IN ALLEGATO REPORTAGE EXPO 2015 HI-TECH n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 Nell’area Expo nasca la città della tecnologia e di Internet L’Expo all’italiana, realizzato con colpevoli ritardi e messe a punto dell’ultimo secondo, prosegue sul suo solco. A meno di sei mesi dallo smontaggio dei padiglioni, la gigantesca area di oltre un milione di metri quadrati non ha ancora una destinazione d’uso ma solo qualche proposta. Il rischio concreto è che il tutto si trasformi in una desolata piastra di cemento in preda al degrado e ai topi. E questo sarebbe l’ultima umiliazione di un sistema Expo che già qualche brutta figura in giro per il mondo ce l’ha procurata. Noi non siamo Expo-scettici: piuttosto crediamo che la grande occasione non sia l’Expo di per sè stesso, che tra poco sarà finito, ma il dopo Expo, che potrebbe durare per decenni e diventare economicamente più significativo della manifestazione originale. La decisione dovrebbe essere in mano ai proprietari attuali dell’area, la società Arexpo, che, per bocca di Maroni, rivendica la propria autonomia: i due soci di riferimento sono Regione Lombardia (34,67%) e Comune di Milano (34,67%) (non certo con lo stesso colore politico) con, a seguire, l’Ente Fiera di Milano (27,66%), la Provincia di Milano (2%) e il comune di Rho (1%). Ma ogni progetto ambizioso richiede probabilmente più soldi di quelli che Arexpo si può permettere; i suoi soci, peraltro, non sembrano in condizione di trovare un accordo vero per ricapitalizzare direttamente l’azienda, coprendone anche gli attuali debiti. A questo proposito un intervento di Cassa Depositi e Prestiti potrebbe essere decisivo, ma ovviamente non arriverebbe senza un semaforo verde del Governo; Governo che sembra intenzionato a far valere il proprio parere. Insomma, sembra replicarsi il gioco di veti incrociati che è stata la prima causa dei ritardi epocali nella realizzazione di Expo. Mentre gli enti preposti litigano su chi debba decidere e non su quale sia la destinazione d’uso più vantaggiosa per i cittadini, noi ci permettiamo di sottoporre la nostra proposta: l’area Expo potrebbe diventare il distretto tecnologico più importante d’Europa, soprattutto se saprà improntare la propria anima sul “coding”, lo sviluppo software e Web, argomenti centrali per ogni azienda e relativamente al quale in Italia mancano vistosamente scuole, professionalità e offerta. L’area Expo è ben collegata con la città, sia in macchina che con i mezzi; è facilmente “infrastruttrabile”, con passaggio di nuove dorsali di comunicazione; e soprattutto è a Milano, che è il centro tecnologico italiano. Inutile pensare che le “silicon valley” si possano fare al Sud, solo per dare occupazione: perché un ecosistema di questo tipo funzioni serve un reticolo di aziende già attive nei dintorni; non a caso la vera Silicon Valley non è nata e cresciuta in una zona depressa del Minnesota ma in uno dei cuori pulsanti della California. E nessuno pensa di poterla spostare da lì. È trapelata nelle scorse ore una proposta, capeggiata dall’Università Statale di Milano, per destinare l’area Expo a città della scienza e dell’innovazione: interessante, ma il rischio che diventi poi solo un nuovo polo, ancora più periferico, per l’Università, la vecchia università, è molto alto. Non serve spostare l’Università, serve cambiarla, almeno nelle sue funzioni Viaggio tra i padiglioni dell’Expo alla ricerca delle installazioni tecnologiche MAGAZINE Ultra HD Blu-ray Approvate le specifiche 07 Smartwatch Android con iPhone: si può fare. Ecco come 12 Windows 10 sarà disponibile in sette versioni 14 Mercato Unico Digitale Cosa intende cambiare l’Europa Un programma articolato su 3 pilastri e 16 punti d’azione, tante intenzioni ma ancora poca sostanza 04 Abbiamo provato il Samsung JS9500 È il TV LCD definitivo Tecnologia e prestazioni sono al top, ma il prezzo (6500 €) fa paura ed è più alto dell’OLED 18 IN PROVA IN QUESTO NUMERO 21 22 24 LG Watch Urbane Fitbit Surge, fitness MacBook 2015 e Android Wear 5.1 tracker completo Bello, ma che prezzo più tecniche. Serve che nel nuovo campus sorgano scuole superiori di programmazione software (non serve una laurea per essere un buon sviluppatore, anzi dopo la laurea è troppo tardi per iniziare): l’università, in questo quadro, potrebbe avere solo il ruolo di polo di ricerca e di grande bacino per la formazione dei docenti delle superiori, cosa che oggi sarebbe il primo dei problemi. Ma di certo, a fianco del coinvolgimento della Statale, preferiremmo vedere quello del Politecnico di Milano, da sempre più vocato alla declinazione “pratica” delle teorie accademiche. Magari l’ex-Expo potrebbe ospitare una versione potenziata e moderna del bel Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano. E poi incubatori per le startup, sul modello virtuoso di PoliHub. Insomma, una serie di “mattoncini” che mantengano viva l’area Expo, rendendola di fatto ai cittadini. Si potrebbe fare. E far ripartire da qui il rilancio tecnologico e digitale di un’Italia che sta perdendo posti di lavoro “analogici” facendoli recuperare nelle professioni digitali a Paesi esteri più accorti di noi su questo fronte. Milano non è certo la più importante delle città d’arte italiane: facciamo sì che diventi almeno il vero polo tecnologico dell’era di Internet. Il Paese ne ha un bisogno maledetto e da nessun’altra parte ci sono speranze che attecchisca meglio che sotto la Madonnina. Gianfranco GIARDINA 30 Super comparativa auricolari sportivi n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE MERCATO Per Repubblica il progetto sulla diffusione della banda ultralarga in Italia potrebbe prendere una strada inaspettata IlLa stesura governo sceglie Enel per la banda ultralarga pubblica? dei cavi spetterebbe a Enel, Telecom verrebbe snobbata e tutto rimarrebbe saldamente in mani pubbliche S di Roberto FAGGIANO econdo quanto riportato da Repubblica il governo potrebbe assegnare a Enel e ai suoi cavi elettrici il compito di portare la banda ultralarga in tutto il Paese. I motivi sono essenzialmente due: il primo è che la rete elettrica Enel è già presente in tutta Italia e raggiunge anche le zone più remote e disagiate, il secondo è che Enel è controllata dal Ministero del Tesoro e quindi il progetto rimarrebbe sotto controllo pubblico, difendendo anche le comunicazioni “sensibili” del Paese. Per il progetto è previsto parte dell’investimento di 6,5 miliardi di Euro in cinque anni e l’Enel ha già da tempo pronto un progetto in materia, compresi gli accordi con le aziende locali che gestiscono il servizio elettrico in città come Milano e Roma. Altra motivazione importante sarebbe la rapidità con la quale il progetto po- trebbe concludersi: non più di 5 anni contro i 10 inizialmente previsti; anzi, con gli investimenti del piano BUL del governo, Enel potrebbe mettercene 3. Una circostanza quasi indispensabile dato l’enorme ritardo in materia che ci divide dagli altri Paesi europei. Sul tema Telecom ha invece sempre mostrato grande lentezza negli investimenti e soprattutto scarsa disponibilità a trattare sulla questione Metroweb, l’azienda con partecipazione pubblica da molti vista come il soggetto ideale per la stesura della nuova rete in fibra. Se il progetto venisse affidato all’Enel sarebbe relativamente facile aggiungere i cavi in fibra ottica sui grandi tralicci di trasmissione Enel arrivando teoricamente in ogni luogo della penisola. Facile e anche rapido, come detto si parla di soli 3 anni per completare il progetto e colmare il solco digitale che divide le aree più fortunate del Paese da quelle dove è già un successo ottenere una linea ADSL a 7 megabit. Tra l’altro Enel ha comunque in progetto l’installazione dei nuovi contatori smart, per i quali sarà comunque necessaria la realizzazione di un’apposita rete dati di supporto, per cui il piano banda ultralarga è MERCATO I dati di vendita Kantar per il primo trimestre 2015 vedono iOS ancora in forte crescita iOS cresce e fa incetta di utenti Android scontenti Il 32% di chi ha acquistato iPhone 6 o iPhone 6 Plus prima aveva un terminale Android di Roberto PEZZALI antar Worldpanel ComTech ha rilasciato i dati di vendite degli smartphone del primo trimestre 2015 e iOS è il grande mattatore: nei cinque maggiori paesi europei infatti ha raggiunto una quota del 20.3% crescendo del 2% rispetto all’anno precedente. “Nel primo trimestre del 2015, iPhone 6 e iPhone 6 Plus hanno continuato ad attirare clienti in tutta Europa, inclusi gli utenti che prima avevano smartphone Android,” ha dichiarato Carolina Milanesi, Chief of Research di Kantar Worldpanel ComTech. “In media, durante il primo trimestre, nei cinque maggiori Paesi europei il 32,4% dei nuovi clienti Apple è passato da Android a iOS.” La leadership di Android resta intatta, ma dai sondaggi fatti da Kantar il 35% dei clienti che hanno acquistato uno smartphone Android nel primo trimestre del 2015 ha affermato che la decisione è stata influenzata dall’offerta conveniente sul prezzo del telefono. Un ulteriore 29% ha dichiarato che uno K torna al sommario dei fattori per l’acquisto è stata l’offerta conveniente su tariffe o contratti. Resta ancora una incognita Microsoft: “Se analizziamo i dati più approfonditamente,” ha aggiunto Milanesi, “è facile riscontrare la forte proposta di valore offerta dal portfolio Lumia, mentre le vendite di telefoni Windows negli Stati Uniti hanno deviato verso il mercato delle ricaricabili (20%) e dei contratti rateizzati (51%). Microsoft punta sul fatto che le nuove funzioni di Windows 10 e la possibilità per gli sviluppatori di eseguire facilmente il porting delle app Android in Windows renderanno più invitante l’ecosistema Windows.” In Italia la situazione vede iOS e Windows Phone in forte crescita rispetto allo scorso anno, con l’iPhone che ha attirato parte degli utenti di smartphone Android di fascia alta e Microsoft che piano piano sta prendendosi la fascia entry del mercato con i suoi smartphone dall’ottimo rapporto qualità / prezzo. un’opportunità per tutti. In questo scenario il ruolo di Telecom diventerebbe del tutto marginale e si può ipotizzare anche l’estensione del progetto alla distribuzione dei segnali televisivi, vista l’intenzione del governo di reclamare un ruolo pubblico anche per la rete TV. MERCATO Spotify cresce ma aumentano le perdite Spotify Technology S.A. chiuderà l’anno con ricavi in aumento del 45% rispetto l’anno precedente, per un totale di 1 miliardo di euro, secondo i dati ottenuti da Reuters. La cattiva notizia è che le perdite continuano a crescere: nel 2014 hanno raggiunto quota 165 milioni di euro, rispetto ai circa 90 milioni di euro del 2013. Questo aumento consistente anno su anno (oltre l’80%), viene imputato dall’azienda ai costi di espansione internazionale, all’aumento dei dipendenti e ai significativi investimenti nella piattaforma. Spotify, nonostante sia ancora lontana dal generare degli utili, ha appena raccolto investimenti per altri 350 milioni di dollari e ha una valutazione di oltre 8 miliardi di dollari. Il 2015 potrebbe essere un anno chiave per l’azienda: sono infatti in scadenza i contratti di licenza con Universal e Sony e soprattutto la prima, secondo le indiscrezioni, sta spingendo affinché venga ridotta l’offerta di streaming gratuito. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE MERCATO Vodafone annuncia i risultati ottenuti da LTE e presenta uno smartphone da 149 euro 4G Vodafone avanti tutta: 85% di copertura L’obiettivo è arrivare al 96% della copertura entro marzo 2016. Sperimentato LTE su Cat.9 L di Paolo CENTOFANTI o scorso novembre, Vodafone aveva annunciato il lancio della sua rete 4G+ in 80 città. Sono passati 6 mesi e oggi il servizio LTE-Advanced a 225 Mbit/s di Vodafone è disponibile già in più 300 comuni, mentre la copertura LTE ha raggiunto l’85% della popolazione. Sono i numeri dei risultati ottenuti dal piano di investimento Spring con il quale l’azienda ha premuto l’acceleratore sull’aggiornamento della propria rete mobile e fissa. L’occasione per fare il punto della situazione è quella dell’inaugurazione della prima “Casa 4G”, un nuovo tipo di negozio Vodafone, attualmente ospitato nella cornice della rinnovata darsena di Milano, in cui i clienti potranno accedere a nuovi servizi (assistenza, formazione, smartphone di cortesia in caso di interventi di riparazione) e soprattutto toccare con mano i vantaggi della rete LTE con un ambiente che simula il salotto di casa. L’obiettivo di Vodafone è quello di superare abbondantemente il 90% della copertura nazionale in 4G entro il prossimo anno fiscale, con più di 6500 comuni in LTE e oltre 500 in LTE-Advanced entro marzo dell’anno prossimo. Ma per la prima volta, Vodafone ha anche dato un’indicazione di quella che è stata la risposta dei consumatori alla notevole spinta data dall’operatore nell’ultimo anno ai servizi di connettività 4G. Una risposta che è stata giudicata molto positiva, con ben il 21,2% del traffico dati di Vodafone che oggi passa sulla rete LTE, con un incremento di quasi 4 volte rispetto ai numeri dello scorso novembre. Il grosso del traffico è costituito soprattutto dallo streaming video (YouTube e Infinity) e musicale (Spotify), mentre un grosso impulso al consumo di dati è stato dato dall’attivazione della riproduzione automatica dei video di Facebook, con i social network che oggi valgono il 18% dei dati scambiati dagli utenti Vodafone. E per continuare a incentivare il passaggio alla rete 4G, Vodafone ha deciso di lanciare un nuovo smartphone dal buon rapporto qualità/prezzo, una strategia che in passato ha dato buoni risultati. Da questo mese sarà infatti disponibile il nuovo Smart Prime, smartphone Android con display da 5 pollici e risoluzione 720p, processore Qualcomm Snapdragon 410, fotocamera posteriore da 8 Megapixel e frontale da 2, sistema operativo Lollipop e naturalmente connettività 4G, il tutto a 149,99 euro e con una qualità della costruzione e delle finiture non male per Promozione particolare di LG per favorire la diffusione dei TV 4K A chi ne acquista uno vengono offerti cinema, cene, trattamenti benessere e altro ancora di Emanuele VILLA Smart Prime, lo smartphone realizzato per Vodafone da Alcatel. questa fascia di prezzo. Vodafone ne ha anche approfittato per dare una dimostrazione della prossima evoluzione del suo 4G+, con il passaggio all’LTE Cat.9 a 300 Mbit/s grazie alla carrier aggregation a 3 bande, anche se per il momento non sono stati comunicati piani specifici per il rollout commerciale del servizio, anche perché i terminali al momento compatibili sono ancora davvero pochi. MERCATO La richiesta dei battery pack per la casa e le aziende è andata oltre le aspettative La Powerwall di Tesla è una scomessa già vinta I preordini hanno saturato la capacità di produzione dell’azienda fino alla metà del 2016 D di Paolo CENTOFANTI urante la presentazione dei dati finanziari dell’ultimo trimestre della compagnia, Elon Musk ha dichiarato che Tesla dall’annuncio del 30 aprile ha già ricevuto 38000 ordini per il PowerWall e 2500 per il PowerPack, ciascuno composto da 10 unità. Una domanda che avrebbe già saturato la capacità di produzione di Tesla fino a metà 2016, anche considerando l’inizio delle attività della Gigafactory a inizio dell’anno prossimo. La produzione delle batterie inizierà in estate nella fabbrica di Fremont e Tesla ha annunciato che i prodotti sono già in torna al sommario via di certificazione anche per la vendita in Europa, che partirà in contemporanea con gli Stati Uniti nell’ultimo trimestre dell’anno. Per quanto riguarda i dati finanziari di Tesla nel primo trimestre del 2015, l’azienda ha annunciato perdite nette inferiori alle previsioni, pari a 154 milioni di dollari, con ricavi in crescita del 55% anno su anno e pari a 1,1 miliardi di dollari. Tesla prevede una crescita di consegna di veicoli grazie anche finalmente al lancio della Model X nei mesi estivi, con un obiettivo di 55.000 auto tra Model S e Model X entro fine anno e una continua riduzione dei costi, anche se le spese dell’azienda continue- Promozione LG Cinema, cene e benessere a chi acquista un TV Ultra HD ranno a crescere con l’espansione della rete vendita e nuovi investimenti per lo sviluppo della Model 3. A questo proposito Musk ha annunciato che prevede di presentare la nuova berlina “economica” nel marzo del 2016, con inizio della produzione a fine 2017. LG anticipa l’estate con una promozione dedicata a chi vuole passare al 4K: qualora si acquisti, dal 9 maggio al 21 luglio, un TV delle serie UB980, UC9V, UF950, UG870, UF850, UF77, UF695 e UF671 si riceva una Privilege Card LG del valore di 500 euro in vantaggi e ingressi gratuiti, molti dei quali pensati per l’utilizzo in coppia. Per esempio, la Privilege Card dà diritto a 12 mesi di cinema in formula 2x1, ovvero un biglietto di ingresso gratuito al cinema dal lunedì al giovedì a fronte di un secondo biglietto pagato a prezzo intero. Ovviamente per informazioni extra e per i termini dell’iniziativa, fa fede il sito ufficiale della promozione. Ma la Privilege Card offre anche 12 mesi di cene con formula 2x1 in ristoranti di carne/pesce, pizzerie e ristoranti etnici, un trattamento benessere tra quelli offerti dai centri aderenti all’iniziativa, una sessione fitness con un personal trainer di 60 minuti per ottenere consigli ed esercizi personalizzati e un ingresso di Day SPA per due persone. La Privilege Card va richiesta, con le modalità descritte nel sito della promozione, entro 10 giorni dall’acquisto. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE MERCATO Un programma articolato su 3 pilastri e 16 punti d’azione, tante buone intenzioni ma c’è ancora poca sostanza Mercato Unico Digitale: ecco cosa vuole l’Europa Riforma del copyright, regolamentazione delle telecomunicazioni, e-commerce, IVA e protezione dei dati: c’è n’é per tutti commerciali territoriali dei detentori dei diritti. I produttori cinemaa Commissione Europea ha presentato il piano di tografici, ad esempio, riforme per la realizzazione il Digital Single Market, potranno continuare il tentativo di creare un mercato unico dei servizi digitali in Europa senza barriere nazionali, un po’ come a stringere accordi di avviene per i beni “fisici”. Un obiettivo sicuramente distribuzione locali nei ambizioso, soprattutto per quanto riguarda temi come vari paesi, con diverse quelli del copyright e la libera circolazione dei contenuti finestre come succede multimediali in Europa, articolato in un piano che si pogora, ma le nuove norgia su 3 pilastri e 16 punti di azione con tantissime linee me faranno in modo di intervento. Un piano che vale 3,8 milioni di nuovi poche sarà possibile per i cittadini europei costi di lavoro secondo la Commissione e un giro d’affari per l’economia europea di almeno 415 miliardi di euro munque pagare per all’anno. Il perché la Commissione Europea ha deciso accedere ai contenuti di imbarcarsi in questa iniziativa è presto detto: se in anche se al di fuori del paese in cui sono disponibili. Europa c’è la libera circolazione delle persone e delle Entro la prima metà del 2016 verranno inoltre emenmerci, paradossalmente ciò non è vero per beni e servidate alcune norme della direttiva sull’e-commerce, in modo tale da proibire la pratica del geo-blocking, cioè zi digitali. Come molti dei nostri lettori sanno bene, se è possibile comprare senza problemi ad esempio un CD “la pratica discriminatoria utilizzata per motivi commerin Germania, allo stesso modo non è spesso possibile ciali, secondo la quale i venditori online impediscono ai acquistarne la versione “digitale” in un paese diverso consumatori di accedere a un sito Internet sulla base dal proprio, così come sono tanti i servizi di video on della loro ubicazione, o li reindirizzano verso un sito di demand disponibili in un certo paese europeo e non al vendite locale che pratica prezzi diversi”. Se tutto ciò di fuori di esso. Per non parlare di siti di e-commerce suona come musica per le orecchie dei consumatori che applicano prezzi diversi in base al paese dal quale che troppo spesso si sono scontrati con l’avviso “questo li si visita, o che non permettono del tutto l’acquisto su contenuto non è disponibile nel tuo paese”, è meglio base territoriale. Ma ci sono anche le diverse norme per aspettare a festeggiare: la Commissione specifica infatti gli operatori di telecomunicazione, il problema del pache il blocco di contenuti per accordi di distribuzione territoriale in esclusiva, utilizzati per finanziare la produgamento dell’IVA per i siti di e-commerce che vogliono zione di un’opera, non può essere considerato “ingiustivendere all’estero e così via. ficato”. Come questo possa conciliarsi con quanto sopra Come detto sono 3 i pilastri su cui si poggia il piano non è evidentemente chiaro. Altra linea d’azione riguarper il Digital Single Market fortemente voluto dalla Commissione Europea sotto la responsabilità del Viceda anche l’accesso transfrontaliero dei servizi radio-televisivi, con una revisione delle norme europee del 1993 presidente Andrus Ansip: migliorare l’accesso ai beni anche alla luce dei nuovi servizi online degli operatori e servizi digitali in tutta Europa per i consumatori e le radiotelevisivi. Anche qui l’intenzione è quella di agevoimprese, creare un contesto favorevole e parità di conlare l’accesso a questi servizi anche al di fuori del paese dizioni affinché le reti digitali e i servizi innovativi possano svilupparsi, massimizzare il potenziale di crescita di origine. Sempre il geo-blocking è solo uno dei punti dell’economia digitale. Per quanto riguarda il primo punche riguardano la più ampia sfera di interventi in mato, una delle principali linee di intervento proposte dalla teria di e-commerce. La Commissione vuole agevolare Commissione Europea prevede entro la fine dell’anno la nascita di siti commercio elettronico in grado di lavorare in tutta Europa, con “un’attuazione più rapida ed una riforma del copyright “volta ridurre le disparità tra omogenea delle norme di protezione dei consumatori”, i regimi di diritto d’autore nazionali e a permettere un accesso online più ampio alle opere in tutta l’UE, anche “servizi di consegna dei pacchi più efficienti e a prezzi mediante ulteriori misure di armonizzazione”. Ma attenaccessibili” in Europa, introduzione di “un meccanismo elettronico di registrazione e pagamento unici; con una zione: obiettivo della riforma sarà quello di agevolare il soglia di IVA comune per sostenere le start-up più picrilascio di licenze a livello europeo per lo sfruttamento cole che vendono online”. Come concretamente tutto dei contenuti, senza però abbattere le attuali politiche ciò verrà messo in pratica, al momento non è specificato, ma la Commissione presenterà le varie normative tra la fine del 2015 e la prima metà del 2016. Alla base del Digital Single Market rimane poi la necessità di armonizzare a livello europeo la regolamentazione del mercato delle telecomunicazioni con una revisione “ambiziosa”. In questo senso, la Commissione presenterà nel 2016 norme per gestire a livello europeo l’allocazione Nel grafico l’attuale frammentazione del mercato digitale. dello spettro radio nei singoli paesi tramite regole L di Paolo CENTOFANTI torna al sommario comuni, ridurre le differenze nei regimi regolatori nazionali, e incentivare gli investimenti nelle infrastrutture di rete a banda ultralarga attraverso un alleggerimento normativo. Ma ci saranno anche norme che piaceranno molto alle telco, volte a equiparare gli obblighi di legge tra operatori telefonici tradizionali e servizi VoIP over the top ad esempio. Anche in questo capitolo, il piano presentato dalla Commissione Europea non scende molto nel dettaglio di come verrà portato a compimento tutto ciò. C’è anche l’intenzione di rimettere mano alla direttiva sui media audiovisivi allo scopo di assicurare più visibilità alle produzione europee non solo sui classici canali distributivi (emittenti radio televisive), ma anche sulle nuove piattaforme online. Infine, sempre per creare eque condizioni di mercato nel settore digitale, la Commissione effettuerà un’indagine sul ruolo e la posizione delle attuali piattaforme online, con un rifermento non troppo velato a giganti come Google, “su aspetti quali la mancanza di trasparenza dei risultati di ricerca e delle politiche in materia di prezzi, le modalità di utilizzo delle informazioni ottenute, le relazioni tra piattaforme e fornitori e la promozione dei propri servizi a scapito dei concorrenti”. Il terzo pilastro, infine, riguarda soprattutto l’interoperabilità delle banche dati online all’interno dell’Unione Europea e la regolamentazione del trattamento dei dati personali, sia per quanto riguarda i servizi commerciali che la pubblica amministrazione, in particolar modo in campi come quello della sanità e dell’eGovernment. Anche qui la parola d’ordine è armonizzazione, in questo caso a livello di procedure e interoperabilità delle banche dati. Verranno studiati a questo proposito degli standard appositi, al fine di permettere un flusso regolamentato ma libero delle informazioni tra i soggetti dei vari paesi dell’Unione, siano essi aziende, fornitori di servizi (si pensi alle smart grid) e amministrazioni. L’iter sarà comunque lungo e difficoltoso, soprattutto per quanto riguarda la ricerca di un’intesa con il Consiglio Europeo che rappresenta gli interessi dei singoli paesi membri e più volte, come è capitato con il pacchetto su roaming e neutralità, ha espresso più che altro le voci delle varie lobby industriali. La Commissione punta a presentare tutti i nuovi provvedimenti entro la fine del 2016 e il primo banco di prova sarà la riunione del Consiglio Europeo del 25 e 26 giugno. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE MERCATO Il nuovo servizio di streaming di Apple sarà disponibile anche al di fuori degli Stati Uniti Sotto “esame” il servizio di streaming Apple Lancio programmato per il mese di giugno, ma sul nuovo servizio ora indaga l’anti trust S di Paolo CENTOFANTI i continua a parlare di Apple e streaming. Un motivo c’è: con l’iTunes Store, Apple di fatto creò il mercato della musica “liquida”, e ancora oggi rappresenta la più importante fonte di ricavi dal download di musica per l’industria discografica. Da qui, con lo spostamento dei consumi dal download allo streaming, l’attesa è grande per la discesa in campo in questo settore da parte di Apple. Un ingresso non privo di ostacoli. Secondo le ultime voci, Apple punta a lanciare il servizio a livello internazionale e non solo negli Stati Uniti, dove era disponibile invece Beats Music. Stando a quanto raccolto da Billboard Business, però, mancherebbero ancora diversi contratti chiave con le major affinché questo avvenga, sopratutto se, come pare, Apple intende lanciare il servizio a fine giugno insieme ad iOS 8.4, versione del sistema operativo che integra un’app musica completamente rinnovata. A differenza di quando Apple lanciò l’iTunes Store, però, questa volta l’azienda americana arriva ultima su un mercato dominato da player già affermati come Spotify e Deezer, motivo per il quale starebbe cercando accordi piuttosto spregiudicati con le case discografiche. Nei giorni scorsi abbiamo dato notizia di come sia la Commissione Europea che il dipartimento di giustizia degli Stati Uniti, stanno effettuando delle indagini su presunti accordi con le case discografiche per limitare in qualche modo l’attuale offerta in streaming gratuita. Ma è arrivata la notizia che anche l’autorità per la concorrenza Nokia HERE è in vendita e sembrerebbe che trovare acquirenti non sia difficile Tra i pretendenti spunta anche Uber di Paolo CENTOFANTI degli Stati Uniti avrebbe aperto un’indagine in tal senso, con ulteriore giro di colloqui con i dirigenti delle etichette. Va detto che, come riporta Bloomberg Business, al momento si tratta appunto solo di indagini esplorative e di supposizioni, ma sono ben tre gli enti governativi che cercano di far luce sulla questione, evidentemente c’è qualcosa di più di qualche segnalazione da parte di soggetti preoccupati dall’arrivo di Apple. MERCATO Per la prima volta i servizi di streaming superano gli acquisti del normale download Per Warner lo streaming ora vale più del download Il ritmo di crescita non lascia dubbi: lo streaming sarà il modello di business del futuro I di Michele Lepori l CEO di Warner Music, Stephen Cooper, ha annunciato alla conference call con gli investitori come i ricavi generati dai servizi di streaming abbiano per la prima volta oscurato quelli generati dal classico acquisto online sui vari digital stores. “l ritmo di crescita dei servizi di streaming ha messo decisamente in chiaro che questo sarà il modello di business negli anni a venire e che lo streaming sarà il modo in cui le persone ameranno ascoltare la propria musica”. Spotify e Pandora in particolare hanno torna al sommario registrato una crescita di +33% da una trimestrale all’altra. Oltre alla parole di Cooper, tuttavia, esiste un universo di label che non sono certo solo Warner Music e che a breve potrebbero dover aggiungere un paio di posti a tavola per dividersi la magra torta di un mercato che, dal 2002, vive un’emorragia di liquidità che ha raggiunto perdite complessive di 10 miliardi dollari: a mettere un laccio emostatico al paziente ci dovrebbero pensare il nuovo servizio streaming di Jay Z, Tidal, e soprattutto il tanto rumoreggiato quanto atteso ingresso del gigante di Cupertino, che si dice essere pronto ad affiancare al pilastro iTunes un nuovo servizio musicale adatto ai nuovi trend del mercato.Tutti felici e contenti, quindi? In realtà Cooper sottolinea come Warner Music e le altre grandi del settore, Universal e Sony, si trovino costrette a fare di necessità virtù prendendo atto che il 90% dei ricavi di Spotify, tanto per citarne una, derivano Anche Uber interessato alle mappe HERE di Nokia dal solo 25% di abbonati che pagano i 10 dollari/mese per Premium: per il resto, c’è sempre la pubblicità. “Ci sono modi e modi di guadagnarci sopra: con la pubblicità, con gli abbonamenti o - perché no? - con entrambi: è comunque un successo se paragonato alla pirateria che impazzava anni fa” E tanto per mettere le cose in chiaro, continua Cooper: “... pirateria significa zero guadagni, furto di proprietà intellettuale e danni per tutti”. Se però si deve prendere atto dei freddi numeri, come interpretarli potrebbe non essere una visione comune visto che in casa Universal il CEO Lucian Grainge parla di abbonamenti in crescendo: non un flat da x dollari al mese per contenuti illimitati ma vari livelli di sottoscrizioni via via più premium con bonus che vanno di pari passo con l’addebito mensile sulla carta di credito. Una soluzione che - si sussurra - avrebbe avuto anche la benedizione di 1, Infinite Loop. I soliti bene informati giurano: non manca molto per scoprire le carte in tavola. Che la divisione HERE di Nokia sia in vendita è ormai un dato di fatto, ma a differenza del solito qui parrebbe semplicissimo trovare un acquirente. I pretendenti sono diversi, dopo l’interessamento di Zuckerberg & Co, secondo quanto riportato dal New York Times, anche Uber sarebbe pronta a un’offerta da 3 miliardi di dollari per acquisire tutto il servizio. Servizio che tra l’altro fa gola (per motivi diversi) anche ad altre aziende del ramo automobilistico, tra cui Audi, BMW e Mercedes, oltre al colosso cinese delle ricerche su web Baidu. I motivi che avrebbero spinto Uber a una decisione del genere sono abbastanza chiari: oltre a poter concedere il servizio a tutte le aziende che non vogliono essere troppo legate a Google (che con Maps ha la maggioranza del mercato), la tecnologia HERE Maps potrebbe essere usata con successo in tutti i servzi di Uber e in primis nel servizio di car pooling UberPool, per una maggior precisione (nell’abbinamento tra conducente e passeggeri) e ricchezza di informazioni rispetto ad oggi. Dal canto loro, invece, il trio automobilistico Audi, BWM e Mercedes avrebbe come principale scopo quello di non essere troppo legati a Google, specie nei vari progetti di guida autonoma perseguiti dalle aziende tedesche. Questo perchè la stessa Google sta portando avanti un progetto analogo e, pur non potendo negare il servizio ai concorrenti, potrebbe comunque tentare di scoraggiarne l’impiego. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Per i nuovi arrivati come Netflix sarà sempre più dura farsi strada in Italia Mediaset golosa, ha fatto incetta di diritti Mediaset annuncia di aver stretto un accordo esclusivo con Universal, Warner e Medusa Esclusiva per tutte le piattaforme, streaming incluso, per oltre 3500 ore di contenuto inedito C di Roberto PEZZALI hi ha guardato qualche sera fa su Canale 5 in chiaro la partita di Champions League Juventus-Real Madrid si sarà sicuramente accorto della martellante pubblicità che Mediaset Premium sta facendo ai suoi diritti per il prossimo anno. Non solo: nel corso della serata Mediaset ha anche annunciato di aver stretto un nuovo accordo per l’esclusiva di contenuti Warner, Medusa e Universal. Un accordo che “pone Mediaset al centro dei giochi per la televisione del futuro” ha commentato Pier Silvio Berlusconi e non ha tutti i torti, essendo Warner e Universal due big tra i provider di contenuti. Per la prima volta Mediaset fa incetta di tutti i diritti: Pay TV su qualsiasi piat- Estratto dal quotidiano online www.DDAY.it Registrazione Tribunale di Milano n. 416 del 28 settembre 2009 direttore responsabile Gianfranco Giardina editing Claudio Stellari Simona Zucca Maria Chiara Candiago Alessandra Lojacono Editore Scripta Manent Servizi Editoriali srl via Gallarate, 76 - 20151 Milano P.I. 11967100154 Per informazioni [email protected] Per la pubblicità [email protected] torna al sommario Spotify, secondo il Wall Street Journal, starebbe per entrare nel business del video in streaming; videoclip musicali, ma anche contenuti originali I segreti verranno svelati il 20 maggio di Emanuele VILLA taforma, digitale terrestre free, onDemand e streaming, con una firma pluriennale che arriva al 2020 per Warner e al 2018 per Universal. Nell’accordo rientrano oltre 1000 ore di serie tv ine- dite e 2500 ore di film tra cui American Sniper e Interstellar. Per le new entry come Netflix (ma anche Apple) sarà sempre più difficile farsi strada in Italia: il contenuto guida sempre le scelte. ENTERTAINMENT Sky OnLine tutto nuovo, per battere Netflix MAGAZINE Spotify pronto a entrare nello streaming video È in arrivo il nuovo Sky Online Costerà di meno e avrà l’HD? di Roberto PEZZALI iovedì 21 maggio ci saranno importanti novità per Sky OnLine, il servizio di video on demand basato su una subscription mensile di Sky Italia. L’annuncio arriva direttamente dalla pagina Facebook di Sky, dove nel teaser si intravede anche la sagoma del set top box Roku che sarà acquistabile da tutti per trasformare la propria TV o il proprio proiettore in un client per accedere alla piattaforma. Difficilmente Sky si limiterà solo a questo: in questi giorni infatti stanno avvenendo tanti piccoli cambiamenti che lasciano presagire anche l’imminente rimodulazione dell’offerta. Sky Magic App, la scatolina da acquistare nei negozi che include 3 mesi di Cinema e Intrattenimento, è stata infatti ribassata da 39 a 29 euro, segno che potrebbero arrivare novità sotto il profilo dell’offerta commerciale. L’arrivo del set top box ha poi portato a quattro i dispositivi associabili ad un singolo account: si potrà avere Sky Online su TV, computer, console e tablet contemporaneamente. La novità più attesa, però, sarebbe l’alta definizione: la piattaforma attuale onDemand di Sky è tutta in standard definition, ma l’imminente arrivo di Netflix che fa dell’HD e del 4K i suoi cavalli di punta in termini di qualità potrebbe far cambiare idea al colosso europeo. G Il marchio Spotify è indissolubilmente legato al mondo della musica in streaming. Ma per restare sempre un passo avanti rispetto ai competitor, il 20 maggio l’azienda potrebbe svelare un asso che tiene nascosto da tempo: il suo ingresso nel mondo dello streaming video. Lo afferma il Wall Street Journal, che però non si sbilancia sui contenuti dell’offerta e sul suo focus: si tratterà di un web video service, presumibilmente incentrato su materiale musicale (videoclip) ma con funzionalità ad hoc e pensato per attrarre sia gli artisti più affermati che gli artisti indipendenti, di modo tale da avere un catalogo molto ampio ma anche contenuti originali, che alla fine decreteranno il successo o meno di un servizio in rapporto ai competitor. Si vocifera che non sarà necessario pagare un extra per accedere al servizio: il classico abbonamento premium da 9 euro al mese sarà sufficiente per accedere a tutti i contenuti video e saranno disponibili funzionalità “esperte” quali i suggerimenti di video sulla base della proprie playlist, dei propri gusti e - perché no - anche del proprio umore. Pare che il 20 maggio sia il giorno della verità, visto che l’azienda ha già fissato un importante appuntamento per la stampa. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TV E VIDEO La Blu-ray Disc Association ha completato la stesura delle specifiche del Blu-ray 4K Ultra HD Blu-ray approvato: ecco il logo Il nuovo Blu-ray sarà retrocompatibile con gli attuali e supporterà, oltre all’Ultra HD, anche l’HDR di Roberto PEZZALI L o standard c’è, l’hardware arriverà entro fine anno, i contenuti ancora non si sa. Quello della foto a fianco è il nuovo logo scelto dalla Blu-ray Disc Association per il nuovo formato di disco che potrà contenere film e video in 4K, il cosiddetto Ultra HD Blu-ray. La BDA ha, infatti, comunicato di aver chiuso finalmente le specifiche del formato e di essere pronta ad iniziare la fase di licensing che partirà probabilmente a luglio. Questo vuol dire che tutti gli interessati potranno acquisire le licenze e iniziare a creare hardware e software per il nuovo standard. In questo caso, come per i vecchi supporti, sono molti i player in gioco: oltre a chi produce hardware e software, infatti, c’è tutta la catena industriale che comprende i replicatori, gli sviluppatori dei software di authoring e chi si occuperà della sicurezza. Al momento non si conoscono ancora nel dettaglio le speci- Panasonic diffonde informazioni sull’Ultra HD Blu-ray I primi apparecchi verranno mostrati all’iFA e saranno in vendita entro Natale fiche, ma sicuramente sarà contemplata la retrocompatibilità e ci sarà, oltre al 4K, anche l’HDR. Come per i Blu-ray c’era il BD Live, nato per le feature interattive, per il nuovo Ultra HD Blu-ray ci sarà una feature opzionale chiamata “Digital Bridge” che servirà a condividere i contenuti sulla rete domestica e verso i dispositivi portatili, probabilmente una sorta di digital version integrata su disco e standardizzata. I primi prodotti sono attesi entro fine anno, con Panasonic in pole position: resta da capire invece quale sarà il primo studio a rilasciare contenuti e soprattutto quali saranno le politiche di protezione dei contenuti stessi: quando ci sono di mezzo contenuti di elevatissima qualità c’è da aspettarsi un DRM che contempli anche la necessità di connessione perenne. TV E VIDEO Compare la nuova app Dashboard e vengono introdotte cartelle per i preferiti In Firefox OS per TV compare una nuova dashboard Mozilla presenta i dettagli della sua nuova piattaforma per smart TV basata su Firefox OS di Paolo CENTOFANTI ino ad ora lo avevamo visto unicamente nell’interpretazione Panasonic, che ancora aspettiamo di vedere in versione definitiva, ma ora Mozilla ha rivelato nuovi dettagli sul suo sistema operativo per Smart TV, Firefox OS per TV. La principale novità, in particolare, è la nuova app Dashboard, che sarà installata di default sui TV Firefox con accesso diretto dalla home. Mozilla ha utilizzato la metafora dei mazzi di carte per illustrare la filosofia della sua nuova interfaccia, e di default sulla home screen principale ce ne saranno quattro: TV, app, dispositivi e appunto la nuova dashboard. Si tratta di un raccoglitore “delle principali informazioni di cui ha bisogno l’utente”, con quattro bordi attivi che permettono di accedere, in senso orario partendo dall’alto, ai controlli di riproduzione, alle notifiche, all’ora e alla lista canali. La Dashboard ricorda in parte un menù simile che avevamo visto sui TV Panasonic, an- F torna al sommario Ultra HD Blu-ray i primi modelli costeranno il triplo degli attuali che se le voci sono in questo caso diverse. Mozilla ha anche razionalizzato la personalizzazione della schermata principale. Gli elementi preferiti, ad esempio, verranno “infilati” nel mazzo corrispondente, in modo tale da tenere più organizzata la home, ma l’utente potrà anche creare delle cartelle miste. Sia canali che dispositivi collegati agli ingressi, oltre naturalmente alle app, vengono rappresentati in Firefox OS come delle icone o elementi che possono venire organizzati nella propria home personalizzata. Resta da capire quanto dell’impostazio- ne originale di Firefox OS verrà tenuto dai produttori che sceglieranno di utilizzare la piattaforma di Mozilla. di Emanuele VILLA Le aziende coinvolte nel Blu-ray a 4k di risoluzione iniziano a diffondere informazioni sulle specifiche dello standard e sugli apparecchi coinvolti. È il caso di Panasonic, azienda in primissima linea sul fronte del Blu-ray 4K, che in un’intervista a What Hi-Fi ha fornito alcune informazioni interessanti: innanzitutto pare confermato l’appuntamento con l’IFA per la presentazione dei primi prodotti commerciali, non solo da parte di Panasonic ma anche di altre aziende di primissimo piano, il tutto finalizzato ad avere i prodotti nei negozi entro la stagione delle festività. Si parla anche di prezzo: “non vedremo apparecchi da 1.000 dollari”, afferma Ron Martin, VP del Panasonic Hollywood Laboratory. In pratica, il dirigente Panasonic sostiene che il prezzo medio dei lettori sia “mainstream”, più contenuto. Lo stesso dichiara che il prezzo sarà di circa 2 o 3 volte quello degli equivalenti lettori standard, il che significa tutto e niente, visto che abbiamo player con posizionamento sotto i 100 euro così come quelli da 300 o 400 euro; diciamo che una previsione attendibile potrebbe essere (in media) di 700/800 euro al lancio, con fisiologica diminuzione dopo pochi mesi. I prezzi del software, a differenza dell’hardware, dovrebbero essere comparabili con gli attuali Blu-ray. Ma sul software dobbiamo tornare in seguito: al momento non c’è una lista ufficiale di titoli in uscita, che verrà (pensiamo) comunicata contestualmente agli annunci hardware. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TV E VIDEO Selfsat>IP è un’antenna piatta con sistema Sat-IP e compatibile con ricevitori Sky L’antenna del futuro è già pronta per il 4K Permette di vedere fino a 8 canali contemporaneamente su tablet, smartphone e TV di Roberto PEZZALI l satellite è l’unica piattaforma in grado di salvarci dalla bassa definizione, ma il satellite ha anche una serie di svantaggi, primo tra tutti la necessità di installare una parabola. Esistono sul mercato parabole non necessariamente circolari, ma una soluzione proiettata al futuro è stata presentata dal produttore coreano I Do It ai Tecnology Days di SES Astra. Selfsat>IP, questo il nome del prodotto, è un mix tra le note parabole quadrate Selfsat e la tecnologia Sat>IP. Questa tecnologia è passata un po’ in sordina in Italia dove la parola satellite è associata a Sky, ma è davvero qualcosa di rivoluzionario: una parabola Sat>IP, infatti, è in grado di utilizzare l’infrastruttura di rete IP esistente per portare il segnale TV. Dalla parabola esce quindi un cavo di rete che può essere inserito in un normale access point I TV E VIDEO Pronti a registrare i programmi TV con Xbox One? Periodo di rumor e indiscrezioni in quel di Redmond, e questa volta tocca all’altro grande player dell’ecosistema Microsoft, vale a dire Xbox One. Il giro di pensionamento che avrà luogo su PC con Internet Explorer e Media Center avrà conseguenze anche sull’esperienza di home entertainment, dove lo stesso Media Center finirà nel dimenticatoio lasciando spazio (si dice) a un vero e proprio DVR per registrare in diretta gli eventi televisivi. Quando? Pare entro la fine dell’anno. È vero, esiste già un TV Tuner per la console Microsoft, ma le possibilità di pausa, rewind e fast forward non sono nulla paragonate a un vero e proprio registratore digitale con magari anche il supporto per digitale terrestre integrato: un’opzione che la rivale PlayStation 4 offre agli abbonati al servizio Vue in alcune aree del mondo. Riuscirà Microsoft ad offrire quest’opzione in tutto il mondo, cara Vecchia Europa compresa? torna al sommario wireless per renderlo disponibile in tutta la casa. Selfsat>IP si spinge oltre in realtà: dispone di due uscite sat tradizionali per collegare un decoder come il MySky HD e di un’uscita di rete capace di servire contemporaneamente 8 diversi canali ai dispositivi della casa, che possono essere PC, tablet, smartphone o TV. Selfsat non ha limiti di banda: utilizzando un cavo gigabit può tranquillamente veicolare verso il TV un segnale 4K e più segnali Full HD, tutto dipende ovviamente dalla congestione di rete. Resta un unico dubbio, ma lo dissipiamo al volo: come si sintonizzano i canali e come si fa a Tra i nuovi modelli solo i TV LG saranno certificati Bollino Platinum e solo Samsung e LG avranno a bordo MHP I produttori puntano sulle loro piattaforme vederli? Esistono già in commercio molti client Sat>IP: ci sono applicazioni per PC e Mac, per tablet iOS e Android, per smartphone e ci sono anche TV compatibili con Sat>IP come i modelli Panasonic. L’elenco è disponibile sulla pagina del consorzio. La tecnologia Sat>IP potrebbe davvero cambiare la distribuzione dei canali satellitari nelle case, rendendo più semplice anche l’installazione della parabola. TV E VIDEO Trasmessi contenuti da satellite a TV Samsung J9500 Astra trasmette già HDR Ultra HD In realtà lo guardano quattro gatti S MHP non è ancora morto ma è già stato abbandonato di Roberto PEZZALI ES Astra ha dato il via alla prima sperimentazione di broadcasting di contenuti Ultra HD HDR via satellite. I contenuti, poche clip a dire il vero, sono stati trasmessi dal satellite a 19.2° EST direttamente verso un TV Samsung S-UHD J9500, capace non solo di gestire lo stream HEVC ma anche di gestire i metadati aggiuntivi per il video ad alta dinamica. La trasmissione di Astra è stata realizzata utilizzando la tecnologia Hybrid Gamma HDR sviluppata dalla BBC, una delle tante proposte al vaglio dei broadcaster in tema di HDR Video. Il vantaggio di questa tecnologia, cosa di non poco conto, è la possibilità di inviare un solo segnale compatibile sia agli attuali TV Ultra HD sia ai nuovi TV HDR: questi ultimi leggono il flusso aggiuntivo che permetterà, ai TV compatibili, di raggiungere anche i 1000 nits di luminosità di picco con un contrasto e una dinamica davvero esagerati. La trasmissione è tuttavia criptata: solo pochi partecipanti ai SES Industry Days hanno potuto vedere e ammirare i contenuti preparati per l’occasione, ma anche se fosse stata in chiaro la situazione non sarebbe cambiata più di tanto. Dateci almeno l’HD, l’HDR può aspettare anche dieci anni. di Roberto PEZZALI La piattaforma interattiva italiana ha i giorni contati e sembra che cadrà anche il sistema di bollini che le associazioni hanno creato per categorizzare i TV. Il bollino Platinum, che dovrebbe identificare i TV con HEVC a bordo, sarà probabilmente adottato solo da LG. Tutti gli altri, Samsung in primis, non sembrano avere intenzione di certificare i loro TV del 2015 nonostante alcuni rientrino nelle specifiche. Più che il bollino Platinum, al momento inutile vista l’assenza di trasmissioni in HEVC, fa riflettere la sorte dell’MHP: quasi nessun TV del 2015 avrà a bordo la piattaforma interattiva che permette di accedere a servizi come Rai Replay e La7 on Demand. Diciamo “quasi” perché al momento sembra che gli unici due produttori che continueranno a far funzionare le app interattive sui loro TV saranno Samsung e LG: tutti gli altri, Panasonic, Sony, Hisense e Philips non hanno alcuna intenzione di investire su quella che è una piattaforma morente. Unica eccezione Premium Play: anche senza MHP, i produttori di TV stanno cercando di far funzionare Premium Play usando la Premium Cam Wi-Fi proposta da Mediaset. Sta per iniziare quello che è un grosso braccio di ferro tra produttori, broadcaster e fornitori di contenuti: chi realizza TV vorrebbe veder crescere il proprio ecosistema smart, con app per Tizen, WebOS, Firefox TV e Android TV, i broadcaster vorrebbero invece vedere le loro app veicolate tramite i canali tradizionali per avere un minimo di controllo sulle app stesse e sui loro utenti. Chi vincerà? Se va avanti così perderemo tutti. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE MOBILE Oltre alla qualità fotografica è buona anche la dotazione hardware. In arrivo a giugno Sony Xperia C4 per selfie di qualità “pro” Selfie-phone di fascia medio-alta con fotocamera frontale da 5 Megapixel con flash LED A di Emanuele VILLA ssecondando la moda del momento, ovvero quella dei selfie (o autoscatti, come si chiamavano nella “preistoria”), Sony presenta il nuovissimo Xperia C4, un terminale Android di fascia medio/alta ma contraddistinto da una sezione fotografica di tutto rispetto. In termini generali, Xperia C4 è un dispositivo molto ampio, con display da 5,5’’ IPS dalla risoluzione Full HD, monta un processore MediaTek MTK6752 Octa-core da 1,7 GHz e, ovviamente, integra l’ultima incarnazione di Android, 5.0 Lollipop. Su questa, le tradizionali app e personalizzazioni di casa Sony, al fine di garantire un’esperienza d’uso appagante. Ovviamente 4G, il nuovo Xperia C4 è anche dotato di NFC, superficie resistente ai graffi, design “morbido” come nella recente tradizione Xperia, 2 GB di RAM e 16 GB di memoria di storage, che si può porta- re fino a 128 GB tramite i classici moduli micro SD. Non mancano le tradizionali tecnologie Sony dedicate all’audio, come Clear Audio+, Clear Bass, xLOUD e altre ancora, ma il vero potenziale si esprime nella fotocamera, in particolare in quella frontale. Questa è infatti dotata non solo di flash LED, ma di un sensore da 5 Megapixel Exmor R e ottica grandangolare 25mm pensata appositamente per i selfie. Il tutto completato da un modulo principale da 13 Megapixel con HDR auto e possibilità di riprendere video in Full HD. La disponibilità è prevista per giugno, a un prezzo di listino non ancora annunciato. Huawei P8 Lite punta sul comparto fotografico Rispetto al P8 si riducono un po’ display e velocità del processore ma rimane la connessione 4G di Andrea ZUFFI H torna al sommario Avvistate online le specifiche di Moto X versione 2015 Se dovessero essere confermate, sarà uno smartphone in grado di creare più che qualche grattacapo alla concorrenza di Massimiliano ZOCCHI MOBILE Simile al fratello maggiore, il Lite mantiene i 13 MPx della fotocamera al costo di 249 € uawei annuncia l’arrivo di un nuovo smartphone nella gamma P8. Molto simile nel design al suo predecessore, Huawei P8 Lite ha un display IPS da 5 pollici con risoluzione 1280x720 pixel e si presenta con un design essenziale e una scocca da 7,7 mm di spessore rifinita in metallo satinato sui fianchi e sulla cover posteriore. Molto simile al modello P8, pensiamo che possa avere un rapporto qualità/prezzo addirittura superiore, considerando un listino molto attraente di 249 euro. Ad animarlo un processore Hi-Silicon Kirin 620 Octa-core a 1.2 GHZ, con 2 GB di RAM, 16 GB di memoria per lo storage ulteriormente espandibile fino a 128 GB tramite slot microSD. Oltre a Wi-Fi b/g/n e Bluetooth 4.0, P8 Lite è dotato di connettività LTE in Cat.4. Tra i punti di forza del terminale il produttore indica un comparto fotografico Il Moto X 2015 farà tremare i concorrenti composto da un obiettivo posteriore grandangolare da 28 mm e apertura F/2.0, con dual-tone flash LED, capace di scattare foto a 13 Megapixel e riprendere video a 1080p e 30 fps. Il sensore posto nella parte frontale è da 5 Megapixel e registra video a 720p. Huawei P8 Lite ottimizza le immagini catturate con soluzioni software come, ad esempio, Image Sharpening Algorithm oppure I Shine per il riconoscimento volti o ancora la modalità automatica di post-miglioramento della messa a fuoco. Non mancano molte altre funzioni fotografiche come sound & shoot, panorama e la cattura automatica del sorriso. P8 Lite, con Android 5.0 Lollipop e interfaccia EMUI 3.1, sarà distribuito in oltre 30 paesi, Italia inclusa, a partire da luglio 2015. Tempo di attesa anche per il Moto X in versione 2015, e come sempre partono i rumor, i leak e via dicendo. I ragazzi di STJS Gadgets Portal sostengono di aver avvistato una pagina web con le specifiche del futuro top di gamma dell’azienda ora controllata da Lenovo. Motorola al momento non ha nemmeno annunciato il nuovo modello per cui, in attesa di conferme, queste voci vanno considerate con la massima cautela, ma se dovessero rivelarsi veritiere saremo di fronte a un top di gamma senza compromessi. Il processore dovrebbe essere uno Snapdragon 808, lo stesso presente a bordo di LG G4, supportato da 4 GB di RAM. Pare che anche Motorola si sia convinta che ormai 16 GB sono pochi, offrendo la scelta di 32 o 64 GB di storage interno, e forse mancherà lo slot micro SD come nel predecessore. Il display da 5.2” passerà alla risoluzione quad HD (2560 x 1440), mentre le fotocamere saranno da 16 e da 5 Megapixel. Infine, secondo STJS la batteria garantirà una buona autonomia grazie ai 3.280 mAh, ma ancora non si sa se ci saranno ulteriori ottimizzazioni software per risparmio energetico. Probabilmente potremo toccare con mano Moto X a settembre. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE MOBILE La versione per iOS arriverà più avanti; Microsoft ha dichiarato di essere già al lavoro Hyperlapse disponibile per Windows e Android Realizza time-lapse automatici di grande qualità. Esiste anche la versione Windows PC A di Emanuele VILLA nnunciata qualche mese fa, l’app Hyperlapse di casa Microsoft fa il suo debutto negli store Android e Windows, in quest’ultimo caso sia per smartphone che in versione PC. Niente iOS ma è solo questione di tempo: Microsoft ha infatti dichiarato di essere al lavoro su una versione dedicata ai dispositivi Apple. Hyperlapse è la tecnologia pensata per rendere i filmati delle Action Cam lavori dal look professionale: annunciata poco prima che Instagram lanciasse una funzionalità analoga per iOS, Hyper- Microsoft Hyperlapse lapse realizza dei time-lapse automatici di eccezionale qualità mediante stabilizzazione avanzata dei singoli fotogrammi. A differenza dell’analoga funzione di Instagram, qui non c’è bisogno di registrare il video tramite app: si può intervenire a posteriori anche su video già registrati, con qualsiasi strumento disponibile. Il core del sistema è la stabilizzazione avanzata dei fotogrammi, per la quale viene utilizzata una tecnologia di image processing invece di elaborare i dati provenienti dai sen- sori del telefono. Hyperlapse usa tecniche di riconoscimento di porzioni d’immagine, cosa particolarmente utile quando si tratta di stabilizzare elementi come il viso di uno sciatore, un motociclista che si riprende e via dicendo. La grossa differenza tra le app riguarda la versione Windows (PC) che è pubblicizzata come “pro” e - dopo un periodo di trial - verrà venduta a un prezzo non ancora fissato: questa versione incorporerà funzioni di stabilizzazione e di editing avanzate. MOBILE Nessuna conferma ufficiale da Mountain View anche se è comparsa una pagina web Il 28 maggio Google (forse) presenterà Android M Al Google I/O si parlerà di Android M. Sono aperte le scommesse sulle novità più corpose... N di Massimiliano ZOCCHI egli ultimi anni Google ha sempre scelto di presentare la nuova incarnazione di Android durante la developer conference Google I/O, e pare che anche il prossimo 28 maggio, non andrà diversamente a causa dell’arrivo di Android M. Nel 2014 la versione 5.0, inizialmente chiamata Android L, diventò poi Lollipop nella sua veste definitiva, e il “toto nomi” per M si è già scatenato. Nessuna conferma o smentita da Mountain View, anche se nei giorni scorsi è comparsa una pagina web relativa agli eventi in programma, con evidenti richiami al mondo del lavoro, e nella descrizione veniva citato apertamente Android M. La pagina ora è stata rimos- sa da Google, non sappiamo se sia stato un errore o uno spoiler volontario per alzare i toni dell’attesa. Di sicuro Google ha da tempo deciso di non trascurare il mondo del business, e la nuo“Android M porta la potenza di Android in va release di Android potrebbe ogni situazione lavorativa. Questo apre un portare significative novità in enorme mercato per centinaia di milioni di questo ambito. dispositivi di lavoratori e piccole aziende” Un’altra sessione per sviluppatori che ci regala qualche torna al sommario indizio ha come oggetto Voice Access, e andando a leggere la descrizione pare che Google voglia intraprendere la strada del controllo totale tramite comandi vocali. Non più solo le poche istruzioni possibili oggi con Ok Google, ma la possibilità di utilizzare le app solo con la propria voce. Non ci resta che attendere la fine del mese per scoprire cosa vedremo realmente. Taglio di prezzo per YotaPhone2 e arriva la versione bianca Yota annuncia l’arrivo di una nuova versione totalmente bianca dello smartphone con doppio display Ma arriva anche l’aggiornamento a Lollipop e soprattutto un taglio di prezzo di ben 150 euro di Paolo CENTOFANTI Lo YotaPhone2 continua a rimanere uno smartphone del tutto unico nel panorama attuale e ora si arricchisce di un’opzione in più: Yota Devices ha infatti annunciato la disponibilità di una nuova versione in edizione limitata dello YotaPhone2 con scocca bianca, che ben si sposa con il display e-ink posto sul retro. Non è l’unica novità. Oltre al nuovo modello di telefono, Yota ha annunciato un importante aggiornamento software per entrambe le versioni dello smartphone, un update che include l’aggiornamento ad Android 5.0 Lollipop e soprattutto nuove funzionalità per quanto riguarda lo sfruttamento del display secondario e-ink, con nuovi widget e il supporto per un maggior numero di applicazioni per quanto riguarda la modalità always on. Ancora più importante è però forse il taglio al prezzo di listino dello smartphone, indipendentemente dal “colore” della versione scelta: lo Yotaphone2 ha infatti ora un prezzo consigliato al pubblico di 599 euro, ben 150 euro in meno rispetto al prezzo di lancio. Potete rileggere le nostre impressioni sullo smartphone nella nostra recensione completa. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE MOBILE Qualche semplice passaggio e LG G Watch R ha funzionato abbastanza bene con iPhone 6 Usare smartwatch Android con iPhone si può È possibile utilizzare smartwatch Android Wear con iOS senza bisogno di modifiche o jailbreak I di Roberto PEZZALI OS e Android Wear è già realtà, senza che Google rilasci l’applicazione ufficiale. Tutto grazie a uno sviluppatore che ha realizzato un’applicazione che sfrutta lo stesso sistema già usato anche da Pebble: bastano due app, una su iOS e una su Android, per poter collegare un qualsiasi smartwatch Android Wear a un iPhone con iOS 8 e gestire chiamate, notifiche e applicazioni. L’app in questione è già abbastanza stabile, ma giorno dopo giorno vengono raffinate alcune librerie e apportati miglioramenti: nel momento in cui stiamo scrivendo abbiamo al polso un LG G Watch R che sta funzionando perfettamente collegato a un iPhone 6, senza problemi di autonomia o di sorta. Per poter collegare uno smartwatch Android Wear a un iPhone bisogna necessariamente passare da uno smartphone Android: esistono scorciatoie ma avere lo smartphone è la scelta più breve. La procedura non crea problemi di sorta, non implica modifiche né jailbreak. L’applicazione da scaricare sullo smartwatch (e per farlo serve appunto uno smartphone I sensori posti a contatto con il polso rileveranno i dati della frequenza cardiaca senza l’ausilio di fasce toraciche né di altri accessori di Michele LEPORI Dopo aver installato l’app su Android Wear basta lanciarla dallo smartwatch e abilitare “iOS Service”, il “demone” che girando in background permette di sincronizzare Android Wear con iOS. L’iPhone non riconosce lo smartwatch di default, ma serve un’utility denominata BLE Utility che serve per provare a gestire periferiche Bluetooth Low Energy. L’installazione dell’app, disponibile su AppStore, ci permette di effettuare il pairing tra smartwatch e iPhone. Il resto viene da sé: chiamate, notifiche, mail, tutto Scaricando l’utility BLE Utility si effettua il pairing funziona senza problemi con la ricezione di notifiche non solo su chiamate, SMS e mail ma anche su servizi di messaggistica Whatsapp. MOBILE Debutta a settembre e sarà disponibile a fine anno Svelati i primi dettagli di Orbis Lo smartwatch tondo di Samsung L’app da installare su Android Wear tramite smartphone Android Android) è Wear Connect for iOS, un’app che abilita sullo smartwatch la gestione delle notifiche da iOS. L’installazione è automatica, ma volendo esistono anche scorciatoie per l’installazione manuale che si trovano sulla pagina di Github dalla quale è possibile anche seguire gli update e visionare il codice sorgente. Dopo aver installato l’app va abilitato iOS Service torna al sommario GPS, battito cardiaco e tanti sensori per il Garmin Forerunner 225 N di Emanuele VILLA onostante il debutto sia fissato per il prossimo settembre, presumibilmente in occasione dell’IFA di Berlino, le notizie circa il prossimo smartwatch Samsung (quello con quadrante rotondo) iniziano ad essere molte. L’azienda ha rilasciato l’SDK agli sviluppatori, dal quale si possono dedurre molte informazioni sul prossimo orologio smart dell’azienda: confermato il quadrante circolare così come tutto lo chassis metallico, corona inclusa; il display sarà un OLED da 1.18” con risoluzione di 360x360 pixel, che si traducono in una densità di pixel di 305 ppi. Ricchissima la dotazione di sensori, tra i quali accelerometro, giroscopio, rilevatore di battito cardiaco, ecc. Da notare la presenza del GPS integrato, mentre pare siano assenti il sensore di luminosità ambientale e quello UV. La corona può essere usata per navigare nei menù ma anche per accedere a particolari funzioni contestuali, come lo zoom e la regolazione del volume. Ovviamente presente la connettività Bluetooth per la sincronizzazione con lo smartphone, per ricevere le chiamate e per le notifiche, che rappresentano la funzione portante dello smartwatch. Mancano informazioni sul nome, per quanto si ipotizzi un Gear A anche per certificare il suo posizionamento nella fascia alta della gamma. Garmin presenta Forerunner 225, dispositivo di controllo per l’attività fisica dei runner che vogliono monitorare costantemente la frequenza del battito cardiaco senza indossare una fascia cardio. Sfruttando il brevetto di rilevamento del battito usato dalla famosa azienda canadese Mio Global sui propri dispositivi, Garmin ha dotato il Forerunner di un sensore ottico di rilevamento dei battiti. Il quadrante mostra il battito cardiaco al centro mentre attorno saranno visualizzate delle zone colorate che indicheranno quale fase di corsa stanno portando avanti: grigio, blu, verde, arancione e rosso saranno i colori di riferimento per riscaldamento, inizio, fase aerobica, spinta e massima. I dati saranno stimati sulla base statistica dell’età del runner, ma tramite app saranno personalizzabili sulle proprie esigenze. Dan Bertel di Garmin e Liz Dickinson di Mio Global sottolineano come la partnership sia stata di mutuo beneficio, da una parte i 10 anni di esperienza di Garmin nel settore running e dall’altra la tecnologia canadese che ci ha messo poco a imporsi sul pubblico di professionisti e amatori. “Sempre più atleti stanno riconoscendo l’importanza della misurazione della frequenza cardiaca per la costruzione di un training personalizzato e noi siamo qui per dimostrare che i dispositivi indossabili sono qualcosa da avere assolutamente per ottimizzare le proprie sessioni”. Garmin Forerunner 225 sarà disponibile da giugno a un prezzo consigliato di 299 euro. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE MOBILE Un modo interessante per unire il bello della tradizione con il fascino della tecnologia IWC trasforma un orologio di lusso in smartwatch IWC Schaffhausen permette di aggiungere ai propri orologi un sensore dedicato: IWC Connect di Emanuele VILLA I l mercato degli smartwatch è decisamente sui generis: di proposte ce ne sono diverse, ma in attesa di dati certi su Apple Watch, le stime di crescita previste dagli analisti si scontrano con un approccio un po’ freddino dei potenziali clienti. Il perché è presto detto: così come fa piacere avere al polso un oggetto hi-tech che ci aiuti nella routine quotidiana, nessuno di noi è disposto a compromessi sotto il profilo estetico; se lo smartwatch è il sostituto dell’orologio, deve essere altrettanto bello. Lo sanno bene i produttori di orologi, che poco per volta stanno adeguando la propria offerta alla tecnologia di ultima generazione, e lo sa anche IWC Schaffhausen, noto produttore di orologi di lusso che ha deciso di adottare un approccio differente. Visto che in azienda non hanno nessuna intenzione di “ritoccare gli orologi”, la soluzione è quella di aggiungere un sensore da indossare nel cinturino, ovviamente coordinato. La decisione In un meeting con gli investitori, Satoru Iwata ha confermato che l’azienda entrerà nel mercato del gaming per smartphone Sono attesi cinque giochi entro marzo 2017 il primo a fine anno presa dall’azienda è conseguenza della semplice osservazione: molte persone tengono l’orologio da una parte e indossano un fitness tracker dall’altra; meglio unire entrambi i prodotti in uno solo ma senza compromessi sotto il profilo estetico e senza costringere nessuno a cambiare orologio. Il sensore è un dispositivo sottile a forma circolare, chiamato IWC Connect e a tutti gli effetti un fitness tracker: non ha tutte le funzionalità di uno smartwatch né un display, ma i “soliti” sensori per il calcolo dei passi, del movimento e (di conseguenza) delle calorie, oltre alla connettività Bluetooth per la gestione dell’app di supporto. Non ci sono altre informazioni per il momento, non si sa quali funzioni saranno permesse dall’app e non si sa quanto verrà a costare, ma rappresenta un’alternativa interessante per chi ama gli orologi di alto livello e vorrebbe “aggiornarli” alle ultime tendenze tecnologiche. SCIENZA Porterà l’autonomia degli smartwatch a 6 mesi e sarà utilizzabile sulle auto elettriche Swatch promette una batteria per smartwatch L’azienda svizzera sta lavorando su una nuova tecnologia di batterie definita rivoluzionaria di Paolo CENTOFANTI N ick Hayek, CEO di Swatch, ha annunciato in un’intervista di essere al lavoro, insieme al produttore di batterie Renata, su una tecnologia rivoluzionaria in grado di risolvere il grande problema dell’autonomia degli smartwatch ma non solo. Un’affermazione forte, ma Hayek sembrerebbe fare sul serio, dichiarando che porteranno la nuova soluzione sul mercato già l’anno prossimo. L’obiettivo primario è quello di migliorare l’autonomia degli smartwatch, e la nuova tecno- “Il prossimo anno arriveremo sul merca- tra l’altro l’azienda logia sarebbe in to con una batteria rivoluzionaria, non svizzera sta per grado di offrire solo per gli orologi ma anche per le auto” diventare uno dei nuovi protagonisti. fino a 6 mesi di Nick Hayek, CEO di Swatch Secondo quanto difunzionamento di uno smartwatch con una sola ricari- chiarato da Hayek, la nuova tecnologia ca. Ma il progetto di Swatch va oltre il sarà utilizzata anche per la produziomercato degli indossabili smart, di cui ne di nuove batterie per le automobili torna al sommario Il primo gioco per smartphone di Nintendo uscirà a fine anno elettriche, settore che aspetta da molto tempo innovazioni in grado di abbattere i costi degli accumulatori, fattore chiave per il loro successo. Le dichiarazioni di Hayek sono state confermate da un portavoce di Swatch a Reuters. Nessun dettaglio è stato comunicato però sui dettagli tecnici di questa innovazione. di Emanuele VILLA Com’è noto, Nintendo ha recentemente presentato la prima trimestrale in attivo dopo anni di sofferenze più o meno profonde. Continuerà, dunque, a produrre hardware con una console chiamata NX che è attualmente in fase di sviluppo, proseguirà a produrre giochi e, notizia di qualche tempo fa, entrerà nel mondo dei game per smartphone. La cosa si sapeva già, ma ora Iwata, approfittando di una riunione con gli investitori, ha approfondito il discorso dicendo che il primo gioco arriverà entro fine anno ed è già prevista una roadmap di cinque titoli entro marzo 2017. Iwata ha, inoltre, sottolineato che non è intenzione dell’azienda effettuare un semplice “porting” di giochi già esistenti: saranno titoli inediti o riscritti completamente per permettere la massima interazione via display touch. A chi ha sostenuto che cinque titoli sono pochi in un orizzonte temporale di due anni, Iwata ha risposto di voler prediligere la qualità a dispetto della quantità e di voler garantire il massimo supporto (supponiamo, con aggiornamenti costanti). Appuntamento a fine anno... n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE PC Microsoft ha rilasciato i dettagli su tutte le versioni di Windows 10 disponibili al lancio Windows 10 sarà disponibile in 7 versioni Accanto alle versioni ormai classiche spunta Windows 10 IoT Core, per l’Internet of Things M di Paolo CENTOFANTI icrosoft invita a considerare Windows 10 più come un servizio che un sistema operativo nel senso classico del termine, ma intanto saranno ben 7 le versioni che saranno disponibili al lancio, 8 se vogliamo prendere in considerazione anche quella ottimizzata per i bancomat. In un post sul blog ufficiale, Microsoft ha infatti illustrato nel dettaglio quali saranno i “gusti” di Windows 10, che si differenziano sia per tipo di utente, che di dispositivo su cui andranno a girare. Le versioni “classiche” saranno Windows 10 Home e Windows 10 Pro, che si differenziavano essenzialmente per la presenza in quest’ultima di alcune funzionalità pensate per professionisti e piccole aziende per “gestire in modo efficiente dispositivi e applicazioni, proteggere i dati aziendali, supportare produttività da remoto e in mobilità e sfruttare i vantaggi delle tecnologie cloud”. Entrambe le versioni sono naturalmente pensate per i PC desktop, tablet e convertibili 2 in 1. Come già era nell’aria da tempo, visto che il nome Windows Phone non veniva più utilizzato da Microsoft da tempo, la nuova versione di Windows 10 per In un video Microsoft mostra le novità introdotte dal browser di Windows 10 e perché era necessario abbandonare il progetto Internet Explorer smartphone si chiamerà semplicemente Windows 10 Mobile. Sarà ottimizzato per smartphone e “piccoli tablet” e includerà le stesse universal apps che faranno parte dell’installazione di base di Windows 10 Home e la versione touch di Office 10. Tramite la funzione Continuum sarà inoltre possibile utilizzare le universal app con la stessa interfaccia di Windows 10 Home collegando i nuovi smartphone che usciranno più avanti nel corso dell’anno a un monitor esterno. Ci sarà anche un Windows 10 Mobile Enterprise, pensato per le grandi aziende e con funzionalità di gestione coordinata di aggiornamenti e applicazioni installate, oltre a nuove funzionalità di sicurez- za pensate per le aziende. Sempre per le grandi aziende ci sarà poi Windows 10 Enterprise, mentre per le scuole Windows 10 Education, versioni che avranno specifici programmi di licenza e funzionalità dedicate alla sicurezza. Per finire ci sarà anche una versione di Windows 10 per l’Internet of Things e denominata Windows 10 IoT Core, pensata appunto per dispositivi a basso consumo energetico e con funzionalità di base. Per quanto riguarda il programma di aggiornamento gratuito questo vale unicamente per Windows 10 Home, Pro e Mobile e naturalmente a patto di arrivare da Windows 7, Windows 8.1 o Windows Phone 8.1. GAMING Comfermato l’arrivo nel primo trimestre 2016 della Consumer version di Oculus Rift VR Ufficiale: a inizio 2016 arriva Oculus Rift VR I pre-ordini inizieranno entro la fine di quest’anno e si pensa che saranno molto numerosi O di Roberto PEZZALI culus Rift si è fatto attendere ma alla fine è quasi pronto: i pre-order della versione consumer infatti scatteranno entro la fine dell’anno e chi lo ha ordinato lo potrà avere entro la fine del primo trimestre del 2016. Lo ha annunciato finalmente Oculus, un annuncio che molti stavano aspettando da tempo: ci sono voluti quasi quattro anni di prototipi, kit per sviluppatori e tante righe di codice ma alla fine l’ambito visore da gaming è in dirittura d’arrivo. La prima versione finale sarà basata sul prototipo Crescent Bay, anche se nei prossimi giorni verranno diramati tutti i dettagli tecnici e ulteriori informazioni su quelli che saranno i cambiamenti torna al sommario Microsoft Edge sarà più veloce di Internet Explorer principali tra versione per sviluppatori e versione finale. Ci si augura, per esempio, che Oculus abbia trovato il modo di aumentare la risoluzione percepita provando magari il display da 5.5” 4K di Sharp. Lo sapremo solo tra qualche giorno: per il momento Oculus si limita a rilasciare le foto del nuovo headset, con una forma più ergonomica e linee più morbide. di Michele LEPORI Il nuovo browser di Microsoft in arrivo con Windows 10, Edge, promette di fare faville e Microsoft ne è davvero orgogliosa, tanto da dedicargli un articolo ed un video. Il vero cambio epocale, che segna di fatto la fine di un’era, è la perdita di DirectX Filters, ActiveX, VBScript e tutti i linguaggi che hanno fatto la storia di Internet Explorer e che dall’uscita di Edge saranno solo un nome nel libro dei ricordi: via libera quindi ad un browser leggero, veloce ed in grado di avere lo stesso appeal di browser più moderni come Chrome e Firefox. “La decisione di non supportare queste tecnologie in Edge porta con sé i benefici di ammodernare l’appeal di un browser che appariva ormai poco interessante se paragonato alla concorrenza. Per non parlare del netto miglioramento in termini di prestazioni, sicurezza ed affidabilità: il nostro team di sviluppo ha anche lavorato per ridurre la complessità del codice sorgente, eliminando circa 220.000 linee di codice MSHTML pasando all’HTML di Edge!”, questo un estratto dell’entusiasmo del team di sviluppo che non nasconde le aspettative per la loro nuova creatura. Per tutto il resto, vi lasciamo alla visione del video. Edge, Rendering Engine n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE HI-FI E HOME CINEMA I sintoampli Onkyo con DTS:X hanno caratteristiche tecniche interessanti Onkyo batte tutti con il primo ampli DTS:X Non sono top di gamma ma hanno il Dolby Atmos e riproducono musica in alta risoluzione di Roberto FAGGIANO nkyo batte sul tempo i concorrenti e presenta i primi apparecchi compatibili con la nuova tecnologia DTS:X ( qui trovate i dettagli tecnici), si tratta di due sintoamplificatori home theater di livello medio-alto ma con prezzi più che accessibili. In effetti la nuova tecnologia non è stata ancora rilasciata ma sarà disponibile con un semplice aggiornamento del firmware non appena disponibile. Il TX-NR747 (999 euro) è un sintoamplificatore home theater 7.2 (che diventerà un 7.1.4 quando sarà disponibile il DTS:X) da 175 watt per canale (6 ohm, 1% THD) già pronto con Dolby Atmos, 4K, HDMI 2.0a, HDCP 2.2, HDR, certificazione THX Select2 Plus, convertitore audio D/A AKM 4558 da 32bit/384kHz, compatibilità con musica DSD, Wi-fi e Bluetooth già integrati, Airplay, DLNA, Spotify Connect e Deezer. Ottima la versatilità con 8 ingressi HDMI e doppia uscita main/sub, ingressi digitali audio coassiali e ottici ma anche il pre phono per un giradischi. Il modello TX-NR646 O Il sistema Qualcomm alla base di molti diffusori senza fili si arricchisce di nuove funzionilità, tra cui il re-streaming Bluetooth via Wi-Fi e una migliore sincronizzazione per il multiroom ONKYO TX-NR747 (699 euro) è praticamente identico al modello superiore ma ha potenza leggermente inferiore, pari a 160 watt per canale (6 ohm, 1% THD), e perde la certificazione THX. Identica la versatilità e identica la conversione D/A con lo stesso chip AKM4558 per la piena compatibilità con la musica in alta risoluzione. I nuovi apparecchi sono comandabili a distanza dal loro telecomando oppure di Paolo CENTOFANTI ONKYO TX-NR646 dalla nuova app Onkyo Remote Streaming scaricabile su smartphone e tablet. Entrambi i modelli sono disponibili in versione nera oppure silver. HI-FI E HOME CINEMA Sonos annuncia le novità in arrivo con l’aggiornamento software 5.4 Anche l’home theater di Sonos dice addio ai cavi La configurazione sarà totalmente wireless. Maggiore qualità audio per il piccolo PLAY:1 U di Paolo CENTOFANTI na delle caratteristiche più apprezzate dell’ecosistema Sonos è quello dei continui aggiornamenti software che ne migliorano diversi aspetti. Il prossimo di questi update, il numero 5.4, introdurrà un’importante novità per quanto riguarda l’utilizzo in configurazione surround di più diffusori. Se Sonos aveva infatti eliminato lo scorso anno il vincolo di almeno un diffusore connesso via cavo alla propria rete locale, questa limitazione era rimasta per l’utilizzo dei diffusori Sonos come canali surround per la PLAYBAR. Con il nuovo aggiornamento tutti i diffusori potranno essere collegati alla rete Wi-Fi esistente senza bisogno di cavi. Novità anche per il piccolo PLAY:1, il modello base di Sonos, che con il nuo- torna al sommario vo aggiornamento guadagnerà in prestazioni audio, per “voci ancora più naturali” soprattutto nell’ascolto ad alto volume e una migliore ottimizzazione della riproduzione quando il PLAY:1 è abbinato a un subwoofer. Sonos ha annunciato inoltre la disponibilità di Qualcomm aggiunge il Bluetooth ai diffusori AllPlay nuovi tool di sviluppo che a brevissimo permetterà ai servizi di streaming supportati di offrire un maggior numero di funzionalità. L’aggiornamento darà disponibile in estate per tutti, ma gli utenti Android possono già provare alcune novità in beta. La tecnologia audio wireless di Qualcomm, AllPlay, si evolve: i prossimi dispositivi saranno compatibili con il Bluetooth con la possibilità di collegare una sorgente a un diffusore con questa tecnologia per poi “rilanciare” il segnale in Wi-Fi ad altri diffusori compatibili AllPlay. Sarà così possibile produrre ad esempio diffusori portatili Bluetooth inseribili poi in un sistema multiroom più ampio basato sul Wi-Fi. Inoltre, sarà possibile collegare una sorgente analogica a un dispositivo AllPlay e riprodurre la musica su più diffusori wireless. Tra le altre novità, Qualcomm ha annunciato l’introduzione di controlli audio tra cui l’equalizzazione del segnale, selezione del canale audio e la riduzione della latenza a 100 microsecondi per ottenere una sincronizzazione migliore in configurazione multiroom o multicanale dei diffusori. Per chi non la conoscesse, AllPlay è una tecnologia che Qualcomm vende a terze parti e che consente di effettuare lo streaming da smartphone e tablet verso più diffusori senza fili, per realizzare sistemi audio multiroom “alla Sonos”, anche con componenti di marchi diversi, basta che siano tutti certificati AllPlay. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE SMARTHOME Presentata ufficialmente nel nostro Paese la gamma di prodotti Arlo di Netgear Netgear Arlo, la IP camera totalmente wireless Un sistema di videocamere IP anche per la sorveglianza outdoor. Una piattaforma che cresce di Paolo CENTOFANTI arrivata sul mercato italiano la nuova gamma di videocamere IP di Netgear, Arlo. Si tratta di un sistema di videosorveglianza che si distingue per alcune caratteristiche del tutto peculiari, prima tra tutte la totale assenza di cavi. Le videocamere del sistema Arlo, infatti, sono dotate di batterie (utilizzano 4 pile CR123) e si collegano alla rete in modalità wireless. Non solo, sono anche certificate IP65 (impermeabili e resistenti alla sabbia) e in grado di funzionare con temperature comprese tra i -10 e i +50 gradi, il che permette di utilizzarle anche in esterno. Dotate di un design piacevole e compatto, le videocamere Arlo riprendono video con qualità 720p, anche in modalità notturna grazie all’illuminatore LED infrarosso integrato (portata circa 8 metri), e sono dotate di funzione di rilevamento del movimento, che le consente di accendersi automaticamente e registrare il video solo quando serve. Altro fattore di non poco conto la semplicità di installazione: le videocamere si fissano al muro (o qualsiasi altro appoggio) tramite l’apposito pomello magnetico, di cui in dotazione ne troviamo almeno due in ogni bundle, per permettere di spostare la videocamera con facilità da un ambiente all’altro. Le videocamere si collegano in realtà alla rete tramite un’apposita base station che andrà collegata al router di casa. Per poter offrire un’autonomia che può arrivare fino a 6 mesi per le batterie, Netgear ha implementato una versione ottimizzata del Wi-Fi 802.11n, oltre a un protocollo di sicurezza proprietario per proteggere i dati trasmessi dalle videocamere. La base station è inoltre dotata di due porte USB che permetteranno in futuro di aggiungere nuove funzionalità. Più avanti, ad esempio, Netgear introdurrà a completamento del sistema anche sensori per porte e finestre, ma l’azienda sta studiando la possibilità di integrare il supporto alle videocamere anche direttamente in alcuni dei suoi modelli di modem/router. L’hardware però è solo uno degli aspetti che caratterizza il sistema di Netgear. Arlo si basa, infatti, su una piattaforma cloud che consente un rapido accesso alle videocamere, ai filmati registrati e alla loro configurazione da qualsiasi dispositivo: basta un browser o un app per smartphone e tablet. L’intuitività dell’interfaccia è uno dei principali punti su cui ha lavorato Netgear con Arlo, È torna al sommario che è ottimizzata principalmente proprio per l’utilizzo via smartphone. La qualità di immagine, ad esempio, si regola automaticamente in funzione della connessione disponibile e quando una videocamera si attiva in conseguenza del rilevamento di un movimento, viene istantaneamente inviata una notifica push allo smartphone. I video vengono direttamente registrati sulla piattaforma cloud di Netgear e sono riproducibili da app o attraverso il browser. Il piano base è gratuito e consente di registrare fino a 1 GB di filmati per fino a 5 videocamere diverse, pari a circa 7 giorni di registrazione. Dopo una settimana, i filmati che non sono stati selezionati come preferiti verranno automaticamente cancellati per liberare spazio per le nuove registrazioni. Per chi ha bisogno di più spazio (o più giorni di registrazione) ci sono due piani a pagamento, 8,99 euro al mese per 30 giorni e 10 GB di spazio e 13,99 per 60 giorni e 100 GB, oltre che Una speciale lampadina in grado di donare un tocco di atmosfera in più agli ambienti È la LED Light Bulb Speaker di Sony che ha un altoparlante integrato, Bluetooth e si controlla anche con lo smartphone supporto per fino a 15 videocamere e 3 base station. Parlando di costi, Arlo è disponbile in diversi kit. Quello base include la base station e una videocamera a un prezzo di 299,99 euro, che diventano 459,99 euro per il kit con due videocamere e 599,99 per tre. Ogni singola videocamera aggiuntiva stand alone costa 189,99 euro. Entro fine anno Netgear lancerà una versione di videocamera Arlo ma con alimentazione cablata, pensata soprattutto per l’utilizzo in cui si richiede la registrazione continua dei video. SMARTHOME Un microonde controllato con lo smartphone La cena è servita in 30 secondi Con Genie basta una cialda di V.R. BARASSI G Sony presenta la lampadina LED con speaker integrato li affezionati alla serie di Star Trek ricorderanno sicuramente il celebre “replicatore di materia a matrice molecolare” - per gli amici, replicatore e basta presente a bordo dell’Enterprise. Prendendo proprio come fonte di ispirazione il dispositivo immaginario della serie (che trasformava materia inerte e energia pura in cibo e oggetti), una startup israeliana ha annunciato Genie, particolare robot da cucina che sembra dotato di poteri magici. Gli ideatori di Genie sono rimasti vaghi sui dettagli e il brevetto è in corso di approvazione, ma quel che pare certo è che Genie sia capace di preparare “cibo vero” a partire da una serie di cialde contenenti polveri disidratate, controllando tutto con lo smartphone e in soli trenta secondi. Il mistero è fitto ma i passaggi per ottenere il pasto pronto sono pochi e semplici: basta selezionare il piatto che si vuole ottenere, inserire le cialde richieste all’interno di Genie, aggiungere un po’ di acqua e dopo mezzo minuto si mangia. Ovviamente non possiamo giurare sulla qualità del risultato: nel dubbio, e pur amando la tecnologia, preferiamo continuare ad accendere i fornelli. Quelli veri. Ma se siete interessati a Genie e volete pre-ordinarlo (senza sapere come funziona!), vi rimandiamo al sito ufficiale del progetto. di V. R. BARASSI Le lampadine intelligenti ormai non sono poi una così grande novità ma quando un’azienda come Sony decide di metterci “quel tocco in più” le cose cambiano. È così che dal Giappone arriva la notizia della prossima commercializza- zione di LED Light Bulb Speaker, nient’altro che una lampadina a LED “smart” che allo stesso tempo è anche uno speaker pronto a donare un sottofondo musicale agli ambienti. LED Light Bulb Speaker è un un prodotto con cui stupire gli ospiti oppure con il quale far colpo in occasione di una cenetta romantica; la lampadina, anche se è un po’ riduttivo considerarla solo come tale, è provvista di un modulo Bluetooth integrato e di NFC, specifiche che garantiscono il controllo dell’intensità della luce e della musica con il piccolo telecomando offerto in dotazione, oppure tramite un’apposita applicazione per smartphone. Difficile dire se LED Light Bulb Speaker di Sony arriverà anche sui mercati europei; al momento quel che è certo è che sarà disponibile nel Paese del Sol Levante a partire dal 23 maggio prossimo a un prezzo di ben 23.880 Yen giapponesi, che al momento equivalgono a poco più di 175 euro. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Con la serie JS9500 di Samsung siamo probabilmente al punto di arrivo della tecnologia LCD: davvero difficile fare meglio Samsung SUHD in prova: è il TV LCD definitivo Full LED, Quantum Dot, 4K e HD: Samsung ha realizzato un TV che si vede benissimo ma il costo purtroppo è elevato È di Paolo CENTOFANTI facile archiviare la nuova gamma SUHD di Samsung come una trovata di marketing: del resto, fin dalla sua presentazione al CES di Las Vegas lo scorso gennaio, Samsung si è lasciata andare ad aggettivi di ogni tipo per decantare le qualità dei suoi nuovi televisori, attirandosi anche quale risatina di scherno da parte della stampa specializzata. A quella fiera, dopotutto, l’azienda coreana si presentava con “soli” prodotti LCD, mentre la vicina di casa LG mostrava al mondo i suoi ultimi OLED, tecnologia più “sexy” e sulla bocca di tutti. Ma scambiare la strategia di comunicazione di Samsung come una mera operazione di maquillage per la solita minestra riscaldata sarebbe un gravissimo errore. Perché dietro agli slogan c’è in realtà anche molta sostanza, di quella buona: la serie JS9500, come ci accingiamo a vedere nel dettaglio, rappresenta infatti con ogni probabilità il punto di arrivo della tecnologia LCD. Ci è voluto probabilmente lo spauracchio della concorrenza di una tecnologia teoricamente superiore come quella OLED, per spingere Samsung a realizzare un TV inattaccabile sul fronte della qualità e così ecco il ritorno al full LED con local dimming, indispensabile per garantire contrasto e neri profondi, un nuovo pannello LCD a 10 bit a Quantum Dots per colori sempre più saturi e brillanti e poi ancora il supporto per l’HDR, il nuovo “formato” che punta a traghettarci finalmente oltre l’era del tubo catodico, il riferimento che ancora oggi viene impiegato per la masterizzazione dei contenuti per l’home video. Ma c’è anche una piattaforma smart TV tutta nuova e basata su Tizen, il sistema operativo che Samsung ha già introdotto in ambito mobile. Insomma, di carne al fuoco ce n’è davvero tanta. La stagione delle curve continua Sul fronte del design non ci troviamo a una grossa rivoluzione rispetto ai primi modelli curvi dello scorso anno. Del resto il design era già più che minimale e per la serie top di quest’anno Samsung ha essenzialmente cambiato la base e aggiunto un profilo metallico alla sottilissima cornice che corre intorno al pannello LCD. Sulla curvatura dello schermo ci siamo già espressi più volte: se ha un senso, ce l’ha proprio con gli schermi di una certa dimensione come questo e sicuramente non si può dire che non doni una certa eleganza al TV da spento. Il modello da 65 pollici (la serie è disponibile anche in tagli da 78 e 88 pollici) è bello imponente, anche perché lo spessore, per via della retroilluminazione full LED, è necessariamente più marcato rispetto ai modelli scorsi. La nuova base ci piace nettamente di più di quella di un anno fa, è più snella, elegante e meno impegnativa. La cornice è completamente pulita, senza tasti e con il solo logo luminoso Samsung al centro in basso. Da menù di impostazione è possibile scegliere se averlo acceso con TV in stand-by oppure quando è acceso (impostazione di default); tenete conto però che è molto luminoso e in caso di visione in sala oscurata dà abbastanza fastidio. Nella parte centrale del bordo video lab Samsung UE65JS9500 6499,00 € UN TV BELLISSIMO, MA CHE COSTA UNA FORTUNA Anche per il TV Samsung sono valide molte delle considerazioni che avevamo fatto lo scorso anno per il top di gamma di Panasonic: per avere un TV LCD in grado di competere come prestazioni con i migliori plasma (del passato) e persino l’OLED occorre sborsare una cifra che oggi può sembrare esagerata. Il SUHD Samsung costa parecchio, quasi 6500 euro. È vero, è un 65 pollici Ultra HD, supporterà l’HDR e offre una qualità di immagine fantastica, forse persino un filo meglio del già citato AX900 di Panasonic dello scorso anno. Ma vale la pena oggi investire una tale cifra in un TV LCD? La domanda non è di facile risposta. Il principale concorrente di questo modello è l’OLED di LG che a parità di taglio oggi costa ancora di più, ma domani chissà. L’OLED è il nuovo punto di partenza, il SUHD di Samsung con ogni probabilità il punto di arrivo della tecnologia LCD, l’apice. Questioni di lana caprina forse. Quello che possiamo dire noi è che si tratta di un TV fantastico sotto quasi tutti i punti di vista: a voi la scelta, budget permettendo, se scommettere sul nuovo che avanza o la maturità. 