IN ALLEGATO
REPORTAGE
EXPO 2015
HI-TECH
n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
Nell’area
Expo nasca
la città della
tecnologia
e di Internet
L’Expo all’italiana, realizzato con colpevoli ritardi e
messe a punto dell’ultimo secondo, prosegue sul
suo solco. A meno di sei mesi dallo smontaggio
dei padiglioni, la gigantesca area di oltre un
milione di metri quadrati non ha ancora una
destinazione d’uso ma solo qualche proposta. Il
rischio concreto è che il tutto si trasformi in una
desolata piastra di cemento in preda al degrado
e ai topi. E questo sarebbe l’ultima umiliazione di
un sistema Expo che già qualche brutta figura in
giro per il mondo ce l’ha procurata.
Noi non siamo Expo-scettici: piuttosto crediamo
che la grande occasione non sia l’Expo di per
sè stesso, che tra poco sarà finito, ma il dopo
Expo, che potrebbe durare per decenni e
diventare economicamente più significativo
della manifestazione originale.
La decisione dovrebbe essere in mano ai
proprietari attuali dell’area, la società Arexpo,
che, per bocca di Maroni, rivendica la propria
autonomia: i due soci di riferimento sono
Regione Lombardia (34,67%) e Comune di
Milano (34,67%) (non certo con lo stesso colore
politico) con, a seguire, l’Ente Fiera di Milano
(27,66%), la Provincia di Milano (2%) e il comune di Rho (1%). Ma ogni progetto ambizioso
richiede probabilmente più soldi di quelli che
Arexpo si può permettere; i suoi soci, peraltro,
non sembrano in condizione di trovare un
accordo vero per ricapitalizzare direttamente
l’azienda, coprendone anche gli attuali debiti.
A questo proposito un intervento di Cassa
Depositi e Prestiti potrebbe essere decisivo, ma
ovviamente non arriverebbe senza un semaforo verde del Governo; Governo che sembra
intenzionato a far valere il proprio parere.
Insomma, sembra replicarsi il gioco di veti
incrociati che è stata la prima causa dei ritardi
epocali nella realizzazione di Expo. Mentre gli
enti preposti litigano su chi debba decidere
e non su quale sia la destinazione d’uso più
vantaggiosa per i cittadini, noi ci permettiamo
di sottoporre la nostra proposta: l’area Expo
potrebbe diventare il distretto tecnologico
più importante d’Europa, soprattutto se saprà
improntare la propria anima sul “coding”, lo
sviluppo software e Web, argomenti centrali
per ogni azienda e relativamente al quale in
Italia mancano vistosamente scuole, professionalità e offerta. L’area Expo è ben collegata
con la città, sia in macchina che con i mezzi; è
facilmente “infrastruttrabile”, con passaggio di
nuove dorsali di comunicazione; e soprattutto
è a Milano, che è il centro tecnologico italiano.
Inutile pensare che le “silicon valley” si possano fare al Sud, solo per dare occupazione: perché un ecosistema di questo tipo funzioni serve
un reticolo di aziende già attive nei dintorni;
non a caso la vera Silicon Valley non è nata e
cresciuta in una zona depressa del Minnesota
ma in uno dei cuori pulsanti della California. E
nessuno pensa di poterla spostare da lì.
È trapelata nelle scorse ore una proposta,
capeggiata dall’Università Statale di Milano,
per destinare l’area Expo a città della scienza
e dell’innovazione: interessante, ma il rischio
che diventi poi solo un nuovo polo, ancora più
periferico, per l’Università, la vecchia università,
è molto alto. Non serve spostare l’Università,
serve cambiarla, almeno nelle sue funzioni
Viaggio tra i padiglioni
dell’Expo alla ricerca delle
installazioni tecnologiche
MAGAZINE
Ultra HD Blu-ray
Approvate
le specifiche 07
Smartwatch Android
con iPhone: si può
fare. Ecco come 12
Windows 10
sarà disponibile
in sette versioni 14
Mercato Unico Digitale
Cosa intende cambiare l’Europa
Un programma articolato su 3 pilastri e 16 punti
d’azione, tante intenzioni ma ancora poca sostanza
04
Abbiamo provato
il Samsung JS9500
È il TV LCD definitivo
Tecnologia e prestazioni sono
al top, ma il prezzo (6500 €) fa
paura ed è più alto dell’OLED
18
IN PROVA IN QUESTO NUMERO
21
22
24
LG Watch Urbane Fitbit Surge, fitness MacBook 2015
e Android Wear 5.1 tracker completo Bello, ma che prezzo
più tecniche. Serve che nel nuovo campus
sorgano scuole superiori di programmazione
software (non serve una laurea per essere un
buon sviluppatore, anzi dopo la laurea è troppo
tardi per iniziare): l’università, in questo quadro,
potrebbe avere solo il ruolo di polo di ricerca e
di grande bacino per la formazione dei docenti
delle superiori, cosa che oggi sarebbe il primo
dei problemi. Ma di certo, a fianco del coinvolgimento della Statale, preferiremmo vedere
quello del Politecnico di Milano, da sempre
più vocato alla declinazione “pratica” delle
teorie accademiche. Magari l’ex-Expo potrebbe
ospitare una versione potenziata e moderna
del bel Museo della Scienza e della Tecnologia
di Milano. E poi incubatori per le startup, sul
modello virtuoso di PoliHub. Insomma, una
serie di “mattoncini” che mantengano viva
l’area Expo, rendendola di fatto ai cittadini. Si
potrebbe fare. E far ripartire da qui il rilancio
tecnologico e digitale di un’Italia che sta
perdendo posti di lavoro “analogici” facendoli
recuperare nelle professioni digitali a Paesi
esteri più accorti di noi su questo fronte. Milano
non è certo la più importante delle città d’arte
italiane: facciamo sì che diventi almeno il vero
polo tecnologico dell’era di Internet. Il Paese
ne ha un bisogno maledetto e da nessun’altra
parte ci sono speranze che attecchisca meglio
che sotto la Madonnina.
Gianfranco GIARDINA
30
Super comparativa
auricolari sportivi
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MAGAZINE
MERCATO Per Repubblica il progetto sulla diffusione della banda ultralarga in Italia potrebbe prendere una strada inaspettata
IlLa stesura
governo
sceglie
Enel
per
la
banda
ultralarga
pubblica?
dei cavi spetterebbe a Enel, Telecom verrebbe snobbata e tutto rimarrebbe saldamente in mani pubbliche
S
di Roberto FAGGIANO
econdo quanto riportato da
Repubblica il governo potrebbe
assegnare a Enel e ai suoi cavi
elettrici il compito di portare la banda
ultralarga in tutto il Paese. I motivi sono
essenzialmente due: il primo è che la
rete elettrica Enel è già presente in tutta
Italia e raggiunge anche le zone più remote e disagiate, il secondo è che Enel
è controllata dal Ministero del Tesoro
e quindi il progetto rimarrebbe sotto
controllo pubblico, difendendo anche
le comunicazioni “sensibili” del Paese.
Per il progetto è previsto parte dell’investimento di 6,5 miliardi di Euro in cinque
anni e l’Enel ha già da tempo pronto un
progetto in materia, compresi gli accordi con le aziende locali che gestiscono
il servizio elettrico in città come Milano
e Roma.
Altra motivazione importante sarebbe
la rapidità con la quale il progetto po-
trebbe concludersi: non più di 5 anni
contro i 10 inizialmente previsti; anzi,
con gli investimenti del piano BUL del
governo, Enel potrebbe mettercene 3.
Una circostanza quasi indispensabile
dato l’enorme ritardo in materia che ci
divide dagli altri Paesi europei. Sul tema
Telecom ha invece sempre mostrato
grande lentezza negli investimenti e
soprattutto scarsa disponibilità a trattare sulla questione Metroweb, l’azienda
con partecipazione pubblica da molti
vista come il soggetto ideale per la stesura della nuova rete in fibra.
Se il progetto venisse affidato all’Enel
sarebbe relativamente facile aggiungere i cavi in fibra ottica sui grandi tralicci
di trasmissione Enel arrivando teoricamente in ogni luogo della penisola. Facile e anche rapido, come detto si parla
di soli 3 anni per completare il progetto
e colmare il solco digitale che divide le
aree più fortunate del Paese da quelle
dove è già un successo ottenere una
linea ADSL a 7 megabit. Tra l’altro Enel
ha comunque in progetto l’installazione
dei nuovi contatori smart, per i quali
sarà comunque necessaria la realizzazione di un’apposita rete dati di supporto, per cui il piano banda ultralarga è
MERCATO I dati di vendita Kantar per il primo trimestre 2015 vedono iOS ancora in forte crescita
iOS cresce e fa incetta di utenti Android scontenti
Il 32% di chi ha acquistato iPhone 6 o iPhone 6 Plus prima aveva un terminale Android
di Roberto PEZZALI
antar Worldpanel ComTech ha
rilasciato i dati di vendite degli
smartphone del primo trimestre
2015 e iOS è il grande mattatore: nei
cinque maggiori paesi europei infatti ha
raggiunto una quota del 20.3% crescendo del 2% rispetto all’anno precedente.
“Nel primo trimestre del 2015, iPhone 6
e iPhone 6 Plus hanno continuato ad
attirare clienti in tutta Europa, inclusi gli
utenti che prima avevano smartphone
Android,” ha dichiarato Carolina Milanesi, Chief of Research di Kantar Worldpanel ComTech. “In media, durante il primo trimestre, nei cinque maggiori Paesi
europei il 32,4% dei nuovi clienti Apple
è passato da Android a iOS.”
La leadership di Android resta intatta,
ma dai sondaggi fatti da Kantar il 35%
dei clienti che hanno acquistato uno
smartphone Android nel primo trimestre del 2015 ha affermato che la decisione è stata influenzata dall’offerta
conveniente sul prezzo del telefono.
Un ulteriore 29% ha dichiarato che uno

K
torna al sommario
dei fattori per l’acquisto è stata l’offerta
conveniente su tariffe o contratti. Resta
ancora una incognita Microsoft: “Se
analizziamo i dati più approfonditamente,” ha aggiunto Milanesi, “è facile
riscontrare la forte proposta di valore
offerta dal portfolio Lumia, mentre le
vendite di telefoni Windows negli Stati
Uniti hanno deviato verso il mercato
delle ricaricabili (20%) e dei contratti rateizzati (51%). Microsoft punta sul
fatto che le nuove funzioni di Windows
10 e la possibilità per gli sviluppatori di
eseguire facilmente il porting delle app
Android in Windows renderanno più invitante l’ecosistema Windows.”
In Italia la situazione vede iOS e
Windows Phone in forte crescita rispetto allo scorso anno, con l’iPhone che ha
attirato parte degli utenti di smartphone
Android di fascia alta e Microsoft che
piano piano sta prendendosi la fascia
entry del mercato con i suoi smartphone dall’ottimo rapporto qualità / prezzo.
un’opportunità per tutti. In questo scenario il ruolo di Telecom diventerebbe
del tutto marginale e si può ipotizzare
anche l’estensione del progetto alla distribuzione dei segnali televisivi, vista
l’intenzione del governo di reclamare
un ruolo pubblico anche per la rete TV.
MERCATO
Spotify cresce
ma aumentano
le perdite
Spotify Technology S.A. chiuderà
l’anno con ricavi in aumento del
45% rispetto l’anno precedente,
per un totale di 1 miliardo di euro,
secondo i dati ottenuti da Reuters.
La cattiva notizia è che le perdite
continuano a crescere: nel 2014
hanno raggiunto quota 165 milioni
di euro, rispetto ai circa 90 milioni
di euro del 2013. Questo aumento
consistente anno su anno (oltre
l’80%), viene imputato dall’azienda
ai costi di espansione internazionale, all’aumento dei dipendenti
e ai significativi investimenti nella
piattaforma. Spotify, nonostante
sia ancora lontana dal generare
degli utili, ha appena raccolto
investimenti per altri 350 milioni
di dollari e ha una valutazione di
oltre 8 miliardi di dollari. Il 2015
potrebbe essere un anno chiave per
l’azienda: sono infatti in scadenza i
contratti di licenza con Universal e
Sony e soprattutto la prima, secondo le indiscrezioni, sta spingendo
affinché venga ridotta l’offerta di
streaming gratuito.
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MAGAZINE
MERCATO Vodafone annuncia i risultati ottenuti da LTE e presenta uno smartphone da 149 euro
4G Vodafone avanti tutta: 85% di copertura
L’obiettivo è arrivare al 96% della copertura entro marzo 2016. Sperimentato LTE su Cat.9
L
di Paolo CENTOFANTI
o scorso novembre, Vodafone
aveva annunciato il lancio della
sua rete 4G+ in 80 città. Sono passati 6 mesi e oggi il servizio LTE-Advanced a 225 Mbit/s di Vodafone è disponibile già in più 300 comuni, mentre la
copertura LTE ha raggiunto l’85% della
popolazione. Sono i numeri dei risultati
ottenuti dal piano di investimento Spring
con il quale l’azienda ha premuto l’acceleratore sull’aggiornamento della propria
rete mobile e fissa. L’occasione per fare il
punto della situazione è quella dell’inaugurazione della prima “Casa 4G”, un nuovo tipo di negozio Vodafone, attualmente
ospitato nella cornice della rinnovata
darsena di Milano, in cui i clienti potranno
accedere a nuovi servizi (assistenza, formazione, smartphone di cortesia in caso
di interventi di riparazione) e soprattutto
toccare con mano i vantaggi della rete
LTE con un ambiente che simula il salotto
di casa. L’obiettivo di Vodafone è quello di
superare abbondantemente il 90% della
copertura nazionale in 4G entro il prossimo anno fiscale, con più di 6500 comuni
in LTE e oltre 500 in LTE-Advanced entro
marzo dell’anno prossimo. Ma per la prima volta, Vodafone ha anche dato un’indicazione di quella che è stata la risposta
dei consumatori alla notevole spinta data
dall’operatore nell’ultimo anno ai servizi
di connettività 4G.
Una risposta che è
stata giudicata molto positiva, con ben
il 21,2% del traffico
dati di Vodafone
che oggi passa sulla rete LTE, con un
incremento di quasi 4 volte rispetto
ai numeri dello
scorso novembre. Il
grosso del traffico è costituito soprattutto
dallo streaming video (YouTube e Infinity)
e musicale (Spotify), mentre un grosso
impulso al consumo di dati è stato dato
dall’attivazione della riproduzione automatica dei video di Facebook, con i social
network che oggi valgono il 18% dei dati
scambiati dagli utenti Vodafone. E per
continuare a incentivare il passaggio alla
rete 4G, Vodafone ha deciso di lanciare
un nuovo smartphone dal buon rapporto qualità/prezzo, una strategia che in
passato ha dato buoni risultati. Da questo mese sarà infatti disponibile il nuovo
Smart Prime, smartphone Android con
display da 5 pollici e risoluzione 720p,
processore Qualcomm Snapdragon 410,
fotocamera posteriore da 8 Megapixel e
frontale da 2, sistema operativo Lollipop
e naturalmente connettività 4G, il tutto a
149,99 euro e con una qualità della costruzione e delle finiture non male per
Promozione particolare
di LG per favorire la
diffusione dei TV 4K
A chi ne acquista uno
vengono offerti cinema,
cene, trattamenti
benessere
e altro ancora
di Emanuele VILLA
Smart Prime, lo smartphone realizzato per Vodafone da Alcatel.
questa fascia di prezzo. Vodafone ne ha
anche approfittato per dare una dimostrazione della prossima evoluzione del
suo 4G+, con il passaggio all’LTE Cat.9 a
300 Mbit/s grazie alla carrier aggregation
a 3 bande, anche se per il momento non
sono stati comunicati piani specifici per il
rollout commerciale del servizio, anche
perché i terminali al momento compatibili
sono ancora davvero pochi.
MERCATO La richiesta dei battery pack per la casa e le aziende è andata oltre le aspettative
La Powerwall di Tesla è una scomessa già vinta
I preordini hanno saturato la capacità di produzione dell’azienda fino alla metà del 2016
D
di Paolo CENTOFANTI

urante la presentazione dei dati
finanziari dell’ultimo trimestre della
compagnia, Elon Musk ha dichiarato che Tesla dall’annuncio del 30 aprile
ha già ricevuto 38000 ordini per il PowerWall e 2500 per il PowerPack, ciascuno
composto da 10 unità. Una domanda che
avrebbe già saturato la capacità di produzione di Tesla fino a metà 2016, anche
considerando l’inizio delle attività della
Gigafactory a inizio dell’anno prossimo.
La produzione delle batterie inizierà in
estate nella fabbrica di Fremont e Tesla
ha annunciato che i prodotti sono già in
torna al sommario
via di certificazione anche per la vendita
in Europa, che partirà in contemporanea
con gli Stati Uniti nell’ultimo trimestre dell’anno.
Per quanto riguarda i dati finanziari di Tesla nel primo trimestre del 2015, l’azienda
ha annunciato perdite nette inferiori alle
previsioni, pari a 154 milioni di dollari, con
ricavi in crescita del 55% anno su anno e
pari a 1,1 miliardi di dollari. Tesla prevede
una crescita di consegna di veicoli grazie
anche finalmente al lancio della Model X
nei mesi estivi, con un obiettivo di 55.000
auto tra Model S e Model X entro fine
anno e una continua riduzione dei costi,
anche se le spese dell’azienda continue-
Promozione LG
Cinema, cene
e benessere
a chi acquista
un TV Ultra HD
ranno a crescere con l’espansione della
rete vendita e nuovi investimenti per lo
sviluppo della Model 3. A questo proposito Musk ha annunciato che prevede di
presentare la nuova berlina “economica”
nel marzo del 2016, con inizio della produzione a fine 2017.
LG anticipa l’estate con una promozione dedicata a chi vuole
passare al 4K: qualora si acquisti, dal 9 maggio al 21 luglio, un
TV delle serie UB980, UC9V,
UF950, UG870, UF850, UF77,
UF695 e UF671 si riceva una
Privilege Card LG del valore di
500 euro in vantaggi e ingressi
gratuiti, molti dei quali pensati
per l’utilizzo in coppia. Per esempio, la Privilege Card dà diritto a
12 mesi di cinema in formula 2x1,
ovvero un biglietto di ingresso
gratuito al cinema dal lunedì al
giovedì a fronte di un secondo
biglietto pagato a prezzo intero.
Ovviamente per informazioni extra e per i termini dell’iniziativa,
fa fede il sito ufficiale della promozione. Ma la Privilege Card
offre anche 12 mesi di cene con
formula 2x1 in ristoranti di carne/pesce, pizzerie e ristoranti
etnici, un trattamento benessere
tra quelli offerti dai centri aderenti all’iniziativa, una sessione
fitness con un personal trainer
di 60 minuti per ottenere consigli ed esercizi personalizzati e
un ingresso di Day SPA per due
persone. La Privilege Card va richiesta, con le modalità descritte
nel sito della promozione, entro
10 giorni dall’acquisto.
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18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
MERCATO Un programma articolato su 3 pilastri e 16 punti d’azione, tante buone intenzioni ma c’è ancora poca sostanza
Mercato Unico Digitale: ecco cosa vuole l’Europa
Riforma del copyright, regolamentazione delle telecomunicazioni, e-commerce, IVA e protezione dei dati: c’è n’é per tutti
commerciali territoriali
dei detentori dei diritti.
I produttori cinemaa Commissione Europea ha presentato il piano di
tografici, ad esempio,
riforme per la realizzazione il Digital Single Market,
potranno continuare
il tentativo di creare un mercato unico dei servizi
digitali in Europa senza barriere nazionali, un po’ come
a stringere accordi di
avviene per i beni “fisici”. Un obiettivo sicuramente
distribuzione locali nei
ambizioso, soprattutto per quanto riguarda temi come
vari paesi, con diverse
quelli del copyright e la libera circolazione dei contenuti
finestre come succede
multimediali in Europa, articolato in un piano che si pogora, ma le nuove norgia su 3 pilastri e 16 punti di azione con tantissime linee
me faranno in modo
di intervento. Un piano che vale 3,8 milioni di nuovi poche sarà possibile per
i cittadini europei costi di lavoro secondo la Commissione e un giro d’affari
per l’economia europea di almeno 415 miliardi di euro
munque pagare per
all’anno. Il perché la Commissione Europea ha deciso
accedere ai contenuti
di imbarcarsi in questa iniziativa è presto detto: se in
anche se al di fuori del paese in cui sono disponibili.
Europa c’è la libera circolazione delle persone e delle
Entro la prima metà del 2016 verranno inoltre emenmerci, paradossalmente ciò non è vero per beni e servidate alcune norme della direttiva sull’e-commerce, in
modo tale da proibire la pratica del geo-blocking, cioè
zi digitali. Come molti dei nostri lettori sanno bene, se è
possibile comprare senza problemi ad esempio un CD
“la pratica discriminatoria utilizzata per motivi commerin Germania, allo stesso modo non è spesso possibile
ciali, secondo la quale i venditori online impediscono ai
acquistarne la versione “digitale” in un paese diverso
consumatori di accedere a un sito Internet sulla base
dal proprio, così come sono tanti i servizi di video on
della loro ubicazione, o li reindirizzano verso un sito di
demand disponibili in un certo paese europeo e non al
vendite locale che pratica prezzi diversi”. Se tutto ciò
di fuori di esso. Per non parlare di siti di e-commerce
suona come musica per le orecchie dei consumatori
che applicano prezzi diversi in base al paese dal quale
che troppo spesso si sono scontrati con l’avviso “questo
li si visita, o che non permettono del tutto l’acquisto su
contenuto non è disponibile nel tuo paese”, è meglio
base territoriale. Ma ci sono anche le diverse norme per
aspettare a festeggiare: la Commissione specifica infatti
gli operatori di telecomunicazione, il problema del pache il blocco di contenuti per accordi di distribuzione
territoriale in esclusiva, utilizzati per finanziare la produgamento dell’IVA per i siti di e-commerce che vogliono
zione di un’opera, non può essere considerato “ingiustivendere all’estero e così via.
ficato”. Come questo possa conciliarsi con quanto sopra
Come detto sono 3 i pilastri su cui si poggia il piano
non è evidentemente chiaro. Altra linea d’azione riguarper il Digital Single Market fortemente voluto dalla
Commissione Europea sotto la responsabilità del Viceda anche l’accesso transfrontaliero dei servizi radio-televisivi, con una revisione delle norme europee del 1993
presidente Andrus Ansip: migliorare l’accesso ai beni
anche alla luce dei nuovi servizi online degli operatori
e servizi digitali in tutta Europa per i consumatori e le
radiotelevisivi. Anche qui l’intenzione è quella di agevoimprese, creare un contesto favorevole e parità di conlare l’accesso a questi servizi anche al di fuori del paese
dizioni affinché le reti digitali e i servizi innovativi possano svilupparsi, massimizzare il potenziale di crescita
di origine. Sempre il geo-blocking è solo uno dei punti
dell’economia digitale. Per quanto riguarda il primo punche riguardano la più ampia sfera di interventi in mato, una delle principali linee di intervento proposte dalla
teria di e-commerce. La Commissione vuole agevolare
Commissione Europea prevede entro la fine dell’anno
la nascita di siti commercio elettronico in grado di lavorare in tutta Europa, con “un’attuazione più rapida ed
una riforma del copyright “volta ridurre le disparità tra
omogenea delle norme di protezione dei consumatori”,
i regimi di diritto d’autore nazionali e a permettere un
accesso online più ampio alle opere in tutta l’UE, anche
“servizi di consegna dei pacchi più efficienti e a prezzi
mediante ulteriori misure di armonizzazione”. Ma attenaccessibili” in Europa, introduzione di “un meccanismo
elettronico di registrazione e pagamento unici; con una
zione: obiettivo della riforma sarà quello di agevolare il
soglia di IVA comune per sostenere le start-up più picrilascio di licenze a livello europeo per lo sfruttamento
cole che vendono online”. Come concretamente tutto
dei contenuti, senza però abbattere le attuali politiche
ciò verrà messo in pratica, al momento non è specificato, ma la Commissione presenterà le varie
normative tra la fine del 2015 e la prima metà del
2016. Alla base del Digital Single Market rimane
poi la necessità di armonizzare a livello europeo
la regolamentazione del mercato delle telecomunicazioni con una revisione “ambiziosa”. In questo senso, la Commissione presenterà nel 2016
norme per gestire a livello europeo l’allocazione
Nel grafico l’attuale frammentazione del mercato digitale. dello spettro radio nei singoli paesi tramite regole

L
di Paolo CENTOFANTI
torna al sommario
comuni, ridurre le differenze nei regimi regolatori nazionali, e incentivare gli investimenti nelle infrastrutture
di rete a banda ultralarga attraverso un alleggerimento
normativo. Ma ci saranno anche norme che piaceranno
molto alle telco, volte a equiparare gli obblighi di legge
tra operatori telefonici tradizionali e servizi VoIP over the
top ad esempio. Anche in questo capitolo, il piano presentato dalla Commissione Europea non scende molto
nel dettaglio di come verrà portato a compimento tutto
ciò. C’è anche l’intenzione di rimettere mano alla direttiva sui media audiovisivi allo scopo di assicurare più
visibilità alle produzione europee non solo sui classici
canali distributivi (emittenti radio televisive), ma anche
sulle nuove piattaforme online. Infine, sempre per creare eque condizioni di mercato nel settore digitale, la
Commissione effettuerà un’indagine sul ruolo e la posizione delle attuali piattaforme online, con un rifermento
non troppo velato a giganti come Google, “su aspetti
quali la mancanza di trasparenza dei risultati di ricerca e delle politiche in materia di prezzi, le modalità di
utilizzo delle informazioni ottenute, le relazioni tra piattaforme e fornitori e la promozione dei propri servizi a
scapito dei concorrenti”. Il terzo pilastro, infine, riguarda
soprattutto l’interoperabilità delle banche dati online all’interno dell’Unione Europea e la regolamentazione del
trattamento dei dati personali, sia per quanto riguarda i
servizi commerciali che la pubblica amministrazione, in
particolar modo in campi come quello della sanità e dell’eGovernment. Anche qui la parola d’ordine è armonizzazione, in questo caso a livello di procedure e interoperabilità delle banche dati. Verranno studiati a questo
proposito degli standard appositi, al fine di permettere
un flusso regolamentato ma libero delle informazioni tra
i soggetti dei vari paesi dell’Unione, siano essi aziende,
fornitori di servizi (si pensi alle smart grid) e amministrazioni. L’iter sarà comunque lungo e difficoltoso, soprattutto per quanto riguarda la ricerca di un’intesa con il
Consiglio Europeo che rappresenta gli interessi dei
singoli paesi membri e più volte, come è capitato con il
pacchetto su roaming e neutralità, ha espresso più che
altro le voci delle varie lobby industriali. La Commissione punta a presentare tutti i nuovi provvedimenti entro
la fine del 2016 e il primo banco di prova sarà la riunione
del Consiglio Europeo del 25 e 26 giugno.
n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
MERCATO Il nuovo servizio di streaming di Apple sarà disponibile anche al di fuori degli Stati Uniti
Sotto “esame” il servizio di streaming Apple
Lancio programmato per il mese di giugno, ma sul nuovo servizio ora indaga l’anti trust
S
di Paolo CENTOFANTI
i continua a parlare di Apple e
streaming. Un motivo c’è: con
l’iTunes Store, Apple di fatto creò il
mercato della musica “liquida”, e ancora
oggi rappresenta la più importante fonte di ricavi dal download di musica per
l’industria discografica. Da qui, con lo
spostamento dei consumi dal download
allo streaming, l’attesa è grande per la
discesa in campo in questo settore da
parte di Apple. Un ingresso non privo
di ostacoli. Secondo le ultime voci, Apple punta a lanciare il servizio a livello
internazionale e non solo negli Stati
Uniti, dove era disponibile invece Beats Music. Stando a quanto raccolto da
Billboard Business, però, mancherebbero ancora diversi contratti chiave con le
major affinché questo avvenga, sopratutto se, come pare, Apple intende lanciare il servizio a fine giugno insieme ad
iOS 8.4, versione del sistema operativo
che integra un’app
musica completamente rinnovata.
A differenza di
quando Apple lanciò l’iTunes Store,
però, questa volta
l’azienda
americana arriva ultima
su un mercato dominato da player
già affermati come
Spotify e Deezer,
motivo per il quale starebbe cercando
accordi piuttosto spregiudicati con le
case discografiche. Nei giorni scorsi abbiamo dato notizia di come sia la Commissione Europea che il dipartimento di
giustizia degli Stati Uniti, stanno effettuando delle indagini su presunti accordi
con le case discografiche per limitare in
qualche modo l’attuale offerta in streaming gratuita. Ma è arrivata la notizia
che anche l’autorità per la concorrenza
Nokia HERE è in vendita
e sembrerebbe
che trovare acquirenti
non sia difficile
Tra i pretendenti
spunta anche Uber
di Paolo CENTOFANTI
degli Stati Uniti avrebbe aperto un’indagine in tal senso, con ulteriore giro di
colloqui con i dirigenti delle etichette. Va
detto che, come riporta Bloomberg Business, al momento si tratta appunto solo
di indagini esplorative e di supposizioni,
ma sono ben tre gli enti governativi che
cercano di far luce sulla questione, evidentemente c’è qualcosa di più di qualche segnalazione da parte di soggetti
preoccupati dall’arrivo di Apple.
MERCATO Per la prima volta i servizi di streaming superano gli acquisti del normale download
Per Warner lo streaming ora vale più del download
Il ritmo di crescita non lascia dubbi: lo streaming sarà il modello di business del futuro
I
di Michele Lepori

l CEO di Warner Music, Stephen
Cooper, ha annunciato alla conference call con gli investitori come i ricavi
generati dai servizi di streaming abbiano
per la prima volta oscurato quelli generati dal classico acquisto online sui vari
digital stores. “l ritmo di crescita dei servizi di streaming ha messo decisamente
in chiaro che questo sarà il modello di
business negli anni a venire e che lo
streaming sarà il modo in cui le persone
ameranno ascoltare la propria musica”.
Spotify e Pandora in particolare hanno
torna al sommario
registrato una crescita di +33% da una
trimestrale all’altra. Oltre alla parole di
Cooper, tuttavia, esiste un universo di
label che non sono certo solo Warner
Music e che a breve potrebbero dover
aggiungere un paio di posti a tavola per
dividersi la magra torta di un mercato
che, dal 2002, vive un’emorragia di liquidità che ha raggiunto perdite complessive di 10 miliardi dollari: a mettere un
laccio emostatico al paziente ci dovrebbero pensare il nuovo servizio streaming di Jay Z, Tidal, e soprattutto il tanto
rumoreggiato quanto atteso ingresso
del gigante di Cupertino, che si
dice essere pronto ad affiancare al pilastro iTunes un nuovo
servizio musicale adatto ai nuovi trend del mercato.Tutti felici e
contenti, quindi? In realtà Cooper
sottolinea come Warner Music e
le altre grandi del settore, Universal e Sony, si trovino costrette a
fare di necessità virtù prendendo
atto che il 90% dei ricavi di Spotify, tanto per citarne una, derivano
Anche Uber
interessato
alle mappe
HERE di Nokia
dal solo 25% di abbonati che pagano i
10 dollari/mese per Premium: per il resto,
c’è sempre la pubblicità. “Ci sono modi
e modi di guadagnarci sopra: con la
pubblicità, con gli abbonamenti o - perché no? - con entrambi: è comunque un
successo se paragonato alla pirateria
che impazzava anni fa” E tanto per mettere le cose in chiaro, continua Cooper:
“... pirateria significa zero guadagni,
furto di proprietà intellettuale e danni
per tutti”.
Se però si deve prendere atto dei freddi
numeri, come interpretarli potrebbe non
essere una visione comune visto che in
casa Universal il CEO Lucian Grainge
parla di abbonamenti in crescendo: non
un flat da x dollari al mese per contenuti
illimitati ma vari livelli di sottoscrizioni
via via più premium con bonus che vanno di pari passo con l’addebito mensile
sulla carta di credito. Una soluzione che
- si sussurra - avrebbe avuto anche la
benedizione di 1, Infinite Loop. I soliti
bene informati giurano: non manca molto per scoprire le carte in tavola.
Che la divisione HERE di Nokia
sia in vendita è ormai un dato di
fatto, ma a differenza del solito
qui parrebbe semplicissimo trovare un acquirente. I pretendenti
sono diversi, dopo l’interessamento di Zuckerberg & Co, secondo quanto riportato dal New
York Times, anche Uber sarebbe
pronta a un’offerta da 3 miliardi
di dollari per acquisire tutto il
servizio. Servizio che tra l’altro
fa gola (per motivi diversi) anche
ad altre aziende del ramo automobilistico, tra cui Audi, BMW e
Mercedes, oltre al colosso cinese delle ricerche su web Baidu.
I motivi che avrebbero spinto
Uber a una decisione del genere sono abbastanza chiari: oltre
a poter concedere il servizio a
tutte le aziende che non vogliono essere troppo legate a Google (che con Maps ha la maggioranza del mercato), la tecnologia
HERE Maps potrebbe essere
usata con successo in tutti i servzi di Uber e in primis nel servizio
di car pooling UberPool, per una
maggior precisione (nell’abbinamento tra conducente e passeggeri) e ricchezza di informazioni
rispetto ad oggi.
Dal canto loro, invece, il trio
automobilistico Audi, BWM e
Mercedes avrebbe come principale scopo quello di non essere
troppo legati a Google, specie
nei vari progetti di guida autonoma perseguiti dalle aziende tedesche. Questo perchè
la stessa Google sta portando
avanti un progetto analogo e,
pur non potendo negare il servizio ai concorrenti, potrebbe comunque tentare di scoraggiarne
l’impiego.
n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
ENTERTAINMENT Per i nuovi arrivati come Netflix sarà sempre più dura farsi strada in Italia
Mediaset golosa, ha fatto incetta di diritti
Mediaset annuncia di aver stretto un accordo esclusivo con Universal, Warner e Medusa
Esclusiva per tutte le piattaforme, streaming incluso, per oltre 3500 ore di contenuto inedito
C
di Roberto PEZZALI
hi ha guardato qualche sera fa
su Canale 5 in chiaro la partita
di Champions League Juventus-Real Madrid si sarà sicuramente
accorto della martellante pubblicità
che Mediaset Premium sta facendo ai
suoi diritti per il prossimo anno. Non
solo: nel corso della serata Mediaset
ha anche annunciato di aver stretto un
nuovo accordo per l’esclusiva di contenuti Warner, Medusa e Universal. Un
accordo che “pone Mediaset al centro
dei giochi per la televisione del futuro”
ha commentato Pier Silvio Berlusconi
e non ha tutti i torti, essendo Warner
e Universal due big tra i provider di
contenuti.
Per la prima volta Mediaset fa incetta
di tutti i diritti: Pay TV su qualsiasi piat-
Estratto dal quotidiano online
www.DDAY.it
Registrazione Tribunale di Milano
n. 416 del 28 settembre 2009
direttore responsabile
Gianfranco Giardina
editing
Claudio Stellari
Simona Zucca
Maria Chiara Candiago
Alessandra Lojacono
Editore
Scripta Manent Servizi Editoriali srl
via Gallarate, 76 - 20151 Milano
P.I. 11967100154
Per informazioni
[email protected]

