METALLI Cerniere,battentiepomelli Schede a cura di Silvia De Marco Pomello Sec. XVI/ Bronzo/12x7cm. ca./ Inv. 309 Pomello da mobile a forma di busto classico; la testa è leggermente inclinata coi capelli trattenuti sulla nuca da un fermaglio. Le spalle sono ricoperte da ampio manto drappeggiato, appuntato su una spalla. Alla base, doppia barra in ferro per il fissaggio. Manifattura friulana, sec. XVII Maniglia di comò Bronzo/ 12x9 cm./ Inv. 1010 Maniglia in bronzo intagliata a delineare due figure speculari di putti, con fattezze umane nella parte superiore del corpo e marine in quella inferiore, le cui pinne terminali vanno a congiungersi in corrispondenza di una conchiglia al centro dell’ impugnatura. Sulle teste delle raffigurazioni sono collocati anelli per il fissaggio, sbalzati a fronde. Manifattura italiana, sec. XVII Coppia di maniglie Ferro e bronzo/ 14,5 cm./ Inv. 1583, 1583b Maniglie decorate a motivi vegetali e sorta di “crestina” lungo il lato curvo. Manifattura veneta, sec. XVII Piastra Ferro battuto e sbalzato/ 30 cm./ Inv. 1585 Piastra copri serratura terminante in basso con un elemento bilobato a punta e nella parte superiore, con tre elementi bilobati sempre appuntiti. Dal foro aperto in corrispondenza della toppa dipartono elementi gigliati in rilievo. Manifattura friulana, sec. XVIII Bandella Ferro/ 17,6x39,2 cm./ Inv. 1566 Bandella sagomata a volute vegetali contrapposte, discretamente conservata, con terminazioni a spirale ed occhiello liscio. Sulla superficie sono aperti nove fori. Le cerniere da mobile, così come le bandelle da porta, si infilano sui cardini fissati al telaio. L’accuratezza con cui questi manufatti vengono forgiati, e la ricerca costante di nuove forme ed ornati, è segno dell’attenzione che i magnani rivolgevano anche a questi elementi puramente decorativi. Manifattura friulana, sec. XVIII Cerniera da mobile Ferro/ 11,5x27 cm./ Inv. 1568 Cerniera da mobile dipinta di verde chiaro, in discreto stato conservativo, sagomata a volute con doppia ansa e terminazioni a ricciolo, nove fori e occhiello liscio. Manifattura friulana, sec. XVIII Bandella Ferro cromato/ 12x34 cm./ Inv. 1576 Bandella in ferro cromato, in discreto stato conservativo, sagomata ad ampie volute contrapposte, con doppia ansa e terminazioni frondose. Sulla superficie argentata sono aperti nove fori, di cui uno centrale per il fissaggio, mentre in basso l’occhiello è liscio. La superficie è incisa a motivi lineari. Manifattura friulana, sec. XVIII Controserratura da cassapanca Ferro cromato/ 13x22 cm./ Inv. 1577 La controserratura a forma di “T” rovesciata, tornita alle estremità presenta, al posto dell’occhiello, due staffe squadrate. Sei fori e due graffette alle estremità del lato orizzontale per il fissaggio. La superficie è incisa con motivi mistilinei e puntinati. Manifattura friulana, sec. XVIII Maniglia a forma zoomorfa Bronzo/ 4x18x11 cm./ Inv. 1579 Un’estremità della maniglia termina con una testa leonina e due bracci anch’essi con terminazione zoomorfa. Dall’altro capo, una sorta di staffa a forma di conchiglia, dalla quale dipartono due piccoli serpenti. Il muso del leone è delineato da brevi tratti incisi. Manifattura friulana, sec. XIX Maniglia a forma di mano Bronzo/5 ca.x13 cm./ Inv. 308 Tiraporta in bronzo a forma di mano stretta a pugno, con pollice che sfiora l’indice in modo da formare un anello, reca un forellino tra medio ed anulare. Il polsino della camicia è modellato con bottone e risvolto a volant. Alla base, cuneo per il fissaggio. Manifattura friulana, sec. XIX Placchetta decorativa per mobile Bronzo/7,8 x 5 cm./ Inv. 310 Placca decorativa in bronzo a forma di testa di putto, posteriormente cava. Non presenta fori o ganci per il fissaggio. Manifattura friulana, sec. XIX Coppia di pomelli da porta Ferro/ h 13 cm./ Inv. 1116 Coppia di pomelli di forma sferica con fascia centrale decorata a sbalzo e base svasata, con medesima decorazione. Manifattura friulana , sec. XIX Coppia di pomelli da porta Lega metallica argentata/ h 9,5 cm./ Inv. 1117 Coppia di pomelli a forma di ghianda, base svasata e apertura filettata per l’avvitamento del ferro di fissaggio Manifattura friulana, sec. XIX Maniglia a forma di mano Bronzo, ferro/ 15 cm (compreso il ferro di fissaggio)/ Inv. 1581 Maniglia (tiraporta?) simile all’esemplare Inv. 308, a forma di mano stretta a pugno con pollice ed indice a formare un anello. In basso si intravede il ricamo del polsino della camicia. Segni incisi a delineare le unghie e le pieghe delle nocche. Un grosso ferro che termina piegandosi verso l’alto è inserito alla base del pomello. Manifattura friulana, sec. XIX Maniglia di porta Ferro, legno, ottone/ 10x11 cm./ Inv. 1582 Maniglia in legno terminante con una punta in ottone che si chiude con un piccolo globo. L’impugnatura va ristringendosi verso il dado di ottone, con sfaccettature esagonali, in cui si impernia il ferro che viene inserito nel meccanismo della serratura. Manifattura friulana, sec. XIX Maniglia Ferro battuto/ 8,7 ca x Ø9,5 cm. ca. / Inv. 1684 Maniglia di forma ovale con piastra metallica intagliata a motivi mistilinei. Un anello è frapposto tra la piastra ed un elemento a due “ali” terminanti a spirale, provvisto di moto circolare che regola il movimento della maniglia. Manifattura friulana, sec. XX Coppia di maniglie Metallo cromato, legno/ 10,6 cm./ Inv. 1587, 1587b Coppia di maniglie con impugnatura in legno laccato di nero con punta metallica tornita, corredate da un dado. Questo è decorato da elementi conici, mentre un lato è riservato all’apertura filettata destinata all’avvitamento del ferro di fissaggio. Manifattura friulana, sec. XX Coppia di maniglie Ferro, ottone/ 11,8 cm./ Inv. 1588 Coppia di maniglie molto simili all’esemplare Inv. 1582. L’impugnatura è in legno, la punta in ottone, tornita. Il dado, con sfaccettatura esagonale, presenta su un lato l’apertura filettata per l’inserimento del ferro che fissa la maniglia alla serratura. L’esemplare Inv. 1582b appare più rovinato per l’azione dei tarli. Manifattura friulana, sec. XX (?) Campanella Ferro e bronzo/h 24,5 x Ø7,5 cm. (campana)/ Inv. 1341 Campanella per portale fissata mediante una staffa terminante a spirale, che avvolge una vite dal lungo fusto con terminazione ad uncino. La campana di bronzo è fissata alla staffa con un anello di ferro che passa attraverso un foro aperto nella parte terminale della staffa. Su quest’ultima sono impresse le iniziali “V. F.” e, diametralmente, un numero “5”. Manifattura friulana, sec. XX Frammento di maniglia Ferro/ 10 cm./ Inv. 1589 Frammento di maniglia di cui si conserva solo il ferro di fissaggio alla serratura, mentre manca l’impugnatura di legno. Serrature Schede a cura di Silvia De Marco Serrature Il termine serratura (serrare) deriva dal tardo latino serare (chiudere) e da sera (chiusura, catenaccio). La funzione della serratura è infatti quella di permettere la chiusura di porte, portoni, coperchi di cassoni per l’azione di tre elementi fondamentali: un congegno azionato dalla chiave, un chiavistello fissato con staffe e una molla di bloccaggio. Inserendo la chiave nella toppa della serratura, la mappa della chiave incontra le lamelle corrispondenti alle fernette e i denti del chiavistello rivolti verso il basso; con una mandata la chiave sposta lateralmente il chiavistello la cui estremità si infila nell’occhiello del boncinello o nella cavità ricavata nello stipite della porta, bloccandone l’apertura. La molla impedisce che il chiavistello ritorni accidentalmente indietro: la chiave, girando, alza la molla e la rilascia al termine del giro ripristinando in questo modo il blocco. Nei sistemi a scatto è inserita una molla di spinta che, posta in pressione dal chiavistello messo in movimento dalla mandata della chiave, risospinge il chiavistello in posizione di chiusura. Il meccanismo è solitamente fissato su una piastra, di varie forme e variamente lavorata (incisa a bulino, a sbalzo, intagliata o cesellata) e decorata da bandelle laterali traforate, a seconda dell’epoca di realizzazione: dalla classica forma quadrata e rettangolare a quella polilobata, dalla forma ad “ascia”a quella a “balestra”. Per quel che riguarda i congegni, a quello “a bussola”, presente già nelle serrature del XIII secolo, si va ad aggiungere in età rinascimentale, il congegno Kapellen Eingerichte, di derivazione tedesca, dalla caratteristica struttura a forma di cupola contenente i meccanismi, e quello, sempre nordico, detto “a testa di gatto”, che deriva il suo nome dalla presenza della caratteristica molla a spinta a cerchio collocata sulla piastra solitamente bilobata, che conferisce alla serratura l’aspetto di una testa di gatto. Altre soluzioni di chiusura, risalenti al Cinque-Seicento, hanno meccanismi di saliscendi, di doppi chiavistelli a scatto, di doppia toppa per l’apertura con chiavi sia dall’interno che dall’esterno, di nottolino ad anello. La struttura fondamentale rimane tuttavia invariata anche nei due secoli successivi, quando continuano ad essere realizzate serrature fondate sull’essenziale messa in relazione di un chiavistello, a mandate o a scatto, di una molla di bloccaggio e di una chiave; le uniche varianti di questo fondamentale schema sono l’eventuale raddoppio del chiavistello, la compresenza di un catenaccio a mandate e uno a scatto, e la possibile presenza di un pomolo esterno per la chiusura temporanea della porta. Durante questo periodo, anche le elaborate decorazioni dei secoli precedenti vanno assottigliandosi dopo l’apice toccato con i complicati intagli delle piastre della metà del ‘700, e solitamente si hanno serrature molto semplici, dalle linee sobrie. I fabbri “serraturieri”, o magnani, hanno sempre rappresentato una categoria particolare di fabbri, che si distingueva da tutti gli altri per il lavoro di precisione che erano chiamati a svolgere, per il quale non era necessario il maglio ma una lingua di ferro sporgente dal banco di lavoro su cui battere chiavi e serrami. Nel medioevo i magnani si organizzano in corporazioni di “serraturieri” che dovevano sorvegliare sulla qualità dei lavori, alle quali era possibile accedere previo superamento di una prova di ammissione che prevedeva l’esecuzione da parte del candidato di un “capodopera”, una dimostrazione di abilità, una prova di virtuosismo. La corporazione aveva come patrono Sant’Eligio (protettore dei fabbri e dei gioiellieri), vescovo di Noyon, che, secondo una leggenda, si sarebbe vantato di essere il migliore maniscalco della città; mentre entro il giorno di San Pietro, detentore delle chiavi del paradiso, tutte le pendenze economiche dovevano venir regolate. Le serrature della collezione Ciceri appaiono piuttosto uniformi per tipologia, manifattura ed epoca di fabbricazione: alcune da cassone, altre da porta, quelle di più ampie dimensioni da portone, sono per lo più di forma rettangolare o con la caratteristica forma bilobata terminante a punta. Vi sono anche due esemplari “ad ascia” (o sono a balestra?) (Inv. 1572; Inv. 1575), arricchiti dal bordo intagliato a volute, e due “a cassetta” (Inv.1567; Inv. 1569). Alcune sono finemente lavorate (si veda in particolare l’esemplare Inv. 1560), altre sono invece prive di decorazione e di un’essenzialità tale da sembrare a volte poco rifinite. Manifattura del sec. XVIII Serratura “a testa di gatto” per cassapanca Ferro stagnato/ 20x11 cm./ Inv.1560 Piastra triangolare con terminazione bilobata a punta. Sul fronte, la toppa per l’inserimento di chiave femmina. Sul retro, la caratteristica molla di spinta a cerchio e un ingegno a bussola per chiave femmina con targa di protezione di forma rettangolare, incisa con decori a volute, motivi fogliati ed alati. Doppio chiavistello e apertura per bucinello. Il ferro stagnato conferisce serratura una sfumatura argentata. Manifattura del sec. XVIII-XIX Serratura con meccanismi Ferro/ 24,5x13 cm./ Inv.1561 Piastra di forma bilobata terminante a punta con bandelle d’appoggio a volute. Doppio chiavistello a scatto azionato all’esterno da chiave e all’interno da nottolino ad anello. Molla di spinta a spirale. Scudetto copringegno con tetto di forma poligonale. Staffa di fissaggio a terminazione rettangolare incisa con motivi a volute. Ferro di protezione soprastante a “V” rovesciata con decorazioni fitomorfe. Manifattura del sec. XVIII Serratura dipinta con meccanismi Ferro/ 27x11 cm. ca/ Inv.1562 Piastra bilobata a punta, con bandelle d’appoggio a volutine. Sul retro, scudetto copringegno con tetto di forma rettangolare. Targa di protezione di forma bilobata mancante della punta, decorata con motivi a sbalzo, ondulati. Doppio chiavistello con dente collegato alla mappa della chiave e staffa di fissaggio a terminazione rettangolare. La serratura è dipinta di verde chiaro. Manifattura del sec. XVIII-XIX Serratura con meccanismi Ferro/ 18x12,8 cm/ Inv.1563 Piastra di forma trilobata. Sul fronte, toppa per chiave femmina. Sul retro, scudo copringegno centrale, di forma ottogonale, decorato con motivi fitomorfi. Targa di protezione incisa a volute con staffa in rilievo e rinforzi laterali a base triangolare. Manifattura del sec. XVIII-XIX Piastra con meccanismo di serratura Ferro/ 16x18 cm. ca/ Inv.1564 Piastra rettangolare con congegno a bussola per chiave femmina, con tetto sagomato a volutine. Catenaccio a scalino, collegato al congegno a bussola, con molla di bloccaggio a forcella e fessura per boncinello. Manifattura del sec. XVIII Serratura per portone con due pomelli sul fronte Ferro, ottone/ 15,5x41,5 cm./ Inv.1565 Grande serratura con piastra rettangolare. Sul fronte, una toppa per l’inserimento di chiave femmina, due pomelli e due chiavistelli “a scalino”, foro per bocinello e molla a spirale. Sul retro, tre congegni: i due laterali, con chiavistello a scatto, molle a spirale e scudo copringegno “gigliato”, sono collegati ai pomelli e ai chiavistelli del fronte; quello centrale, con doppio chiavistello a due denti, molla di fissaggio a forcella, molla di spinta a spirale, è collegato al congegno per chiave femmina, coperto da scudo della medesima forma dei laterali, ma di dimensioni più grandi. In alto a sinistra, un ulteriore asta con movimento verticale azionata da manipola, per bloccare in posizione “aperta” il chiavistello a scatto che si trova su quel lato. Manifattura del sec. XVIII-XIX Serratura con piastra decorativa sul fronte Ferro/ 27x9 cm./ Inv.1567 Serratura a cassetta con piastra rettangolare e fronte sporgente intagliato a volute. Sul retro, un saliscendi con movimento verticale collegato ad una molla a spirale, azionato da maniglia fogliata; e due chiavistelli a scatto: uno collegato ad una leva azionabile dall’interno e al congegno per chiave femmina con tetto rettangolare decorato da fascia a rilievo; l’altro, mosso, sempre internamente, da una seconda levetta, collocata sullo stesso lato della precedente. Manifattura del sec. XVIII Serratura con maniglia Ferro battuto/ 18,5ca x26x12,5profondità/ Inv.1569 Serratura a cassetta con piastra rettangolare, provvista di maniglia sagomata a foglia. Piastra di serratura terminante con elementi bi e trilobati a punta e finemente cesellata in corrispondenza del foro d’ingresso della maniglia. Nello spessore, foro per boncinello. Manifattura del sec. XVIII Serratura con maniglia e piastra decorativa sul fronte Ferro/33x13 cm./Inv.1570 Piastra rettangolare con bordi lavorati a volutine e