METALLI
Cerniere,battentiepomelli
Schede a cura di Silvia De Marco
Pomello
Sec. XVI/ Bronzo/12x7cm. ca./ Inv. 309
Pomello da mobile a forma di busto classico; la testa è leggermente inclinata coi
capelli trattenuti sulla nuca da un fermaglio. Le spalle sono ricoperte da ampio
manto drappeggiato, appuntato su una spalla. Alla base, doppia barra in ferro per
il fissaggio.
Manifattura friulana, sec. XVII
Maniglia di comò
Bronzo/ 12x9 cm./ Inv. 1010
Maniglia in bronzo intagliata a delineare due figure speculari di putti, con fattezze
umane nella parte superiore del corpo e marine in quella inferiore, le cui pinne
terminali vanno a congiungersi in corrispondenza di una conchiglia al centro dell’
impugnatura. Sulle teste delle raffigurazioni sono collocati anelli per il fissaggio,
sbalzati a fronde.
Manifattura italiana, sec. XVII
Coppia di maniglie
Ferro e bronzo/ 14,5 cm./ Inv. 1583, 1583b
Maniglie decorate a motivi vegetali e sorta di “crestina” lungo il lato curvo.
Manifattura veneta, sec. XVII
Piastra
Ferro battuto e sbalzato/ 30 cm./ Inv. 1585
Piastra copri serratura terminante in basso con un elemento bilobato a punta e
nella parte superiore, con tre elementi bilobati sempre appuntiti. Dal foro aperto
in corrispondenza della toppa dipartono elementi gigliati in rilievo.
Manifattura friulana, sec. XVIII
Bandella
Ferro/ 17,6x39,2 cm./ Inv. 1566
Bandella sagomata a volute vegetali contrapposte, discretamente conservata, con
terminazioni a spirale ed occhiello liscio. Sulla superficie sono aperti nove fori.
Le cerniere da mobile, così come le bandelle da porta, si infilano sui cardini fissati
al telaio. L’accuratezza con cui questi manufatti vengono forgiati, e la ricerca
costante di nuove forme ed ornati, è segno dell’attenzione che i magnani
rivolgevano anche a questi elementi puramente decorativi.
Manifattura friulana, sec. XVIII
Cerniera da mobile
Ferro/ 11,5x27 cm./ Inv. 1568
Cerniera da mobile dipinta di verde chiaro, in discreto stato conservativo,
sagomata a volute con doppia ansa e terminazioni a ricciolo, nove fori e occhiello
liscio.
Manifattura friulana, sec. XVIII
Bandella
Ferro cromato/ 12x34 cm./ Inv. 1576
Bandella in ferro cromato, in discreto stato conservativo, sagomata ad ampie
volute contrapposte, con doppia ansa e terminazioni frondose. Sulla superficie
argentata sono aperti nove fori, di cui uno centrale per il fissaggio, mentre in
basso l’occhiello è liscio. La superficie è incisa a motivi lineari.
Manifattura friulana, sec. XVIII
Controserratura da cassapanca
Ferro cromato/ 13x22 cm./ Inv. 1577
La controserratura a forma di “T” rovesciata, tornita alle estremità presenta, al
posto dell’occhiello, due staffe squadrate. Sei fori e due graffette alle estremità del
lato orizzontale per il fissaggio. La superficie è incisa con motivi mistilinei e
puntinati.
Manifattura friulana, sec. XVIII
Maniglia a forma zoomorfa
Bronzo/ 4x18x11 cm./ Inv. 1579
Un’estremità della maniglia termina con una testa leonina e due bracci anch’essi
con terminazione zoomorfa. Dall’altro capo, una sorta di staffa a forma di
conchiglia, dalla quale dipartono due piccoli serpenti. Il muso del leone è
delineato da brevi tratti incisi.
Manifattura friulana, sec. XIX
Maniglia a forma di mano
Bronzo/5 ca.x13 cm./ Inv. 308
Tiraporta in bronzo a forma di mano stretta a pugno, con pollice che sfiora
l’indice in modo da formare un anello, reca un forellino tra medio ed anulare. Il
polsino della camicia è modellato con bottone e risvolto a volant. Alla base, cuneo
per il fissaggio.
Manifattura friulana, sec. XIX
Placchetta decorativa per mobile
Bronzo/7,8 x 5 cm./ Inv. 310
Placca decorativa in bronzo a forma di testa di putto, posteriormente cava. Non
presenta fori o ganci per il fissaggio.
Manifattura friulana, sec. XIX
Coppia di pomelli da porta
Ferro/ h 13 cm./ Inv. 1116
Coppia di pomelli di forma sferica con fascia centrale decorata a sbalzo e base
svasata, con medesima decorazione.
Manifattura friulana , sec. XIX
Coppia di pomelli da porta
Lega metallica argentata/ h 9,5 cm./ Inv. 1117
Coppia di pomelli a forma di ghianda, base svasata e apertura filettata per
l’avvitamento del ferro di fissaggio
Manifattura friulana, sec. XIX
Maniglia a forma di mano
Bronzo, ferro/ 15 cm (compreso il ferro di fissaggio)/ Inv. 1581
Maniglia (tiraporta?) simile all’esemplare Inv. 308, a forma di mano stretta a
pugno con pollice ed indice a formare un anello. In basso si intravede il ricamo
del polsino della camicia. Segni incisi a delineare le unghie e le pieghe delle
nocche. Un grosso ferro che termina piegandosi verso l’alto è inserito alla base del
pomello.
Manifattura friulana, sec. XIX
Maniglia di porta
Ferro, legno, ottone/ 10x11 cm./ Inv. 1582
Maniglia in legno terminante con una punta in ottone che si chiude con un
piccolo globo. L’impugnatura va ristringendosi verso il dado di ottone, con
sfaccettature esagonali, in cui si impernia il ferro che viene inserito nel
meccanismo della serratura.
Manifattura friulana, sec. XIX
Maniglia
Ferro battuto/ 8,7 ca x Ø9,5 cm. ca. / Inv. 1684
Maniglia di forma ovale con piastra metallica intagliata a motivi mistilinei. Un
anello è frapposto tra la piastra ed un elemento a due “ali” terminanti a spirale,
provvisto di moto circolare che regola il movimento della maniglia.
Manifattura friulana, sec. XX
Coppia di maniglie
Metallo cromato, legno/ 10,6 cm./ Inv. 1587, 1587b
Coppia di maniglie con impugnatura in legno laccato di nero con punta metallica
tornita, corredate da un dado. Questo è decorato da elementi conici, mentre un
lato è riservato all’apertura filettata destinata all’avvitamento del ferro di fissaggio.
