneria bellica, dando vita ad una trattatistica specializzata in questi settori, alquanto copiosa nella Compagnia di Gesù (04.13). Nell'opera, Accolti discute il problema della proiezione delle ombre in un modo alquanto originale: consapevole del fatto che le ombre sono percepite solo quando la luce è radente, illustra dapprima un cubo traforato visto dall'occhio del Sole (p. 140). Dato che il Sole è al contempo soggetto vedente e fonte di luce, fa si che l'oggetto sia totalmente illuminato, cioè privo di ombre. Tale disegno, realizzato in assonometria, ovvero presentando come parallele tutte le rette che in prospettiva sarebbero state in scorcio, vine chiamato da Accolti, “ombrifero”, cioè generatore di ombre. Mostrando infatti, nel successivo disegno (p. 141), il cubo traforato da un altro punto di vista, e questa volta in scorcio, egli dimostra di saper determinare le ombre a partire dai punti in cui le parti anteriori si sovrappongono a quelle posteriori. EC Bibl: CAMEROTA 2006, pp. 213-214. 04.06 Cristoforo Clavio, Euclidis posteriores libri sex Romae, Accolti 1574 cm 18,5x12 Roma, Biblioteca della Pontificia Università Gregoriana, Ris 901 P10 La prima edizione a stampa degli Elementi di Euclide, tradotto dall’arabo da Giovanni Campano da Novara (ca. 1260-1292), risale al 1482 per i tipi della stamperia veneziana di Erhard Ratdolt’s. A Christophorus Clavius SJ (1538-1612), professore di matematica al Collegio Romano si deve invece la pubblicazione, nel 1574, dell’edizione latina commentata degli Elementi: Euclidis elementorum libri XV. Quest’opera venne dapprima impiegata in forma manoscritta come libro di testo per gli studenti dell’Accademia di matematica, istituita al Collegio Romano nel 1553 ed attiva almeno sino alla morte di Clavius nel 1612. Grazie ad un dei suoi accademici insigni, Matteo Ricci (che la frequentò dal 1575 al 1577, anno della partenza per Lisbona alla volta della Cina), l’opera di Clavio ebbe una vasta eco in terra di missione. Ricci ne promosse infatti la traduzione in cinese dei primi sei libri (Jihe yuanben , 1607). 7 L’opera Euclidis elementorum libri XV nacque dunque, secondo quanto l’autore stesso dichiara nella presentazione, da un insieme di manuali ad uso interno corrispondenti alle principali sezioni dell’opera di Euclide, che costituivano altrettante aree di studio delle discipline matematiche impartite nell’Accademia. La versione manoscritta dell’opera possedeva la seguente articolazione: Commento agli Elementi (Libri I-IV: Geometria piana elementare); Commento agli Elementi (libri V-VI: teoria delle proporzioni e sue applicazioni alle grandezze); Commento agli Elementi (libri VII-IX: teoria dei numeri; libro X: gli incommensurabili ); Commento agli Elementi (libri XI-XIII: geometria solida elementare, più i libri XIV e XV pseudoeuclidei). La geometria euclidea costituisce il fondamento sia della teorica che della pratica prospettica. I Libri XIII-XV degli Elementi concernono i cinque solidi regolari: tetraedro, esaedro, ottaedro, icosaedro e dodecaedro, solidi che, come Platone aveva mostrato, possono essere iscritti in una sfera. L’interesse dei teorici della prospettiva per gli Elementi ed in particolare per questa sezione ha i suoi primordi proprio in un’operetta scritta da Piero della Francesca (1410/20-1492) nel 1485 sui cinque solidi regolari euclidei: il Libellus de quinque corporibus regularibus (una copia ms in Biblioteca Apostolica Vaticana, Cod. Vat. Urb. Lat. 632). Del resto la stessa De prospectiva pingendi era strutturata alla maniera degli Elementi, cioè enunciando una definizione e facendo ad essa seguire la prova. La descrizione degli oggetti solidi, branca della matematica oggi denominata geometria descrittiva, costituisce una delle sezioni più significative del Trattato delle proporzioni (1525) di Albrecht Dürer (1471-), mentre nella Divina proporzione (1509) di Fra Luca Pacioli (14..-) compaiono le prime illustrazioni in prospettiva dei cinque solidi regolari. La geometria dei corpi solidi era evidentemente di estremo interesse per le sue applicazioni nell’architettura e nell’ingegneria e come tale fa parte del bagaglio di conoscenze che Andrea Pozzo maturò negli anni di formazione nella Compagnia. EC Bibl.: BALDINI 2000, pp. 49-98 e passim; ROMANO 1999, capp. II-III; EDGERTON 1991, 163s; MANKIEWICZ 2000, p. 66; YABUUTI 2000, p.124. 