terminazione bilobata a punta. Sul fronte, maniglia con piastra decorata ad intaglio e piccola canna per l’inserimento di una chiave maschile. Sul retro, un chiavistello a scatto con due denti di bloccaggio e una molla di spinta a forcella, collegato al congegno per chiave maschile coperto da scudetto con tetto di forma quadrata, e azionato da una maniglia interna; e un saliscendi collegato a doppia maniglia, una interna e l’altra esterna, sagomate a foglia, per chiudere momentaneamente la porta evitando che sbatta. Piastra di protezione di forma rettangolare, strozzata al centro, dai bordi frastagliati. Manifattura del sec. XVIII Serratura da cassone “a testa di gatto” Ferro/ 18,5x12 cm./Inv. 1571 Piastra rettangolare con terminazione bilobata a punta. Sul fronte, toppa per chiave femmina e residuo di gancio per il fissaggio della piastra. Nella parte retrostante, scudetto copringegno con tetto ottagonale e fascia centrale in rilievo, molla di spinta circolare, e piastra di protezione di forma poligonale a ricoprire i chiavistelli con terminazione a scalino. Manifattura di area veneta del sec. XVIII Piastra di serratura Ferro/ 8,1x6,5 cm./ Inv. 1572 Piastra ad ascia con bordo intagliato a volute. Sul retro, scudetto copringegno sagomato. Chiavistello con due staffe di fissaggio e molla a forcella. Manifattura del sec. XVIII Serratura per cassone “a testa di gatto” Ferro/ 11x7cm.ca/ Inv. 1573 Piastra di forma rettangolare con terminazione bilobata a punta. Toppa per chiave femmina. Sul retro, molla di spinta a cerchio, scudetto copringegno con tetto ottagonale e targa di protezione sagomata, “a giglio”, a coprire i chiavistelli terminanti con tre denti di bloccaggio. Manifattura del sec. XVIII Serratura per cassone “a testa di gatto” Ferro/ 12x7cm.ca/ Inv.1574 Esemplare molto simile al precedente (Inv. 1573), con piastra bilobata a punta e sul fronte toppa per chiave maschile. Sul retro, visibili lo scudetto copringegno con tetto ottogonale e molla di spinta a cerchio. Targa di protezione sagomata che nasconde i chiavistelli con tre denti di bloccaggio. Manifattura del sec. XVIII Piccola serratura “ad ascia” Ferro/ 9,5x9 cm./ Inv. 1575 Piastra ad ascia con bordo intagliato a volute, simile all’esemplare Inv. 1572. Sul fronte, toppa per chiave femmina. Nella parte retrostante, scudetto copringegno di forma circolare, chiavistello con due staffe di fissaggio e molla a forcella. Manifattura del sec. XVIII Piccola serratura Ferro/ 6x8ca/ Inv.1578 Piastra di forma rettangolare con terminazione bilobata a punta. Le modeste dimensioni fanno pensare ad una serratura da cassone o da porta. Sul retro, scudo copringegno di forma rettangolare con due staffe laterali di fissaggio e fascia centrale a rilievo incisa con una “X”. Chiavistello a due denti, fissato da staffa ricurva. Chiavi Fin dalle prime attestazioni dell’uso di oggetti affini a quelli che oggi definiamo “chiavi”, risalenti a 2000 anni prima di Cristo (antichi Babilonesi), all’uso pratico si è andato sovrapponendo un significato magico-simbolico, come testimonia la presenza costante della chiave nei riti e nei corredi funerari di antiche civiltà: il cerimoniale di sepoltura egizio, ad esempio, prevedeva che, come ultimo gesto, il sacerdote toccasse la bocca della mummia con una chiave (MANDEL 1990, p.11). La valenza simbolica di chiavi e serrature deriva in parte dalla “sacralità” riconosciuta all’atto di chiudere ed aprire, nascondere e svelare, permettere l’accesso oppure impedirlo: la consegna delle chiavi di una città come segno della resa al vincitore, il mazzo di chiavi come simbolo dell’amministrazione e della custodia della casa, la chiave come metafora di sapienza, come attributo distintivo di alcuni santi nell’iconografia religiosa (san Pietro, santa Marta, santa Nottburga, San Giovanni Nepomuceno) e come amuleto (cfr. chiavette di san Valentino), sono solo alcune attestazioni. Gli esemplari della collezione Ciceri si iscrivono in un periodo che va dal XVI al XVIII secolo, sono per lo più chiavi femmine, da porta e da portone (una verosimilmente è da forziere, Inv. 1534 b), con impugnature ovoidali molto semplici (fanno eccezione i sette pezzi dell’inventario n°1343, che possono essere definiti “alla veneziana” per la decorazione “a rosone” e il “piccagnolo” applicato superiormente). Capitelli e ingegni sono variamente forgiati. Manifattura del sec. XVIII-XIX Chiavi con impugnatura ad anello semplice (serie di n. 11 pz.) Ferro/ h min. 8 cm - max 16,5 cm/ Inv. 1342 a; b L’inventario 1342a comprende quattro grandi chiavi da portone, femmine, con impugnatura ovale (una con cuspide interna), canna a sezione cilindrica e capitelli modanati. Variegate le forme degli ingegni: a fernette verticali alternate; con intaglio alla greca; con intaglio cruciforme; con fronte sporgente e intaglio a motivi elaborati. All’inventario 1342 b corrispondono invece una serie di sette chiavi di più piccole dimensioni, cinque chiavi femmine e due maschie. Le impugnature sono ovali e in due casi, polilobate (bi e tri), forma solitamente associata a chiavi per serrature “ad ascia”. La canna è a sezione cilindrica con capitelli (tranne una chiave che ne è priva) modanati (a fascia, a sfera schiacciata tra collarini, a vaso, a balaustro). Anche la forma degli ingegni è varia: a fernette verticali e orizzontali; con intaglio a pettine a quattro denti; a due ranghi, pertugio cruciforme e pettine a otto denti; a sezione rettangolare con due fernette verticali alternate. Manifattura del sec. XVIII-XIX Chiavi con impugnatura ad anello lavorato (serie di n. 7 pezzi) Ferro/ h. min. 8,2 - max 14,5 cm/ Inv. 1343 L’inventario 1343a conta quattro chiavi femmine con impugnature molto elaborate: tre sono a volute contrapposte, di cui una con cuspide superiore, e una è a “rosone”. Per quanto riguarda gli ingegni, ve n’è con fernette orizzontali e verticali; con intaglio cruciforme; con fronte leggermente arrotondato. Al numero 1343 b corrispondono invece tre chiavi femmine, per le quali può essere usata la definizione di chiavi “alla veneziana”, con piccagnolo alla sommità che permetteva di appenderle alla cintura e impugnatura ovoidale decorata in un caso “a rosone” a otto sezioni, e negli altri due, a lamelle con motivo a volute contrapposte. La canna è a sezione cilindrica e gli ingegni sono a sezione rettangolare con fernette verticali alternate; in un caso, pertugio cruciforme. Manifattura del sec. XVIII-XIX Coppia di chiavi Ferro/a) 9,2 cm. lungh.; b) 7,9 cm. lungh./Inv. 1534 L’Inv. 1534a corrisponde ad una chiave maschia, con impugnatura ovale non chiusa ma terminante con due riccioli nella parte inferiore interna entro cui si “insinua” l’estremità appuntita dello stelo cilindrico con capitello modanato a sfera schiacciata tra collarini. L’ingegno presenta fronte arrotondato e due fernette verticali alternate. Anche l’esemplare b è una chiave maschia, forse abbinata ad un forziere, provvista di impugnatura ovoidale con volutine nella parte inferiore. Lo stelo è a sezione cilindrica, provvisto di capitello “a vaso” con collarini. L’ingegno è ondulato ad “S”. Manifattura del sec. XVIII-XIX Chiave Ferro/ 13 cm. ca. lungh./ Inv. 1604 Grande chiave femmina, verosimilmente per portone, con impugnatura ovoidale, capitello modanato “a balaustro”, stelo a sezione cilindrica e ingegno con fronte ricurvo e fernette verticali ed orizzontali. Chiave isolata priva di inventario Chiave maschia con impugnatura ovoidale, capitello “a balaustro”, stelo cilindrico e ingegno con fronte incurvato e fernette orizzontali di diverse lunghezze. Lucchetti In Oriente, ed in particolare nel mondo islamico, il lucchetto può contare su una gloriosa tradizione attestata sin dai secoli XI e XII. Lo stesso non può dirsi per l’Occidente, dove l’uso del lucchetto non ha goduto di ugual fortuna, diffondendosi solo a partire dal XVI secolo, quando si sono andate delineando le tipologie formali poi rimaste pressoché definitive. La scarsa attenzione alla forma è dipesa soprattutto dall’uso molto pratico che veniva fatto di questi oggetti, impiegati per finalità tutt’altro che elevate, quali ad esempio la chiusura di ceppi, pastoie e manette (della collezione Ciceri fanno parte due esemplari di manette, di cui uno solo integro, dotate di lucchetto apribile con chiave femmina). L’unica evoluzione formale ha riguardato l’elaborazione di metodi di dissuasione sempre più complessi per rendere difficile l’apertura del lucchetto: sistemi di occultamento del foro di introduzione della chiave, nascosto dietro sportellini apribili solamente con lo spostamento di alcune parti apparentemente non significative; punteruoli che vanno inseriti entro pertugi ben dissimulati; combinazioni di numeri e lettere, anche in lunghe sequenze. Gli esemplari della collezioni Ciceri, iscrivibili in un’epoca compresa tra il XVI e il XIX secolo, confermano la “semplicità formale” di questi oggetti, rivelandosi esteticamente poco “ricercati”, per lo più dotati di chiusura a scatto e di gambo ad arco. Tutti hanno bocchetta a segreto celata da copritoppa a sportello, tranne gli inventari N° 909, che presenta invece toppa aperta, e N° 910, “a combinazione”. Manifattura di area italiana, sec. XVI-XIX Lucchetto Ferro/ 12x7 cm./ Inv.909 Lucchetto di sagoma tondeggiante, dello spessore di 1,5 cm ca., con due lobi in corrispondenza del punto di fissaggio del gambo ad arco. Sul fronte, toppa aperta per chiave femmina che si è conservata: di piccole dimensioni, presenta impugnatura ad anello e stelo a sezione circolare. Congegno di fissaggio con chiavistello a scatto. Sul retro, tracce di zincatura. Manifattura di area italiana, sec. XIX Lucchetto Ferro e ottone/ 9x9 cm./ Inv. 910 Lucchetto con corpo cilindrico in ottone, sul quale si muovono 6 anelli incisi con le lettere dell’alfabeto, dalla “A” alla “T” e gambo ad arco: l’apertura avviene disponendo le lettere secondo una sequenza predefinita, in modo tale che la “combinazione” si legga in orizzontale. Manifattura di area italiana, sec.XIX Lucchetto Ferro/ 10x9 cm./ Inv. 914 Lucchetto simile all’esemplare Inv. 909, con corpo tondeggiante e bilobato, rispetto al quale, però, presenta sul fronte un copritoppa a sportello che si apre in verticale e che cela una toppa per chiave femmina. Manifattura di area italiana, sec. ? Lucchetto Ferro/ 10x7,2 cm./ Inv. 916 Lucchetto per chiave maschia con gambo ad arco e bocchetta a segreto con copritoppa a sportello girevole. Sul retro, banda verticale sbalzata, che riprende simmetricamente il copritoppa del lato anteriore. Manifattura di area italiana, sec. ? Lucchetto Ferro/ 10,5x7,5 cm./ Inv. 917 Cassa di profilo mistilineo con congegno per chiave maschia e chiavistello a scatto. Il gambo è ad arco. Lo sportello copritoppa del fronte è ripreso sul retro da una fascia verticale sbalzata. Manifattura di area italiana, sec. XVI-XIX Lucchetto Ferro/ 14x9 cm./ Inv. 918 Lucchetto simile agli esemplari Inv. 909, 914. Corpo tondeggiante e gambo ad arco. Una piastra con lato inferiore intagliato a volute è applicata sia anteriormente che posteriormente. Sul fronte, copritoppa girevole che nasconde un’apertura per chiave femmina. Manifattura di area italiana, sec. ? Chiusura di catena? Ferro/ 25,5 cm. lungh./ Inv. 1586 Sorta di lucchetto di forma tondeggiante al quale sono appesi, da un lato, un anello, e dall’altro, un uncino. Alla sommità, un gancio uncinato. Sul “corpo” del lucchetto, una molla. Manifattura italiana, sec. XVII-XVIII Manette Ferro/35 cm. lungh/Inv. 1683 Bibliografia: CICERI 1976, Barra legata con due anelli di catena ad altrettanti bracciali di cui uno provvisto di lucchetto a cannone con corpo cilindrico e gambo ad arco. Manette, ceppi per le caviglie e pastoie per animali, altra tipica produzione dei fabbri serraturieri, si mantennero per secoli costanti nell’uso e nella forma, senza subire praticamente variazioni: una breve catena o una barra con due anse laterali per i polsi o le caviglie, con un sistema di chiusura semplicissimo, solitamente del tipo apribile con una chiave a spinta, simile agli esemplari “a sdrucciolo” romani (MANDEL 1990, pp.74-75). Manifattura italiana, sec. XIX Lucchetto Ferro /10,8x6,8 cm/ Inv. 915 Lucchetto con cassa quadrata arrotondata belle parte superiore in prossimità del gambo ad arco. Dotato di sportello copritoppa rettangolare che nasconde la toppa della serratura incernierato in prossimità del gambo. Manufattiinferrobattutoadusodomestico Schede a cura di Antonella Ortogalli Manifattura friulana, sec. XIX-XX Appendisalami circolare con 5 triplici uncini pensili Ferro battuto/ 39x23cm.Ø/ Inv. 957 Manifattura friulana, sec. XIX-XX Appendisalami circolare con 10 uncini fissi e uno quadruplice pensile al centro Ferro battuto/ 52,5x46cm.Ø/ Inv. 958 Manifattura friulana, sec. XIX-XX Appendisalami a 5braccia uncinate Ferro battuto/ 36x26,5cm./ Inv. 959 Manifattura friulana, sec. XIX-XX Appendisalami a tre braccia con 4 quadruplici uncini pensili Ferro battuto/ 85 (alla catena)x27cm./ Inv. 960 Bibliografia: CICERI 1976, [p. 28] Esposizioni: Pordenone 1976. Manifattura friulana, sec. XIX-XX Appendisalami circolare con 4 uncini fissi e 3 semovibili Ferro battuto/ 17xØ. 41cm / Inv. 961 Manifattura friulana, sec. XIX-XX Appendisalami circolare con 13 uncini fissi e 1 pensile a 5uncini Sec. XIX – XX, manifattura friulana/ Ferro battuto/ 66xØ 38,5cm. / Inv. 977 Manifattura friulana, sec. XIX-XX Appendisalami a sbarra uncinata con 8 uncini e anello apicale Ferro battuto/ 42,7x14,5cm./ Inv. 1206 Manifattura friulana, sec. XIX-XX Appendisalami a 6 braccia uncinate con anello apicale mobile Ferro battuto/ 22x25,5cm./ Inv. 1207 Manifattura friulana, sec. XIX-XX Appendisalami a 4 braccia uncinate con anello apicale Ferro battuto/ 28,5x30,4cm./ Inv. 1208 Manifattura friulana, sec. XIX-XX Appendisalami a 4 braccia con 4 triplici uncini pensili Ferro battuto/ 29x17cm./ Inv. 1209 Manifattura friulana, sec. XIX-XX Appendisalami circolare con 3 uncini pensili e 1 triplice pensile al centro Ferro battuto/28,5x Ø 16,5cm. /Inv. 1210 Manifattura friulana, sec. XIX-XX Appendisalami a 5 braccia uncinate con ruota di legno Ferro battuto e legno/ 36x 30cm./ Inv. 1211 Manifattura friulana, sec. XIX-XX Appendisalami a 3braccia uncinate Ferro battuto/ 29x 16cm./ Inv. 1212 Manifattura friulana, sec. XIX-XX Appendisalami a 3 braccia con ganci terminali e triplice uncino centrale pensile Ferro battuto/ 20,5x20,5cm./ Inv. 1213 Manifattura friulana, sec. XIX-XX Appendisalami a 3 braccia con 3 triplici uncini pensili e anello apicale mobile Ferro battuto/ 31,5x24cm./ Inv. 1214 Maniafattura friulana, sec. XIX-XX Appendisalami circolare con16 uncini fissi sulla circonferenza, 8 sulla crociera e 1 quadruplice al centro Ferro battuto/ 105x Ø 68,5cm. / Inv. 1590 Bibliografia: CICERI 1976, [p. 27] Esposizioni: Pordenone 1976 Maniafattura friulana, sec. XIX-XX Appendisalami circolare con 8 uncini fissi e 1 pensile al centro Ferro battuto verniciato/ 47,5 xØ 45cm. / Inv. 1591 Gli appendisalami (picjesalàmps) trovavano collocazione nelle cantine o negli ambienti più freschi delle case rurali e venivano utilizzati per la stagionatura degli insaccati di produzione propria. La collezione Ciceri conta ben diciassette esemplari che possono essere suddivisi per tipologia in due gruppi: il primo raccoglie gli appendisalami circolari di dimensioni maggiori. Sono caratterizzati da forma emisferica ottenuta