Per la pubblicità
[email protected]
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Spotify, secondo
il Wall Street Journal,
starebbe per entrare
nel business del video
in streaming; videoclip
musicali, ma anche
contenuti originali
I segreti verranno
svelati il 20 maggio
di Emanuele VILLA
taforma, digitale terrestre free, onDemand e streaming, con una firma pluriennale che arriva al 2020 per Warner
e al 2018 per Universal. Nell’accordo
rientrano oltre 1000 ore di serie tv ine-
dite e 2500 ore di film tra cui American
Sniper e Interstellar. Per le new entry
come Netflix (ma anche Apple) sarà
sempre più difficile farsi strada in Italia:
il contenuto guida sempre le scelte.
ENTERTAINMENT Sky OnLine tutto nuovo, per battere Netflix
MAGAZINE
Spotify pronto
a entrare nello
streaming video
È in arrivo il nuovo Sky Online
Costerà di meno e avrà l’HD?
di Roberto PEZZALI
iovedì 21 maggio
ci saranno importanti novità per
Sky OnLine, il servizio di
video on demand basato su una subscription
mensile di Sky Italia.
L’annuncio arriva direttamente dalla pagina
Facebook di Sky, dove
nel teaser si intravede
anche la sagoma del
set top box Roku che sarà acquistabile da tutti per trasformare la propria TV o
il proprio proiettore in un client per accedere alla piattaforma. Difficilmente Sky
si limiterà solo a questo: in questi giorni infatti stanno avvenendo tanti piccoli
cambiamenti che lasciano presagire anche l’imminente rimodulazione dell’offerta. Sky Magic App, la scatolina da acquistare nei negozi che include 3 mesi di
Cinema e Intrattenimento, è stata infatti ribassata da 39 a 29 euro, segno che
potrebbero arrivare novità sotto il profilo dell’offerta commerciale. L’arrivo del set
top box ha poi portato a quattro i dispositivi associabili ad un singolo account: si
potrà avere Sky Online su TV, computer, console e tablet contemporaneamente. La novità più attesa, però, sarebbe l’alta definizione: la piattaforma attuale
onDemand di Sky è tutta in standard definition, ma l’imminente arrivo di Netflix
che fa dell’HD e del 4K i suoi cavalli di punta in termini di qualità potrebbe far
cambiare idea al colosso europeo.
G
Il marchio Spotify è indissolubilmente legato al mondo della musica in streaming. Ma per restare
sempre un passo avanti rispetto ai
competitor, il 20 maggio l’azienda
potrebbe svelare un asso che tiene nascosto da tempo: il suo ingresso nel mondo dello streaming
video. Lo afferma il Wall Street
Journal, che però non si sbilancia sui contenuti dell’offerta e sul
suo focus: si tratterà di un web
video service, presumibilmente
incentrato su materiale musicale
(videoclip) ma con funzionalità
ad hoc e pensato per attrarre sia
gli artisti più affermati che gli artisti indipendenti, di modo tale da
avere un catalogo molto ampio
ma anche contenuti originali, che
alla fine decreteranno il successo
o meno di un servizio in rapporto
ai competitor. Si vocifera che non
sarà necessario pagare un extra
per accedere al servizio: il classico abbonamento premium da 9
euro al mese sarà sufficiente per
accedere a tutti i contenuti video
e saranno disponibili funzionalità “esperte” quali i suggerimenti
di video sulla base della proprie
playlist, dei propri gusti e - perché
no - anche del proprio umore.
Pare che il 20 maggio sia il giorno
della verità, visto che l’azienda ha
già fissato un importante appuntamento per la stampa.
n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
TV E VIDEO La Blu-ray Disc Association ha completato la stesura delle specifiche del Blu-ray 4K
Ultra HD Blu-ray approvato: ecco il logo
Il nuovo Blu-ray sarà retrocompatibile con gli attuali e supporterà, oltre all’Ultra HD, anche l’HDR
di Roberto PEZZALI
L
o standard c’è, l’hardware arriverà
entro fine anno, i contenuti ancora
non si sa. Quello della foto a fianco
è il nuovo logo scelto dalla Blu-ray Disc
Association per il nuovo formato di disco
che potrà contenere film e video in 4K,
il cosiddetto Ultra HD Blu-ray. La BDA
ha, infatti, comunicato di aver chiuso finalmente le specifiche del formato e di
essere pronta ad iniziare la fase di licensing che partirà probabilmente a luglio.
Questo vuol dire che tutti gli interessati
potranno acquisire le licenze e iniziare a
creare hardware e software per il nuovo
standard. In questo caso, come per i vecchi supporti, sono molti i player in gioco:
oltre a chi produce hardware e software,
infatti, c’è tutta la catena industriale che
comprende i replicatori, gli sviluppatori
dei software di authoring e chi si occuperà della sicurezza. Al momento non si
conoscono ancora nel dettaglio le speci-
Panasonic diffonde
informazioni
sull’Ultra HD Blu-ray
I primi apparecchi
verranno mostrati
all’iFA e saranno
in vendita entro Natale
fiche, ma sicuramente sarà contemplata
la retrocompatibilità e ci sarà, oltre al 4K,
anche l’HDR. Come per i Blu-ray c’era il
BD Live, nato per le feature interattive,
per il nuovo Ultra HD Blu-ray ci sarà
una feature opzionale chiamata “Digital
Bridge” che servirà a condividere i contenuti sulla rete domestica e verso i dispositivi portatili, probabilmente una sorta di digital version integrata su disco e
standardizzata. I primi prodotti sono attesi entro fine anno, con Panasonic in pole
position: resta da capire invece quale
sarà il primo studio a rilasciare contenuti
e soprattutto quali saranno le politiche di
protezione dei contenuti stessi: quando
ci sono di mezzo contenuti di elevatissima qualità c’è da aspettarsi un DRM che
contempli anche la necessità di connessione perenne.
TV E VIDEO Compare la nuova app Dashboard e vengono introdotte cartelle per i preferiti
In Firefox OS per TV compare una nuova dashboard
Mozilla presenta i dettagli della sua nuova piattaforma per smart TV basata su Firefox OS
di Paolo CENTOFANTI
ino ad ora lo avevamo visto unicamente
nell’interpretazione
Panasonic, che ancora aspettiamo
di vedere in versione definitiva, ma ora
Mozilla ha rivelato nuovi dettagli sul
suo sistema operativo per Smart TV,
Firefox OS per TV. La principale novità, in
particolare, è la nuova app Dashboard,
che sarà installata di default sui TV Firefox con accesso diretto dalla home. Mozilla ha utilizzato la metafora dei mazzi
di carte per illustrare la filosofia della
sua nuova interfaccia, e di default sulla
home screen principale ce ne saranno
quattro: TV, app, dispositivi e appunto
la nuova dashboard. Si tratta di un raccoglitore “delle principali informazioni
di cui ha bisogno l’utente”, con quattro
bordi attivi che permettono di accedere, in senso orario partendo dall’alto, ai
controlli di riproduzione, alle notifiche,
all’ora e alla lista canali. La Dashboard
ricorda in parte un menù simile che
avevamo visto sui TV Panasonic, an-

F
torna al sommario
Ultra HD Blu-ray
i primi modelli
costeranno
il triplo
degli attuali
che se le voci sono
in questo caso diverse. Mozilla ha
anche razionalizzato
la personalizzazione
della schermata principale. Gli elementi
preferiti, ad esempio,
verranno “infilati” nel
mazzo
corrispondente, in modo tale
da tenere più organizzata la home, ma
l’utente potrà anche
creare delle cartelle
miste. Sia canali che
dispositivi collegati
agli ingressi, oltre
naturalmente
alle
app, vengono rappresentati in Firefox
OS come delle icone
o elementi che possono venire organizzati nella propria home personalizzata.
Resta da capire quanto dell’impostazio-
ne originale di Firefox OS verrà tenuto
dai produttori che sceglieranno di utilizzare la piattaforma di Mozilla.
di Emanuele VILLA
Le aziende coinvolte nel Blu-ray a
4k di risoluzione iniziano a diffondere informazioni sulle specifiche
dello standard e sugli apparecchi
coinvolti. È il caso di Panasonic,
azienda in primissima linea sul
fronte del Blu-ray 4K, che in un’intervista a What Hi-Fi ha fornito
alcune informazioni interessanti: innanzitutto pare confermato
l’appuntamento con l’IFA per la
presentazione dei primi prodotti
commerciali, non solo da parte
di Panasonic ma anche di altre
aziende di primissimo piano, il tutto finalizzato ad avere i prodotti
nei negozi entro la stagione delle
festività. Si parla anche di prezzo: “non vedremo apparecchi da
1.000 dollari”, afferma Ron Martin,
VP del Panasonic Hollywood Laboratory. In pratica, il dirigente Panasonic sostiene che il prezzo medio
dei lettori sia “mainstream”, più
contenuto. Lo stesso dichiara che
il prezzo sarà di circa 2 o 3 volte
quello degli equivalenti lettori standard, il che significa tutto e niente,
visto che abbiamo player con posizionamento sotto i 100 euro così
come quelli da 300 o 400 euro; diciamo che una previsione attendibile potrebbe essere (in media) di
700/800 euro al lancio, con fisiologica diminuzione dopo pochi mesi.
I prezzi del software, a differenza
dell’hardware, dovrebbero essere
comparabili con gli attuali Blu-ray.
Ma sul software dobbiamo tornare in seguito: al momento non c’è
una lista ufficiale di titoli in uscita,
che verrà (pensiamo) comunicata contestualmente agli annunci
hardware.
n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
TV E VIDEO Selfsat>IP è un’antenna piatta con sistema Sat-IP e compatibile con ricevitori Sky
L’antenna del futuro è già pronta per il 4K
Permette di vedere fino a 8 canali contemporaneamente su tablet, smartphone e TV
di Roberto PEZZALI
l satellite è l’unica piattaforma in grado di salvarci dalla bassa definizione,
ma il satellite ha anche una serie di
svantaggi, primo tra tutti la necessità
di installare una parabola. Esistono sul
mercato parabole non necessariamente circolari, ma una soluzione proiettata
al futuro è stata presentata dal produttore coreano I Do It ai Tecnology Days
di SES Astra. Selfsat>IP, questo il nome
del prodotto, è un mix tra le note parabole quadrate Selfsat e la tecnologia
Sat>IP. Questa tecnologia è passata un
po’ in sordina in Italia dove la parola satellite è associata a Sky, ma è davvero
qualcosa di rivoluzionario: una parabola Sat>IP, infatti, è in grado di utilizzare
l’infrastruttura di rete IP esistente per
portare il segnale TV. Dalla parabola
esce quindi un cavo di rete che può essere inserito in un normale access point
I
TV E VIDEO
Pronti a
registrare i
programmi TV
con Xbox One?

Periodo di rumor e indiscrezioni in
quel di Redmond, e questa volta
tocca all’altro grande player dell’ecosistema Microsoft, vale a dire
Xbox One. Il giro di pensionamento
che avrà luogo su PC con Internet
Explorer e Media Center avrà conseguenze anche sull’esperienza di
home entertainment, dove lo stesso
Media Center finirà nel dimenticatoio lasciando spazio (si dice) a un
vero e proprio DVR per registrare in
diretta gli eventi televisivi. Quando?
Pare entro la fine dell’anno. È vero,
esiste già un TV Tuner per la console
Microsoft, ma le possibilità di pausa,
rewind e fast forward non sono
nulla paragonate a un vero e proprio
registratore digitale con magari anche il supporto per digitale terrestre
integrato: un’opzione che la rivale
PlayStation 4 offre agli abbonati
al servizio Vue in alcune aree del
mondo. Riuscirà Microsoft ad offrire
quest’opzione in tutto il mondo, cara
Vecchia Europa compresa?
torna al sommario
wireless per renderlo disponibile
in tutta la casa.
Selfsat>IP si spinge oltre in realtà:
dispone di due
uscite sat tradizionali per collegare un decoder
come il MySky
HD e di un’uscita
di rete capace di servire contemporaneamente 8 diversi canali ai dispositivi della casa, che possono essere PC,
tablet, smartphone o TV. Selfsat non
ha limiti di banda: utilizzando un cavo
gigabit può tranquillamente veicolare
verso il TV un segnale 4K e più segnali
Full HD, tutto dipende ovviamente dalla congestione di rete. Resta un unico
dubbio, ma lo dissipiamo al volo: come
si sintonizzano i canali e come si fa a
Tra i nuovi modelli
solo i TV LG saranno
certificati Bollino
Platinum e solo Samsung
e LG
avranno a bordo MHP
I produttori puntano sulle
loro piattaforme
vederli? Esistono già in commercio
molti client Sat>IP: ci sono applicazioni
per PC e Mac, per tablet iOS e Android,
per smartphone e ci sono anche TV
compatibili con Sat>IP come i modelli
Panasonic. L’elenco è disponibile sulla
pagina del consorzio. La tecnologia
Sat>IP potrebbe davvero cambiare la
distribuzione dei canali satellitari nelle
case, rendendo più semplice anche
l’installazione della parabola.
TV E VIDEO Trasmessi contenuti da satellite a TV Samsung J9500
Astra trasmette già HDR Ultra HD
In realtà lo guardano quattro gatti
S
MHP non è
ancora morto
ma è già stato
abbandonato
di Roberto PEZZALI
ES Astra ha dato il via alla prima sperimentazione di broadcasting di contenuti Ultra HD HDR via satellite. I contenuti, poche clip a dire il vero, sono
stati trasmessi dal satellite a 19.2° EST direttamente verso un TV Samsung
S-UHD J9500, capace non solo di gestire lo stream HEVC ma anche di gestire i
metadati aggiuntivi per il video ad alta dinamica. La trasmissione di Astra è stata
realizzata utilizzando la tecnologia Hybrid Gamma HDR sviluppata dalla BBC, una
delle tante proposte al vaglio dei broadcaster in tema di HDR Video. Il vantaggio
di questa tecnologia, cosa di non poco conto, è la possibilità di inviare un solo
segnale compatibile sia agli attuali TV Ultra HD sia ai nuovi TV HDR: questi ultimi
leggono il flusso aggiuntivo che permetterà, ai TV compatibili, di raggiungere
anche i 1000 nits di luminosità di picco con un contrasto e una dinamica davvero
esagerati. La trasmissione è tuttavia criptata: solo pochi partecipanti ai SES Industry Days hanno potuto vedere e ammirare i contenuti preparati per l’occasione,
ma anche se
fosse stata
in chiaro la
situazione
non sarebbe
cambiata più
di tanto. Dateci almeno
l’HD, l’HDR
può aspettare anche
dieci anni.
di Roberto PEZZALI
La piattaforma interattiva italiana ha
i giorni contati e sembra che cadrà
anche il sistema di bollini che le
associazioni hanno creato per categorizzare i TV. Il bollino Platinum,
che dovrebbe identificare i TV con
HEVC a bordo, sarà probabilmente
adottato solo da LG. Tutti gli altri,
Samsung in primis, non sembrano avere intenzione di certificare i
loro TV del 2015 nonostante alcuni
rientrino nelle specifiche. Più che
il bollino Platinum, al momento inutile vista l’assenza di trasmissioni in
HEVC, fa riflettere la sorte dell’MHP:
quasi nessun TV del 2015 avrà a
bordo la piattaforma interattiva che
permette di accedere a servizi come
Rai Replay e La7 on Demand. Diciamo “quasi” perché al momento
sembra che gli unici due produttori
che continueranno a far funzionare
le app interattive sui loro TV saranno
Samsung e LG: tutti gli altri, Panasonic, Sony, Hisense e Philips non hanno alcuna intenzione di investire su
quella che è una piattaforma morente. Unica eccezione Premium Play:
anche senza MHP, i produttori di TV
stanno cercando di far funzionare
Premium Play usando la Premium
Cam Wi-Fi proposta da Mediaset.
Sta per iniziare quello che è un grosso braccio di ferro tra produttori, broadcaster e fornitori di contenuti: chi
realizza TV vorrebbe veder crescere
il proprio ecosistema smart, con app
per Tizen, WebOS, Firefox TV e Android TV, i broadcaster vorrebbero
invece vedere le loro app veicolate
tramite i canali tradizionali per avere un minimo di controllo sulle app
stesse e sui loro utenti. Chi vincerà?
Se va avanti così perderemo tutti.
n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
MOBILE Oltre alla qualità fotografica è buona anche la dotazione hardware. In arrivo a giugno
Sony Xperia C4 per selfie di qualità “pro”
Selfie-phone di fascia medio-alta con fotocamera frontale da 5 Megapixel con flash LED
A
di Emanuele VILLA
ssecondando la moda del momento, ovvero quella dei selfie
(o autoscatti, come si chiamavano nella “preistoria”), Sony presenta
il nuovissimo Xperia C4, un terminale
Android di fascia medio/alta ma contraddistinto da una sezione fotografica di tutto rispetto. In termini generali,
Xperia C4 è un dispositivo molto ampio,
con display da 5,5’’ IPS dalla risoluzione
Full HD, monta un processore MediaTek
MTK6752 Octa-core da 1,7 GHz e, ovviamente, integra l’ultima incarnazione
di Android, 5.0 Lollipop. Su questa, le
tradizionali app e personalizzazioni di
casa Sony, al fine di garantire un’esperienza d’uso appagante. Ovviamente
4G, il nuovo Xperia C4 è anche dotato
di NFC, superficie resistente ai graffi,
design “morbido” come nella recente
tradizione Xperia, 2 GB di RAM e 16 GB
di memoria di storage, che si può porta-
re fino a 128 GB tramite i classici moduli
micro SD. Non mancano le tradizionali
tecnologie Sony dedicate all’audio,
come Clear Audio+, Clear Bass, xLOUD
e altre ancora, ma il vero potenziale si
esprime nella fotocamera, in particolare
in quella frontale. Questa è infatti dotata
non solo di flash LED, ma di un sensore
da 5 Megapixel Exmor R e ottica grandangolare 25mm pensata appositamente per i selfie. Il tutto completato da
un modulo principale da 13 Megapixel
con HDR auto e possibilità di riprendere
video in Full HD. La disponibilità è prevista per giugno, a un prezzo di listino
non ancora annunciato.
Huawei P8 Lite punta sul comparto fotografico
Rispetto al P8 si riducono un po’ display e velocità del processore ma rimane la connessione 4G
di Andrea ZUFFI
H

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Avvistate online
le specifiche
di Moto X versione 2015
Se dovessero essere
confermate, sarà uno
smartphone in grado
di creare più che
qualche grattacapo
alla concorrenza
di Massimiliano ZOCCHI
MOBILE Simile al fratello maggiore, il Lite mantiene i 13 MPx della fotocamera al costo di 249 €
uawei annuncia l’arrivo di un
nuovo smartphone nella gamma
P8. Molto simile nel design al
suo predecessore, Huawei P8 Lite ha
un display IPS da 5 pollici con risoluzione 1280x720 pixel e si presenta con
un design essenziale e una scocca da
7,7 mm di spessore rifinita in metallo
satinato sui fianchi e sulla cover posteriore. Molto simile al modello P8,
pensiamo che possa avere un rapporto qualità/prezzo addirittura superiore,
considerando un listino molto attraente di 249 euro. Ad animarlo un processore Hi-Silicon Kirin 620 Octa-core
a 1.2 GHZ, con 2 GB di RAM, 16 GB di
memoria per lo storage ulteriormente
espandibile fino a 128 GB tramite slot
microSD. Oltre a Wi-Fi b/g/n e Bluetooth 4.0, P8 Lite è dotato di connettività LTE in Cat.4.
Tra i punti di forza del terminale il produttore indica un comparto fotografico
Il Moto X 2015
farà tremare
i concorrenti
composto da un obiettivo posteriore
grandangolare da 28 mm e apertura
F/2.0, con dual-tone flash LED, capace
di scattare foto a 13 Megapixel e riprendere video a 1080p e 30 fps. Il sensore
posto nella parte frontale è da 5 Megapixel e registra video a 720p. Huawei P8
Lite ottimizza le immagini catturate con
soluzioni software come, ad esempio,
Image Sharpening Algorithm oppure I
Shine per il riconoscimento volti o ancora la modalità automatica di post-miglioramento della messa a fuoco. Non
mancano molte altre funzioni fotografiche come sound & shoot, panorama
e la cattura automatica del sorriso. P8
Lite, con Android 5.0 Lollipop e interfaccia EMUI 3.1, sarà distribuito in oltre 30
paesi, Italia inclusa, a partire da luglio
2015.
Tempo di attesa anche per il
Moto X in versione 2015, e come
sempre partono i rumor, i leak
e via dicendo. I ragazzi di STJS
Gadgets Portal sostengono di aver
avvistato una pagina web con le
specifiche del futuro top di gamma dell’azienda ora controllata da
Lenovo. Motorola al momento non
ha nemmeno annunciato il nuovo
modello per cui, in attesa di conferme, queste voci vanno considerate con la massima cautela, ma
se dovessero rivelarsi veritiere saremo di fronte a un top di gamma
senza compromessi. Il processore
dovrebbe essere uno Snapdragon
808, lo stesso presente a bordo
di LG G4, supportato da 4 GB di
RAM. Pare che anche Motorola
si sia convinta che ormai 16 GB
sono pochi, offrendo la scelta di
32 o 64 GB di storage interno, e
forse mancherà lo slot micro SD
come nel predecessore. Il display
da 5.2” passerà alla risoluzione
quad HD (2560 x 1440), mentre le
fotocamere saranno da 16 e da 5
Megapixel. Infine, secondo STJS
la batteria garantirà una buona autonomia grazie ai 3.280 mAh, ma
ancora non si sa se ci saranno ulteriori ottimizzazioni software per
risparmio energetico. Probabilmente potremo toccare con mano
Moto X a settembre.
n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
MOBILE La versione per iOS arriverà più avanti; Microsoft ha dichiarato di essere già al lavoro
Hyperlapse disponibile per Windows e Android
Realizza time-lapse automatici di grande qualità. Esiste anche la versione Windows PC
A
di Emanuele VILLA
nnunciata qualche mese fa, l’app
Hyperlapse di casa Microsoft fa il
suo debutto negli store Android
e Windows, in quest’ultimo caso sia per
smartphone che in versione PC. Niente iOS ma è solo questione di tempo:
Microsoft ha infatti dichiarato di essere al
lavoro su una versione dedicata ai dispositivi Apple. Hyperlapse è la tecnologia
pensata per rendere i filmati delle Action
Cam lavori dal look professionale: annunciata poco prima che Instagram lanciasse
una funzionalità analoga per iOS, Hyper-
Microsoft Hyperlapse
lapse realizza dei time-lapse automatici di
eccezionale qualità mediante stabilizzazione avanzata dei singoli fotogrammi. A
differenza dell’analoga funzione di Instagram, qui non c’è bisogno di registrare il
video tramite app: si può intervenire a posteriori anche su video già registrati, con
qualsiasi strumento disponibile. Il core del
sistema è la stabilizzazione avanzata dei
fotogrammi, per la quale viene utilizzata
una tecnologia di image processing invece di elaborare i dati provenienti dai sen-
sori del telefono. Hyperlapse usa tecniche
di riconoscimento di porzioni d’immagine,
cosa particolarmente utile quando si tratta di stabilizzare elementi come il viso di
uno sciatore, un motociclista che si riprende e via dicendo. La grossa differenza tra
le app riguarda la versione Windows (PC)
che è pubblicizzata come “pro” e - dopo
un periodo di trial - verrà venduta a un
prezzo non ancora fissato: questa versione incorporerà funzioni di stabilizzazione
e di editing avanzate.
MOBILE Nessuna conferma ufficiale da Mountain View anche se è comparsa una pagina web
Il 28 maggio Google (forse) presenterà Android M
Al Google I/O si parlerà di Android M. Sono aperte le scommesse sulle novità più corpose...
N
di Massimiliano ZOCCHI
egli ultimi anni Google ha sempre scelto di presentare la nuova
incarnazione di Android durante
la developer conference Google I/O, e
pare che anche il prossimo 28 maggio,
non andrà diversamente a causa dell’arrivo di Android M. Nel 2014 la versione
5.0, inizialmente chiamata Android L,
diventò poi Lollipop nella sua veste definitiva, e il “toto nomi” per M si è già scatenato. Nessuna conferma o smentita da
Mountain View, anche se nei giorni scorsi è comparsa una pagina web relativa
agli eventi in programma, con evidenti
richiami al mondo del lavoro, e nella
descrizione veniva citato apertamente
Android M. La pagina ora è stata rimos-

sa da Google, non sappiamo se sia stato
un errore o uno spoiler volontario per
alzare i toni dell’attesa. Di sicuro Google
ha da tempo deciso di non trascurare il
mondo del business, e la nuo“Android M porta la potenza di Android in va release di Android potrebbe
ogni situazione lavorativa. Questo apre un portare significative novità in
enorme mercato per centinaia di milioni di questo ambito.
dispositivi di lavoratori e piccole aziende” Un’altra sessione per sviluppatori che ci regala qualche
torna al sommario
indizio ha come oggetto Voice Access,
e andando a leggere la descrizione pare
che Google voglia intraprendere la strada del controllo totale tramite comandi
vocali. Non più solo le poche istruzioni possibili oggi con Ok Google, ma la
possibilità di utilizzare le app solo con la
propria voce. Non ci resta che attendere
la fine del mese per scoprire cosa vedremo realmente.
Taglio di prezzo
per YotaPhone2
e arriva la
versione bianca
Yota annuncia l’arrivo
di una nuova versione
totalmente bianca
dello smartphone
con doppio display
Ma arriva anche
l’aggiornamento
a Lollipop e soprattutto
un taglio di prezzo
di ben 150 euro
di Paolo CENTOFANTI
Lo YotaPhone2 continua a rimanere uno smartphone del tutto
unico nel panorama attuale e ora
si arricchisce di un’opzione in più:
Yota Devices ha infatti annunciato
la disponibilità di una nuova versione in edizione limitata dello
YotaPhone2 con scocca bianca,
che ben si sposa con il display
e-ink posto sul retro. Non è l’unica novità. Oltre al nuovo modello
di telefono, Yota ha annunciato
un importante aggiornamento
software per entrambe le versioni dello smartphone, un update
che include l’aggiornamento ad
Android 5.0 Lollipop e soprattutto nuove funzionalità per quanto riguarda lo sfruttamento del
display secondario e-ink, con
nuovi widget e il supporto per un
maggior numero di applicazioni
per quanto riguarda la modalità
always on. Ancora più importante
è però forse il taglio al prezzo di
listino dello smartphone, indipendentemente dal “colore” della
versione scelta: lo Yotaphone2 ha
infatti ora un prezzo consigliato
al pubblico di 599 euro, ben 150
euro in meno rispetto al prezzo di
lancio. Potete rileggere le nostre
impressioni sullo smartphone nella nostra recensione completa.
n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
MOBILE Qualche semplice passaggio e LG G Watch R ha funzionato abbastanza bene con iPhone 6
Usare smartwatch Android con iPhone si può
È possibile utilizzare smartwatch Android Wear con iOS senza bisogno di modifiche o jailbreak
I
di Roberto PEZZALI
OS e Android Wear è già realtà, senza
che Google rilasci l’applicazione ufficiale. Tutto grazie a uno sviluppatore
che ha realizzato un’applicazione che
sfrutta lo stesso sistema già usato anche
da Pebble: bastano due app, una su iOS
e una su Android, per poter collegare un
qualsiasi smartwatch Android Wear a un
iPhone con iOS 8 e gestire chiamate, notifiche e applicazioni. L’app in questione
è già abbastanza stabile, ma giorno dopo
giorno vengono raffinate alcune librerie
e apportati miglioramenti: nel momento
in cui stiamo scrivendo abbiamo al polso un LG G Watch R che sta funzionando
perfettamente collegato a un iPhone 6,
senza problemi di autonomia o di sorta.
Per poter collegare uno smartwatch Android Wear a un iPhone bisogna necessariamente passare da uno smartphone
Android: esistono scorciatoie ma avere lo
smartphone è la scelta più breve. La procedura non crea problemi di sorta, non
implica modifiche né jailbreak. L’applicazione da scaricare sullo smartwatch (e
per farlo serve appunto uno smartphone
I sensori posti
a contatto con il polso
rileveranno i dati
della frequenza
cardiaca senza l’ausilio
di fasce toraciche
né di altri accessori
di Michele LEPORI
Dopo aver installato l’app su Android
Wear basta lanciarla dallo smartwatch
e abilitare “iOS Service”, il “demone”
che girando in background permette
di sincronizzare Android Wear con iOS.
L’iPhone non riconosce lo smartwatch di
default, ma serve un’utility denominata
BLE Utility che serve per provare a gestire periferiche Bluetooth Low Energy.
L’installazione dell’app, disponibile su
AppStore, ci permette di effettuare il pairing tra smartwatch e iPhone. Il resto viene da sé: chiamate, notifiche, mail, tutto
Scaricando l’utility BLE Utility
si effettua il pairing
funziona senza problemi con la ricezione
di notifiche non solo su chiamate, SMS e
mail ma anche su servizi di messaggistica Whatsapp.
MOBILE Debutta a settembre e sarà disponibile a fine anno
Svelati i primi dettagli di Orbis
Lo smartwatch tondo di Samsung
L’app da installare su Android Wear
tramite smartphone Android
Android) è Wear Connect for iOS, un’app
che abilita sullo smartwatch la gestione
delle notifiche da iOS. L’installazione è
automatica, ma volendo esistono anche
scorciatoie per l’installazione manuale
che si trovano sulla pagina di Github
dalla quale è possibile anche seguire gli
update e visionare il codice sorgente.