04.07 Cristoforo Clavio SJ, Tractatus Dioptricus sive de visione que fit per radios refractos f. 47 (lamina III) codice cartaceo legato in pergamena, penna e inchiostro bruno, parzialmente colorato in rosso e oro, cm 22x15 ca. Roma, Archivio della Pontificia Università Gregoriana, ms. 768 “Miscellanea matematica”, fasc. 4, f. 56 (lamina VIII) Si tratta di un manuale ad uso interno poiché impiegato da Clavio per le sue lezioni al Collegio Romano. L’opera è contenuta in un codice di Miscellanea Mathematica che comprende tre trattati manoscritti dello stesso autore: 1. Arithmetica, sive Tractatus de Numeri o 8 Chronographia, 2. Trigonometria e 3. Optica. Il Trattato di Diottrica è preceduto da un Tractatus Opticus che spiega la struttura dell’occhio e la percezione dei raggi luminosi. Occorre ricordare che Clavio aveva curato l’edizione a stampa delle opere di Francesco Maurolico (14941575), il grande matematico siciliano, docente al Collegio gesuitico di Messina, tra le quali erano due importanti trattati di ottica: Photismi de lumina et umbra (terminato nel 1521, Napoli, 1611), nel quale è peraltro descritta minuziosamente una camera oscura, e Diaphaneon sive transparentium (composto nel 1554). EC 04.08 Christoph Grienberger, Strumento prospettico Legno, cm 65x70 Ricostruzione a cura di F. Camerota (da Mario Bettini, Apiaria Universae Philosophiae Mathematicae, Bologna 1645, Apiarium V, Progymnasma II, cap. VI, pp. 44-46), Opera Laboratori Fiorentini Successore di Cristoforo Clavio alla cattedra di matematica del Collegio Romano, Christoph Grienberger (1561-1636) fu corrispondente di Galileo, studioso di ottica, meccanica e astronomia, costruttore di strumenti scientifici, nonché revisore scientifico dei libri matematici scritti dai padri gesuiti. Lo “strumento scenografico” che mise a punto nel 1635 scaturisce proprio dalla revisione di uno di questi libri, l’Apiaria Universae Philosophiae Mathematicae, enciclopedica raccolta di curiosità matematiche del padre gesuita Mario Bettini (04.14). Lo strumento aveva lo scopo di perfezionare il funzionamento del prospettografo di Bettini (04.15). Sfruttando le proprietà del pantografo di Christoph Scheiner (04.10), Grienberger costruì un parallelogramma che assicurava un assoluto parallelismo tra la “linea della veduta” (radius visualis), ovvero l’asta orizzontale superiore che consentiva di traguardare i punti dell’oggetto da ritrarre, e la “linea del disegno” (radius scriptorius), ossia l’asta orizzontale inferiore che fa da guida allo stilo per il tracciamento dei punti sul foglio da disegno. Lo strumento è molto simile a un’invenzione pubblicata da JeanÉrard de Bar-le-Duc (1554-1610) ne Le premier livre des instruments mathématiques méchaniques, edito a Parigi nel 1584. FC 04.09 François D’Aguilon SJ, Opticorum Libri Sex: Philosophis iuxtà ac Mathematicis vtiles, Antverpiae (Officina Plantiniana) 1613 frontespizio Roma, Bibliotheca Hertziana WA Agu 360-2130 gr raro L’Opticorum libri sex venne concepito da François D’Aguilon SJ (1567-1617) come un libro di testo di perspectiva communis destinato all’ultima parte del corso di matematica nei collegi dei gesuiti. Dal momento che l’ottica e la fisica erano impartite anche nel corso di filosofia, tale testo doveva servire, come annuncia il titolo, ad entrambe le discipline. Il sesto ed ultimo libro è dedicato all’ottica geometrica ed alla teoria delle proiezioni, mentre la sezione sulla proiezione scenografica (pp. 637-684) verte principalmente sugli enunciati della prospettiva lineare. Una delle fonti principali del D’Aguilon è l’opera di Guidobaldo del Monte(1545-1607),Perspectiva libri sex, al quale allude il titolo prescelto dal gesuita fiammingo. François D’Aguilon SJ. Pieter Paul Rubens (1577-1640) è l’autore del frontespizio e delle illustrazioni con le quali inizia ciascuno dei sei libri incise da Théodore Galle (1571-1633). Il frontespizio illustra una complessa allegoria della visione: la dea Giunone, con una piramide visiva, come personificazione della luce, siede tra un pavone ed un’aquila che sostiene una sfera armillare. Ai due lati sono Mercurio che tiene una testa di Argo dai “cento occhi” e Minerva con uno scudo decorato con la testa sbalzata di una Medusa. La scena allude ad un passo del I libro delle Metamorfosi di Ovidio: Giunone ordina a Mercurio di addormentare gli occhi vigili di Argo prima di decapitarlo; i “cento occhi” vengono poi sparsi da Giunone sulle piume della coda del suo pavone guardiano. Sulla parte inferiore del frontespizio sono dei cinocefali, animali mitologici ciechi ed alcuni strumen9 ti impiegati nell’ottica geometrica. Se il pavone e la testa di Argo sembrano alludere all’organo della visione, l’aquila pare essere un riferimento al cognome dell’autore. L’Opticorum Libri Sex, una sintesi della tradizione ottica basata sulla Perspectiva communis di John Pecham (1240ca.