dall’incrocio di barre in ferro battuto modellate ad arco che sostengono un grande anello percorso da uncini fissi con crociera a sua volta uncinata. Spesso a tale struttura si aggiunge al centro un ulteriore gancio pensile a più uncini. Il secondo comprende manufatti di dimensioni contenute per appendere un numero ridotto di salumi. Essi sono formati dall’unione di più bracci piegati a uncino nella parte terminale o reggenti corte catene alle quali sono appesi tre o quattro uncini. Tutti sono dotati di anello apicale mobile o fisso e alcuni mostrano ancora la catena a maglie rozze e circolari con cui venivano sospesi al soffitto della cantina. Un unico caso, il n. 1591, presenta tracce di vernice color sabbia ormai quasi completamente caduta. Lo stato di conservazione è generalmente discreto: una diffusa patina di ruggine ha intaccato le superfici corrodendo alcune parti come gli uncini più sottili. Luigi Ciceri nel catalogo dell’esposizione di Pordenone del 1976, mostra dedicata ai ferri battuti di produzione esclusivamente friulana, sottolinea come umili manufatti quali i “rampini picjesalàmps prendevano anch’essi grazia dal gioco delle proporzioni”(L. Ciceri (a cura), Storia del ferro battuto in Friuli dal 1500 al 1800, Udine 1976, [p. 6]). Manifattura friulana, sec. XVIII Ferro portasecchi (fiârs di seglâr o picjecjaldîrs) Ferro battuto/ 162cm./ Inv. 1499 Bibliografia: CICERI 1976, [p. 26]. Esposizioni: Pordenone 1976. Manifattura friulana, sec. XIX Ferro portasecchi (fiârs di seglâr o picjecjaldîrs) Ferro battuto/ 45x115,5cm./ Inv. 1500 Bibliografia: CICERI 1976, [p. 26]. Esposizioni: Pordenone 1976. Nelle cucine della tradizione sopra l’acquaio di pietra (seglâr) venivano affissi al muro i ferri decorati sui quali si appendevano i secchi di rame alternati a qualche ramaiolo per attingere l’acqua. L’esemplare più antico che si conserva in collezione è settecentesco ed è costituito da una successione di cinque archi con altrettanti semplici ganci inseriti a metà curvatura in alto, mentre più in basso, nei punto di congiunzione fra gli archi, vi sono quattro maschere antropomorfe con giglio stilizzato sul capo e terminazione inferiore piegata ad uncino. L’altro ferro portasecchi, purtroppo mutilo, è un prodotto delle abilità artigianali dell’Ottocento per il capzioso intreccio di serti vegetali con due graziosi animaletti, che si affrontano simmetricamente al di sopra della lunga e semplice sbarra orizzontale, sotto la quale scendono cinque ganci uniti da una struttura ferrosa a doppio giogo. Lo stato conservativo è buono nel primo caso (Inv. 1499), dove si riscontrano tracce di ruggine localizzate, ma appare soltanto discreto nel secondo (Inv. 1500). Quest’ultimo in origine aveva sicuramente un maggior sviluppo orizzontale visto che la barra di ferro sulla quale si imposta è recisa alle due estremità. Manifattura friulana, sec. XVIII-XIX Alare (cjavedâl) Ferro battuto/ 84,5x110,5cm./ Inv. 1593 Manifattura friulana, sec. XIX Alare (cjavedâl) Ferro battuto/ 106x105cm./ Inv. 1594 Bibliografia: CICERI – RIZZOLATI 1991, p. 151 L’alare in ferro battuto rappresenta per il Friuli l’oggetto simbolo della casa. Nasce dall’evoluzione del braccio mobile da muro (musse) che serviva per appendere le caldaie e fa la sua comparsa intorno al XVII secolo. Veniva collocato sul piano del fuoco (larìn) sopra il basamento di pietra alto fino al ginocchio tipico del focolare aperto (fogolâr). Intorno ad esso si svolgevano tutte le attività domestiche e i momenti di aggregazione familiare nella cucina o in un fabbricato aggiunto alla casa e individuabile dall’esterno per la particolare struttura atta ad evitare la dispersione del calore. La parola cjavedâl con cui si individua l’alare della tradizione friulana, indica, come nota Andreina Ciceri, “un segno di agiatezza: ‘un capitale’, appunto”(A. CICERI – P. RIZZOLATTI 1991). Infatti, poteva essere più o meno accessoriato e ornato a seconda delle possibilità economiche di chi lo commissionava alla fàrie del paese. La tipica struttura a quattro piedi, uniti da una sbarra orizzontale su cui poggiare la legna per dar respiro al fuoco, e due montanti con terminazioni a cestello, cui poi si possono aggiungere ricche decorazioni, lo caratterizzano come un unicum della nostra regione. Il pezzo più significativo presente in collezione è l’alare n. 1593 esemplificato su modelli diffusi nel XVIII secolo, come quello pubblicato da Luigi Ciceri nel catalogo dell’esposizione presso l’Ente Fiera di Pordenone del 1976 (CICERI 1976, [p. 13-14]), molto simile per le caratteristiche strutturali, ma più ricercato dal punto di vista decorativo essendo arricchito da incisioni floreali sui quattro piedi. Il nostro alare mostra piedi costituiti da fasce piatte di ferro modellate a voluta con terminazioni arricciate. I piedi sono uniti da una sbarra orizzontale presentata di taglio, che sostiene, alle estremità, aeree volute come elementi di raccordo con i due montanti. Questi ultimi sono ingabbiati, nella parte inferiore, da quattro colonnine a tortiglione che convergono nel nodo a metà altezza per poi proseguire fino ai due cestelli terminali piuttosto bassi e cilindrici con disco di base per appoggiarvi il contenitore del sale o il boccale del vino. L’alare è completato da due ali mobili con volute di raccordo che le uniscono ai montanti. Dalle ali pendono due catene (cjadenàz) a cinque grosse maglie circolari con asticciola uncinata agli estremi. Molto più semplice e scarno il manufatto n. 1594 che risulta povero ed essenziale nella struttura. I quattro piedi, la sbarra che li congiunge e i due montanti sono lisci e l’unica concessione al decoro è costituita da due nastri ondulati che scendono lungo un breve tratto inferiore nella parte interna dei montanti. Questi sono collegati in alto da una sbarra a tortiglione fissata da un lato alla base di un cestello formato da quattro stecche lisce coronate da anello, mentre dall’altro sotto una graticola girevole di forma quadrata con particolari innesti angolari adatti alla lum di pin. Entrambi gli alari si conservano discretamente a causa della diffusa patina di ruggine che ne ha intaccato le superfici. Manifattura friulana, sec. XX Catena da focolare (cjadenàz) Ferro battuto/ 183cm./ Inv. 1686 Bibliografia: CICERI 1976, [p. 17] Esposizioni: Pordenone 1976 Catena da focolare (cjadenàz) Ferro battuto/ 213cm./ Inv. 1687 Bibliografia: CICERI 1976, [p. 17] Esposizioni: Pordenone 1976 Il dispositivo più diffuso in Italia per appendere la pentola sopra il fuoco è la catena. Essa è costituita da due o tre aste di ferro, dritte e con terminazioni a gancio, unite fra loro da catene a grandi anelli sempre di ferro. La stanghetta superiore viene agganciata sotto la cappa (nape) o ad una traversa dell’alare, mentre quella inferiore serve per appendere le pentole. Ciascuna asticciola è dotata di due terminazioni a gancio per regolare la lunghezza della catena a seconda delle necessità e delle dimensioni della pentola da sostenere. La catena n. 1686 è formata da un’asta lunga con nodo al centro e una più corta a tortiglione, unite da grandi maglie circolari. Entrambe le aste presentano una sola terminazione piegata a gancio. Più complessa risulta la n. 1687: si articola in tre stanghette a tortiglione di diversa lunghezza. L’asta inferiore è decorata da un nodo salomonico al centro ed è dotata di gancio piccolo adatto per il manico delle pentole, quella mediana ha entrambe le terminazioni a doppi uncini per regolarne la lunghezza e anche quella superiore, che si imposta dopo soli quattro anelli di catena, termina da un lato con un duplice uncino e dall’altro è piegata a grande gancio. Lo stato conservativo può essere giudicato discreto in entrambi i casi a causa della diffusa ruggine riscontrabile sui manufatti. Manifattura friulana, sec. XIX-XX Treppiede per pentola Ferro battuto/ 52xØ 28cm. / Inv. 1497 Anche il treppiede è uno strumento indispensabile, come la catena, per cucinare sul focolare aperto. La cottura di certi alimenti necessita di mescolarli continuamente: un lavoro particolarmente faticoso quando si tratta di preparare la polenta. Tale operazione richiede la stabilità della pentola, cosa che la comune catena da focolare non può assicurare. In queste circostanze si utilizzava il treppiede di ferro battuto. Quello delle nostra collezione è di foggia semplice costituita da un anello sostenuto da tre piedi curvati verso l’interno, di cui uno con sviluppo in altezza al di sopra dell’anello e terminazione a gancio, sorta di manico per impugnare l’oggetto e spostarlo all’occorrenza. Anche in questo caso, come per quasi tutti i manufatti di ferro battuto, lo stato conservativo è discreto perché le superfici risultano completamente intaccate dalla ruggine. Manifattura friulana, sec. XIX Paletta del fuoco Ferro battuto/ 60,5cm./ Inv. 1664 Manifattura friulana, sec. XIX Molle Ferro battuto/ 75cm./ Inv. 1668 Manifattura friulana, sec. XIX-XX Forchettone Ferro/ 51cm./ Inv. 1680 Manifattura friulana, sec. XIX-XX Paletta Ferro/ 40cm./ Inv. 1688 Fanno parte del comune corredo del focolare gli utensili che servono a raccogliere le ceneri (palette), ad afferrare braci o legni (molle), a ravvivare il fuoco (ventole, soffietti, mantici ecc.) o a gestire gli alimenti messi a cucinare sulle braci (palette e forchettoni adatti alla carne). La dotazione da focolare presente in collezione conta una tipica paletta (Inv.1664) con lama arcuata e manico dritto decorato al centro da un triplice nodo e da un pomello terminale; molle (Inv. 1668) dai bracci elastici con triplice nodo a metà di ciascuno; un forchettone da carne (Inv. 1680) a due denti con manico ripiegato a gancio e decorato da motivi geometrici incisi; una piccola paletta (Inv. 1688) con angoli arrotondati e lungo manico con terminazione a gancio. La paletta da cenere versa in mediocre stato e le molle si conservano discretamente per la presenza diffusa della ruggine. Buono lo stato conservativo dei due restanti oggetti, visibilmente più recenti e forse frutto di una produzione industriale. Manifattura friulana, sec. XIX-XX Stampo doppio incernierato per cialde Ghisa/ 21,5x24cm./ Inv. 729 Stampo doppio a tenaglia per cialde Ferro battuto/ 70cm./ Inv. 1673 Lo strumento è più noto come ferro da cialde e serviva per cucinare direttamente sul fuoco una pastella composta da farina, zucchero, lardo e acqua che, dopo la cottura, costituiva la base per le confetture e ben si accompagnava con vino secco di marsala ad allietare occasioni importanti come battesimi, fidanzamenti o matrimoni. Lo stampo a tenaglia n. 1673 presenta due lunghi manici conclusi da maglia e gancio per assicurarne la chiusura. La lunghezza dei manici risulta funzionale alla cottura che, avvenendo su fuoco diretto, richiedeva una ripetuta rivoltatura dello stampo. Ai manici sono saldate le due piastre di forma rettangolare e internamente caratterizzate da un motivo a reticolo interrotto al centro da decorazioni inserite entro rombi. Uno dei decori è costituito da un’elegante sigla con le lettere A ed I sovrapposte, l’altro presenta una sagoma di volatile rivolto alla luna. Lo stampo n. 729, realizzato probabilmente in ghisa, è doppio e le due piastre a forma di fiore a dieci petali sono unite da cerniera. Internamente le superfici sono percorse da un motivo a rombi e paiono suddivise a formare cinque sezioni a cuore. Lo strumento è dotato di un piccolo arco saldato alla piastra superiore che ne facilita l’apertura. Entrambi i ferri sono realizzati tenendo presente un importante dettaglio che avrebbe reso le cialde uniformi nello spessore e gradevoli alla vista: infatti, la chiusura delle due piastre lascia uno spiraglio di appena un millimetro che è quanto basta per favorire una perfetta cottura. Il primo oggetto si conserva integro, ma diffusamente intaccato dalla ruggine, sul secondo, invece, si registra anche una spaccatura lungo la piastra inferiore, che risulta così mutila di una sezione. Manifattura friulana, sec. XIX Mestolo Ferro battuto/ 57cm./ Inv. 1670 Grande mestolo con paletta concava perfettamente circolare e lungo manico lineare con terminazione piegata a gancio. Vista la particolare forma dell’oggetto e le sue notevoli dimensioni è possibile ipotizzare che il mestolo in esame fosse utilizzato in un caseificio per attingere dalla caldaia il siero. La diffusione della ruggine sulle superfici determina il pessimo stato conservativo del manufatto. Manifattura friulana, sec. XVII Girarrosto a corda Ferro/ 48,5x25x27,5cm./ Inv. 1399 Bibliografia: CICERI 1976, [p. 20] Esposizioni: Pordenone 1976 Manifattura friulana, sec. XVIII Girarrosto a molla Ferro/ 48x32x25cm./ Inv. 1396 Bibliografia: CICERI 1976, [p. 23, 24] Esposizioni: Pordenone 1976 Manifattura friulana, inizio sec. XVIII Girarrosto a molla Ferro/ 17,4x35,4x17,4cm./ Inv. 1397 Bibliografia: CICERI 1976, [p. 21] Esposizioni: Pordenone 1976 Manifattura friulana, sec. XVIII Girarrosto a corda Ferro e legno/ 22,7x46x17cm./ Inv. 1398 Manifattura friulana, sec. XVIII Girarrosto a corda Ferro/ 40x32,5x27,2cm./ Inv. 1400 Maniafattura friulana, sec. XVIII-XIX Girarrosto a corda Acciaio e ottone/ 52x30x22cm./ Inv. 883 Per cucinare la carne sulle braci del focolare, mantenendola a debita distanza, il pollame e la cacciagione venivano infilzati su un lungo schidione, al quale si imprimeva un lento movimento rotatorio grazie all’utilizzo del girarrosto. Così si assicurava alla carne una cottura omogenea. Dai primitivi girarrosti a manovella derivarono complessi meccanismi costituiti da ingranaggi a ruote dentate, azionati da una corda o a molla. La precisione con cui furono costruiti gli ingranaggi di ferro dei girarrosto eguaglia solo quella che caratterizza l’arte degli orologiai e invita ad un confronto con le macchine di orologi da torre usciti dalla Solari di Pesariis. I girarrosti della collezione Ciceri comprendono sia esemplari a corda (Inv. n. 883, 1398, 1399, 1400), azionati cioè da una corda arrotolata ad un tamburo e progressivamente tirata da un peso, sia esemplari a molla (Inv. n. 1396, 1397), dotati di un meccanismo ad orologeria che veniva ricaricato da una manovella e che emetteva un suono prima di scaricarsi del tutto. Fra tutti si distingue il girarrosto n. 883 costituito da ruote dentate di ferro e acciaio a sviluppo verticale con raffinate finiture in ottone, come i pomelli che decorano la manovella di coronamento. Nessun dettaglio è lasciato al caso e così spiccano i piedini morbidamente ripiegati e il punto d’innesto della vite che muove il primo ingranaggio con terminazione zoomorfa a becco d’oca. Intorno al grande tamburo inferiore è ancora avvolta la corda che un tempo azionava il meccanismo. L’oggetto si conserva in ottimo stato, risparmiato dalla ruggine che inevitabilmente ha compromesso tutti gli altri esemplari della collezione, appartenenti, per altro, a epoche più remote come segnalò lo stesso Luigi Ciceri nel catalogo della mostra pordenonese del 1976, datandoli al XVII e XVIII secolo. Manifattura friulana, sec. XVIII Supporto per spiedo da girarrosto o fattorino Ferro battuto e pietra/ 48x Ø. 17cm base/ Inv. 1634 Bibliografia: CICERI 1976, [p. 24, 25] Esposizioni: Pordenone 1976 Complemento indispensabile al girarrosto con la funzione di sostegno per lo spiedo è il fattorino. Il supporto in esame è costituito da base di pietra decorata da motivi a foglie e da un ferro battuto che si sviluppa