Dopo aver installato l’app va abilitato
iOS Service
torna al sommario
GPS, battito
cardiaco
e tanti sensori
per il Garmin
Forerunner 225
N
di Emanuele VILLA
onostante il debutto sia
fissato per il prossimo
settembre, presumibilmente in occasione dell’IFA di
Berlino, le notizie circa il prossimo smartwatch Samsung
(quello con quadrante rotondo) iniziano ad essere molte.
L’azienda ha rilasciato l’SDK
agli sviluppatori, dal quale si possono dedurre molte informazioni sul prossimo orologio smart dell’azienda: confermato il quadrante circolare così come tutto lo chassis
metallico, corona inclusa; il display sarà un OLED da 1.18” con risoluzione di 360x360
pixel, che si traducono in una densità di pixel di 305 ppi. Ricchissima la dotazione di
sensori, tra i quali accelerometro, giroscopio, rilevatore di battito cardiaco, ecc. Da notare la presenza del GPS integrato, mentre pare siano assenti il sensore di luminosità
ambientale e quello UV. La corona può essere usata per navigare nei menù ma anche
per accedere a particolari funzioni contestuali, come lo zoom e la regolazione del volume. Ovviamente presente la connettività Bluetooth per la sincronizzazione con lo
smartphone, per ricevere le chiamate e per le notifiche, che rappresentano la funzione
portante dello smartwatch. Mancano informazioni sul nome, per quanto si ipotizzi un
Gear A anche per certificare il suo posizionamento nella fascia alta della gamma.
Garmin presenta Forerunner 225,
dispositivo di controllo per l’attività fisica dei runner che vogliono
monitorare costantemente la frequenza del battito cardiaco senza
indossare una fascia cardio. Sfruttando il brevetto di rilevamento del
battito usato dalla famosa azienda
canadese Mio Global sui propri
dispositivi, Garmin ha dotato il
Forerunner di un sensore ottico di
rilevamento dei battiti. Il quadrante
mostra il battito cardiaco al centro
mentre attorno saranno visualizzate delle zone colorate che indicheranno quale fase di corsa stanno
portando avanti: grigio, blu, verde,
arancione e rosso saranno i colori
di riferimento per riscaldamento,
inizio, fase aerobica, spinta e massima. I dati saranno stimati sulla
base statistica dell’età del runner,
ma tramite app saranno personalizzabili sulle proprie esigenze. Dan
Bertel di Garmin e Liz Dickinson
di Mio Global sottolineano come
la partnership sia stata di mutuo
beneficio, da una parte i 10 anni di
esperienza di Garmin nel settore
running e dall’altra la tecnologia
canadese che ci ha messo poco a
imporsi sul pubblico di professionisti e amatori. “Sempre più atleti
stanno riconoscendo l’importanza
della misurazione della frequenza
cardiaca per la costruzione di un
training personalizzato e noi siamo qui per dimostrare che i dispositivi indossabili sono qualcosa da
avere assolutamente per ottimizzare le proprie sessioni”.
Garmin Forerunner 225 sarà disponibile da giugno a un prezzo
consigliato di 299 euro.
n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
MOBILE Un modo interessante per unire il bello della tradizione con il fascino della tecnologia
IWC trasforma un orologio di lusso in smartwatch
IWC Schaffhausen permette di aggiungere ai propri orologi un sensore dedicato: IWC Connect
di Emanuele VILLA
I
l mercato degli smartwatch è decisamente sui generis: di proposte
ce ne sono diverse, ma in attesa di
dati certi su Apple Watch, le stime di
crescita previste dagli analisti si scontrano con un approccio un po’ freddino
dei potenziali clienti. Il perché è presto
detto: così come fa piacere avere al
polso un oggetto hi-tech che ci aiuti
nella routine quotidiana, nessuno di
noi è disposto a compromessi sotto il
profilo estetico; se lo smartwatch è il
sostituto dell’orologio, deve essere altrettanto bello. Lo sanno bene i produttori di orologi, che poco per volta stanno adeguando la propria offerta alla
tecnologia di ultima generazione, e lo
sa anche IWC Schaffhausen, noto produttore di orologi di lusso che ha deciso di adottare un approccio differente.
Visto che in azienda non hanno nessuna intenzione di “ritoccare gli orologi”,
la soluzione è quella di aggiungere un
sensore da indossare nel cinturino,
ovviamente coordinato. La decisione
In un meeting con gli
investitori, Satoru Iwata
ha confermato
che l’azienda entrerà
nel mercato del gaming
per smartphone
Sono attesi cinque
giochi entro marzo 2017
il primo a fine anno
presa dall’azienda è conseguenza della semplice osservazione: molte persone tengono l’orologio da una parte
e indossano un fitness tracker dall’altra; meglio unire entrambi i prodotti in
uno solo ma senza compromessi sotto
il profilo estetico e senza costringere
nessuno a cambiare orologio. Il sensore è un dispositivo sottile a forma
circolare, chiamato IWC Connect e a
tutti gli effetti un fitness tracker: non ha
tutte le funzionalità di uno smartwatch
né un display, ma i “soliti” sensori per il
calcolo dei passi, del movimento e (di
conseguenza) delle calorie, oltre alla
connettività Bluetooth per la gestione
dell’app di supporto. Non ci sono altre informazioni per il momento, non
si sa quali funzioni saranno permesse
dall’app e non si sa quanto verrà a costare, ma rappresenta un’alternativa
interessante per chi ama gli orologi di
alto livello e vorrebbe “aggiornarli” alle
ultime tendenze tecnologiche.
SCIENZA Porterà l’autonomia degli smartwatch a 6 mesi e sarà utilizzabile sulle auto elettriche
Swatch promette una batteria per smartwatch
L’azienda svizzera sta lavorando su una nuova tecnologia di batterie definita rivoluzionaria
di Paolo CENTOFANTI
N

ick Hayek, CEO di Swatch, ha annunciato in un’intervista di essere
al lavoro, insieme al produttore
di batterie Renata, su una tecnologia
rivoluzionaria in grado di risolvere il
grande problema dell’autonomia degli
smartwatch ma non solo. Un’affermazione forte, ma Hayek sembrerebbe
fare sul serio, dichiarando che porteranno la nuova soluzione sul mercato già
l’anno prossimo. L’obiettivo primario è
quello di migliorare l’autonomia degli
smartwatch, e
la nuova tecno- “Il prossimo anno arriveremo sul merca- tra l’altro l’azienda
logia sarebbe in to con una batteria rivoluzionaria, non svizzera sta per
grado di offrire solo per gli orologi ma anche per le auto” diventare uno dei
nuovi protagonisti.
fino a 6 mesi di Nick Hayek, CEO di Swatch
Secondo quanto difunzionamento
di uno smartwatch con una sola ricari- chiarato da Hayek, la nuova tecnologia
ca. Ma il progetto di Swatch va oltre il sarà utilizzata anche per la produziomercato degli indossabili smart, di cui ne di nuove batterie per le automobili
torna al sommario
Il primo gioco
per smartphone
di Nintendo
uscirà
a fine anno
elettriche, settore che aspetta da molto
tempo innovazioni in grado di abbattere
i costi degli accumulatori, fattore chiave per il loro successo. Le dichiarazioni
di Hayek sono state confermate da un
portavoce di Swatch a Reuters. Nessun
dettaglio è stato comunicato però sui
dettagli tecnici di questa innovazione.
di Emanuele VILLA
Com’è noto, Nintendo ha recentemente presentato la prima trimestrale in attivo dopo anni di
sofferenze più o meno profonde.
Continuerà, dunque, a produrre hardware con una console
chiamata NX che è attualmente
in fase di sviluppo, proseguirà a
produrre giochi e, notizia di qualche tempo fa, entrerà nel mondo
dei game per smartphone.
La cosa si sapeva già, ma ora Iwata, approfittando di una riunione
con gli investitori, ha approfondito il discorso dicendo che il primo
gioco arriverà entro fine anno ed
è già prevista una roadmap di
cinque titoli entro marzo 2017.
Iwata ha, inoltre, sottolineato che
non è intenzione dell’azienda effettuare un semplice “porting” di
giochi già esistenti: saranno titoli
inediti o riscritti completamente
per permettere la massima interazione via display touch.
A chi ha sostenuto che cinque
titoli sono pochi in un orizzonte
temporale di due anni, Iwata ha
risposto di voler prediligere la
qualità a dispetto della quantità e
di voler garantire il massimo supporto (supponiamo, con aggiornamenti costanti). Appuntamento
a fine anno...
n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
PC Microsoft ha rilasciato i dettagli su tutte le versioni di Windows 10 disponibili al lancio
Windows 10 sarà disponibile in 7 versioni
Accanto alle versioni ormai classiche spunta Windows 10 IoT Core, per l’Internet of Things
M
di Paolo CENTOFANTI
icrosoft invita a considerare
Windows 10 più come un servizio che un sistema operativo nel
senso classico del termine, ma intanto
saranno ben 7 le versioni che saranno
disponibili al lancio, 8 se vogliamo prendere in considerazione anche quella ottimizzata per i bancomat. In un post sul
blog ufficiale, Microsoft ha infatti illustrato nel dettaglio quali saranno i “gusti”
di Windows 10, che si differenziano sia
per tipo di utente, che di dispositivo su
cui andranno a girare. Le versioni “classiche” saranno Windows 10 Home e
Windows 10 Pro, che si differenziavano
essenzialmente per la presenza in quest’ultima di alcune funzionalità pensate
per professionisti e piccole aziende per
“gestire in modo efficiente dispositivi
e applicazioni, proteggere i dati aziendali, supportare produttività da remoto
e in mobilità e sfruttare i vantaggi delle
tecnologie cloud”. Entrambe le versioni
sono naturalmente pensate per i PC desktop, tablet e convertibili 2 in 1.
Come già era nell’aria da tempo, visto
che il nome Windows Phone non veniva più utilizzato da Microsoft da tempo,
la nuova versione di Windows 10 per
In un video Microsoft
mostra le novità
introdotte dal browser
di Windows 10
e perché era necessario
abbandonare il progetto
Internet Explorer
smartphone si chiamerà semplicemente Windows 10 Mobile. Sarà ottimizzato
per smartphone e “piccoli tablet” e includerà le stesse universal apps che faranno parte dell’installazione di base di
Windows 10 Home e la versione touch
di Office 10. Tramite la funzione Continuum sarà inoltre possibile utilizzare le
universal app con la stessa interfaccia
di Windows 10 Home collegando i nuovi
smartphone che usciranno più avanti nel
corso dell’anno a un monitor esterno. Ci
sarà anche un Windows 10 Mobile Enterprise, pensato per le grandi aziende e
con funzionalità di gestione coordinata
di aggiornamenti e applicazioni installate, oltre a nuove funzionalità di sicurez-
za pensate per le aziende. Sempre per
le grandi aziende ci sarà poi Windows
10 Enterprise, mentre per le scuole
Windows 10 Education, versioni che
avranno specifici programmi di licenza
e funzionalità dedicate alla sicurezza.
Per finire ci sarà anche una versione di
Windows 10 per l’Internet of Things e
denominata Windows 10 IoT Core, pensata appunto per dispositivi a basso
consumo energetico e con funzionalità
di base. Per quanto riguarda il programma di aggiornamento gratuito questo
vale unicamente per Windows 10 Home,
Pro e Mobile e naturalmente a patto di
arrivare da Windows 7, Windows 8.1 o
Windows Phone 8.1.
GAMING Comfermato l’arrivo nel primo trimestre 2016 della Consumer version di Oculus Rift VR
Ufficiale: a inizio 2016 arriva Oculus Rift VR
I pre-ordini inizieranno entro la fine di quest’anno e si pensa che saranno molto numerosi
O
di Roberto PEZZALI

culus Rift si è fatto attendere ma
alla fine è quasi pronto: i pre-order della versione consumer infatti scatteranno entro la fine dell’anno e
chi lo ha ordinato lo potrà avere entro la
fine del primo trimestre del 2016. Lo ha
annunciato finalmente Oculus, un annuncio che molti stavano aspettando da
tempo: ci sono voluti quasi quattro anni
di prototipi, kit per sviluppatori e tante
righe di codice ma alla fine l’ambito visore da gaming è in dirittura d’arrivo.
La prima versione finale sarà basata sul
prototipo Crescent Bay, anche se nei
prossimi giorni verranno diramati tutti
i dettagli tecnici e ulteriori informazioni su quelli che saranno i cambiamenti
torna al sommario
Microsoft Edge
sarà più veloce
di Internet
Explorer
principali tra versione per sviluppatori e
versione finale. Ci si augura, per esempio, che Oculus abbia trovato il modo
di aumentare la risoluzione percepita
provando magari il display da 5.5” 4K
di Sharp. Lo sapremo solo tra qualche
giorno: per il momento Oculus si limita
a rilasciare le foto del nuovo headset,
con una forma più ergonomica e linee
più morbide.
di Michele LEPORI
Il nuovo browser di Microsoft in
arrivo con Windows 10, Edge, promette di fare faville e Microsoft ne
è davvero orgogliosa, tanto da dedicargli un articolo ed un video. Il
vero cambio epocale, che segna di
fatto la fine di un’era, è la perdita di
DirectX Filters, ActiveX, VBScript
e tutti i linguaggi che hanno fatto
la storia di Internet Explorer e che
dall’uscita di Edge saranno solo un
nome nel libro dei ricordi: via libera
quindi ad un browser leggero, veloce ed in grado di avere lo stesso appeal di browser più moderni
come Chrome e Firefox.
“La decisione di non supportare
queste tecnologie in Edge porta
con sé i benefici di ammodernare l’appeal di un browser che appariva ormai poco interessante
se paragonato alla concorrenza.
Per non parlare del netto miglioramento in termini di prestazioni,
sicurezza ed affidabilità: il nostro
team di sviluppo ha anche lavorato per ridurre la complessità del
codice sorgente, eliminando circa
220.000 linee di codice MSHTML
pasando all’HTML di Edge!”, questo un estratto dell’entusiasmo del
team di sviluppo che non nasconde le aspettative per la loro nuova
creatura. Per tutto il resto, vi lasciamo alla visione del video.
Edge, Rendering Engine
n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
HI-FI E HOME CINEMA I sintoampli Onkyo con DTS:X hanno caratteristiche tecniche interessanti
Onkyo batte tutti con il primo ampli DTS:X
Non sono top di gamma ma hanno il Dolby Atmos e riproducono musica in alta risoluzione
di Roberto FAGGIANO
nkyo batte sul tempo i concorrenti e presenta i primi apparecchi
compatibili con la nuova tecnologia DTS:X ( qui trovate i dettagli tecnici), si tratta di due sintoamplificatori
home theater di livello medio-alto ma
con prezzi più che accessibili. In effetti
la nuova tecnologia non è stata ancora
rilasciata ma sarà disponibile con un
semplice aggiornamento del firmware
non appena disponibile.
Il TX-NR747 (999 euro) è un sintoamplificatore home theater 7.2 (che diventerà un 7.1.4 quando sarà disponibile il
DTS:X) da 175 watt per canale (6 ohm,
1% THD) già pronto con Dolby Atmos,
4K, HDMI 2.0a, HDCP 2.2, HDR, certificazione THX Select2 Plus, convertitore
audio D/A AKM 4558 da 32bit/384kHz,
compatibilità con musica DSD, Wi-fi e
Bluetooth già integrati, Airplay, DLNA,
Spotify Connect e Deezer. Ottima la
versatilità con 8 ingressi HDMI e doppia
uscita main/sub, ingressi digitali audio
coassiali e ottici ma anche il pre phono
per un giradischi. Il modello TX-NR646
O
Il sistema Qualcomm
alla base di molti
diffusori senza fili
si arricchisce di
nuove funzionilità,
tra cui il re-streaming
Bluetooth via Wi-Fi e una
migliore sincronizzazione
per il multiroom
ONKYO TX-NR747
(699 euro) è praticamente
identico al modello superiore
ma ha potenza leggermente
inferiore, pari a 160 watt per
canale (6 ohm, 1% THD), e
perde la certificazione THX.
Identica la versatilità e identica la conversione D/A con lo
stesso chip AKM4558 per la piena compatibilità con la musica in alta risoluzione. I nuovi apparecchi sono comandabili
a distanza dal loro telecomando oppure
di Paolo CENTOFANTI
ONKYO TX-NR646
dalla nuova app Onkyo Remote Streaming scaricabile su smartphone e tablet.
Entrambi i modelli sono disponibili in
versione nera oppure silver.
HI-FI E HOME CINEMA Sonos annuncia le novità in arrivo con l’aggiornamento software 5.4
Anche l’home theater di Sonos dice addio ai cavi
La configurazione sarà totalmente wireless. Maggiore qualità audio per il piccolo PLAY:1
U
di Paolo CENTOFANTI

na delle caratteristiche più apprezzate dell’ecosistema Sonos
è quello dei continui aggiornamenti software che ne migliorano
diversi aspetti. Il prossimo di questi
update, il numero 5.4, introdurrà un’importante novità per quanto riguarda
l’utilizzo in configurazione surround
di più diffusori. Se Sonos aveva infatti eliminato lo scorso anno il vincolo
di almeno un diffusore connesso via
cavo alla propria rete locale, questa
limitazione era rimasta per l’utilizzo dei
diffusori Sonos come canali surround
per la PLAYBAR. Con il nuovo aggiornamento tutti i diffusori potranno essere collegati alla rete Wi-Fi esistente
senza bisogno di cavi.
Novità anche per il piccolo PLAY:1, il
modello base di Sonos, che con il nuo-
torna al sommario
vo aggiornamento guadagnerà in prestazioni audio, per “voci ancora più naturali” soprattutto nell’ascolto ad alto
volume e una migliore ottimizzazione
della riproduzione quando il PLAY:1 è
abbinato a un subwoofer. Sonos ha
annunciato inoltre la disponibilità di
Qualcomm
aggiunge
il Bluetooth
ai diffusori
AllPlay
nuovi tool di sviluppo che a brevissimo permetterà ai servizi di streaming
supportati di offrire un maggior numero di funzionalità. L’aggiornamento
darà disponibile in estate per tutti, ma
gli utenti Android possono già provare
alcune novità in beta.
La tecnologia audio wireless di
Qualcomm, AllPlay, si evolve: i
prossimi dispositivi saranno compatibili con il Bluetooth con la possibilità di collegare una sorgente a
un diffusore con questa tecnologia
per poi “rilanciare” il segnale in
Wi-Fi ad altri diffusori compatibili
AllPlay. Sarà così possibile produrre ad esempio diffusori portatili
Bluetooth inseribili poi in un sistema multiroom più ampio basato
sul Wi-Fi. Inoltre, sarà possibile collegare una sorgente analogica a
un dispositivo AllPlay e riprodurre
la musica su più diffusori wireless.
Tra le altre novità, Qualcomm ha
annunciato l’introduzione di controlli audio tra cui l’equalizzazione
del segnale, selezione del canale
audio e la riduzione della latenza
a 100 microsecondi per ottenere
una sincronizzazione migliore in
configurazione multiroom o multicanale dei diffusori. Per chi non la
conoscesse, AllPlay è una tecnologia che Qualcomm vende a terze
parti e che consente di effettuare
lo streaming da smartphone e tablet verso più diffusori senza fili,
per realizzare sistemi audio multiroom “alla Sonos”, anche con componenti di marchi diversi, basta
che siano tutti certificati AllPlay.
n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
SMARTHOME Presentata ufficialmente nel nostro Paese la gamma di prodotti Arlo di Netgear
Netgear Arlo, la IP camera totalmente wireless
Un sistema di videocamere IP anche per la sorveglianza outdoor. Una piattaforma che cresce
di Paolo CENTOFANTI
arrivata sul mercato italiano la nuova gamma di videocamere IP di
Netgear, Arlo. Si tratta di un sistema
di videosorveglianza che si distingue per
alcune caratteristiche del tutto peculiari,
prima tra tutte la totale assenza di cavi.
Le videocamere del sistema Arlo, infatti,
sono dotate di batterie (utilizzano 4 pile
CR123) e si collegano alla rete in modalità wireless. Non solo, sono anche certificate IP65 (impermeabili e resistenti
alla sabbia) e in grado di funzionare con
temperature comprese tra i -10 e i +50
gradi, il che permette di utilizzarle anche
in esterno. Dotate di un design piacevole
e compatto, le videocamere Arlo riprendono video con qualità 720p, anche in
modalità notturna grazie all’illuminatore
LED infrarosso integrato (portata circa 8
metri), e sono dotate di funzione di rilevamento del movimento, che le consente di
accendersi automaticamente e registrare
il video solo quando serve. Altro fattore
di non poco conto la semplicità di installazione: le videocamere si fissano al muro
(o qualsiasi altro appoggio) tramite l’apposito pomello magnetico, di cui in dotazione ne troviamo almeno due in ogni
bundle, per permettere di spostare la
videocamera con facilità da un ambiente
all’altro. Le videocamere si collegano in
realtà alla rete tramite un’apposita base
station che andrà collegata al router di
casa. Per poter offrire un’autonomia che
può arrivare fino a 6 mesi per le batterie,
Netgear ha implementato una versione
ottimizzata del Wi-Fi 802.11n, oltre a un
protocollo di sicurezza proprietario per
proteggere i dati trasmessi dalle videocamere. La base station è inoltre dotata
di due porte USB che permetteranno in
futuro di aggiungere nuove funzionalità.
Più avanti, ad esempio, Netgear introdurrà a completamento del sistema anche
sensori per porte e finestre, ma l’azienda
sta studiando la possibilità di integrare
il supporto alle videocamere anche direttamente in alcuni dei suoi modelli di
modem/router. L’hardware però è solo
uno degli aspetti che caratterizza il sistema di Netgear. Arlo si basa, infatti, su una
piattaforma cloud che consente un rapido accesso alle videocamere, ai filmati
registrati e alla loro configurazione da
qualsiasi dispositivo: basta un browser o
un app per smartphone e tablet. L’intuitività dell’interfaccia è uno dei principali
punti su cui ha lavorato Netgear con Arlo,

È
torna al sommario
che è ottimizzata principalmente proprio per l’utilizzo
via smartphone. La qualità
di immagine, ad esempio, si
regola automaticamente in
funzione della connessione
disponibile e quando una
videocamera si attiva in conseguenza del rilevamento di
un movimento, viene istantaneamente inviata una notifica push allo smartphone.
I video vengono direttamente registrati sulla piattaforma
cloud di Netgear e sono
riproducibili da app o attraverso il browser. Il piano base è gratuito e consente
di registrare fino a 1 GB di filmati per fino
a 5 videocamere diverse, pari a circa 7
giorni di registrazione. Dopo una settimana, i filmati che non sono stati selezionati
come preferiti verranno automaticamente cancellati per liberare spazio per le
nuove registrazioni. Per chi ha bisogno di
più spazio (o più giorni di registrazione) ci
sono due piani a pagamento, 8,99 euro
al mese per 30 giorni e 10 GB di spazio
e 13,99 per 60 giorni e 100 GB, oltre che
Una speciale lampadina
in grado di donare
un tocco di atmosfera
in più agli ambienti
È la LED Light Bulb
Speaker di Sony
che ha un altoparlante
integrato, Bluetooth
e si controlla anche
con lo smartphone
supporto per fino a 15 videocamere e 3
base station. Parlando di costi, Arlo è disponbile in diversi kit. Quello base include la base station e una videocamera a
un prezzo di 299,99 euro, che diventano
459,99 euro per il kit con due videocamere e 599,99 per tre. Ogni singola videocamera aggiuntiva stand alone costa
189,99 euro. Entro fine anno Netgear lancerà una versione di videocamera Arlo
ma con alimentazione cablata, pensata
soprattutto per l’utilizzo in cui si richiede
la registrazione continua dei video.
SMARTHOME Un microonde controllato con lo smartphone
La cena è servita in 30 secondi
Con Genie basta una cialda
di V.R. BARASSI
G
Sony presenta
la lampadina
LED con speaker
integrato
li affezionati alla serie di Star Trek ricorderanno sicuramente il celebre “replicatore di materia a matrice molecolare” - per gli amici, replicatore e basta presente a bordo dell’Enterprise. Prendendo proprio come fonte di ispirazione
il dispositivo immaginario della serie (che trasformava materia inerte e energia pura
in cibo e oggetti), una startup israeliana ha annunciato Genie, particolare robot da
cucina che sembra dotato di poteri magici. Gli ideatori di Genie sono rimasti vaghi sui
dettagli e il brevetto è in corso di approvazione, ma quel che pare certo è che Genie
sia capace di preparare “cibo vero” a partire da una serie di cialde contenenti polveri
disidratate, controllando tutto con lo smartphone e
in soli trenta secondi. Il mistero è fitto ma i passaggi per ottenere il pasto pronto sono pochi e semplici: basta selezionare il piatto che si vuole ottenere, inserire le cialde richieste all’interno di Genie,
aggiungere un po’ di acqua e dopo mezzo minuto
si mangia. Ovviamente non possiamo giurare sulla
qualità del risultato: nel dubbio, e pur amando la
tecnologia, preferiamo continuare ad accendere i
fornelli. Quelli veri. Ma se siete interessati a Genie
e volete pre-ordinarlo (senza sapere come funziona!), vi rimandiamo al sito ufficiale del progetto.
di V. R. BARASSI
Le lampadine intelligenti ormai
non sono poi una così grande novità ma quando un’azienda come
Sony decide di metterci “quel tocco in più” le cose cambiano. È così
che dal Giappone arriva la notizia
della prossima commercializza-
zione di LED Light Bulb Speaker,
nient’altro che una lampadina a
LED “smart” che allo stesso tempo
è anche uno speaker pronto a donare un sottofondo musicale agli
ambienti. LED Light Bulb Speaker
è un un prodotto con cui stupire
gli ospiti oppure con il quale far
colpo in occasione di una cenetta romantica; la lampadina, anche
se è un po’ riduttivo considerarla
solo come tale, è provvista di un
modulo Bluetooth integrato e di
NFC, specifiche che garantiscono il controllo dell’intensità della
luce e della musica con il piccolo
telecomando offerto in dotazione,
oppure tramite un’apposita applicazione per smartphone. Difficile
dire se LED Light Bulb Speaker di
Sony arriverà anche sui mercati
europei; al momento quel che è
certo è che sarà disponibile nel
Paese del Sol Levante a partire dal
23 maggio prossimo a un prezzo
di ben 23.880 Yen giapponesi,
che al momento equivalgono a
poco più di 175 euro.
n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
TEST Con la serie JS9500 di Samsung siamo probabilmente al punto di arrivo della tecnologia LCD: davvero difficile fare meglio
Samsung SUHD in prova: è il TV LCD definitivo
Full LED, Quantum Dot, 4K e HD: Samsung ha realizzato un TV che si vede benissimo ma il costo purtroppo è elevato
È
di Paolo CENTOFANTI
facile archiviare la nuova gamma SUHD di
Samsung come una trovata di marketing: del
resto, fin dalla sua presentazione al CES di Las
Vegas lo scorso gennaio, Samsung si è lasciata andare ad aggettivi di ogni tipo per decantare le qualità dei
suoi nuovi televisori, attirandosi anche quale risatina di
scherno da parte della stampa specializzata. A quella
fiera, dopotutto, l’azienda coreana si presentava con
“soli” prodotti LCD, mentre la vicina di casa LG mostrava al mondo i suoi ultimi OLED, tecnologia più “sexy”
e sulla bocca di tutti. Ma scambiare la strategia di comunicazione di Samsung come una mera operazione di
maquillage per la solita minestra riscaldata sarebbe un
gravissimo errore. Perché dietro agli slogan c’è in realtà
anche molta sostanza, di quella buona: la serie JS9500,
come ci accingiamo a vedere nel dettaglio, rappresenta
infatti con ogni probabilità il punto di arrivo della tecnologia LCD. Ci è voluto probabilmente lo spauracchio della
concorrenza di una tecnologia teoricamente superiore
come quella OLED, per spingere Samsung a realizzare
un TV inattaccabile sul fronte della qualità e così ecco il
ritorno al full LED con local dimming, indispensabile per
garantire contrasto e neri profondi, un nuovo pannello
LCD a 10 bit a Quantum Dots per colori sempre più saturi e brillanti e poi ancora il supporto per l’HDR, il nuovo
“formato” che punta a traghettarci finalmente oltre l’era
del tubo catodico, il riferimento che ancora oggi viene
impiegato per la masterizzazione dei contenuti per
l’home video. Ma c’è anche una piattaforma smart TV
tutta nuova e basata su Tizen, il sistema operativo che
Samsung ha già introdotto in ambito mobile. Insomma,
di carne al fuoco ce n’è davvero tanta.
La stagione delle curve continua
Sul fronte del design non ci troviamo a una grossa rivoluzione rispetto ai primi modelli curvi dello scorso
anno. Del resto il design era già più che minimale e per
la serie top di quest’anno Samsung ha essenzialmente
cambiato la base e aggiunto un profilo metallico alla
sottilissima cornice che corre intorno al pannello LCD.
Sulla curvatura dello schermo ci siamo già espressi più
volte: se ha un senso, ce l’ha proprio con gli schermi di
una certa dimensione come questo e sicuramente non
si può dire che non doni una certa eleganza al TV da
spento. Il modello da 65 pollici (la serie è disponibile
anche in tagli da 78 e 88 pollici) è bello imponente, anche perché lo spessore, per via della retroilluminazione
full LED, è necessariamente più marcato rispetto ai modelli scorsi. La nuova base ci piace nettamente di più
di quella di un anno fa, è più snella, elegante e meno
impegnativa. La cornice è completamente pulita, senza
tasti e con il solo logo luminoso Samsung al centro in
basso. Da menù di impostazione è possibile scegliere
se averlo acceso con TV in stand-by oppure quando è
acceso (impostazione di default); tenete conto però che
è molto luminoso e in caso di visione in sala oscurata
dà abbastanza fastidio. Nella parte centrale del bordo
video
lab
Samsung UE65JS9500
6499,00 €
UN TV BELLISSIMO, MA CHE COSTA UNA FORTUNA
Anche per il TV Samsung sono valide molte delle considerazioni che avevamo fatto lo scorso anno per il top di gamma di Panasonic: per avere
un TV LCD in grado di competere come prestazioni con i migliori plasma (del passato) e persino l’OLED occorre sborsare una cifra che oggi può
sembrare esagerata. Il SUHD Samsung costa parecchio, quasi 6500 euro. È vero, è un 65 pollici Ultra HD, supporterà l’HDR e offre una qualità
di immagine fantastica, forse persino un filo meglio del già citato AX900 di Panasonic dello scorso anno. Ma vale la pena oggi investire una
tale cifra in un TV LCD? La domanda non è di facile risposta. Il principale concorrente di questo modello è l’OLED di LG che a parità di taglio
oggi costa ancora di più, ma domani chissà. L’OLED è il nuovo punto di partenza, il SUHD di Samsung con ogni probabilità il punto di arrivo
della tecnologia LCD, l’apice. Questioni di lana caprina forse. Quello che possiamo dire noi è che si tratta di un TV fantastico sotto quasi tutti i
punti di vista: a voi la scelta, budget permettendo, se scommettere sul nuovo che avanza o la maturità.
8.7
Qualità
9
Longevità
10
Design
9