-1292), non priva tuttavia di spunti originali, soprattutto nell’intento dell’autore di offrire una teoria matematica della visione, è opera di estremo interesse anche per la storia del libro, in quanto maestoso esempio delle imprese editoriali della Tipografia Plantiniana dei Moretus di Anversa. François D’Aguilon fu professore di matematica presso l’Accademia di storia ecclesiastica costituita nel 1615. Nell’anno della morte, avvenuta nel 1617, avviò il corso di matematica presso il collegio dei gesuiti di Anversa. L’annunciato secondo volume dedicato alla Catottrica e alla Diottrica non venne mai completato; alcune note manoscritte permangono tuttavia tra i manoscritti di Grégoire de SaintVincent (1584-1667), suo successore alla cattedra di matematica presso il collegio dei gesuiti. EC Bibl.: KEMP 1994, pp. 117-120; ZIGGELAAR 1983, pp. 53-114; SCHEPPER 2004, p. 110; CORSI 2002, pp. 136-137. 04.10 Joseph Meinicke, Pantografo Vienna, XVIII secolo Legno e ottone; cassetta, cm 82x17 Firenze, Museo Galileo, Inv. 596 (non in mostra) Esemplare settecentesco del celebre strumento per la riproduzione dei disegni messo a punto da Christoph Scheiner nel 1603. Come si legge nel proemio del trattato dedicato allo strumento dal padre gesuita (Pantographice, seu ars delineandi res quaslibet per parallelogrammum lineare seu cavum, Roma 1631; Pratica del parallelogrammo da disegnare, Roma 1637), l’invenzione fu stimolata dalle operazioni di un compasso elaborato da un amico pittore, il quale “tenendoli nascosto (come cosa Divina) il modo […] mosse l’animo del Padre, come ch’e- 10 ra ingegnosissimo, et ottimo Matematico, à speculare continuamente, fino che in pochi giorni scoprì tutta l’Arte, e la corroborò con dimostrationi matematiche”. L’invenzione consisteva in una sorta di compasso – con le gambe unite da due braccetti snodati – dotato di tre punte regolabili per fornire diversi rapporti di riduzione. Delle tre punte, una era fissa e costituiva il centro di proiezione, un’altra seguiva i contorni del disegno da riprodurre, mentre la terza tracciava i lineamenti del disegno finale. Nel trattato di Scheiner il pantografo è descritto anche come strumento prospettico; in questo caso la seconda punta segue i contorni di un oggetto reale, muovendosi sull’ideale piano di rappresentazione posto tra l’occhio e l’oggetto. FC 04.11 Jean-François Niceron, Thaumaturgus opticus, seu Admiranda Optices, per radium directum: Catoptrices, per reflexum è politis corporibus, planis, cylindricis, conicis, polyedris, polygonis & aliis: Dioptrices, per refractum in diaphanis Lutetiae Parisiorum (typis & formis Francisci Langlois, aliàs dicti Chartres, viâ Iacobaeâ sub insigni Columnarum Herculis) 1646 Roma, Bibl. Naz. Centrale di Roma, 55.8.H.1 La fama acquisita dopo il soggiorno romano in qualità di professore di matematica presso il convento dei Minimi di Trinità dei Monti e la pubblicazione de La perspective curieuse nel 1638, inducono Jean 04.12 Jean François Niceron, Ritratto anamorfico di Ferdinando II de’ Medici Roma, 1642 Olio su tavola; cm 70x43x53 Firenze, Museo Galileo, inv. 3196 Replica a cura di F. Camerota Opera Laboratori Fiorentini - François Niceron (1613-1646) a dare alle stampe il Thaumaturgus opticus, compendio di ottica in tre parti preceduta da un Elogium autoris. L’opera è così strutturata: Un praeludium geometricum intende fornire una sintesi dei principali assiomi dell’ottica geometria; il corpo dell’opera comprende Thaumaturgi optici seu perspectivae curiosae, in due libri dedicati all’ottica come videndi scientia, divisa in tres species diversas: la Perspectiva, afferente al modo di vedere proprio dell’occhio umano; la Catoptrica ovvero speculorum scientia, ed infine la Dioprica ovvero la rifrazione attraverso i corpi diafani, per refractum in diaphanis. Ciascuna di queste specie, avverte Niceron, comprende una Theorica, o speculativa ed una Practica, anche se l’autore concepisce il Thaumaturgus opticus più come un manuale pratico che come un trattato teorico. Ai due libri che compongono la dissertazione sulla perspectiva communis et artificialis, egli fa seguire un capitolo sul prospettografo di Ludovico Cardi Cigoli (04.04, vedi anche 04.12 e 04.17), che definisce Scenographum catholicum seu instrumentum universale, e del quale fornisce una descrizione dettagliata sia nella struttura che nelle applicazioni, soprattutto per quanto concerne la possibilità di impiegarlo al fine di disegnare figure anamorfiche. L’opera è corredata da un’appendice de lumine et umbris, dedicata alla teoria delle ombre portate e da un elenco di testi di Perspectiva artificialis che costituiscono le fonti di riferimento di Niceron. L’opera si articola in una successioni di assiomi di base, proposizioni, teoremi e lemmi secondo l’ordinamento tradizionale della trattatistica ottica. Niceron dimostra di possedere una conoscenza aggiornata delle teorie di Galileo, Keplero e Cartesio. In particolare, rispetto alla fisiologia della visione, già ne La Perspective curieuse (Parigi, 1638, compara il funzionamento dell’occhio umano a quello della camera oscura, dimostrando di conoscere la funzione del cristallino che, nel processo della visione, mette a fuoco l’immagine rovesciata sulla superficie della retina. EC