verticalmente a lingue di fiamma, su ciascuna delle quali è possibile inserire la parte conclusiva dello schidione per regolare la distanza della carne dalle braci. Lo stato conservativo è complessivamente buono. Manifattura friulana, sec. XIX Treppiedi per catino lavamani Ferro battuto/ 82cm./ Inv. 1485 Elegante e raffinato treppiedi per brocca e catino in ferro battuto. Le linee morbide e sinuose che si sviluppano in volute decorative, i gigli stilizzati che caratterizzano il canestro troncoconico nella parte inferiore, funzionale per allocarvi la brocca, il corto braccio mobile a sostegno di leggeri panni di lino per asciugare le mani, la cura di dettagli come i festoni che seguono l’anello del catino e la testina zoomorfa che si inserisce lungo l’anello stesso, testimoniano della poetica eleganza che seppe raggiungere il locale artigianato del ferro battuto durante il XIX secolo. Lo stato di conservazione risulta buono nonostante il processo di ossidazione lasci emergere qua e là tracce di ruggine. Manifattura friulana, sec. XIX Attizzatoio da camino Ferro/ 81cm./ Inv. 1666 Lunga e sottile asta appuntita con terminazione tripartita, atta forse a muovere e sistemare la legna nel focolare. La ruggine che ne ha intaccato le superfici determina il discreto stato conservativo dell’oggetto. Manifattura di area friulana, sec. XIX Cancelletto a due ante in ferro battuto Ferro/ 65x54,20 cm/ Inv. 1496 Il cancelletto usato per la protezione e chiusura presenta un’elegante manifattura. Il telaio ha spessore maggiore rispetto alla decorazione ottenuta dalla composizione di elementi a ricciolo. Manifattura di area friulana, XIX secolo Forbici per tosare Ferro/ 26 cm/ Inv. 1682 Le forbici per tosare si differenziano da quelle da sarto in quanto non sono costitute da due lame incrociate e imperniate. Originate da un unico pezzo di ferro piegato su se stesso simile alle molle per il fuoco. Alle estremità il metallo è appiattito a formare due lame con base larga e vertice appuntito che di incrociano premendo l’una verso l’alto. Manifattura area friulana, sec. XIX-XX Insegna segnavento Ferro, tessuto/ 64x44 cm/ Inv. 1663 Insegna segnavento Ferro dipinto/ 49 cm/ Inv. 1677 Insegna segnavento Ferro, legno, ottone/ 149,8 cm/ Inv. 1498 Questo tipo di manufatto, attualmente in disuso, aveva la funzione di indicare da quale parte il vento soffiava. In passato era importante poter analizzare questo fenomeno in quanto diretto responsabile delle condizioni meteorologiche così influenti per la lavorazione dei campi e la navigazione. Posta fin dai tempi più antichi sopra case, torri, alberi delle imbarcazioni, era costituita da una sagoma imperniata su di un asse che ruotava su se stessa a seconda della spinta del vento. Le banderuole potevano avere forme diverse, raffigurare stemmi, emblemi, sagome animali e umane. Gabbiette Manifattura di area locale, sec. XIX Gabbietta per volatili in due scompartimenti Legno dipinto e ferro/ 42ca x 60 x 30 cm. max/ Inv. 1409 Gabbietta in ferro per volatili, ben conservata, divisa in due scomparti sormontati da cupole al cui vertice è un tondino terminante a punta arrotondata, dipinto di rosso. L’armatura in legno è colorata di verde (tranne la struttura delle cupole che è dipinta di marrone). Su un lato lungo e sui due laterali, ulteriori vani, due dei quali occupati da vaschette di ceramica, rimovibili. All’interno della gabbietta, due piccoli recipienti in terracotta, sospesi, fissati agli angoli con fil di ferro. Per ciascun vano, due trespoli posti ad altezze diverse. La gabbietta poggia su sei piedini, tre per ogni lato lungo. Sei ganci a base circolare, tinti di rosso, che richiamano i tondini ai vertici delle due cupole, sono posizionati agli angoli e alla metà dei lati lunghi. Tra le due cupole, superiormente, anello di ferro per il trasporto. Il ferro delle sbarre è piegato in diversi punti a comporre motivi decorativi (ad arco, a volute, a spirale). Manifattura di area locale, sec. XIX Piccolo volatile in legno Legno scolpito/ 7,3x8x9,5 cm/ Inv. 1410 All’interno della gabbietta Inv. 1409, riproduzione in legno scolpito di un uccellino poggiante su un piedistallo circolare, in ottimo stato conservativo. La coda e le ali sono rese con listelli di legno dal profilo ondulato, sovrapposti ed aperti a ventaglio. Manifattura di area locale, sec. XIX Gabbietta per volatili a cupola con alla sommità un gancio Ferro e legno/ 50 x 23 x 35 cm ca/ Inv. 1443 Esemplare di gabbietta dall’aspetto più rustico rispetto al precedente, inv. 1409. Si compone di un unico vano a base rettangolare, quasi quadrata, su cui si innesta una cupola a base ottagonale. Sulle due facce laterali si aprono due piccoli scomparti sovrastati da stanghette piegate ad arco; al loro interno, vaschette di legno munite di coperchio sul quale sono aperti due fori circolari, destinate verosimilmente a contenere il mangime. Sui restanti lati, finestrelle sbarrate con due assicelle di legno inchiodate allo scheletro ligneo della gabbietta. All’interno, in corrispondenza di uno degli angoli, è fissato un anello in ferro, forse una staffa per il sostegno di un contenitore d’acqua. Alla sommità della cupola, gancio in ferro per il trasporto. Manifattura di area locale, sec. XIX Gabbietta a forma di capanna dipinta in verde e rosso Ferro e legno/ 32,5 ca x 42 ca x 24 cm./ Inv. 1444 Gabbietta in buono stato conservativo che si distingue dalle precedenti (inv. 14091443) perché non provvista di cupola ma coperta da tetto a capanna. La struttura è in legno, dipinto di marrone scuro in corrispondenza del tetto e di verde alla base. Sui lati corti si aprono due piccoli vani, uno apribile dall’esterno attraverso uno “sportello” verticale, l’altro sigillato. Alla base, sotto la griglia metallica, una lamiera estraibile per la raccolta degli escrementi. All’interno, contenitore circolare di vetro per l’acqua e vaschetta lignea rettangolare per il mangime. Al centro, appeso internamente al tetto con fil di ferro, un piccolo dondolo. Ferriperlapesca.Fiocine Manifattura di area locale, sec. XVI-XIX Fiocine Ferro/ 28,5 cm. ca lungh./ Inv. 1529 Ferro/ 22 cm. lungh./ Inv. 1530 Ferro/ 21 cm. lungh./ Inv. 1531 Ferro/ 17,5 cm. lungh./ Inv. 1532 Fiocine a più denti di ferro con l’estremità inferiore aperta per consentire l’inserimento di un manico di legno. I denti possono essere più o meno lunghi ed appuntiti e concludersi con punte ad arpione. Questo strumento, che nelle forme ricorda una forca, è prevalentemente usato per la pesca dei mesi invernali, periodo dell’anno in cui si pratica anche la pesca a braccio, alla quale si dedicano anche le donne. Le pescatrici, a partire dal mese di ottobre si recano nei fondali bassi della laguna e qui, immerse fino alla cintola, pescano il pesce direttamente con le mani. La pesca con la fiocina è invece esclusivamente maschile: entrato in acqua con la protezione di alti stivali, un tempo di cuoio ora di gomma, il pescatore trattiene il bastone con due mani in modo da avere le punte metalliche rivolte verso il basso, e scaglia la fiocina a infilzare i pesci, polpi ecc. che si muovono nelle basse acque delle secche. Solitamente a nove denti, il fiocinino ne ha cinque. Bibliografia: Maran…19??. Maran, Società Filologica Friulana, Udine?; CICERI 1976. L. Ciceri (a cura di), Storia del ferro battuto in Friuli dal 1500 al 1800, Udine. P. Scheuermeier, Il lavoro dei contadini , foto 486, vol II; tesi di laurea: Manuela Gargioli, Aspetti di vita marinara a Marano Lagunare, rel. G. Francescano, Università degli studi di Trieste, facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 1979-80. Utensiliinbronzo Schede a cura di Antonella Ortogalli MORTAIO Sec. XIX/ Bronzo/ 9x11,3cm.Ø bocca/ Inv. 983 Mortaio con pestello Sec. XIX/ Bronzo dorato/ 7,8x11cm.Ø bocca; 21,5cm. (lunghezza pestello)/ Inv. 1009 Mortaio 1825/ Bronzo/ 14,3x13,6cm.Ø bocca/ Inv. 1176 Mortaio con pestello Fine sec. XIX/ Bronzo dorato/13x15cm.Ø bocca; 23cm. (lunghezza pestello)/ Inv. 1490 Bibliografia GORTANI 1965, p. 81 Il mortaio è un utensile di uso domestico costituito da una coppa realizzata in materiale resistente, prevalentemente bronzo, corredato dal pestello per la frantumazione del sale grosso o di piccoli quantitativi di cereali e per lo sminuzzamento di erbe aromatiche o medicinali. La collezione Ciceri ne conserva quattro esemplari ottocenteschi: i n. 1009 e 1490 sono completi di pestello. Il primo, in bronzo dorato, è caratterizzato da pestello ad un’unica testa con nodo centrale e impugnatura con terminazione sferica. E’ abbinato ad un mortaio di forma cilindrica piuttosto tozza con bordi espansi alla base e all’imboccatura, che gli conferiscono una forma a rocchetto. Il secondo ha foggia troncoconica con orlo slabbrato e due maniglie a pomello, inserite in punti diametralmente opposti della fascia centrale satinata. Presenta un pestello a doppia testa con nodo centrale. Vi si legge il numero 8 inciso. Il n. 983 è, di tutti, il più semplice con la sua forma troncoconica, base lievemente a calotta e due maniglie sporgenti ed ora spezzate. Di grande interesse risulta invece il mortaio n. 1176 perché gli elementi decorativi che lo contraddistinguono si ricollegano alla produzione carnica ottocentesca dei bronzini. La coppa, modanata alla base e con orlo everso all’imboccatura, presenta una fascia centrale dove si susseguono sei foglie di salvia suddivise in due gruppi dalle maniglie squadrate. Al di sopra di tale fascia si legge la seguente iscrizione: A. 1825 AC, mentre sull’altra faccia dell’oggetto è visibile la sigla G. S. F. Si tratta dell’anno d’esecuzione e delle iniziali del committente. Michele Gortani, seguendo l’evoluzione formale dei bronzini fra Sette e Ottocento, scrive che nel XIX secolo era d’uso “inserire nella parte rigonfia del recipiente le iniziali del committente e la data di fabbricazione, cui si aggiungeva talora come ornato un paio di foglie di salvia” (M. GORTANI 1965, p. 81). Evidentemente gli artigiani estesero queste caratteristiche ornamentali anche agli altri oggetti bronzei da loro fabbricati. Lo stato di conservazione dei manufatti è generalmente buono. Si può definire ottimo nel caso del mortaio n. 1176, mentre è solo discreto nel caso del 983 intaccato da ossidazioni sulle superfici percorse anche da vistosi graffi dovuti all’uso, cui si aggiungono le due maniglie non integre. Manifattura carnica (Pesariis ?), 1749 Bronzino (bronzìn) Bronzo e ferro/ 25x18,2cm.Ø bocca/ Inv. 1058 Manifattura carnica (Pesariis?), 1783 Bronzino (bronzìn) Bronzo e ferro/ 19,5x14,5cm.Ø bocca/ Inv. 1060 Bibliografia: CICERI 1980, pp. X95, 105; NICOLOSO CICERI 1992, p. 54. Manifattura carnica (Pesariis ?), 1812 Bronzino (bronzìn) Bronzo e ferro/ 19,3x14cm.Ø bocca/ Inv. 1061 Manifattura carnica (Pesariis ?), 1870 Bronzino (bronzìn) Bronzo e ferro/ 20x14,5cm.Ø bocca/ Inv. 1059 Manifattura carnica (Pesariis ?), sec. XIX Bronzino (bronzìn) Bronzo e ferro/ 21x16,2cm.Ø bocca/ Inv. 1056 Manifattura carnica (Pesariis ?), sec. XIX Bronzino (bronzìn) Bronzo e ferro/ 21,7x16,5cm.Ø bocca/ Inv. 1057 Le pentole panciute sostenute da tre piedi, chiamate bronzini in riferimento al materiale di cui si compongono, mostrano una caratterizzazione formale adatta al focolare aperto (fogolâr). La diffusione delle moderne cucine economiche (spolèr) ne decretò la scomparsa e con essa, inevitabilmente anche la scomparsa degli abili artigiani che con mezzi poveri e rudimentali erano in grado di forgiare pentole di indubbio valore artistico, oggi ricercatissime da antiquari e collezionisti. La Val Pesarina, e in particolare Pesariis di Prato Carnico, fu il fulcro della produzione di bronzini. Se ne attesta la presenza anche in tutte le altre valli del territorio friulano oltre che in quelle dolomitiche e austriache, ma mai tali oggetti raggiunsero la perizia nella fusione del metallo e la grazia negli elementi di decoro dei bronzini di Pesariis, dove, fino all’inizio degli anni cinquanta del Novecento, molti studiosi friulani ricordano di aver incontrato l’ultimo custode dei segreti di quest’arte (M. GORTANI 1925, pp. 136-139; A. CICERI – L. CICERI 1948, pp. 52-53; BERGAMINI 1994, p. 17). Gli strumenti da lavoro dei bronzinari, spesso tramandati di padre in figlio, erano una cassa per fare gli stampi, stampi d’argilla grossolana mescolata a frantumi di roccia e sterco di cavallo, le tavole per tornirli, i crogioli di graffite. Non esisteva cucina che non esibisse serie ordinate di tali pentole appese sotto il secchiaio di pietra in un rigoroso ordine di grandezza: da quelli più piccoli della capacità di circa mezzo litro a quelli più grandi che potevano contenere fino a dodici litri, orgoglio delle famiglie più agiate. Durante la Grande Guerra alcuni esemplari di queste suppellettili domestiche riuscirono a salvarsi dalla fusione, che già aveva sottratto ai campanili la voce festante delle campane, per essere state nascoste sotto terra dai loro legittimi proprietari. La collezione Ciceri ne conserva ben sei accomunati dalla linea tondeggiante del corpo impostato su snelli piedini e dalle due anse piegate a gomito e inserite poco sotto l’orlo slabbrato per trattenere il manico mobile ad arco, realizzato in ferro battuto. Se i n. 1056 e 1057 rappresentano le forme più comuni e semplici con le superfici lisce e lucenti e i piedi dritti e percorsi da scanalature, gli altri manufatti, invece, sono di grande interesse per gli interventi decorativi e le iscrizioni che presentano. Appartengono al XVIII secolo i n. 1058 e 1060: il primo reca la data 1749 entro un riquadro frontale dominato dalla presenza di un cristogramma inserito fra due portapalme; il secondo è datato 1783 ed è contrassegnato da un monogramma di Cristo intorno al quale si ripetono tre G e due fiori entro una sagoma rettangolare a rilievo. In entrambi i casi i piedini dritti sono abbelliti da decori vegetali e scanalature verticali. Ottocenteschi, invece, sono gli esemplari contrassegnati dai n. 1061 e 1059. Differiscono dai modelli appartenenti al secolo precedente per la caratteristica dei piedi arcuati, tipica del XIX secolo, e per la presenza delle iniziali del committente. Il n. 1061 è datato 1812 entro una fascia dove si leggono anche le lettere PMSFF. Al di sopra un cerchio centrale contiene il cristogramma ed è posto fra altre due forme circolari con stilizzazioni floreali all’interno. Infine, il n. 1059 ci informa sull’anno d’esecuzione, il 1870, e sulle iniziali del committente (L. F.) poste in linea con la data. I sei bronzini si conservano piuttosto bene: su alcuni i segni del tempo sono più evidenti e si manifestano con saldature, crepe, superfici abrase, sbeccature lungo il bordo e piedini non più originali, ma sostituiti. Manifattura carnica, sec. XIX-XX Piccola caldaia di bronzo o laveggio (lavèz) Bronzo e ferro/ 10,2x10cm.Ø bocca/ Inv. 1000 Appartiene sempre alla tipologia dei laveggi questa piccola caldaia di bronzo con corpo troncoconico dalla bocca leggermente maggiore rispetto alla base, impostata su tre piedini snelli, le cui dimensioni sono quasi pari all’altezza del corpo stesso. Due piccole espansioni ad orecchie interrompono il bordo dritto della bocca e trattengono l’arco mobile che costituisce il manico smaltato. Il manufatto risulta in buono stato senza manifestare particolari compromissioni e conservandosi integro in tutte le sue parti. Viste le minute dimensioni si può ipotizzare un uso limitato alla preparazione di caffè o all’ebollizione di piccoli quantitativi d’acqua. Manifattura carnica, seconda metà sec. XIX inizi XX Caldaia di bronzo o laveggio (lavèz) Bronzo e lega di bronzo smaltata/ 27x36,5cm.