Manifattura friulana, sec. XX
Coppia di maniglie
Ferro, ottone/ 11,8 cm./ Inv. 1588
Coppia di maniglie molto simili all’esemplare Inv. 1582. L’impugnatura è in legno,
la punta in ottone, tornita. Il dado, con sfaccettatura esagonale, presenta su un lato
l’apertura filettata per l’inserimento del ferro che fissa la maniglia alla serratura.
L’esemplare Inv. 1582b appare più rovinato per l’azione dei tarli.
Manifattura friulana, sec. XX (?)
Campanella
Ferro e bronzo/h 24,5 x Ø7,5 cm. (campana)/ Inv. 1341
Campanella per portale fissata mediante una staffa terminante a spirale, che
avvolge una vite dal lungo fusto con terminazione ad uncino. La campana di
bronzo è fissata alla staffa con un anello di ferro che passa attraverso un foro
aperto nella parte terminale della staffa. Su quest’ultima sono impresse le iniziali
“V. F.” e, diametralmente, un numero “5”.
Manifattura friulana, sec. XX
Frammento di maniglia
Ferro/ 10 cm./ Inv. 1589
Frammento di maniglia di cui si conserva solo il ferro di fissaggio alla serratura,
mentre manca l’impugnatura di legno.
Serrature
Schede a cura di Silvia De Marco
Serrature
Il termine serratura (serrare) deriva dal tardo latino serare (chiudere) e da sera (chiusura, catenaccio). La funzione della
serratura è infatti quella di permettere la chiusura di porte, portoni, coperchi di cassoni per l’azione di tre elementi
fondamentali: un congegno azionato dalla chiave, un chiavistello fissato con staffe e una molla di bloccaggio.
Inserendo la chiave nella toppa della serratura, la mappa della chiave incontra le lamelle corrispondenti alle fernette e
i denti del chiavistello rivolti verso il basso; con una mandata la chiave sposta lateralmente il chiavistello la cui
estremità si infila nell’occhiello del boncinello o nella cavità ricavata nello stipite della porta, bloccandone l’apertura.
La molla impedisce che il chiavistello ritorni accidentalmente indietro: la chiave, girando, alza la molla e la rilascia al
termine del giro ripristinando in questo modo il blocco. Nei sistemi a scatto è inserita una molla di spinta che, posta
in pressione dal chiavistello messo in movimento dalla mandata della chiave, risospinge il chiavistello in posizione di
chiusura.
Il meccanismo è solitamente fissato su una piastra, di varie forme e variamente lavorata (incisa a bulino, a sbalzo,
intagliata o cesellata) e decorata da bandelle laterali traforate, a seconda dell’epoca di realizzazione: dalla classica
forma quadrata e rettangolare a quella polilobata, dalla forma ad “ascia”a quella a “balestra”. Per quel che riguarda i
congegni, a quello “a bussola”, presente già nelle serrature del XIII secolo, si va ad aggiungere in età rinascimentale, il
congegno Kapellen Eingerichte, di derivazione tedesca, dalla caratteristica struttura a forma di cupola contenente i
meccanismi, e quello, sempre nordico, detto “a testa di gatto”, che deriva il suo nome dalla presenza della
caratteristica molla a spinta a cerchio collocata sulla piastra solitamente bilobata, che conferisce alla serratura l’aspetto
di una testa di gatto. Altre soluzioni di chiusura, risalenti al Cinque-Seicento, hanno meccanismi di saliscendi, di
doppi chiavistelli a scatto, di doppia toppa per l’apertura con chiavi sia dall’interno che dall’esterno, di nottolino ad
anello.
La struttura fondamentale rimane tuttavia invariata anche nei due secoli successivi, quando continuano ad essere
realizzate serrature fondate sull’essenziale messa in relazione di un chiavistello, a mandate o a scatto, di una molla di
bloccaggio e di una chiave; le uniche varianti di questo fondamentale schema sono l’eventuale raddoppio del
chiavistello, la compresenza di un catenaccio a mandate e uno a scatto, e la possibile presenza di un pomolo esterno
per la chiusura temporanea della porta. Durante questo periodo, anche le elaborate decorazioni dei secoli precedenti
vanno assottigliandosi dopo l’apice toccato con i complicati intagli delle piastre della metà del ‘700, e solitamente si
hanno serrature molto semplici, dalle linee sobrie.
I fabbri “serraturieri”, o magnani, hanno sempre rappresentato una categoria particolare di fabbri, che si distingueva
da tutti gli altri per il lavoro di precisione che erano chiamati a svolgere, per il quale non era necessario il maglio ma
una lingua di ferro sporgente dal banco di lavoro su cui battere chiavi e serrami.
Nel medioevo i magnani si organizzano in corporazioni di “serraturieri” che dovevano sorvegliare sulla qualità dei
lavori, alle quali era possibile accedere previo superamento di una prova di ammissione che prevedeva l’esecuzione da
parte del candidato di un “capodopera”, una dimostrazione di abilità, una prova di virtuosismo. La corporazione
aveva come patrono Sant’Eligio (protettore dei fabbri e dei gioiellieri), vescovo di Noyon, che, secondo una
leggenda, si sarebbe vantato di essere il migliore maniscalco della città; mentre entro il giorno di San Pietro, detentore
delle chiavi del paradiso, tutte le pendenze economiche dovevano venir regolate.
Le serrature della collezione Ciceri appaiono piuttosto uniformi per tipologia, manifattura ed epoca di fabbricazione:
alcune da cassone, altre da porta, quelle di più ampie dimensioni da portone, sono per lo più di forma rettangolare o
con la caratteristica forma bilobata terminante a punta. Vi sono anche due esemplari “ad ascia” (o sono a balestra?)
(Inv. 1572; Inv. 1575), arricchiti dal bordo intagliato a volute, e due “a cassetta” (Inv.1567; Inv. 1569). Alcune sono
finemente lavorate (si veda in particolare l’esemplare Inv. 1560), altre sono invece prive di decorazione e di
un’essenzialità tale da sembrare a volte poco rifinite.
Manifattura del sec. XVIII
Serratura “a testa di gatto” per cassapanca
Ferro stagnato/ 20x11 cm./ Inv.1560
Piastra triangolare con terminazione bilobata a punta. Sul fronte, la toppa per
l’inserimento di chiave femmina. Sul retro, la caratteristica molla di spinta a
cerchio e un ingegno a bussola per chiave femmina con targa di protezione di
forma rettangolare, incisa con decori a volute, motivi fogliati ed alati.
Doppio chiavistello e apertura per bucinello. Il ferro stagnato conferisce serratura
una sfumatura argentata.