Bibl: BALTRUŠAITIS 1955, ed. 1984; KEMP, 1994, p. 148; STAFFORD, TERPAK, 2001, p. 239; GROOTENBOER, 2006, p. 98 Tra i maggiori esperti di ottica del XVII secolo, Jean François Niceron (1613-1646) fu allievo di Marin Mersenne (1588-1648) presso il convento dei Minimi di Parigi. Nel 1639 fu chiamato a insegnare matematica presso il convento romano di Trinità dei Monti, dove soggiornò ancora nel 1642 eseguendo con Emmanuel Maignan (1601-1676) due grandi anamorfosi raffiguranti san Francesco di Paola e san Giovanni Evangelista. Al secondo soggiorno romano risale anche il ritratto anamorfico di Ferdinando II che il granduca conservò tra i suoi strumenti scientifici nella Galleria degli Uffizi. Dipinto a olio su tavola, il quadro raffigura sette teste di turchi distribuite intorno a un trofeo di bandiere e andava osservato attraverso un ‘cannocchiale prospettico’, ossia un piccolo tubo con lente poliedrica collocato sul piedistallo posto davanti al dipinto. Il tubo e la lente sono andati perduti nel corso dell’alluvione del 1966 ma le loro caratteristiche ci sono note attraverso le tavole de La Perspective curieuse (04.11) dove Niceron illustra dettagliatamente il meccanismo ottico. La funzione della lente poliedrica era quella di catturare singoli frammenti di ciascuna testa e riunirli per rifrazione in una sola immagine che mostrava il ritratto di Ferdinando II. Come si legge nell’iscrizione latina sul piano orizzontale, il dipinto è un elogio ai successi del granduca nella lotta contro i turchi nel Mediterraneo. FC Bibl.: NICERON 1638, pp. 114-118, tav. 23; MINIATI 1991, p. 88; CAMEROTA 20011, p. 232; CAMEROTA-MINIATI 2008, p. 338. 04.13 Jean Dubreuil SJ, Perspectiva practica oder Vollständige Anleitung zu der Perspectiv-Reiss-Kunst: nutzlich und nothwendig allen Mahlern, Kupfferstechern, Baumeistern ... / sehr deutlich und ordentlich beschrieben ... durch ein unbenahmtes Mit-Glied der Societät Jesu. Aus dem Frantzösischen ins Teutsche übersetzet durch Johann Christoph Rembold Augspurg: Wolff, 1710, tav. 125 Roma, Bibl. Hertziana, Gh-DUB 6523-3100 raro 11 04.14 Mario Bettini SJ, Apiaria universae philosophiae mathematicae in quibus paradoxa, et nova pleraque machinamenta ad usus eximios traducta, & facillimis demonstrationibus confirmata ... Bononiae (typis Io. Baptistae Ferronij), 1642, II vol.: ill., diagr. pp. 40-41; Roma, Biblioteca della Pontificia Università Gregoriana, Mag. 901 ZP 6 L’edizione originale dell’opera del gesuita Jean Dubreuil (du Breuil, 1602-1670) apparve a Parigi nel 1642 con il titolo di: La Perspective practique, necessaire à tous peintres, graveurs, sculpteurs, architects, orfevres, brodeurs, tapissiers, et autres se servans du Dessein. Il successo del trattato è testimoniato dalle numerose traduzioni, tra le quali quella tedesca del 1710 in mostra. Ancorché il richiamo alla praticità permetta di considerarlo all’interno di una produzione gesuitica della quale la Perspectiva pictorum et architectorum costituisce l’esempio più luminoso, l’opera di Dubreuil si caratterizza per l’eccessiva astrusità delle sue spiegazioni. Si rese pertanto necessario, nelle edizioni successive, come pure nelle traduzioni, inserire ulteriori note esplicative. Ciò non ne impedì comunque la diffusione. Dubreuil è anche l’autore di un trattato di architettura militare dal titolo di Art universal des fortifications. L’architettura militare è un terreno di applicazione della prospettiva lineare per la quale esiste, in ambito francese, una copiosa produzione gesuitica: Pratique générale des fortifications (Moulins, 1679) di Pierre Angot (1649-1694), Le dessein ou la perspective militaire (Parigi, 1655) e l’architecture militaire, ou l’art de fortifier (Parigi, 1655) di Pierre Bourdin (1595-1653), tra gli altri. La Perspective pratique contiene pure una serie di immagini nelle quali dipinti anamorfici sono collocati in stanze apposite, raffigurati su superfici piane o coniche. EC Bibl.: MOISY, 1958, p. 72; CORSI, 2002, pp. 122-136; STAFFORD, TERPAK, 2001, p. 243 12 Apiaria universae philosophiae mathematicae è un compendio di mathesis media (o mixta) concepito come manuale per l’insegnamento di questa disciplina nell’ambito dei corsi di filosofia naturale (philosophia o physica) nei collegi della Compagnia. La filosofia naturale era una disciplina intesa come studio di enti concreti, distinta dallo studio di enti astratti di competenza della metafisica e della mathesis pura, Nell’ambito delle matematiche miste rientravano dunque la perspectiva, intesa come ottica e filosofia della luce, e la prospettiva lineare. In tal modo, Apiaria universae philosophiae mathematicae si configura, sia cronologicamente che tematicamente, tra l’Opticorum libri sex di D’Aguilon (04.09) e l’Ars Magna lucis et umbrae di Kircher (04.16). L’immagine prescelta si riferisce al così