Ø bocca/ Inv. 1494 Il tozzo laveggio a forma di secchia tripodata si diffuse solo a partire dalla seconda metà del XIX secolo accompagnando i più comuni bronzini nel corredo delle cucine carniche. Anzi, spesso, questa tipologia di pentole si otteneva proprio dalla fusione dei rottami dei bronzini stessi. Il termine con cui si identificano deriva loro dal nome della pietra dalla quale in origine si ricavavano tali caldaie: il laveggio o lavezzo che aveva lo svantaggio di essere piuttosto fragile, tanto da necessitare di un rinforzo in ferro nella parte inferiore a contatto col fuoco. A quanto pare, però, questo materiale consentiva una conservazione dei sapori e del calore degli alimenti che nessun metallo è riuscito ad eguagliare. La diffusione dei lavaggi di pietra si concentrava nell’Italia settentrionale e i principali luoghi di produzione erano, come scrive Scheuermeier, la val Tellina, la val Maggia e l’Ossola (SCHEUERMEIER 1983, p. 21). Visti i limiti del materiale lapideo ben presto queste pentole furono costruite in bronzo mantenendo la forma originale che consentiva di cucinare brodo di carne, polenta o un ottimo caffè a seconda delle dimensioni e della capacità di questi paioli. Il laveggio in esame presenta la caratteristica forma troncoconica con diametro di base inferiore a quello della bocca, le cui dimensioni superano l’altezza complessiva. Le pareti lisce si dilatano lungo il bordo in due orecchie (vorèles) diametralmente opposte dove è inserito il manico semicircolare di ferro battuto (cempli). Il corpo della pentola poggia su tre bassi piedini. Lo stato di conservazione è buono: il lungo uso del laveggio è testimoniato dal generale annerimento delle superfici dovuto al contatto diretto con il fuoco del focolare aperto. Manifattura carnica, sec. XIX-XX Piccola padella di bronzo tripodata (antiàn) Bronzo e ferro/ 5,9x6cm.Ø bocca/ Inv. 999 Bibliografia: A. CICERI – P. RIZZOLATTI 1991, p. 167. La diffusione delle padelle si attesta in generale in tutta la penisola: vengono realizzate in terracotta al sud e soprattutto in ferro o rame stagnato al nord. Le dimensioni variano e molte cucine possedevano serie complete di varie misure. Venivano usate per friggere in olio e burro la carne, le uova o le verdure. L’oggetto della nostra collezione è un piccolo tegame dalle pareti basse e con diametro di fondo e della bocca di uguali dimensioni. Si imposta su tre bassi piedini per essere poggiato su focolare ed è completato da un manico di ferro ripiegato a metà su se stesso e terminante con una forma a testa di serpente. Lo stato conservativo risulta buono. Le piccole dimensioni fanno intuire un uso legato allo scioglimento del burro o di altri grassi solidi da usarsi poi come condimento sopra i cibi. L’oggetto è stato pubblicato con il nome di antiàn o lantian da Andreina Ciceri, che precisa come questo fosse il termine usato in val Pesarina per indicare una pentola “simile al lavéc, ma molto più basso di bordo” sia esso di metallo o di terracotta (A. CICERI – P. RIZZOLATTI 1991, pp. 159, 167). Manifattura veneta (?), 1749 Alare da camino Bronzo dorato e ferro/ 38,2x28x28,6 cm./ Inv. 1489 L’alare è costituito da un arco di ferro battuto, il montante, che sostiene una parte frontale. Quest’ultima si sviluppa in altezza seguendo una sagoma vagamente piramidale: si imposta su due piedini dai quali si dipartono motivi a volute e fogliami che convogliano nel decoro a lira apicale, dove trova sede una graziosa testina cherubica. Lo spiccato gusto settecentesco del fraseggio ornamentale realizzato in bronzo dorato trova conferma nella data incisa su uno dei due piedini, che reca l’anno 1749, accompagnato dalle iniziali del committente leggibili sull’altro piede: S. M. A. Lo stato conservativo è discreto: la parte terminale con testina di cherubino e il piedino sinistro risultano spezzati e ricongiunti al resto in maniera rudimentale mediante fascette di ferro inserite nella parte posteriore che, per altro, è largamente compromessa da ossidazioni e muffe. L’oggetto in esame è sicuramente l’elemento superstite di una coppia di alari mobili a tre piedi con un solo montante che venivano collocati parallelamente sul piano del fuoco. Alla luce dei caratteri formali e stilistici della decorazione si esclude il suo utilizzo nell’ambito della cucina, dove tali manufatti sono improntati ad un senso molto pratico escludendo spesso interventi di decoro o attenzioni di tipo estetico. L’alare della collezione Ciceri risulta, dunque, un tipico accessorio da caminetto a muro presente in un ambiente di rappresentanza di un palazzo signorile. Suppellettiliinottone Schede a cura di Antonella Ortogalli Manifattura locale, fine sec. XVIII inizi XIX Scaldamani (s’cjaldìn) Ottone balzato, inciso, e dipinto/ 18x16,5Øboccax14,2cm.Øpiede/ Inv. 982 Scaldamani dalla caratteristica forma a vaso con alto piede troncoconico e coppa panciuta. Il piede, in lamina d’ottone, ha orlo arrotolato e superfici sbalzate con stilizzazioni di motivi floreali e forme geometriche. Il corpo mostra per trequarti della sua altezza il lucido metallo senza indulgere in decorazioni, che, invece, si concentrano nella fascia superiore o bordo dell’imboccatura, percorso da disegni floreali. La grata di copertura che lo completa presenta un raffinato intaglio riproducente, entro una sagoma a stella, altri motivi vegetali. Il bordo, caratterizzato da fori posti a distanza regolare l’uno dall’altro, testimonia dell’originaria presenza del ragno che serviva ad appoggiate le mani per riscaldarle o a trasportare l’oggetto. Lo stato conservativo è discreto: il punto di congiunzione fra piede e coppa mostra una vistosa spaccatura e lungo l’orlo della grata di copertura la lamina d’ottone risulta spezzata in più parti. Lo scaldamani in esame non è l’unico esemplare presente in collezione, ma rappresenta la variante in ottone dei n. 1097 e 1099 realizzati in rame, alla scheda dei quali si rimanda per un confronto e per un approfondimento riguardo all’uso di tali manufatti. Manifattura ignota, sec. XX Ciotola Ottone sbalzato e inciso/ 5,4x12cm.Øbocca/ Inv. 882 Manifattura ignota, sec. XX Ciotola Ottone sbalzato e inciso/ 5,7x11,8cm.Øbocca/ Inv. 1191 Le due piccole ciotole, di uso ornamentale più che pratico, presentano la caratteristica forma emisferica con base lievemente schiacciata e orlo dell’imboccatura arrotolato. Le superfici incise e sbalzate presentano elementi di decoro esclusivamente sulle pareti esterne. Il manufatto n. 882 si caratterizza per i motivi riproducenti una fitta vegetazione che suggerisce l’ambiente di una rigogliosa foresta con la presenza di due animali, forse un leone e una gazzella fra loro in posizione contrapposta. Sul fondo un grande fiore a cinque petali chiude la decorazione. Il n. 1191 è percorso da un semplice motivo a nido d’ape. La ciotola n. 882 si conserva in maniera ottima e per le caratteristiche decorative potrebbe essere un prodotto di artigianato africano o per lo meno di ispirazione africana. Discreto, invece, lo stato dell’altro oggetto in esame a causa della patina di ossido che ne ha ricoperto le superfici interne. Manifattura ignota, sec. XX Piccola scatola Ottone sbalzato e inciso/ 4,4x12,5x9,7cm.Øbocca/ Inv. 1112 La scatolina, realizzata in lamina d’ottone, ha forma ovale e coperchio incernierato. E’ caratterizzata da basse pareti mosse da motivi vegetali stilizzati e sbalzati che si reiterano in maniera ritmica e continua. Il coperchio è decorato da un cartiglio centrale costituito da volute ed elementi floreali a sbalzo. L’oggetto si conserva discretamente: si segnalano tracce di ceralacca internamente e il distacco dell’orlo del coperchio, che, per altro, non risulta integro, ma privo di una parte della lamina. Si tratta di un manufatto di artigianato modesto del XX secolo riproducente decori di gusto vagamente settecentesco. Suppellettiliinpeltro Schede a cura di Antonella Ortogalli Manifattura ignota, 1613 Piccola scatola a quattro scomparti Peltro/ 4,7x6,2x8,8cm./ Inv. 1027 La scatola si imposta su quattro piedini e ha forma quadrata con orli superiori piegati a squadra su tre lati per far da guide al coperchio scorrevole e completamente estraibile. Quest’ultimo elemento è coronato da pomello forgiato a testina cherubica. Internamente gli spazi sono suddivisi in quattro settori. Lo stato conservativo è discreto con superfici segnate da graffi e ammaccature, che hanno compromesso soprattutto le parti intorno agli spigoli. Sul coperchio, di fronte alla piccola testa di cherubino, si scorgono ancora due marchi entro sagoma mistilinea con un’ancora sormontata da una stella e posta in mezzo a due iniziali purtroppo illeggibili. Sulle pareti incisioni a mano libera riportano la data 1613 interrotta a metà da una lettera A e le sigle R.F. e V.N. Fra queste iscrizioni sono visibili anche due punzoni a sole raggiato. Manifattura ignota (area tedesca?), 1744 Portavivande Peltro/ 16,7x13,2cm. Øbocca/ Inv. 1130 Manifattura ignota, sec. XVIII Portavivande Peltro e rame/ 16x19x12,6cm./ Inv. 1174 Il portavivande contrassegnato dal n. 1130 è costituito da due contenitori cilindrici impilabili con manici verticali rispettivamente inseriti a metà altezza. I manici hanno contorno ondulato e feritoia centrale di forma rettangolare. Il coperchio, caratterizzato da bordo liscio che delimita la calotta, presenta tre pomelli sferici posti lungo la circonferenza segnata da incisioni lineari. Il manufatto, che si conserva in ottimo stato, ci restituisce una gran ricchezza di sigle e marchi: il contenitore superiore è segnato dal numero 1, posto fra semplici elementi di decoro, le iniziali .O.R. e la data 1744, interrotta a metà da una corona d’alloro entro cui si leggono le lettere J.W.V.P. L’altro elemento del portavivande mostra gli stessi decori e le stesse iscrizioni salvo la presenza del numero 2 a sostituire l’1 del contenitore gemello. La data d’esecuzione e le sigle relative al committente sono riportate anche al centro del coperchio. All’interno di entrambi i contenitori due punzoni dalle forme a scudo sembrerebbero rimandare all’intricato sistema degli emblemi di città e di corporazione tipici della manifattura di area tedesca se non fosse che in questa zona vigeva l’obbligo della triplice punzonatura. L’altro portavivande della collezione Ciceri (inv. 1174) presenta quattro vaschette di forma ovale caratterizzate da basse pareti decorate e incise con stilizzazioni floreali entro intrecci di nastri che si reiterano identici. I contenitori, impilabili fra loro, sono dotati di coperchio dalla forma vagamente a pagoda con manico ad arco, inserito entro due orecchie sporgenti al centro. Il portavivande ha un sistema di sicurezza costituito da due fascette metalliche sagomate ad elle che, agganciate alla coppia di asole poste alla base e ai due spuntoni che fuoriescono dal coperchio, consente di garantirne la chiusura. Buono lo stato di conservazione con tracce localizzate di ossidazione. L’oggetto risulta privo di punzoni, ma spicca per l’indubbia perizia formale e per gli interventi di decoro di gusto settecentesco che ne determinano il pregio, distinguendolo dal portavivande n. 1130, esemplare di una cultura più modesta e attenta all’essenziale praticità del prodotto. Manifattura di area tedesca, 1758-1760 Borraccia Peltro/ 15,8x7,2cm./ Inv. 1131 Manifattura di area tedesca, 1868 Borraccia Peltro/ 21x9,3cm./ Inv. 1132 Manifattura di area tedesca, sec. XVIII-XIX Borraccia Peltro/ 21,5x10x7,2cm./ Inv. 1133 Le tre borracce hanno base a sezione poligonale (esagonale per quanto riguarda i n. 1131 e 1132), pareti lisce e tappo a vite con anello apicale che trattiene la maniglia mobile, generalmente di forma ovale irregolare con fitti dentelli di decoro nel caso del n. 1132. Buono è il loro stato di conservazione nonostante il passare del tempo sia ampiamente testimoniato dalle superfici abrase, segnate da scalfitture e qualche saldatura. La borraccia n. 1131 reca sulle pareti la data 1758, le iniziali VS entro una corona d’alloro, la sigla AMM posta al vertice di una struttura piramidale costituita da brevi tratteggi, elemento ripetuto più volte sul fondo del contenitore, dove si legge anche la data 1860, le sigle VS, SNS e SH in un assoluto disordine, forse segno dei passaggi di proprietà dell’oggetto. Internamente un decoro floreale inscritto in un cerchio occupa completamente il fondo. Il manufatto n. 1132 è contraddistinto da un punzone a scudo con il campo diviso a rombi, forse si tratta del segno distintivo della città di provenienza. Esso si trova sul tappo e non è completamente leggibile. Su una faccia del prisma esagonale che ne costituisce il corpo un’incisione rudimentale riporta la lettera G seguita dall’anno 1868. Infine, la borraccia n. 1133 presenta sul fronte le lettere MS. Questa particolare tipologia di bottiglia, assai diffusa in ambito tedesco fin dal XV secolo, veniva usata dai contadini quando si recavano in campagna per mantenere il più a lungo inalterata la temperatura del vino in essa contenuto. Manifattura di area tedesca, sec. XVIII Ciotola con manici Peltro/ 4x14,5cm. Øbocca/ Inv. 1125 Ciotola con manici e coperchio Peltro/ 5x13,7cm. Øbocca/ Inv. 1175 Entrambe le ciotole hanno corpo a coppa con manici orizzontali. Solo nel caso del n. 1175 l’oggetto è completato da un coperchio a calotta coronato da pomello a foggia di gallo e decorato a motivi floreali interrotti da una corona, da una sigla dagli intricati grafismi che intrecciano lettere in elegante corsivo, da un medaglione con il busto di profilo di una figura maschile in assetto cesareo con corona d’alloro in testa e da un altro medaglione, che fronteggia il precedente, con profilo femminile dal lungo collo stretto da fili di perle. All’interno della ciotola, la parte centrale è delimitata da una zona circolare lievemente convessa che ospita la figura di un cavaliere e una sigla sormontata da corona. La sigla reca al centro la lettera W fra due R, di cui la prima è rovesciata. Le maniglie inserite lungo il bordo hanno forma a ventaglio. La ciotola n. 1125 risulta più modesta da un punto di vista decorativo: spiccano gli importanti manici per l’espansione verticale notevole e il contorno giocato su motivi curvilinei. Su uno di essi si rileva il marchio del peltraio costituito da sagoma ovale contenente nella parte inferiore uno spicchio di luna sormontato da una sorta di incudine a sua volta coronata da tre stelle. Tutt’intorno si legge il nome dell’artigiano: DENIS ARCHIMBAVD. Internamente il fondo è segnato da due cerchi concentrici incisi, entro cui è inscritto un fiore. Buono lo stato conservativo di entrambi gli oggetti. Si segnala il bordo smangiato della ciotola n. 1125 e alcune spaccature oltre a segni di ossidazione nella parte interna del n. 1175. Simili oggetti venivano spesso scelti per essere donati in occasioni particolari come matrimoni. Presso il Kunstgewerbemuseum di Dresda è conservata una tazza da puerpera del 1748 con analoghe caratteristiche strutturali e una ricchezza decorativa concernente il mondo femminile di straordinaria efficacia narrativa (cfr. N. BOSCHIAN 1966, p. 129). Manifattura ignota, sec. XVIII-XIX Piatto con piedini Peltro/ 