8
D-Factor
9
Prezzo
7
Ottima qualità di immagine
Calibrazione di fabbrica migliorabile
COSA CI PIACE Neri stupefacenti e grande contrasto COSA NON CI PIACE Il telecomando non convince del tutto
Sezione smart TV più semplice
Costo elevato
superiore è invece nascosta la piccola webcam, che ha
la funzione primaria di catturare i nostri movimenti per
le funzioni di controllo dell’interfaccia a gesti (divertente
da provare giusto una volta), oltre che per le videochiamate via Skype. Come sui modelli dello scorso anno,
anche per la serie JS9500 si è scelto di demandare
connessioni ed elettronica principale a un box esterno.
L’unità si alimenta direttamente con il collegamento al
televisore tramite il connettore proprietario ed è sufficientemente discreta e volendo ben guardare semplifica l’installazione soprattutto per chi ha intenzione di
montare il TV a parete (nell’ipoteca canalina dovranno
passare solo due cavi, alimentazione e box esterno). Il
box offre 4 ingressi HDMI 2.0, connettore proprietario
per ingressi analogici come il component e il video
composito, tre porte USB, uscita digitale ottica e prese
per il doppio tuner digitale terrestre e satellitare. Doppio anche lo slot per i moduli Common Interface per i
canali TV a pagamento. Il TV è compatibile MHP. Il risultato di questa scelta è chiaramente che il retro del televisore è particolarmente pulito, visto che non ci sono
segue a pagina 19 
torna al sommario
Semplicità
Sul retro del TV nell’angolo in basso a sinistra è
posto il pad di navigazione che consente di accedere ad alcune funzionalità senza telecomando.
Il box esterno con le connessioni
n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
TEST
Samsung UE65JS9500
segue Da pagina 18 

collegamenti di sorta se non l’alimentazione e appunto
il connettore proprietario per l’unità esterna.
Arriva Tizen, con qualche idea in prestito
Anno nuovo e nuova piattaforma di Smart TV. Nessuno
a quanto pare è ancora riuscito a trovare la “quadra”
per quanto riguarda il giusto approccio all’interfaccia
TV, neppure Samsung che di fatto è stata la prima a
giocare sul concetto di Smart TV. E così si continuano
a sperimentare idee nuove. Per il 2015, Samsung ha
scelto di portare sui suoi TV il sistema operativo Tizen,
già utilizzato in ambito mobile, e una nuova interfaccia
a schermo, che abbandona quasi totalmente quanto
visto fino allo scorso anno. Quando premiamo il tasto
Smart Hub sul telecomando, sullo schermo compare
qualcosa che in realtà abbiamo già visto... sulla concorrenza. Non ce ne voglia Samsung, ma la nuova
barra orizzontale che fa da “ponte” verso le funzionalità Smart ricorda molto da vicino il menù principale di
webOS introdotto lo scorso anno da LG. Le similitudini
tra le due piattaforme iniziano e finiscono però qui, con
questa barra che mostra le ultime app, canali e sorgenti
utilizzati. Da qui è possibile passare alla vista delle app
in primo piano e quindi al menù di tutte le app installate
sul proprio TV e di quelle disponibili per l’installazione. Anche se la scelta non manca, va detto che con il
cambio di piattaforma, Samsung ha un po’ azzerato il
vantaggio che aveva accumulato sulla concorrenza in
termini di app disponibili, nel senso che alcune di quelle disponibili sui TV del 2014 non sono ancora state traghettate sulla gamma 2015. Sparita completamente la
suddivisione in “hub” dei TV dello scorso anno, il menù
è molto più leggero e facilmente navigabile. Resta la
completa separazione tra l’interfaccia Smart TV e il
menù delle impostazioni, che è quello solito Samsung,
MAGAZINE
con la consueta suddivisione delle varie voci e che offre buona completezza di regolazioni disponibili per la
calibrazione delle immagini.
Complessivamente ci sembra un passo nella direzione giusta per quanto riguarda la semplificazione e
nella facilità d’uso, anche se alcune cose continuano
a rimanere più complicate di quello che dovrebbero
essere. L’utilizzo del telecomando con giroscopio ben
si abbina all’utilizzo delle app, ma quando si tratta di
cambiare canale e accedere velocemente ad alcune
impostazioni di immagine (il formato di schermo su tutti), quello tradizionale rimane il più veloce e pratico. Per
sopperire al numero limitato di tasti del telecomando
“smart”, Samsung ha realizzato un menù apposito a
schermo con le funzioni principali dell’unità di comando classica, meglio realizzato di quello dei modelli passati, ma che comunque si frappone all’immediatezza di
accesso ad alcune delle funzioni di uso più comune.
Buona anche l’integrazione in un unico menù di tutte le
sorgenti multimediali esterne, intesi come dischi USB
e server DLNA sparsi per la rete. Anche qui, si tratta
di un menù semplice e intuitivo da navigare. Mentre
i contenuti multimediali trovano posto all’interno dello Smart Hub, per le sorgenti esterne, compreso lo
screen mirroring di smartphone e tablet, è prevista una
seconda barra dedicata che compare nella parte superiore dello schermo alla pressione del tasto source.
Se tutta questa descrizione vi lascia confusi, il nostro
video dovrebbe chiarire meglio la nuova struttura dell’interfaccia Samsung.
Calibrazione di default migliorabile
Ma che contrasto!
Il profilo di immagine a cui puntare per avere la riproduzione più naturale è quello denominato “film”. Nonostante il TV sia sulla carta pronto per futuri contenuti
Ultra HD anche in HDR, al momento quello che conta
è ancora la capacità di riprodurre con fedeltà immagini
in HD e come al solito abbiamo verificato l’aderenza
agli standard “classici”. In questo senso, di fabbrica il
TV Samsung presenta una temperatura colore un po’
video
lab
Samsung Smart TV 2015
L’interfaccia Tizen
troppo calda, un gamma un po’ basso e soprattutto tinte intermedie un po’ troppo sature.
Per quanto riguarda la curva del gamma, che è quel
parametro che determina la “dinamica” dell’immagine riprodotta, vale la pena notare come la tecnologia
Smart LED tenda a spingere molto sulle alte luci, indipendentemente dalla impostazione scelta nel menù di
impostazione; più si sale di valore (da minimo a massimo) più saranno luminosi i bianchi. Il deltaE medio (la
misura di quanto i colori si discostano dal riferimento)
su primari e secondari è di default intorno a 4 con eccezione del ciano che arriva a 6, valori che dicono che
le discrepanze sono teoricamente visibili. Con i controlli a disposizione è possibile ritoccare la calibrazione
dell’immagine cercando di avvinarci maggiormente al
riferimento. Per quanto riguarda il bilanciamento del
bianco, è facile ottenere un ottimo risultato già con il
controllo su due punti, ma l’impostazione dei LED sulle
alte luci, in assenza di un controllo preciso della curva
del gamma, è possibile solo armeggiando con la regolazione a 10 punti del bilanciamento del bianco e giocando con l’intensità del verde.
Il risultato ottenuto è dignitoso, anche se non siamo riusciti a correggere del tutto il bilanciamento del bianco
sulle basse luci: o si ottiene la curva del gamma voluta
o la precisione del bilanciamento del bianco, ma non
le due cose contemporaneamente. Da notare inoltre
che regolando la temperatura colore, si espande leggermente lo spazio colore e si accentua ancora di più
la natura “carica” dei colori, specie sui livelli intermedi
di saturazione del rosso e del blu. È possibile mettere mano allo spazio colore con la regolazione personalizzata, ma la maggiore saturazione di rosso e blu
segue a pagina 20 
Il TV Samsung con la calibrazione di fabbrica presenta una temperatura colore un po’ troppo calda, un
gamma un po’ basso e soprattutto tinte intermedie un po’ troppo sature

Dopo la nostra calibrazione il risultato ottenuto è buono, anche se non siamo riusciti a correggere perfettamente il bilanciamento del bianco sulle basse luci
torna al sommario
Copertura dello spazio colore nativo del pannello.
n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
TEST
Samsung UE65JS9500
segue Da pagina 19 
non è comunque correggibile. Alla fine il deltaE medio
che si ottiene dopo la calibrazione del bilanciamento
del bianco per primari e secondari è inferiore a 2 o di
poco superiore per quasi tutte le componenti, per cui
va bene così. Visto comunque l’impiego di un pannello
con Quantum Dots (o nanocrystal come li chiama Samsung) abbiamo deciso di dare una guardata a com’è la
copertura dello spazio colore nativo del pannello, scoprendo che si avvicina davvero molto a quello DCI P3
come dichiarato da Samsung. Manca ancora qualcosa
sul verde, il che limita un po’ il gamut del TV Samsung
verso anche il giallo e gli arancioni, ma siamo davvero
vicini alla copertura completa, per cui se mai ci saranno
contenuti consumer in questo formato, il TV Samsung
dovrebbe comportarsi piuttosto bene. Lo spazio colore
DCI P3 è attualmente utilizzato unicamente nei proiettori per il digital cinema e non è ancora chiaro quale
formato verrà adottato nel futuro Ultra HD Blu-ray.
Per quanto riguarda il rapporto di contrasto, la tecnologia local dimming full LED permette di avere risultati
straordinari, soprattutto se combinata con l’elevata
luminosità del pannello. Anche calibrando il TV per la
visione in sala oscurata come facciamo usualmente,
lasciando un po’ più di margine rispetto al solito, abbiamo ottenuto un rapporto di contrasto di 6160:1 sulla
scala di grigi e 2000:1 in modalità ANSI, con un livello
del nero di 0,02 cd/mq con schermata non completamente nera. In assenza di segnale infatti i LED si spengono completamente e il valore non è misurabile.
Forse il migliore LCD mai visto
Samsung, con questo SUHD, ha realizzato un degno
avversario per la serie AX900 di Panasonic dello scorso anno per quanto riguarda la palma del miglior TV
LCD per qualità di immagine. Qualunque cosa voglia
dire realmente questa sigla, come abbiamo visto si
tratta pur sempre di un TV LCD a LED, ma durante la visione ce se ne dimentica presto. Sono tanti i motivi che
fanno del JS9500 un ottimo TV per chi cerca soprattutto la qualità video, ma il primo è proprio che il nuovo
Samsung il più delle volte non sembra nemmeno un
LCD. Come il top di gamma dello scorso anno, anche in
questo caso innanzitutto colpisce il rapporto di contrasto. Samsung è finalmente tornata al local dimming full

Il nuovo telecomando Smart Control ha principalmente due difetti: i tasti sono piccoli e molto ravvicinati e non è prevista la retroilluminazione. Ciò
rende un po’ difficoltoso l’utilizzo al buio, specie
quando si armeggia con i controlli del puntatore.
torna al sommario
La piccola webcam presente sulla cornice permette di controllare il TV utilizzando alcuni gesti.
LED e la scelta è assolutamente vincente: gli ingegneri
coreani avevano già ottenuto dei risultati notevoli con
il local dimming LED edge e in questo caso arrivano
praticamente all’eccellenza. Fatta eccezione nella visualizzazione di loghi bianchi molto luminosi (il simbolo
del play di una sorgente ad esempio) su sfondo nero,
durante la visione di contenuti reali l’intervento della
retroilluninazione dinamica non ha mai catturato la nostra attenzione distraendoci dalle immagini, offrendo
un livello del nero eccezionale e poi non così lontano
come resa da quello ottenibile con un pannello a emissione diretta. Questa caratteristica, insieme al fatto che
l’immagine rimane molto più brillante rispetto ai modelli dello scorso anno, regala immagini contraddistinte
da una notevole dinamica e un rapporto di contrasto
davvero appagante. Notevole la resa sulle basse luci
anche nelle scene più scure: dettagli in ombra perfettamente intelligibili, neri profondi, definizione che non
soffre minimamente, resa cromatica inalterata. Cosa
chiedere di più? Perfino scene davvero impegnative,
con appena un lumicino sullo schermo, vengono riprodotte alla perfezione, senza tradire il fatto che si tratta
appunto di un LCD.
Come già evidenziato nella nostra “indagine” di laboratorio, i colori espressi dal Samsung tendono ad essere
particolarmente saturi e specie i rossi colpiscono immediatamente per la loro brillantezza, comunque senza
mai sfociare troppo nell’artificioso. L’immagine sembra
in effetti più vicina da questo punto di vista al “calore”
di un OLED o un Plasma che a un LCD, come promesso
dai Quantum Dot. Insieme al TV, Samsung ci ha fornito
l’hard disk UHD Movie Pack con alcuni film in 4K tra
cui i due Star Trek di J.J. Abrams, titoli che vengono
riprodotti in modo eccellente e beneficiano della resa
cromatica del pannello Samsung. Gli incarnati ci sono
parsi forse un po’ carichi, ma nel complesso, date anche le dimensioni dello schermo da 65 pollici, l’impatto
è davvero cinematografico. Una cosa che emerge dalla
riproduzione dei contenuti in Ultra HD è l’estrema analiticità del TV Samsung, che non fa sconti su difetti di
compressione o rumore sui master dei contenuti video.
Questo TV vuole contenuti di qualità, come ben esemplificato dalla mortificante resa dei canali del digitale
terrestre, specie in bassa definizione. Del resto, anche
il migliore degli upscaler poco può fare con questo divario di risoluzione (da 576i a 2160p). Ottima invece la
riproduzione di contenuti in alta definizione da sorgenti
come Blu-ray Disc, con immagini definite, compatte e
senza difetti di alias o altro. Su queste dimensioni di
schermo, come più volte abbiamo sottolineato, il pannello 4K giova eccome soprattutto nel rendere invisibile la matrice dei pixel anche a distanza ravvicinata,
offrendo un’immagine molto più piacevole anche se la
definizione dei contenuti non cambia.
Parlando di definizione, la risoluzione in movimento,
con test pattern specifici, non risulta particolarmente
elevata, intorno alle 300 linee TV senza intervento del
motion plus. Come sui modelli dello scorso anno, anche sulla serie JS9500 è disponibile una modalità custom che utilizza il solo backlight scanning per ridurre la
perdita di dettaglio, modalità che comporta sempre un
lieve flickering delle immagini, ma rispetto al passato
non abbatte significativamente la luminosità complessiva. Qualunque sia la modalità di motion plus scelta,
in ogni caso la risoluzione in movimento passa immediatamente a 1080 linee e oltre, seppure con sempre
un lieve trascinamento visibile sullo schermo. Questa la
“teoria” naturalmente. Con i contenuti reali non abbiamo riscontrato grossi problemi da questo punto di vista, salvo qualche lieve perdita di dettaglio sui contorni
principali nelle scene più concitate nei film.
Non abbiamo purtroppo avuto a disposizione contenuti demo in HDR per fare dei test in questo senso,
né a livello di menù ci sono riferimenti o impostazioni
relativi a questa modalità. Di default, in modalità “film”
la luminosità massima è intorno alle 200 cd/mq, mentre in modalità dinamica va ben oltre, ma non abbiamo
avuto possibilità di verificare le 1000 cd/mq previste
dall’HDR. Solo un aspetto a livello di qualità di immagine è ancora migliorabile ed è quello dell’uniformità del
pannello. Niente di grave, ma soprattutto con le schermate uniformi è possibile notare due fasce più scure
più o meno a un terzo della larghezza del pannello su
entrambi i lati, oltre a un netto calo di luminosità proprio
a ridosso dei bordi laterali; l’immagine inoltre anzi di
finire netta ai bordi rimane come leggermente sfumata. Si tratta comunque di inezie e di nulla che possa
disturbare durante la visione. Vale la pena spezzare
una lancia in favore del comparto audio. Forse grazie
anche alle generose dimensioni dello schermo è stato
possibile integrare un sistema audio che sa farsi sentire anche sul registro medio basso. L’audio rimane sempre un po’ metallico e non comparabile a quello di una
buona suond bar o meglio ancora un vero e proprio
sistema stereo o multicanale, ma offre comunque una
resa coinvolgente e apprezzabile.
n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
TEST Abbiamo provato LG Watch Urbane con a bordo la nuova versione di Android Wear 5.1; ottimo lo schermo OLED da 1.3”
LG Watch Urbane, eleganza e tecnologia al polso
Migliorano interfaccia e autonomia, ma Android Wear deve ancora maturare. I passi avanti sono tutto sommato notevoli
di Roberto PEZZALI
razie ad Apple e al suo Watch ora tutti sanno
dell’esistenza degli smartwatch e sono anche
consapevoli che i wearable rappresentano la
nuova frontiera della tecnologia. Dopo aver provato
LG G Watch R e Motorola Moto 360, torniamo ad occuparci di Android Wear per una prova di Watch Urbane.
L’occasione ci viene data da Google, che ha rilasciato
la nuova versione di Android Wear 5.1 aggiungendo
alcune funzionalità come la connessione Wi-Fi da utilizzare al posto del Bluetooth quando lo smartphone
è lontano.
G
video
Il quadrante che fa la differenza
Watch Urbane rappresenta per LG il tentativo di creare qualcosa che si avvicini, almeno esteticamente,
a un orologio vero. Lo schermo è un display P-OLED
da 1.3” tondo ed è il componente attorno al quale LG
ha poi plasmato la cassa in acciaio con uno spessore
decisamente inferiore rispetto a quello di G Watch R.
Disponibile in due diverse finiture, lo smartwatch LG
può essere personalizzato dall’utente cambiando il
cinturino, anche se quello offerto in dotazione, in pelle,
è curato e ben fatto. Una volta indossato, il Watch Urbane veste bene, è abbastanza leggero con i suoi 65
grammi ed è sicuramente meno ingombrante dell’altro
modello, complice anche lo spessore ridotto. Lo schermo è parte fondamentale del design: con lo schermo
spento, infatti, Watch Urbane ci è sembrato un po’
anonimo, ma con lo schermo acceso e il quadrante
giusto cambia tutto. Fortunatamente LG ha previsto la
modalità Always On, quindi non ci sono problemi da
questo punto di vista. I quadranti sono realizzati con
cura e ben rifiniti nei dettagli, mentre la cassa avrebbe
avuto bisogno di una migliore lavorazione. Se prendiamo un normale orologio a cronometro ci accorgiamo
che la lavorazione e il tipo di costruzione sono decisamente più evolute rispetto a quella di Watch Urbane,
con diversi materiali fusi tra loro e una maggior cura nei
dettagli anche più piccoli. Questo è un po’ lo scotto da
pagare negli smartwatch: parte del costo è legato alla
componente elettronica e non si può eccedere con le
spese legate al design e ai materiali, altrimenti il prezzo
diventerebbe insostenibile.
Buona autonomia, ottimo schermo

La personalizzazione di Android Wear è ancora limitata e difficilmente Google permetterà al suo sistema
operativo mobile di prendere la stessa strada di Android. Non deve quindi stupire se molti smartwatch
sono simili tra loro nelle funzioni, e anche questo LG
non ha niente che lo possa distinguere dai competitor
se non la nuova versione di Lollipop e qualche piccolo
tweak realizzato da LG stessa. Ci troviamo davanti a un
prodotto completissimo e dotato di sensore cardio, accelerometro, contapassi, Wi-Fi e Bluetooth, barometro
(quindi anche altimetro barometrico) e bussola: LG ha
sapientemente creato una serie di quadranti che fan-
torna al sommario
LG Watch Urbane
ANDROID WEAR È UN PO’ PIÙ BELLO MA ANCORA ACERBO
349,00 €
ab
l
Con Watch Urbane, LG completa un’offerta di smartwatch che può soddisfare tutti, sia chi cerca un look sportivo sia chi preferisce l’eleganza.
Più sottile e robusto, Watch Urbane cerca di assomigliare a un vero orologio, anche se l’obiettivo è raggiunto solo a metà: serviva forse
una cura maggiore nella lavorazione della cassa, ma il costo sarebbe lievitato ulteriormente. Il prezzo di listino è già alto di suo: è vero che
vengono usati materiali di livello e c’è un cinturino in pelle, ma siamo comunque di fronte ancora a un gadget per certi aspetti utile ma non
ancora indispensabile. Android Wear, nella sua nuova versione, migliora un po’ la situazione ma la strada da fare è ancora lunga: per poter
raggiungere la completa maturazione servirà ancora un po’ di tempo.
7.8
Qualità
8
Longevità
7
Ottima resa del display
COSA CI PIACE Android Wear è migliorato
Autonomia e prestazioni
Design
8
Semplicità
8
COSA NON CI PIACE
no uso di questi sensori, da quello camping a quello
adventure e fitness. Lo schermo è l’elemento in più:
OLED, ben definito e luminoso, non solo permette di
raggiungere il giorno abbondante di autonomia ma
offre anche una perfetta leggibilità alla luce del sole e
un ottimo angolo di visione. Il processore è lo Snapdragon, forse non il SoC perfetto per uno smartwatch in
quanto a consumi ma capace di buone performance:
chi acquista Watch Urbane non deve spaventarsi se
per i primi minuti l’orologio sembra lento e va a scatti poiché in background si stanno aggiornando molti
processi e probabilmente si sta scaricando l’ultima build disponibile. Il touch risponde bene ai comandi ed
è reattivo, i sensori sono abbastanza precisi e l’unico
problema riscontrato è la necessità di tarare spesso
la bussola e una deviazione di qualche grado sul rilevamento dovuta probabilmente alla cassa metallica.
Per la ricarica del Watch Urbane si usa una docking
magnetica fatta su misura: la ricarica, non essendo a
induzione, è davvero rapidissima.
D-Factor
9
7
Senza il display acceso
sembra un po’ anonimo
Prezzo importante
hotspot wireless se perde la connessione Bluetooth,
continuando così a ricevere alcune notifiche. La gestione dell’autenticazione, almeno per la prima volta,
viene gestita comunque dallo smartphone. L’altra novità è rappresentata dalla possibilità di passare da una
scheda all’altra muovendo il polso. Quello che però abbiamo apprezzato di più è la nuova interfaccia grafica:
oltre alla logica delle schede, che per alcuni può apparire confusa, c’è una pratica lista con le applicazioni
dotata di un nuovo look e icone più chiare. Google ha
lavorato molto al nuovo update e ci sono tante piccole
migliorie che migliorano la user experience, come le
app Always On in modalità a basso consumo e la possibilità di rimuovere da uno stack di notifiche un singolo
messaggio.
video
Il nuovo Android Wear
Wi-Fi e interfaccia le novità principali
Watch Urbane è stato il primo smartwatch a montare
la nuova build di Android Wear basata su Lollipop, la
5.1.1, che presto verrà rilasciata anche per gli altri smartwatch compatibili. La novità principale è la possibilità
di gestire il Wi-Fi: Watch Urbane può connettersi a un
Prezzo
lab
LG Watch Urbane
La videoprova
n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
TEST Ideale per tenere traccia del proprio percorso anche senza avere con sé lo smartphone; funziona senza fascia cardio
Andiamo a correre con il tracker Fitbit Surge
Abbiamo provato il più evoluto dei fitness tracker di Fitbit, ha il cardiofrequenzimetro da polso e il GPS integrato
di Paolo CENTOFANTI
on Surge Fitbit entra nell’arena dei fitness tracker veri e propri. Se il Flex, che abbiamo testato
la scorsa estate, era essenzialmente un misuratore di attività, il nuovo Fitbit Surge si rivolge più
propriamente agli sportivi, in un settore dove le alternative non mancano e con diversi marchi affermati da
tempo. Il Fitbit Surge aggiunge principalmente due
componenti alla sua formula di tracker: il GPS integrato e il cardiofrequenzimetro PurePulse. Soprattutto
quest’ultima caratteristica rende Fitbit Surge interessante, perché il rilevamento del battito avviene direttamente dal polso e non occorre indossare una fascia
cardio toracica, con la possibilità di avere una lettura
continua 24 ore su 24 e non solo durante un’attività
sportiva, oltre alla comodità di non dover avere a che
fare con un ulteriore accessorio. Naturalmente poi c’è
l’integrazione con tutta la piattaforma di fitness di Fitbit, con app e profilo web che raccolgono tutti i nostri
dati permettendoci di tenere sott’occhio tutta la nostra attività fisica e, si spera, la nostra salute. Vediamo
come si comporta.
C
Un po’ impegnativo da indossare
tutto il giorno
Che il Surge sia il top di gamma di Fitbit lo si vede
anche dal design, visto che il dispositivo è allo stesso tempo molto simile ai modelli inferiori ma anche
“ingrassato” per far spazio al display più grande e al
maggior numero di sensori. Di fatto il Surge sembra
un Charge più largo e spesso, ma materiali e dettagli
sono molto simili. La cassa centrale è appunto molto più grande, con un quadrante da 20x24 mm cir-
Un dettaglio del sensore che rileva il battito
cardiaco. Da notare il connettore proprietario
per la ricarica della batteria.
ca e un profilo “trapeziodale” che rende più spesso
il tracker nella parte superiore. Il cinturino è in gomma e piuttosto spesso, con una fibbia in acciaio per
l’allacciatura, e al momento dell’acquisto è possibile
scegliere tra due dimensioni, Small (14 - 17 centimetri
di circonferenza del polso) oppure Large (16 - 20 cen-
video
lab
Fitbit Surge
249,90 €
UNA VALIDA ALTERNATIVA, MA MIGLIORABILE
Il Fitbit Surge è un prodotto che va a competere con i tanti orologi GPS per sportivi con cardiofrequenzimetro presenti sul mercato. Lo fa con
un prezzo tutto sommato allineato al resto dell’offerta e una tecnologia di rilevamento del battito cardiaco che, almeno per la corsa, ci è
sembrata sufficientemente affidabile ma soprattutto più pratica rispetto alle consuete fasce cardio Bluetooth. Fitbit punta naturalmente molto
sulla sua piattaforma cloud fatta di app per lo smartphone e web, un settore dove molti marchi storici di dispositivi per gli sportivi ancora
arrancano un po’. Si tratta però di un ecosistema chiuso che lega l’utente ai prodotti Fitbit, anche se ora è quantomeno possibile esportare le
attività registrate. Sicuramente è migliorabile la precisione del GPS e della lettura del battito, ma ancora di più lo sono design ed ergonomia:
per un prodotto che andrebbe indossato giorno e notte è ancora un po’ troppo ingombrante e soprattutto non bello come uno smartwatch.
8.0
Qualità
8
Longevità
9
Non necessita di fascia cardio
COSA CI PIACE Semplicità di utilizzo
GPS integrato
Design
6
Semplicità
9
COSA NON CI PIACE
timetri). Il raccordo tra la parte rigida e quella flessibile
del cinturino in realtà fa sì che Surge sul polso sia più
ingombrante di quello che sembra e il design non è
esteticamente il massimo, soprattutto come orologio
da indossare tutto il giorno. Non è nemmeno più brutto di altri orologi per lo sport presenti sul mercato se
è per questo e comunque è anche possibile scegliere
varianti con il cinturino in colore blu oppure arancione
“mandarino”. Il display è di tipo LCD monocromatico
con retroilluminazione automatica in funzione della
luminosità ambiente ed è touchscreen, il che permette di passare in rassegna le varie informazioni
visualizzate con un semplice swipe sullo schermo.
Troviamo, comunque, ben tre tasti per l’utilizzo delle
varie funzionalità e la navigazione del semplice menù:
un tasto home sulla sinistra e due tasti funzione sulla
destra, il cui ruolo cambia in funzione del menù visualizzato a schermo. Sul retro troviamo il sensore
del battito cardiaco, composto da due LED verdi e un
rilevatore centrale, e il connettore proprietario per la
ricarica della batteria. Oltre al ricevitore GPS, Surge
integra un accelerometro a tre assi, giroscopio a tre
assi, magnetometro (bussola digitale) e altimetro. Il
dispositivo non è totalmente impermeabile, ma è dichiarato resistente a spruzzi e sudore. Fitbit specifica
D-Factor
8
Prezzo
8
Non sempre precisissimo
Design ed ergonomia migliorabili
Piattaforma chiusa
in particolare di non indossarlo durante la doccia e
di pulire e asciugare il braccialetto dal sudore dopo
l’attività fisica (forse anche per evitare che sorgano
altri reclami dopo i problemi di irritazione alla pelle
insorti con il Force). Comunque sia, il Surge può essere tranquillamente utilizzato anche sotto la pioggia
e il prodotto è stato comunque testato con pressioni
fino a 5 atmosfere. L’ergonomia del cinturino è buona
e permette di allacciare con fermezza il dispositivo al
proprio polso, mentre la forma e le dimensioni della
cassa rendono il Surge non comodissimo da indossare tutto il giorno, specie con abiti a manica lunga
(il dispositivo va tenuto tra una e tre dita di distanza
dall’osso del polso per una corretta rilevazione del
battito cardiaco). Per quanto riguarda il monitoraggio
della qualità del nostro sonno non abbiamo invece riscontrato problemi di ergonomia indossando il Surge,
se non il “bisogno” dopo molte ore di fila di toglierlo
per far respirare un po’ la pelle.
Si configura dallo smartphone
A differenza di un classico orologio GPS per l’attività
sportiva, Surge è innanzitutto un dispositivo Fitbit, il
che significa che nasce per funzionare in sinergia con

segue a pagina 23 
torna al sommario
n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
TEST
Fitbit Surge
segue Da pagina 22 
l’omonima piattaforma cloud, tant’è che fin dalla prima
accensione è necessario abbinarlo al proprio account
Fitbit tramite smartphone o PC. In dotazione troviamo,
infatti, anche un piccolo adattatore wireless, da collegare alla porta USB del proprio computer per la configurazione, anche se l’installazione più semplice in
assoluto avviene proprio dallo smartphone con l’app
Fitbit. Surge utilizza principalmente il Bluetooth 4.0
LE che permette di effettuare il pairing con lo smartphone praticamente in modo automatico non appena si lancia l’app. Sempre
dall’app (o dal sito web),
una volta effettuato l’abbinamento del Surge con
il proprio account, si accede a regolazioni come
la grafica del quadrante
dell’orologio, la continuità della misurazione del
battito, l’impostazione di
sveglie “silenziose” (essenzialmente a vibrazione), e l’attivazione delle
notifiche. Fitbit Surge ci
avverte infatti quando c’è una chiamata in arrivo sullo smartphone o riceviamo un SMS, con possibilità di
leggerli sul suo display. Durante la prima configurazione, l’app verifica anche la versione del firmware installato sul dispositivo e nel caso provvede al suo aggiornamento, operazione che richiede circa 5 minuti
tra scaricamento del software sul Surge via Bluetooth
e la sua installazione. Altra funzionalità, se vogliamo
da smartwatch, è il controllo della riproduzione di musica sullo smartphone se lo abbiamo portato con noi.
In questo caso occorre però abilitare la modalità di
connessione Bluetooth “classic”. Nel menù del Surge
troviamo un numero molto ridotto di impostazioni, che
comprende appunto la modalità Bluetooth, la disattivazione della retroilluminazione del display e la lettura del batto cardiaco (on, auto, spenta).
Monitora tutte le attività
Ma è ideale per la corsa