detto ‘occhio del Cardinal Colonna’. Si tratta di un enorme occhio raffigurato su uno schermo convesso; un raggio di luce dal cielo lo colpisce perpendicolarmente e ne proietta l’immagine deformata su un piano orizzontale, quasi si trattasse di un’anamorfosi prodotta da uno specchio cilindrico. Questa sorta di ‘sguardo anamorfico’ allude in modo significativo al complesso gioco di intrecci simbolici e significati allegorici che costituiscono l’essenza della visione barocca e permea le ricerche ottiche del tempo. L’artificio visivo ideato da Bettini evoca la storia del Cardinal Colonna e delle sue illuminate riforme nella diocesi di Bologna: l’occhio deformato simboleggia infatti il malgoverno che aveva severamente pregiudicato i bolognesi mentre quello buono allude all’azione del Cardinal Colonna che ricolloca l’opera della Chiesa sulla giusta direttiva. Tale sottile allegoria rimanda ad una antica tradizione propria degli studi di ottica medievale, le cui valenze simboliche ricorrono anche in trattati di retorica come il De oculo morali di Pierre de Limoges. Bettini rivendica l’azione purificatrice della matematica che, nella tradizione platonica, serviva appunto a distogliere l’animo dalle cose terrene. In tal guisa, le scienze miste come la musica, la pro- nici giusti oppure temperati a 18/17, secondo quanto raccomandava Vincenzo Galilei per gli strumenti a corda. EC Bibl. BALDINI 2000, p. 185 n. 17; ARICÒ 1996; KEMP 1994, p. ........; CORSI, 2002, pp. 134-135; CORSI, 2004, pp. 93-95, 123-124; BLANCHARD, 2005, pp. 25-26; BUCI-GLUKSMANN, 1994, pp. 110. 04.15 Mario Bettini, Strumento prospettico spettiva e l’astronomia, poiché contengono un chiaro riferimento ad oggetti concreti ma al contempo implicano formule astratte, servono come preparatio animi. Consentono, in altre parole, di intraprendere un percorso formativo che da esse conduca alla teologia. Nell’introduzione all’opera afferma: “Facilis etiam a mathematicis ad moralia, et theologia gradus est. Sunt enim et rectè Platonici affirmant, mathematicae scientiae purgatoriae; quippe animum a materia sensibile avocant”. A riprova cita i missionari che in Cina si sono serviti dell’insegnamento delle matematiche, traducendo anche gli Elementi della Geometria di Euclide, per trasmettere i dogmi della vera religione (04.06). Ai due volumi dell’Apiaria seguì, nel 1660, un terzo volume intitolato Recreationum Mathematicarum Apiaria Novissima, basato appunto sui giochi matematici, dei quali esisteva una lunga tradizione, da Fibonacci (1170-1250) a Gerolamo Cardano (1501-1576). Mario Bettini SJ (1582-1657), studiò presso i collegi di Brescia e Parma ove svolse successivamente la carriera di docente di etica e matematica; fu anche al servizio della corte parmense come precettore. Negli ultimi trenta anni di vita tornò a Brescia. Esiste un solo studio monografico dedicato a questo grande matematico gesuita (ARICÒ 1996), che tuttavia si incentra sui suoi interessi letterari, mentre i suoi scritti di matematica pura ed applicata non sono stati ancora oggetto di uno studio esaustivo. Bettini non fu solo un teorico ma si dedicò anche alla sperimentazione pratica. Egli è infatti l’ideatore di un prospettografo (04.15), illustrato nella sezione Apiarium quintu, in quo Paradoxa et arcaba opticae scenogarphicae, strumento che venne perfezionato da Christoph Grienberger (1564-1636; 04.08), il matematico gesuita successore di Clavio al Collegio Romano. Apiaria universae philosophiae mathematicae contiene inoltre la descrizione di altri due importanti strumenti: il baculum, strumento per la misura delle distanze che si avvale delle proprietà dei triangoli simili, descritto in trattati di scienza nautica come l’Itineriario de la navegación de las mares y tierras occidentales (1575) di Juan de Escalante de Mendoza, e il pantometro, strumento che, mediante una riga calibrata, permetteva di definire gli intervalli armo- ottone, cm 60x60x60 Ricostruzione a cura di Filippo Camerota (da Mario Bettini, Apiaria Universae Philosophiae Mathematicae, Io. Baptistae Ferronij, Bologna 1645, 2 voll., Apiarium V, Progymnasma II, cap. IV, p. 36) Opera Laboratori Fiorentini Lo strumento è illustrato nella sezione prospettica dell’Apiaria Universae Philosophiae Mathematicae, l’opera che raccoglie le ricerche scientifiche del padre gesuita Mario Bettini, privilegiando i casi curiosi in cui il rigore matematico si fonde con il gusto per l’effetto magico e meraviglioso. I temi ottici sono trattati in Apiarium quintum in quo Paradoxa et arcana opticae scenographicae, dove si trova la descrizione di tre strumenti prospettici, uno ideato da Bettini e due da Christoph Grienberger che nel 1635 eseguì una completa revisione dell’opera integrandola in più parti. I due strumenti di Grienberger sono rispettivamente varianti del pantografo di Christoph Scheiner (04.10) e del prospettografo di Bettini (04.08). Lo strumento di Bettini ha la particolarità, già propria di alcuni strumenti cinquecenteschi, di sdoppiare la piramide visiva. L’asta che segna i punti sul foglio da disegno si muove, infatti, sempre parallela al raggio visivo che volta per volta, guidato dai traguardi alla sommità delle aste verticali, va a colpire i singoli punti dell’oggetto da ritrarre. FC 04.16 Athanasius Kircher SJ, Ars magna lucis et umbrae ... Roma: Hermann Scheus, 1646, p. 901 Roma, Biblioteca della Pontificia Università Gregoriana, Ris. 901 P 8 Ars magna lucis et umbrae è un compendio di ottica, nel quale il celebre professore di matematiche e lingue orientali del Collegio Romano (16..