5,4x23,3cm. Ø/ Inv. 263 Il piatto è sorretto da tre piedini zoomorfi ed è caratterizzato da orlo lievemente rialzato e profilo irregolare. La superficie piana è segnata da cerchi concentrici incisi. Lo stato di conservazione del piatto è buono con una lesione in corrispondenza di un piedino. La tipologia, simile ad un’alzata, fa pensare ad un uso da piatto di portata o da centrotavola. Manifattura veneziana, sec. XVIII-XIX Zuccheriera Peltro/ 5x13,2x10,6cm./ Inv. 1189 La zuccheriera si imposta su quattro piedini zoomorfi ed è costituita da una vaschetta con orlo slabbrato dal contorno mistilineo che determina il gioco ondulato delle superfici. La forma è ovale. Sul fondo è a malapena visibile un punzone, in cui pare di riconoscervi il leone in moleca della tradizione orafa ed argentiera veneziana. Lo stato di conservazione può essere giudicato discreto: si rileva la mancanza di un piedino, la deformazione di un altro completamente piegato e la presenza di tracce di ossidazione. Manifattura ignota, sec.XVIII-XIX Scatola con coperchio Peltro/ 15x15,3cm. Ø/ Inv. 1491 La scatola ha forma cilindrica con pareti segnate da incisioni lineari riunite a coppie ed equidistanti dal centro. L’orlo superiore è lievemente sporgente e richiama la sporgenza del fondo. Il contenitore è completato dal coperchio di foggia semplice con pomello a sfera posto al centro di un susseguirsi di cerchi concentrici incisi. Lo stato conservativo è buono: lungo il bordo del coperchio appare evidente una saldatura, mentre le pareti presentano le consuete ammaccature e le superfici graffiate, segno del lungo uso cui il manufatto fu sottoposto. Il materiale conferisce un notevole peso all’oggetto che appartiene alla dotazione domestica di un ambiente modesto. Manifattura ignota, sec. XIX Zuppiera Peltro/ 19x23cm. Øbocca/ Inv. 970 Su piede di forma troncoconica, completamente ricoperto da decori incisi a fogliame, si imposta il corpo della zuppiera. Esso presenta nella parte inferiore arrotondata un susseguirsi di bugne lavorate a sbalzo che introducono alle pareti, delimitate da bordi a corda in rilievo e percorse da fasce decorative con tralci di piante e motivi geometrici. I manici verticali hanno forma di ventaglio. Il coperchio è caratterizzato da cerchi concentrici che conferiscono un’ordinata suddivisione degli elementi ornamentali incisi. Essi riprendono quelli presenti sul corpo della zuppiera e fanno da corona al pomello lavorato a spicchi. Sotto la pancia del contenitore si leggono le iniziali G.P., incise in maniera rudimentale mediante un tratteggio a zig zag. Internamente, al centro dello spazio di fondo, delimitato da cerchi concentrici, è incisa una figura di sole antropomorfo dai linearismi geometrici molto accentuati. Lo stato di conservazione è ottimo. Manifattura ignota, sec. XIX Piatto Peltro/ 33,5cm. Ø/Inv. 696; 21,5cm. Ø/ Inv. 1126; 22,8cm. Ø/ Inv. 1127 Questi tre piatti appartengono ad una stessa serie come si evince dalle analogie formali e decorative. Sono caratterizzati da orlo definito da motivo a corda e tesa con bacellature. Il primo, quello di dimensioni maggiori, non presenta altri interventi ornamentali eseguiti ad incisiome, mentre gli altri due sono accomunati da un grande fiore centrale. Tale elemento, caratterizzato da linee di contorno nette, è circondato nel caso del piatto n. 1126 da una fitta corona di gigli e nel caso del n. 1127 da una cornice ad intreccio che ingloba forme circolari. Se il piatto n. 696 si conserva in modo ottimo, possiamo definire buono lo stato del n. 1126, dove si rintracciano segni di saldatura, e soltanto discreto è lo stato in cui versa l’ultimo oggetto dal bordo smangiato e dalle diffuse traccie di ossidazione sulla tesa. Sul fondo del piatto più grande (inv. 696) si legge la sigla G.R. L’uso decorativo di simili manufatti fu mantenuto anche dai coniugi Ciceri che esposero tali piatti sulle rastrelliere del mobilio tradizionale friulano come testimoniano molte fotografie della loro casa di Tricesimo. Essi potevano trovare collocazione anche sulla mensola sopra il focolare della cucina. La tipologia decorativa che informa questi piatti ha una tradizione che risale al Rinascimento quando i peltrai copiavano il lavoro degli argentieri inserendo lungo la tesa dei loro manufatti decori robbiani con fiori e frutti a rilievo, unica caratteristica che distingue i piatti in esame da quelli cinquecenteschi conservati in collezione privata a Trieste e pubblicati da Nada Boschian nel 1966 (N. BOSCHIAN 1966, p. 38). Manifattura locale, sec. XIX Piatto con manici Peltro/ 32,5cm. Ø/ Inv. 1123 Copia di piatti con manici Peltro/ a: 29cm. Ø, b: 30cm. Ø/ Inv. 1128a, b Piatto con manici Peltro/ 31,5cm. Ø/ Inv. 1181 Piatto con manici e sottopiatto a cerchio Peltro/ 36cm. Ø/ Inv. 1124 Piatto con manici Peltro/ 32,4cm. Ø/ Inv. 1484 La collezione Ciceri conserva sei grandi piatti con manici che per le comuni caratteristiche strutturali possono essere ritenuti o degli eleganti centrotavola, in particolare quelli con sviluppo verticale delle pareti (inv. 1124, 1181, 1484), o dei piatti da portata utilizzati nelle occasioni importanti, come quelli con la tesa liscia. I manici sono di due tipi: pieni e a forma di ventaglio nel caso dei numeri 1123 e 1181 oppure vuoti e con andamento irregolare in tutti gli altri casi. Solo il piatto inventariato con il n. 1484, dalla forma molto simile ad un bacile, è dotato di maniglie mobili trattenute da anelli saldati lungo la circonferenza. Va segnalata inoltre la presenza, in abbinamento al manufatto n. 1124, di un piede di sostegno mobile da porre sotto il piatto con l’intento di conferirgli un aspetto da alzata classica. Sul bordo esterno di questo piatto sono incise le iniziali V.T. Anche gli altri oggetti sono contrassegnati da sigle e punzoni: il n. 1123 reca la sigla M.C. sul verso, mentre sul bordo si legge la lettera F.; il n. 1181 presenta la sigla G.F. sul fondo; il n. 1484 mostra un punzone a sagoma circolare illeggibile. Si può definire ottimo lo stato conservativo del piatto n. 1124, buono quello della coppia 1128a e b rilevando solo una crepa lungo la tesa in corrispondenza di una maniglia del secondo, e discreto in tutti gli altri casi per la presenza di scalfitture, superfici assottigliate e consunte, zone diffuse di ossidazione e bordi spesso smangiati. Manifattura locale, sec. XIX-XX Cucchiaio Peltro/ 35,5cm./ Inv. 1205 Tre cucchiai Peltro/ da 18 a 21,3cm./ Inv. 1535a, b, c Fra i quattro cucchiai di forma comune si distingue il n. 1205 sia per le notevoli dimensioni, che lo rendono adatto a servire in tavola alimenti di una certa consistenza come potrebbe essere il riso, sia per i decori a zig zag lungo il manico, dove si leggono le sigle G.D.G. (presente anche sul cucchiaio n. 1535c) e B.V.B., sigle entrambe punzonate. Sono presenti motivi di decoro lineari e puntiformi anche sul retro del manico del cucchiaio n. 1535b. Risulta buono lo stato conservativo di tutti gli oggetti con piccole scalfitture e graffi sulle superfici di manico e paletta. Manifattura locale, sec. XIX-XX Portatovagliolo Peltro/ 3,8x5,5cm. Ø/ Inv. 1354 Il portatovagliolo in esame ha forma di rocchetto con strozzatura accentuata lungo la fascia centrale, interessata da incisioni a motivi geometrici costituiti da giochi di linee ondulate. Lo stato di conservazione è ottimo. Manifattura locale, prima metà sec. XX Stampo doppio per dolce Peltro/ 3,5x7,5cm. Ø/ Inv. 1149; 4,5x7,5cm. Ø/ Inv. 1150; 3x7,5cm. Ø/ Inv. 1151; 3x7,5cm. Ø/ Inv. 1152; 8,5x10cm./ Inv. 1153; 8,5x10cm./ Inv. 1154 Gli stampi doppi a cerniera, tipici dell’alta cucina nella prima fase della loro diffusione, furono adottati in ambito domestico per la realizzazione di dolci con decorazioni su entrambi i lati. I dolci potevano essere di pasta frolla, di pasta sfoglia o poteva trattarsi della cotognata o persegada, a base di mele cotogne e zucchero, cui si fa riferimento in un lacerto di foglio scritto a mano e rinvenuto entro lo stampo n. 1153. I quattro stampi inventariati dal n. 1149 al n. 1152 appartengono ad un'unica serie. Sono costituiti da due parti cilindriche incernierate fra loro. Internamente, i due dischi che li compongono mostrano elementi di decoro realizzati a stampo. Uno dei due dischi è identico in tutti gli stampi e presenta una sorta di ruota raggiata mentre l’altro varia in ciascuno: il n. 1149 è caratterizzato da un girasole, il n. 1150 da un grappolo d’uva, il n. 1151 da linearismi geometrici convergenti al centro e il n. 1152 da una pera. E’ uno stampo doppio a forma di agnello il n. 1153, mentre il successivo ha forma di grappolo d’uva. Entrambi sono contrassegnati da una sigla: E.E.. Due piccole sporgenze lungo i bordi di ciascuna metà degli stampi costituiscono le leve per facilitarne l’apertura. Lo stato conservativo di tutti gli oggetti è generalmente ottimo. I segni dell’uso si limitano a piccole deformazioni, forse indotte dal calore del forno per la cottura dei dolci, graffiature sulle superfici e, in alcuni casi, lievi sconnessioni delle cerniere. Suppellettiliinrame Schede a cura di Antonella Ortogalli Manifattura locale, sec. XIX Catino Rame/ 9,5x30,5cm.Øbocca/Inv. 876 Tradizionale catino la cui funzionalità domestica è sottolineata dall’assoluta essenzialità formale e dalla totale mancanza di interventi decorativi sulle superfici. La forma vagamente tronco-conica presenta base circolare più stretta rispetto alla circonferenza della bocca, circonferenza delineata da bordo everso ed arrotolato su se stesso. In un punto della circonferenza, al di sotto del bordo, è inserita mediante ribattino una sottile lamina a nastro ora spezzata, ma in origine supporto per trattenere un gancio che consentiva di appendere il manufatto. Lo stato di conservazione dell’oggetto testimonia visibilmente il lungo uso dello stesso: le superfici sono consunte e abrase, numerose sono le ammaccature e tracce di verderame si riscontrano sul fondo. Le dimensioni contenute del catino ce lo fanno riconoscere come bacinella molto diffusa nelle abitazioni fino alla prima metà del Novecento principalmente con la funzione di lavamani. Per l’uso pratico che se ne faceva, il manufatto risulta una dotazione domestica indispensabile costituendo così uno dei più frequenti doni nuziali. Manifattura locale, sec. XIX Secchio da pozzo (cjaldîr) Rame stagnato internamente e ferro/ 20x21cm.Øbocca/Inv. 877 Fra gli oggetti più diffusi non solo nella nostra regione, ma in tutta l’Italia settentrionale, si annoverano i secchi di rame che servivano per il trasporto dell’acqua dai pozzi o dalle fontane pubbliche della piazza paesana all’abitazione, dove la loro funzione diveniva quella di recipienti per la conservazione dell’acqua, riservata ai più svariati scopi domestici. I secchi venivano di norma utilizzati a coppia per bilanciarne il trasporto attraverso l’arco di legno con terminazioni a gancio, il bujnc, portato a spalla. Dai secchi spesso si attingeva direttamente per bere mediante un mestolo a manico lungo realizzato in rame, ma anche in latta o in legno (cop). Nelle case i secchi trovavano collocazione al di sopra dei grandi acquai di pietra (seglârs), appesi a lunghi ferri decorati dotati di ganci (fiârs di seglâr), presenti anche nella collezione Ciceri (inv.1499 e inv.1500). Dovendo far bella mostra di sé nelle cucine le superfici di tali secchi venivano a volte impreziosite da fasce con motivi vegetali o zoomorfi a sbalzo o punzone, frutto di vere abilità artigianali. Il secchio in esame è un contenitore a calotta con sviluppo in altezza di dimensioni quasi pari al diametro della bocca. Il bordo liscio è modellato in un punto della circonferenza a becco per favorire le operazioni di versamento dell’acqua. Un accenno di espansione ad orecchie (voreles) diametralmente opposte introduce alle due asole in ferro ribattute nella parte interna del secchio poco sotto il margine. Le asole trattengono un manico movibile ad arco anch’esso di ferro battuto (cempli). L’arco è completato da anello apicale, utile per facilitare il trasporto del secchio mediante il bujnc (cfr. inv.1808). L’unica concessione all’ornato si riscontra nelle due file di lievi tratteggi trasversali incise nella parte superiore dell’oggetto. Lo stato di conservazione si giudica discreto per le evidenti crepe delle superfici assottigliate dal lungo uso, per le diffuse chiazze di verderame nelle parti interne e per l’avanzata ossidazione degli elementi in ferro battuto. Tale secchio non ha alcuna pretesa di dignità artistica, a differenza di molti cjaldîrs conservati presso le principali raccolte etnografiche della nostra regione (Museo Friulano delle Arti e Tradizioni popolari di Udine o Gortani di Tolmezzo per citarne solo alcuni), ma rappresenta uno strumento atto a soddisfare esigenze meramente pratiche dell’attività domestica come dimostra l’attenzione riservata unicamente alla funzionalità. Manifattura locale, fine sec. XIX inizi XX Pentolone con coperchio Rame, ottone e ferro/ 48,5(con coperchio, senza 29cm.)x43cm.Ø/Inv. 886 Manifattura locale, fine sec. XIX inizi XX Pentolone con coperchio Rame e ottone/ 51(con coperchio, senza 38,8cm.)x42cm.Ø/Inv. 976 Recipienti di grandi dimensioni, adatti per il trasporto dell’acqua e per la sua conservazione. I due pentoloni di rame con coperchio sono analoghi nelle forme: entrambi si impostano su piede che si restringe in altezza e si salda al corpo della pentola dalla struttura tronco conica con circonferenza delle bocca maggiore rispetto a quella della base. Le pareti lisce sono mosse da due cordoli a sbalzo poco sotto il margine e all’attaccatura del piede. I coperchi conici a balze hanno vertice a cupola con pomelli d’ottone forgiati a vaso. I due manufatti si distinguono per la tipologia dei manici: verticali, squadrati e in ferro battuto quelli del pentolone n. 886, ad orecchie con ampio foro centrale per la tradizionale maniglia ad arco quelli, realizzati in rame, del n. 976. Quest’ultimo manufatto, inoltre, presenta un decoro a merlatura sbalzata lungo le superfici del piede che poi si ripete con maggior discrezione al di sotto dell’orlo. Internamente presenta anche un fondo lievemente a calotta, rispetto al fondo piatto dell’altra pentola. Questo particolare ci permette di ipotizzare la possibilità che si tratti di un grande paiolo da formaggio riutilizzato, “rivestito” di nuovo rame e, dunque, adattato ad una nuova funzione. Tale ipotesi sarebbe confermata anche dalle condizioni delle superfici interne che appaiono visibilmente consunte, di spessore molto sottile tanto da rompersi facilmente e con vistose crepe già presenti. Forse l’avvento delle cucine economiche (spolèrt) subito dopo la Grande Guerra, cosa che determinò il cambiamento di gran parte della dotazione di pentole e utensili, comportò anche il riassetto di vecchi strumenti domestici: l’alto piede che accomuna entrambi gli oggetti in esame risulta infatti funzionale alle piastre delle nuove cucine e quindi i due pentoloni di rame furono forse utilizzati per riscaldare grandi quantità d’acqua. In generale lo stato di conservazione risulta buono. Si segnala la condizione non stabile del pesante pomello da coperchio del n. 886. Manifattura locale, seconda metà sec. XIX Coperchio con manico (covertòrie) Rame battuto, modellato e inciso/ 13cm.Ø; 19,4cm. con manico/Inv. 985a Rame battuto, modellato e inciso, ferro/ 12cm.Ø; 19cm. con manico/Inv. 985b Rame battuto, modellato e inciso, ferro/ 10,6cm.