8.7 Qualità 9 Longevità 10 Design 9 8 D-Factor 9 Prezzo 7 Ottima qualità di immagine Calibrazione di fabbrica migliorabile COSA CI PIACE Neri stupefacenti e grande contrasto COSA NON CI PIACE Il telecomando non convince del tutto Sezione smart TV più semplice Costo elevato superiore è invece nascosta la piccola webcam, che ha la funzione primaria di catturare i nostri movimenti per le funzioni di controllo dell’interfaccia a gesti (divertente da provare giusto una volta), oltre che per le videochiamate via Skype. Come sui modelli dello scorso anno, anche per la serie JS9500 si è scelto di demandare connessioni ed elettronica principale a un box esterno. L’unità si alimenta direttamente con il collegamento al televisore tramite il connettore proprietario ed è sufficientemente discreta e volendo ben guardare semplifica l’installazione soprattutto per chi ha intenzione di montare il TV a parete (nell’ipoteca canalina dovranno passare solo due cavi, alimentazione e box esterno). Il box offre 4 ingressi HDMI 2.0, connettore proprietario per ingressi analogici come il component e il video composito, tre porte USB, uscita digitale ottica e prese per il doppio tuner digitale terrestre e satellitare. Doppio anche lo slot per i moduli Common Interface per i canali TV a pagamento. Il TV è compatibile MHP. Il risultato di questa scelta è chiaramente che il retro del televisore è particolarmente pulito, visto che non ci sono segue a pagina 19 torna al sommario Semplicità Sul retro del TV nell’angolo in basso a sinistra è posto il pad di navigazione che consente di accedere ad alcune funzionalità senza telecomando. Il box esterno con le connessioni n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 TEST Samsung UE65JS9500 segue Da pagina 18 collegamenti di sorta se non l’alimentazione e appunto il connettore proprietario per l’unità esterna. Arriva Tizen, con qualche idea in prestito Anno nuovo e nuova piattaforma di Smart TV. Nessuno a quanto pare è ancora riuscito a trovare la “quadra” per quanto riguarda il giusto approccio all’interfaccia TV, neppure Samsung che di fatto è stata la prima a giocare sul concetto di Smart TV. E così si continuano a sperimentare idee nuove. Per il 2015, Samsung ha scelto di portare sui suoi TV il sistema operativo Tizen, già utilizzato in ambito mobile, e una nuova interfaccia a schermo, che abbandona quasi totalmente quanto visto fino allo scorso anno. Quando premiamo il tasto Smart Hub sul telecomando, sullo schermo compare qualcosa che in realtà abbiamo già visto... sulla concorrenza. Non ce ne voglia Samsung, ma la nuova barra orizzontale che fa da “ponte” verso le funzionalità Smart ricorda molto da vicino il menù principale di webOS introdotto lo scorso anno da LG. Le similitudini tra le due piattaforme iniziano e finiscono però qui, con questa barra che mostra le ultime app, canali e sorgenti utilizzati. Da qui è possibile passare alla vista delle app in primo piano e quindi al menù di tutte le app installate sul proprio TV e di quelle disponibili per l’installazione. Anche se la scelta non manca, va detto che con il cambio di piattaforma, Samsung ha un po’ azzerato il vantaggio che aveva accumulato sulla concorrenza in termini di app disponibili, nel senso che alcune di quelle disponibili sui TV del 2014 non sono ancora state traghettate sulla gamma 2015. Sparita completamente la suddivisione in “hub” dei TV dello scorso anno, il menù è molto più leggero e facilmente navigabile. Resta la completa separazione tra l’interfaccia Smart TV e il menù delle impostazioni, che è quello solito Samsung, MAGAZINE con la consueta suddivisione delle varie voci e che offre buona completezza di regolazioni disponibili per la calibrazione delle immagini. Complessivamente ci sembra un passo nella direzione giusta per quanto riguarda la semplificazione e nella facilità d’uso, anche se alcune cose continuano a rimanere più complicate di quello che dovrebbero essere. L’utilizzo del telecomando con giroscopio ben si abbina all’utilizzo delle app, ma quando si tratta di cambiare canale e accedere velocemente ad alcune impostazioni di immagine (il formato di schermo su tutti), quello tradizionale rimane il più veloce e pratico. Per sopperire al numero limitato di tasti del telecomando “smart”, Samsung ha realizzato un menù apposito a schermo con le funzioni principali dell’unità di comando classica, meglio realizzato di quello dei modelli passati, ma che comunque si frappone all’immediatezza di accesso ad alcune delle funzioni di uso più comune. Buona anche l’integrazione in un unico menù di tutte le sorgenti multimediali esterne, intesi come dischi USB e server DLNA sparsi per la rete. Anche qui, si tratta di un menù semplice e intuitivo da navigare. Mentre i contenuti multimediali trovano posto all’interno dello Smart Hub, per le sorgenti esterne, compreso lo screen mirroring di smartphone e tablet, è prevista una seconda barra dedicata che compare nella parte superiore dello schermo alla pressione del tasto source. Se tutta questa descrizione vi lascia confusi, il nostro video dovrebbe chiarire meglio la nuova struttura dell’interfaccia Samsung. Calibrazione di default migliorabile Ma che contrasto! Il profilo di immagine a cui puntare per avere la riproduzione più naturale è quello denominato “film”. Nonostante il TV sia sulla carta pronto per futuri contenuti Ultra HD anche in HDR, al momento quello che conta è ancora la capacità di riprodurre con fedeltà immagini in HD e come al solito abbiamo verificato l’aderenza agli standard “classici”. In questo senso, di fabbrica il TV Samsung presenta una temperatura colore un po’ video lab Samsung Smart TV 2015 L’interfaccia Tizen troppo calda, un gamma un po’ basso e soprattutto tinte intermedie un po’ troppo sature. Per quanto riguarda la curva del gamma, che è quel parametro che determina la “dinamica” dell’immagine riprodotta, vale la pena notare come la tecnologia Smart LED tenda a spingere molto sulle alte luci, indipendentemente dalla impostazione scelta nel menù di impostazione; più si sale di valore (da minimo a massimo) più saranno luminosi i bianchi. Il deltaE medio (la misura di quanto i colori si discostano dal riferimento) su primari e secondari è di default intorno a 4 con eccezione del ciano che arriva a 6, valori che dicono che le discrepanze sono teoricamente visibili. Con i controlli a disposizione è possibile ritoccare la calibrazione dell’immagine cercando di avvinarci maggiormente al riferimento. Per quanto riguarda il bilanciamento del bianco, è facile ottenere un ottimo risultato già con il controllo su due punti, ma l’impostazione dei LED sulle alte luci, in assenza di un controllo preciso della curva del gamma, è possibile solo armeggiando con la regolazione a 10 punti del bilanciamento del bianco e giocando con l’intensità del verde. Il risultato ottenuto è dignitoso, anche se non siamo riusciti a correggere del tutto il bilanciamento del bianco sulle basse luci: o si ottiene la curva del gamma voluta o la precisione del bilanciamento del bianco, ma non le due cose contemporaneamente. Da notare inoltre che regolando la temperatura colore, si espande leggermente lo spazio colore e si accentua ancora di più la natura “carica” dei colori, specie sui livelli intermedi di saturazione del rosso e del blu. È possibile mettere mano allo spazio colore con la regolazione personalizzata, ma la maggiore saturazione di rosso e blu segue a pagina 20 Il TV Samsung con la calibrazione di fabbrica presenta una temperatura colore un po’ troppo calda, un gamma un po’ basso e soprattutto tinte intermedie un po’ troppo sature Dopo la nostra calibrazione il risultato ottenuto è buono, anche se non siamo riusciti a correggere perfettamente il bilanciamento del bianco sulle basse luci torna al sommario Copertura dello spazio colore nativo del pannello. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Samsung UE65JS9500 segue Da pagina 19 non è comunque correggibile. Alla fine il deltaE medio che si ottiene dopo la calibrazione del bilanciamento del bianco per primari e secondari è inferiore a 2 o di poco superiore per quasi tutte le componenti, per cui va bene così. Visto comunque l’impiego di un pannello con Quantum Dots (o nanocrystal come li chiama Samsung) abbiamo deciso di dare una guardata a com’è la copertura dello spazio colore nativo del pannello, scoprendo che si avvicina davvero molto a quello DCI P3 come dichiarato da Samsung. Manca ancora qualcosa sul verde, il che limita un po’ il gamut del TV Samsung verso anche il giallo e gli arancioni, ma siamo davvero vicini alla copertura completa, per cui se mai ci saranno contenuti consumer in questo formato, il TV Samsung dovrebbe comportarsi piuttosto bene. Lo spazio colore DCI P3 è attualmente utilizzato unicamente nei proiettori per il digital cinema e non è ancora chiaro quale formato verrà adottato nel futuro Ultra HD Blu-ray. Per quanto riguarda il rapporto di contrasto, la tecnologia local dimming full LED permette di avere risultati straordinari, soprattutto se combinata con l’elevata luminosità del pannello. Anche calibrando il TV per la visione in sala oscurata come facciamo usualmente, lasciando un po’ più di margine rispetto al solito, abbiamo ottenuto un rapporto di contrasto di 6160:1 sulla scala di grigi e 2000:1 in modalità ANSI, con un livello del nero di 0,02 cd/mq con schermata non completamente nera. In assenza di segnale infatti i LED si spengono completamente e il valore non è misurabile. Forse il migliore LCD mai visto Samsung, con questo SUHD, ha realizzato un degno avversario per la serie AX900 di Panasonic dello scorso anno per quanto riguarda la palma del miglior TV LCD per qualità di immagine. Qualunque cosa voglia dire realmente questa sigla, come abbiamo visto si tratta pur sempre di un TV LCD a LED, ma durante la visione ce se ne dimentica presto. Sono tanti i motivi che fanno del JS9500 un ottimo TV per chi cerca soprattutto la qualità video, ma il primo è proprio che il nuovo Samsung il più delle volte non sembra nemmeno un LCD. Come il top di gamma dello scorso anno, anche in questo caso innanzitutto colpisce il rapporto di contrasto. Samsung è finalmente tornata al local dimming full Il nuovo telecomando Smart Control ha principalmente due difetti: i tasti sono piccoli e molto ravvicinati e non è prevista la retroilluminazione. Ciò rende un po’ difficoltoso l’utilizzo al buio, specie quando si armeggia con i controlli del puntatore. torna al sommario La piccola webcam presente sulla cornice permette di controllare il TV utilizzando alcuni gesti. LED e la scelta è assolutamente vincente: gli ingegneri coreani avevano già ottenuto dei risultati notevoli con il local dimming LED edge e in questo caso arrivano praticamente all’eccellenza. Fatta eccezione nella visualizzazione di loghi bianchi molto luminosi (il simbolo del play di una sorgente ad esempio) su sfondo nero, durante la visione di contenuti reali l’intervento della retroilluninazione dinamica non ha mai catturato la nostra attenzione distraendoci dalle immagini, offrendo un livello del nero eccezionale e poi non così lontano come resa da quello ottenibile con un pannello a emissione diretta. Questa caratteristica, insieme al fatto che l’immagine rimane molto più brillante rispetto ai modelli dello scorso anno, regala immagini contraddistinte da una notevole dinamica e un rapporto di contrasto davvero appagante. Notevole la resa sulle basse luci anche nelle scene più scure: dettagli in ombra perfettamente intelligibili, neri profondi, definizione che non soffre minimamente, resa cromatica inalterata. Cosa chiedere di più? Perfino scene davvero impegnative, con appena un lumicino sullo schermo, vengono riprodotte alla perfezione, senza tradire il fatto che si tratta appunto di un LCD. Come già evidenziato nella nostra “indagine” di laboratorio, i colori espressi dal Samsung tendono ad essere particolarmente saturi e specie i rossi colpiscono immediatamente per la loro brillantezza, comunque senza mai sfociare troppo nell’artificioso. L’immagine sembra in effetti più vicina da questo punto di vista al “calore” di un OLED o un Plasma che a un LCD, come promesso dai Quantum Dot. Insieme al TV, Samsung ci ha fornito l’hard disk UHD Movie Pack con alcuni film in 4K tra cui i due Star Trek di J.J. Abrams, titoli che vengono riprodotti in modo eccellente e beneficiano della resa cromatica del pannello Samsung. Gli incarnati ci sono parsi forse un po’ carichi, ma nel complesso, date anche le dimensioni dello schermo da 65 pollici, l’impatto è davvero cinematografico. Una cosa che emerge dalla riproduzione dei contenuti in Ultra HD è l’estrema analiticità del TV Samsung, che non fa sconti su difetti di compressione o rumore sui master dei contenuti video. Questo TV vuole contenuti di qualità, come ben esemplificato dalla mortificante resa dei canali del digitale terrestre, specie in bassa definizione. Del resto, anche il migliore degli upscaler poco può fare con questo divario di risoluzione (da 576i a 2160p). Ottima invece la riproduzione di contenuti in alta definizione da sorgenti come Blu-ray Disc, con immagini definite, compatte e senza difetti di alias o altro. Su queste dimensioni di schermo, come più volte abbiamo sottolineato, il pannello 4K giova eccome soprattutto nel rendere invisibile la matrice dei pixel anche a distanza ravvicinata, offrendo un’immagine molto più piacevole anche se la definizione dei contenuti non cambia. Parlando di definizione, la risoluzione in movimento, con test pattern specifici, non risulta particolarmente elevata, intorno alle 300 linee TV senza intervento del motion plus. Come sui modelli dello scorso anno, anche sulla serie JS9500 è disponibile una modalità custom che utilizza il solo backlight scanning per ridurre la perdita di dettaglio, modalità che comporta sempre un lieve flickering delle immagini, ma rispetto al passato non abbatte significativamente la luminosità complessiva. Qualunque sia la modalità di motion plus scelta, in ogni caso la risoluzione in movimento passa immediatamente a 1080 linee e oltre, seppure con sempre un lieve trascinamento visibile sullo schermo. Questa la “teoria” naturalmente. Con i contenuti reali non abbiamo riscontrato grossi problemi da questo punto di vista, salvo qualche lieve perdita di dettaglio sui contorni principali nelle scene più concitate nei film. Non abbiamo purtroppo avuto a disposizione contenuti demo in HDR per fare dei test in questo senso, né a livello di menù ci sono riferimenti o impostazioni relativi a questa modalità. Di default, in modalità “film” la luminosità massima è intorno alle 200 cd/mq, mentre in modalità dinamica va ben oltre, ma non abbiamo avuto possibilità di verificare le 1000 cd/mq previste dall’HDR. Solo un aspetto a livello di qualità di immagine è ancora migliorabile ed è quello dell’uniformità del pannello. Niente di grave, ma soprattutto con le schermate uniformi è possibile notare due fasce più scure più o meno a un terzo della larghezza del pannello su entrambi i lati, oltre a un netto calo di luminosità proprio a ridosso dei bordi laterali; l’immagine inoltre anzi di finire netta ai bordi rimane come leggermente sfumata. Si tratta comunque di inezie e di nulla che possa disturbare durante la visione. Vale la pena spezzare una lancia in favore del comparto audio. Forse grazie anche alle generose dimensioni dello schermo è stato possibile integrare un sistema audio che sa farsi sentire anche sul registro medio basso. L’audio rimane sempre un po’ metallico e non comparabile a quello di una buona suond bar o meglio ancora un vero e proprio sistema stereo o multicanale, ma offre comunque una resa coinvolgente e apprezzabile. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Abbiamo provato LG Watch Urbane con a bordo la nuova versione di Android Wear 5.1; ottimo lo schermo OLED da 1.3” LG Watch Urbane, eleganza e tecnologia al polso Migliorano interfaccia e autonomia, ma Android Wear deve ancora maturare. I passi avanti sono tutto sommato notevoli di Roberto PEZZALI razie ad Apple e al suo Watch ora tutti sanno dell’esistenza degli smartwatch e sono anche consapevoli che i wearable rappresentano la nuova frontiera della tecnologia. Dopo aver provato LG G Watch R e Motorola Moto 360, torniamo ad occuparci di Android Wear per una prova di Watch Urbane. L’occasione ci viene data da Google, che ha rilasciato la nuova versione di Android Wear 5.1 aggiungendo alcune funzionalità come la connessione Wi-Fi da utilizzare al posto del Bluetooth quando lo smartphone è lontano. G video Il quadrante che fa la differenza Watch Urbane rappresenta per LG il tentativo di creare qualcosa che si avvicini, almeno esteticamente, a un orologio vero. Lo schermo è un display P-OLED da 1.3” tondo ed è il componente attorno al quale LG ha poi plasmato la cassa in acciaio con uno spessore decisamente inferiore rispetto a quello di G Watch R. Disponibile in due diverse finiture, lo smartwatch LG può essere personalizzato dall’utente cambiando il cinturino, anche se quello offerto in dotazione, in pelle, è curato e ben fatto. Una volta indossato, il Watch Urbane veste bene, è abbastanza leggero con i suoi 65 grammi ed è sicuramente meno ingombrante dell’altro modello, complice anche lo spessore ridotto. Lo schermo è parte fondamentale del design: con lo schermo spento, infatti, Watch Urbane ci è sembrato un po’ anonimo, ma con lo schermo acceso e il quadrante giusto cambia tutto. Fortunatamente LG ha previsto la modalità Always On, quindi non ci sono problemi da questo punto di vista. I quadranti sono realizzati con cura e ben rifiniti nei dettagli, mentre la cassa avrebbe avuto bisogno di una migliore lavorazione. Se prendiamo un normale orologio a cronometro ci accorgiamo che la lavorazione e il tipo di costruzione sono decisamente più evolute rispetto a quella di Watch Urbane, con diversi materiali fusi tra loro e una maggior cura nei dettagli anche più piccoli. Questo è un po’ lo scotto da pagare negli smartwatch: parte del costo è legato alla componente elettronica e non si può eccedere con le spese legate al design e ai materiali, altrimenti il prezzo diventerebbe insostenibile. Buona autonomia, ottimo schermo La personalizzazione di Android Wear è ancora limitata e difficilmente Google permetterà al suo sistema operativo mobile di prendere la stessa strada di Android. Non deve quindi stupire se molti smartwatch sono simili tra loro nelle funzioni, e anche questo LG non ha niente che lo possa distinguere dai competitor se non la nuova versione di Lollipop e qualche piccolo tweak realizzato da LG stessa. Ci troviamo davanti a un prodotto completissimo e dotato di sensore cardio, accelerometro, contapassi, Wi-Fi e Bluetooth, barometro (quindi anche altimetro barometrico) e bussola: LG ha sapientemente creato una serie di quadranti che fan- torna al sommario LG Watch Urbane ANDROID WEAR È UN PO’ PIÙ BELLO MA ANCORA ACERBO 349,00 € ab l Con Watch Urbane, LG completa un’offerta di smartwatch che può soddisfare tutti, sia chi cerca un look sportivo sia chi preferisce l’eleganza. Più sottile e robusto, Watch Urbane cerca di assomigliare a un vero orologio, anche se l’obiettivo è raggiunto solo a metà: serviva forse una cura maggiore nella lavorazione della cassa, ma il costo sarebbe lievitato ulteriormente. Il prezzo di listino è già alto di suo: è vero che vengono usati materiali di livello e c’è un cinturino in pelle, ma siamo comunque di fronte ancora a un gadget per certi aspetti utile ma non ancora indispensabile. Android Wear, nella sua nuova versione, migliora un po’ la situazione ma la strada da fare è ancora lunga: per poter raggiungere la completa maturazione servirà ancora un po’ di tempo. 7.8 Qualità 8 Longevità 7 Ottima resa del display COSA CI PIACE Android Wear è migliorato Autonomia e prestazioni Design 8 Semplicità 8 COSA NON CI PIACE no uso di questi sensori, da quello camping a quello adventure e fitness. Lo schermo è l’elemento in più: OLED, ben definito e luminoso, non solo permette di raggiungere il giorno abbondante di autonomia ma offre anche una perfetta leggibilità alla luce del sole e un ottimo angolo di visione. Il processore è lo Snapdragon, forse non il SoC perfetto per uno smartwatch in quanto a consumi ma capace di buone performance: chi acquista Watch Urbane non deve spaventarsi se per i primi minuti l’orologio sembra lento e va a scatti poiché in background si stanno aggiornando molti processi e probabilmente si sta scaricando l’ultima build disponibile. Il touch risponde bene ai comandi ed è reattivo, i sensori sono abbastanza precisi e l’unico problema riscontrato è la necessità di tarare spesso la bussola e una deviazione di qualche grado sul rilevamento dovuta probabilmente alla cassa metallica. Per la ricarica del Watch Urbane si usa una docking magnetica fatta su misura: la ricarica, non essendo a induzione, è davvero rapidissima. D-Factor 9 7 Senza il display acceso sembra un po’ anonimo Prezzo importante hotspot wireless se perde la connessione Bluetooth, continuando così a ricevere alcune notifiche. La gestione dell’autenticazione, almeno per la prima volta, viene gestita comunque dallo smartphone. L’altra novità è rappresentata dalla possibilità di passare da una scheda all’altra muovendo il polso. Quello che però abbiamo apprezzato di più è la nuova interfaccia grafica: oltre alla logica delle schede, che per alcuni può apparire confusa, c’è una pratica lista con le applicazioni dotata di un nuovo look e icone più chiare. Google ha lavorato molto al nuovo update e ci sono tante piccole migliorie che migliorano la user experience, come le app Always On in modalità a basso consumo e la possibilità di rimuovere da uno stack di notifiche un singolo messaggio. video Il nuovo Android Wear Wi-Fi e interfaccia le novità principali Watch Urbane è stato il primo smartwatch a montare la nuova build di Android Wear basata su Lollipop, la 5.1.1, che presto verrà rilasciata anche per gli altri smartwatch compatibili. La novità principale è la possibilità di gestire il Wi-Fi: Watch Urbane può connettersi a un Prezzo lab LG Watch Urbane La videoprova n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Ideale per tenere traccia del proprio percorso anche senza avere con sé lo smartphone; funziona senza fascia cardio Andiamo a correre con il tracker Fitbit Surge Abbiamo provato il più evoluto dei fitness tracker di Fitbit, ha il cardiofrequenzimetro da polso e il GPS integrato di Paolo CENTOFANTI on Surge Fitbit entra nell’arena dei fitness tracker veri e propri. Se il Flex, che abbiamo testato la scorsa estate, era essenzialmente un misuratore di attività, il nuovo Fitbit Surge si rivolge più propriamente agli sportivi, in un settore dove le alternative non mancano e con diversi marchi affermati da tempo. Il Fitbit Surge aggiunge principalmente due componenti alla sua formula di tracker: il GPS integrato e il cardiofrequenzimetro PurePulse. Soprattutto quest’ultima caratteristica rende Fitbit Surge interessante, perché il rilevamento del battito avviene direttamente dal polso e non occorre indossare una fascia cardio toracica, con la possibilità di avere una lettura continua 24 ore su 24 e non solo durante un’attività sportiva, oltre alla comodità di non dover avere a che fare con un ulteriore accessorio. Naturalmente poi c’è l’integrazione con tutta la piattaforma di fitness di Fitbit, con app e profilo web che raccolgono tutti i nostri dati permettendoci di tenere sott’occhio tutta la nostra attività fisica e, si spera, la nostra salute. Vediamo come si comporta. C Un po’ impegnativo da indossare tutto il giorno Che il Surge sia il top di gamma di Fitbit lo si vede anche dal design, visto che il dispositivo è allo stesso tempo molto simile ai modelli inferiori ma anche “ingrassato” per far spazio al display più grande e al maggior numero di sensori. Di fatto il Surge sembra un Charge più largo e spesso, ma materiali e dettagli sono molto simili. La cassa centrale è appunto molto più grande, con un quadrante da 20x24 mm cir- Un dettaglio del sensore che rileva il battito cardiaco. Da notare il connettore proprietario per la ricarica della batteria. ca e un profilo “trapeziodale” che rende più spesso il tracker nella parte superiore. Il cinturino è in gomma e piuttosto spesso, con una fibbia in acciaio per l’allacciatura, e al momento dell’acquisto è possibile scegliere tra due dimensioni, Small (14 - 17 centimetri di circonferenza del polso) oppure Large (16 - 20 cen- video lab Fitbit Surge 249,90 € UNA VALIDA ALTERNATIVA, MA MIGLIORABILE Il Fitbit Surge è un prodotto che va a competere con i tanti orologi GPS per sportivi con cardiofrequenzimetro presenti sul mercato. Lo fa con un prezzo tutto sommato allineato al resto dell’offerta e una tecnologia di rilevamento del battito cardiaco che, almeno per la corsa, ci è sembrata sufficientemente affidabile ma soprattutto più pratica rispetto alle consuete fasce cardio Bluetooth. Fitbit punta naturalmente molto sulla sua piattaforma cloud fatta di app per lo smartphone e web, un settore dove molti marchi storici di dispositivi per gli sportivi ancora arrancano un po’. Si tratta però di un ecosistema chiuso che lega l’utente ai prodotti Fitbit, anche se ora è quantomeno possibile esportare le attività registrate. Sicuramente è migliorabile la precisione del GPS e della lettura del battito, ma ancora di più lo sono design ed ergonomia: per un prodotto che andrebbe indossato giorno e notte è ancora un po’ troppo ingombrante e soprattutto non bello come uno smartwatch. 8.0 Qualità 8 Longevità 9 Non necessita di fascia cardio COSA CI PIACE Semplicità di utilizzo GPS integrato Design 6 Semplicità 9 COSA NON CI PIACE timetri). Il raccordo tra la parte rigida e quella flessibile del cinturino in realtà fa sì che Surge sul polso sia più ingombrante di quello che sembra e il design non è esteticamente il massimo, soprattutto come orologio da indossare tutto il giorno. Non è nemmeno più brutto di altri orologi per lo sport presenti sul mercato se è per questo e comunque è anche possibile scegliere varianti con il cinturino in colore blu oppure arancione “mandarino”. Il display è di tipo LCD monocromatico con retroilluminazione automatica in funzione della luminosità ambiente ed è touchscreen, il che permette di passare in rassegna le varie informazioni visualizzate con un semplice swipe sullo schermo. Troviamo, comunque, ben tre tasti per l’utilizzo delle varie funzionalità e la navigazione del semplice menù: un tasto home sulla sinistra e due tasti funzione sulla destra, il cui ruolo cambia in funzione del menù visualizzato a schermo. Sul retro troviamo il sensore del battito cardiaco, composto da due LED verdi e un rilevatore centrale, e il connettore proprietario per la ricarica della batteria. Oltre al ricevitore GPS, Surge integra un accelerometro a tre assi, giroscopio a tre assi, magnetometro (bussola digitale) e altimetro. Il dispositivo non è totalmente impermeabile, ma è dichiarato resistente a spruzzi e sudore. Fitbit specifica D-Factor 8 Prezzo 8 Non sempre precisissimo Design ed ergonomia migliorabili Piattaforma chiusa in particolare di non indossarlo durante la doccia e di pulire e asciugare il braccialetto dal sudore dopo l’attività fisica (forse anche per evitare che sorgano altri reclami dopo i problemi di irritazione alla pelle insorti con il Force). Comunque sia, il Surge può essere tranquillamente utilizzato anche sotto la pioggia e il prodotto è stato comunque testato con pressioni fino a 5 atmosfere. L’ergonomia del cinturino è buona e permette di allacciare con fermezza il dispositivo al proprio polso, mentre la forma e le dimensioni della cassa rendono il Surge non comodissimo da indossare tutto il giorno, specie con abiti a manica lunga (il dispositivo va tenuto tra una e tre dita di distanza dall’osso del polso per una corretta rilevazione del battito cardiaco). Per quanto riguarda il monitoraggio della qualità del nostro sonno non abbiamo invece riscontrato problemi di ergonomia indossando il Surge, se non il “bisogno” dopo molte ore di fila di toglierlo per far respirare un po’ la pelle. Si configura dallo smartphone A differenza di un classico orologio GPS per l’attività sportiva, Surge è innanzitutto un dispositivo Fitbit, il che significa che nasce per funzionare in sinergia con segue a pagina 23 torna al sommario n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Fitbit Surge segue Da pagina 22 l’omonima piattaforma cloud, tant’è che fin dalla prima accensione è necessario abbinarlo al proprio account Fitbit tramite smartphone o PC. In dotazione troviamo, infatti, anche un piccolo adattatore wireless, da collegare alla porta USB del proprio computer per la configurazione, anche se l’installazione più semplice in assoluto avviene proprio dallo smartphone con l’app Fitbit. Surge utilizza principalmente il Bluetooth 4.0 LE che permette di effettuare il pairing con lo smartphone praticamente in modo automatico non appena si lancia l’app. Sempre dall’app (o dal sito web), una volta effettuato l’abbinamento del Surge con il proprio account, si accede a regolazioni come la grafica del quadrante dell’orologio, la continuità della misurazione del battito, l’impostazione di sveglie “silenziose” (essenzialmente a vibrazione), e l’attivazione delle notifiche. Fitbit Surge ci avverte infatti quando c’è una chiamata in arrivo sullo smartphone o riceviamo un SMS, con possibilità di leggerli sul suo display. Durante la prima configurazione, l’app verifica anche la versione del firmware installato sul dispositivo e nel caso provvede al suo aggiornamento, operazione che richiede circa 5 minuti tra scaricamento del software sul Surge via Bluetooth e la sua installazione. Altra funzionalità, se vogliamo da smartwatch, è il controllo della riproduzione di musica sullo smartphone se lo abbiamo portato con noi. In questo caso occorre però abilitare la modalità di connessione Bluetooth “classic”. Nel menù del Surge troviamo un numero molto ridotto di impostazioni, che comprende appunto la modalità Bluetooth, la disattivazione della retroilluminazione del display e la lettura del batto cardiaco (on, auto, spenta). Monitora tutte le attività Ma è ideale per la corsa Durante la maggior parte della giornata, Fitbit Surge funziona come tanti altri fitness tracker che abbiamo già avuto modo di provare, misurando movimenti tramite il contapassi e dando una stima sui passi effettuati, la distanza percorsa e le calorie bruciate, nonché la qualità del sonno, tutti dati che è possibile verificare in ogni momento dall’app per smartphone o sulla pagina del proprio profilo sul sito web. In più abbiamo naturalmente la misura del battito cardiaco, con una lettura istantanea. Scorrendo con uno swipe il quadro dell’orologio passiamo in rassegna l’ora, i passi, il battito cardiaco, la distanza percorsa stimata, le calorie bruciate dall’inizio della giornata, i piani di scale effettuati. Di tutti questi dati, quelli in cui ci siamo meno ritrovati sono proprio questi ultimi, anche se in realtà del tutto in linea con quanto misurato dallo smartphone nelle stesse condizioni. Ciò che differenzia il Surge dal resto della gamma Fitbit, e da altri trac- torna al sommario ker a braccialetto “ordinari”, è la misurazione delle attività sportive e la corsa in particolare, dove possiamo utilizzare in combinazione sia il cardiofrequenzimetro che il GPS integrato. Il Surge permette di registrare essenzialmente due tipi di attività, suddivise tra corsa ed esercizio. Nel primo caso possiamo scegliere tra corsa libera (GPS+Cardio), Tapis Roulant (Cardio) e corsa sul giro (GPS+Cardio). Gli esercizi sono invece per lo più pensati per attività in interno con misurazione solo del battito cardiaco, fatta eccezione per le escursioni all’aperto e la bicicletta. La registrazione di un allenamento è piuttosto semplice e non richiede di passare per l’app dello smartphone che anzi può benissimo essere lasciato a casa o nella borsa. Basta selezionare il tipo di attività, si conferma, e nel caso di utilizzo del GPS si aspetta l’aggancio dei satelliti, che nelle nostre prove richiede all’incirca 30 secondi all’aria aperta. Quando il segnale GPS è di qualità sufficiente Surge ci avverte con una vibrazione sul polso. Alternativamente è possibile selezionare “inizio rapido” per partire immediatamente con posizione iniziale approssimativa, mentre in background verrà migliorata la precisione nei primi minuti di attività. Durante l’allenamento sul display verranno visualizzati il tempo trascorso e la distanza percorsa e un ulteriore parametro a scelta tra il ritmo, il battito cardiaco, le calorie bruciate e l’ora. In ogni momento è possibile passare da una vista all’altra semplicemente con uno swipe sullo schermo. La schermata del battito cardiaco, in particolare, indica anche il regime a cui ci stiamo allenando, se aerobico o di picco, basandosi sulla formula di Karvonen (frequenza di picco = 220 - età). Alla fine della nostra corsa o altra attività basta premere il tasto pausa e quindi il traguardo per concludere la registrazione con la visualizzazione di un breve riepilogo che mostra le statistiche principali. Affidabile quanto basta Per verificare il comportamento del Fitbit Surge abbiamo fatto alcune uscite portandoci appresso sia il tracker al polso che lo smartphone, utilizzando Runkeeper per registrare percorsi di cui ben conosciamo le distanze. In generale in tutte le attività registrate abbiamo evidenziato una precisione maggiore con lo smartphone, ma il Fitbit se l’è comunque cavata abbastanza bene, con un margine di errore tutto sommato ridotto. Abbiamo calcolato un errore di circa 10/15 metri a chilometro rispetto al nostro percorso tipo, il che può essere accettabile ai fini del monitoraggio di un allenamento. Runkeeper si è dimostrato essere maggiormente affidabile, anche per quanto riguarda i cambi di altitudine, specie giro su giro. Il vero vantaggio del Surge è chiaramente la possibilità di monitorare il battito cardiaco senza dover indossare anche una fascia cardio accessoria. Da quello che abbiamo potuto vedere il Fitbit Surge è in grado di dare una lettura abbastanza corretta, considerando tutto l’arco dell’attività nel suo complesso. La lettura continua del grafico tende a restituire un andamento un po’ traballante, probabilmente per via del movimento del braccio che in qualche modo può alterare la misurazione, ma non presenta particolari anomalie. Le fasce cardio solitamente offrono un tracciato più stabile e preciso, ma comunque il Surge ci è parso affidabile quanto basta per avere un’indicazione di massima, almeno durante attività come la corsa. L’autonomia è vicina a quanto dichiarato dal produttore, circa 5 giorni, nei quali noi abbiamo effettuato due attività con GPS da circa 45 minuti ciascuna e tenuto indosso il Surge giorno e notte, con monitoraggio automatico del battito cardiaco. La sincronizzazione con l’app è sempre stata puntuale e senza problemi. Lasciando il Bluetooth attivato sul proprio smartphone, basta aprire l’app per avviare immediatamente la sincronizzazione in modo automatico. L’app non è cambiata molto rispetto all’ultima nostra prova di un prodotto Fitbit, se non per l’inclusione anche dei prodotti alimentari italiani nel database per il monitoraggio delle calorie assunte. A nostro avviso l’app, seppure ben fatta, continua a essere un po’ dispersiva e non guasterebbe una vista riepilogativa generale della settimana e non solo per i singoli parametri. Fitbit rimane, inoltre, una piattaforma chiusa: non si integra con Salute di iOS, non accetta input da dispositivi di marche diverse e viceversa se non dalla smart scale di Withings e non esporta i dati verso altre app. Con il già citato Runkeeper c’è, ad esempio, una sincronizzazione a senso unico (da Fitbit a Runkeeper) che però riguarda unicamente il bilancio calorico della giornata e non, ad esempio, le attività monitorate con il Surge. È però possibile esportare dal sito web di Fitbit le attività in un file TXC che include tracciati GPS e cardio che può essere importato manualmente in Runkeeper o altri servizi. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Le critiche principali sono state rivolte al prezzo, quasi 1500 euro sono tanti per quello che un tempo era definito un netbook MacBook 2015: costa ma non chiamatelo netbook L’ultimo nato in casa Apple ci riporta ai tempi del MacBook, il portatile per quelli che non hanno particolari esigenze Apple spinge prodotto e tecnologia ai limiti, ma servono compromessi e scelte discutibili. Come il prezzo, molto elevato M di Roberto PEZZALI acBook per Apple è un ritorno al passato ma anche uno sguardo a quello che ci aspetta dal futuro: via tutti i connettori (o quasi) come già aveva fatto a suo tempo con il DVD e riduzione ulteriore di peso e dimensioni, per un notebook che davvero è l’emblema della parola “portatile”. Un prodotto il nuovo MacBook che ha sollevato non pochi interrogativi al momento della sua presentazione: prezzo elevato (in Italia causa dollaro), schermo piccolo, tastiera scomoda e processore troppo lento le principali critiche. Ma ovviamente è sul prezzo che si è scatenata la cattiveria maggiore: Apple viene accusata di vendere a 1500 euro quello che un tempo era definito un netbook, portatile di prestazioni decisamente basse, buono solo per le sue dimensioni. In nuovo MacBook è un prodotto davvero particolare, non tanto per le scelte di Apple ma per il suo posizionamento. Che Apple non volesse fare un prodotto per tutti lo si era capito subito, ma è anche difficile capire a chi è destinato questo piccolo gioiellino. Chi vuole potenza, portabilità e flessibilità guarda sicuramente al MacBook Pro: stessa qualità costruttiva, sicuramente dimensioni maggiori ma anche prestazioni di tutt’altro livello. Chi cerca un prodotto leggero, con una autonomia esagerata e un prezzo comunque competitivo non rinuncia di certo al MacBook Air: costa meno, ha uno slot SD Card, ha due USB tradizionali e una batteria che dura 12 ore. Per chi è allora il nuovo MacBook? Prima vi diciamo come va questo MacBook, poi deciderete se è il prodotto adatto a voi e soprattutto se è il caso di spendere così tanto per mettere le mani sull’ultimo nato a Cupertino. Costruzione “no compromise” Criticare un prodotto Apple dal punto di vista costruttivo è quasi impossibile, anche perché prima Apple decide come vuole il prodotto e poi stabilisce, a seconda di quanto è costato produrlo, il prezzo di vendita. In questo caso il prezzo è elevato ma analizzando i vari componenti usati e le soluzioni trovate si possono piano piano contare tutti gli euro che arrivano a comporre quei 1499 euro richiesti per portarsi a casa il modello base. MacBook è tutto in alluminio, con uno chassis Il confronto con il MacBook Air da 13” torna al sommario video lab Apple MacBook 12” 1.499,00 € UN “PICCOLO” GIOIELLO: BELLO, CARO E NON CERTO PER TUTTI Il nuovo MacBook non è un costoso netbook, ma un portatile che oltre alla indubbia qualità costruttiva si è dimostrato anche sufficientemente veloce per la maggior parte delle applicazioni “consumer”. Evidenziamo consumer perché, malgrado il prezzo a nostro avviso alto, questo prodotto è pensato per chi con il computer fa un po’ tutto senza una mission precisa: non va bene per lo sviluppatore, non va bene per un fotografo, per un giocatore o per un operatore video, ma va benissimo per chi lavora con documenti e fogli di calcolo, chi sfrutta applicazioni cloud based, chi ha bisogno di un prodotto per lo studio e chi invece predilige la mobilità. L’adozione dell’USB Type C non la riteniamo un grosso handicap ma una opportunità per il futuro, sempre nell’ottica ovviamente di un target di utenza che non ha bisogno di collegare periferiche e accessori: il problema, comunque, è che di USB Type C sul MacBook ne troviamo sola una. 8.1 Qualità 9 Longevità 8 Design 9 Semplicità 8 COSA CI PIACE Dimensioni e costruzione COSA NON CI PIACE Qualità dello schermo Trackpad Force Touch innovativo unibody che appare ancora più curato nella sua costruzione rispetto a quello del MacBook Air e molto ben bilanciato. Sembrano dettagli banali, ma si riesce ad aprire il MacBook con un solo dito senza sforzo e soprattutto si può scrivere tenendolo sulle gambe senza il rischio che il peso dello schermo possa sbilanciarlo. Il comparto schermo, a sua svolta, è molto sottile e con D-Factor 8 Prezzo 6 Prezzo elevato Una sola porta che richiede pure un adattatore Tastiera precisa ma non troppo comoda una cornice tutto sommato ridotta, anche se c’è chi è riuscito, leggi Dell, a farci stare uno schermo da 13” riducendo la cornice a qualche millimetro di spessore. Apple ha ottimizzato come meglio poteva gli spazi, riuscendo a posizionare una tastiera comunque con tasti grandi, un trackpad abbondante e persino la zona per gli speaker in uno spazio tutto sommato ridotto, con un ottimo lavoro di ottimizzazione. Questo non toglie che, nel complesso, il MacBook ci sembri davvero piccolo: è vero che sulla carta ha solo un pollice in meno rispetto a un MacBook Air, ma quel pollice è in percentuale un 10% circa e sembra di avere tra le mani un grande iPad con attaccata la tastiera piuttosto che un portatile vero e proprio quale invece è. I dati fanno comunque impressione: 1,31 cm nella parte più spessa, calcolando anche i piedini di gomma, 0,92 kg di peso e 0,35 mm nella zona più sottile sono un tra- segue a pagina 25 n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Apple MacBook 12” segue Da pagina 24 guardo comunque difficile da eguagliare mantenendo gli stessi materiali e la stessa cura costruttiva. MacBook, proprio per sancire la vicinanza con il mondo di iPhone e iPad, è disponibile in tre diverse finiture, dove al classico silver degli altri portatili Apple si aggiungono l’oro e il grigio siderale, forse il più particolare e anche quello che a noi è piaciuto di più. Il bello (e il brutto) dell’USB Type C Apple ha abbandonato il suo Magsafe, forse una delle innovazioni più geniali degli ultimi anni, per inserire il nuovo USB Type C. Una rivoluzione vera a tutti gli effetti: USB Type C non è una tecnologia di Apple e per la prima volta non solo Apple si affida in tutto e per tutto a un connettore universale ma è lei stessa a farlo debuttare sul mercato. L’utilizzo di questo tipo di connettore apre la porta ai produttori di accessori che finalmente potranno realizzare docking, cavi e espansioni di ogni tipo senza neppur dover pagare il classico obolo ad Apple. Qui Apple porta ancora una volta il cappellino dell’innovazione e apre una strada che nei prossimi mesi tutti dovranno percorrere: l’USB classico è destinato a essere abbandonato e il nuovo connettore, adottato anche da Google sul suo nuovo Chromebook Pixel, diventerà il nuovo standard. Il MacBook, a nostro avviso, non ha bisogno di più porte ma semplicemente di una buona docking da usare quando si è a casa, che possa con un solo cavo trasportare ricarica, rete, segnali video e connessioni. In mobilità probabilmente il singolo USB Type C sarà sufficiente non appena usciranno un po’ di cavi a basso costo, e anche qui forse una piccola docking è la soluzione migliore. Abbiamo utilizzato nel corso della prova il MacBook come portatile principale e dobbiamo dire che non abbiamo sentito affatto la mancanza di porte USB o di altre porte di espansione, anche se forse Apple poteva fare uno sforzo e inserire due porte USB al posto di una sola. Purtroppo al momento attuale trovare cavi e adattatori per questa porta è davvero difficile: anche il semplice cavo da micro USB a USB Type C, per collegare videocamere, fotocamere e altre periferiche, sembra al momento impossibile da reperire. In tema di connessioni dobbiamo fare, infine, un paio di precisazioni: il trasferimento dati dell’attuale porta Uno dei pochi adattatori disponibili USB è limitato a 5 Gbps in quanto sul MacBook è presente la generazione 1 dell’USB 3.1 (derivata dall’USB 3.0) e l’uscita HDMI dell’adattatore è limitata a 4K@30 con il cavo Apple ma potrebbe arrivare a 4K@60 con un adattatore DisplayPort 1.2a - USB Type C. Questa connessione al momento non è disponibile come accessorio ufficiale Apple ma dovrebbe essere disponibile come accessorio del Chromebook Pixel. Purtroppo non siamo stati in grado di provare questo adattatore e non sappiamo come possa andare il MacBook in 4K a 60 Hz: considerando il processore Intel crediamo che, seppur supportata, questa risoluzione non sia da prendere in considerazione se non per una visualizzazione di “slide”. Tastiera e trackpad: Apple rischia tutto Quale modo migliore per provare una nuova tastiera se non usarla a lungo? Questa prova è stata scritta utilizzando la nuova tastiera che Apple ha preparato per questo MacBook, uno degli elementi che ha subìto i cambiamenti più radicali. Esteticamente le differenze più marcate sono la diminuzione di gap tra i singoli tasti con il conseguente aumento delle dimensioni del singolo tasto, i tasti direzionali con il destro e sinistro dimensionati come un tasto standard e le scritte control / option / command sui rispettivi tasti, cosa di non poco conto per chi non ha mai avuto un Mac e deve seguire un tutorial oppure abituarsi subito a scorciatoie e shortcut per i vari programmi. Le novità vere, però, non sono estetiche ma funzionali: per ottenere uno spessore così ridotto Apple ha modificato i singoli tasti riducendo la corsa e cambiando il meccanismo di pressione: il risultato è una tastiera con una escursione assolutamente ridotta, quasi una tastiera “touch” con un leggerissimo feedback tattile. Novità per la tastiera, sotto ogni lettera un singolo led di retroilluminazione. torna al sommario L’escursione c’è ovviamente, ma chi è abituato alle tastiere con i tasti che si sentono farà fatica ad abituarsi alla nuova tastiera del MacBook. Dobbiamo dire che il nuovo meccanismo a farfalla posto sotto i tasti è decisamente preciso: non serve più il tocco al centro ma basta anche un contatto periferico per avere la lettera stampata a schermo. L’ultima novità relativa alla tastiera è la retroilluminazione: al posto di una light-guide unica come sugli attuali MacBook Pro ed Air Apple ha inserito sotto ogni lettera un singolo led di retroilluminazione, cambiamento che ha un notevole impatto sui costi ma che permette di avere la singola lettera illuminata con la retroilluminazione perfettamente calibrata su tutta la tastiera. Per quanto il lavoro fatto sia lodevole, continuiamo a preferire le tastiere tradizionali. Il cambiamento però ci piace, e anche tanto, quando dobbiamo parlare del trackpad: al posto dell’elemento meccanico sul MacBook Apple ha introdotto il trackpad Force Touch, un vetro sotto il quale è stato inserito un motore taptic engine capace di simulare e restituire le sensazioni del tocco. Il lavoro svolto è magistrale, perché sembra effettivamente di premere un qualcosa di meccanico quando invece stiamo semplicemente toccando un oggetto immobile. La bellezza del nuovo Force Touch ha impatto positivo anche sull’usabilità: possiamo finalmente premere ogni zona, anche gli angolini, e soprattutto possiamo gestire diversi livelli di pressione per cambiare il comportamento di un oggetto. Per provarlo basta caricare un filmato su QuickTime e provare ad andare avanti: la velocità varia a seconda della pressione che facciamo sul trackpad. Qui gli sviluppatori possono davvero sbizzarrirsi: Yosemite 10.10.3 include le “api” che permettono la creazione di app ottimizzate per il nuovo trackpad e siamo sicuri che a breve usciranno soluzioni davvero geniali per gestire anche la profondità del tocco oltre che il movimento. Lo schermo ha un’ottima qualità Apple per creare il MacBook non si è risparmiata e non ha badato troppo al prezzo: lo schermo Retina è un lusso per un portatile così piccolo e sicuramente siamo di fronti a una trial per portarlo anche sul MacBook Air. L’uso di uno schermo così risoluto ha i suoi pro e i suoi contro: tra i vantaggi possiamo annoverare la qualità di visione, tra gli svantaggi l’autonomia e la gestione della risoluzione. Lo schermo infatti è un 12” con una risoluzione di 2304x1440 in formato 16:10, scelta quella del formato saggia in quanto più versatile di un comune 16:9. Per come funziona il “retina” la risoluzione reale del desktop sarebbe 1152x720, ma con questa risoluzione le icone e le app sono effettivamente troppo grandi. Apple ha quindi impostato come risoluzione di default un 1280x800, mentre quella ridimensionata con “più spazio” fa apparire l’interfaccia a 1440x900, la stessa risoluzione del MacBook Air e segue a pagina 26 n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Apple MacBook 12” segue Da pagina 25 a nostro avviso anche quella più indicata se si vuole comunque avere spazio sufficiente per finestre e icone. Lo schermo ha una resa eccellente, paragonabile se non migliore a quella del MacBook Pro: Apple ha ridisegnato il sistema di retroilluminazione migliorando l’efficienza energetica e aumentando luminosità e uniformità, ma anche sulla resa cromatica il lavoro svolto è notevole: solo l’unico secondario con una leggera deviazione è il ciano, per il resto ci troviamo davanti ad uno schermo ben bilanciato cromaticamente. È velocissimo e nel suo piccolo anche potente Non ci aspettavamo miracoli da un portatile senza ventole dove la scheda madre, incluse memorie e processore, è grande quanto un iPhone ed effettivamente miracoli il MacBook non ne fa. Apple ha voluto realizzare un prodotto davvero ai limiti, con un processore Core M di Intel caratterizzato da una TDP inferiore ai 5 Watt (4.5 per la precisione) e dotato di uno spessore inferiore al millimetro. Apple deve moltissimo a Intel per il risultato raggiunto, e solo grazie al suo nuovo processore integrato è riuscita a tenere lo spessore così ridotto e a gestire in modo efficace il carico termico. Sul modello in prova il processore, realizzato con tecnologia 14 nanometri, è la versione da 1.1 GHz, ma è possibile avere anche le versioni da 1.2 GHz e 1.3 GHz: crediamo che non sia il caso di investire di più per un torna al sommario upgrade del processore, anche perché chi acquista questo MacBook dovrebbe (almeno si spera) essere consapevole che attività come il gaming 3D, il rendering e l’editing video di un certo livello gli sono precluse. Con a bordo 8 GB di memoria e 256 GB di spazio su un velocissimo disco SSD il MacBook è comunque una scheggia nelle operazioni che richiedono accesso veloce ai dati: editing di moltissime foto, copia di file, caricamento di grossi fogli di calcolo e di grossi file di testo sono comunque ambiti dove il MacBook non soffre più di tanto. Senza addentrarsi troppo nei dettagli tecnici va segnalata la presenza di un controller SSD realizzato da Apple che fa proprio la differenza in lettura e in scrittura, con un picco di 771 MB/s in lettura. Per quanto riguarda le prestazioni abbiamo provato un po’ di tutto: fogli di calcolo, giochi, editing video e editing fotografico, e senza esagerare siamo riusciti a fare tutto senza alcun problema. Certo, non ci si deve aspettare l’applicazione in tempo reale di più filtri di Premiere ma se vogliamo realizzare un filmato con iMovie anche in HD e con alcuni filtri riusciamo a renderizzarlo e esportarlo senza troppi problemi. La stessa cosa vale per l’editing fotografico: si riescono a elaborare senza problemi file RAW anche abbastanza pesanti ma si deve comunque attendere una frazione di secondo per vedere applicati filtri più pesanti come un eventuale rimozione del rumore. Sui giochi la questione è più complessa: con giochi di qualche anno senza esagerare sulle impostazioni di dettaglio e effetti si riesce a giocare senza problemi con un frame-rate comunque accettabile (abbiamo provato Diablo III, Day of Defeat Source e Fifa 2012), ma molti giochi non girano proprio con la scheda video integrata Intel 5300. Impossibile comunque pretendere di giocare bene in 3D con questo MacBook, anche se Football Manager, platform e strategici sono comunque alla sua portata. Un dato infine per quanto riguarda l’autonomia, di non poco conto quando si parla di un portatile. Per il MacBook Apple ha realizzato un nuovo e innovativo tipo di batteria al litio con una densità inferiore di energia delle classiche batterie al litio ma con il vantaggio di poter essere plasmata anche in forme insolite grazie alla sovrapposizione di più strati. Apple ha sfruttato questo vantaggio per saturare tutto lo spazio interno del MacBook, ottenendo una batteria da quasi 40 Wh che si avvicina molto a quella da 38 Wh del MacBook Air da 11”. In termini di autonomia questo si traduce se- condo Apple in 10 ore di navigazione web usando Safari come browser, ma all’atto pratico abbiamo visto che difficilmente si sorpassano le 7 ore tenendo una luminosità adeguata e usando Chrome come browser (Chrome e l’autonomia su OSX non vanno troppo d’accordo). La stessa logica vale anche con le altre app di sistema: Quicktime ci permette di guardare video HD per quasi 10 ore mentre con VLC o un altro player meno ottimizzato si devono togliere almeno 90 minuti. In linea di massima, considerando lo schermo Retina, il MacBook ha una buona autonomia ma sotto questo punto di vista l’Air da 13” è su un altro pianeta. Da segnalare la ricarica comunque molto rapida con il caricatore in dotazione, ricarica che volendo potrebbe essere fatta anche con un battery pack esterno: anche qui, per la mancanza di un cavo da USB a USB Type-C non siamo stati in grado di effettuare una prova pratica. I pro e i contro del MacBook Le prove sono fatte ovviamente per dare un giudizio e nel caso del nuovo portatile Apple il giudizio è davvero difficile da dare. Il difetto a nostro parere maggiore è il prezzo: i 1499 euro che servono per portare a casa questo prodotto sono tanti anche se alla fine, paragonando questo MacBook al resto della gamma Apple, siamo allineati con gli altri prodotti. Il MacBook Air con SSD da 256 GB e 8 GB di RAM, ad esempio, costa 1479 euro e rispetto al MacBook ha uno schermo di qualità decisamente inferiore ma può contare su una tastiera a nostro avviso più comoda, su 1” in più di diagonale, su un processore comunque più potente e due due porte USB standard oltre allo slot SD. Queste considerazioni, tuttavia, sono legate all’uso che una persona fa del portatile: potrebbe ad esempio dare più fastidio la fotocamera frontale 480p di modesta qualità su un prodotto simile dell’assenza dello slot microSD. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Un ultrabook potente, completo e ben costruito a un prezzo ragionevole. MacBook Air ha finalmente un degno rivale Dell XPS 13, in prova il miglior laptop Windows Il nuovo portatile con display 13’’ di Dell ha saputo conquistarci: è completo in tutto e non ha veri e propri punti deboli di Vittorio Romano BARASSI uella dei laptop è una categoria che negli ultimi anni ha faticato non poco a proporre qualcosa di veramente nuovo e interessante. Tutti i principali protagonisti del mercato si sono messi alla ricerca di un giusto mix capace di competere ad armi pari con il MacBook (Air o Pro) di Apple ma solo in pochi sono riusciti a disegnare prodotti capaci di rivaleggiare con la soluzione ultraportatile di Cupertino. Dell ci ha provato con la serie XPS 13 che nel 2015 è stata totalmente rivista e che, finalmente, pare essere giunta alla maturità: il nuovo ultrabook è davvero un ottimo prodotto e in questa prova cercheremo di spiegarvi il perché. Q video La qualità c’è, si vede e si tocca XPS 13 si presenta benissimo: la confezione di vendita è elegante, minimal, nasconde sapientemente il compatto caricabatteria e i cavi (molto bello il doppio LED sullo spinotto di alimentazione) e mette in primo piano le finiture metalliche del laptop. Il nuovo ultrabook di Dell è infatti contraddistinto da un design che vede sia la copertura superiore sia il fondo realizzati in alluminio satinato da 2mm, caratteristica che innalza non poco la sensazione di qualità generale rispetto ai modelli delle generazioni precedenti e che avvicina in maniera decisa Dell ad Apple. All’interno infine, per rendere più leggero il tutto, c’è un telaio in fibra di carbonio che dice moltissimo sulle intenzioni di questo XPS 13. Anche la tastiera, poi, ha indubbie qualità: i tasti sono abbastanza grandi, ben distanziati e offrono un ottimo feel alla pressione. Abbiamo scritto tutta la recensione di XPS 13 proprio con questa tastiera e, nonostante Dell ci abbia fornito un sample con layout americano, mai abbiamo rimpianto la tastiera che eravamo soliti utilizzare. Bella e funzionale la retroilluminazione, regolabile su due livelli e disattivabile tramite apposito pulsante presente sulla tastiera (ma non c’è il controllo automatico in base alla luminosità ambientale). Nella media il trackpad, con dimensioni assolutamente normali, mentre qualche appunto lo si può fare solo alla superficie “soft” scelta da Dell per rivestire tutto lo spazio attorno alla tastiera: piacevole al tatto, ma troppo sensibile al sudore delle mani e dei polsi. I due lati di Dell XPS 13 sono contraddistinti da un corredo di porte che soddisferà praticamente ogni tipologia di utente. Sul lato sinistro, oltre all’ingresso dello spinotto di alimentazione, vi sono una porta torna al sommario lab DELL XPS 13 1.099,00 € OK IL PREZZO; E QUESTA È LA VERSIONE DA SCEGLIERE Dell XPS 13 è un ultrabook completo, potente e davvero ben fatto. Partendo da questi cardini ci sentiamo di considerare ragionevoli i 1.099 euro che Dell chiede per il dispositivo in questione, considerando che per acquistare un MacBook Air dalle (quasi) analoghe specifiche (con 4 GB di RAM in meno e display non Full HD) se ne devono spendere ora 1.379. Il computer è scattante, bello da vedere, leggero e con un ottimo display: ha quindi tutte la carte in regola per soddisfare l’utenza business e quella consumer, senza particolari preferenze. Il discorso cambia se si considera l’acquisto di uno dei modelli con display QHD+, peraltro con autonomia inferiore: Dell parte da un listino di 1.399 euro, ma per 100 euro in più Apple risponde con Macbook Pro 13” con display Retina che, specifiche alla mano e con un prezzo quasi analogo, diventa davvero difficile da non tenere in considerazione. Resta il fatto che questo Dell è un prodotto da prendere in seria considerazione, e se la ricerca prevede un prodotto Windows, qui si va davvero a botta sicura. 8.2 Qualità 9 Longevità 8 Qualità generale e finiture COSA CI PIACE Display Infinity molto bello Ottima autonomia Design 8 Semplicità 7 COSA NON CI PIACE mini-DisplayPort, una USB 3.0, l’ingresso per jack da 3.5 mm e un piccolo pulsante che attiva una serie di cinque piccoli LED che indicano in maniera approssimativa l’autonomia residua; sul lato opposto c’è spazio solo per una seconda porta USB 3.0 e per un lettore di card SDXC. Su entrambi i lati, posizionati simmetricamente, vi sono anche due piccolissimi speaker (uno a destra e uno a sinistra) dalla qualità poco più che sufficiente. Qualcuno potrebbe lamentare l’assenza della porta HDMI ma, sinceramente, non ci sembra D-Factor Prezzo 8 7 Webcam posizionata male Trackpad nella media Superficie soft-touch sensibile al sudore una mancanza così grave da valere come un punto a sfavore per questo portatile. Infinity Display È lui il protagonista assoluto XPS 13 viene proposto in quattro diverse configurazioni, due con display Full HD e altrettante con pannello QHD+. Quella che Dell ci ha inviato per la prova segue a pagina 28 n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Dell XPS 13 segue Da pagina 27 è la migliore tra le versioni con display Full HD che per nulla fa rimpiangere il modello dotato di schermo con risoluzione superiore; il pannello IPS scelto dal produttore è realizzato da Sharp ed è contraddistinto da un’ottima e uniforme luminosità, da ampi angoli di visione e da colori sempre molto vivaci. Inoltre, la finitura opaca dello stesso, oltre ad inibire i riflessi fa sì che la visibilità sia ottima anche sotto la forte luce del sole. Quel che più colpisce, però, è certamente la sottilissima cornice dello schermo; con un bordo di soli 5,2 millimetri l’Infinity Display di Dell fa davvero una gran figura e ci mette poco a far sembrare obsoleti tutti gli altri portatili proposti dalla concorrenza. Fa sorridere scoprire che a causa del minuscolo bordo, Dell abbia dovuto spostare la webcam: troppo pochi i 5,2 millimetri del bordo, il modulo è stato riposizionato in basso a sinistra. Non proprio il massimo per gli affezionati delle videochiamate su Skype, ma questo è il prezzo da pagare se si vuole un pannello da 13,3 pollici di diagonale su un dispositivo che ha le dimensioni (spessore di 9 - 15 millimetri) e il peso (solo 1,18 chilogrammi) di un ultrabook da 11,6 pollici. Per dovere di cronaca segnaliamo che le versioni equipaggiate con il display dalla risoluzione superiore possiedono funzionalità touchscreen e sono abbinate a un Corning Gorilla Glass che protegge il pannello dai graffi. Quest’ultimo, però, aggiunge quasi un etto al peso complessivo che sale fino a 1,26 chilogrammi. Potenza in abbondanza Ma non per giocare Sotto l’aspetto puramente prestazionale XPS 13 è un tuttofare incredibilmente versatile; il processore Intel Core i5-5200U di quinta generazione (Broadwell-U a 14nm) con 3 MB di cache “spinge” con convinzione fino a 2,7 GHz e mai, nel classico utilizzo di tutti i giorni, si sente il bisogno di potenza extra. Il sistema operativo preinstallato è ovviamente Windows 8.1, che pare essere molto a suo agio con l’unità disco a stato solido da 256 GB scelta da Dell per l’ultrabook in questione. La velocità si percepisce in ogni frangente e il multitasking non è mai un problema grazie anche agli torna al sommario 8 GB di memoria RAM DDR3 a 1600 MHz saldati sulla scheda madre (l’entry-level costa 100€ in meno ma ha soli 4 GB di RAM, fate attenzione). Andando a pretendere un po’ di più da questo Dell XPS 13, per esempio utilizzando qualche programma di elaborazione foto/ video, non si fa fatica a capire come questo portatile sia stato pensato anche per gli utenti più esigenti. Anche forzando le prestazioni, queste risultano assolutamente allineate con le attese e pure in questo caso, a dirla tutta, non abbiamo mai sentito il bisogno di un processore più potente (vedi il Core i7 che Dell offre per i modelli con display QHD+). L’unico “inconveniente” nell’utilizzo intenso, se così lo si vuol chiamare, è che il fondo del portatile tende scaldarsi in maniera importante: non diventa ingestibile, ma tenendolo sulle gambe il calore si percepisce distintamente. Per gli amanti dei numeri abbiamo eseguito qualche famoso test di benchmark (tutti in modalità bilanciata) e XPS 13 si è dimostrato essere al di sopra della media della categoria. Assolutamente prevedibile una certa difficoltà nei test in cui è messa sotto torchio la scheda grafica di sistema, qui una Intel HD 5500 integrata, la quale non è certamente quello di cui un gamer – anche non troppo esigente – ha bisogno. Detto questo, con la scheda in questione è comunque possibile giocare a quasi tutti i giochi presenti in commercio, a patto di scendere a compromessi con la risoluzione e con i dettagli; impossibile pensare di giocare in Full HD con settaggi medio-alti, ma una configurazio- ne a 720p con dettagli medi potrà garantire un buon framerate praticamente in ogni occasione. Dotazione completa e la batteria dura un giorno Dell XPS 13 è un ultrabook full optional equipaggiato con un classico modulo Bluetooth 4.0 e uno Wi-Fi “ac” realizzato da Broadcomm, quest’ultimo in grado di destreggiarsi alla grande anche quando tra il dispositivo e il router ci sono un paio di muri di mezzo. Come abbiamo già anticipato ci sono due speaker di sistema, ma non aspettatevi molto da essi: per un po’ di buona qualità audio molto meglio collegare un paio di cuffie tramite l’apposito jack. Pochi i software che Dell ha deciso di preinstallare a bordo di XPS 13, elemento che sicuramente farà piacere a tutti coloro che non amano sistemi appesantiti da applicazioni per lo più inutili. Se non siete amanti del rumore rimarrete poi abbastanza soddisfatti del comportamento della ventola di sistema, che è sempre attiva ma quasi mai diventa invadente e quando lo fa non risulta mai fastidiosa, anche al massimo regime di rotazione. Facendo un veloce confronto con un MacBook Air che abbiamo utilizzato come “metro” di paragone, si può tranquillamente affermare che le ventole del computer di Cupertino, al massimo, fanno decisamente più rumore. Anche parlando di autonomia, Dell XPS 13 in versione 2015 non delude le aspettative: il parco batterie da 52Wh è tranquillamente in grado di coprire l’intera giornata lavorativa e di lasciare carica a sufficienza per un paio di ore di svago una volta tornati a casa. Dell dichiara un’autonomia di ben 15 ore e anche se non siamo mai riusciti ad arrivare a tanto, abbiamo sfiorato le 11 ore con un utilizzo prevalentemente fatto di navigazione web e stesura testi, il tutto con luminosità dello schermo impostata oltre il 50%, connessione Wi-Fi e qualche applicazione in background sempre attive. La carica completa della batteria