-17..) illustra la sua concezione filosofica fondata sul carattere universale del dualismo tra luce ed ombra. Poiché le immagini che descrivono i moti dei corpi celesti ed il passaggio delle stelle sono prodotte 13 dalle ombre che a loro volta sono generate dalle fonti di luce, l’alternanza di luce ed ombra costituisce la chiave ermeneutica che permette di penetrare il disegno del Creato. In tal guisa, l’Ars magna lucis et umbrae è al contempo un trattato di cosmologia. Per dimostrare le meraviglie del dualismo dell’ombra e della luce, l’autore si serve di spettacolari dimostrazioni di catottrica e diottrica, illustrando il funzionamento di strumenti e macchine in gran parte presenti nel Teatro del mondo, il Museo che aveva voluto allestire al Collegio Romano. Come prometteva il nome, il Museo doveva contenere oggetti, manufatti, meraviglie naturali ed artificiali provenienti dai quattro angoli del globo e cioè da dove, presumibilmente, fossero giunti i missionari della Compagnia di Gesù, rispondendo all’antico mandato di uno dei padri fondatori, Jeronimo Nadal, secondo il quale “totus mundus nostra habitatio fit”. Il Museo, simulacro della conoscenza universale, conteneva dapprima solo fossili, monete, animali esotici impagliati e reperti egiziani. Erano oggetti che i confratelli dell’augusto professore gli spedivano o gli portavano in dono in occasione delle loro visite. Il gabinetto crebbe successivamente sino a contenere anche macchine costruite per stupire i sempre più numerosi visitatori. Nel 1678, lo stesso Kircher inviò alle stampe il catalogo di tale meravigliosa collezione: Romani Collegii Museaum Celeberrimum, compo14 sto da Giorgio De Sepi, discepolo e assistente devoto che, avendo lasciato Roma intorno al 1670, era scomparso pochi anni dopo. Il capitolo settimo è dedicato ad enumerare gli strumenti di ottica, diottrica e catottrica conservati nel Museo. De Sepi fornisce in primo luogo la spiegazione delle due discipline ottiche: la visione che ha luogo attraverso i corpi diafani si chiama diottrica, per rifrazione si chiama anaplastica, mentre la visione che avviene per riflessione attraverso specchi o corpi riflettenti si chiama catottrica (Romani Colleggi Societatis Jesu Musæum Celeberrimum, Amsterdam, Ex Officina Janssonio-Waesbergiana, anno 1678,cap. VII, p. 35, Biblioteca Nazionale Centrale, RC1170). De Sepi descrive una serie di esperimenti che avevano luogo presso il museo e nei quali venivano impiegati specchi piani, sferici, cilindrici, conici, ellittici, ustori, in parte cavi ed in parte convessi. Essi hanno un riscontro diretto nelle sezioni dell’Ars magna lucis et umbrae, come nel caso dell’immagine qui riprodotta. Nel riquadro superiore essa mostra due specchi cilindrici pieghevoli, uno concavo, l’altro convesso. Nello specchio cilindrico concavo al centro c’è un genio del quale si riproduce l’immagine all’estremo o a mezz’aria, a seconda della posizione dalla quale lo si osservi. L’immagine del riquadro inferiore si riferisce invece ad una macchina catottrica con specchi piani, affinché un uomo guardandosi allo specchio veda, invece del proprio volto, un asino, un bue, un cervo e un avvoltoio. La parte centrale della macchina è costituita da una ruota ottagonale con otto facce sulle quali sono disegnate le teste di animale posto su un collo umano, in modo che sia più precisa la sovrapposizione con il corpo dell’osservatore. La seconda sezione del compendio intitolata De actinobolismis, sive radiationibus, è divisa in due parti: Actinobolismus lucis, che descrive i raggi luminosi diretti e riflessi, nonché le analogie tra luce e suono; la prospettiva lineare è invece argomento della seconda parte, De actinobolismo optico che tratta anche della struttura dell’occhio. Questa sezione, intitolata De oculi structura & visione (pp. 161-165), sebbene non presenti tratti innovativi poiché ignora la teoria dell’immagine retinica, rimanda tuttavia alla teorica cinquecentesca che era sorta intorno ad uno specifico interesse l’organo e la dinamica della visione. Il libro X, Magia luci set umbrae, è invece quello nel quale Kircher