Durante la maggior parte della giornata, Fitbit Surge
funziona come tanti altri fitness tracker che abbiamo
già avuto modo di provare, misurando movimenti tramite il contapassi e dando una stima sui passi
effettuati, la distanza percorsa e le calorie bruciate,
nonché la qualità del sonno, tutti dati che è possibile
verificare in ogni momento dall’app per smartphone
o sulla pagina del proprio profilo sul sito web. In più
abbiamo naturalmente la misura del battito cardiaco,
con una lettura istantanea. Scorrendo con uno swipe
il quadro dell’orologio passiamo in rassegna l’ora, i
passi, il battito cardiaco, la distanza percorsa stimata,
le calorie bruciate dall’inizio della giornata, i piani di
scale effettuati. Di tutti questi dati, quelli in cui ci siamo meno ritrovati sono proprio questi ultimi, anche se
in realtà del tutto in linea con quanto misurato dallo
smartphone nelle stesse condizioni. Ciò che differenzia il Surge dal resto della gamma Fitbit, e da altri trac-
torna al sommario
ker a braccialetto “ordinari”, è la misurazione delle attività sportive e la corsa in particolare, dove possiamo
utilizzare in combinazione sia il cardiofrequenzimetro
che il GPS integrato. Il Surge permette di registrare
essenzialmente due tipi di attività, suddivise tra corsa ed esercizio. Nel primo caso possiamo scegliere
tra corsa libera (GPS+Cardio), Tapis Roulant (Cardio)
e corsa sul giro (GPS+Cardio). Gli esercizi sono invece
per lo più pensati per attività in interno con misurazione solo del battito cardiaco, fatta eccezione per le
escursioni all’aperto e la bicicletta. La registrazione di
un allenamento è piuttosto semplice e non richiede
di passare per l’app dello smartphone che anzi
può benissimo essere
lasciato a casa o nella
borsa. Basta selezionare il tipo di attività, si
conferma, e nel caso di
utilizzo del GPS si aspetta l’aggancio dei satelliti,
che nelle nostre prove
richiede all’incirca 30
secondi all’aria aperta.
Quando il segnale GPS
è di qualità sufficiente
Surge ci avverte con una vibrazione sul polso. Alternativamente è possibile selezionare “inizio rapido”
per partire immediatamente con posizione iniziale approssimativa, mentre in background verrà migliorata
la precisione nei primi minuti di attività. Durante l’allenamento sul display verranno visualizzati il tempo
trascorso e la distanza percorsa e un ulteriore parametro a scelta tra il ritmo, il battito cardiaco, le calorie
bruciate e l’ora. In ogni momento è possibile passare
da una vista all’altra semplicemente con uno swipe
sullo schermo. La schermata del battito cardiaco, in
particolare, indica anche il regime a cui ci stiamo allenando, se aerobico o di picco, basandosi sulla formula di Karvonen (frequenza di picco = 220 - età). Alla
fine della nostra corsa o altra attività basta premere
il tasto pausa e quindi il traguardo per concludere la
registrazione con la visualizzazione di un breve riepilogo che mostra le statistiche principali.
Affidabile quanto basta
Per verificare il comportamento del Fitbit Surge abbiamo fatto alcune uscite portandoci appresso sia il tracker al polso che lo smartphone, utilizzando Runkeeper per registrare percorsi di cui ben conosciamo
le distanze. In generale in tutte le attività registrate
abbiamo evidenziato una precisione maggiore con lo
smartphone, ma il Fitbit se l’è comunque cavata abbastanza bene, con un margine di errore tutto sommato ridotto. Abbiamo calcolato un errore di circa 10/15
metri a chilometro rispetto al nostro percorso tipo, il
che può essere accettabile ai fini del monitoraggio
di un allenamento. Runkeeper si è dimostrato essere
maggiormente affidabile, anche per quanto riguarda i
cambi di altitudine, specie giro su giro. Il vero vantaggio del Surge è chiaramente la possibilità di monitorare il battito cardiaco senza dover indossare anche
una fascia cardio accessoria. Da quello che abbiamo
potuto vedere il Fitbit Surge è in grado di dare una
lettura abbastanza corretta, considerando tutto l’arco
dell’attività nel suo complesso. La lettura continua
del grafico tende a restituire un andamento un po’
traballante, probabilmente per via del movimento del
braccio che in qualche modo può alterare la misurazione, ma non presenta particolari anomalie. Le fasce
cardio solitamente offrono un tracciato più stabile e
preciso, ma comunque il Surge ci è parso affidabile
quanto basta per avere un’indicazione di massima,
almeno durante attività come la corsa. L’autonomia è
vicina a quanto dichiarato dal produttore, circa 5 giorni, nei quali noi abbiamo effettuato due attività con
GPS da circa 45 minuti ciascuna e tenuto indosso il
Surge giorno e notte, con monitoraggio automatico
del battito cardiaco. La sincronizzazione con l’app è
sempre stata puntuale e senza problemi. Lasciando il
Bluetooth attivato sul proprio smartphone, basta aprire l’app per avviare immediatamente la sincronizzazione in modo automatico. L’app non è cambiata molto rispetto all’ultima nostra prova di un prodotto Fitbit,
se non per l’inclusione anche dei prodotti alimentari
italiani nel database per il monitoraggio delle calorie
assunte. A nostro avviso l’app, seppure ben fatta, continua a essere un po’ dispersiva e non guasterebbe
una vista riepilogativa generale della settimana e non
solo per i singoli parametri. Fitbit rimane, inoltre, una piattaforma chiusa: non si integra con Salute di iOS,
non accetta input da dispositivi di
marche diverse e viceversa se non
dalla smart scale di Withings e non
esporta i dati verso altre app. Con il
già citato Runkeeper c’è, ad esempio, una sincronizzazione a senso
unico (da Fitbit a Runkeeper) che
però riguarda unicamente il bilancio calorico della giornata e non, ad
esempio, le attività monitorate con
il Surge. È però possibile esportare
dal sito web di Fitbit le attività in un
file TXC che include tracciati GPS
e cardio che può essere importato
manualmente in Runkeeper o altri
servizi.
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18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
TEST Le critiche principali sono state rivolte al prezzo, quasi 1500 euro sono tanti per quello che un tempo era definito un netbook
MacBook 2015: costa ma non chiamatelo netbook
L’ultimo nato in casa Apple ci riporta ai tempi del MacBook, il portatile per quelli che non hanno particolari esigenze
Apple spinge prodotto e tecnologia ai limiti, ma servono compromessi e scelte discutibili. Come il prezzo, molto elevato
M
di Roberto PEZZALI
acBook per Apple è un ritorno al passato ma
anche uno sguardo a quello che ci aspetta dal
futuro: via tutti i connettori (o quasi) come già
aveva fatto a suo tempo con il DVD e riduzione ulteriore di peso e dimensioni, per un notebook che davvero
è l’emblema della parola “portatile”. Un prodotto il nuovo MacBook che ha sollevato non pochi interrogativi al
momento della sua presentazione: prezzo elevato (in
Italia causa dollaro), schermo piccolo, tastiera scomoda e processore troppo lento le principali critiche. Ma
ovviamente è sul prezzo che si è scatenata la cattiveria maggiore: Apple viene accusata di vendere a 1500
euro quello che un tempo era definito un netbook,
portatile di prestazioni decisamente basse, buono solo
per le sue dimensioni. In nuovo MacBook è un prodotto davvero particolare, non tanto per le scelte di Apple
ma per il suo posizionamento. Che Apple non volesse
fare un prodotto per tutti lo si era capito subito, ma è
anche difficile capire a chi è destinato questo piccolo
gioiellino. Chi vuole potenza, portabilità e flessibilità
guarda sicuramente al MacBook Pro: stessa qualità costruttiva, sicuramente dimensioni maggiori ma anche
prestazioni di tutt’altro livello. Chi cerca un prodotto
leggero, con una autonomia esagerata e un prezzo comunque competitivo non rinuncia di certo al MacBook
Air: costa meno, ha uno slot SD Card, ha due USB tradizionali e una batteria che dura 12 ore. Per chi è allora
il nuovo MacBook? Prima vi diciamo come va questo
MacBook, poi deciderete se è il prodotto adatto a voi
e soprattutto se è il caso di spendere così tanto per
mettere le mani sull’ultimo nato a Cupertino.
Costruzione “no compromise”
Criticare un prodotto Apple dal punto di vista costruttivo è quasi impossibile, anche perché prima Apple decide come vuole il prodotto e poi stabilisce, a seconda
di quanto è costato produrlo, il prezzo di vendita. In
questo caso il prezzo è elevato ma analizzando i vari
componenti usati e le soluzioni trovate si possono piano piano contare tutti gli euro che arrivano a comporre
quei 1499 euro richiesti per portarsi a casa il modello
base. MacBook è tutto in alluminio, con uno chassis

Il confronto con il MacBook Air da 13”
torna al sommario
video
lab
Apple MacBook 12”
1.499,00 €
UN “PICCOLO” GIOIELLO: BELLO, CARO E NON CERTO PER TUTTI
Il nuovo MacBook non è un costoso netbook, ma un portatile che oltre alla indubbia qualità costruttiva si è dimostrato anche sufficientemente
veloce per la maggior parte delle applicazioni “consumer”. Evidenziamo consumer perché, malgrado il prezzo a nostro avviso alto, questo
prodotto è pensato per chi con il computer fa un po’ tutto senza una mission precisa: non va bene per lo sviluppatore, non va bene per un
fotografo, per un giocatore o per un operatore video, ma va benissimo per chi lavora con documenti e fogli di calcolo, chi sfrutta applicazioni
cloud based, chi ha bisogno di un prodotto per lo studio e chi invece predilige la mobilità. L’adozione dell’USB Type C non la riteniamo un grosso handicap ma una opportunità per il futuro, sempre nell’ottica ovviamente di un target di utenza che non ha bisogno di collegare periferiche
e accessori: il problema, comunque, è che di USB Type C sul MacBook ne troviamo sola una.
8.1
Qualità
9
Longevità
8
Design
9
Semplicità
8
COSA CI PIACE Dimensioni e costruzione
COSA NON CI PIACE
Qualità dello schermo
Trackpad Force Touch innovativo
unibody che appare ancora più curato nella sua costruzione rispetto a quello del MacBook Air e molto ben
bilanciato. Sembrano dettagli banali, ma si riesce ad
aprire il MacBook con un solo dito senza sforzo e soprattutto si può scrivere tenendolo sulle gambe senza
il rischio che il peso dello schermo possa sbilanciarlo.
Il comparto schermo, a sua svolta, è molto sottile e con
D-Factor
8
Prezzo
6
Prezzo elevato
Una sola porta che richiede pure un
adattatore
Tastiera precisa ma non troppo comoda
una cornice tutto sommato ridotta, anche se c’è chi è
riuscito, leggi Dell, a farci stare uno schermo da 13” riducendo la cornice a qualche millimetro di spessore.
Apple ha ottimizzato come meglio poteva gli spazi, riuscendo a posizionare una tastiera comunque con tasti
grandi, un trackpad abbondante e persino la zona per
gli speaker in uno spazio tutto sommato ridotto, con un
ottimo lavoro di ottimizzazione. Questo non toglie che,
nel complesso, il MacBook ci sembri davvero piccolo: è
vero che sulla carta ha solo un pollice in meno rispetto
a un MacBook Air, ma quel pollice è in percentuale un
10% circa e sembra di avere tra le mani un grande iPad
con attaccata la tastiera piuttosto che un portatile vero
e proprio quale invece è.
I dati fanno comunque impressione: 1,31 cm nella parte
più spessa, calcolando anche i piedini di gomma, 0,92
kg di peso e 0,35 mm nella zona più sottile sono un tra-
segue a pagina 25 
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18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
TEST
Apple MacBook 12”
segue Da pagina 24 
guardo comunque difficile da eguagliare mantenendo
gli stessi materiali e la stessa cura costruttiva. MacBook,
proprio per sancire la vicinanza con il mondo di iPhone e iPad, è disponibile in tre diverse finiture, dove al
classico silver degli altri portatili Apple si aggiungono
l’oro e il grigio siderale, forse il più particolare e anche
quello che a noi è piaciuto di più.
Il bello (e il brutto) dell’USB Type C
Apple ha abbandonato il suo Magsafe, forse una delle innovazioni più geniali degli ultimi anni, per inserire
il nuovo USB Type C. Una rivoluzione vera a tutti gli
effetti: USB Type C non è una tecnologia di Apple e
per la prima volta non solo Apple si affida in tutto e
per tutto a un connettore universale ma è lei stessa a
farlo debuttare sul mercato. L’utilizzo di questo tipo di
connettore apre la porta ai produttori di accessori che
finalmente potranno realizzare docking, cavi e espansioni di ogni tipo senza neppur dover pagare il classico
obolo ad Apple.
Qui Apple porta ancora una volta il cappellino dell’innovazione e apre una strada che nei prossimi mesi
tutti dovranno percorrere: l’USB classico è destinato
a essere abbandonato e il nuovo connettore, adottato
anche da Google sul suo nuovo Chromebook Pixel, diventerà il nuovo standard. Il MacBook, a nostro avviso,
non ha bisogno di più porte ma semplicemente di una
buona docking da usare quando si è a casa, che possa
con un solo cavo trasportare ricarica, rete, segnali video e connessioni. In mobilità probabilmente il singolo
USB Type C sarà sufficiente non appena usciranno un
po’ di cavi a basso costo, e anche qui forse una piccola
docking è la soluzione migliore. Abbiamo utilizzato nel
corso della prova il MacBook come portatile principale e dobbiamo dire che non abbiamo sentito affatto la
mancanza di porte USB o di altre porte di espansione,
anche se forse Apple poteva fare uno sforzo e inserire
due porte USB al posto di una sola.
Purtroppo al momento attuale trovare cavi e adattatori
per questa porta è davvero difficile: anche il semplice
cavo da micro USB a USB Type C, per collegare videocamere, fotocamere e altre periferiche, sembra al momento impossibile da reperire.
In tema di connessioni dobbiamo fare, infine, un paio
di precisazioni: il trasferimento dati dell’attuale porta
Uno dei pochi adattatori disponibili
USB è limitato a 5 Gbps in quanto sul MacBook è presente la generazione 1 dell’USB 3.1 (derivata dall’USB
3.0) e l’uscita HDMI dell’adattatore è limitata a 4K@30
con il cavo Apple ma potrebbe arrivare a 4K@60 con
un adattatore DisplayPort 1.2a - USB Type C. Questa
connessione al momento non è disponibile come accessorio ufficiale Apple ma dovrebbe essere disponibile come accessorio del Chromebook Pixel. Purtroppo
non siamo stati in grado di provare questo adattatore e
non sappiamo come possa andare il MacBook in 4K a
60 Hz: considerando il processore Intel crediamo che,
seppur supportata, questa risoluzione non sia da prendere in considerazione se non per una visualizzazione
di “slide”.
Tastiera e trackpad: Apple rischia tutto
Quale modo migliore per provare una nuova tastiera
se non usarla a lungo? Questa prova è stata scritta utilizzando la nuova tastiera che Apple ha preparato per
questo MacBook, uno degli elementi che ha subìto i
cambiamenti più radicali. Esteticamente le differenze
più marcate sono la diminuzione di gap tra i singoli tasti con il conseguente aumento delle dimensioni del
singolo tasto, i tasti direzionali con il destro e sinistro dimensionati come un tasto standard e le scritte control
/ option / command sui rispettivi tasti, cosa di non poco
conto per chi non ha mai avuto un Mac e deve seguire un tutorial oppure abituarsi subito a scorciatoie e
shortcut per i vari programmi.
Le novità vere, però, non sono estetiche ma funzionali:
per ottenere uno spessore così ridotto Apple ha modificato i singoli tasti riducendo la corsa e cambiando
il meccanismo di pressione: il risultato è una tastiera
con una escursione assolutamente ridotta, quasi una
tastiera “touch” con un leggerissimo feedback tattile.

Novità per la tastiera, sotto ogni lettera un singolo
led di retroilluminazione.
torna al sommario
L’escursione c’è ovviamente, ma chi è abituato alle tastiere con i tasti che si sentono farà fatica ad abituarsi
alla nuova tastiera del MacBook. Dobbiamo dire che il
nuovo meccanismo a farfalla posto sotto i tasti è decisamente preciso: non serve più il tocco al centro ma
basta anche un contatto periferico per avere la lettera
stampata a schermo.
L’ultima novità relativa alla tastiera è la retroilluminazione: al posto di una light-guide unica come sugli attuali
MacBook Pro ed Air Apple ha inserito sotto ogni lettera
un singolo led di retroilluminazione, cambiamento che
ha un notevole impatto sui costi ma che permette di
avere la singola lettera illuminata con la retroilluminazione perfettamente calibrata su tutta la tastiera. Per
quanto il lavoro fatto sia lodevole, continuiamo a preferire le tastiere tradizionali.
Il cambiamento però ci piace, e anche tanto, quando
dobbiamo parlare del trackpad: al posto dell’elemento
meccanico sul MacBook Apple ha introdotto il trackpad
Force Touch, un vetro sotto il quale è stato inserito un
motore taptic engine capace di simulare e restituire le
sensazioni del tocco.
Il lavoro svolto è magistrale, perché sembra effettivamente di premere un qualcosa di meccanico quando
invece stiamo semplicemente toccando un oggetto
immobile. La bellezza del nuovo Force Touch ha impatto positivo anche sull’usabilità: possiamo finalmente premere ogni zona, anche gli angolini, e soprattutto
possiamo gestire diversi livelli di pressione per cambiare il comportamento di un oggetto. Per provarlo basta
caricare un filmato su QuickTime e provare ad andare
avanti: la velocità varia a seconda della pressione che
facciamo sul trackpad. Qui gli sviluppatori possono
davvero sbizzarrirsi: Yosemite 10.10.3 include le “api”
che permettono la creazione di app ottimizzate per il
nuovo trackpad e siamo sicuri che a breve usciranno
soluzioni davvero geniali per gestire anche la profondità del tocco oltre che il movimento.
Lo schermo ha un’ottima qualità
Apple per creare il MacBook non si è risparmiata e non
ha badato troppo al prezzo: lo schermo Retina è un lusso per un portatile così piccolo e sicuramente siamo di
fronti a una trial per portarlo anche sul MacBook Air.
L’uso di uno schermo così risoluto ha i suoi pro e i suoi
contro: tra i vantaggi possiamo annoverare la qualità di
visione, tra gli svantaggi l’autonomia e la gestione della
risoluzione. Lo schermo infatti è un 12” con una risoluzione di 2304x1440 in formato 16:10, scelta quella del
formato saggia in quanto più versatile
di un comune 16:9. Per come funziona
il “retina” la risoluzione reale del desktop sarebbe 1152x720, ma con questa
risoluzione le icone e le app sono effettivamente troppo grandi.
Apple ha quindi impostato come risoluzione di default un 1280x800, mentre
quella ridimensionata con “più spazio”
fa apparire l’interfaccia a 1440x900, la
stessa risoluzione del MacBook Air e
segue a pagina 26 
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MAGAZINE
TEST
Apple MacBook 12”
segue Da pagina 25 
a nostro avviso anche quella più indicata se si vuole
comunque avere spazio sufficiente per finestre e icone. Lo schermo ha una resa eccellente, paragonabile
se non migliore a quella del MacBook Pro: Apple ha
ridisegnato il sistema di retroilluminazione migliorando
l’efficienza energetica e aumentando luminosità e uniformità, ma anche sulla resa cromatica il lavoro svolto
è notevole: solo l’unico secondario con una leggera
deviazione è il ciano, per il resto ci troviamo davanti ad
uno schermo ben bilanciato cromaticamente.
È velocissimo
e nel suo piccolo anche potente

Non ci aspettavamo miracoli da un portatile senza
ventole dove la scheda madre, incluse memorie e processore, è grande quanto un iPhone ed effettivamente
miracoli il MacBook non ne fa. Apple ha voluto realizzare un prodotto davvero ai limiti, con un processore
Core M di Intel caratterizzato da una TDP inferiore ai 5
Watt (4.5 per la precisione) e dotato di uno spessore inferiore al millimetro. Apple deve moltissimo a Intel per
il risultato raggiunto, e solo grazie al suo nuovo processore integrato è riuscita a tenere lo spessore così
ridotto e a gestire in modo efficace il carico termico.
Sul modello in prova il processore, realizzato con tecnologia 14 nanometri, è la versione da 1.1 GHz, ma è
possibile avere anche le versioni da 1.2 GHz e 1.3 GHz:
crediamo che non sia il caso di investire di più per un
torna al sommario
upgrade del processore, anche perché chi acquista
questo MacBook dovrebbe (almeno si spera) essere
consapevole che attività come il gaming 3D, il rendering e l’editing video di un certo livello gli sono precluse. Con a bordo 8 GB di memoria e 256 GB di spazio
su un velocissimo disco SSD il MacBook è comunque
una scheggia nelle operazioni che richiedono accesso
veloce ai dati: editing di moltissime foto, copia di file,
caricamento di grossi fogli di calcolo e di grossi file di
testo sono comunque ambiti dove il MacBook non soffre più di tanto. Senza addentrarsi troppo nei dettagli
tecnici va segnalata la presenza di un controller SSD
realizzato da Apple che fa proprio la differenza in lettura e in scrittura, con un picco di 771 MB/s in lettura.
Per quanto riguarda le prestazioni abbiamo provato
un po’ di tutto: fogli di calcolo, giochi, editing video e
editing fotografico, e senza esagerare siamo riusciti a
fare tutto senza alcun problema. Certo, non ci si deve
aspettare l’applicazione in tempo reale di più filtri di
Premiere ma se vogliamo realizzare un filmato con
iMovie anche in HD e con alcuni filtri riusciamo a renderizzarlo e esportarlo senza troppi problemi.
La stessa cosa vale per l’editing fotografico: si riescono
a elaborare senza problemi file RAW anche abbastanza pesanti ma si deve comunque attendere una frazione di secondo per vedere applicati filtri più pesanti
come un eventuale rimozione del rumore. Sui giochi la
questione è più complessa: con giochi di qualche anno
senza esagerare sulle impostazioni di dettaglio e effetti
si riesce a giocare senza problemi con un frame-rate
comunque accettabile (abbiamo provato Diablo III, Day
of Defeat Source e Fifa 2012), ma molti giochi non girano proprio con la scheda video integrata Intel 5300.
Impossibile comunque pretendere di giocare bene in
3D con questo MacBook, anche se Football Manager,
platform e strategici sono comunque alla sua portata.
Un dato infine per quanto riguarda l’autonomia, di
non poco conto quando si parla di un portatile. Per il
MacBook Apple ha realizzato un nuovo e innovativo
tipo di batteria al litio con una densità inferiore di energia delle classiche batterie al litio ma con il vantaggio
di poter essere plasmata anche in forme insolite grazie
alla sovrapposizione di più strati. Apple ha sfruttato
questo vantaggio per saturare tutto lo spazio interno
del MacBook, ottenendo una batteria da quasi 40 Wh
che si avvicina molto a quella da 38 Wh del MacBook
Air da 11”. In termini di autonomia questo si traduce se-
condo Apple in 10 ore di navigazione web usando
Safari come browser, ma all’atto pratico abbiamo visto
che difficilmente si sorpassano le 7 ore tenendo una
luminosità adeguata e usando Chrome come browser (Chrome e l’autonomia su OSX non vanno troppo
d’accordo). La stessa logica vale anche con le altre app
di sistema: Quicktime ci permette di guardare video
HD per quasi 10 ore mentre con VLC o un altro player
meno ottimizzato si devono togliere almeno 90 minuti.
In linea di massima, considerando lo schermo Retina,
il MacBook ha una buona autonomia ma sotto questo
punto di vista l’Air da 13” è su un altro pianeta. Da segnalare la ricarica comunque molto rapida con il caricatore in dotazione, ricarica che volendo potrebbe essere fatta anche con un battery pack esterno: anche qui,
per la mancanza di un cavo da USB a USB Type-C non
siamo stati in grado di effettuare una prova pratica.
I pro e i contro del MacBook
Le prove sono fatte ovviamente per dare un giudizio e
nel caso del nuovo portatile Apple il giudizio è davvero
difficile da dare. Il difetto a nostro parere maggiore è
il prezzo: i 1499 euro che servono per portare a casa
questo prodotto sono tanti anche se alla fine, paragonando questo MacBook al resto della gamma Apple,
siamo allineati con gli altri prodotti. Il MacBook Air con
SSD da 256 GB e 8 GB di RAM, ad esempio, costa 1479
euro e rispetto al MacBook ha uno schermo di qualità
decisamente inferiore ma può contare su una tastiera a
nostro avviso più comoda, su 1” in più di diagonale, su
un processore comunque più potente e due due porte
USB standard oltre allo slot SD. Queste considerazioni,
tuttavia, sono legate all’uso che una persona fa del portatile: potrebbe ad esempio dare più fastidio la fotocamera frontale 480p di modesta qualità su un prodotto
simile dell’assenza dello slot microSD.
n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
TEST Un ultrabook potente, completo e ben costruito a un prezzo ragionevole. MacBook Air ha finalmente un degno rivale
Dell XPS 13, in prova il miglior laptop Windows
Il nuovo portatile con display 13’’ di Dell ha saputo conquistarci: è completo in tutto e non ha veri e propri punti deboli
di Vittorio Romano BARASSI
uella dei laptop è una categoria che negli ultimi
anni ha faticato non poco a proporre qualcosa di
veramente nuovo e interessante. Tutti i principali
protagonisti del mercato si sono messi alla ricerca di
un giusto mix capace di competere ad armi pari con il
MacBook (Air o Pro) di Apple ma solo in pochi sono riusciti a disegnare prodotti capaci di rivaleggiare con la
soluzione ultraportatile di Cupertino. Dell ci ha provato
con la serie XPS 13 che nel 2015 è stata totalmente rivista e che, finalmente, pare essere giunta alla maturità:
il nuovo ultrabook è davvero un ottimo prodotto e in
questa prova cercheremo di spiegarvi il perché.
Q
video
La qualità c’è, si vede e si tocca

XPS 13 si presenta benissimo: la confezione di vendita
è elegante, minimal, nasconde sapientemente il compatto caricabatteria e i cavi (molto bello il doppio LED
sullo spinotto di alimentazione) e mette in primo piano
le finiture metalliche del laptop. Il nuovo ultrabook di
Dell è infatti contraddistinto da un design che vede
sia la copertura superiore sia il fondo realizzati in alluminio satinato da 2mm, caratteristica che innalza
non poco la sensazione di qualità generale rispetto
ai modelli delle generazioni precedenti e che avvicina
in maniera decisa Dell ad Apple. All’interno infine, per
rendere più leggero il tutto, c’è un telaio in fibra di
carbonio che dice moltissimo sulle intenzioni di questo XPS 13.
Anche la tastiera, poi, ha indubbie qualità: i tasti sono
abbastanza grandi, ben distanziati e offrono un ottimo
feel alla pressione. Abbiamo scritto tutta la recensione di XPS 13 proprio con questa tastiera e, nonostante
Dell ci abbia fornito un sample con layout americano,
mai abbiamo rimpianto la tastiera che eravamo soliti
utilizzare. Bella e funzionale la retroilluminazione, regolabile su due livelli e disattivabile tramite apposito
pulsante presente sulla tastiera (ma non c’è il controllo automatico in base alla luminosità ambientale).
Nella media il trackpad, con dimensioni assolutamente normali, mentre qualche appunto lo si può fare solo
alla superficie “soft” scelta da Dell per rivestire tutto
lo spazio attorno alla tastiera: piacevole al tatto, ma
troppo sensibile al sudore delle mani e dei polsi.
I due lati di Dell XPS 13 sono contraddistinti da un
corredo di porte che soddisferà praticamente ogni
tipologia di utente. Sul lato sinistro, oltre all’ingresso dello spinotto di alimentazione, vi sono una porta
torna al sommario
lab
DELL XPS 13
1.099,00 €
OK IL PREZZO; E QUESTA È LA VERSIONE DA SCEGLIERE
Dell XPS 13 è un ultrabook completo, potente e davvero ben fatto. Partendo da questi cardini ci sentiamo di considerare ragionevoli i 1.099
euro che Dell chiede per il dispositivo in questione, considerando che per acquistare un MacBook Air dalle (quasi) analoghe specifiche (con 4
GB di RAM in meno e display non Full HD) se ne devono spendere ora 1.379. Il computer è scattante, bello da vedere, leggero e con un ottimo
display: ha quindi tutte la carte in regola per soddisfare l’utenza business e quella consumer, senza particolari preferenze. Il discorso cambia
se si considera l’acquisto di uno dei modelli con display QHD+, peraltro con autonomia inferiore: Dell parte da un listino di 1.399 euro, ma
per 100 euro in più Apple risponde con Macbook Pro 13” con display Retina che, specifiche alla mano e con un prezzo quasi analogo, diventa
davvero difficile da non tenere in considerazione. Resta il fatto che questo Dell è un prodotto da prendere in seria considerazione, e se la
ricerca prevede un prodotto Windows, qui si va davvero a botta sicura.
8.2
Qualità
9
Longevità
8
Qualità generale e finiture
COSA CI PIACE Display Infinity molto bello
Ottima autonomia
Design
8
Semplicità
7
COSA NON CI PIACE
mini-DisplayPort, una USB 3.0, l’ingresso per jack da
3.5 mm e un piccolo pulsante che attiva una serie di
cinque piccoli LED che indicano in maniera approssimativa l’autonomia residua; sul lato opposto c’è spazio
solo per una seconda porta USB 3.0 e per un lettore
di card SDXC. Su entrambi i lati, posizionati simmetricamente, vi sono anche due piccolissimi speaker (uno
a destra e uno a sinistra) dalla qualità poco più che
sufficiente. Qualcuno potrebbe lamentare l’assenza
della porta HDMI ma, sinceramente, non ci sembra
D-Factor
Prezzo
8
7
Webcam posizionata male
Trackpad nella media
Superficie soft-touch sensibile al sudore
una mancanza così grave da valere come un punto a
sfavore per questo portatile.
Infinity Display
È lui il protagonista assoluto
XPS 13 viene proposto in quattro diverse configurazioni, due con display Full HD e altrettante con pannello QHD+. Quella che Dell ci ha inviato per la prova
segue a pagina 28 
n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
TEST
Dell XPS 13
segue Da pagina 27 
è la migliore tra le versioni con display Full HD che
per nulla fa rimpiangere il modello dotato di schermo
con risoluzione superiore; il pannello IPS scelto dal
produttore è realizzato da Sharp ed è contraddistinto da un’ottima e uniforme luminosità, da ampi angoli
di visione e da colori sempre molto vivaci. Inoltre, la
finitura opaca dello stesso, oltre ad inibire i riflessi fa
sì che la visibilità sia ottima anche sotto la forte luce
del sole.
Quel che più colpisce, però, è certamente la sottilissima cornice dello schermo; con un bordo di soli 5,2
millimetri l’Infinity Display di Dell fa davvero una gran
figura e ci mette poco a far sembrare obsoleti tutti gli
altri portatili proposti dalla concorrenza. Fa sorridere
scoprire che a causa del minuscolo bordo, Dell abbia
dovuto spostare la webcam: troppo pochi i 5,2 millimetri del bordo, il modulo è stato riposizionato in basso a sinistra. Non proprio il massimo per gli affezionati
delle videochiamate su Skype, ma questo è il prezzo da pagare se si vuole un pannello da 13,3 pollici
di diagonale su un dispositivo che ha le dimensioni
(spessore di 9 - 15 millimetri) e il peso (solo 1,18 chilogrammi) di un ultrabook da 11,6 pollici. Per dovere di
cronaca segnaliamo che le versioni equipaggiate con
il display dalla risoluzione superiore possiedono funzionalità touchscreen e sono abbinate a un Corning
Gorilla Glass che protegge il pannello dai graffi. Quest’ultimo, però, aggiunge quasi un etto al peso complessivo che sale fino a 1,26 chilogrammi.
Potenza in abbondanza
Ma non per giocare