Manifattura del sec. XVIII-XIX
Serratura con meccanismi
Ferro/ 24,5x13 cm./ Inv.1561
Piastra di forma bilobata terminante a punta con bandelle d’appoggio a volute.
Doppio chiavistello a scatto azionato all’esterno da chiave e all’interno da
nottolino ad anello. Molla di spinta a spirale. Scudetto copringegno con tetto di
forma poligonale. Staffa di fissaggio a terminazione rettangolare incisa con motivi
a volute. Ferro di protezione soprastante a “V” rovesciata con decorazioni
fitomorfe.
Manifattura del sec. XVIII
Serratura dipinta con meccanismi
Ferro/ 27x11 cm. ca/ Inv.1562
Piastra bilobata a punta, con bandelle d’appoggio a volutine. Sul retro, scudetto
copringegno con tetto di forma rettangolare. Targa di protezione di forma
bilobata mancante della punta, decorata con motivi a sbalzo, ondulati. Doppio
chiavistello con dente collegato alla mappa della chiave e staffa di fissaggio a
terminazione rettangolare. La serratura è dipinta di verde chiaro.
Manifattura del sec. XVIII-XIX
Serratura con meccanismi
Ferro/ 18x12,8 cm/ Inv.1563
Piastra di forma trilobata. Sul fronte, toppa per chiave femmina. Sul retro, scudo
copringegno centrale, di forma ottogonale, decorato con motivi fitomorfi. Targa
di protezione incisa a volute con staffa in rilievo e rinforzi laterali a base
triangolare.
Manifattura del sec. XVIII-XIX
Piastra con meccanismo di serratura
Ferro/ 16x18 cm. ca/ Inv.1564
Piastra rettangolare con congegno a bussola per chiave femmina, con tetto
sagomato a volutine. Catenaccio a scalino, collegato al congegno a bussola, con
molla di bloccaggio a forcella e fessura per boncinello.
Manifattura del sec. XVIII
Serratura per portone con due pomelli sul fronte
Ferro, ottone/ 15,5x41,5 cm./ Inv.1565
Grande serratura con piastra rettangolare. Sul fronte, una toppa per l’inserimento
di chiave femmina, due pomelli e due chiavistelli “a scalino”, foro per bocinello e
molla a spirale. Sul retro, tre congegni: i due laterali, con chiavistello a scatto,
molle a spirale e scudo copringegno “gigliato”, sono collegati ai pomelli e ai
chiavistelli del fronte; quello centrale, con doppio chiavistello a due denti, molla
di fissaggio a forcella, molla di spinta a spirale, è collegato al congegno per chiave
femmina, coperto da scudo della medesima forma dei laterali, ma di dimensioni
più grandi. In alto a sinistra, un ulteriore asta con movimento verticale azionata da
manipola, per bloccare in posizione “aperta” il chiavistello a scatto che si trova su
quel lato.
Manifattura del sec. XVIII-XIX
Serratura con piastra decorativa sul fronte
Ferro/ 27x9 cm./ Inv.1567
Serratura a cassetta con piastra rettangolare e fronte sporgente intagliato a volute.
Sul retro, un saliscendi con movimento verticale collegato ad una molla a spirale,
azionato da maniglia fogliata; e due chiavistelli a scatto: uno collegato ad una leva
azionabile dall’interno e al congegno per chiave femmina con tetto rettangolare
decorato da fascia a rilievo; l’altro, mosso, sempre internamente, da una seconda
levetta, collocata sullo stesso lato della precedente.
Manifattura del sec. XVIII
Serratura con maniglia
Ferro battuto/ 18,5ca x26x12,5profondità/ Inv.1569
Serratura a cassetta con piastra rettangolare, provvista di maniglia sagomata a
foglia. Piastra di serratura terminante con elementi bi e trilobati a punta e
finemente cesellata in corrispondenza del foro d’ingresso della maniglia. Nello
spessore, foro per boncinello.
Manifattura del sec. XVIII
Serratura con maniglia e piastra decorativa sul fronte
Ferro/33x13 cm./Inv.1570
Piastra rettangolare con bordi lavorati a volutine e terminazione bilobata a punta.
Sul fronte, maniglia con piastra decorata ad intaglio e piccola canna per
l’inserimento di una chiave maschile. Sul retro, un chiavistello a scatto con due
denti di bloccaggio e una molla di spinta a forcella, collegato al congegno per
chiave maschile coperto da scudetto con tetto di forma quadrata, e azionato da
una maniglia interna; e un saliscendi collegato a doppia maniglia, una interna e
l’altra esterna, sagomate a foglia, per chiudere momentaneamente la porta
evitando che sbatta. Piastra di protezione di forma rettangolare, strozzata al
centro, dai bordi frastagliati.
Manifattura del sec. XVIII
Serratura da cassone “a testa di gatto”
Ferro/ 18,5x12 cm./Inv. 1571
Piastra rettangolare con terminazione bilobata a punta. Sul fronte, toppa per
chiave femmina e residuo di gancio per il fissaggio della piastra. Nella parte
retrostante, scudetto copringegno con tetto ottagonale e fascia centrale in rilievo,
molla di spinta circolare, e piastra di protezione di forma poligonale a ricoprire i
chiavistelli con terminazione a scalino.
Manifattura di area veneta del sec. XVIII
Piastra di serratura
Ferro/ 8,1x6,5 cm./ Inv. 1572
Piastra ad ascia con bordo intagliato a volute. Sul retro, scudetto copringegno
sagomato. Chiavistello con due staffe di fissaggio e molla a forcella.
Manifattura del sec. XVIII
Serratura per cassone “a testa di gatto”
Ferro/ 11x7cm.ca/ Inv. 1573
Piastra di forma rettangolare con terminazione bilobata a punta. Toppa per
chiave femmina. Sul retro, molla di spinta a cerchio, scudetto copringegno con
tetto ottagonale e targa di protezione sagomata, “a giglio”, a coprire i chiavistelli
terminanti con tre denti di bloccaggio.
Manifattura del sec. XVIII
Serratura per cassone “a testa di gatto”
Ferro/ 12x7cm.ca/ Inv.1574
Esemplare molto simile al precedente (Inv. 1573), con piastra bilobata a punta e
sul fronte toppa per chiave maschile. Sul retro, visibili lo scudetto copringegno
con tetto ottogonale e molla di spinta a cerchio. Targa di protezione sagomata
che nasconde i chiavistelli con tre denti di bloccaggio.
Manifattura del sec. XVIII
Piccola serratura “ad ascia”
Ferro/ 9,5x9 cm./ Inv. 1575
Piastra ad ascia con bordo intagliato a volute, simile all’esemplare Inv. 1572. Sul
fronte, toppa per chiave femmina. Nella parte retrostante, scudetto copringegno
di forma circolare, chiavistello con due staffe di fissaggio e molla a forcella.