illustra i trucchi ottici con lenti e specchi. Tra gli apparecchi ottici descritti nell’Ars magna lucis et umbrae, vi sono la lanterna magica e la camera oscura, dei quali Kircher offre descrizioni minuziose anche se non sempre immediatamente intelligibili. In una edizione successiva dell’Ars Magna lucis et umbrae (1671, pp. 767-768, 793), Kircher illustrerà le similitudini e le differenze tra quella da lui ideata e la lanterna magica costruita dal matematico danese Thomas Walgensten su ispirazione di Kircher stesso. Dotato di un certo spirito imprenditoriale, a detta del gesuita, Walgensten avrebbe venduto lanterne a tutti i principi europei, tanto che nella stessa città di Roma pare fosse divenuto un oggetto di uso corrente! Esiste una copiosa letteratura in merito agli apparecchi ottici ideati da Kircher ed uno dei problemi maggiormente dibattuti è quello relativo alla presenza di illustrazioni sbagliate a corredo della descrizione dello strumento. Ad ogni buon conto, il fascino per gli strumenti proiettivi ha una lunga storia che ha nella Magia naturalis di Giovanni Battista Della Porta (1535-1615), una delle opere maggiormente significative, sicura fonte di ispirazione per Kircher. La passione kircheriana per i giochi ottici e per la magia naturale può essere comparata all’illusionismo pittorico di Pozzo per la comune simbologia teologica e valenza spirituale. Pur se permeata di ermetismo, neoplatonismo e filosofia alchemica, la sintesi filosofico-scientifica esposta nelle opere di Kircher, concepisce un rapporto dinamico e costruttivo tra l’immagine, il testo e l’eventuale esecuzione pratica, rapporto che consente, pur nella diversità, di affiancare un’opera come l’Ars magna luci s et umbrae al Trattato, e non solo per la comune appartenenza religiosa dei suoi autori. La fama di Kircher varcò ben presto gli oceani e le sue opere vennero richieste non solo dai confratelli in terra di missione, ma anche da intellettuali e religiosi come Sor Juana Inés de la Cruz (1648-1695) che con Kircher, dalla lontana Nuova Spagna, intrattenne una fitta corrispondenza. Consapevole del significato allegorico e spirituale della lanterna, ad essa dedica questi memorabili versi: “Así linterna mágica, pintadas / Representa fingidas / mágica, dipinte / En la blanca pared varias figuras, / De la sombra no menos ayudadas / Que de la luz: que en trémulos reflejos / Los competentes lejos / Guardando la docta perspectiva / En sus ciertas mensuras / De varias experiencias aprobadas, / La sombra fugitiva / Que en el mismo esplendor se desvanece, / Cuerpo finge formado, / De todas dimensiones adornado, / Cuando aun ser superficie no merece” (“Così lanterna / rappresenti finte / varie figure sulla bianca parete, / dall’ombra non meno sostenute / che dalla luce: che in tremuli riflessi / alla giusta distanza / rispettando la dotta prospettiva, / nelle sue certe misure / da vari esperimenti confermate, / l’ombra fuggitiva, / che nello stesso splendore svanisce, / corpo finge formato, / da tutte le dimensioni adornato, / Quando non merita neppure l’esser superficie”. (Primero Sueño, circa 1685, vv. 873-886). EC Bibl.: BUONANNO 2008, pp. 43-45; VERMEIR 2005, pp. 127-159; CORRADINO 1993, pp. 249-279, FINDLEN 2004, pp. 354-355; IANNIELLO 1986, pp. 223235; CASSANELLI 1986, pp. 236-246. 04.17 Jacob Leupold, Strumento per anamorfosi cilindriche legno, cm 27,2x23,6x11,4 Ricostruzione a cura di Filippo Camerota (da J. Leupold, Anamorphosis mechanica nova, Lipsia 1715) Opera Laboratori Fiorentini L’anamorfosi cilindrica è un’immagine deformata ad arte per essere osservata riflessa su uno specchio cilindrico. Questo genere di artificio ottico comincia a comparire già nel Cinquecento ma il suo vero sviluppo si registra nel secolo successivo quando diventa oggetto di svariati trattati tecnico-scientifici, primo fra tutti la Perspective curieuse di Jean-François Niceron (04.11). Come illustra diffusamente Niceron, la deformazione delle immagini si otteneva per mezzo di una raffinata costruzione geometrica basata sulle leggi della catottrica. Lo strumento pubblicato da Jacob Leupold (1674-1727) è il primo apparecchio dedicato alla costruzione meccanica di questo tipo di anamorfosi. L’immagine è disegnata sul cilindro di legno così come si vuole che appaia nello specchio. Il cilindro è collocato sul foglio da disegno in luogo dello specchio e l’immagine è percorsa da una punta mobile il cui movimento è trasmesso con spaghi e pulegge ad una seconda punta scrivente che si muove sul piano orizzontale delineando l’immagine deformata. FC Bibl.: BALTRU?AITIS 1955, ed. 1978, p. 164; FRIESS 1993, pp. 127-130; CAMEROTA 2001a, p. 181 04.18 Chérubin d’Orléans, Cannocchiale con pantografo Legno, cm 50x50 Ricostruzione a cura di Filippo Camerota (da C. d’Orléans La dioptrique oculare, Parigi 1671) Opera