richiede poco più di un paio di ore. Concert for one Cuffia P3. Un mix di alta qualità sonora e comfort di lusso, frutto della fusione calcolata e calibrata tra materiali pregiati e tecnologie raffinate. Nata dalla penna di Morten Warren, lo stesso creatore dello Zeppelin Air iPod Speaker, la P3, disponibile in 4 colori, nero, bianco, rosso e blu, ne conserva la personalità, il talento sonoro e la frequentazione privilegiata, ovvero l’iPod e l’iPhone dai quali estrapola il meglio dei conte- nuti sonori, ne integra la funzionalità e la cosmetica. P3 è infatti dotata di un cavo con comando per iPod/iPhone con microfono e controllo volume/salto-traccia, utilissimo per tutti gli amanti dei player firmati dalla mela argentata. Ma –ovviamenteP3 è "anche" una cuffia Hi Fi tradizionale di elevatissimo livello, da poter collegare a qualsiasi sorgente standard, tramite il cavo a corredo intercambiabile con quello per player Apple. Zeppelin e Zeppelin Air sono marchi registrati di B&W Group Ltd. AirPlay, iPod, iPhone e iPad sono marchi di Apple Inc. registrati negli Stati Uniti e in altri paesi. www.audiogamma.it n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Abbiamo provato 5 auricolari: vi spieghiamo come valutare al meglio l’acquisto e quali sono i fattori chiave da considerare Super comparativa di auricolari per lo sport Scopri con noi chi taglia il traguardo per primo In prova JBL Synchros Reflect, Plantronics BackBeat Fit, Sennheiser OCX686G, Sony MDR-AS600BT, yurbuds Leap Wireless S di Emanuele VILLA ono anni che proviamo cuffie e auricolari alla ricerca della massima qualità d’ascolto o del miglior rapporto qualità/prezzo. Questa volta, abbiamo deciso di specializzare la ricerca ed entrare nel mondo del fitness e dello sport. Perchè un auricolare sportivo ha caratteristiche estetiche e funzionali diverse da uno “normale”, e anche a livello tecnologico può risultare un passo avanti non da poco. Abbiamo così pensato di coniugare la classica Guida all’acquisto, con tanto di parametri da valutare prima di mettere mano al portafoglio, con la prova di cinque modelli molto interessanti e selezionati all’interno dei 100 euro di listino. Abbiamo scelto modelli abbastanza diversi tra di loro, cosa che da un lato rende più difficoltosa la comparazione diretta, dall’altro copre un maggior numero di utenti potenziali: non tutti amano gli auricolari Bluetooth, non tutti vogliono spendere 100 euro e via di seguito. In questo modo, invece, abbiamo solo prodotti di qualità ma con un minimo di varietà tra le opzioni disponibili. nome) sul cavo, che lo rende visibile di notte. Pensato per: chi vuole un prodotto che, nonostante la sicurezza dei modelli sportivi, sia anche comodo da tenere per ore Leggi la prova completa I prodotti in prova Plantronics BackBeat Fit video Per la prova abbiamo scelto cinque prodotti dalle caratteristiche diverse, abbiamo modelli a filo e altri Bluetooth, alcuni con archetto auricolare e altri in-ear, ma senza dimenticare alcune soluzioni proprietarie rivolte a garantire la massima stabilità possibile. Ognuna di esse è corredata dalla prova completa del prodotto, accessibile da questa pagina oppure come articolo singolo nelle pagine seguenti. lab grintosa e con qualità sonora garantita dalla tradizione del marchio. Per la migliore tenuta, Sennheiser ha optato per un archetto auricolare ergonomico, mentre le caratteristiche principali dichiarano una risposta in frequenza 18 - 20.000 Hz e un livello di pressione sonora di 120 dB (1 kHz / 1 Vrms). OCX686G è un auricolare a filo con controller per Android (c’è anche la versioen iOS), dotato di microfono, cavo anti-attorcigliamento e custodia. JBL Synchros Reflect Synchros Reflect di JBL è una delle due proposte a filo di questa rassegna, insieme al modello OCX686G di Sennheiser. Il suo obiettivo è quello di coniugare la stabilità di un auricolare sportivo con la comodità di un in-ear classico. Per la tenuta durante l’attività sportiva ci si affida a un piccolo “gancetto” di gomma da inserire nella cavità auricolare, mentre per la gestione musicale e delle telefonate c’è il classico controller sul filo. Synchros è disponibile in versione iOS e Android, offre una risposta in frequenza estesa da 10 Hz a 22kHz e si contraddistingue per una finitura riflettente (da cui il torna al sommario Gli auricolari più “smart” di questa rassegna. Perchè oltre ad essere Bluetooth, quindi wireless per definizione, dispongono anche di un’app apposita e si possono interfacciare con app di terze parti. Pieno controllo di riproduzione sugli auricolari, mentre per la sicurezza ci si affida a un doppio archetto, quello classico che avvolge l’orecchio e un altro che passa dietro il collo. BackBeat Fit pesa 24 grammi ed è realizzato in gomma estremamente flessibile; in più offre, all’interno della confezione, anche una custodia double face che diventa fascia da braccio all’occorrenza. I dati tecnici garantiscono 8 ore di autonomia in ascolto musicale. Pensato per: chi vuole un prodotto molto “smart”, senza fili e con una buona dotazione di accessori nella confezione Leggi la prova completa Pensato per: chi pratica sport indoor e apprezza il livello di isolamento offerto dall’in-ear. Leggi la prova completa Sony MDR-AS600BT Sennheiser OCX686G OCX686G fa parte della nuova offerta 2015 di auricolari sportivi Sennheiser. Per un prezzo di listino di circa 100 euro si ha un auricolare in-ear “classico” dall’estetica MDR-AS600 BT è un auricolare splash-proof diverso dagli altri presenti in questa rassegna. Intanto per segue a pagina 31 n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Comparativa auricolari per lo sport segue Da pagina 30 l’aspetto estetico abbastanza “importante”, ma anche per la completa gestione musicale (e delle telefonate) tramite un solo pulsante presente sull’auricolare destro. Come sistema di bloccaggio, Sony opta per un in-ear classico ma rinforzato dal gancetto di gomma da inserire in un incavo del padiglione, al fine di coniugare comodità e sicurezza. MDR-AS600BT è un auricolare Bluetooth, per cui wireless per definizione, con annessa tecnologia NFC e compatibile con gli smartphone delle generazioni più recenti senza distinzione di sistema operativo. Come autonomia, vengono dichiarate 8,5 ore di ascolto musicale, che lo posizionano ai vertici della nostra rassegna. Pensato per: chi vuole un auricolare che “suona bene” e dalla buona autonomia, senza l’assillo dei cavi. Leggi la prova completa yurbuds Leap Wireless tutto l’ergonomia, da cui deriva la stabilità del prodotto durante l’attività fisica Semplicity: lo interpretiamo come facilità ad indossare gli auricolari, a “metterli e toglierli” e la comodità dopo un’attività fisica intensa D-Factor: è il fattore hi-tech, che nel nostro caso riguarda Bluetooth, app, controller, sensori ecc Prezzo: il rapporto qualità/prezzo Come scegliere un auricolare per lo sport Leap Wireless di yurbuds è un modello particolare. Diverso dalle “solite” cuffie sportive soprattutto per il modo in cui l’auricolare assicura la propria tenuta durante l’attività. Al posto dei soliti archetti, ganci e via dicendo, qui l’auricolare ha un terminale in gomma che - previa torsione - aderisce perfettamente all’interno del padiglione e non si muove neppure durante l’attività più intensa ed “estrema”. Inoltre, è un auricolare wireless Bluetooth, quindi indipendente dal sistema operativo (per smartphone) utilizzato. Contiene un microfono, un controller a filo e garantisce 6 ore di autonomia prima della necessaria ricarica. Pensato per: chi fa sport che vanno al di là di una semplice corsetta. Il sistema di aggancio Twistlock assicura la massima tenuta Leggi la prova completa Come li abbiamo valutati Approfittiamo di questa area per una piccola nota di metodo: tutti gli auricolari della rassegna sono stati testati nelle medesime condizioni, ma le conclusioni cui si giunge hanno tenuto conto del prezzo di listino, che varia abbastanza da un modello all’altro. Inoltre, i tradizionali parametri che DDAY.it usa per i giudizi delle prove, in questo caso necessitano di un’interpretazione particolare, considerando il tipo di prodotto. In particolare: Qualità: la qualità sonora, valutata durante l’attività di fitness Longevità: sensazione di robustezza, durata nel tempo, resistenza ad acqua, sudore ecc... Design: qui consideriamo l’estetica ma anche e soprat- torna al sommario Ad alcuni diremo cose ovvie, ma non tutti sanno che per svolgere attività fisica con il proprio sottofondo musicale preferito ci vogliono auricolari ad hoc. Quelli normali non sono indicati a questo scopo: il loro obiettivo è fornire la miglior qualità sonora possibile in condizioni di assoluta o relativa tranquillità; vanno bene per camminare, potrebbero essere più che sufficienti per una marcia, ma quando l’attività sportiva comprende corsa, ginnastica, movimenti rapidi del capo, uso di attrezzi, torsioni di ogni genere e via dicendo, c’è bisogno di un modello che assicuri, oltre alla necessaria qualità sonora, anche un livello di stabilità superiore alla media. Fattore hi-tech Dal Bluetooth alle pulsazioni “in-ear” Partiamo da un discorso tecnologico: il punto di partenza è ancora il classico auricolare a filo con un sistema di sicurezza tale da garantire la massima tenuta anche durante l’attività fisica più intensa. Ma è ovvio che anche in questo settore l’evoluzione tecnologica si sia fatta sentire: il primo passo avanti sono gli auricolari, sempre a filo, con controller per la gestione musicale e delle telefonate, il che implica anche la presenza di un microfono solitamente posto sul dorso del controller stesso. In alternativa è possibile che il microfono sia nell’auricolare, ed entrambe le soluzioni hanno pro e contro: nel primo caso c’è il rischio che la distanza rispetto alla bocca sia eccessiva e che il microfono, che naturalmente “saltella” durante la corsa, renda la conversazione ricca di interferenze, ma è anche il sistema più versatile perchè ci permette di portare il microfono vicino alla bocca e risolvere (sia pur manualmente) entrambi i problemi. Tra l’altro i migliori produttori dotano i propri auricolari di una clip sul cavo che serve proprio per agganciare quest’ultimo agli indumenti evitando vibrazioni eccessi- ve. Da notare, infine, che gli auricolari a cavo sono solitamente sensibili al sistema operativo del telefono: di solito ci sono i modelli specifici per Android e quelli per iOS. Il che non significa che non siano intercambiabili: se si sbaglia modello, di solito si perdono solo le funzioni di riproduzione e (cosa tutt’altro che secondaria) la regolazione del volume. Poi ci sono gli auricolari Bluetooth, che non necessitano di particolari spiegazioni tecnologiche ma per i quali è indispensabile un piccolo approfondimento: il loro limite è l’autonomia, che per nostra esperienza va dalle 4 alle 8 ore, dopo di che devono essere ricaricati a differenza di quelli a filo. Gli auricolari Bluetooth sono ovviamente wireless ma necessitano di un cavetto di collegamento tra gli stessi, che può essere un cavo morbido da far passare dietro al collo oppure di un archetto flessibile. Il bello è che sono compatibili con tutti i dispositivi delle ultime generazioni senza distinzione di sistema operativo, ma c’è da affrontare il discorso della stabilità di segnale, che chi è alle prime armi trascura ma che potrebbe riservare qualche sorpresa. Il ricevitore Bluetooth è infatti integrato in uno dei due auricolari, che di solito è il destro: se il telefono è fermo e si fa ginnastica (tipica ipotesi da palestra, o anche sotto la doccia, essendo gli auricolari waterproof), valgono le considerazioni tipiche del Bluetooth, ovvero entro i 6-8-10 metri la situazione è ottimale, dopo di che la musica va a scatti, si interrompe, ci sono interferenze e via dicendo. Ma questo è assolutamente normale. La situazione è diversa nel caso in cui lo smartphone sia sì vicino all’auricolare, ma sia l’utente che il telefono siano in movimento: in questo caso, molto frequente a dire il vero (corsa, bicicletta, jogging...), ci possono essere differenze di ricezione tra i vari modelli e tutto sta alla distanza tra smartphone e auricolare e alla presenza di eventuali ostacoli. Intendiamoci, se si mette il telefono in una fascia da braccio, magari indossandola sul braccio destro (cioè dalla stessa parte del ricevitore BT), il problema proprio non si pone, ma se si inizia a infilare lo smartphone nella tasca dei pantaloni, magari in quella opposta rispetto al lato del ricevitore e si fanno torsioni veloci con il capo mentre si corre, potrebbero verificarsi limiti di ricezione con piccole interferenze, attimi di assenza di segnale e via dicendo. Alcuni di questi segue a pagina 32 n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 TEST Comparativa auricolari per lo sport segue Da pagina 31 possono essere considerati fisiologici data la media dei modelli: qualche micro-interferenza è prevedibile e tollerabile, purchè intervenga in circostanze specifiche e sia rara, ma in altri casi è più frequente e impone limiti di posizionamento dello smartphone. Parlando di fattore hi-tech, oggi possiamo andar oltre al Bluetooth. Ci sono infatti auricolari che, oltre ad essere senza fili, sono gestibili via app e - in quanto appartenenti all’era “smart” possono gestire (tramite i pulsanti di cui dispongono) non solo le operazioni classiche di riproduzione e la risposta alle telefonate, ma anche le funzioni di app di terze parti. Per non parlare di quegli auricolari, come i Jabra Sport Pulse provati qualche mese fa, che oltre al Bluetooth e alla gestione via app, dispongono anche di un sensore per il battito cardiaco integrato, che pare tra l’altro essere molto affidabile. La stabilità è la prima cosa da valutare E la comodità? A prescindere dalla presenza o meno di spunti di alta tecnologia, gli auricolari sportivi devono essere stabili. Perchè magari qualcuno li usa solo per camminare con grinta, come nel caso del nordic walking, ma c’è chi fa ginnastica a corpo libero, chi corre, chi scala e via dicendo. Tutte queste categorie di sportivi e atleti hanno diritto a un auricolare che non solo non cada durante l’attività, ma non si sposti neppure dalla sua sede obbligando a continue correzioni. Per dare stabilità, le soluzioni adottate dai produttori sono diverse, e il risultato varia anche di molto: fermo restando che l’in-ear fornisce di per sè una qualche forma di tenuta, i produttori tendono ad aggiungervi archetti che circondano l’orecchio, altri che si posizionano dietro il collo, dei piccoli “beccucci” di gomma che si inseriscono nelle cavità del padiglione e bloccano l’auricolare, sistemi ergonomici che vincolano l’auricolare all’orecchio mediante rotazione dell’auricolare stesso e via dicendo. In tutti i casi, valutare il sistema di fissaggio è molto importante in sede di acquisto, tenendo presente una regola di massima (che subisce comunque eccezioni): più l’auricolare ha un sistema voluminoso di fissaggio, più è stabile ma meno è comodo. Per esempio, l’archetto che avvolge il padiglione è perfetto per garantire tenuta, ma chi por- Gli auricolari Jabra Sport Pulse sono dotati di sensore biometrico integrato torna al sommario MAGAZINE ta gli occhiali potrebbe provare un po’ di fastidio dopo ore di attività fisica, mentre il piccolo “beccuccio” che si somma all’in-ear dà una comodità senza precedenti, permette di mettere e togliere gli auricolari senza difficoltà ma di fronte a sollecitazioni davvero intense qualche movimento lo provoca. Tutto sta a capire quanto è importante la stabilità per sè: fermo restando che un certo grado è fondamentale in tutti gli sport, oltre il minimo garantito dipende poi dalle proprie esigenze. Isolamento, è davvero importante? Per loro stessa natura, gli auricolari forniscono un certo grado di isolamento dall’esterno, che ovviamente (senza ricorrere ai sistemi di tipo attivo) è molto maggiore nei modelli in-ear rispetto a quelli aperti. Alcuni auricolari pensati per lo sport, come gli yurbuds Leap Active, hanno una struttura tale da incrementare ulteriormente il senso di isolamento, ma ovviamente la sua utilità o meno va valutata sulla base dello sport che si pratica: un livello di isolamento massimo non è infatti indicato per chi pratica sport principalmente all’aperto, in luoghi trafficati, con presenza di automobili, passanti e, in generale, di ostacoli che possono essere segnalati acusticamente. Stesso discorso nel caso si corra in compagnia: con un auricolare ad alto livello di isolamento, interagire diventa difficile, oltre al fatto che gli auricolari sportivi difficilmente si prestano ad essere “tolti e inseriti” di continuo. Ottimo invece un buon livello di isolamento nel caso di sport indoor, magari quando si corre da soli e in tutti quei casi dove non sentire i rumori non causa alcun pericolo. Tutti gli auricolari sportivi sono poi pensati per sopportare un certo livello di stress e condizioni atmosferiche non delle migliori: tollerano il sudore e la pioggia come requisiti di base. Dal canto nostro, abbiamo usato tranquillamente quelli Bluetooth sotto la doccia (quelli a filo no, perchè lo smartphone non era waterproof), ma attenzione a non esagerare: se si vuole un auricolare per nuotare, ci sono modelli ad hoc, come NWZ-W273 di Sony che in realtà è un vero e proprio Walkman subacqueo con auricolari connessi. Dulcis in fundo, devono suonare bene A differenza dei modelli standard e di quelli dedicati agli audiofili, negli auricolari sportivi la qualità d’ascolto ha una rilevanza leggermente inferiore. Per tanti motivi: perchè quando si pratica attività fisica intensa l’attenzione non può essere rivolta solamente alla qualità d’ascolto, e poi perchè sono prodotti che devono coniugare con la musicalità anche altre doti importanti quali la stabilità, la resistenza e la comodità. Ma considerare la qualità sonora come un aspetto in tutto e per tutto secondario sarebbe parimenti un errore: una bassa qualità stanca, dà fastidio e mette di cattivo umore, andando anche a condizionare i risultati sportivi. È quindi necessario equilibrio in tutto: un auricolare che, sia pur in dimensioni ovviamente contenute, offra un suono bilanciato e che, come tale, sia adatto a tutti i generi musicali. Perchè non dobbiamo dimenticare che chi pratica sport “usa” la musica non certo per rilassarsi, ma per ricavarne energie supplementari: i generi più gettonati sono quindi quelli più energici come il rock, il pop, la musica dance e affini, generi che - causa “completezza” del messaggio sonoro - richiedono una giusta compresenza di bassi, medi e alti senza che una parte dello spettro abbia la chiara predominanza sul resto. E qui non ci si può che affidare alle recensioni, con- siderando dati tecnici piuttosto simili e che insistono più sul livello di pressione sonora (altro dato da prendere in considerazione) che sulla reale risposta in frequenza. Quindi, qual è il migliore? Per la valutazione del miglior auricolare tra quelli selezionati, consigliamo ovviamente di leggere le singole prove, che prendono in considerazione tutti gli aspetti principali per la valutazione di un auricolare sportivo, dalla qualità sonora alla tenuta in condizioni di stress. L’impressione che abbiamo avuto provandoli tutti è che siano prodotti molto diversi se valutati sotto specifici punti di vista, ma che nel complesso non ce ne sia uno che svetta sugli altri sotto ogni profilo. Quindi poniamo la questione in termini diversi: quali sono i migliori sulla base dei singoli parametri? E qui siamo in grado di rispondere in modo preciso, poi ognuno valuterà quale di questi parametri è più importante per la propria attività sportiva: per esempio, chi cerca la migliore qualità sonora può senza dubbio optare per il Sony MDRAS600BT, che però soffrono un po’ sotto il profilo del design, ma se l’esigenza è invece quella della solidità “assoluta”, anche di fronte a sport estremi, allora consigliamo di provare la soluzione yurbuds Leap Wireless, che tra tutte ci ha dato le maggiori garanzie di tenuta salvo poi offrire una qualità sonora migliorabile. Parlando di comodità (perchè saranno pure auricolari sportivi, ma non possono dar fastidio), abbiamo apprezzato molto le soluzioni JBL e Plantronics, quest’ultima anche per il forte contributo hi-tech. In entrambi i casi, poi, la qualità sonora è più che accettabile, mentre facciamo un discorso di grande equilibrio per Sennheiser OCX686G, auricolari che dosano con esperienza i fattori stabilità e qualità d’ascolto, rimanendo solo un po’ indietro in fatto di comodità per via del voluminoso archetto. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Un auricolare sportivo che fonde alla perfezione la comodità dell’in-ear con la solida tradizione audio del marchio JBL JBL Synchros Reflect: si vedono anche di notte Offrono qualità sonora all’altezza e buona comodità: un vero peccato che in dotazione non sia previsita una custodia... A di Emanuele VILLA ll’interno della rassegna comparata dei più interessanti auricolari per lo sport non poteva mancare un esponente di casa JBL, marchio con una tradizione musicale d’eccellenza. Il modello in questione è Synchros Reflect, un modello in-ear disponibile in diversi colori tutti “riflettenti” (da cui il nome del modello) per essere facilmente visibili di notte da parte dei mezzi che ci illuminano. La cosa è particolarmente significativa pensando che si tratta di un modello in-ear, quindi capace di un certo grado di isolamento dall’esterno: facendo attività outdoor dobbiamo fare molta attenzione a ciò che accade attorno a noi, ma un aiuto come un materiale riflettente non fa mai male. Per la prova abbiamo ricevuto la versione nera e possiamo confermare che - nonostante sia meno “grintosa” degli altri modelli - è anch’essa riflettente: ciò che brilla è infatti il cavetto di collegamento con lo smartphone, non l’auricolare. Da segnalare tra l’altro che, all’interno della nostra rassegna, il modello JBL Synchros è quello con il prezzo di listino più basso: 60 euro, che diventano un centinaio per la versione Bluetooth. La soluzione tecnica adottata da JBL è molto interessante poiché qui l’obiettivo è coniugare i vantaggi dell’in-ear e la comodità degli inserti auricolari ergonomici. Il primo punto garantisce un certo livello di isolamento passivo, ferma restando la necessità di utilizzare il gommino auricolare corretto tra quelli forniti in dotazione (3 coppie), mentre la soluzione adottata per garantire un livello superiore di stabilità è quella dell’inserto ergonomico con un beccuccio che, indossato correttamente, dà al prodotto un certo grado di stabilità extra. E tutto questo senza ricorrere ad archetti scomodi: non c’è quello che passa dietro l’orecchio causando (potenziale) fastidio sulla lunga distanza e ai portatori di occhiali, non c’è quello posteriore che è invece indispensabile nel caso di auricolari Bluetooth. Comodità notevole Da indossare con cura Considerando che dal punto di vista tecnico, JBL Synchros Reflect è il “solito” auricolare sportivo, indossiamolo immediatamente e iniziamo a correre un po’. Avendo provato diversi auricolari sportivi, Bluetooth e a cavo, possiamo dire subito che la soluzione scelta da JBL è notevole sotto il profilo ergonomico: pur avvertibile, la minor stabilità rispetto a un auricolare con archetto che passa dietro l’orecchio è relativa, ma indossare gli auricolari in un attimo e senza problemi (soprattutto se si portano gli occhiali) è un vero piacere. Poi è chiaro che c’è molta soggettività: a qualcuno la sensazione di chiusura data dalle in-ear non piace, ma la comodità di mettere e togliere quando si vuole e senza nessuna difficoltà è impagabile. Comodità, dicevamo: di per sé le in-ear possono essere abbastan- torna al sommario video lab JBL Synchros Reflect 59,90 € COMODITÀ E STABILITÀ CONTANO. QUALITÀ SONORA DI BUON LIVELLO Questi auricolari sono evidentemente dedicati a un pubblico giovane, energico, attivo e che vuole qualcosa di comodo e stabile quando pratica attività fisica. Gli auricolari Synchros Reflect BT sono indubbiamente facili da indossare e credeteci, questo non è per nulla scontato nel mondo degli auricolari sportivi. Quel “gancetto” all’interno del supporto auricolare si posiziona in un attimo ed è un valore aggiunto: dopo ore di attività fisica, non abbiamo mai rischiato di perderle per strada e siamo intervenuti pochissime volte per correggerne il posizionamento. La qualità sonora è in fascia medio/alta: eccezionale sotto il profilo del dettaglio, della dinamica e della pressione sonora, risente di una leggera (davvero leggera) predominanza della gamma media che emerge soprattutto in alcuni generi come il rock, cosa facilmente correggibile con un equalizzatore. Ottima, anche in termini di bilanciamento, la resa su brani dance e pop, il tutto a formare un quadro che - considerando il tipo di prodotto e la sua finalità - è più che discreto. 8.0 Qualità 8 Longevità 7 Design 8 Facili da indossare e comodissime COSA CI PIACE Sufficientemente stabili Robuste, buon rapporto qualità/prezzo za fastidiose se indossate per ore e ore, ma va anche detto che di tutte le soluzioni disponibili (archetti di diverso tipo, forme strane degli inserti auricolari e via dicendo), questa è ancora la più comoda. Certo, a differenza dei modelli Bluetooth qui c’è il cavetto che collega l’auricolare allo smartphone, ma anche qui si è cercato di contenerne al massimo l’ingombro e i potenziali fastidi: il cavo è decisamente corto ma viene fornita una prolunga che serve nel caso si voglia mettere lo smartphone in tasca anzichè nella fascia da braccio e c’è una piccola clip che serve per tenerlo fermo ed evitare che dia fastidio durante l’attività fisica. Se proprio non si vuole avere cavi in giro si può optare per la versione Bluetooth, che costa circa 3040 euro in più e offre la medesima dotazione tecnica ma con il cavetto di collegamento degli auricolari da far passare dietro il collo. La minor tenuta rispetto a un auricolare con archetto che circonda l’orecchio presuppone semplicemente più cura quando li si indossa: va usato il gommino auricolare giusto, vanno inseriti in profondità nel con- Semplicità 9 D-Factor 7 Prezzo 9 Manca una custodia in dotazione COSA NON CI PIACE Microfono di qualità migliorabile dotto uditivo e il gancetto ergonomico va posizionato in modo corretto. Se queste condizioni sono soddisfatte, è davvero difficile farli cadere durante la corsegue a pagina 34 n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST JBL Synchros Reflect segue Da pagina 33 sa o l’esercizio, pressoché impossibile mentre si fa jogging. Anche qui, in un paio d’ore di attività ci siamo fermati per sistemarli due-tre volte, ma non abbiamo mai avuto la sensazione che potessero cadere. Robuste ma manca una custodia Stranamente JBL non ha pensato di dotare le proprie Synchros Reflect di una custodia: gli auricolari danno una sensazione di gran robustezza, ma si tratta pur sempre di una pecca, anche perché la stessa è presente in tutti gli altri prodotti che abbiamo testato (in un caso, diventa anche fascia da braccio). È invece presente il cavetto/prolunga indispensabile quando si vuole fare attività con lo smartphone in tasca, tre coppie di supporti auricolari Freebit di taglia diversa e il controller con cui regolare il volume di riproduzione, mettere in pausa/play, accettare o meno le telefonate e agire sul controllo della riproduzione (salto traccia, avanzamento veloce...). Da notare che le Synchros Reflect sono ottimizzate per iOS: gli utenti di un diverso sistema operativo potranno comunque utilizzarle non solo per l’ascolto musicale ma anche per telefonare, semplicemente non disporranno di funzionalità avanzate di riproduzione (avanzamento rapidto, salto traccia) e in alcuni casi neppure della regolazione del volume. Il tutto comunque è spiegato precisamente sulla confezione. Come ormai da tradizione, anche Synchros Reflect ha un microfono incorporato e un controller per la gestione musicale e delle telefonate: il microfono è migliorabile, fa il suo lavoro, ma il nostro interlocutore ci ha confermato che la qualità percepita è nella norma. Suono bilanciato Meglio con pop ed elettronica Affrontati i discorsi di comodità e stabilità, procediamo con l’ascolto. JBL ha un’ottima tradizione in merito e intende confermarla con questo modello: la prima torna al sommario sensazione, di fronte a una compilation di musica dance, è decisamente appagante sotto tutti i parametri primari. L’in-ear fornisce un certo grado di isolamento, Il microdettaglio, cui peraltro difficilmente si fa attenzione durante gli allenamenti, è ben percepibile e la dinamica è notevole: certo, una leggera impostazione sulla gamma media si percepisce, ma prevale la sensazione di bilanciamento. Notiamo così un bel basso profondo che “colpisce” quando viene chiamato in causa ma senza invadere il quadro, e nessuna particolare asprezza in gamma alta, il tutto a formare un ascolto senza intoppi o fastidi di alcun genere. Tutto ciò a patto che l’auricolare sia ben indossato con tanto di supporto auricolare corretto. C’entra molto il tipo di musica: data la gamma media leggermente avanzata, questi Synchros si adattano perfettamente all’elettronica e al pop (generi tra l’altro molto ben visti dagli sportivi), regalandoci risultati molto piacevoli. Soprattutto nel primo caso, la presenza di basse frequenze diventa importante ma senza causare distorsioni neppure a regimi elevati. Nei brani più soft, dove la dinamica lascia il posto al dettaglio, otteniamo i risultati migliori: rumore di sottofondo pressochè assente, voci molto piene e naturali e una degna separazione degli strumenti. Discorso un po’ diverso per il rock, specie quello più duro: il quadro si mantiene sempre molto dinamico e l’appassionato apprezzerà sicuramente la pressione La soluzione ergonomica adottata da JBL consiste nell’in-ear con un “gancetto” di gomma che aumenta la tenuta dell’auricolare durante il movimento. notevole, ma qui la forza della gamma media tende a diventare notevole appiattendo un po’ il tutto. Niente di fastidioso, al massimo basta intervenire con l’equalizzatore enfatizzando leggermente le basse frequenze per ritrovare quella sensazione di “pienezza” presente nei casi precedenti. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Plantronics dedica i suoi nuovi auricolari BlackBeat Fit a chi ama una vita ricca di fitness e un’intesa attività sportiva Plantronics BackBeat Fit, l’hi-tech incontra lo sport Ad un prezzo abbordabile, questo auricolare offre musica wireless, controlli avanzati e anche qualche utile accessorio L di Emanuele VILLA e caratteristiche più ricercate in un auricolare sportivo, ovvero resistenza, comodità, stabilità e qualità sonora, possono tranquillamente associarsi al concetto di hi-tech. Almeno, questa è la filosofia di Plantronics, che con BackBeat Fit punta a coniugare le caratteristiche di base di un buon auricolare sportivo con i vantaggi della connettività wireless. I BackBeat Fit in prova, nella versione nero/verde, sono infatti auricolari senza fili e sfruttano il protocollo Bluetooth con tecnologia A2DP per lo streaming dei brani audio dalla sorgente musicale (smartphone) all’auricolare stesso, permettendo così un livello di comodità che i classici modelli a filo non possono garantire. Sotto i 100 euro di listino, BackBeat Fit sono venduti con un corredo tanto completo quanto inusuale: oltre agli auricolari in sé, infatti, nella confezione troviamo anche un’utile custodia double face che, una volta girata sottosopra funge anche da fascia da braccio per ospitare il cellulare, oltre al cavetto USB utile per la ricarica delle stesse. Sì, perchè essendo Bluetooth il limite principale è che vanno ricaricate e che purtroppo non c’è modo di collegarle anche via filo allo smartphone: sarebbe stata un’opzione in più, utile per quando “restiamo a secco” inavvertitamente. 