Manifattura del sec. XVIII
Piccola serratura
Ferro/ 6x8ca/ Inv.1578
Piastra di forma rettangolare con terminazione bilobata a punta. Le modeste
dimensioni fanno pensare ad una serratura da cassone o da porta. Sul retro, scudo
copringegno di forma rettangolare con due staffe laterali di fissaggio e fascia
centrale a rilievo incisa con una “X”. Chiavistello a due denti, fissato da staffa
ricurva.
Chiavi
Fin dalle prime attestazioni dell’uso di oggetti affini a quelli che oggi definiamo “chiavi”, risalenti a 2000 anni prima
di Cristo (antichi Babilonesi), all’uso pratico si è andato sovrapponendo un significato magico-simbolico, come
testimonia la presenza costante della chiave nei riti e nei corredi funerari di antiche civiltà: il cerimoniale di sepoltura
egizio, ad esempio, prevedeva che, come ultimo gesto, il sacerdote toccasse la bocca della mummia con una chiave
(MANDEL 1990, p.11).
La valenza simbolica di chiavi e serrature deriva in parte dalla “sacralità” riconosciuta all’atto di chiudere ed aprire,
nascondere e svelare, permettere l’accesso oppure impedirlo: la consegna delle chiavi di una città come segno della
resa al vincitore, il mazzo di chiavi come simbolo dell’amministrazione e della custodia della casa, la chiave come
metafora di sapienza, come attributo distintivo di alcuni santi nell’iconografia religiosa (san Pietro, santa Marta, santa
Nottburga, San Giovanni Nepomuceno) e come amuleto (cfr. chiavette di san Valentino), sono solo alcune
attestazioni.
Gli esemplari della collezione Ciceri si iscrivono in un periodo che va dal XVI al XVIII secolo, sono per lo più chiavi
femmine, da porta e da portone (una verosimilmente è da forziere, Inv. 1534 b), con impugnature ovoidali molto
semplici (fanno eccezione i sette pezzi dell’inventario n°1343, che possono essere definiti “alla veneziana” per la
decorazione “a rosone” e il “piccagnolo” applicato superiormente). Capitelli e ingegni sono variamente forgiati.
Manifattura del sec. XVIII-XIX
Chiavi con impugnatura ad anello semplice (serie di n. 11 pz.)
Ferro/ h min. 8 cm - max 16,5 cm/ Inv. 1342 a; b
L’inventario 1342a comprende quattro grandi chiavi da portone, femmine, con
impugnatura ovale (una con cuspide interna), canna a sezione cilindrica e capitelli
modanati. Variegate le forme degli ingegni: a fernette verticali alternate; con
intaglio alla greca; con intaglio cruciforme; con fronte sporgente e intaglio a
motivi elaborati. All’inventario 1342 b corrispondono invece una serie di sette
chiavi di più piccole dimensioni, cinque chiavi femmine e due maschie.
Le impugnature sono ovali e in due casi, polilobate (bi e tri), forma solitamente
associata a chiavi per serrature “ad ascia”. La canna è a sezione cilindrica con
capitelli (tranne una chiave che ne è priva) modanati (a fascia, a sfera schiacciata
tra collarini, a vaso, a balaustro).
Anche la forma degli ingegni è varia: a fernette verticali e orizzontali; con intaglio
a pettine a quattro denti; a due ranghi, pertugio cruciforme e pettine a otto denti; a
sezione rettangolare con due fernette verticali alternate.
Manifattura del sec. XVIII-XIX
Chiavi con impugnatura ad anello lavorato (serie di n. 7 pezzi)
Ferro/ h. min. 8,2 - max 14,5 cm/ Inv. 1343
L’inventario 1343a conta quattro chiavi femmine con impugnature molto
elaborate: tre sono a volute contrapposte, di cui una con cuspide superiore, e una
è a “rosone”. Per quanto riguarda gli ingegni, ve n’è con fernette orizzontali e
verticali; con intaglio cruciforme; con fronte leggermente arrotondato. Al numero
1343 b corrispondono invece tre chiavi femmine, per le quali può essere usata la
definizione di chiavi “alla veneziana”, con piccagnolo alla sommità che
permetteva di appenderle alla cintura e impugnatura ovoidale decorata in un caso
“a rosone” a otto sezioni, e negli altri due, a lamelle con motivo a volute
contrapposte. La canna è a sezione cilindrica e gli ingegni sono a sezione
rettangolare con fernette verticali alternate; in un caso, pertugio cruciforme.
Manifattura del sec. XVIII-XIX
Coppia di chiavi
Ferro/a) 9,2 cm. lungh.; b) 7,9 cm. lungh./Inv. 1534
L’Inv. 1534a corrisponde ad una chiave maschia, con impugnatura ovale non
chiusa ma terminante con due riccioli nella parte inferiore interna entro cui si
“insinua” l’estremità appuntita dello stelo cilindrico con capitello modanato a
sfera schiacciata tra collarini. L’ingegno presenta fronte arrotondato e due
fernette verticali alternate. Anche l’esemplare b è una chiave maschia, forse
abbinata ad un forziere, provvista di impugnatura ovoidale con volutine nella
parte inferiore. Lo stelo è a sezione cilindrica, provvisto di capitello “a vaso” con
collarini. L’ingegno è ondulato ad “S”.
Manifattura del sec. XVIII-XIX
Chiave
Ferro/ 13 cm. ca. lungh./ Inv. 1604
Grande chiave femmina, verosimilmente per portone, con impugnatura ovoidale,
capitello modanato “a balaustro”, stelo a sezione cilindrica e ingegno con fronte
ricurvo e fernette verticali ed orizzontali.
Chiave isolata priva di inventario
Chiave maschia con impugnatura ovoidale, capitello “a balaustro”, stelo cilindrico
e ingegno con fronte incurvato e fernette orizzontali di diverse lunghezze.
Lucchetti
In Oriente, ed in particolare nel mondo islamico, il lucchetto può contare su una gloriosa tradizione attestata sin dai
secoli XI e XII. Lo stesso non può dirsi per l’Occidente, dove l’uso del lucchetto non ha goduto di ugual fortuna,
diffondendosi solo a partire dal XVI secolo, quando si sono andate delineando le tipologie formali poi rimaste
pressoché definitive. La scarsa attenzione alla forma è dipesa soprattutto dall’uso molto pratico che veniva fatto di
questi oggetti, impiegati per finalità tutt’altro che elevate, quali ad esempio la chiusura di ceppi, pastoie e manette
(della collezione Ciceri fanno parte due esemplari di manette, di cui uno solo integro, dotate di lucchetto apribile con
chiave femmina). L’unica evoluzione formale ha riguardato l’elaborazione di metodi di dissuasione sempre più
complessi per rendere difficile l’apertura del lucchetto: sistemi di occultamento del foro di introduzione della chiave,
nascosto dietro sportellini apribili solamente con lo spostamento di alcune parti apparentemente non significative;
punteruoli che vanno inseriti entro pertugi ben dissimulati; combinazioni di numeri e lettere, anche in lunghe
sequenze.