Sotto l’aspetto puramente prestazionale XPS 13 è un
tuttofare incredibilmente versatile; il processore Intel
Core i5-5200U di quinta generazione (Broadwell-U a
14nm) con 3 MB di cache “spinge” con convinzione
fino a 2,7 GHz e mai, nel classico utilizzo di tutti i giorni, si sente il bisogno di potenza extra.
Il sistema operativo preinstallato è ovviamente
Windows 8.1, che pare essere molto a suo agio con
l’unità disco a stato solido da 256 GB scelta da Dell
per l’ultrabook in questione.
La velocità si percepisce in ogni frangente e il
multitasking non è mai un problema grazie anche agli
torna al sommario
8 GB di memoria RAM DDR3 a 1600 MHz saldati sulla
scheda madre (l’entry-level costa 100€ in meno ma ha
soli 4 GB di RAM, fate attenzione). Andando a pretendere un po’ di più da questo Dell XPS 13, per esempio
utilizzando qualche programma di elaborazione foto/
video, non si fa fatica a capire come questo portatile
sia stato pensato anche per gli utenti più esigenti.
Anche forzando le prestazioni, queste risultano assolutamente allineate con le attese e pure in questo caso,
a dirla tutta, non abbiamo mai sentito il bisogno di un
processore più potente (vedi il Core i7 che Dell offre
per i modelli con display QHD+). L’unico “inconveniente” nell’utilizzo intenso, se così lo si vuol chiamare, è
che il fondo del portatile tende scaldarsi in maniera
importante: non diventa ingestibile, ma tenendolo sulle
gambe il calore si percepisce distintamente.
Per gli amanti dei numeri abbiamo eseguito qualche
famoso test di benchmark (tutti in modalità bilanciata)
e XPS 13 si è dimostrato essere al di sopra della media
della categoria. Assolutamente prevedibile una certa
difficoltà nei test in cui è messa sotto torchio la scheda
grafica di sistema, qui una Intel HD 5500 integrata, la
quale non è certamente quello di cui un gamer – anche
non troppo esigente – ha bisogno.
Detto questo, con la scheda in questione è comunque
possibile giocare a quasi tutti i giochi presenti in commercio, a patto di scendere a compromessi con la risoluzione e con i dettagli; impossibile pensare di giocare
in Full HD con settaggi medio-alti, ma una configurazio-
ne a 720p con dettagli medi potrà garantire un buon
framerate praticamente in ogni occasione.
Dotazione completa
e la batteria dura un giorno
Dell XPS 13 è un ultrabook full optional equipaggiato
con un classico modulo Bluetooth 4.0 e uno Wi-Fi “ac”
realizzato da Broadcomm, quest’ultimo in grado di destreggiarsi alla grande anche quando tra il dispositivo
e il router ci sono un paio di muri di mezzo. Come abbiamo già anticipato ci sono due speaker di sistema,
ma non aspettatevi molto da essi: per un po’ di buona
qualità audio molto meglio collegare un paio di cuffie
tramite l’apposito jack. Pochi i software che Dell ha deciso di preinstallare a bordo di XPS 13, elemento che
sicuramente farà piacere a tutti coloro che non amano
sistemi appesantiti da applicazioni per lo più inutili.
Se non siete amanti del rumore rimarrete poi abbastanza soddisfatti del comportamento della ventola di sistema, che è sempre attiva ma quasi mai diventa invadente e quando lo fa non risulta mai fastidiosa, anche
al massimo regime di rotazione. Facendo un veloce
confronto con un MacBook Air che abbiamo utilizzato come “metro” di paragone, si può tranquillamente
affermare che le ventole del computer di Cupertino, al
massimo, fanno decisamente più rumore.
Anche parlando di autonomia, Dell XPS 13 in versione 2015 non delude le aspettative: il parco batterie
da 52Wh è tranquillamente in grado di coprire l’intera giornata lavorativa e di lasciare
carica a sufficienza per un paio
di ore di svago una volta tornati a
casa. Dell dichiara un’autonomia
di ben 15 ore e anche se non siamo mai riusciti ad arrivare a tanto,
abbiamo sfiorato le 11 ore con un
utilizzo prevalentemente fatto di
navigazione web e stesura testi, il
tutto con luminosità dello schermo
impostata oltre il 50%, connessione Wi-Fi e qualche applicazione in
background sempre attive. La carica completa della batteria richiede
poco più di un paio di ore.
Concert for one
Cuffia P3. Un mix di alta qualità sonora e comfort di lusso, frutto della fusione calcolata e calibrata tra materiali pregiati e tecnologie raffinate. Nata dalla penna di Morten Warren, lo stesso creatore dello Zeppelin Air iPod Speaker, la P3, disponibile in 4 colori, nero, bianco, rosso e blu, ne conserva la personalità, il talento sonoro e la frequentazione privilegiata, ovvero l’iPod e l’iPhone dai quali estrapola il meglio dei conte-
nuti sonori, ne integra la funzionalità e la cosmetica. P3 è infatti dotata di un cavo con comando per iPod/iPhone con microfono e controllo volume/salto-traccia, utilissimo per tutti gli
amanti dei player firmati dalla mela argentata. Ma –ovviamenteP3 è "anche" una cuffia Hi Fi tradizionale di elevatissimo livello,
da poter collegare a qualsiasi sorgente standard, tramite il
cavo a corredo intercambiabile con quello per player Apple.
Zeppelin e Zeppelin Air sono marchi registrati di B&W Group Ltd. AirPlay, iPod, iPhone e iPad sono marchi di Apple Inc. registrati negli Stati Uniti e in altri paesi.
www.audiogamma.it
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18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
TEST Abbiamo provato 5 auricolari: vi spieghiamo come valutare al meglio l’acquisto e quali sono i fattori chiave da considerare
Super comparativa di auricolari per lo sport
Scopri con noi chi taglia il traguardo per primo
In prova JBL Synchros Reflect, Plantronics BackBeat Fit, Sennheiser OCX686G, Sony MDR-AS600BT, yurbuds Leap Wireless
S
di Emanuele VILLA
ono anni che proviamo cuffie e auricolari alla ricerca della massima qualità d’ascolto o del miglior
rapporto qualità/prezzo. Questa volta, abbiamo
deciso di specializzare la ricerca ed entrare nel mondo
del fitness e dello sport. Perchè un auricolare sportivo
ha caratteristiche estetiche e funzionali diverse da uno
“normale”, e anche a livello tecnologico può risultare
un passo avanti non da poco. Abbiamo così pensato
di coniugare la classica Guida all’acquisto, con tanto di
parametri da valutare prima di mettere mano al portafoglio, con la prova di cinque modelli molto interessanti e
selezionati all’interno dei 100 euro di listino. Abbiamo
scelto modelli abbastanza diversi tra di loro, cosa che
da un lato rende più difficoltosa la comparazione diretta, dall’altro copre un maggior numero di utenti potenziali: non tutti amano gli auricolari Bluetooth, non tutti
vogliono spendere 100 euro e via di seguito. In questo
modo, invece, abbiamo solo prodotti di qualità ma con
un minimo di varietà tra le opzioni disponibili.
nome) sul cavo, che lo rende visibile di notte.
Pensato per: chi vuole un prodotto che, nonostante
la sicurezza dei modelli sportivi, sia anche comodo da
tenere per ore
Leggi la prova completa
I prodotti in prova
Plantronics BackBeat Fit
video
Per la prova abbiamo scelto cinque prodotti dalle
caratteristiche diverse, abbiamo modelli a filo e altri
Bluetooth, alcuni con archetto auricolare e altri in-ear,
ma senza dimenticare alcune soluzioni proprietarie rivolte a garantire la massima stabilità possibile. Ognuna
di esse è corredata dalla prova completa del prodotto,
accessibile da questa pagina oppure come articolo singolo nelle pagine seguenti.
lab
grintosa e con qualità sonora garantita dalla tradizione
del marchio. Per la migliore tenuta, Sennheiser ha optato
per un archetto auricolare ergonomico, mentre le caratteristiche principali dichiarano una risposta in frequenza
18 - 20.000 Hz e un livello di pressione sonora di 120 dB
(1 kHz / 1 Vrms). OCX686G è un auricolare a filo con controller per Android (c’è anche la versioen iOS), dotato di
microfono, cavo anti-attorcigliamento e custodia.
JBL Synchros Reflect

Synchros Reflect di JBL è una delle due proposte a
filo di questa rassegna, insieme al modello OCX686G
di Sennheiser. Il suo obiettivo è quello di coniugare la
stabilità di un auricolare sportivo con la comodità di un
in-ear classico. Per la tenuta durante l’attività sportiva ci
si affida a un piccolo “gancetto” di gomma da inserire
nella cavità auricolare, mentre per la gestione musicale e delle telefonate c’è il classico controller sul filo.
Synchros è disponibile in versione iOS e Android, offre
una risposta in frequenza estesa da 10 Hz a 22kHz e
si contraddistingue per una finitura riflettente (da cui il
torna al sommario
Gli auricolari più “smart” di questa rassegna. Perchè
oltre ad essere Bluetooth, quindi wireless per definizione, dispongono anche di un’app apposita e si possono
interfacciare con app di terze parti. Pieno controllo di riproduzione sugli auricolari, mentre per la sicurezza ci si
affida a un doppio archetto, quello classico che avvolge
l’orecchio e un altro che passa dietro il collo. BackBeat
Fit pesa 24 grammi ed è realizzato in gomma estremamente flessibile; in più offre, all’interno della confezione, anche una custodia double face che diventa fascia
da braccio all’occorrenza. I dati tecnici garantiscono 8
ore di autonomia in ascolto musicale.
Pensato per: chi vuole un prodotto molto “smart”, senza
fili e con una buona dotazione di accessori nella confezione
Leggi la prova completa
Pensato per: chi pratica sport indoor e apprezza il livello di isolamento offerto dall’in-ear.
Leggi la prova completa
Sony MDR-AS600BT
Sennheiser OCX686G
OCX686G fa parte della nuova offerta 2015 di auricolari
sportivi Sennheiser. Per un prezzo di listino di circa 100
euro si ha un auricolare in-ear “classico” dall’estetica
MDR-AS600 BT è un auricolare splash-proof diverso
dagli altri presenti in questa rassegna. Intanto per
segue a pagina 31 
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18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
TEST
Comparativa auricolari per lo sport
segue Da pagina 30 
l’aspetto estetico abbastanza “importante”, ma anche
per la completa gestione musicale (e delle telefonate)
tramite un solo pulsante presente sull’auricolare destro.
Come sistema di bloccaggio, Sony opta per un in-ear
classico ma rinforzato dal gancetto di gomma da inserire in un incavo del padiglione, al fine di coniugare comodità e sicurezza. MDR-AS600BT è un auricolare
Bluetooth, per cui wireless per definizione, con annessa
tecnologia NFC e compatibile con gli smartphone delle
generazioni più recenti senza distinzione di sistema
operativo. Come autonomia, vengono dichiarate 8,5
ore di ascolto musicale, che lo posizionano ai vertici della nostra rassegna.
Pensato per: chi vuole un auricolare che “suona bene”
e dalla buona autonomia, senza l’assillo dei cavi.
Leggi la prova completa
yurbuds Leap Wireless
tutto l’ergonomia, da cui deriva la stabilità del prodotto
durante l’attività fisica
Semplicity: lo interpretiamo come facilità ad indossare
gli auricolari, a “metterli e toglierli” e la comodità dopo
un’attività fisica intensa
D-Factor: è il fattore hi-tech, che nel nostro caso riguarda Bluetooth, app, controller, sensori ecc
Prezzo: il rapporto qualità/prezzo
Come scegliere un auricolare per lo sport
Leap Wireless di yurbuds è un modello particolare.
Diverso dalle “solite” cuffie sportive soprattutto per il
modo in cui l’auricolare assicura la propria tenuta durante l’attività. Al posto dei soliti archetti, ganci e via
dicendo, qui l’auricolare ha un terminale in gomma che
- previa torsione - aderisce perfettamente all’interno del
padiglione e non si muove neppure durante l’attività più
intensa ed “estrema”. Inoltre, è un auricolare wireless
Bluetooth, quindi indipendente dal sistema operativo
(per smartphone) utilizzato. Contiene un microfono, un
controller a filo e garantisce 6 ore di autonomia prima
della necessaria ricarica.
Pensato per: chi fa sport che vanno al di là di una semplice corsetta. Il sistema di aggancio Twistlock assicura
la massima tenuta
Leggi la prova completa
Come li abbiamo valutati

Approfittiamo di questa area per una piccola nota di
metodo: tutti gli auricolari della rassegna sono stati testati nelle medesime condizioni, ma le conclusioni cui si
giunge hanno tenuto conto del prezzo di listino, che varia abbastanza da un modello all’altro. Inoltre, i tradizionali parametri che DDAY.it usa per i giudizi delle prove,
in questo caso necessitano di un’interpretazione particolare, considerando il tipo di prodotto. In particolare:
Qualità: la qualità sonora, valutata durante l’attività di
fitness
Longevità: sensazione di robustezza, durata nel tempo,
resistenza ad acqua, sudore ecc...
Design: qui consideriamo l’estetica ma anche e soprat-
torna al sommario
Ad alcuni diremo cose ovvie, ma non tutti sanno che
per svolgere attività fisica con il proprio sottofondo musicale preferito ci vogliono auricolari ad hoc. Quelli normali non sono indicati a questo scopo: il loro obiettivo
è fornire la miglior qualità sonora possibile in condizioni
di assoluta o relativa tranquillità; vanno bene per camminare, potrebbero essere più che sufficienti per una
marcia, ma quando l’attività sportiva comprende corsa,
ginnastica, movimenti rapidi del capo, uso di attrezzi,
torsioni di ogni genere e via dicendo, c’è bisogno di un
modello che assicuri, oltre alla necessaria qualità sonora, anche un livello di stabilità superiore alla media.
Fattore hi-tech
Dal Bluetooth alle pulsazioni “in-ear”
Partiamo da un discorso tecnologico: il punto di partenza è ancora il classico auricolare a filo con un sistema di
sicurezza tale da garantire la massima tenuta anche durante l’attività fisica più intensa. Ma è ovvio che anche in
questo settore l’evoluzione tecnologica si sia fatta sentire: il primo passo avanti sono gli auricolari, sempre a
filo, con controller per la gestione musicale e delle telefonate, il che implica anche la presenza di un microfono
solitamente posto sul dorso del controller stesso.
In alternativa è possibile che il microfono sia nell’auricolare, ed entrambe le soluzioni hanno pro e contro: nel
primo caso c’è il rischio che la distanza rispetto alla bocca sia eccessiva e che il microfono, che naturalmente
“saltella” durante la corsa, renda la conversazione ricca
di interferenze, ma è anche il sistema più versatile perchè ci permette di portare il microfono vicino alla bocca
e risolvere (sia pur manualmente) entrambi i problemi.
Tra l’altro i migliori produttori dotano i propri auricolari
di una clip sul cavo che serve proprio per agganciare
quest’ultimo agli indumenti evitando vibrazioni eccessi-
ve. Da notare, infine, che gli auricolari a cavo sono solitamente sensibili al sistema operativo del telefono: di
solito ci sono i modelli specifici per Android e quelli per
iOS. Il che non significa che non siano intercambiabili:
se si sbaglia modello, di solito si perdono solo le funzioni di riproduzione e (cosa tutt’altro che secondaria) la
regolazione del volume.
Poi ci sono gli auricolari Bluetooth, che non necessitano
di particolari spiegazioni tecnologiche ma per i quali è
indispensabile un piccolo approfondimento: il loro limite
è l’autonomia, che per nostra esperienza va dalle 4 alle
8 ore, dopo di che devono essere ricaricati a differenza
di quelli a filo. Gli auricolari Bluetooth sono ovviamente
wireless ma necessitano di un cavetto di collegamento
tra gli stessi, che può essere un cavo morbido da far
passare dietro al collo oppure di un archetto flessibile. Il bello è che sono compatibili con tutti i dispositivi
delle ultime generazioni senza distinzione di sistema
operativo, ma c’è da affrontare il discorso della stabilità
di segnale, che chi è alle prime armi trascura ma che
potrebbe riservare qualche sorpresa.
Il ricevitore Bluetooth è infatti integrato in uno dei due
auricolari, che di solito è il destro: se il telefono è fermo
e si fa ginnastica (tipica ipotesi da palestra, o anche sotto la doccia, essendo gli auricolari waterproof), valgono
le considerazioni tipiche del Bluetooth, ovvero entro
i 6-8-10 metri la situazione è ottimale, dopo di che la
musica va a scatti, si interrompe, ci sono interferenze
e via dicendo. Ma questo è assolutamente normale. La
situazione è diversa nel caso in cui lo smartphone sia sì
vicino all’auricolare, ma sia l’utente che il telefono siano
in movimento: in questo caso, molto frequente a dire
il vero (corsa, bicicletta, jogging...), ci possono essere
differenze di ricezione tra i vari modelli e tutto sta alla
distanza tra smartphone e auricolare e alla presenza di
eventuali ostacoli. Intendiamoci, se si mette il telefono
in una fascia da braccio, magari indossandola sul braccio destro (cioè dalla stessa parte del ricevitore BT), il
problema proprio non si pone, ma se si inizia a infilare lo
smartphone nella tasca dei pantaloni, magari in quella
opposta rispetto al lato del ricevitore e si fanno torsioni
veloci con il capo mentre si corre, potrebbero verificarsi limiti di ricezione con piccole interferenze, attimi
di assenza di segnale e via dicendo. Alcuni di questi
segue a pagina 32 
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18 MAGGIO 2015
TEST
Comparativa auricolari per lo sport
segue Da pagina 31 
possono essere considerati fisiologici data la media dei
modelli: qualche micro-interferenza è prevedibile e tollerabile, purchè intervenga in circostanze specifiche e
sia rara, ma in altri casi è più frequente e impone limiti di
posizionamento dello smartphone.
Parlando di fattore hi-tech, oggi possiamo andar oltre al
Bluetooth. Ci sono infatti auricolari che, oltre ad essere
senza fili, sono gestibili via app e - in quanto appartenenti all’era “smart” possono gestire (tramite i pulsanti
di cui dispongono) non solo le operazioni classiche di
riproduzione e la risposta alle telefonate, ma anche le
funzioni di app di terze parti. Per non parlare di quegli auricolari, come i Jabra Sport Pulse provati qualche
mese fa, che oltre al Bluetooth e alla gestione via app,
dispongono anche di un sensore per il battito cardiaco
integrato, che pare tra l’altro essere molto affidabile.
La stabilità è la prima cosa da valutare
E la comodità?
A prescindere dalla presenza o meno di spunti di alta
tecnologia, gli auricolari sportivi devono essere stabili.
Perchè magari qualcuno li usa solo per camminare con
grinta, come nel caso del nordic walking, ma c’è chi fa
ginnastica a corpo libero, chi corre, chi scala e via dicendo. Tutte queste categorie di sportivi e atleti hanno
diritto a un auricolare che non solo non cada durante
l’attività, ma non si sposti neppure dalla sua sede obbligando a continue correzioni. Per dare stabilità, le soluzioni adottate dai produttori sono diverse, e il risultato
varia anche di molto: fermo restando che l’in-ear fornisce di per sè una qualche forma di tenuta, i produttori
tendono ad aggiungervi archetti che circondano l’orecchio, altri che si posizionano dietro il collo, dei piccoli
“beccucci” di gomma che si inseriscono nelle cavità del
padiglione e bloccano l’auricolare, sistemi ergonomici
che vincolano l’auricolare all’orecchio mediante rotazione dell’auricolare stesso e via dicendo. In tutti i casi, valutare il sistema di fissaggio è molto importante in sede
di acquisto, tenendo presente una regola di massima
(che subisce comunque eccezioni): più l’auricolare ha
un sistema voluminoso di fissaggio, più è stabile ma
meno è comodo. Per esempio, l’archetto che avvolge
il padiglione è perfetto per garantire tenuta, ma chi por-

Gli auricolari Jabra Sport Pulse sono dotati
di sensore biometrico integrato
torna al sommario
MAGAZINE
ta gli occhiali potrebbe provare un po’ di fastidio dopo
ore di attività fisica, mentre il piccolo “beccuccio” che
si somma all’in-ear dà una comodità senza precedenti,
permette di mettere e togliere gli auricolari senza difficoltà ma di fronte a sollecitazioni davvero intense qualche movimento lo provoca. Tutto sta a capire quanto
è importante la stabilità per sè: fermo restando che un
certo grado è fondamentale in tutti gli sport, oltre il minimo garantito dipende poi dalle proprie esigenze.
Isolamento, è davvero importante?
Per loro stessa natura, gli auricolari forniscono un certo
grado di isolamento dall’esterno, che ovviamente (senza ricorrere ai sistemi di tipo attivo) è molto maggiore
nei modelli in-ear rispetto a quelli aperti. Alcuni auricolari pensati per lo sport, come gli yurbuds Leap Active,
hanno una struttura tale da incrementare ulteriormente
il senso di isolamento, ma ovviamente la sua utilità o
meno va valutata sulla base dello sport che si pratica:
un livello di isolamento massimo non è infatti indicato
per chi pratica sport principalmente all’aperto, in luoghi
trafficati, con presenza di automobili, passanti e, in generale, di ostacoli che possono essere segnalati acusticamente. Stesso discorso nel caso si corra in compagnia: con un auricolare ad alto livello di isolamento,
interagire diventa difficile, oltre al fatto che gli auricolari
sportivi difficilmente si prestano ad essere “tolti e inseriti” di continuo. Ottimo invece un buon livello di isolamento nel caso di sport indoor, magari quando si corre
da soli e in tutti quei casi dove non sentire i rumori non
causa alcun pericolo. Tutti gli auricolari sportivi sono poi
pensati per sopportare un certo livello di stress e condizioni atmosferiche non delle migliori: tollerano il sudore
e la pioggia come requisiti di base. Dal canto nostro,
abbiamo usato tranquillamente quelli Bluetooth sotto la
doccia (quelli a filo no, perchè lo smartphone non era
waterproof), ma attenzione a non esagerare: se si vuole
un auricolare per nuotare, ci sono modelli ad hoc, come
NWZ-W273 di Sony che in realtà è un vero e proprio
Walkman subacqueo con auricolari connessi.
Dulcis in fundo, devono suonare bene
A differenza dei modelli standard e di quelli dedicati
agli audiofili, negli auricolari sportivi la qualità d’ascolto ha una rilevanza leggermente inferiore. Per tanti
motivi: perchè quando si pratica attività fisica intensa
l’attenzione non può essere rivolta solamente alla qualità d’ascolto, e poi perchè sono prodotti che devono
coniugare con la musicalità anche altre doti importanti
quali la stabilità, la resistenza e la comodità.
Ma considerare la qualità sonora come un aspetto in
tutto e per tutto secondario sarebbe parimenti un errore: una bassa qualità stanca, dà fastidio e mette di
cattivo umore, andando anche a condizionare i risultati
sportivi. È quindi necessario equilibrio in tutto: un auricolare che, sia pur in dimensioni ovviamente contenute,
offra un suono bilanciato e che, come tale, sia adatto a
tutti i generi musicali. Perchè non dobbiamo dimenticare che chi pratica sport “usa” la musica non certo per
rilassarsi, ma per ricavarne energie supplementari: i generi più gettonati sono quindi quelli più energici come il
rock, il pop, la musica dance e affini, generi che - causa
“completezza” del messaggio sonoro - richiedono una
giusta compresenza di bassi, medi e alti senza che una
parte dello spettro abbia la chiara predominanza sul resto. E qui non ci si può che affidare alle recensioni, con-
siderando dati tecnici piuttosto simili e che insistono più
sul livello di pressione sonora (altro dato da prendere in
considerazione) che sulla reale risposta in frequenza.
Quindi, qual è il migliore?
Per la valutazione del miglior auricolare tra quelli selezionati, consigliamo ovviamente di leggere le singole
prove, che prendono in considerazione tutti gli aspetti
principali per la valutazione di un auricolare sportivo,
dalla qualità sonora alla tenuta in condizioni di stress.
L’impressione che abbiamo avuto provandoli tutti è che
siano prodotti molto diversi se valutati sotto specifici
punti di vista, ma che nel complesso non ce ne sia uno
che svetta sugli altri sotto ogni profilo. Quindi poniamo
la questione in termini diversi: quali sono i migliori sulla
base dei singoli parametri? E qui siamo in grado di rispondere in modo preciso, poi ognuno valuterà quale
di questi parametri è più importante per la propria attività sportiva: per esempio, chi cerca la migliore qualità sonora può senza dubbio optare per il Sony MDRAS600BT, che però soffrono un po’ sotto il profilo del
design, ma se l’esigenza è invece quella della solidità
“assoluta”, anche di fronte a sport estremi, allora consigliamo di provare la soluzione yurbuds Leap Wireless,
che tra tutte ci ha dato le maggiori garanzie di tenuta
salvo poi offrire una qualità sonora migliorabile. Parlando di comodità (perchè saranno pure auricolari sportivi,
ma non possono dar fastidio), abbiamo apprezzato molto le soluzioni JBL e Plantronics, quest’ultima anche per
il forte contributo hi-tech. In entrambi i casi, poi, la qualità sonora è più che accettabile, mentre facciamo un discorso di grande equilibrio per Sennheiser OCX686G,
auricolari che dosano con esperienza i fattori stabilità e
qualità d’ascolto, rimanendo solo un po’ indietro in fatto
di comodità per via del voluminoso archetto.
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18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
TEST Un auricolare sportivo che fonde alla perfezione la comodità dell’in-ear con la solida tradizione audio del marchio JBL
JBL Synchros Reflect: si vedono anche di notte
Offrono qualità sonora all’altezza e buona comodità: un vero peccato che in dotazione non sia previsita una custodia...
A
di Emanuele VILLA
ll’interno della rassegna comparata dei più interessanti auricolari per lo sport non poteva
mancare un esponente di casa JBL, marchio
con una tradizione musicale d’eccellenza. Il modello
in questione è Synchros Reflect, un modello in-ear
disponibile in diversi colori tutti “riflettenti” (da cui il
nome del modello) per essere facilmente visibili di
notte da parte dei mezzi che ci illuminano. La cosa è
particolarmente significativa pensando che si tratta di
un modello in-ear, quindi capace di un certo grado di
isolamento dall’esterno: facendo attività outdoor dobbiamo fare molta attenzione a ciò che accade attorno
a noi, ma un aiuto come un materiale riflettente non
fa mai male. Per la prova abbiamo ricevuto la versione nera e possiamo confermare che - nonostante sia
meno “grintosa” degli altri modelli - è anch’essa riflettente: ciò che brilla è infatti il cavetto di collegamento
con lo smartphone, non l’auricolare. Da segnalare tra
l’altro che, all’interno della nostra rassegna, il modello
JBL Synchros è quello con il prezzo di listino più basso: 60 euro, che diventano un centinaio per la versione Bluetooth.
La soluzione tecnica adottata da JBL è molto interessante poiché qui l’obiettivo è coniugare i vantaggi
dell’in-ear e la comodità degli inserti auricolari ergonomici. Il primo punto garantisce un certo livello
di isolamento passivo, ferma restando la necessità
di utilizzare il gommino auricolare corretto tra quelli forniti in dotazione (3 coppie), mentre la soluzione
adottata per garantire un livello superiore di stabilità
è quella dell’inserto ergonomico con un beccuccio
che, indossato correttamente, dà al prodotto un certo
grado di stabilità extra. E tutto questo senza ricorrere
ad archetti scomodi: non c’è quello che passa dietro
l’orecchio causando (potenziale) fastidio sulla lunga
distanza e ai portatori di occhiali, non c’è quello posteriore che è invece indispensabile nel caso di auricolari Bluetooth.
Comodità notevole
Da indossare con cura

Considerando che dal punto di vista tecnico, JBL Synchros Reflect è il “solito” auricolare sportivo, indossiamolo immediatamente e iniziamo a correre un po’.
Avendo provato diversi auricolari sportivi, Bluetooth
e a cavo, possiamo dire subito che la soluzione scelta da JBL è notevole sotto il profilo ergonomico: pur
avvertibile, la minor stabilità rispetto a un auricolare
con archetto che passa dietro l’orecchio è relativa,
ma indossare gli auricolari in un attimo e senza problemi (soprattutto se si portano gli occhiali) è un vero
piacere.
Poi è chiaro che c’è molta soggettività: a qualcuno la
sensazione di chiusura data dalle in-ear non piace,
ma la comodità di mettere e togliere quando si vuole
e senza nessuna difficoltà è impagabile. Comodità, dicevamo: di per sé le in-ear possono essere abbastan-
torna al sommario
video
lab
JBL Synchros Reflect
59,90 €
COMODITÀ E STABILITÀ CONTANO. QUALITÀ SONORA DI BUON LIVELLO
Questi auricolari sono evidentemente dedicati a un pubblico giovane, energico, attivo e che vuole qualcosa di comodo e stabile quando
pratica attività fisica. Gli auricolari Synchros Reflect BT sono indubbiamente facili da indossare e credeteci, questo non è per nulla scontato nel
mondo degli auricolari sportivi. Quel “gancetto” all’interno del supporto auricolare si posiziona in un attimo ed è un valore aggiunto: dopo ore
di attività fisica, non abbiamo mai rischiato di perderle per strada e siamo intervenuti pochissime volte per correggerne il posizionamento. La
qualità sonora è in fascia medio/alta: eccezionale sotto il profilo del dettaglio, della dinamica e della pressione sonora, risente di una leggera
(davvero leggera) predominanza della gamma media che emerge soprattutto in alcuni generi come il rock, cosa facilmente correggibile con
un equalizzatore. Ottima, anche in termini di bilanciamento, la resa su brani dance e pop, il tutto a formare un quadro che - considerando il
tipo di prodotto e la sua finalità - è più che discreto.
8.0
Qualità
8
Longevità
7
Design
8
Facili da indossare e comodissime
COSA CI PIACE Sufficientemente stabili
Robuste, buon rapporto qualità/prezzo
za fastidiose se indossate per ore e ore, ma va anche
detto che di tutte le soluzioni disponibili (archetti di
diverso tipo, forme strane degli inserti auricolari e via
dicendo), questa è ancora la più comoda. Certo, a differenza dei modelli Bluetooth qui c’è il cavetto che
collega l’auricolare allo smartphone, ma anche qui
si è cercato di contenerne al massimo l’ingombro e i
potenziali fastidi: il cavo è decisamente corto ma viene fornita una prolunga che serve nel caso si voglia
mettere lo smartphone in tasca anzichè nella fascia
da braccio e c’è una piccola clip che serve per tenerlo fermo ed evitare che dia fastidio durante l’attività
fisica. Se proprio non si vuole avere cavi in giro si può
optare per la versione Bluetooth, che costa circa 3040 euro in più e offre la medesima dotazione tecnica
ma con il cavetto di collegamento degli auricolari da
far passare dietro il collo.
La minor tenuta rispetto a un auricolare con archetto
che circonda l’orecchio presuppone semplicemente
più cura quando li si indossa: va usato il gommino
auricolare giusto, vanno inseriti in profondità nel con-
Semplicità
9
D-Factor
7
Prezzo
9
Manca una custodia in dotazione
COSA NON CI PIACE Microfono di qualità migliorabile
dotto uditivo e il gancetto ergonomico va posizionato
in modo corretto. Se queste condizioni sono soddisfatte, è davvero difficile farli cadere durante la corsegue a pagina 34 
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18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
TEST
JBL Synchros Reflect
segue Da pagina 33 
sa o l’esercizio, pressoché impossibile mentre si fa
jogging. Anche qui, in un paio d’ore di attività ci siamo
fermati per sistemarli due-tre volte, ma non abbiamo
mai avuto la sensazione che potessero cadere.
Robuste ma manca una custodia
Stranamente JBL non ha pensato di dotare le proprie
Synchros Reflect di una custodia: gli auricolari danno
una sensazione di gran robustezza, ma si tratta pur
sempre di una pecca, anche perché la stessa è presente in tutti gli altri prodotti che abbiamo testato (in
un caso, diventa anche fascia da braccio). È invece
presente il cavetto/prolunga indispensabile quando
si vuole fare attività con lo smartphone in tasca, tre
coppie di supporti auricolari Freebit di taglia diversa e
il controller con cui regolare il volume di riproduzione,
mettere in pausa/play, accettare o meno le telefonate
e agire sul controllo della riproduzione (salto traccia,
avanzamento veloce...). Da notare che le Synchros
Reflect sono ottimizzate per iOS: gli utenti di un diverso sistema operativo potranno comunque utilizzarle
non solo per l’ascolto musicale ma anche per telefonare, semplicemente non disporranno di funzionalità
avanzate di riproduzione (avanzamento rapidto, salto
traccia) e in alcuni casi neppure della regolazione del
volume. Il tutto comunque è spiegato precisamente
sulla confezione.
Come ormai da tradizione, anche Synchros Reflect ha
un microfono incorporato e un controller per la gestione musicale e delle telefonate: il microfono è migliorabile, fa il suo lavoro, ma il nostro interlocutore ci ha
confermato che la qualità percepita è nella norma.
Suono bilanciato
Meglio con pop ed elettronica