24 grammi di tecnologia L’accostamento cromatico degli auricolari Plantronics è piacevole per un prodotto sportivo, l’archetto posteriore è estremamente flessibile: è talmente molle da permette al prodotto di stare tranquillamente nel palmo di una mano, senza che si rischino rotture o affini. La struttura è molto particolare: abbiamo sia l’archetto ergonomico per il padiglione auricolare, fondamentale per evitare che questo cada a terra durante la corsa o l’allenamento, sia quello per il collo che è un’ulteriore protezione contro improbabili “sfilamenti”: quest’ultimo è ovviamente un must negli auricolari Bluetooth poiché permette di collegare tra loro gli stessi. A vista sembrano un po’ delicati, ma in realtà abbiamo maltrattato a lungo i due archetti e non abbiamo mai avuto sentore che qualcosa andasse storto. Nonostante il doppio archetto, la tecnologia Bluetooth, i controlli sugli auricolari, il microfono (sì, ci si può anche telefonare) e via dicendo, i materiali leggerissimi hanno permesso di contenere il peso in 24 grammi, cosa quando mai gradita per le sessioni di training. La tecnologia, dicevamo, è contenuta nei due auricolari, le cui dimensioni non sono (ovviamente) paragonabili a quelle di un auricolare a filo ma risultano comunque contenute. Le operazioni “gestionali” permesse sono diverse e tutte accessibili premendo tasti sugli auricolari (non c’è il classico controller a filo): play/pausa, salto brano nei due sensi, aumento/diminuzione volume di riproduzione e anche risposta o rifiuto di chiamata, oltre ad esserci una funzione che ci avvisa, mediante feedback sonoro, sul livello di carica degli auricolari stessi. In pratica, fermo restando che un controller all’altezza del petto è più comodo, i controlli ci sono tutti ed è piacevole constatare una reattività notevole di ognuno di essi. torna al sommario video lab Plantronics BackBeat Fit 95,00 € UN TOCCO DI HI-TECH PER IL TUO FITNESS Sintetizziamo la prova dicendo che BackBeat Fit è un prodotto che chi ama ascoltare musica durante le sessioni di allenamento può tranquillamente prendere in considerazione. La sua configurazione a doppio archetto non è la più comoda del mondo e rischia di affaticare un po’ in caso di lunghe sessioni di training, ma se la regolazione è effettuata con cura, la stabilità è solo minimamente inferiore rispetto a quella delle in-ear classiche (quelle che bloccano il condotto auricolare, per intenderci), e il tutto è compensato da una leggerezza notevole (24 grammi in tutto) e da funzionalità degne dell’universo “smart”. Correre senza avere fili in giro è un sollievo e dobbiamo dire che le funzionalità di gestione musicale accessibili dagli auricolari sono complete e ottimamente funzionanti. L’autonomia dichiarata (8 ore di ascolto) non è niente male: pur non potendo valutare la cosa con precisione millimetrica, possiamo confermare che ci siamo avvicinati tranquillamente al dato dichiarato. Audio molto attento al dettaglio, dinamico e coinvolgente pur con un’avvertibile predominanza di gamma media completano il quadro di un prodotto davvero interessante e con un buon rapporto qualità/prezzo. Unici due appunti, per le prossime versioni: migliorare (almeno un po’) il microfono e fornire una custodia/armband più grossa. Il resto è ok. 7.9 Qualità 8 Longevità 7 Semplicità d’uso e gestione COSA CI PIACE Assenza totale di fili Rapporto qualità/prezzo elevato Design 8 Semplicità 7 D-Factor 9 Prezzo 8 Il doppio archetto non è comodissimo COSA NON CI PIACE Sensibilità del microfono Compatibilità Armband con i telefoni L’auricolare è rugged per sua natura, lo si può usare per correre quando piove e non teme il sudore: ovviamente non lo si può immergere in acqua. La prova doccia, invece, l’ha superata: essendo wireless, si può anche tenere l’iPhone (o altro smartphone non waterproof) a debita distanza e continuare ad ascoltare la musica anche mentre ci si rilassa sotto la doccia. Altro aspetto positivo è la compatibilità pressoché universale: non c’è il modello per iOS e quello per Android, ma essendo Bluetooth, uno va bene per tutti. L’abbiamo testato con un iPhone 5s e con un G Flex 2 e, nonostante qualche differenza a livello di qualità sonora, le funzionalità sono accessibili da entrambi. per l’autonomia Plantronics parla di 8 ore di ascolto musicale o 6 ore di conversazione telefonica e 14 giorni di standby. Per valutare lo stato della carica non c’è nessun display, ma tenendo premuto un pulsante su un auricolare un messaggio vocale ci aggiorna in merito. E questo è un aspetto molto interessante, poiché la sua presenza è tutt’altro che scontata. Ondeggiano ma non si muovono Passiamo alla prova pratica, per la quale abbiamo usato un iPhone 5S. Appena effettuato il pairing Bluetooth, un messaggio ci avverte di scaricare l’app dall’App Store, E in effetti il software che scarichiamo, che si chiama BackBeat Fit, serve principalmente per effettuare un upgrade del firmware degli auricolari, ma segnaliamo che è possibile interfacciarli con app di terze parti, per far sì che i controlli dell’auricolare gestiscano anche le funzionalità delle app esterne; in questo modo è possibile non dover mai estrarre lo smartphone dalla propria custodia. Come detto, la struttura delle cuffie è particolare: l’archetto per il padiglione auricolare richiede sempre un po’ di dimestichezza per essere gestito senza difficoltà e non sarà la cosa più semplice e comoda del mondo per i portatori di occhiali; in questo caso non abbiamo delle in-ear di tipo classico, quelle per intenderci con gli earbuds (gommini) che si introducono nel condotto uditivo, ma auricolari che di fatto sono di tipo aperto e terminano con un piccolo beccuccio di plastica dura che direziona il suono. Da notare che il terminale del’auricolare non è fisso ma ruota di una ventina di gradi, così una volta indossati gli auricolari è possibile regolarli in modo fine per comodità e anche per una migliore qualità d’ascolto. In ogni caso, gli auricolari non “tappano” completamente il condotto uditivo e lasciano passare parte dei rumori ambientali. Alcuni pro e consegue a pagina 36 n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Plantronics BackBeat Fit segue Da pagina 35 tro di questa scelta: tra i vantaggi, indubbio il fatto che sia più sicuro effettuare attività all’aria aperta sentendo cosa accade vicino a noi, ma la sensazione di solidità e di stabilità sono inevitabilmente attenuate rispetto a un in-ear classico come, per rimanere in questa rassegna, le Sennheiser OCX 686G. L’archetto posteriore solitamente rimane sospeso in aria, senza poggiare sul collo o sulla nuca: correndo, questo ondeggia, saltella di continuo ma, essendo in gomma leggerissima, alla fine non se ne accorge nessuno. Pensavamo che potesse dare fastidio in tutti quei casi in cui occorre appoggiare la testa a terra o su una panca, ma anche qui il fatto che sia di gomma morbidissima non crea particolari problemi. Affinché sia indossato perfettamente, l’archetto dovrebbe essere all’altezza della nuca: quando si inseriscono gli auricolari è possibile regolare in modo fine il loro posizionamento mediante una piccola rotazione; in questo modo anche quando si flette il collo all’indietro, lo spostamento degli auricolari è minimo e - nella peggiore delle ipotesi - comporta solo qualche piccolo aggiustamento manuale. Se invece lo si lascia all’altezza del collo, diventa difficile gestire i movimenti di quest’ultimo e anche la qualità sonora non è al massimo. Il tutto andrebbe valutato sulla lunga distanza, ma noi abbiamo comunque fatto la nostra sessione di esercizi, corsetta, tapis roulant, camminata e doccia: a differenza di altri modelli, ruotando la testa rapidamente e saltellando qualche movimento si percepisce, non c’è quella sensazione che gli auricolari siano “ancorati” come in altri casi, ma a parte il fatto che saremmo intervenuti due o tre volte al massimo per sistemarli, si è trattato di correzioni per nulla indispensabili. Nessuna fatica, piccola la custodia Abbiamo tenuto gli auricolari per circa 90 minuti alternando diversi tipi di attività. Non solo per valutare la tenuta (di cui sopra), ma anche per vedere se sono effettivamente comodi. Sono inevitabilmente più voluminosi di quelli a filo e preferiamo la sensazione di maggiore stabilità e isolamento degli in-ear classici (fattore del Nella confezione è compresa la custodia double face che funge anche da fascia da braccio. La cosa è notevole, considerando che pochissimi concorrenti la forniscono in dotazione. Tra l’altro è anche comoda e solida. torna al sommario tutto soggettivo), ma va detto che in termini di comodità siamo sostanzialmente allo stesso livello. E non è una cosa da poco, considerando che qui gli auricolari integrano l’elettronica e pulsanti vari di controllo, non ci sono fili in giro e c’è pure un archetto posteriore che potrebbe potenzialmente dare fastidio. Invece no, la sensazione di affaticamento sul padiglione è tale e quale a quella delle in-ear “passive”: merito della gomma leggerissima ed estremamente flessibile che non irrita l’orecchio, del peso di soli 24 grammi per tutto l’auricolare e del fatto che l’archetto posteriore non si sente. Piccolo appunto sulla custodia, che è senza dubbio un plus non da poco ed è double face: in un verso viene usata come custodia per gli auricolari, nell’altro assume le sembianze di fascia da braccio nella quale ospitare il telefono. Idea intelligente che distingue BackBeat Fit dalla concorrenza, se non fosse che è un po’ troppo piccola: per intenderci, è perfetta per un iPhone 5S ma con il Galaxy S5 fa fatica. Il G Flex 2 proprio non ci entra... Peccato, perchè sarebbe stato sufficiente ingrandirla un po’ per renderla compatibile con tutti gli smartphone. Ottime funzionalità, buona qualità audio Telefonate “così così” Il resoconto di una giornata trascorsa con BackBeat Fit non può che essere piacevole: gli auricolari garantiscono la massima libertà nell’esperienza musicale “outdoor”. Sulla stabilità e la comodità si è già detto, qui parliamo un attimo del Bluetooth e del fatto che la varie funzioni gestibili dagli auricolari funzionano senza problemi e dopo un minimo di pratica diventano davvero utili e immediate. La connettività senza fili, aspetto da valutare con molta attenzione (perchè non tutti si comportano nel medesimo modo) è solida: come spesso accade, la totale assenza di interferenze e di micro-interruzioni dipende dalla posizione reciproca dell’auricolare (destro) rispetto al telefono. L’esperienza perfetta in movimento si ha solo se i due elementi sono vicini e senza ostacoli, come nel caso si inserisca lo smartphone in una fascia da braccio, ma anche in situazioni più difficili da gestire (pensiamo allo smartphone in uno zaino o nella tasca sinistra della tuta) la piacevolezza d’ascolto non viene meno: qualche interferenza qui c’è, ma niente che si possa considerare fastidioso o anomalo. Il fatto che l’auricolare non sia un in-ear classico fa sì che premendo il pulsante sopra l’auricolare non si crei una pressione fastidiosa sull’orecchio e abbiamo apprezzato la presenza di altri 2 tasti più piccoli per ulteriori funzioni come l’accensione/spegnimento e soprattutto la regolazione del volume. Inizialmente pensavamo di trovarci due tasti per la regolazione del volume, ma a conti fatti la soluzione adottata è eccellente: due tasti sarebbero stati troppo piccoli da “trovare al volo” durante la corsa, meglio usarne solo uno associandogli più funzionalità. Resta il fatto che, dopo un minimo di pratica, il controllo della musica (per la quale abbiamo usato un servizio di streaming, Napster) è rapido e immediato. Un piccolo appunto per la ricezione delle telefonate, per le quali difficilmente si può fare di meglio avendo tutto integrato nell’auricolare, ma mentre chi indossa BackBeat Fit sente il suo inerlocutore in modo “forte e chiaro”, dall’altra parte ci parlano di un suono ovattato che però non condiziona l’intelligibilità del parlato. Sufficienza raggiunta e va benissimo per comunicazioni veloci, ma per dialoghi di maggior durata è preferibile fermarsi un attimo e recuperare il telefono dalla fascia da braccio. Qualità sonora nel complesso ok, ma attenzione a regolare bene la direzione dell’audio all’interno del condotto uditivo e l’aderenza dell’auricolare stesso, pena lo sfruttamento parziale delle sue potenzialità. Una volta regolato bene il tutto, l’audio è bilanciato: abbiamo usato la nostra “solita” Cardio Playlist, con brani principalmente pop molto ritmati, ottenendo quell’energia necessaria per sostenere una sessione di training. Dinamica molto marcata e ottima sensibilità, che si traduce in una pressione sonora notevole sia con un iPhone 5S che con un G Flex 2: non ci si troverà mai a voler alzare di più e non poterlo fare, questo è certo. Complice la configurazione adottata, la compressione sulla gamma media qui è abbastanza marcata (si nota soprattutto sui brani rock, che avendo medi “importanti”, necessitano di una presenza massiccia di bassi e alti per bilanciare) ma, come anticipato, fanno moltissimo sia l’orientamento del beccuccio, sia l’aderenza dell’auricolare al condotto uditivo: appena sistemato, la presenza della gamma bassa è più che avvertibile e giova alla pienezza del suono, poi dopo 20 minuti di corsa e attività, magari con qualche movimento inconsulto (all’indietro) del collo, l’auricolare si sposta leggermente e il suono si appiattisce. In ogni caso, non volendo giudicare un dispositivo del genere come fosse un apparecchio hi-fi, l’obiettivo del coinvolgimento, della dinamica e della piacevolezza d’ascolto prolungato sono raggiunti, ma a differenza di altri casi in cui si “mette l’auricolare nell’orecchio e si parte”, qui bisogna regolare bene il tutto. E poi si parte... n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Un auricolare sportivo di qualità, con archetto ergonomico che aderisce all’orecchio e assicura una buona stabilità Sennheiser OCX 686G, non si perde per strada Non è tra i più comodi da indossare, ma offre qualità sonora di tutto rispetto e soprattutto un’elevatissima dinamica di Emanuele VILLA ennheiser offre diverse opzioni in ambito di auricolari dedicati allo sport: abbiamo quelli con archetto di tipo neckband che passano dietro al collo per garantire stabilità e quelli con archetto ergonomico che avvolge le orecchie, quelli con acustica aperta e di tipo in-ear (differenza importante che incide sul livello di isolamento durante l’attività fisica) e via dicendo. Per la prova abbiamo scelto il modello OCX 686G, l’in-ear con archetto ergonomico, un modello da 90 euro di listino che sulla carta ci è piaciuto molto: la soluzione dell’archetto ergonomico è pensata per la stabilità durante le sessioni di fitness più impegnative, mentre il fatto di essere in-ear garantisce un certo grado di isolamento passivo con l’esterno, rendendole ottime per gli sport indoor. Tra le altre caratteristiche interessanti ci sono il controller Smart Remote a filo con microfono incorporato, gli earbuds (gommini) di diverse dimensioni, il cavo anti-attorcigliamento e alcune finezze come la clip per il cavo – cosa utile quando si corre per evitare movimenti eccessivi che possono condizionare anche la stabilità degli auricolari – e la custodia morbida. Come da copione in prodotti di questo tipo, OCX 686G è pensato per lavorare in condizioni difficili, essendo cioè rugged per definizione: sopporta polvere, scossoni, sudore, acqua e lo si può tranquillamente portare sotto la doccia. L’auricolare in prova è ottimizzato per Samsung Galaxy e terminali Android, ma esiste anche la versione per iOS, la 686i. Qualora si acquisti la versione in prova e poi la si usi con iPhone, si perde semplicemente la possibilità di gestire il volume dal controller, ma il microfono e il tasto per la gestione delle chiamate funzionano senza problemi. S Un design molto grintoso Considerato il tipo di prodotto, la descrizione tecnica è inevitabilmente limitata, ma più importante la prova sul campo tenendo in considerazione le esigenze di chi pratica una vita molto attiva. Partiamo parlando di design ed ergonomia: l’auricolare è apprezzabile alla vista, propone un accostamento cromatico grigio/giallo che ne dichiara immediatamente l’indole sportiva. Il fattore portabilità, sempre tenuto conto del tipo di prodotto, subisce dei limiti rispetto ad altre soluzioni concorrenti per via dello spesso archetto ergonomico fisso, ma gli auricolari si portano in giro senza difficoltà grazie anche alla comoda custodia fornita nella confezione. Certo, il volume non è paragonabile a quello di un auricolare standard, ma dobbiamo sempre considerare che questo non è un prodotto per la routine quotidiana ma solo per i momenti di attività fisica intensa. Il fattore ergonomia ci permette alcune riflessioni: indossare auricolari di questo tipo non è la cosa più immediata del mondo, specie se non si è abituati; ri- torna al sommario video lab Sennheiser OCX 686G 89,00 € GIOVANI E GRINTOSE, PER CHI È SEMPRE IN MOVIMENTO VIn sostanza ci sentiamo di raccomandare le Senhheiser OCX 686G a chi cerca un auricolare sportivo che offra la massima tenuta anche durante gli allenamenti più duri e una qualità d’ascolto piacevole e proporzionata al suo costo. Il look è grintoso, il design curato con l’accostamento di due toni di grigio e un giallo/verde intenso, e l’archetto ergonomico assicura una tenuta esemplare dell’auricolare a fronte di un po’ di affaticamento in sessioni di training di lunga durata. In pratica è uno degli auricolari sportivi più stabili in assoluto, e il prezzo della stabilità è l’archetto dietro l’orecchio che inevitabilmente si fa sentire. La versatilità è favorita da un microfono di buona sensibilità e si apprezzano alcune finezze utili durante gli allenamenti come il cavo anti-attorcigliamento e la clip che evita dannose oscillazioni del cavo. La qualità sonora è di livello medio-alto, appagante in considerazione di un prodotto che non punta solamente alla musicalità ma soprattutto ad essere pratico e solido. Si apprezza l’ottima sensibilità che genera pressioni sonore notevoli e la dinamica durante i momenti più energici, ma anche una discreta presenza in gamma bassa che fa tanto coinvolgimento e non affatica l’ascolto. 8.3 Qualità 9 Longevità 8 Solidità e resistenza COSA CI PIACE Rapporto qualità/prezzo Buone prestazioni sonore Design 9 Semplicità 7 D-Factor 7 Prezzo 8 Un po’ di affaticamento in lunghe sessioni COSA NON CI PIACE Più voluminose della media causa archetto chiede un po’ di pratica, e bisogna sempre considerare che non li si può mettere e togliere di continuo. Se l’esigenza è quella, perchè magari si è spesso interrotti nella propria routine di fitness o si vuole interagire costantemente con altre persone, è meglio rivolgersi a un auricolare aperto con archetto posteriore, come le PMX 686G per rimanere nel catalogo di Sennheiser. Anche perchè gli auricolari in prova sono in-ear, cioè capaci di un certo isolamento dall’esterno. Insomma, la comodità non può essere la dote primaria di questi auricolari: non sono wireless (ma la clip per fissare il cavetto alla maglia è una finezza da sottolineare) e l’archetto auricolare non è il massimo per chi porta gli occhiali. Ciò nonostante, abbiamo voluto metterli alla prova svolgendo attività fisica per circa un’ora: un po’ di corsa, poi riposo e qualche esercizio per simulare le circostanze tipiche di utilizzo. Il resoconto è stato piacevole: sarà la leggerezza, sarà il fatto che – se indossate per bene – non si muovono di un millimetro neppure di fronte a scossoni vari, ma il segue a pagina 38 n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Sennheiser OCX 686G segue Da pagina 37 senso di affaticamento sul padiglione esterno è stato contenuto. Certo, l’archetto si sente e un minimo di affaticamento è fisiologico, ma nonostante la struttura massiccia, questo è talmente morbido da risultare delicato sull’orecchio: in una routine normale non dà fastidio, anche se poi si innestano considerazioni soggettive visto che l’apertura dell’archetto non è regolabile. Come anticipato, sulla comodità incide in modo positivo il cavo di tipo anti-attorcigliamento e la clip che permette di agganciarlo agli indumenti ed evitare che si muova liberamente durante l’attività fisica. Il controller sul cavo permette di regolare il volume e ricevere le chiamate, il microfono è sul lato opposto Attenzione a scegliere la versione giusta: l’auricolare è disponibile sia per iPhone che per Android. Stabili e ben “isolate” Altri aspetti da valutare attentamente in virtù del tipo di prodotto sono la stabilità e il livello di isolamento dall’esterno, fattori che presuppongono un uso corretto dei gommini auricolari forniti in dotazione e un’attività fisica prolungata. Come anticipato, essendo questi auricolari di tipo in-ear, offrono un elevato grado di isolamento passivo dall’esterno, risultando così perfetti per gli sport indoor. A livello di stabilità siamo su livelli di riferimento: la struttura stessa ad archetto ergonomico non sarà la più comoda del mondo (vedi sopra) ma assicura la massima aderenza in ogni circostanza: camminando a passo spedito, correndo ed effettuando esercizi di routine, ci è capitato un paio di volte di dover leggermente aggiustare la posizione dell’auricolare, ma in nessuna circostanza si è trattato di un movimento importante o, peggio, capace di far uscire l’auricolare dalla sua sede. Si può correre per ore (ammesso di riuscirci, s’intende) senza doversi mai interrompere per mettere a posto l’auricolare. Anche svariate inclinazioni del cranio non causano movimenti importanti, ma soprattutto si possono affrontare i tipici saltelli e le vibrazioni della corsa senza il rischio di doversi fermare a sistemare la propria sorgente di musica. Come isolamento siamo su un livello avanzato, con torna al sommario tutti i pro e i contro che ne derivano: il fatto di essere in-ear e avere earbuds di diverse misure assicura di per sè un certo grado di isolamento dall’esterno, non totale ma sicuramente superiore alla media. Il rumore ambientale tipico di un parco lontano dal traffico viene tagliato quasi completamente, si percepiscono i picchi e le voci a breve distanza, ma anche solo per parlare con un interlocutore a qualche metro è meglio sfilarsi l’auricolare. Come anticipato più sopra, la somma di diversi fattori quali l’archetto ergonomico, la struttura massiccia, la massima stabilità auricolare e l’isolamento dall’esterno concorrono nel definire OCX 686G un auricolare perfetto per chi pratica sport indoor che non necessitino un gran livello di interazione con l’esterno. Ovviamente tutto ciò favorisce l’ascolto musicale, come si vedrà dopo. Niente male il microfono in dotazione, posizionato sul dorso del controller: la voce è sempre intelligibile al nostro interlocutore nonostante il microfono sia a una decina di centimetri dalla bocca; parlare e correre al tempo stesso è possibile con un rumore di fondo che – ci dicono essere presente - ma comunque non dannoso ai fini della conversazione. Piuttosto, può essere utile usare la clip per evitare che il controller ci colpisca continuamente proprio mentre stiamo conversando. Non troppo aggressive neppure nell’audio Per la parte della qualità d’ascolto (che considerando il tipo di prodotto è importante come le altre, non di più), abbiamo simulato la condizione d’uso più credibile: una corsa all’aperto con una playlist Cardio di Spotify. Alterniamo poi altri brani ma restando sempre sull’energico: un po’ di hip hop, un rock duro, l’ultima hit pop, brani che la maggior parte delle persone sfrutta per ottenere la carica giusta per affrontare un’oretta di allenamento. Premesso che è molto importante la scelta del gommino auricolare giusto per la migliore aderenza al canale auricolare, il primo impatto è – come da previsione – molto energico: brani pop molto ritmati con una pressione sonora notevole che solo ad altissimi regimi mostra qualche indecisione e rimbombo; l’audio è sì incentrato sulla gamma media e abbastanza tagliente ma fortunatamente l’incidenza della gamma bassa è notevole, si sente bene e assume precisamente il ruolo che gli compete, quello di comprimario. Il problema di tanti auricolari di medio livello è proprio questo: l’audio subisce un appiattimento sulla gamma media, cosa poco piacevole soprattutto ad alti regimi. Qui fortunatamente non capita, e se la gamma alta non sempre è molto estesa, i bassi sono in primo piano senza mai risultare invadenti, il tutto a creare un quadro appagante soprattutto a regimi bassi e medi. In pratica si ha una piacevole sensazione di “pienezza” del quadro sonoro (cosa che non sempre accade con auricolari del genere) che tande a stancare di meno e permettere sessioni d’ascolto lunghe senza problemi. Certo, volendo fare i pignoli si può constatare che l’eccellente dinamica va un po’ a condizionare la percezione del dettaglio, ma bisogna anche considerare che questi sono auricolari sportivi, non per gli ascolti hi-fi da salotto, quindi l’obiettivo è raggiunto. Discorso analogo con un po’ di rock duro (Linkin Park, Slipknot e Memphis May Fire in rapida sequenza, quando abbiamo bisogno della massima energia): la sensibilità e la pressione sonora fanno la parte del leone e la gamma bassa riesce a seguire senza particolari sbavature fino a un certo livello. Alzando a dismisura qui - complice il genere, non dei più facili da “trattare” - la gamma media tende a sovrastare le altre e il dettaglio ne risente pur mantenendosi all’interno di confini più che tollerabili, con un livello d’ascolto sempre piacevole. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Appartenenti alla linea sportiva di Sony, gli auricolari MDR-AS600BT vogliono assicurare un importante tocco hi-tech Sony MDR-AS600BT, musicalità innanzitutto I loro punti di forza sono la qualità dì ascolto, il Bluetooth eccellente e una struttura capace di assicurare tanta comodità di Emanuele VILLA in dai tempi dei Walkman a cassetta, Sony ha sempre avuto una solida tradizione nel mondo dei dispositivi sportivi: sono solidi, compatti e suonano bene. Qui ci occupiamo di auricolari, e in particolare di un modello (MDR-AS600BT) che vuole mixare l’esperienza maturata da Sony nella riproduzione musicale con le tecnologie di ultima generazione. Diciamolo subito: visto da fuori, MDR-AS600BT è l’auricolare che ci attrae di meno della nostra rassegna; non che sia brutto, ma dà una certa sensazione di “pesantezza” e volume che altri modelli bluetooth non danno, riuscendo ad essere nel complesso più compatti. La prova ha però dimostrato che, a fronte di un volume più importante e un look forse meno grintoso della media (complice anche il colore grigio), gli auricolari Sony hanno altri punti di forza notevoli, primo fra tutti una qualità sonora notevole. Ma andiamo per gradi: MDR-AS600BT è un auricolare Bluetooth dedicato allo sport, i cui punti di forza sono la connettività wireless, la resistenza all’acqua con certifica IPX4 (quindi anche al sudore) e la comodità, oltre a un’autonomia che supera quella della media degli auricolari in commercio; supponendo che questa sia di circa 6,5 ore, qui vengono annunciate 8,5 ore di ascolto continuo prima dell’inevitabile necessità di collegarle a un’alimentazione USB. Gli auricolari in esame offrono connettività NFC ai terminali compatibili (c’è anche un’app Android da scaricare, volendo), ma essendo bluetooth sono comunque indipendenti dal sistema operativo dello smartphone. Per il controllo delle operazioni, per rispondere al telefono (sì, c’è anche l’immancabile microfono, di discreta qualità) e gestire la riproduzione musicale, qui ci si affida a un solo bottone che, a seconda del tempo di pressione o del numero di tocchi, svolge diverse funzionalità. Una sorta di codice morse del 2015: per abbassare il volume, per esempio, occorrono due punti e una linea, ovvero due pressioni rapide e una lunga. Ammettiamo che il sistema sia ingegnoso e che, ovviamente, una volta fatta l’abitudine sia anche efficiente, ma non possiamo che preferire sistemi analoghi basati su tasti diversi, ognuno con una sua funzione: è un sistema più rapido, non impone nessuna fase di “studio” e non ci si deve abituare. F Molto comode, stabili a sufficienza Veniamo alla parte più importante, ovvero quella della prova di tenuta. Per garantire la massima stabilità durante l’attività fisica, che va da una passeggiata a ritmo sostenuto a uno sport estremo, Sony ha evidentemente cercato di coniugare due elementi in conflitto, ovvero comodità e tenuta di fronte alle sollecitazioni. Il risultato, che abbiamo già visto nella prova dei JBL Synchros, è un mix di layout in-ear classico con un rinforzo di un gancetto di gomma da inserire nell’incavo del padiglione. Apparentemente la soluzione è ottimale: a patto di scegliere l’earbud (il “gommino auricolare”) di taglia giusta, l’in-ear garantisce una tenuta torna al sommario video lab Sony MDR-AS600BT 89,00 € QUALITÀ DI ALTO LIVELLO, DESIGN UN PO’ VOLUMINOSO Volendo riassumere l’esperienza con Sony MDR-AS600BT non possiamo che dichiararci soddisfatti. I suoi punti di forza sono un bluetooth eccellente, da dose massiccia di contributi “hi-tech” e una struttura capace di assicurare tanta comodità mantenendo la stabilità si livelli accettabili. Peccato non ci sia una custodia in dotazione, che tutto si debba controllare con un solo tasto e che il prodotto in sè sia più voluminoso di molti altri auricolari bluetooth, ma la qualità sonora è davvero notevole, paragonabile e superiore a quella di molti auricolari, anche non limitati alla categoria degli “sportivi”. Un prodotto da prendere in considerazione. 