Gli esemplari della collezioni Ciceri, iscrivibili in un’epoca compresa tra il XVI e il XIX secolo, confermano la
“semplicità formale” di questi oggetti, rivelandosi esteticamente poco “ricercati”, per lo più dotati di chiusura a scatto
e di gambo ad arco. Tutti hanno bocchetta a segreto celata da copritoppa a sportello, tranne gli inventari N° 909,
che presenta invece toppa aperta, e N° 910, “a combinazione”.
Manifattura di area italiana, sec. XVI-XIX
Lucchetto
Ferro/ 12x7 cm./ Inv.909
Lucchetto di sagoma tondeggiante, dello spessore di 1,5 cm ca., con due lobi in
corrispondenza del punto di fissaggio del gambo ad arco. Sul fronte, toppa aperta
per chiave femmina che si è conservata: di piccole dimensioni, presenta
impugnatura ad anello e stelo a sezione circolare. Congegno di fissaggio con
chiavistello a scatto. Sul retro, tracce di zincatura.
Manifattura di area italiana, sec. XIX
Lucchetto
Ferro e ottone/ 9x9 cm./ Inv. 910
Lucchetto con corpo cilindrico in ottone, sul quale si muovono 6 anelli incisi con
le lettere dell’alfabeto, dalla “A” alla “T” e gambo ad arco: l’apertura avviene
disponendo le lettere secondo una sequenza predefinita, in modo tale che la
“combinazione” si legga in orizzontale.
Manifattura di area italiana, sec.XIX
Lucchetto
Ferro/ 10x9 cm./ Inv. 914
Lucchetto simile all’esemplare Inv. 909, con corpo tondeggiante e bilobato,
rispetto al quale, però, presenta sul fronte un copritoppa a sportello che si apre in
verticale e che cela una toppa per chiave femmina.
Manifattura di area italiana, sec. ?
Lucchetto
Ferro/ 10x7,2 cm./ Inv. 916
Lucchetto per chiave maschia con gambo ad arco e bocchetta a segreto con
copritoppa a sportello girevole. Sul retro, banda verticale sbalzata, che riprende
simmetricamente il copritoppa del lato anteriore.
Manifattura di area italiana, sec. ?
Lucchetto
Ferro/ 10,5x7,5 cm./ Inv. 917
Cassa di profilo mistilineo con congegno per chiave maschia e chiavistello a
scatto. Il gambo è ad arco. Lo sportello copritoppa del fronte è ripreso sul retro
da una fascia verticale sbalzata.
Manifattura di area italiana, sec. XVI-XIX
Lucchetto
Ferro/ 14x9 cm./ Inv. 918
Lucchetto simile agli esemplari Inv. 909, 914. Corpo tondeggiante e gambo ad
arco. Una piastra con lato inferiore intagliato a volute è applicata sia
anteriormente che posteriormente. Sul fronte, copritoppa girevole che nasconde
un’apertura per chiave femmina.
Manifattura di area italiana, sec. ?
Chiusura di catena?
Ferro/ 25,5 cm. lungh./ Inv. 1586
Sorta di lucchetto di forma tondeggiante al quale sono appesi, da un lato, un
anello, e dall’altro, un uncino. Alla sommità, un gancio uncinato. Sul “corpo” del
lucchetto, una molla.
Manifattura italiana, sec. XVII-XVIII
Manette
Ferro/35 cm. lungh/Inv. 1683
Bibliografia: CICERI 1976,
Barra legata con due anelli di catena ad altrettanti bracciali di cui uno provvisto di
lucchetto a cannone con corpo cilindrico e gambo ad arco.
Manette, ceppi per le caviglie e pastoie per animali, altra tipica produzione dei
fabbri serraturieri, si mantennero per secoli costanti nell’uso e nella forma, senza
subire praticamente variazioni: una breve catena o una barra con due anse laterali
per i polsi o le caviglie, con un sistema di chiusura semplicissimo, solitamente del
tipo apribile con una chiave a spinta, simile agli esemplari “a sdrucciolo” romani
(MANDEL 1990, pp.74-75).
Manifattura italiana, sec. XIX
Lucchetto
Ferro /10,8x6,8 cm/ Inv. 915
Lucchetto con cassa quadrata arrotondata belle parte superiore in prossimità del
gambo ad arco. Dotato di sportello copritoppa rettangolare che nasconde la
toppa della serratura incernierato in prossimità del gambo.
Manufattiinferrobattutoadusodomestico
Schede a cura di Antonella Ortogalli
Manifattura friulana, sec. XIX-XX
Appendisalami circolare con 5 triplici uncini pensili
Ferro battuto/ 39x23cm.Ø/ Inv. 957
Manifattura friulana, sec. XIX-XX
Appendisalami circolare con 10 uncini fissi e uno quadruplice pensile al centro
Ferro battuto/ 52,5x46cm.Ø/ Inv. 958
Manifattura friulana, sec. XIX-XX
Appendisalami a 5braccia uncinate
Ferro battuto/ 36x26,5cm./ Inv. 959
Manifattura friulana, sec. XIX-XX
Appendisalami a tre braccia con 4 quadruplici uncini pensili
Ferro battuto/ 85 (alla catena)x27cm./ Inv. 960
Bibliografia: CICERI 1976, [p. 28]
Esposizioni: Pordenone 1976.