Affrontati i discorsi di comodità e stabilità, procediamo con l’ascolto. JBL ha un’ottima tradizione in merito
e intende confermarla con questo modello: la prima
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sensazione, di fronte a una compilation di musica
dance, è decisamente appagante sotto tutti i parametri primari.
L’in-ear fornisce un certo grado di isolamento, Il microdettaglio, cui peraltro difficilmente si fa attenzione
durante gli allenamenti, è ben percepibile e la dinamica è notevole: certo, una leggera impostazione sulla
gamma media si percepisce, ma prevale la sensazione di bilanciamento. Notiamo così un bel basso profondo che “colpisce” quando viene chiamato in causa
ma senza invadere il quadro, e nessuna particolare
asprezza in gamma alta, il tutto a formare un ascolto
senza intoppi o fastidi di alcun genere.
Tutto ciò a patto che l’auricolare sia ben indossato
con tanto di supporto auricolare corretto. C’entra
molto il tipo di musica: data la gamma media leggermente avanzata, questi Synchros si adattano perfettamente all’elettronica e al pop (generi tra l’altro molto ben visti dagli sportivi), regalandoci risultati molto
piacevoli. Soprattutto nel primo caso, la presenza di
basse frequenze diventa importante ma senza causare distorsioni neppure a regimi elevati. Nei brani
più soft, dove la dinamica lascia il posto al dettaglio,
otteniamo i risultati migliori: rumore di sottofondo
pressochè assente, voci molto piene e naturali e una
degna separazione degli strumenti.
Discorso un po’ diverso per il rock, specie quello più
duro: il quadro si mantiene sempre molto dinamico e
l’appassionato apprezzerà sicuramente la pressione
La soluzione ergonomica adottata da JBL consiste
nell’in-ear con un “gancetto” di gomma che
aumenta la tenuta dell’auricolare durante il
movimento.
notevole, ma qui la forza della gamma media tende a
diventare notevole appiattendo un po’ il tutto. Niente di fastidioso, al massimo basta intervenire con
l’equalizzatore enfatizzando leggermente le basse
frequenze per ritrovare quella sensazione di “pienezza” presente nei casi precedenti.
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TEST Plantronics dedica i suoi nuovi auricolari BlackBeat Fit a chi ama una vita ricca di fitness e un’intesa attività sportiva
Plantronics BackBeat Fit, l’hi-tech incontra lo sport
Ad un prezzo abbordabile, questo auricolare offre musica wireless, controlli avanzati e anche qualche utile accessorio
L
di Emanuele VILLA
e caratteristiche più ricercate in un auricolare sportivo, ovvero resistenza, comodità, stabilità e qualità
sonora, possono tranquillamente associarsi al concetto di hi-tech. Almeno, questa è la filosofia di Plantronics, che con BackBeat Fit punta a coniugare le caratteristiche di base di un buon auricolare sportivo con i
vantaggi della connettività wireless. I BackBeat Fit in
prova, nella versione nero/verde, sono infatti auricolari
senza fili e sfruttano il protocollo Bluetooth con tecnologia A2DP per lo streaming dei brani audio dalla sorgente musicale (smartphone) all’auricolare stesso, permettendo così un livello di comodità che i classici modelli
a filo non possono garantire. Sotto i 100 euro di listino,
BackBeat Fit sono venduti con un corredo tanto completo quanto inusuale: oltre agli auricolari in sé, infatti,
nella confezione troviamo anche un’utile custodia double face che, una volta girata sottosopra funge anche da
fascia da braccio per ospitare il cellulare, oltre al cavetto
USB utile per la ricarica delle stesse. Sì, perchè essendo
Bluetooth il limite principale è che vanno ricaricate e che
purtroppo non c’è modo di collegarle anche via filo allo
smartphone: sarebbe stata un’opzione in più, utile per
quando “restiamo a secco” inavvertitamente.
24 grammi di tecnologia

L’accostamento cromatico degli auricolari Plantronics è
piacevole per un prodotto sportivo, l’archetto posteriore
è estremamente flessibile: è talmente molle da permette al prodotto di stare tranquillamente nel palmo di una
mano, senza che si rischino rotture o affini. La struttura è
molto particolare: abbiamo sia l’archetto ergonomico per
il padiglione auricolare, fondamentale per evitare che
questo cada a terra durante la corsa o l’allenamento, sia
quello per il collo che è un’ulteriore protezione contro
improbabili “sfilamenti”: quest’ultimo è ovviamente un
must negli auricolari Bluetooth poiché permette di collegare tra loro gli stessi. A vista sembrano un po’ delicati,
ma in realtà abbiamo maltrattato a lungo i due archetti
e non abbiamo mai avuto sentore che qualcosa andasse storto. Nonostante il doppio archetto, la tecnologia
Bluetooth, i controlli sugli auricolari, il microfono (sì, ci si
può anche telefonare) e via dicendo, i materiali leggerissimi hanno permesso di contenere il peso in 24 grammi,
cosa quando mai gradita per le sessioni di training.
La tecnologia, dicevamo, è contenuta nei due auricolari,
le cui dimensioni non sono (ovviamente) paragonabili a
quelle di un auricolare a filo ma risultano comunque contenute. Le operazioni “gestionali” permesse sono diverse e tutte accessibili premendo tasti sugli auricolari (non
c’è il classico controller a filo): play/pausa, salto brano nei
due sensi, aumento/diminuzione volume di riproduzione
e anche risposta o rifiuto di chiamata, oltre ad esserci
una funzione che ci avvisa, mediante feedback sonoro,
sul livello di carica degli auricolari stessi. In pratica, fermo
restando che un controller all’altezza del petto è più comodo, i controlli ci sono tutti ed è piacevole constatare
una reattività notevole di ognuno di essi.
torna al sommario
video
lab
Plantronics BackBeat Fit
95,00 €
UN TOCCO DI HI-TECH PER IL TUO FITNESS
Sintetizziamo la prova dicendo che BackBeat Fit è un prodotto che chi ama ascoltare musica durante le sessioni di allenamento può tranquillamente prendere in considerazione. La sua configurazione a doppio archetto non è la più comoda del mondo e rischia di affaticare un po’ in
caso di lunghe sessioni di training, ma se la regolazione è effettuata con cura, la stabilità è solo minimamente inferiore rispetto a quella delle
in-ear classiche (quelle che bloccano il condotto auricolare, per intenderci), e il tutto è compensato da una leggerezza notevole (24 grammi in
tutto) e da funzionalità degne dell’universo “smart”. Correre senza avere fili in giro è un sollievo e dobbiamo dire che le funzionalità di gestione musicale accessibili dagli auricolari sono complete e ottimamente funzionanti. L’autonomia dichiarata (8 ore di ascolto) non è niente male:
pur non potendo valutare la cosa con precisione millimetrica, possiamo confermare che ci siamo avvicinati tranquillamente al dato dichiarato.
Audio molto attento al dettaglio, dinamico e coinvolgente pur con un’avvertibile predominanza di gamma media completano il quadro di un
prodotto davvero interessante e con un buon rapporto qualità/prezzo. Unici due appunti, per le prossime versioni: migliorare (almeno un po’)
il microfono e fornire una custodia/armband più grossa. Il resto è ok.
7.9
Qualità
8
Longevità
7
Semplicità d’uso e gestione
COSA CI PIACE Assenza totale di fili
Rapporto qualità/prezzo elevato
Design
8
Semplicità
7
D-Factor
9
Prezzo
8
Il doppio archetto non è comodissimo
COSA NON CI PIACE Sensibilità del microfono
Compatibilità Armband con i telefoni
L’auricolare è rugged per sua natura, lo si può usare per
correre quando piove e non teme il sudore: ovviamente
non lo si può immergere in acqua. La prova doccia, invece, l’ha superata: essendo wireless, si può anche tenere
l’iPhone (o altro smartphone non waterproof) a debita
distanza e continuare ad ascoltare la musica anche
mentre ci si rilassa sotto la doccia. Altro aspetto positivo
è la compatibilità pressoché universale: non c’è il modello per iOS e quello per Android, ma essendo Bluetooth,
uno va bene per tutti. L’abbiamo testato con un iPhone
5s e con un G Flex 2 e, nonostante qualche differenza
a livello di qualità sonora, le funzionalità sono accessibili
da entrambi. per l’autonomia Plantronics parla di 8 ore di
ascolto musicale o 6 ore di conversazione telefonica e
14 giorni di standby. Per valutare lo stato della carica non
c’è nessun display, ma tenendo premuto un pulsante su
un auricolare un messaggio vocale ci aggiorna in merito.
E questo è un aspetto molto interessante, poiché la sua
presenza è tutt’altro che scontata.
Ondeggiano ma non si muovono
Passiamo alla prova pratica, per la quale abbiamo usato
un iPhone 5S. Appena effettuato il pairing Bluetooth, un
messaggio ci avverte di scaricare l’app dall’App Store,
E in effetti il software che scarichiamo, che si chiama
BackBeat Fit, serve principalmente per effettuare un
upgrade del firmware degli auricolari, ma segnaliamo
che è possibile interfacciarli con app di terze parti, per
far sì che i controlli dell’auricolare gestiscano anche le
funzionalità delle app esterne; in questo modo è possibile non dover mai estrarre lo smartphone dalla propria
custodia. Come detto, la struttura delle cuffie è particolare: l’archetto per il padiglione auricolare richiede
sempre un po’ di dimestichezza per essere gestito senza difficoltà e non sarà la cosa più semplice e comoda
del mondo per i portatori di occhiali; in questo caso non
abbiamo delle in-ear di tipo classico, quelle per intenderci con gli earbuds (gommini) che si introducono nel
condotto uditivo, ma auricolari che di fatto sono di tipo
aperto e terminano con un piccolo beccuccio di plastica
dura che direziona il suono. Da notare che il terminale del’auricolare non è fisso ma ruota di una ventina di
gradi, così una volta indossati gli auricolari è possibile
regolarli in modo fine per comodità e anche per una
migliore qualità d’ascolto. In ogni caso, gli auricolari non
“tappano” completamente il condotto uditivo e lasciano
passare parte dei rumori ambientali. Alcuni pro e consegue a pagina 36 
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Plantronics BackBeat Fit
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tro di questa scelta: tra i vantaggi, indubbio il fatto che
sia più sicuro effettuare attività all’aria aperta sentendo
cosa accade vicino a noi, ma la sensazione di solidità e
di stabilità sono inevitabilmente attenuate rispetto a un
in-ear classico come, per rimanere in questa rassegna,
le Sennheiser OCX 686G. L’archetto posteriore solitamente rimane sospeso in aria, senza poggiare sul collo o sulla nuca: correndo, questo ondeggia, saltella di
continuo ma, essendo in gomma leggerissima, alla fine
non se ne accorge nessuno. Pensavamo che potesse
dare fastidio in tutti quei casi in cui occorre appoggiare
la testa a terra o su una panca, ma anche qui il fatto che
sia di gomma morbidissima non crea particolari problemi. Affinché sia indossato perfettamente, l’archetto
dovrebbe essere all’altezza della nuca: quando si inseriscono gli auricolari è possibile regolare in modo fine
il loro posizionamento mediante una piccola rotazione;
in questo modo anche quando si flette il collo all’indietro, lo spostamento degli auricolari è minimo e - nella
peggiore delle ipotesi - comporta solo qualche piccolo
aggiustamento manuale. Se invece lo si lascia all’altezza del collo, diventa difficile gestire i movimenti di quest’ultimo e anche la qualità sonora non è al massimo.
Il tutto andrebbe valutato sulla lunga distanza, ma noi
abbiamo comunque fatto la nostra sessione di esercizi,
corsetta, tapis roulant, camminata e doccia: a differenza
di altri modelli, ruotando la testa rapidamente e saltellando qualche movimento si percepisce, non c’è quella
sensazione che gli auricolari siano “ancorati” come in
altri casi, ma a parte il fatto che saremmo intervenuti
due o tre volte al massimo per sistemarli, si è trattato di
correzioni per nulla indispensabili.
Nessuna fatica, piccola la custodia
Abbiamo tenuto gli auricolari per circa 90 minuti alternando diversi tipi di attività. Non solo per valutare la tenuta (di cui sopra), ma anche per vedere se sono effettivamente comodi. Sono inevitabilmente più voluminosi
di quelli a filo e preferiamo la sensazione di maggiore
stabilità e isolamento degli in-ear classici (fattore del

Nella confezione è compresa la custodia double
face che funge anche da fascia da braccio. La cosa
è notevole, considerando che pochissimi concorrenti la forniscono in dotazione. Tra l’altro è anche
comoda e solida.
torna al sommario
tutto soggettivo), ma va detto che in termini di comodità siamo sostanzialmente allo stesso livello. E non è
una cosa da poco, considerando che qui gli auricolari
integrano l’elettronica e pulsanti vari di controllo, non
ci sono fili in giro e c’è pure un archetto posteriore che
potrebbe potenzialmente dare fastidio. Invece no, la
sensazione di affaticamento sul padiglione è tale e quale a quella delle in-ear “passive”: merito della gomma
leggerissima ed estremamente flessibile che non irrita
l’orecchio, del peso di soli 24 grammi per tutto l’auricolare e del fatto che l’archetto posteriore non si sente.
Piccolo appunto sulla custodia, che è senza dubbio un
plus non da poco ed è double face: in un verso viene
usata come custodia per gli auricolari, nell’altro assume
le sembianze di fascia da braccio nella quale ospitare
il telefono. Idea intelligente che distingue BackBeat Fit
dalla concorrenza, se non fosse che è un po’ troppo piccola: per intenderci, è perfetta per un iPhone 5S ma con
il Galaxy S5 fa fatica. Il G Flex 2 proprio non ci entra...
Peccato, perchè sarebbe stato sufficiente ingrandirla un
po’ per renderla compatibile con tutti gli smartphone.
Ottime funzionalità, buona qualità audio
Telefonate “così così”
Il resoconto di una giornata trascorsa con BackBeat Fit
non può che essere piacevole: gli auricolari garantiscono
la massima libertà nell’esperienza musicale “outdoor”.
Sulla stabilità e la comodità si è già detto, qui parliamo
un attimo del Bluetooth e del fatto che la varie funzioni gestibili dagli auricolari funzionano senza problemi
e dopo un minimo di pratica diventano davvero utili e
immediate. La connettività senza fili, aspetto da valutare
con molta attenzione (perchè non tutti si comportano
nel medesimo modo) è solida: come spesso accade, la
totale assenza di interferenze e di micro-interruzioni dipende dalla posizione reciproca dell’auricolare (destro)
rispetto al telefono. L’esperienza perfetta in movimento
si ha solo se i due elementi sono vicini e senza ostacoli,
come nel caso si inserisca lo smartphone in una fascia
da braccio, ma anche in situazioni più difficili da gestire
(pensiamo allo smartphone in uno zaino o nella tasca
sinistra della tuta) la piacevolezza d’ascolto non viene
meno: qualche interferenza qui c’è, ma niente che si
possa considerare fastidioso o anomalo.
Il fatto che l’auricolare non sia un in-ear classico fa sì che
premendo il pulsante sopra l’auricolare non si crei una
pressione fastidiosa sull’orecchio e abbiamo apprezzato
la presenza di altri 2 tasti più piccoli per ulteriori funzioni
come l’accensione/spegnimento e soprattutto la regolazione del volume. Inizialmente pensavamo di trovarci
due tasti per la regolazione del volume, ma a conti fatti
la soluzione adottata è eccellente: due tasti sarebbero
stati troppo piccoli da “trovare al volo” durante la corsa,
meglio usarne solo uno associandogli più funzionalità.
Resta il fatto che, dopo un minimo di pratica, il controllo
della musica (per la quale abbiamo usato un servizio di
streaming, Napster) è rapido e immediato.
Un piccolo appunto per la ricezione delle telefonate,
per le quali difficilmente si può fare di meglio avendo
tutto integrato nell’auricolare, ma mentre chi indossa
BackBeat Fit sente il suo inerlocutore in modo “forte e
chiaro”, dall’altra parte ci parlano di un suono ovattato
che però non condiziona l’intelligibilità del parlato. Sufficienza raggiunta e va benissimo per comunicazioni
veloci, ma per dialoghi di maggior durata è preferibile
fermarsi un attimo e recuperare il telefono dalla fascia
da braccio. Qualità sonora nel complesso ok, ma attenzione a regolare bene la direzione dell’audio all’interno
del condotto uditivo e l’aderenza dell’auricolare stesso,
pena lo sfruttamento parziale delle sue potenzialità.
Una volta regolato bene il tutto, l’audio è bilanciato: abbiamo usato la nostra “solita” Cardio Playlist, con brani
principalmente pop molto ritmati, ottenendo quell’energia necessaria per sostenere una sessione di training.
Dinamica molto marcata e ottima sensibilità, che si traduce in una pressione sonora notevole sia con un iPhone 5S che con un G Flex 2: non ci si troverà mai a voler
alzare di più e non poterlo fare, questo è certo.
Complice la configurazione adottata, la compressione
sulla gamma media qui è abbastanza marcata (si nota
soprattutto sui brani rock, che avendo medi “importanti”, necessitano di una presenza massiccia di bassi e alti
per bilanciare) ma, come anticipato, fanno moltissimo
sia l’orientamento del beccuccio, sia l’aderenza dell’auricolare al condotto uditivo: appena sistemato, la presenza della gamma bassa è più che avvertibile e giova
alla pienezza del suono, poi dopo 20 minuti di corsa
e attività, magari con qualche movimento inconsulto
(all’indietro) del collo, l’auricolare si sposta leggermente e il suono si appiattisce. In ogni caso, non volendo
giudicare un dispositivo del genere come fosse un apparecchio hi-fi, l’obiettivo del coinvolgimento, della dinamica e della piacevolezza d’ascolto prolungato sono
raggiunti, ma a differenza di altri casi in cui si “mette
l’auricolare nell’orecchio e si parte”, qui bisogna regolare bene il tutto. E poi si parte...
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TEST Un auricolare sportivo di qualità, con archetto ergonomico che aderisce all’orecchio e assicura una buona stabilità
Sennheiser OCX 686G, non si perde per strada
Non è tra i più comodi da indossare, ma offre qualità sonora di tutto rispetto e soprattutto un’elevatissima dinamica
di Emanuele VILLA
ennheiser offre diverse opzioni in ambito di
auricolari dedicati allo sport: abbiamo quelli
con archetto di tipo neckband che passano
dietro al collo per garantire stabilità e quelli con archetto ergonomico che avvolge le orecchie, quelli
con acustica aperta e di tipo in-ear (differenza importante che incide sul livello di isolamento durante
l’attività fisica) e via dicendo. Per la prova abbiamo
scelto il modello OCX 686G, l’in-ear con archetto ergonomico, un modello da 90 euro di listino che sulla
carta ci è piaciuto molto: la soluzione dell’archetto
ergonomico è pensata per la stabilità durante le
sessioni di fitness più impegnative, mentre il fatto di
essere in-ear garantisce un certo grado di isolamento passivo con l’esterno, rendendole ottime per gli
sport indoor. Tra le altre caratteristiche interessanti
ci sono il controller Smart Remote a filo con microfono incorporato, gli earbuds (gommini) di diverse
dimensioni, il cavo anti-attorcigliamento e alcune finezze come la clip per il cavo – cosa utile quando si
corre per evitare movimenti eccessivi che possono
condizionare anche la stabilità degli auricolari – e la
custodia morbida.
Come da copione in prodotti di questo tipo,
OCX 686G è pensato per lavorare in condizioni
difficili, essendo cioè rugged per definizione: sopporta polvere, scossoni, sudore, acqua e lo si può
tranquillamente portare sotto la doccia. L’auricolare
in prova è ottimizzato per Samsung Galaxy e terminali Android, ma esiste anche la versione per iOS, la
686i. Qualora si acquisti la versione in prova e poi la
si usi con iPhone, si perde semplicemente la possibilità di gestire il volume dal controller, ma il microfono
e il tasto per la gestione delle chiamate funzionano
senza problemi.
S
Un design molto grintoso

Considerato il tipo di prodotto, la descrizione tecnica
è inevitabilmente limitata, ma più importante la prova
sul campo tenendo in considerazione le esigenze di
chi pratica una vita molto attiva. Partiamo parlando di
design ed ergonomia: l’auricolare è apprezzabile alla
vista, propone un accostamento cromatico grigio/giallo che ne dichiara immediatamente l’indole sportiva.
Il fattore portabilità, sempre tenuto conto del tipo di
prodotto, subisce dei limiti rispetto ad altre soluzioni
concorrenti per via dello spesso archetto ergonomico
fisso, ma gli auricolari si portano in giro senza difficoltà grazie anche alla comoda custodia fornita nella
confezione. Certo, il volume non è paragonabile a
quello di un auricolare standard, ma dobbiamo sempre considerare che questo non è un prodotto per la
routine quotidiana ma solo per i momenti di attività
fisica intensa.
Il fattore ergonomia ci permette alcune riflessioni:
indossare auricolari di questo tipo non è la cosa più
immediata del mondo, specie se non si è abituati; ri-
torna al sommario
video
lab
Sennheiser OCX 686G
89,00 €
GIOVANI E GRINTOSE, PER CHI È SEMPRE IN MOVIMENTO
VIn sostanza ci sentiamo di raccomandare le Senhheiser OCX 686G a chi cerca un auricolare sportivo che offra la massima tenuta anche
durante gli allenamenti più duri e una qualità d’ascolto piacevole e proporzionata al suo costo. Il look è grintoso, il design curato con
l’accostamento di due toni di grigio e un giallo/verde intenso, e l’archetto ergonomico assicura una tenuta esemplare dell’auricolare a fronte
di un po’ di affaticamento in sessioni di training di lunga durata. In pratica è uno degli auricolari sportivi più stabili in assoluto, e il prezzo
della stabilità è l’archetto dietro l’orecchio che inevitabilmente si fa sentire. La versatilità è favorita da un microfono di buona sensibilità e si
apprezzano alcune finezze utili durante gli allenamenti come il cavo anti-attorcigliamento e la clip che evita dannose oscillazioni del cavo. La
qualità sonora è di livello medio-alto, appagante in considerazione di un prodotto che non punta solamente alla musicalità ma soprattutto ad
essere pratico e solido. Si apprezza l’ottima sensibilità che genera pressioni sonore notevoli e la dinamica durante i momenti più energici, ma
anche una discreta presenza in gamma bassa che fa tanto coinvolgimento e non affatica l’ascolto.
8.3
Qualità
9
Longevità
8
Solidità e resistenza
COSA CI PIACE Rapporto qualità/prezzo
Buone prestazioni sonore
Design
9
Semplicità
7
D-Factor
7
Prezzo
8
Un po’ di affaticamento in lunghe sessioni
COSA NON CI PIACE Più voluminose della media causa archetto
chiede un po’ di pratica, e bisogna sempre considerare che non li si può mettere e togliere di continuo. Se
l’esigenza è quella, perchè magari si è spesso interrotti nella propria routine di fitness o si vuole interagire
costantemente con altre persone, è meglio rivolgersi
a un auricolare aperto con archetto posteriore, come
le PMX 686G per rimanere nel catalogo di Sennheiser. Anche perchè gli auricolari in prova sono in-ear,
cioè capaci di un certo isolamento dall’esterno.
Insomma, la comodità non può essere la dote primaria di questi auricolari: non sono wireless (ma la clip
per fissare il cavetto alla maglia è una finezza da sottolineare) e l’archetto auricolare non è il massimo per
chi porta gli occhiali. Ciò nonostante, abbiamo voluto
metterli alla prova svolgendo attività fisica per circa
un’ora: un po’ di corsa, poi riposo e qualche esercizio
per simulare le circostanze tipiche di utilizzo. Il resoconto è stato piacevole: sarà la leggerezza, sarà il fatto che – se indossate per bene – non si muovono di
un millimetro neppure di fronte a scossoni vari, ma il
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TEST
Sennheiser OCX 686G
segue Da pagina 37 
senso di affaticamento sul padiglione esterno è stato
contenuto. Certo, l’archetto si sente e un minimo di
affaticamento è fisiologico, ma nonostante la struttura massiccia, questo è talmente morbido da risultare
delicato sull’orecchio: in una routine normale non dà
fastidio, anche se poi si innestano considerazioni soggettive visto che l’apertura dell’archetto non è regolabile. Come anticipato, sulla comodità incide in modo
positivo il cavo di tipo anti-attorcigliamento e la clip
che permette di agganciarlo agli indumenti ed evitare
che si muova liberamente durante l’attività fisica.
Il controller sul cavo permette di regolare il volume e ricevere le chiamate, il microfono è sul lato opposto
Attenzione a scegliere la versione giusta: l’auricolare è disponibile sia per iPhone che per Android.
Stabili e ben “isolate”

Altri aspetti da valutare attentamente in virtù del tipo
di prodotto sono la stabilità e il livello di isolamento dall’esterno, fattori che presuppongono un uso
corretto dei gommini auricolari forniti in dotazione e
un’attività fisica prolungata. Come anticipato, essendo questi auricolari di tipo in-ear, offrono un elevato
grado di isolamento passivo dall’esterno, risultando
così perfetti per gli sport indoor.
A livello di stabilità siamo su livelli di riferimento: la
struttura stessa ad archetto ergonomico non sarà la
più comoda del mondo (vedi sopra) ma assicura la
massima aderenza in ogni circostanza: camminando
a passo spedito, correndo ed effettuando esercizi di
routine, ci è capitato un paio di volte di dover leggermente aggiustare la posizione dell’auricolare, ma
in nessuna circostanza si è trattato di un movimento
importante o, peggio, capace di far uscire l’auricolare dalla sua sede.
Si può correre per ore (ammesso di riuscirci, s’intende) senza doversi mai interrompere per mettere a posto l’auricolare. Anche svariate inclinazioni
del cranio non causano movimenti importanti, ma
soprattutto si possono affrontare i tipici saltelli e le
vibrazioni della corsa senza il rischio di doversi fermare a sistemare la propria sorgente di musica.
Come isolamento siamo su un livello avanzato, con
torna al sommario
tutti i pro e i contro che ne derivano: il fatto di essere
in-ear e avere earbuds di diverse misure assicura di
per sè un certo grado di isolamento dall’esterno, non
totale ma sicuramente superiore alla media. Il rumore ambientale tipico di un parco lontano dal traffico
viene tagliato quasi completamente, si percepiscono
i picchi e le voci a breve distanza, ma anche solo per
parlare con un interlocutore a qualche metro è meglio sfilarsi l’auricolare. Come anticipato più sopra, la
somma di diversi fattori quali l’archetto ergonomico,
la struttura massiccia, la massima stabilità auricolare
e l’isolamento dall’esterno concorrono nel definire
OCX 686G un auricolare perfetto per chi pratica
sport indoor che non necessitino un gran livello di
interazione con l’esterno.
Ovviamente tutto ciò favorisce l’ascolto musicale,
come si vedrà dopo. Niente male il microfono in dotazione, posizionato sul dorso del controller: la voce
è sempre intelligibile al nostro interlocutore nonostante il microfono sia a una decina di centimetri
dalla bocca; parlare e correre al tempo stesso è possibile con un rumore di fondo che – ci dicono essere
presente - ma comunque non dannoso ai fini della
conversazione. Piuttosto, può essere utile usare la
clip per evitare che il controller ci colpisca continuamente proprio mentre stiamo conversando.
Non troppo aggressive
neppure nell’audio
Per la parte della qualità d’ascolto (che considerando
il tipo di prodotto è importante come le altre, non di
più), abbiamo simulato la condizione d’uso più credibile: una corsa all’aperto con una playlist Cardio di
Spotify. Alterniamo poi altri brani ma restando sempre
sull’energico: un po’ di hip hop, un rock duro, l’ultima
hit pop, brani che la maggior parte delle persone sfrutta per ottenere la carica giusta per affrontare un’oretta
di allenamento. Premesso che è molto importante la
scelta del gommino auricolare giusto per la migliore aderenza al canale auricolare, il primo impatto è
– come da previsione – molto energico: brani pop
molto ritmati con una pressione sonora notevole che
solo ad altissimi regimi mostra qualche indecisione e
rimbombo; l’audio è sì incentrato sulla gamma media
e abbastanza tagliente ma fortunatamente l’incidenza
della gamma bassa è notevole, si sente bene e assume
precisamente il ruolo che gli compete, quello di comprimario. Il problema di tanti auricolari di medio livello è
proprio questo: l’audio subisce un appiattimento sulla
gamma media, cosa poco piacevole soprattutto ad alti
regimi. Qui fortunatamente non capita, e se la gamma
alta non sempre è molto estesa, i bassi sono in primo
piano senza mai risultare invadenti, il tutto a creare un
quadro appagante soprattutto a regimi bassi e medi. In
pratica si ha una piacevole sensazione di “pienezza”
del quadro sonoro (cosa che non sempre accade con
auricolari del genere) che tande a stancare di meno
e permettere sessioni d’ascolto lunghe senza problemi. Certo, volendo fare i pignoli si può constatare che
l’eccellente dinamica va un po’ a condizionare la percezione del dettaglio, ma bisogna anche considerare
che questi sono auricolari sportivi, non per gli ascolti
hi-fi da salotto, quindi l’obiettivo è raggiunto. Discorso
analogo con un po’ di rock duro (Linkin Park, Slipknot e
Memphis May Fire in rapida sequenza, quando abbiamo bisogno della massima energia): la sensibilità e la
pressione sonora fanno la parte del leone e la gamma
bassa riesce a seguire senza particolari sbavature fino
a un certo livello. Alzando a dismisura qui - complice il
genere, non dei più facili da “trattare” - la gamma media tende a sovrastare le altre e il dettaglio ne risente
pur mantenendosi all’interno di confini più che tollerabili, con un livello d’ascolto sempre piacevole.
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18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
TEST Appartenenti alla linea sportiva di Sony, gli auricolari MDR-AS600BT vogliono assicurare un importante tocco hi-tech
Sony MDR-AS600BT, musicalità innanzitutto
I loro punti di forza sono la qualità dì ascolto, il Bluetooth eccellente e una struttura capace di assicurare tanta comodità
di Emanuele VILLA
in dai tempi dei Walkman a cassetta, Sony ha sempre avuto una solida tradizione nel mondo dei dispositivi sportivi: sono solidi, compatti e suonano
bene. Qui ci occupiamo di auricolari, e in particolare di
un modello (MDR-AS600BT) che vuole mixare l’esperienza maturata da Sony nella riproduzione musicale
con le tecnologie di ultima generazione. Diciamolo subito: visto da fuori, MDR-AS600BT è l’auricolare che ci
attrae di meno della nostra rassegna; non che sia brutto, ma dà una certa sensazione di “pesantezza” e volume che altri modelli bluetooth non danno, riuscendo ad
essere nel complesso più compatti. La prova ha però
dimostrato che, a fronte di un volume più importante
e un look forse meno grintoso della media (complice
anche il colore grigio), gli auricolari Sony hanno altri
punti di forza notevoli, primo fra tutti una qualità sonora notevole. Ma andiamo per gradi: MDR-AS600BT è
un auricolare Bluetooth dedicato allo sport, i cui punti
di forza sono la connettività wireless, la resistenza all’acqua con certifica IPX4 (quindi anche al sudore) e la
comodità, oltre a un’autonomia che supera quella della
media degli auricolari in commercio; supponendo che
questa sia di circa 6,5 ore, qui vengono annunciate
8,5 ore di ascolto continuo prima dell’inevitabile necessità di collegarle a un’alimentazione USB. Gli auricolari
in esame offrono connettività NFC ai terminali compatibili (c’è anche un’app Android da scaricare, volendo),
ma essendo bluetooth sono comunque indipendenti
dal sistema operativo dello smartphone.
Per il controllo delle operazioni, per rispondere al telefono (sì, c’è anche l’immancabile microfono, di discreta qualità) e gestire la riproduzione musicale, qui ci si
affida a un solo bottone che, a seconda del tempo di
pressione o del numero di tocchi, svolge diverse funzionalità. Una sorta di codice morse del 2015: per abbassare il volume, per esempio, occorrono due punti
e una linea, ovvero due pressioni rapide e una lunga.
Ammettiamo che il sistema sia ingegnoso e che, ovviamente, una volta fatta l’abitudine sia anche efficiente,
ma non possiamo che preferire sistemi analoghi basati
su tasti diversi, ognuno con una sua funzione: è un sistema più rapido, non impone nessuna fase di “studio”
e non ci si deve abituare.
F
Molto comode, stabili a sufficienza