8.7 Qualità 9 Longevità 8 Design 7 Qualità sonora molto valida COSA CI PIACE Rapporto qualità/prezzo Comodità e buon livello di isolamento maggiore rispetto agli auricolari aperti standard. Ma non sufficiente: il gancetto serve proprio per ancorare ulteriormente l’auricolare all’orecchio senza dare alcun fastidio. Questo tipo di struttura è adatta anche a chi porta gli occhiali: non c’è un archetto che, passando dietro l’orecchio, dà fastidio, e il senso di “pressione” sul padiglione è minimo. Si potrebbe pensare che il prezzo da pagare sia una stabilità di molto ridotta, ma in realtà non è così. Al massimo, qui bisogna semplicemente metterci cura nella scelta dell’earbud corretto e del “gancetto” della taglia giusta, fondamentali per la massima tenuta e anche per una qualità sonora degna di nota. Fatto questo, e impiegato qualche secondo a sistemarli nell’orecchio, restano ancorati senza grossi problemi: un minimo di pressione è inevitabile, non possiamo dire che siano del tutto trasparenti per l’utente, ma la soluzione tecnica adottata da Sony offre un livello di comodità comunque notevole. Piuttosto, sarebbe meglio se il cavo che lega gli auricolari (e che va fatto passare dietro il collo) fosse regolabile in lunghezza: ruotando rapidamente la testa a destra e sinistra si finisce per esercitare una pressione sugli auricolari che rischia di spostarli leggermente dalla sede, costringendoci a intervenire manualmente. In Semplicità 9 D-Factor 9 Prezzo 9 Piuttosto voluminosi COSA NON CI PIACE Manca indicatore livello di carica Un unico tasto per la gestione sostanza, una soluzione di ottimale compromesso tra esigenze di comodità e stabilità; la prima è eccellente (fatto salvo il discorso del cavetto), la seconda più che segue a pagina 41 n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Sony MDR-AS600BT segue Da pagina 40 sufficiente, ma qualche soluzione ad hoc è superiore. Resta il fatto che abbiamo effettuato una sessione di jogging, poi di corsa, infine un po’ di ginnastica e gli spostamenti sono stati minimi e per lo più dovuti a qualche movimento maldestro con la testa (occhio alla cervicale...). Bluetooth solido e buona autonomia Come anticipato nella guida all’acquisto, non tutti sanno che anche la qualità della ricezione bluetooth può essere oggetto di valutazione in questo tipo di prodotto. Ma Sony MDR-AS600BT si liquida rapidamente: è uno dei migliori del lotto in quanto a stabilità di segnale in ogni circostanza. Come al solito, il ricevitore è installato nell’auricolare destro e il range di utilizzo è quello classico del bluetooth: se ci si trova in palestra o si fanno esercizi a casa, lo smartphone può essere tenuto fino a 6-8 metri senza problemi, poi iniziano le interferenze e le interruzioni, ma è una cosa del tutto normale. Nell’ipotesi, parimenti comune, che smartphone e auricolare siano in movimento (corsa, bici, jogging...) vale il discorso che la stabilità è massima se lo smartphone è indossato in una fascia da braccio. Se il posizionamento scelto è in tasca, ogni tanto si avverte qualche interferenza (specie se nella tasca sinistra), ma qui la cosa è assolutamente sporadica, limitatissima e non dà nessun fastidio. Se si usa una fascia, poi, i problemi semplicemente non ci sono. Per quanto concerne l’autonomia, Sony dichiara 8,5 ore di utilizzo continuo, ma purtroppo gli auricolari non hanno un display che ne segnali immediatamente il livello di carica: ci si può affidare all’indicazione fornita dallo smartphone nel caso si usi un dispositivo iOS. Per questo motivo non siamo in grado di valutare con precisione l’autonomia effettiva, ma di certo non rappresenta un problema. Dopo 8 ore di ascolto musicale, trovare una presa USB e “abbandonarli” per un paio d’ore non è una cosa così gravosa... torna al sommario Qualità audio OK Abbiamo detto più volte che, nonostante il tipo di apparecchio e la sua finalità, la qualità sonora resta uno degli aspetti più importanti ai fini della scelta. Perché una qualità scadente mette di cattivo umore, non coinvolge e, nei casi più gravi, può anche dare fastidio. Tutto questo per dire che Sony MDR-AS600BT è l’esatto opposto: siamo infatti di fronte all’auricolare con la migliore qualità sonora della nostra rassegna. Non che mediamente le altre siano male, ma questi auricolari Sony ci sono sembrati avere una marcia in più che si manifesta un po’ ovunque, ma soprattutto in quei generi musicali che richiedono molto bilanciamento e una risposta in frequenza estesa, soprattutto in gamma bassa. Qui fa molto il fatto di indossarli correttamente e la scelta dell’earbud giusto, ma in questi casi il risultato può essere davvero piacevole. Partendo con un brano pop per scaldarci un po’, siamo accolti da un quadro sonoro molto bilanciato: meno tagliente rispetto ad altre soluzioni considerate, ma sempre ben definito e dinamico al punto giusto, con una pressione sonora che raggiunge (iPhone 5s) livelli davvero notevoli. Resta il “limite” dell’operatività mediante un solo tasto, ma questo con la qualità sonora non c’entra nulla. Alzando il volume, gli auricolari si comportano sempre egregiamente: il dettaglio si mantiene elevato e il bilanciamento resta tale e quale, senza che una gamma vada a sovrastare l’altra, il tutto a generare un sound potente, che emoziona e soprattutto non stanca. Passiamo dunque al rock per la conferma: il quadro è ben bilanciato, con una gamma bassa che a volte è addirittura un po’ troppo presente, ma si allinea perfettamente con il genere scelto, e tutto questo mentre non si assiste ad alcuna distorsione o asprezza in gamma media e alta. Un buon risultato, insomma, niente di miracoloso ma di sicuro un auricolare che si può indossare per ore senza fastidio, ascoltando piacevolmente la propria musica senza preferenze di genere. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Auricolari molto eleganti, senza fili e con piena gestione delle funzionalità di riproduzione tramite il controller integrato yurbuds Leap Wireless, per atleti attenti allo stile Offrono una buona stabilità del collegamento Bluetooth e sensazionale tenuta quando indossati. Qualità audio migliorabile T di Emanuele VILLA ra le proposte che affollano il mercato degli auricolari sportivi ce n’è una che ha catturato la nostra attenzione, yurbuds Leap Wireless. Perché non è uguale a tutte le altre: il look è piuttosto insolito, un bel nero lucido che, invece di catturare l’attenzione come fanno di solito gli auricolari sportivi dai colori sgargianti, preferisce un approccio più fine, mimetizzandosi laddove possibile. Sono auricolari bluetooth, per cui wireless e dotati del classico cavetto di collegamento tra i due auricolari, cavetto morbido che va fatto passare dietro il collo e che comprende il tradizionale controller con cui gestire la musica dallo smartphone: possiamo regolare il volume, accettare le chiamate in ingresso (c’è anche il microfono) e anche saltare le tracce audio in entrambi i versi. Ma quello che distingue davvero questa proposta yurbuds dalla media delle altre soluzioni disponibili sul mercato non è tanto la resistenza all’acqua e al sudore quanto la tecnologia Twistlock per tenere in posizione l’auricolare senza ricorrere a sostegni esterni di alcun genere. Spieghiamoci meglio: affinché l’auricolare non cada durante la corsa o, in generale, l’attività fisica, la sola configurazione in-ear non basta, ed è per questo che i produttori hanno studiato archetti che passano dietro l’orecchio, piccoli “gancetti” di gomma da posizionare all’interno del padiglione e via dicendo. Ma molte di queste soluzioni, soprattutto quella dell’archetto, rischia di essere scomoda alla lunga, soprattutto per chi porta gli occhiali. Le Leap Wireless risolvono in problema in modo del tutto particolare: l’auricolare, che integra uno speaker di diametro maggiore rispetto alla media, ha un terminale di gomma antiscivolo che lo sovrasta completamente e che integra un “beccuccio” in-ear. Questo va inserito nel condotto uditivo, dopo di che l’auricolare va ruotato di qualche grado per bloccarsi all’interno dell’orecchio, impedendo ogni genere di movimento neppure durante gli sport più concitati. La soluzione ha ovvii pro e contro: sulla carta è capace di garantire una tenuta perfetta anche di fronte agli scossoni più duri, ma al tempo stesso richiede un po’ di pratica per essere perfezionata e rende difficoltoso “mettere e togliere” ripetutamente l’auricolare. Certo, quando si pratica sport quest’ultima non è un’ipotesi che capita di frequente, ma può succedere di doversi sfilare l’auricolare frequentemente per chiacchierare con qualcuno, e lì la cosa si complica. In ogni caso è una soluzione intelligente, anche perché sono delle in-ear molto particolari: non sono pensate per essere spinte in profondità nel canale uditivo ma per riempire l’incavo dell’orecchio che sfocia nel canale stesso. Quindi, sempre sulla carta, danno meno fastidio delle in-ear classiche ma assicurano una tenuta molto maggiore. Per il resto, siamo di fronte a un auricolare bluetooth che come tale ha bisogno di essere caricato: l’autonomia dichiarata, e poi verificata in pratica, è di più di 6 ore di ascolto musicale e di telefonate (uso misto di entrambe le attività), mentre il fatto di essere wireless lo rende compatibile con tutti i sistemi operativi torna al sommario video lab yurbuds Leap Wireless 99,00 € MOLTO BELLI, STABILI E RESISTENTI, MA BASSI SOTTOTONO Un prodotto con alcuni punti di forza e un paio di aspetti migliorabili. Intanto è un bel prodotto, cosa peraltro relativamente importante in un auricolare sportivo, ma abbiamo apprezzato la stabilità garantita dalla tecnologia Twistlock, le funzionalità disponibili e anche la comodità, per quanto dipenda moltissimo dall’uso del supporto corretto. Niente male la stabilità del bluetooth, perfetto in condizioni ottimali (ovvero quando auricolare destro e smartphone sono vicini) ma decisamente robusto in ogni situazione. Niente male la dotazione, ma avremmo preferito che il cavetto di collegamento tra i due auricolari fosse regolabile: nonostante la lunghezza predefinita, il prodotto rimane stabilmente nella sua sede, ma ruotando la testa si possono causare piccoli movimenti. La qualità sonora non ci ha entusiasmato: l’impatto è diverso rispetto alla media degli altri auricolari e si contraddistingue per tanto dettaglio, per una chiusura pronunciata in gamma medio/alta e scarsa presenza di basse frequenze. Se in alcuni generi si torna a un discreto bilanciamento e “pienezza” agendo sull’equalizzazione, in altri casi (come in molti brani rock) la chiusura in gamma media rimane netta. E questo, in sessioni prolungate, alla lunga diventa stancante. 7.6 Qualità 7 Longevità Design 9 9 Design ed ergonomia COSA CI PIACE Stabilità assoluta Semplicità 7 D-Factor 8 Prezzo 7 Qualità audio migliorabile COSA NON CI PIACE Solo 2 taglie di supporti auricolari in dotazione Cavo non regolabile per smartphone; non bisogna dunque preoccuparsi di acquistare la “versione giusta”. Una volta inseriti, chi li smuove più? Partiamo dunque con la prova pratica, per la quale abbiamo usato i “soliti” iPhone 5S e il G Flex 2 di LG. Il pairing bluetooth è ovviamente immediato e si può iniziare tranquillamente l’attività fisica con annesso ascolto musicale. Da notare che non c’è un display o un LED che indica in modo inequivocabile la percentuale disponibile di batteria, ma la cosa ci viene segnalata dall’iPhone: in ogni caso è presente un indicatore sonoro che si attiva qualora il livello di carica diventi pericolosamente basso. yurbuds fornisce due coppie di inserti auricolari di diverse dimensioni: indossare quella giusta è fondamentale per la stabilità dell’auricolare durante il movimento. Nel nostro caso abbiamo sostituito quelli presenti all’origine con quelli più larghi e siamo passati subito ad indossarli: come prevedevamo, per padroneggiare segue a pagina 43 n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST yurbuds Leap Wireless segue Da pagina 42 Twistlock ci vuole sia l’inserto auricolare giusto, sia un po’ di pratica. All’inizio non possiamo negare una certa frustrazione: essendo abituati a delle in-ear classiche, non è immediato inserire l’auricolare in diagonale e poi ruotarlo nell’orecchio per bloccarlo al suo interno. Ma dopo un po’ ci si fa l’abitudine e tutto fila via liscio. Il resoconto di un paio d’ore di attività (con diverse pause...) è in linea con le aspettative: l’auricolare non si muove dalla sua sede neanche sotto tortura, e questo non può che essere un bene. Non solo non è mai uscito dalla sede, ma non si è mai mosso in maniera rilevante o che ci costringesse a intervenire per correggerne la posizione. Il fattore comodità è abbastanza soggettivo, ma è ovvio che più il prodotto è stabile, più di “incastra” nell’orecchio e più lo si sente: un minimo di sensazione di “corpo estraneo” c’è (occhio a non sbagliare la taglia dell’inserto auricolare), è il prezzo da pagare per potersi buttare col paracadute senza che l’auricolare si muova dalla sua sede (ma poi il bluetooth funzionerà lo stesso?), ma da qui a parlare di un vero e proprio fastidio ne passa. Twistlock “blinda” l’auricolare nell’orecchio, ma non ha la possibilità di renderlo del tutto trasparente: fa comunque piacere constatare che il prodotto è di per sè molto leggero, e per questo sostanzialmente comodo. Fin qui tutto bene. Solo un piccolo appunto: il cavetto posteriore è leggero e non dà fastidio, ma avremmo preferito una soluzione regolabile in lunghezza. Qui invece la lunghezza è fissa, e tutte le volte che si ruota la testa in modo deciso e profondo, si fa perno sull’auricolare opposto; non causa cadute o spostamenti importanti, ma questa cosa è avvertibile. Da notare, infine, che yurbuds fornisce insieme alle Leap Wireless una custodia molto fine e compatta. Bluetooth solido Qualità audio migliorabile Liquidata come “più che sufficiente” la qualità di ricezione e comunicazione durante le telefonate (nessun problema di intelligibilità, anche se il nostro interlocu- torna al sommario tore percepisce qualche disturbo), passiamo a parlare della stabilità del bluetooth e della qualità sonora, altri elementi fondamentali di un auricolare sportivo. Per quanto concerne il primo punto, la situazione è nella norma: il ricevitore bluetooth è racchiuso nell’auricolare destro, e questa cosa va tenuta a mente per il posizionamento del telefono ma non impone limiti particolari. Ricordiamo infatti che qualche leggero “sfarfallio” del segnale, con piccole interruzioni durante il movimento, è assolutamente comune alla maggioranza degli auricolari sportivi, l’importante è che non diventi fastidioso o obblighi l’utente a tenere il telefono in prossimità dell’auricolare. Noi abbiamo iniziato la sessione usando una fascia da braccio indossata su quello destro e ovviamente la trasmissione è stata perfetta: un paio di chilometri di attività non hanno causato nessuna interferenza, e lo stesso è successo con lo smartphone in una tasca superiore dello zaino. Qualche leggero limite si avverte inserendo lo smartphone in tasca, soprattutto in quella sinistra, ma anche in questo caso non si sono verificati casi che ci abbiano fatto sospettare l’esistenza di un vero e proprio “problema”: tra l’altro è possibile effettuare ogni tipo di movimento con la testa (la torsione verso destra, quando lo smartphone è nella tasca sinistra, è una prova niente male) senza perdere il segnale. Parlando di qualità sonora, ci viene inevitabilmente da confrontare questi yurbuds con yurbuds Wireless Series altri auricolari sportivi provati nel medesimo periodo, e l’impatto è piuttosto differente. Sempre con il nostro fidato iPhone 5s, la prima impressione è che la gamma bassa sia molto arretrata e che il suono sia fortemente impostato in gamma media e alta. È potente, cristallino, tagliente e molto dettagliato ma anche piuttosto chiuso a livello di risposta in frequenza, il che lo rende adatto ad alcuni generi musicali ma anche stancante in altri, specie ad alti volumi, riducendone fortemente la versatilità. L’intervento sull’equalizzatore dello smartphone migliora l’impatto aumentando la presenza di basse frequenze, ma non riesce comunque a dare quella “pienezza” al messaggio sonoro che alcuni generi musicali (rock in primis) richiedono al 100%. Va bene per musica soft, rilassante, magari un po’ di pop, ma meglio non alzare troppo il volume o si rischia che l’impatto diventi fastidioso. Dammi il cinque! MODELLO 730-1 redditi 2007 ALLEGATO B Scheda per la scelta della destinazione dell'8 per mille dell'IRPEF e del 5 per mille dell'IRPEF Da consegnare unitamente alla dichiarazione Mod. 730/2008 al sostituto d’imposta, al C.A.F. o al professionista abilitato, utilizzando l’apposita busta chiusa contrassegnata sui lembi di chiusura. genzia ntrate CONTRIBUENTE CODICE FISCALE (obbligatorio) COGNOME (per le donne indicare il cognome da nubile) DATI ANAGRAFICI DATA DI NASCITA GIORNO MESE ANNO NOME SESSO (M o F) COMUNE (o Stato estero) DI NASCITA PROVINCIA (sigla) LA SCELTA DELLA DESTINAZIONE DELL’OTTO PER MILLE DELL’IRPEF E QUELLA DEL CINQUE PER MILLE DELL’IRPEF NON SONO IN ALCUN MODO ALTERNATIVE FRA LORO. PERTANTO POSSONO ESSERE ESPRESSE ENTRAMBE LE SCELTE SCELTA PER LA DESTINAZIONE DELL’OTTO PER MILLE DELL’IRPEF (in caso di scelta FIRMARE in UNO degli spazi sottostanti) Il tuo 5 per mille può cambiare la vita di molti bambini prematuri. E non ti costa nulla. Ogni anno in Italia nascono 30.000Assemblee bambini di Dio in Italiaprematuri, di cui circa 5000 hanno un peso inferiore a 1500 gr. Stato Chiesa cattolica Unione Chiese cristiane avventiste del 7° giorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Chiesa Valdese unione delle chiese metodiste e valdesi Chiesa Evangelica Luterana in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Questi bambini hanno bisogno di Unione Comunità Ebraiche Italiane e assistenza per molti anni. cure, controlli genitori hanno bisogno del tuo aiuto. AISTMAR Onlus interamente impiegate per: E anche i loro In aggiunta a quanto indicato nell’informativa sul trattamento dei dati, si precisa che Le contenuta donazioninel ad paragrafo 3 delle istruzioni, vengono i dati personali del contribuente verranno utilizzati solo dall’Agenzia delle Entrate per attuare la scelta. AVVERTENZE Per esprimere la scelta a favore di una delle sette istituzioni beneficiarie della quota dell'otto per mille dell'IRPEF, il - l’assistenza delle gravidanze a rischio o patologiche contribuente deve apporre la propria firma nel riquadro corrispondente. Lacura scelta deve esserealfatta esclusivamente per una delle la e il supporto neonato prematuro istituzioni beneficiarie. e alla famiglia nel percorso di sviluppo crescita La mancanza della firma in uno dei sette riquadri previsti costituisce scelta non sua espressa da parte del contribuente. In talecaso, la ripartizione della quota d’imposta non attribuita è stabilita in proporzione alle scelte espresse. Le quote non attribuite spettanti alle Assemblee di Dio in Italia e alla Chiesa Valdese Unione delle Chiese metodiste e Valdesi, sono devolute alla gestione statale. Oppure puoi sostenere AISTMAR Onlus con versamenti su: • C/C Postale: SCELTA PER LA DESTINAZIONE DEL CINQUE PER MILLE DELL’IRPEF (in caso29328200 di scelta FIRMARE in UNO degli spazi sottostanti) • C/C BancoPosta: IBAN: IT 05 Z 07601 01600 000029328200 presso Posta di via Sambuco, 15agli- Milano Sostegno delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, Finanziamento enti delle associazioni di promozione sociale e delle associazioni riconosciute della ricerca scientifica e della università che operano nei settori di cui all’art. 10, c. 1, lett a), • C/C Bancario: IBAN: IT 30 R 05216 01619 000 000 003641 del D.Lgs. n. 460 del 1997 e delle fondazioni nazionali di carattere culturale presso Credito Valtellinese, Agenzia n°14 - Milano FIRMA FIRMA SOSTIENI AISTMAR Onlus con il tuo 5 per mille Sui moduli CUD, 730 o Unico scrivi Mario Rossi ........................................................................ Codice fiscale del beneficiario (eventuale) 9 7 0 2 8 2 1 0 1 5 7 ........................................................................ Tutto il personale di AISTMAR Onlus è volontario. L’intero ricavato delle donazioni viene Codice fiscale del impiegato cure e assistenza ai neonati prematuri e patologici e alle loro famiglie. beneficiario in (eventuale) Finanziamento agli enti della ricerca sanitaria AISTMAR Onlus - via della Commenda, 12 - 20122 Milano - www.aistmar.it FIRMA ........................................................................ Sostegno alle associazioni sportive dilettantistiche in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI a norma di legge FIRMA AISTMAR Onlus ........................................................................ FONDAZIONE IRCCS CA’ GRANDA - OSPEDALE MAGGIORE POLICLINICO Codice fiscale del Codice fiscale del beneficiario (eventuale) beneficiario (eventuale) Associazione Italiana per lo Studio e la Tutela della Maternità ad alto Rischio Dipartimento per la Salute delle Donna, del Bambino e del Neonato U.O. di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale In aggiunta a quanto indicato nell’informativa trattamento via Francesco Sforza, 28sul - 20122 Milano dei dati, contenuta nel paragrafo 3 delle istruzioni, si precisa che i dati personali del contribuente verranno utilizzati solo dall’Agenzia delle Entrate per attuare la scelta. n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE TEST Design e rifiniture interessanti, questo diffusore è pensato per “dare voce” a televisori che vanno dai 42 ai 65 pollici Philips XS1, diffusore per TV con subwoofer piatto Abbiamo provato Philips Fidelio XS1, un diffusore per televisori elegante, molto versatile e completo nelle prestazioni Originale il subwoofer piatto che si può infilare sotto al divano. Una soluzione esclusiva che però porta in alto il prezzo L di Roberto FAGGIANO a categoria dei diffusori piatti che fungono da base ai televisori è sempre più ricca di proposte. Questa Fidelio XS1 si colloca nella fascia alta del mercato dato che richiede 499 euro per il suo acquisto. La serie Fidelio è quella più prestigiosa di Philips, o Woox che dir si voglia, e basta guardare il diffusore per notare la grande cura in ogni dettaglio, sia estetico che funzionale. Il primo aspetto insolito per la categoria è il fatto che il subwoofer è separato e si collega senza fili. Poi colpisce la forma piatta del diffusore per le frequenze più basse, che infatti può essere posizionato in orizzontale, magari sotto al divano, oppure in verticale utilizzando l’apposito sostegno in dotazione. Molto elegante la finitura del diffusore principale, con superficie superiore in vetro e griglia frontale metallica che lascia vedere in trasparenza il display. Per quanto riguarda gli aspetti pratici, la XS1 è adatta a TV da 42 a 65 pollici e può sopportare un peso fino a 44 kg. La larghezza di 73 cm consente anche l’uso con quei TV dotati di piedini laterali, purché siano abbastanza alti da lasciare liberi i 4 cm di altezza della XS1. Tra le funzionalità particolari troviamo il collegamento Bluetooth (aptX e AAC) con abbinamento automatico NFC. Ben rifinito anche il telecomando in dotazione, risulterà difficile farne a meno perché include le funzioni di controllo dei toni e la possibilità di impostare tre curve di equalizzazione che esaltano la voce oppure si adattano meglio alla riproduzione musicale o alle colonne sonore dei film. Versatilità al top Ciò che non si può rimproverare alla XS1 è la mancanza di ingressi e la compatibilità con i formati di codifica audio per musica e film. Infatti, sul retro del diffusore video Philips Fidelio XS1 499,00 € SI PUÒ DARE DI PIÙ La Fidelio XS1 è una bella soundplate o soundbase che dir si voglia, è ben rifinita, è piacevole alla vista, ha la soluzione originale del subwoofer separato posizionabile anche in orizzontale ed è dotata di Bluetooth, ma ha il problema del prezzo: 499 euro implicano delle aspettative di alto livello qualitativo che la XS1 non sembra in grado di soddisfare. Se la cava benino con la musica, ha un buon carattere generale e ha perfino un DSP che regala qualche vero effetto surround. Però non convince mai in pieno e non regge il confronto con concorrenti che forse non saranno così ben rifiniti, ma costano qualcosa in meno e spesso offrono già in dotazione i cavi di collegamento. Philips può fare di meglio per convincerci, provaci ancora Gibson. lab 7.9 Qualità 8 Longevità 8 Finitura elegante COSA CI PIACE Subwoofer separato sottile Bluetooth con aptX e NFC Design 9 Semplicità 8 COSA NON CI PIACE troviamo due prese HDMI, delle quali una compatibile ARC, due ingressi digitali (ottico e coassiale) e un ingresso stereo analogico. Purtroppo mancano i relativi cavi compresi nella dotazione, una mancanza non trascurabile per il prezzo richiesto. Inoltre, sul lato destro troviamo una presa USB per chiavette di memoria con musica MP3 o WMA e un ingresso minijack universale. Ma per la riproduzione musicale è molto più comodo usare il Bluetooth con NFC dal proprio dispositivo mobile. In tema di colonne sonore la XS1 è compatibile con i formati Dolby Digital e dts. Manca, invece, la connessione di rete. Contribuisce alla facilità di utilizzo il telecomando in dotazione che permette di scegliere la sorgente, attivare le modalità DSP per musica e film, regolare il ritardo audio, variare toni alti e bassi oltre a regolare la luminosità del display. Un subwoofer con qualcosa in più Dal punto di vista più tecnico la XS1 utilizza sei altoparlanti rettangolari a larga banda, due posti lateralmente e quattro frontalmente, in modo da creare più facilmente l’effetto Surround di circondamento che si dovrebbe ottenere dal diffusore. Sono quindi consigliabili per la collocazione dei ripiani aperti ai lati per non mortificare le prestazioni sulla gamma medio alta. La potenza disponibile è di 6 x 20 watt (10% THD). Molto più originale il subwoofer che ha praticamente le stesse dimensioni in pianta del diffusore principale D-Factor 8 Prezzo 7 Prezzo elevato Resa sonora migliorabile ma può essere collocato anche in modalità verticale. Gli altoparlanti utilizzati sono due woofer da 165 mm che diffondono verso l’alto o verso un lato, a seconda della posizione. Lavorano con doppio accordo reflex laterale e questo impone di collocare il sub con attenzione per non mortificare le prestazioni in gamma bassa. La potenza disponibile è di 200 watt (10% THD). Un ascolto abbastanza convincente Per la collocazione in ambiente abbiamo dovuto sperimentare diverse soluzioni, infatti il costruttore consiglia di porre il subwoofer in verticale alla destra del televisore, una posizione non favorevole nel nostro ambiente. Quindi sperimentiamo la versione orizzontale sul lato opposto, anche se così occupa parecchio spazio. Eseguiamo il solito collegamento con cavo HDMI ARC al TV in questo momento in prova, che casualmente è un Philips, o per meglio dire TPVision. Durante il collegamento e il primo utilizzo scopriamo per caso, dato che il manuale del diffusore ignora questa possibilità, che il TV con collegamento Bluetooth ci chiede se vogliamo abbinare la XS1 per la riproduzione sonora. Possibilità molto comoda ma in pratica non sfruttabile perché la procedura andrebbe ripetuta ad ogni accensione del TV. La triste dimostrazione che dietro due apparecchi che portano segue a pagina 46 torna al sommario n.112 / 15 18 MAGGIO 2015 MAGAZINE HI-FI E HOME CINEMA Soluzioni tecniche esclusive per materiali e costruzione altoparlanti Le cuffie MM Denon promettono gran suono La gamma di cuffie Music Maniac per gli utenti più esigenti è pronta anche all’uso in mobilità di Roberto FAGGIANO N uovi arrivi nella gamma di cuffie MM (Music Maniac) di Denon, con tre modelli di fascia alta che si adattano senza problemi all’uso domestico e a quello in mobilità con gli smartphone. Il nuovo modello d’ingresso è la AH-MM200 (219 euro), disponibile in versione nera oppure bianca e con doppio cavo di collegamento in dotazione. Il primo cavo è dedicato all’utilizzo con gli smartphone e ha il microfono integrato, la piena compatibilità funzionale è solo con dispositivi iOS mentre con Android è attivo solo il microfono con il tasto “pausa”. Il secondo cavo è invece più lungo e diretto per l’ascolto casalingo. Dal punto di vista tecnico spicca l’utilizzo di un padiglione in fibra di vetro rinforzata, al tatto simile alla ceramica e con il pregio di limitare le risonanze. Il trasduttore è da 30 mm con membrana in triplo strato. L’impedenza è di 36 Ohm con sensibilità di 99 dB. Il modello intermedio AH-MM300 (329 euro) è disponibile nella sola versione nera, ha il doppio cavo di collegamento e i padiglioni in fibra di vetro ripiegabili. Il trasduttore utilizzato è da 40 mm del tipo Free Edge con un nuovo tipo di sospensione. In dotazione anche l’adattatore jack da 6 mm per l’utilizzo domestico. L’impedenza è di 32 Ohm con sensibilità di 99 dB. Il modello top di gamma è la AH-MM400 (429 euro) dove spiccano i padiglioni in vero legno di noce con supporti in alluminio. Il trasduttore è un Free Edge da 40 mm con membrana in carta e carbonio. Sempre in dotazione un doppio cavo di collegamento con tecnologia OFC e l’adattatore jack. L’impedenza è di 32 Ohm con sensibilità di 96 dB. GADGET C.H.I.P. computer da 9 dollari con più porte del Macbook Wi-Fi, Bluetooth, processore da 1 GHz con 512 MB di RAM e 4 GB di storage: CHIP è il piccolo computer che costa 9$ e può far girare app come VLC e un sistema operativo leggero come Linux sul quale far girare Chrome, LibreOffice, client mail e anche piccoli giochi. Appetibile per i maker che vogliono usarlo in ambito Internet of Things, ha a bordo una USB, una micro USB, un’uscita videocomposito per il collegamento al TV e un ingresso microfonico, ma con due adapter guadagna uscita HDMI e VGA. A 49$ c’è la versione con schermo da 4.3”, tastiera e batteria. Clicca qui per il video. TEST Philips Fidelio XS1 segue Da pagina 45 lo stesso marchio, ci sono realtà completamente separate tra loro e che perdono tutte le possibili sinergie della situazione. Dopo questa digressione nostalgica torniamo alla prova. Decidiamo di iniziare dalla riproduzione musicale via Bluetooth, dato che da un oggetto di questo prezzo non sono ammesse mancanze e omissioni. Utilizziamo lo streaming di Spotify e otteniamo risultati piuttosto buoni, la gamma bassa non è invadente ma anzi è quasi sottotono. Poco male data la presenza dei controlli di tono che permettono di aggiustare la resa sonora su misura. La gamma acuta è anch’essa tranquilla ma in questo caso ci evita eccessi di sibilanti sulle voci. Proprio le voci sono l’aspetto più convincente, ben equilibrate e con il giusto corpo. Per avere un po’ di dinamica bisogna alzare il volume ma non è questo il punto di forza della XS1. Inserendo il controllo Music si ottiene più vivacità senza stravolgere la resa con eccessi artificiosi. Insomma, ci aspettavamo qualcosa di meglio ma in fondo non torna al sommario ci si può lamentare e la XS1 è utilizzabile con profitto anche per la musica. Veniamo ora alle colonne sonore dei film, dove partiamo dalla posizione base senza interventi DSP. Anche in questo caso la gamma bassa non è esplosiva, però si sente bene il suo intervento quando serve, si è scelta un’impostazione poco appariscente ma più convincente e realistica nelle lunghe visioni di un film. Molto buoni i dialoghi che arrivano opportunamente ben centrati sullo schermo. Ma per 499 euro vorremmo qualcosa in più. Ed eccolo arrivare inserendo l’effetto Movie: la scena si allarga immedia- tamente e finalmente possiamo cogliere dei veri effetti Surround, più laterali che posteriori a dire il vero, ma è un punto su cui quasi tutte le soundbar di prezzo umano gettano la spugna. Però, proseguendo l’ascolto con altri film più spettacolari, la situazione sembra peggiorare, la gamma più profonda eccede e sembra non reggere un volume elevato. Abbassiamo il livello dei bassi e otteniamo un miglior equilibrio, a scapito però dell’impatto dinamico. La XS1 sembra quindi preferire i film più tranquilli, dove ci si può concentrare sui dialoghi e su effetti non eccessivi.