Manifattura friulana, sec. XIX-XX
Appendisalami circolare con 4 uncini fissi e 3 semovibili
Ferro battuto/ 17xØ. 41cm / Inv. 961
Manifattura friulana, sec. XIX-XX
Appendisalami circolare con 13 uncini fissi e 1 pensile a 5uncini
Sec. XIX – XX, manifattura friulana/ Ferro battuto/ 66xØ 38,5cm. / Inv. 977
Manifattura friulana, sec. XIX-XX
Appendisalami a sbarra uncinata con 8 uncini e anello apicale
Ferro battuto/ 42,7x14,5cm./ Inv. 1206
Manifattura friulana, sec. XIX-XX
Appendisalami a 6 braccia uncinate con anello apicale mobile
Ferro battuto/ 22x25,5cm./ Inv. 1207
Manifattura friulana, sec. XIX-XX
Appendisalami a 4 braccia uncinate con anello apicale
Ferro battuto/ 28,5x30,4cm./ Inv. 1208
Manifattura friulana, sec. XIX-XX
Appendisalami a 4 braccia con 4 triplici uncini pensili
Ferro battuto/ 29x17cm./ Inv. 1209
Manifattura friulana, sec. XIX-XX
Appendisalami circolare con 3 uncini pensili e 1 triplice pensile al centro
Ferro battuto/28,5x Ø 16,5cm. /Inv. 1210
Manifattura friulana, sec. XIX-XX
Appendisalami a 5 braccia uncinate con ruota di legno
Ferro battuto e legno/ 36x 30cm./ Inv. 1211
Manifattura friulana, sec. XIX-XX
Appendisalami a 3braccia uncinate
Ferro battuto/ 29x 16cm./ Inv. 1212
Manifattura friulana, sec. XIX-XX
Appendisalami a 3 braccia con ganci terminali e triplice uncino centrale pensile
Ferro battuto/ 20,5x20,5cm./ Inv. 1213
Manifattura friulana, sec. XIX-XX
Appendisalami a 3 braccia con 3 triplici uncini pensili e anello apicale mobile
Ferro battuto/ 31,5x24cm./ Inv. 1214
Maniafattura friulana, sec. XIX-XX
Appendisalami circolare con16 uncini fissi sulla circonferenza, 8 sulla crociera e 1 quadruplice
al centro
Ferro battuto/ 105x Ø 68,5cm. / Inv. 1590
Bibliografia: CICERI 1976, [p. 27]
Esposizioni: Pordenone 1976
Maniafattura friulana, sec. XIX-XX
Appendisalami circolare con 8 uncini fissi e 1 pensile al centro
Ferro battuto verniciato/ 47,5 xØ 45cm. / Inv. 1591
Gli appendisalami (picjesalàmps) trovavano collocazione nelle cantine o negli
ambienti più freschi delle case rurali e venivano utilizzati per la stagionatura degli
insaccati di produzione propria.
La collezione Ciceri conta ben diciassette esemplari che possono essere suddivisi
per tipologia in due gruppi: il primo raccoglie gli appendisalami circolari di
dimensioni maggiori. Sono caratterizzati da forma emisferica ottenuta
dall’incrocio di barre in ferro battuto modellate ad arco che sostengono un grande
anello percorso da uncini fissi con crociera a sua volta uncinata. Spesso a tale
struttura si aggiunge al centro un ulteriore gancio pensile a più uncini. Il secondo
comprende manufatti di dimensioni contenute per appendere un numero ridotto
di salumi. Essi sono formati dall’unione di più bracci piegati a uncino nella parte
terminale o reggenti corte catene alle quali sono appesi tre o quattro uncini. Tutti
sono dotati di anello apicale mobile o fisso e alcuni mostrano ancora la catena a
maglie rozze e circolari con cui venivano sospesi al soffitto della cantina. Un
unico caso, il n. 1591, presenta tracce di vernice color sabbia ormai quasi
completamente caduta.
Lo stato di conservazione è generalmente discreto: una diffusa patina di ruggine
ha intaccato le superfici corrodendo alcune parti come gli uncini più sottili.
Luigi Ciceri nel catalogo dell’esposizione di Pordenone del 1976, mostra dedicata
ai ferri battuti di produzione esclusivamente friulana, sottolinea come umili
manufatti quali i “rampini picjesalàmps prendevano anch’essi grazia dal gioco delle
proporzioni”(L. Ciceri (a cura), Storia del ferro battuto in Friuli dal 1500 al 1800,
Udine 1976, [p. 6]).
Manifattura friulana, sec. XVIII
Ferro portasecchi (fiârs di seglâr o picjecjaldîrs)
Ferro battuto/ 162cm./ Inv. 1499
Bibliografia: CICERI 1976, [p. 26].
Esposizioni: Pordenone 1976.
Manifattura friulana, sec. XIX
Ferro portasecchi (fiârs di seglâr o picjecjaldîrs)
Ferro battuto/ 45x115,5cm./ Inv. 1500
Bibliografia: CICERI 1976, [p. 26].
Esposizioni: Pordenone 1976.
Nelle cucine della tradizione sopra l’acquaio di pietra (seglâr) venivano affissi al
muro i ferri decorati sui quali si appendevano i secchi di rame alternati a qualche
ramaiolo per attingere l’acqua.
L’esemplare più antico che si conserva in collezione è settecentesco ed è
costituito da una successione di cinque archi con altrettanti semplici ganci inseriti
a metà curvatura in alto, mentre più in basso, nei punto di congiunzione fra gli
archi, vi sono quattro maschere antropomorfe con giglio stilizzato sul capo e
terminazione inferiore piegata ad uncino.
L’altro ferro portasecchi, purtroppo mutilo, è un prodotto delle abilità artigianali
dell’Ottocento per il capzioso intreccio di serti vegetali con due graziosi
animaletti, che si affrontano simmetricamente al di sopra della lunga e semplice
sbarra orizzontale, sotto la quale scendono cinque ganci uniti da una struttura
ferrosa a doppio giogo.
Lo stato conservativo è buono nel primo caso (Inv. 1499), dove si riscontrano
tracce di ruggine localizzate, ma appare soltanto discreto nel secondo (Inv. 1500).
Quest’ultimo in origine aveva sicuramente un maggior sviluppo orizzontale visto
che la barra di ferro sulla quale si imposta è recisa alle due estremità.
Manifattura friulana, sec. XVIII-XIX
Alare (cjavedâl)
Ferro battuto/ 84,5x110,5cm./ Inv. 1593
Manifattura friulana, sec. XIX
Alare (cjavedâl)
Ferro battuto/ 106x105cm./ Inv. 1594
Bibliografia: CICERI – RIZZOLATI 1991, p. 151
L’alare in ferro battuto rappresenta per il Friuli l’oggetto simbolo della casa.
Nasce dall’evoluzione del braccio mobile da muro (musse) che serviva per
appendere le caldaie e fa la sua comparsa intorno al XVII secolo. Veniva
collocato sul piano del fuoco (larìn) sopra il basamento di pietra alto fino al
ginocchio tipico del focolare aperto (fogolâr). Intorno ad esso si svolgevano tutte
le attività domestiche e i momenti di aggregazione familiare nella cucina o in un
fabbricato aggiunto alla casa e individuabile dall’esterno per la particolare
struttura atta ad evitare la dispersione del calore. La parola cjavedâl con cui si
individua l’alare della tradizione friulana, indica, come nota Andreina Ciceri, “un
segno di agiatezza: ‘un capitale’, appunto”(A. CICERI – P. RIZZOLATTI 1991).