Veniamo alla parte più importante, ovvero quella della prova di tenuta. Per garantire la massima stabilità
durante l’attività fisica, che va da una passeggiata a
ritmo sostenuto a uno sport estremo, Sony ha evidentemente cercato di coniugare due elementi in conflitto,
ovvero comodità e tenuta di fronte alle sollecitazioni.
Il risultato, che abbiamo già visto nella prova dei JBL
Synchros, è un mix di layout in-ear classico con un rinforzo di un gancetto di gomma da inserire nell’incavo
del padiglione. Apparentemente la soluzione è ottimale: a patto di scegliere l’earbud (il “gommino auricolare”) di taglia giusta, l’in-ear garantisce una tenuta
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video
lab
Sony MDR-AS600BT
89,00 €
QUALITÀ DI ALTO LIVELLO, DESIGN UN PO’ VOLUMINOSO
Volendo riassumere l’esperienza con Sony MDR-AS600BT non possiamo che dichiararci soddisfatti. I suoi punti di forza sono un bluetooth
eccellente, da dose massiccia di contributi “hi-tech” e una struttura capace di assicurare tanta comodità mantenendo la stabilità si livelli
accettabili. Peccato non ci sia una custodia in dotazione, che tutto si debba controllare con un solo tasto e che il prodotto in sè sia più voluminoso di molti altri auricolari bluetooth, ma la qualità sonora è davvero notevole, paragonabile e superiore a quella di molti auricolari, anche
non limitati alla categoria degli “sportivi”. Un prodotto da prendere in considerazione.
8.7
Qualità
9
Longevità
8
Design
7
Qualità sonora molto valida
COSA CI PIACE Rapporto qualità/prezzo
Comodità e buon livello di isolamento
maggiore rispetto agli auricolari aperti standard. Ma
non sufficiente: il gancetto serve proprio per ancorare
ulteriormente l’auricolare all’orecchio senza dare alcun
fastidio. Questo tipo di struttura è adatta anche a chi
porta gli occhiali: non c’è un archetto che, passando
dietro l’orecchio, dà fastidio, e il senso di “pressione”
sul padiglione è minimo.
Si potrebbe pensare che il prezzo da pagare sia una
stabilità di molto ridotta, ma in realtà non è così. Al massimo, qui bisogna semplicemente metterci cura nella
scelta dell’earbud corretto e del “gancetto” della taglia
giusta, fondamentali per la massima tenuta e anche
per una qualità sonora degna di nota. Fatto questo, e
impiegato qualche secondo a sistemarli nell’orecchio,
restano ancorati senza grossi problemi: un minimo di
pressione è inevitabile, non possiamo dire che siano
del tutto trasparenti per l’utente, ma la soluzione tecnica adottata da Sony offre un livello di comodità comunque notevole.
Piuttosto, sarebbe meglio se il cavo che lega gli auricolari (e che va fatto passare dietro il collo) fosse regolabile in lunghezza: ruotando rapidamente la testa a
destra e sinistra si finisce per esercitare una pressione
sugli auricolari che rischia di spostarli leggermente dalla sede, costringendoci a intervenire manualmente. In
Semplicità
9
D-Factor
9
Prezzo
9
Piuttosto voluminosi
COSA NON CI PIACE Manca indicatore livello di carica
Un unico tasto per la gestione
sostanza, una soluzione di ottimale compromesso tra
esigenze di comodità e stabilità; la prima è eccellente
(fatto salvo il discorso del cavetto), la seconda più che
segue a pagina 41 
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TEST
Sony MDR-AS600BT
segue Da pagina 40 
sufficiente, ma qualche soluzione ad hoc è superiore.
Resta il fatto che abbiamo effettuato una sessione di
jogging, poi di corsa, infine un po’ di ginnastica e gli
spostamenti sono stati minimi e per lo più dovuti a
qualche movimento maldestro con la testa (occhio alla
cervicale...).
Bluetooth solido e buona autonomia

Come anticipato nella guida all’acquisto, non tutti
sanno che anche la qualità della ricezione bluetooth
può essere oggetto di valutazione in questo tipo di
prodotto. Ma Sony MDR-AS600BT si liquida rapidamente: è uno dei migliori del lotto in quanto a stabilità
di segnale in ogni circostanza. Come al solito, il ricevitore è installato nell’auricolare destro e il range di
utilizzo è quello classico del bluetooth: se ci si trova
in palestra o si fanno esercizi a casa, lo smartphone
può essere tenuto fino a 6-8 metri senza problemi,
poi iniziano le interferenze e le interruzioni, ma è una
cosa del tutto normale.
Nell’ipotesi, parimenti comune, che smartphone e
auricolare siano in movimento (corsa, bici, jogging...)
vale il discorso che la stabilità è massima se lo smartphone è indossato in una fascia da braccio. Se il posizionamento scelto è in tasca, ogni tanto si avverte
qualche interferenza (specie se nella tasca sinistra),
ma qui la cosa è assolutamente sporadica, limitatissima e non dà nessun fastidio. Se si usa una fascia, poi,
i problemi semplicemente non ci sono.
Per quanto concerne l’autonomia, Sony dichiara
8,5 ore di utilizzo continuo, ma purtroppo gli auricolari
non hanno un display che ne segnali immediatamente il livello di carica: ci si può affidare all’indicazione
fornita dallo smartphone nel caso si usi un dispositivo
iOS. Per questo motivo non siamo in grado di valutare
con precisione l’autonomia effettiva, ma di certo non
rappresenta un problema. Dopo 8 ore di ascolto musicale, trovare una presa USB e “abbandonarli” per un
paio d’ore non è una cosa così gravosa...
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Qualità audio OK
Abbiamo detto più volte che, nonostante il tipo di apparecchio e la sua finalità, la qualità sonora resta uno
degli aspetti più importanti ai fini della scelta. Perché
una qualità scadente mette di cattivo umore, non
coinvolge e, nei casi più gravi, può anche dare fastidio. Tutto questo per dire che Sony MDR-AS600BT è
l’esatto opposto: siamo infatti di fronte all’auricolare
con la migliore qualità sonora della nostra rassegna.
Non che mediamente le altre siano male, ma questi
auricolari Sony ci sono sembrati avere una marcia
in più che si manifesta un po’ ovunque, ma soprattutto in quei generi musicali che richiedono molto
bilanciamento e una risposta in frequenza estesa,
soprattutto in gamma bassa. Qui fa molto il fatto di
indossarli correttamente e la scelta dell’earbud giusto, ma in questi casi il risultato può essere davvero
piacevole.
Partendo con un brano pop per scaldarci un po’,
siamo accolti da un quadro sonoro molto bilanciato:
meno tagliente rispetto ad altre soluzioni considerate, ma sempre ben definito e dinamico al punto
giusto, con una pressione sonora che raggiunge
(iPhone 5s) livelli davvero notevoli. Resta il “limite”
dell’operatività mediante un solo tasto, ma questo
con la qualità sonora non c’entra nulla. Alzando il
volume, gli auricolari si comportano sempre egregiamente: il dettaglio si mantiene elevato e il bilanciamento resta tale e quale, senza che una gamma
vada a sovrastare l’altra, il tutto a generare un sound
potente, che emoziona e soprattutto non stanca.
Passiamo dunque al rock per la conferma: il quadro
è ben bilanciato, con una gamma bassa che a volte è
addirittura un po’ troppo presente, ma si allinea perfettamente con il genere scelto, e tutto questo mentre non si assiste ad alcuna distorsione o asprezza
in gamma media e alta. Un buon risultato, insomma,
niente di miracoloso ma di sicuro un auricolare che
si può indossare per ore senza fastidio, ascoltando
piacevolmente la propria musica senza preferenze
di genere.
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MAGAZINE
TEST Auricolari molto eleganti, senza fili e con piena gestione delle funzionalità di riproduzione tramite il controller integrato
yurbuds Leap Wireless, per atleti attenti allo stile
Offrono una buona stabilità del collegamento Bluetooth e sensazionale tenuta quando indossati. Qualità audio migliorabile
T
di Emanuele VILLA

ra le proposte che affollano il mercato degli auricolari sportivi ce n’è una che ha catturato la nostra
attenzione, yurbuds Leap Wireless. Perché non è
uguale a tutte le altre: il look è piuttosto insolito, un bel
nero lucido che, invece di catturare l’attenzione come
fanno di solito gli auricolari sportivi dai colori sgargianti,
preferisce un approccio più fine, mimetizzandosi laddove possibile. Sono auricolari bluetooth, per cui wireless
e dotati del classico cavetto di collegamento tra i due
auricolari, cavetto morbido che va fatto passare dietro il
collo e che comprende il tradizionale controller con cui
gestire la musica dallo smartphone: possiamo regolare
il volume, accettare le chiamate in ingresso (c’è anche
il microfono) e anche saltare le tracce audio in entrambi
i versi. Ma quello che distingue davvero questa proposta yurbuds dalla media delle altre soluzioni disponibili sul mercato non è tanto la resistenza all’acqua e
al sudore quanto la tecnologia Twistlock per tenere in
posizione l’auricolare senza ricorrere a sostegni esterni
di alcun genere. Spieghiamoci meglio: affinché l’auricolare non cada durante la corsa o, in generale, l’attività fisica, la sola configurazione in-ear non basta, ed è
per questo che i produttori hanno studiato archetti che
passano dietro l’orecchio, piccoli “gancetti” di gomma
da posizionare all’interno del padiglione e via dicendo.
Ma molte di queste soluzioni, soprattutto quella dell’archetto, rischia di essere scomoda alla lunga, soprattutto
per chi porta gli occhiali. Le Leap Wireless risolvono in
problema in modo del tutto particolare: l’auricolare, che
integra uno speaker di diametro maggiore rispetto alla
media, ha un terminale di gomma antiscivolo che lo
sovrasta completamente e che integra un “beccuccio”
in-ear. Questo va inserito nel condotto uditivo, dopo di
che l’auricolare va ruotato di qualche grado per bloccarsi all’interno dell’orecchio, impedendo ogni genere
di movimento neppure durante gli sport più concitati.
La soluzione ha ovvii pro e contro: sulla carta è capace di garantire una tenuta perfetta anche di fronte agli
scossoni più duri, ma al tempo stesso richiede un po’
di pratica per essere perfezionata e rende difficoltoso
“mettere e togliere” ripetutamente l’auricolare.
Certo, quando si pratica sport quest’ultima non è
un’ipotesi che capita di frequente, ma può succedere
di doversi sfilare l’auricolare frequentemente per chiacchierare con qualcuno, e lì la cosa si complica. In ogni
caso è una soluzione intelligente, anche perché sono
delle in-ear molto particolari: non sono pensate per
essere spinte in profondità nel canale uditivo ma per
riempire l’incavo dell’orecchio che sfocia nel canale
stesso. Quindi, sempre sulla carta, danno meno fastidio
delle in-ear classiche ma assicurano una tenuta molto
maggiore. Per il resto, siamo di fronte a un auricolare
bluetooth che come tale ha bisogno di essere caricato: l’autonomia dichiarata, e poi verificata in pratica, è
di più di 6 ore di ascolto musicale e di telefonate (uso
misto di entrambe le attività), mentre il fatto di essere
wireless lo rende compatibile con tutti i sistemi operativi
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video
lab
yurbuds Leap Wireless
99,00 €
MOLTO BELLI, STABILI E RESISTENTI, MA BASSI SOTTOTONO
Un prodotto con alcuni punti di forza e un paio di aspetti migliorabili. Intanto è un bel prodotto, cosa peraltro relativamente importante in un
auricolare sportivo, ma abbiamo apprezzato la stabilità garantita dalla tecnologia Twistlock, le funzionalità disponibili e anche la comodità,
per quanto dipenda moltissimo dall’uso del supporto corretto. Niente male la stabilità del bluetooth, perfetto in condizioni ottimali (ovvero
quando auricolare destro e smartphone sono vicini) ma decisamente robusto in ogni situazione. Niente male la dotazione, ma avremmo preferito che il cavetto di collegamento tra i due auricolari fosse regolabile: nonostante la lunghezza predefinita, il prodotto rimane stabilmente
nella sua sede, ma ruotando la testa si possono causare piccoli movimenti. La qualità sonora non ci ha entusiasmato: l’impatto è diverso
rispetto alla media degli altri auricolari e si contraddistingue per tanto dettaglio, per una chiusura pronunciata in gamma medio/alta e scarsa
presenza di basse frequenze. Se in alcuni generi si torna a un discreto bilanciamento e “pienezza” agendo sull’equalizzazione, in altri casi
(come in molti brani rock) la chiusura in gamma media rimane netta. E questo, in sessioni prolungate, alla lunga diventa stancante.
7.6
Qualità
7
Longevità
Design
9
9
Design ed ergonomia
COSA CI PIACE Stabilità assoluta
Semplicità
7
D-Factor
8
Prezzo
7
Qualità audio migliorabile
COSA NON CI PIACE Solo 2 taglie di supporti auricolari in dotazione
Cavo non regolabile
per smartphone; non bisogna dunque preoccuparsi di
acquistare la “versione giusta”.
Una volta inseriti, chi li smuove più?
Partiamo dunque con la prova pratica, per la quale
abbiamo usato i “soliti” iPhone 5S e il G Flex 2 di LG.
Il pairing bluetooth è ovviamente immediato e si può
iniziare tranquillamente l’attività fisica con annesso
ascolto musicale. Da notare che non c’è un display o
un LED che indica in modo inequivocabile la percentuale disponibile di batteria, ma la cosa ci viene segnalata dall’iPhone: in ogni caso è presente un indicatore
sonoro che si attiva qualora il livello di carica diventi
pericolosamente basso.
yurbuds fornisce due coppie di inserti auricolari di diverse dimensioni: indossare quella giusta è fondamentale per la stabilità dell’auricolare durante il movimento. Nel nostro caso abbiamo sostituito quelli presenti
all’origine con quelli più larghi e siamo passati subito
ad indossarli: come prevedevamo, per padroneggiare
segue a pagina 43 
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MAGAZINE
TEST
yurbuds Leap Wireless
segue Da pagina 42 
Twistlock ci vuole sia l’inserto auricolare giusto, sia un
po’ di pratica. All’inizio non possiamo negare una certa
frustrazione: essendo abituati a delle in-ear classiche,
non è immediato inserire l’auricolare in diagonale e poi
ruotarlo nell’orecchio per bloccarlo al suo interno.
Ma dopo un po’ ci si fa l’abitudine e tutto fila via liscio.
Il resoconto di un paio d’ore di attività (con diverse
pause...) è in linea con le aspettative: l’auricolare non
si muove dalla sua sede neanche sotto tortura, e questo non può che essere un bene. Non solo non è mai
uscito dalla sede, ma non si è mai mosso in maniera
rilevante o che ci costringesse a intervenire per correggerne la posizione. Il fattore comodità è abbastanza
soggettivo, ma è ovvio che più il prodotto è stabile, più
di “incastra” nell’orecchio e più lo si sente: un minimo
di sensazione di “corpo estraneo” c’è (occhio a non
sbagliare la taglia dell’inserto auricolare), è il prezzo da
pagare per potersi buttare col paracadute senza che
l’auricolare si muova dalla sua sede (ma poi il bluetooth
funzionerà lo stesso?), ma da qui a parlare di un vero e
proprio fastidio ne passa. Twistlock “blinda” l’auricolare
nell’orecchio, ma non ha la possibilità di renderlo del
tutto trasparente: fa comunque piacere constatare che
il prodotto è di per sè molto leggero, e per questo sostanzialmente comodo. Fin qui tutto bene. Solo un piccolo appunto: il cavetto posteriore è leggero e non dà
fastidio, ma avremmo preferito una soluzione regolabile in lunghezza. Qui invece la lunghezza è fissa, e tutte
le volte che si ruota la testa in modo deciso e profondo,
si fa perno sull’auricolare opposto; non causa cadute
o spostamenti importanti, ma questa cosa è avvertibile. Da notare, infine, che yurbuds fornisce insieme alle
Leap Wireless una custodia molto fine e compatta.
Bluetooth solido
Qualità audio migliorabile

Liquidata come “più che sufficiente” la qualità di ricezione e comunicazione durante le telefonate (nessun
problema di intelligibilità, anche se il nostro interlocu-
torna al sommario
tore percepisce qualche disturbo), passiamo a parlare
della stabilità del bluetooth e della qualità sonora, altri
elementi fondamentali di un auricolare sportivo. Per
quanto concerne il primo punto, la situazione è nella
norma: il ricevitore bluetooth è racchiuso nell’auricolare
destro, e questa cosa va tenuta a mente per il posizionamento del telefono ma non impone limiti particolari.
Ricordiamo infatti che qualche leggero “sfarfallio” del
segnale, con piccole interruzioni durante il movimento,
è assolutamente comune alla maggioranza degli auricolari sportivi, l’importante è che non diventi fastidioso
o obblighi l’utente a tenere il telefono in prossimità
dell’auricolare. Noi abbiamo iniziato la sessione usando una fascia da braccio indossata su quello destro e
ovviamente la trasmissione è stata perfetta: un paio di
chilometri di attività non hanno causato nessuna interferenza, e lo stesso è successo con lo smartphone in
una tasca superiore dello zaino. Qualche leggero limite si avverte inserendo lo smartphone in tasca, soprattutto in quella sinistra, ma anche in questo caso non
si sono verificati casi che ci abbiano fatto sospettare
l’esistenza di un vero e proprio “problema”: tra l’altro
è possibile effettuare ogni tipo di movimento con la
testa (la torsione verso destra, quando lo smartphone
è nella tasca sinistra, è una prova niente male) senza
perdere il segnale. Parlando di qualità sonora, ci viene inevitabilmente da confrontare questi yurbuds con
yurbuds Wireless Series
altri auricolari sportivi provati nel medesimo periodo, e
l’impatto è piuttosto differente. Sempre con il nostro fidato iPhone 5s, la prima impressione è che la gamma
bassa sia molto arretrata e che il suono sia fortemente
impostato in gamma media e alta. È potente, cristallino,
tagliente e molto dettagliato ma anche piuttosto chiuso
a livello di risposta in frequenza, il che lo rende adatto
ad alcuni generi musicali ma anche stancante in altri,
specie ad alti volumi, riducendone fortemente la versatilità. L’intervento sull’equalizzatore dello smartphone
migliora l’impatto aumentando la presenza di basse
frequenze, ma non riesce comunque a dare quella
“pienezza” al messaggio sonoro che alcuni generi musicali (rock in primis) richiedono al 100%. Va bene per
musica soft, rilassante, magari un po’ di pop, ma meglio
non alzare troppo il volume o si rischia che l’impatto
diventi fastidioso.
Dammi il cinque!
MODELLO 730-1 redditi 2007
ALLEGATO B
Scheda per la scelta della destinazione
dell'8 per mille dell'IRPEF e del 5 per mille dell'IRPEF
Da consegnare unitamente alla dichiarazione
Mod. 730/2008 al sostituto d’imposta, al
C.A.F. o al professionista abilitato, utilizzando
l’apposita busta chiusa contrassegnata sui
lembi di chiusura.
genzia
ntrate
CONTRIBUENTE
CODICE FISCALE
(obbligatorio)
COGNOME (per le donne indicare il cognome da nubile)
DATI
ANAGRAFICI
DATA DI NASCITA
GIORNO
MESE
ANNO
NOME
SESSO (M o F)
COMUNE (o Stato estero) DI NASCITA
PROVINCIA (sigla)
LA SCELTA DELLA DESTINAZIONE DELL’OTTO PER MILLE DELL’IRPEF E QUELLA DEL CINQUE PER MILLE DELL’IRPEF
NON SONO IN ALCUN MODO ALTERNATIVE FRA LORO. PERTANTO POSSONO ESSERE ESPRESSE ENTRAMBE LE SCELTE
SCELTA PER LA DESTINAZIONE DELL’OTTO PER MILLE DELL’IRPEF (in caso di scelta FIRMARE in UNO degli spazi sottostanti)
Il tuo 5 per mille
può cambiare la vita
di molti bambini
prematuri.
E non ti costa nulla.
Ogni anno in Italia nascono 30.000Assemblee
bambini
di Dio in Italiaprematuri,
di cui circa 5000 hanno un peso inferiore a 1500 gr.
Stato
Chiesa cattolica
Unione Chiese cristiane avventiste del 7° giorno
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Chiesa Valdese unione delle chiese metodiste e valdesi
Chiesa Evangelica Luterana in Italia
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Questi
bambini
hanno
bisogno di
Unione Comunità
Ebraiche
Italiane
e assistenza per molti anni.
cure, controlli
genitori hanno bisogno del tuo aiuto.
AISTMAR Onlus
interamente impiegate per:
E anche i loro
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n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
TEST Design e rifiniture interessanti, questo diffusore è pensato per “dare voce” a televisori che vanno dai 42 ai 65 pollici
Philips XS1, diffusore per TV con subwoofer piatto
Abbiamo provato Philips Fidelio XS1, un diffusore per televisori elegante, molto versatile e completo nelle prestazioni
Originale il subwoofer piatto che si può infilare sotto al divano. Una soluzione esclusiva che però porta in alto il prezzo
L
di Roberto FAGGIANO
a categoria dei diffusori piatti che fungono da base
ai televisori è sempre più ricca di proposte. Questa
Fidelio XS1 si colloca nella fascia alta del mercato
dato che richiede 499 euro per il suo acquisto. La serie
Fidelio è quella più prestigiosa di Philips, o Woox che
dir si voglia, e basta guardare il diffusore per notare
la grande cura in ogni dettaglio, sia estetico che funzionale. Il primo aspetto insolito per la categoria è il
fatto che il subwoofer è separato e si collega senza
fili. Poi colpisce la forma piatta del diffusore per le
frequenze più basse, che infatti può essere posizionato in orizzontale, magari sotto al divano, oppure in
verticale utilizzando l’apposito sostegno in dotazione.
Molto elegante la finitura del diffusore principale, con
superficie superiore in vetro e griglia frontale metallica che lascia vedere in trasparenza il display.
Per quanto riguarda gli aspetti pratici, la XS1 è adatta a TV da 42 a 65 pollici e può sopportare un peso
fino a 44 kg. La larghezza di 73 cm consente anche
l’uso con quei TV dotati di piedini laterali, purché siano abbastanza alti da lasciare liberi i 4 cm di altezza
della XS1. Tra le funzionalità particolari troviamo il collegamento Bluetooth (aptX e AAC) con abbinamento
automatico NFC. Ben rifinito anche il telecomando in
dotazione, risulterà difficile farne a meno perché include le funzioni di controllo dei toni e la possibilità
di impostare tre curve di equalizzazione che esaltano
la voce oppure si adattano meglio alla riproduzione
musicale o alle colonne sonore dei film.
Versatilità al top
Ciò che non si può rimproverare alla XS1 è la mancanza di ingressi e la compatibilità con i formati di codifica
audio per musica e film. Infatti, sul retro del diffusore
video
Philips Fidelio XS1
499,00 €
SI PUÒ DARE DI PIÙ
La Fidelio XS1 è una bella soundplate o soundbase che dir si voglia, è ben rifinita, è piacevole alla vista, ha la soluzione originale del
subwoofer separato posizionabile anche in orizzontale ed è dotata di Bluetooth, ma ha il problema del prezzo: 499 euro implicano delle aspettative di alto livello qualitativo che la XS1 non sembra in grado di soddisfare. Se la cava benino con la musica, ha un buon carattere generale e
ha perfino un DSP che regala qualche vero effetto surround. Però non convince mai in pieno e non regge il confronto con concorrenti che forse
non saranno così ben rifiniti, ma costano qualcosa in meno e spesso offrono già in dotazione i cavi di collegamento. Philips può fare di meglio
per convincerci, provaci ancora Gibson.
lab
7.9
Qualità
8
Longevità
8
Finitura elegante
COSA CI PIACE Subwoofer separato sottile
Bluetooth con aptX e NFC
Design
9
Semplicità
8
COSA NON CI PIACE
troviamo due prese HDMI, delle quali una compatibile ARC, due ingressi digitali (ottico e coassiale) e
un ingresso stereo analogico. Purtroppo mancano i
relativi cavi compresi nella dotazione, una mancanza
non trascurabile per il prezzo richiesto. Inoltre, sul lato
destro troviamo una presa USB per chiavette di memoria con musica MP3 o WMA e un ingresso minijack
universale. Ma per la riproduzione musicale è molto
più comodo usare il Bluetooth con NFC dal proprio
dispositivo mobile. In tema di colonne sonore la XS1 è
compatibile con i formati Dolby Digital e dts. Manca,
invece, la connessione di rete.
Contribuisce alla facilità di utilizzo il telecomando in
dotazione che permette di scegliere la sorgente, attivare le modalità DSP per musica e film, regolare il
ritardo audio, variare toni alti e bassi oltre a regolare
la luminosità del display.
Un subwoofer con qualcosa in più
Dal punto di vista più tecnico la XS1 utilizza sei altoparlanti rettangolari a larga banda, due posti lateralmente e quattro frontalmente, in modo da creare più
facilmente l’effetto Surround di circondamento che si
dovrebbe ottenere dal diffusore. Sono quindi consigliabili per la collocazione dei ripiani aperti ai lati per
non mortificare le prestazioni sulla gamma medio alta.
La potenza disponibile è di 6 x 20 watt (10% THD).
Molto più originale il subwoofer che ha praticamente
le stesse dimensioni in pianta del diffusore principale
D-Factor
8
Prezzo
7
Prezzo elevato
Resa sonora migliorabile
ma può essere collocato anche in modalità verticale.
Gli altoparlanti utilizzati sono due woofer da 165 mm
che diffondono verso l’alto o verso un lato, a seconda della posizione. Lavorano con doppio accordo
reflex laterale e questo impone di collocare il sub
con attenzione per non mortificare le prestazioni in
gamma bassa. La potenza disponibile è di 200 watt
(10% THD).
Un ascolto abbastanza convincente
Per la collocazione in ambiente abbiamo dovuto
sperimentare diverse soluzioni, infatti il costruttore
consiglia di porre il subwoofer in verticale alla destra del televisore, una posizione non favorevole nel
nostro ambiente. Quindi sperimentiamo la versione
orizzontale sul lato opposto, anche se così occupa
parecchio spazio. Eseguiamo il solito collegamento
con cavo HDMI ARC al TV in questo momento in prova, che casualmente è un Philips, o per meglio dire
TPVision. Durante il collegamento e il primo utilizzo
scopriamo per caso, dato che il manuale del diffusore
ignora questa possibilità, che il TV con collegamento Bluetooth ci chiede se vogliamo abbinare la XS1
per la riproduzione sonora. Possibilità molto comoda
ma in pratica non sfruttabile perché la procedura andrebbe ripetuta ad ogni accensione del TV. La triste
dimostrazione che dietro due apparecchi che portano
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segue a pagina 46 
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n.112 / 15
18 MAGGIO 2015
MAGAZINE
HI-FI E HOME CINEMA Soluzioni tecniche esclusive per materiali e costruzione altoparlanti
Le cuffie MM Denon promettono gran suono
La gamma di cuffie Music Maniac per gli utenti più esigenti è pronta anche all’uso in mobilità
di Roberto FAGGIANO
N
uovi arrivi nella gamma di cuffie
MM (Music Maniac) di Denon,
con tre modelli di fascia alta che
si adattano senza problemi all’uso domestico e a quello in mobilità con gli
smartphone. Il nuovo modello d’ingresso è la AH-MM200 (219 euro), disponibile in versione nera oppure bianca
e con doppio cavo di collegamento in
dotazione. Il primo cavo è dedicato all’utilizzo con gli smartphone e ha il microfono integrato, la piena compatibilità funzionale è solo con dispositivi iOS
mentre con Android è attivo solo il microfono con il tasto “pausa”. Il secondo
cavo è invece più lungo e diretto per
l’ascolto casalingo. Dal punto di vista
tecnico spicca l’utilizzo di un padiglione in fibra di vetro rinforzata, al tatto
simile alla ceramica
e con il pregio di
limitare le risonanze. Il trasduttore
è da 30 mm con
membrana in triplo
strato. L’impedenza
è di 36 Ohm con
sensibilità di 99 dB.
Il modello intermedio AH-MM300
(329 euro) è disponibile nella sola versione nera,
ha il doppio cavo di collegamento e
i padiglioni in fibra di vetro ripiegabili. Il trasduttore utilizzato è da 40 mm
del tipo Free Edge con un nuovo tipo
di sospensione. In dotazione anche
l’adattatore jack da 6 mm per l’utilizzo
domestico. L’impedenza è di 32 Ohm
con sensibilità di 99 dB.
Il modello top di gamma è la AH-MM400
(429 euro) dove spiccano i padiglioni in
vero legno di noce con supporti in alluminio. Il trasduttore è un Free Edge da
40 mm con membrana in carta e carbonio. Sempre in dotazione un doppio
cavo di collegamento con tecnologia
OFC e l’adattatore jack. L’impedenza è
di 32 Ohm con sensibilità di 96 dB.
GADGET
C.H.I.P.
computer
da 9 dollari
con più porte
del Macbook
Wi-Fi, Bluetooth, processore da 1
GHz con 512 MB di RAM e 4 GB di
storage: CHIP è il piccolo computer
che costa 9$ e può far girare app
come VLC e un sistema operativo leggero come Linux sul quale far girare
Chrome, LibreOffice, client mail e
anche piccoli giochi. Appetibile per i
maker che vogliono usarlo in ambito
Internet of Things, ha a bordo una
USB, una micro USB, un’uscita videocomposito per il collegamento al TV
e un ingresso microfonico, ma con
due adapter guadagna uscita HDMI
e VGA. A 49$ c’è la versione con
schermo da 4.3”, tastiera e batteria.
Clicca qui per il video.
TEST
Philips Fidelio XS1
segue Da pagina 45 
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lo stesso marchio, ci sono realtà completamente separate tra loro e che perdono tutte le possibili sinergie della situazione. Dopo questa digressione nostalgica torniamo alla prova. Decidiamo di iniziare dalla
riproduzione musicale via Bluetooth, dato che da un
oggetto di questo prezzo non sono ammesse mancanze e omissioni. Utilizziamo lo streaming di Spotify
e otteniamo risultati piuttosto buoni, la gamma bassa
non è invadente ma anzi è quasi sottotono. Poco male
data la presenza dei controlli di tono che permettono di aggiustare la resa sonora su misura. La gamma
acuta è anch’essa tranquilla ma in questo caso ci evita eccessi di sibilanti sulle voci. Proprio le voci sono
l’aspetto più convincente, ben equilibrate e con il giusto corpo. Per avere un po’ di dinamica bisogna alzare
il volume ma non è questo il punto di forza della XS1.
Inserendo il controllo Music si ottiene più vivacità senza stravolgere la resa con eccessi artificiosi. Insomma,
ci aspettavamo qualcosa di meglio ma in fondo non
torna al sommario
ci si può lamentare e la XS1 è utilizzabile con profitto
anche per la musica. Veniamo ora alle colonne sonore dei film, dove partiamo dalla posizione base senza
interventi DSP. Anche in questo caso la gamma bassa
non è esplosiva, però si sente bene il suo intervento
quando serve, si è scelta un’impostazione poco appariscente ma più convincente e realistica nelle lunghe
visioni di un film. Molto buoni i dialoghi che arrivano
opportunamente ben centrati sullo schermo. Ma per
499 euro vorremmo qualcosa in più. Ed eccolo arrivare
inserendo l’effetto Movie: la scena si allarga immedia-
tamente e finalmente possiamo cogliere dei veri effetti
Surround, più laterali che posteriori a dire il vero, ma
è un punto su cui quasi tutte le soundbar di prezzo
umano gettano la spugna. Però, proseguendo l’ascolto
con altri film più spettacolari, la situazione sembra peggiorare, la gamma più profonda eccede e sembra non
reggere un volume elevato. Abbassiamo il livello dei
bassi e otteniamo un miglior equilibrio, a scapito però
dell’impatto dinamico. La XS1 sembra quindi preferire i
film più tranquilli, dove ci si può concentrare sui dialoghi e su effetti non eccessivi.
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