Laboratori Fiorentini Il trattato del francescano Chérubin d’Orléans (Michel Lasséré) (1613-1697) illustra un ingegnoso tentativo di trasformare il telescopio in un vero e proprio strumento per il disegno scientifico. L’opera è dedicata alla diottrica e si inserisce nell’intenso filone di studi sulle proprietà delle lenti stimolato dalla diffusione del cannocchiale. Nella proposta di Chérubin, il cannocchiale è combinato con un pantografo (v. scheda 04.10) che avrebbe consentito la riproduzione fedele di quanto osservato attraverso le lenti. La punta di traguardo, che nell’invenzione di Scheiner intersecava i raggi visivi nella visio15 ne diretta, si muove sul piano focale dello strumento, mentre la punta scrivente traccia la posizione dei punti osservati secondo il rapporto di ingrandimento prestabilito. Il cannocchiale è montato su una tavoletta che porta il foglio da disegno e può essere orientata in senso verticale e orizzontale. Come si legge nelle due grandi tavole del trattato che illustrano il plenilunio, l’autore si servì di questo ‘oculare diottrico’ per ritrarre le varie fasi della Luna. Lo strumento prevedeva anche un’applicazione topografica per la redazione di mappe e vedute. FC 04.19 Giulio Troili (detto Il Paradosso), Paradossi per pratticare la prospettiva senza saperla, fiori, per facilitare l’intelligenza ... : cognitioni necessarie à pittori, scultori, architetti ... / dat’ in luce da Giulio Troili da Spilamberto detto Paradosso (prima edizione 1672), Bologna: Per Gioseffo Longhi, 1683, p. 19 o 41; Roma, Bibliotheca Hertziana, Gh-TRO 3501-2830 raro Giulio Troili (1613-1685) è l’autore di un trattato che, come recita il titolo, possiede le caratteristiche di un manuale pratico. L’opera è suddivisa in tre parti: la prima dedicata alla prospettiva, mentre due sezioni della seconda parte sono dedicate al disegno delle scene. Paradossi per praticare la prospettiva è infatti il primo trattato che contiene una descrizione sistematica delle quinte oblique oltre a quelle parallele al proscenio, anche se considera solo scene concepite architettonicamente da un punto di vista centrale, ignorando quelle viste di scorcio. I procedimenti prospettici delineati da Troili verranno successivamente elaborati da Pozzo, Galli Bibiena e Baldassarre Orsini. La terza parte dell’opera era stata pubblicata a Bologna nel 1653 con il titolo di Prattica del Parallelogrammo per disegnare. Si trattava in effetti dell’edizione italiana del Pantographice, sive ars delineandi res quaslibet 16 per parallelogrammum lineare sive cavum, mechanicum, mobile (Roma, 1631) (04.08., 04.10, 04.18), composto da Christoph Scheiner SJ (1575-1650), meglio noto in relazione alla disputa con Galileo intorno alle macchie solari. EC Bibl.: WRIGHT 1985, pp. 155, 163; KEMP 1994, p. 213S.; DUMBAR 1978, pp. 5-7. 04.20 Gerolamo e Gentile Benaglio, Taccuino di geometria e arte fortificatoria manoscritto, codice cartaceo rilegato in pergamena, cm 17,5x23,5 Roma, Collezione privata Il codice consta di 76 fogli, di cui 42 appartengono alla mano di Gerolamo Benaglio, il restante al figlio Gentile. Il manoscritto costituisce una preziosa testimonianza degli studi geometrici praticati nella classe artistocratica italiana del tardo Seicento, perseguiti soprattutto per apprendere gli elementi basilari dell’architettura militare. È un’annotazione riscontrabile sul f. 43r a informarci sulla genesi di questo taccuino. Vi si legge: “Io Gentile Benaglio ho incominciato ad / imparare la Fortificasione alli 6 / di Desembre del Anno 1693 / dal mio Sig:r Padre / Gierolamo Benaglio”. Il cognome dei due personaggi rimanda all’area bergamasca, dove la famiglia dei conti Benaglio era insediata. Sono le annotazioni del padre Gerolamo a presentare una maggiore sistematicità didattica che, partendo dagli assiomi elementari della geometria, giunge alla costruzione assonometrica e prospettica di corpi solidi, per approdare infine ad esercizi grafici riferiti ad elaborate planimetrie di piazzeforti. Nell’insegnamento che il genitore impartiva al figlio prevalgono gli esempi di carattere militare. Un aspetto particolarmente interessante si riscontra sul f. 41r, dove Girolamo disegna la statua di una Minerva con l’attributo della civetta, collocata al di sopra di un basamento a forma di cono gradinato. Quest’ultimo, oltre ad essere rappresentato in pianta e alzato, appare sulla destra del foglio in un disegno ombreggiato realizzato in prospettiva cavaliera. Ambedue i motivi – la figura femminile e il basamento – derivano evidentemente da due illustrazioni presenti nella Perspective pratique del gesuita francese Jean Dubreuil (04.13): un eloquente attestato della diffusione di testi scientifici dedicati alla prospettiva e della loro fruizione pratica nell’ambiente amatoriale aristocratico. RB Bibl.: DUBREUIL 1642-49, pp..... 17