Infatti, poteva essere più o meno accessoriato e ornato a seconda delle possibilità
economiche di chi lo commissionava alla fàrie del paese. La tipica struttura a
quattro piedi, uniti da una sbarra orizzontale su cui poggiare la legna per dar
respiro al fuoco, e due montanti con terminazioni a cestello, cui poi si possono
aggiungere ricche decorazioni, lo caratterizzano come un unicum della nostra
regione.
Il pezzo più significativo presente in collezione è l’alare n. 1593 esemplificato su
modelli diffusi nel XVIII secolo, come quello pubblicato da Luigi Ciceri nel
catalogo dell’esposizione presso l’Ente Fiera di Pordenone del 1976 (CICERI 1976,
[p. 13-14]), molto simile per le caratteristiche strutturali, ma più ricercato dal
punto di vista decorativo essendo arricchito da incisioni floreali sui quattro piedi.
Il nostro alare mostra piedi costituiti da fasce piatte di ferro modellate a voluta
con terminazioni arricciate. I piedi sono uniti da una sbarra orizzontale presentata
di taglio, che sostiene, alle estremità, aeree volute come elementi di raccordo con i
due montanti. Questi ultimi sono ingabbiati, nella parte inferiore, da quattro
colonnine a tortiglione che convergono nel nodo a metà altezza per poi
proseguire fino ai due cestelli terminali piuttosto bassi e cilindrici con disco di
base per appoggiarvi il contenitore del sale o il boccale del vino. L’alare è
completato da due ali mobili con volute di raccordo che le uniscono ai montanti.
Dalle ali pendono due catene (cjadenàz) a cinque grosse maglie circolari con
asticciola uncinata agli estremi.
Molto più semplice e scarno il manufatto n. 1594 che risulta povero ed essenziale
nella struttura. I quattro piedi, la sbarra che li congiunge e i due montanti sono
lisci e l’unica concessione al decoro è costituita da due nastri ondulati che
scendono lungo un breve tratto inferiore nella parte interna dei montanti. Questi
sono collegati in alto da una sbarra a tortiglione fissata da un lato alla base di un
cestello formato da quattro stecche lisce coronate da anello, mentre dall’altro
sotto una graticola girevole di forma quadrata con particolari innesti angolari
adatti alla lum di pin.
Entrambi gli alari si conservano discretamente a causa della diffusa patina di
ruggine che ne ha intaccato le superfici.
Manifattura friulana, sec. XX
Catena da focolare (cjadenàz)
Ferro battuto/ 183cm./ Inv. 1686
Bibliografia: CICERI 1976, [p. 17]
Esposizioni: Pordenone 1976
Catena da focolare (cjadenàz)
Ferro battuto/ 213cm./ Inv. 1687
Bibliografia: CICERI 1976, [p. 17]
Esposizioni: Pordenone 1976
Il dispositivo più diffuso in Italia per appendere la pentola sopra il fuoco è la
catena. Essa è costituita da due o tre aste di ferro, dritte e con terminazioni a
gancio, unite fra loro da catene a grandi anelli sempre di ferro. La stanghetta
superiore viene agganciata sotto la cappa (nape) o ad una traversa dell’alare, mentre
quella inferiore serve per appendere le pentole. Ciascuna asticciola è dotata di due
terminazioni a gancio per regolare la lunghezza della catena a seconda delle
necessità e delle dimensioni della pentola da sostenere.
La catena n. 1686 è formata da un’asta lunga con nodo al centro e una più corta a
tortiglione, unite da grandi maglie circolari. Entrambe le aste presentano una sola
terminazione piegata a gancio.
Più complessa risulta la n. 1687: si articola in tre stanghette a tortiglione di diversa
lunghezza. L’asta inferiore è decorata da un nodo salomonico al centro ed è dotata
di gancio piccolo adatto per il manico delle pentole, quella mediana ha entrambe
le terminazioni a doppi uncini per regolarne la lunghezza e anche quella superiore,
che si imposta dopo soli quattro anelli di catena, termina da un lato con un
duplice uncino e dall’altro è piegata a grande gancio.
Lo stato conservativo può essere giudicato discreto in entrambi i casi a causa della
diffusa ruggine riscontrabile sui manufatti.
Manifattura friulana, sec. XIX-XX
Treppiede per pentola
Ferro battuto/ 52xØ 28cm. / Inv. 1497
Anche il treppiede è uno strumento indispensabile, come la catena, per cucinare
sul focolare aperto. La cottura di certi alimenti necessita di mescolarli
continuamente: un lavoro particolarmente faticoso quando si tratta di preparare la
polenta. Tale operazione richiede la stabilità della pentola, cosa che la comune
catena da focolare non può assicurare. In queste circostanze si utilizzava il
treppiede di ferro battuto.
Quello delle nostra collezione è di foggia semplice costituita da un anello
sostenuto da tre piedi curvati verso l’interno, di cui uno con sviluppo in altezza al
di sopra dell’anello e terminazione a gancio, sorta di manico per impugnare
l’oggetto e spostarlo all’occorrenza.
Anche in questo caso, come per quasi tutti i manufatti di ferro battuto, lo stato
conservativo è discreto perché le superfici risultano completamente intaccate dalla
ruggine.
Manifattura friulana, sec. XIX
Paletta del fuoco
Ferro battuto/ 60,5cm./ Inv. 1664
Manifattura friulana, sec. XIX
Molle
Ferro battuto/ 75cm./ Inv. 1668
Manifattura friulana, sec. XIX-XX
Forchettone
Ferro/ 51cm./ Inv. 1680
Manifattura friulana, sec. XIX-XX
Paletta
Ferro/ 40cm./ Inv. 1688
Fanno parte del comune corredo del focolare gli utensili che servono a
raccogliere le ceneri (palette), ad afferrare braci o legni (molle), a ravvivare il
fuoco (ventole, soffietti, mantici ecc.) o a gestire gli alimenti messi a cucinare sulle
braci (palette e forchettoni adatti alla carne).
La dotazione da focolare presente in collezione conta una tipica paletta (Inv.1664)
con lama arcuata e manico dritto decorato al centro da un triplice nodo e da un
pomello terminale; molle (Inv. 1668) dai bracci elastici con triplice nodo a metà di
ciascuno; un forchettone da carne (Inv. 1680) a due denti con manico ripiegato a
gancio e decorato da motivi geometrici incisi; una piccola paletta (Inv. 1688) con
angoli arrotondati e lungo manico con terminazione a gancio.