Ø; 17,1cm. con manico/Inv. 985c Rame battuto, modellato e inciso/ 13,8cm.Ø; 20,2cm. con manico/Inv. 985d Rame battuto, modellato e inciso, ottone/ 18,6cm.Ø; 22,8cm. con manico/Inv. 985e Rame battuto, modellato e inciso/18,8cm.Ø; 25,8cm. con manico/Inv. 985f I manufatti rappresentano la più comune tipologia di coperchio in rame a forma circolare con manico fissato al centro mediante un perno che lo rende orientabile. La parte terminale dei manici è forgiata ad asola per poter appendere i coperchi sulla piattaia o sul focolare. Tutti gli esemplari della collezione presentano analoghe caratteristiche formali salvo varianti nell’uso dei materiali che compongono il manico stesso: eseguito in rame nella maggior parte dei casi (985a, d, f), in ferro battuto (985b, c) e in ottone in un unico caso (985e). La calotta lievemente sbalzata, che costituisce il coperchio, è rifinita da bordo liscio in modo da consentire un’adeguata adesione alla circonferenza delle pentole. Le superfici sono ingentilite da decori a punzone disposti secondo cerchi concentrici. I motivi attingono a repertori semplici di disegni geometrici o di stilizzazioni floreali che si ripetono anche lungo il manico, fatta eccezione di quelli realizzati in ferro, entrambi privi di decorazioni. Gli unici coperchi che appartengono ad una stessa serie sono proprio quelli contraddistinti dal manico di ferro: gli oggetti contrassegnati dalle lettere b e c sono realizzati con lamina di rame molto sottile tanto da risultare i più compromessi dal trascorrere del tempo con sbeccature lungo i bordi e vistose crepe sulle superfici percorse da incisioni ad archetti. Tutti gli altri coperchi si conservano in buono stato e risultano integri in ogni loro parte. Manifattura locale, fine sec. XIX – inizi XX Coperchio (covertòrie) Rame battuto, modellato e inciso/18cm.Ø/Inv. 986 Il coperchio, realizzato in rame con rivestimento di stagno nella parte interna, presenta bordo ondulato e decori geometrici incisi con motivi cuneiformi nella parte più esterna della superfici e piccoli cerchi reiterati con una certa regolarità nella parte più interna, lasciando completamente liscia la calotta centrale che ospita un vezzoso pomello a bocciolo quadripetalo. Si registra un discreto stato conservativo compromesso da localizzate tracce di ossidazione e da alcune sbeccature lungo il bordo. Manifattura locale, inizi XX Stampino per dolci a forma di stella Rame battuto, modellato e inciso/12x13,5cm./Inv. 987 Stampino modellato a stella a cinque punte con occhiello saldato su una delle punte e piccolo foro al centro. Più che per un utilizzo vero e proprio nell’ambito della preparazione di dolci il manufatto pare avere una funzione decorativa. Manifattura locale, sec. XIX Coppia di stampini per dolci Rame battuto, modellato e stagnato internamente/ 3,6x6,5cm.Ø/Inv. 988a,b Stampino per dolci Rame battuto, modellato e stagnato internamente/ 2x7,8x5,7cm./Inv. 989 Gli stampi di piccole dimensioni, adatti per budini o gelatine da una porzione, ebbero anche funzione decorativa come testimoniano i ganci ad anello saldati lungo il bordo per l’affissione a muro. La coppia contrassegnata dal n. 988 ha forma di cupola con fronte circolare liscio dal quale si dipartono minute e fitte coste che conferiscono al bordo un andamento ondulato. Lo stampino inventariato con il n. 989 invece ha la caratteristica forma a melone con coste lievemente accennate sulla superficie. Buono lo stato di conservazione. Manifattura locale, fine sec. XIX – inizi XX Stampo per dolce Rame battuto, modellato e stagnato internamente/11x16,9cm.Ø; 12x17cm.Ø; 13,5x20cm.Ø; 11x18,5cm.Ø; 8x20,5x19,2cm; 12x23cm.Ø/Inv. 990a, 990b, 990c, 990d, 990e, 990f La serie di sei stampi presenta una vasta gamma di forme a testimonianza di come l’artigianato del rame si sbizzarrisse in questa particolare tipologia di prodotto. Si riscontrano elementi decorativi già presenti in simili manufatti nei secoli precedenti, ma la novità può essere rappresentata dalla presenza in tutti gli stampi di un gancio lungo il bordo della bocca che testimonia come tali oggetti facessero poi bella mostra di sé sulle pareti della cucina a riprova di come il rame costituisse un metallo di pregio da mostrare agli ospiti. Gli stampi venivano utilizzati per dar forma a budini e gelatine di frutta sia in ambito domestico che nelle pasticcerie. Il secolo XIX ce ne ha restituiti un gran numero con un’incredibile ricchezza di varietà formali. Gli stampi della collezione Ciceri presentano un bordino everso ed arrotolato su se stesso (all’interno di norma veniva inserito un sottile anello di ferro per garantire stabilità) che introduce ad una fascia sgombra da elementi di decoro presente nella maggior parte degli esemplari in esame, fatta eccezione del 990c dove si susseguono motivi a triangoli sbalzati. Solo il 990e, dalla tipica forma a conchiglia, non presenta tale caratteristica. Le pareti poi sono modellate a corolla con motivi a riccio (990a), a coste (990b,c), a vortice (990d), a spicchi (990f). Quest’ultimo si distingue per la decorazione a stella sul fronte. I sei oggetti, che si conservano in buono stato, sono tutti stagnati internamente. Manifattura locale, sec. XIX Stampo per dolce Rame battuto, modellato e stagnato internamente/ 12x21,7cm.Ø/Inv. 991 La particolarità di questo stampo per dolci dalla comune forma tronco conica con pareti percorse da costolature dall’andamento a spirale è il fronte dove spicca l’immagine sbalzata di un ufficiale raffigurato a mezzo busto in posizione frontale. Il volto è caratterizzato da folti baffi, moschetto e occhi stranamente chiusi. Sulla divisa non mancano le mostrine. Lo stato di conservazione è buono. Numerosi sono gli elementi figurativi che si riscontrano sul fronte degli stampi per dolci in epoca ottocentesca: più tradizionali sono i frutti come il grappolo d’uva, la pera e l’ananas, o gli animali come i pesci, ma non sono infrequenti anche i ritratti o i simboli araldici (cfr. Rame d’arte. Dalla preistoria al XX secolo nelle Alpi centro – orientali, catalogo della mostra di Trento a cura di U. Raffaelli, Trento 1998). Manifattura locale, sec. XIX Stampo per biscotti Rame battuto, modellato e stagnato internamente, ferro/ 7,5x25cm.Ø (senza manici, con 30,5cm.)/Inv. 992 Stampo di forma circolare dotato di semplici manici squadrati e orizzontali realizzati in ferro come i sottili piedini su cui si imposta. Manici e piedini sono ribattuti lungo il basso bordo a squadra. La superficie circolare dello stampo presenta 18 formine interne emisferiche ottenute a sbalzo e funzionali per la realizzazione e la cottura di biscotti. Si conoscono analoghi utensili da cucina con svariate forme, a stella, a conchiglia a cuore e altre, compresenti in uno stesso stampo (cfr. Rame d’arte 1998, p. 283). Lo stato conservativo è discreto a causa delle parti ferrose intaccate da ossidazione e per la mancanza di uno dei tre piedini. Manifattura locale, sec. XIX Cuccuma o bricco per caffè (cògume) Rame battuto, modellato e stagnato internamente/ 22,5x11cm.Øbase, 18,2x8cm.Øbase, 13,2x7,6cm.Øbase, 17,5x9cm.Øbase, 16x7,5cm.Øbase, 9,7x4,6cm.Øbase, 13,2x5,5cm.Øbase, 15,4x9cm.Øbase, 7,1x5cm.Øbase, 12,3x5,5cm.Øbase, 15x7cm.Øbase, 10,4x5,5cm.Øbase, 11,3x4,5cm.Øbase, 11,7x6cm.Øbase, 10,8x5cm.Øbase/ Inv. Dal 1002° al 1002q Con la diffusione ottocentesca della bevanda del caffè e dei suoi surrogati si assiste ad un incremento della domanda di cuccume che entrano nella cucina di ogni casa. Esse hanno forma tradizionale ad anfora con parte inferiore panciuta per aumentare la superficie a contatto con la fiamma e sveltire così i tempi di riscaldamento dell’acqua, beccuccio, coperchio incernierato ed ansa. Di norma non presentavano alcun elemento decorativo (per la costruzione delle cuccume si rimanda a Rame d’Arte…1998, p. 178). Si faceva poco uso del caffè che si doveva acquistare crudo a grani ancora verdi da abbrustolire con il tostino (brustulìn) e macinare con l’apposito macinino (vedi inv. 1100). Più comune era l’orzo o il surrogato di cicoria. Aldo Madotto ci fa sapere che “un tempo, al posto del caffè o del suo surrogato, si adoperavano i semi di uva tostati o pestati in un piccolo mortaio di legno o di pietra, e il granoturco abbrustolito e macinato. Questo dai più poveri, quando la miseria era maggiore” (in Vivere fra le montagne, Udine 1987, p. 87). Il caffè si faceva anche con soia, fave o ghiande ed era il cosiddetto caffè di cjamp per la merenda dei boscaioli, come scrive Andreina Ciceri in Vita Tradizionale in Val Pesarina (Udine 1991, pp. 175, 182). Il caffè o le altre simili bevande venivano assunte più volte nell’arco della giornata anche perchè attenuavano gli stimoli della fame. Era poi gesto di ospitalità, cosa che vige tutt’ora, offrire il caffè a chiunque venisse in visita specialmente se si trattava del parroco, cui era riservata la preziosa scorta di caffè genuino. La collezione conta bel quindici cuccume da caffè di cui soltanto alcune appartengono ad una stessa serie: quelle contrassegnate dal n. d’inventario 1002m e 1002q accomunate dalla stessa struttura con basso piede svasato verso il basso, corpo panciuto segnato dal beccuccio squadrato e ben delimitato da linee incise, coperchio a cupola con pomellino in rame e ansa su cui si notano quattro puntini punzonati. Esemplari sopravvissuti di una stessa serie sono anche i n. 1002d e 1002e che si distinguono per il beccuccio segnato da due profondi solchi che si perdono nel corpo panciuto, per i coperchi accentuatamente emisferici e per le anse con terminazioni a testa di serpente. A tale serie forse appartiene anche la cuccuma 1002n, ma lo stato conservativo fortemente compromesso (presenta ansa spezzata in due punti, beccuccio completamente sformato e coperchio privo di pomello) non permette di stabilirlo con certezza. Per quanto riguarda gli altri manufatti va segnalato il n. 1002a, che si conserva integra in tutte le sue parti, per la pesantezza e la capienza che la rende adatta alle grandi occasioni. La 1002c, invece, è una cuccuma di medie dimensioni ed è caratterizzata da una forma particolare che la differenzia dalle altre. Infatti, essa presenta un corpo con pancia molto espansa delimitata da un gioco di incisioni lineari, al di sopra del quale si sviluppa in maniera particolarmente slanciata verso il margine dove è incernierato il coperchio di forma quasi cilindrica con levetta che permette di sollevarlo. Inoltre, un ansa raffinatissima, che si assottiglia dall’alto verso il basso fin dove un ribattino la salda al corpo del bricco, completa l’oggetto. Va ricordata anche la 1002o per la forma sferica della pancia con la massima circonferenza evidenziata da un cordolo a rilievo. Il coperchio è piuttosto piatto ed è incernierato nel punto dal quale ha origine un ansa sinuosa e molto larga. All’interno l’incisione di due freccette indica i livelli di riempimento per l’acqua. Tutti gli altri esemplari rispondono alle forme più tradizionali e in linea generale possiamo dire che si conservano discretamente con ammaccature che ne testimoniano il lungo uso. Manifattura locale, sec. XIX Cuccuma o bricco per caffè (cògume) Rame battuto, modellato e stagnato internamente/ 37x19,5cm.Øbase/Inv. 1003 Di grande interesse e bellezza formale questo esemplare di grande cuccuma di rame forse faceva parte della dotazione di utensili da cucina di qualche luogo di ristorazione pubblica visto la notevole capienza. L’oggetto presenta un corpo troncoconico con netta strozzatura nella parte superiore riservata al beccuccio ben disegnato da linee di contorno nette e con orlo arrotolato. Il coperchio panciuto è dotato di leva che si salda alla cerniera da dove ha inizio anche l’ansa che si svolge ampia per poi aderire alle superfici del corpo e terminare a testa di serpente. Gli elementi di decoro sono dati dalla stessa battitura del rame che crea raffinati giochi di luce e suggerisce motivi ad intreccio disposti su due fasce parallele nella parte inferiore del prezioso manufatto. Lo stato conservativo è ottimo e la buona qualità del rame si riscontra nella lucentezza dai riflessi dorati. Manifattura locale, fine sec. XVIII inizi XIX Scaldamani (s’cjaldìn) Rame battuto, modellato e inciso, ottone e ferro battuto/ 17,2x19cm.Øbase/Inv. 1097 Manifattura locale, inizi sec. XIX Scaldamani (s’cjaldìn) Rame battuto, modellato e inciso, ottone/ 22x12cm.Øpiede/Inv. 1099 Lo scaldino portatile è definito da Paul Scheuermeier come “mezzo di riscaldamento individuale” che, riempito di braci ardenti fra due strati di cenere, veniva utilizzato soprattutto dalle donne per scaldare le mani o per appoggiarvi sopra i piedi. Lo studioso prosegue precisando che “le donne lo tengono quasi sempre in grembo, in Sicilia anche sotto la gonna” (in Il lavoro dei contadini…1983, p. 78). In Italia centro-meridionale è realizzato prevalentemente in terracotta, mentre al nord si prediligono i metalli: il rame, l’ottone e la lamiera. Le superfici metalliche concedono ampio spazio ad interventi decorativi spesso ispirati a simboli e temi amorosi come i fiori e i cuori visto che tale oggetto era un dono molto diffuso fra fidanzati. I due scaldamani di rame della nostra collezione presentano caratteristiche formali molto diverse: il primo (inv. 1097) è costituito dal contenitore per le braci a forma troncoconica espansa alla base lievemente a calotta. Le pareti sono percorse da una fascia a rameggi e fogliami punzonati fra due bordi a cordoncino. Su tale fascia si impostano anche due borchie d’ottone a forma di stella, una stella ottenuta dall’alternarsi di grappoli d’uva e foglie di vite, con terminazione ad anello, entro cui si inserisce un manico ad arco di forma irregolare. Il coperchio, incernierato al margine superiore del contenitore, è aperto a forma di ragno, realizzato in ottone. Il sistema di chiusura del coperchio è garantito da un gancio in ferro battuto. Il secondo scaldamani (inv. 1099) ha struttura a vaso con piede troncoconico, decorato da motivi lineari e puntiformi sbalzati, su cui si imposta il corpo panciuto ad ampia bocca definita da un orlo dritto mosso da una fitta successione di piccole forme emisferiche. Due piccoli anelli, uniti mediante ribattini al margine superiore dello scaldino, trattengono un manico ad arco sagomato nella parte apicale a cerchio. Il coperchio ad innesto è costituito da una lamina di rame traforata a disegni geometrici e curvilinei, su cui si imposta il ragno d’ottone, fissato con ribattini. In entrambi i casi lo stato di conservazione può dirsi generalmente buono: la copertura a ragno non è giunta integra, ma priva di alcune zampe, chiazze di verderame sono presenti all’interno dello scaldino n. 1097 e sulla grata del coperchio del n. 1099. Il modello a vaso si ripete con varianti stilistiche anche nello scaldino inventariato con il n. 982, presente nella stessa collezione e schedato a parte in quanto costituito da lamina d’ottone. Manifattura locale, sec. XIX Secchiello Rame battuto, modellato, inciso e stagnato internamente, ferro battuto/ 23,5x16,4cm.Øbocca/Inv. 1101 Contenitore per la conservazione dell’acqua dalla forma allungata e vagamente cilindrica con base più stretta rispetto all’imboccatura dall’orlo everso. Poco sotto il margine le superfici sono modellate a doppio cordoncino. Due borchie con anello in ottone sono fissate mediante tre ribattini ciascuna sotto l’orlo in punti diametralmente opposti e trattengono la maniglia ad arco in ferro battuto. In corrispondenza di tali borchie prendono avvio due fasce di rame che percorrono verticalmente l’oggetto lungo la sua altezza. Su di esse si esplica il repertorio decorativo a piccoli fiori stilizzati e punzonati che si riconosce identico anche sotto l’orlo. Il secchiello si conserva in buono stato e in modo integro. Manifattura locale, sec. XIX Secchiello Rame battuto, modellato e stagnato internamente/10,3x7,8cm.Øbocca/Inv. 1102 Con tutta probabilità si tratta di un’acquasantiera portatile da cucina che richiama altri tre esemplari di peltro presenti nella stessa collezione (inv. 1186, inv. 1187, inv. 1190). Piccolo secchiello panciuto con motivi decorativi ad ovuli concavi poco sotto l’orlo dritto e liscio che si espande in due punti diametralmente opposti ad orecchie forate al centro per ospitare la piccola maniglia ad arco realizzata in rame. La maniglia ha sezione quadrata ed è attorcigliata su se stessa. Lo stato conservativo è buono: le pareti interne, probabilmente stagnate in origine, sono oggi completamente ricoperte da una fitta patina prodotta dall’ossidazione. Lo stesso fenomeno ha intaccato anche le superfici esterne in corrispondenza della fascia decorativa ad ovuli. Industria Tremonti, Udine, inizi sec. XX Zuccheriera Rame battuto, modellato e stagnato internamente/12x6,5cm.Øpiede/Inv. 1103 Porta la firma della più nota industria del rame udinese, incisa sotto il piede (TREMONTI UDINE), la piccola zuccheriera dalle forme aggraziate. Su piede troncoconico si imposta la coppa emisferica dalle superfici sbalzate che richiamano il motivo a petali rigonfi del fiore che caratterizza il coperchio a cupolino sormontato da pomello a ghianda. In prossimità dell’orlo della bocca s’innestano mediante ribattini due semplici maniglie ricurve all’ingiù. Il materiale utilizzato e la lavorazione conferiscono all’oggetto un peso notevole. Lo stato conservativo risulta ottimo. La ditta Tremonti fu fondata a Udine nel 1853 da Pasquale Tremonti, cadorino d’origine, che aprì una modesta bottega all’angolo di via del Sale con via Poscolle. Alla sua scomparsa, avvenuta nel 1898, fu la moglie a prendere le redini dell’attività fino all’intervento del figlio Angelo che creò una nuova officina caratterizzata da una nuova impronta imprenditoriale. Numerose furono le commissioni di prestigio e le collaborazioni con architetti ed artisti locali che portarono alla realizzazione di opere sempre ispirate al recupero della tradizione e dell’arte popolare. (G. Bucco, L’antica ditta Tremonti, in Le arti a Udine nel 900, catalogo della mostra a cura di I. Reale, Venezia 2001, pp. 418-419). Industria locale, fine sec. XIX inizi XX Zuppiera con coperchio e vassoio Rame battuto, modellato e stagnato internamente, ottone/zuppiera 22x26,5x17,5cm.; vassoio 34x28cm./Inv. 1104 Vassoio di forma ellissoidale con tesa a due balze, sopra il quale è posta la zuppiera dal corpo panciuto sostenuto da piede. Il servizio è completato da coperchio con bordo liscio che introduce alla calotta centrale dominata da un pomello d’ottone a forma di ghianda. Le superfici dei tre pezzi sono lisce e prive di interventi decorativi. La zuppiera presenta due maniglie ribattute sulle pareti e costituite da tondino di rame a sezione quadrata ripiegate verso il basso. L’oggetto si conserva in buono stato con tracce di ossidazione concentrate unicamente intorno alle maniglie. Manifattura locale, sec. XIX Portaposate (sedonâr) Rame battuto, modellato e inciso, legno/ 20,2x12x10cm./Inv. 1177a Manifattura locale, sec. XIX Piccolo mestolo Rame battuto e modellato, ferro inciso/27,3cm./Inv. 1177b Il portaposate, dotazione tipica della cucina friulana, presenta un cestello costituito da una banda di rame modellata a semicilindro e ribattuta su un fondale di legno intagliato e sagomato nella parte superiore ad orecchio con foro centrale per l’affissione a parete. Il fondo è determinato da una lamina di rame forata per far sgocciolare le posate. Le pareti di rame sono aggraziate da decori floreali e racemi incisi, mentre il bordo inferiore presenta un motivo a semicerchi reiterati e con foro al centro. Assieme al sedonâr è giunto in Museo anche un mestolino di rame con manico in ferro inciso a minuti motivi floreali stilizzati. Il generale stato conservativo è buono: per quanto riguarda il portaposate si registra un principio di distacco della lamina di rame dalla parete di legno, intaccata qua e là dai tarli. Manifattura locale, sec. XIX Tre stampini Rame battuto, modellato e stagnato internamente/4,5x7,5x4cm./Inv. 1199a, b, c Serie di tre stampini di forma ellissoidale con fondo di dimensioni impercettibilmente minori rispetto all’imboccatura e pareti piuttosto alte, tanto da far pensare a contenitori adatti ad impasti liquidi. Le pareti sono lisce in sintonia con l’essenzialità assoluta degli oggetti, conservati in buono stato. Manifattura locale, sec. XIX Coppia di bicchieri Rame battuto, modellato e stagnato internamente/a 5,2x5cm. Ø bocca; b 4,9x4,7cm. Ø bocca/1200a, b Coppia di bicchieri di rame dalle forme semplici e vagamente cilindriche con fondo lievemente inferiore rispetto alla bocca. Poco sotto il margine due fori irregolari testimoniano l’originaria presenza di maniglie per l’impugnatura o di anelli per agganciare gli oggetti alla cintura, uso diffuso fra i contadini durante la lavorazione nei campi. Inoltre, il materiale e le piccole dimensioni possono far pensare a bicchieri adatti a bevande calde come il caffè nelle sue diverse accezioni. Buono lo stato conservativo con solo poche tracce di ossidazione intorno ai fori. Manifattura locale, sec. XIX Coppia di stampini Rame battuto, modellato e stagnato internamente/ a 13,1x7cm.; b 13,5x7,5cm; 7,4cm.Ø bocca./Inv. 1202a, b; 1204a, b Stampino Rame battuto, modellato e stagnato internamente/ 9,5x6cm/Inv. 1203 Gli stampini hanno in comune le medesime caratteristiche strutturali: tutti sono costituiti da una lamina sottile di rame modellata in modo che il fondo risulti più piccolo della bocca dopo uno sviluppo in altezza molto limitato non superando i 2cm. Gli oggetti inventariati con il n. 1202a, b e 1203 hanno forma ellittica, mentre i n. 1204a e b hanno forma circolare. Ciascuno presenta in un punto poco sotto il margine una sottile fettuccia di rame, spezzata nella maggior parte dei casi fatta eccezione dello stampino n.1203, per trattenere l’anellino che li rendeva anche adatti come decori da parete. La coppia 1204a e b ha impressa sul fondo la sigla L.P.M., di norma sigla riferita al committente o comunque a chi riceveva tali oggetti come regalo. Tutti si conservano in buono stato salvo rilevare diffuse ossidazioni concentrate sulle pareti interne stagnate. Manifattura locale, sec. XIX Caldaia (cjaldèrie) Rame battuto, modellato e stagnato internamente, ferro battuto/ 32,5x39cm. Ø bocca/Inv. 1488 La tipologia della caldaia in esame è piuttosto comune e adatta al focolare aperto dove veniva appesa alla catena (cjadenàz) dell’alare di ferro battuto (cjavedâl). Serviva generalmente per farvi bollire l’acqua, ma vi si cuocevano anche la minestra, le verdure e la carne. Nelle cucine friulane la sua diffusione era pari ai paioli per la polenta che si distinguevano per avere il fondo più stretto rispetto la bocca. Nel caso specifico si osserva un fondo tondeggiante raccordato a pareti che vanno restringendosi verso la bocca dal bordo largo, everso e con terminazione arrotondata verso l’interno. Sotto tale bordo sporgente sono presenti, in punti diametralmente opposti, due nastri di rame fissati mediante ribattini e incrociati in modo da formare due occhielli sui quali si innesta il manico mobile ad arco, realizzato in ferro battuto. La particolare fattura del bordo all’imboccatura fa pensare alla possibilità che in origine la pentola fosse dotata di un suo coperchio. Il fondo largo e panciuto offriva al fuoco sottostante una vasta superficie accelerando il processo di ebollizione dell’acqua. L’interno stagnato presenta visibili segni della battitura del rame. Lo stato conservativo è discreto: si rilevano molte ammaccature e il rame risulta particolarmente annerito testimoniando il lungo uso della caldaia stessa. Lattaealluminio Produzione industriale lombarda (Metalgraf, Milano), inizi sec. XX Scatola di biscotti Delser Latta serigrafata/ 5,5x17,5x12,5cm/ Inv. 1043 Iscrizioni: BUSCUITS DELSER – SOCIETA’ IN ACCOMANDITA PER AZIONI MARTIGNACCO (UDINE) METALGRAF MILANO Produzione industriale austriaca, inizi sec. XX Scatola di biscotti Latta serigrafata/10,5x20x9,5cm/Inv. 1345 Iscrizioni: ROMAN UHL NACHFOLGER JOSEF M BREUNIG K V HOF BACKER KARLSBAD WIEN SEMMERING KARLSBADER WASSER ZWIEBACK MARKE SPRUDEL ALLE RECHTE VORBEHALTE UHLBREUNIG WIEN, KARLSBADREGISTRIERTE SCHUTZMARKE B.W. & M.L. MANSFIELD Produzione industriale ligure (Stab. Riuniti G.De Andreis-G.Casanova, Genova Sampierdarena), inizi sec. XX Scatola di biscotti Delser Latta serigrafata/ 10,5x20x9,5cm/ Inv. 1508 Iscrizioni: DELSER Biscotti – amaretti – wafers – caramelle – drops CARLO DELSER F.LLI CASA FONDATA NEL 1893 MARTIGNACCO (UDINE) FORNITORI DELLA REAL CASA FORNITORI PONTIFICI S.A. STAB. RIUNITI G. DE ANDREIS - G. CASANOVA : Genova Sanpierdarena 29 Produzione industriale ignota, sec. XX Serie di formine per biscotti Latta sagomata/ 2,2cm. (altezza)/ Inv. 1503a, b, c, d, e Produzione industriale ignota, sec. XX Serie di 10 coni per la preparazione di cannoli Latta sagomata/ 10,5x3,2 Øcm/ Inv. 1504 Produzione industriale ignota, sec. XX Serie di 7 formine per biscotti Latta sagomata/ 3x7 Øcm/ Inv. 1505 Produzione industriale ignota, sec. XX Serie di 6 formine per biscotti Latta sagomata/ 2x6 Øcm/ Inv. 1506 Produzione industriale ignota, sec. XX Serie di due trafile per macchina impastatrice Ferro/ 6,3 Øcm/ Inv. 1826a, b Produzione industriale ignota, sec. XX Serie di due stampi per frittelle Alluminio/ a: 1x6,8 Øcm.; b: 1x7 Øcm/ Inv. 1827a, b Argenti Schede a cura di Antonella Ortogalli Manifattura ignota, 1751-1754 Astuccio con posate da viaggio Argento, ferro, lamina d’ottone, legno e cuoio/ 21cm./ Inv. 1155 Entro un astuccio, che rassomiglia ad una custodia per pugnale, si trovano, ciascuno nel proprio scompartimento, un coltello, una forchetta ed un punteruolo. L’astuccio di cuoio scuro è decorato a motivi floreali stilizzati entro partiture geometriche di gusto orientaleggiante ed è composto da due parti che sono il fodero vero e proprio e il coperchio ad innesto. In origine fra tali parti esisteva un sistema esterno per assicurarne la chiusura. Ora è testimoniato solo dai quattro fori lungo i rispettivi bordi. Le posate sono costituite da un’anima d’argento, dove si concentrano le incisioni ornamentali a disegni tratti dal repertorio vegetale e le iscrizioni. Sul coltello si legge IXS e la data 1751, mentre sulla forchetta FXS e l’anno 1754. Le due posate hanno manici di legno, lama di ferro per il coltello, tre lunghi e sottili denti d’argento, che si innestano su un raffinato decoro a giorno con motivi circolari posti intorno ad un cuore, per quanto concerne la forchetta. Il punteruolo è di ferro con scanalature nella parte terminale ad introdurre il piccolo pomello ricoperto da lamina d’ottone incisa. Lo stato di conservazione è discreto: le parti più compromesse risultano i manici di legno, ormai quasi completamente perduti, e le parti ferrose interamente ricoperte da patina di ruggine. Manifattura Italia settentrionale, sec. XIX-XX Coppia di zuccheriere Argento/a: 5,8x14x10,2cm.; b: 5,4x13x8,5cm./ Inv. 1600a, b Zuccheriera Argento/ 6x11x8cm./ Inv. 1601 Le zuccheriere hanno la classica forma costituita da vaschetta ovale con orlo della bocca a cordoncino e quattro piedini zoomorfi. La coppia inventariata con il n. 1600 testimonia della lunga tradizione dell’argenteria veneziana grazie alla presenza del bollo di San Marco o leone “in moleca” accanto al quale si nota il punzone dalla sagoma irregolare intorno alla sigla Z G con al centro un giglio. La zuccheriera 1601 è di manifattura udinese come si evince dal punzone con lo stemma di quella città posto fra due lettere, di cui solo la seconda è leggibile ed è una Z, forse a richiamare l’antica dinastia degli argentieri Zorzi, noti fin dal Settecento. Sulla parte frontale della vasca sono incise le iniziali L. A., che lasciano intuire un riferimento ai nomi dei coniugi Ciceri: Luigi e Andreina. Si può presumere che si tratti di un ricordo o di un dono legato a qualche ricorrenza come il matrimonio o un anniversario. Gli oggetti necessitano di una profonda pulitura capace di asportare le incrostazioni del fondo e di riportare a lucentezza le superfici annerite che ne compromettono lo stato di conservazione giudicabile comunque buono. Manifattura italiana, sec. XX Pinza per zollette di zucchero Argento/ 11cm./ Inv. 267 La pinzetta, adatta alle zollette di zucchero in virtù delle piccole dimensioni che la caratterizzano, presenta terminazioni forgiate a zampa leonina. Come impose un Regio Decreto del 1934 anche il nostro manufatto presenta il doppio punzone: quello di titolo (800) e quello di riconoscimento dell’orefice produttore racchiuso entro sagoma ad esagono (PD4). Lo stato di conservazione è buono. Manifattura italiana, sec. XX (post 1935) Forchettina Argento/ 10cm./ Inv. 268 Piccola forchettina a due denti con manico decorato nella parte terminale da tre ciliegie ottenute per fusione. Sul retro del manico un bollo attesta il titolo dell’argento (800) ed un altro si riferisce all’argentiere: la sigla AR è preceduta da alcuni numeri di difficile lettura. Lo stato conservativo è buono. Portatovagliolo Sec. XX/ Argento/ 4x5,2 Øcm./ Inv. 1347 Portatovagliolo Sec. XX/ Argento/ 3,7x3,8 Øcm./ Inv. 1355 Il portatovagliolo n. 1347 ha una forma a rocchetto con strozzatura nella parte centrale sottolineata da un decoro sporgente a cordino. Lungo i bordi inferiore e superiore si ripete un semplice motivo puntiforme. L’unico punzone che si riscontra sulla lamina sottilissima d’argento reca il numero 13 entro sagoma circolare. L’altro portatovagliolo è costituito da un anello cilindrico con pareti incise a disegni floreali interrotti da un cartiglio che custodisce le iniziali M.F. Il primo versa in mediocre stato conservativo: appare quasi diviso a metà dalla lacerazione visibile intorno al cordino che lo caratterizza. Il secondo, invece, si conserva discretamente nonostante le superfici abrase non permettano più di godere dell’originario decoro floreale. Manifattura trevisana, sec. XX Cucchiaio Argento/ 7,6x4,5cm./ Inv. 1356 Il cucchiaio presenta una paletta ovale con incise al centro le iniziali E .M. e un cortissimo manico costituito da elementi figurativi ottenuti per fusione: si tratta di una coppia di tortore affrontate e con i becchi uniti. Conclude l’immagine la presenza di un anello sopra i due volatili, simbolo dell’unione coniugale. Si può dedurre che si tratti di una raffinata bomboniera per matrimonio, prodotta dall’argentiere trevigiano Santona, come attesta il marchio posto sul retro della paletta assieme al numero 15. Lo stato conservativo è ottimo. Coppia di cucchiaini Sec. XX/ Argento/ 7,6x4,5cm./ Inv. 1359 La coppia di minuti cucchiaini ha paletta emisferica e manico liscio con terminazione lievemente espansa. Sul retro del manico è attestato il titolo dell’argento (800) e la sigla WTB. Entrambi si conservano in maniera ottima.