La paletta da cenere versa in mediocre stato e le molle si conservano
discretamente per la presenza diffusa della ruggine. Buono lo stato conservativo
dei due restanti oggetti, visibilmente più recenti e forse frutto di una produzione
industriale.
Manifattura friulana, sec. XIX-XX
Stampo doppio incernierato per cialde
Ghisa/ 21,5x24cm./ Inv. 729
Stampo doppio a tenaglia per cialde
Ferro battuto/ 70cm./ Inv. 1673
Lo strumento è più noto come ferro da cialde e serviva per cucinare direttamente
sul fuoco una pastella composta da farina, zucchero, lardo e acqua che, dopo la
cottura, costituiva la base per le confetture e ben si accompagnava con vino secco
di marsala ad allietare occasioni importanti come battesimi, fidanzamenti o
matrimoni.
Lo stampo a tenaglia n. 1673 presenta due lunghi manici conclusi da maglia e
gancio per assicurarne la chiusura. La lunghezza dei manici risulta funzionale alla
cottura che, avvenendo su fuoco diretto, richiedeva una ripetuta rivoltatura dello
stampo. Ai manici sono saldate le due piastre di forma rettangolare e
internamente caratterizzate da un motivo a reticolo interrotto al centro da
decorazioni inserite entro rombi. Uno dei decori è costituito da un’elegante sigla
con le lettere A ed I sovrapposte, l’altro presenta una sagoma di volatile rivolto
alla luna.
Lo stampo n. 729, realizzato probabilmente in ghisa, è doppio e le due piastre a
forma di fiore a dieci petali sono unite da cerniera. Internamente le superfici sono
percorse da un motivo a rombi e paiono suddivise a formare cinque sezioni a
cuore. Lo strumento è dotato di un piccolo arco saldato alla piastra superiore che
ne facilita l’apertura.
Entrambi i ferri sono realizzati tenendo presente un importante dettaglio che
avrebbe reso le cialde uniformi nello spessore e gradevoli alla vista: infatti, la
chiusura delle due piastre lascia uno spiraglio di appena un millimetro che è
quanto basta per favorire una perfetta cottura.
Il primo oggetto si conserva integro, ma diffusamente intaccato dalla ruggine, sul
secondo, invece, si registra anche una spaccatura lungo la piastra inferiore, che
risulta così mutila di una sezione.
Manifattura friulana, sec. XIX
Mestolo
Ferro battuto/ 57cm./ Inv. 1670
Grande mestolo con paletta concava perfettamente circolare e lungo manico
lineare con terminazione piegata a gancio. Vista la particolare forma dell’oggetto e
le sue notevoli dimensioni è possibile ipotizzare che il mestolo in esame fosse
utilizzato in un caseificio per attingere dalla caldaia il siero.
La diffusione della ruggine sulle superfici determina il pessimo stato conservativo
del manufatto.
Manifattura friulana, sec. XVII
Girarrosto a corda
Ferro/ 48,5x25x27,5cm./ Inv. 1399
Bibliografia: CICERI 1976, [p. 20]
Esposizioni: Pordenone 1976
Manifattura friulana, sec. XVIII
Girarrosto a molla
Ferro/ 48x32x25cm./ Inv. 1396
Bibliografia: CICERI 1976, [p. 23, 24]
Esposizioni: Pordenone 1976
Manifattura friulana, inizio sec. XVIII
Girarrosto a molla
Ferro/ 17,4x35,4x17,4cm./ Inv. 1397
Bibliografia: CICERI 1976, [p. 21]
Esposizioni: Pordenone 1976
Manifattura friulana, sec. XVIII
Girarrosto a corda
Ferro e legno/ 22,7x46x17cm./ Inv. 1398
Manifattura friulana, sec. XVIII
Girarrosto a corda
Ferro/ 40x32,5x27,2cm./ Inv. 1400
Maniafattura friulana, sec. XVIII-XIX
Girarrosto a corda
Acciaio e ottone/ 52x30x22cm./ Inv. 883
Per cucinare la carne sulle braci del focolare, mantenendola a debita distanza, il
pollame e la cacciagione venivano infilzati su un lungo schidione, al quale si
imprimeva un lento movimento rotatorio grazie all’utilizzo del girarrosto. Così si
assicurava alla carne una cottura omogenea. Dai primitivi girarrosti a manovella
derivarono complessi meccanismi costituiti da ingranaggi a ruote dentate, azionati
da una corda o a molla. La precisione con cui furono costruiti gli ingranaggi di
ferro dei girarrosto eguaglia solo quella che caratterizza l’arte degli orologiai e
invita ad un confronto con le macchine di orologi da torre usciti dalla Solari di
Pesariis. I girarrosti della collezione Ciceri comprendono sia esemplari a corda
(Inv. n. 883, 1398, 1399, 1400), azionati cioè da una corda arrotolata ad un
tamburo e progressivamente tirata da un peso, sia esemplari a molla (Inv. n. 1396,
1397), dotati di un meccanismo ad orologeria che veniva ricaricato da una
manovella e che emetteva un suono prima di scaricarsi del tutto. Fra tutti si
distingue il girarrosto n. 883 costituito da ruote dentate di ferro e acciaio a
sviluppo verticale con raffinate finiture in ottone, come i pomelli che decorano la
manovella di coronamento. Nessun dettaglio è lasciato al caso e così spiccano i
piedini morbidamente ripiegati e il punto d’innesto della vite che muove il primo
ingranaggio con terminazione zoomorfa a becco d’oca. Intorno al grande tamburo
inferiore è ancora avvolta la corda che un tempo azionava il meccanismo.
L’oggetto si conserva in ottimo stato, risparmiato dalla ruggine che
inevitabilmente ha compromesso tutti gli altri esemplari della collezione,
appartenenti, per altro, a epoche più remote come segnalò lo stesso Luigi Ciceri
nel catalogo della mostra pordenonese del 1976, datandoli al XVII e XVIII
secolo.
Manifattura friulana, sec. XVIII
Supporto per spiedo da girarrosto o fattorino
Ferro battuto e pietra/ 48x Ø. 17cm base/ Inv. 1634
Bibliografia: CICERI 1976, [p. 24, 25]
Esposizioni: Pordenone 1976
Complemento indispensabile al girarrosto con la funzione di sostegno per lo
spiedo è il fattorino. Il supporto in esame è costituito da base di pietra decorata da
motivi a foglie e da un ferro battuto che si sviluppa verticalmente a lingue di
fiamma, su ciascuna delle quali è possibile inserire la parte conclusiva dello
schidione per regolare la distanza della carne dalle braci.
Lo stato conservativo è complessivamente buono.
Manifattura friulana, sec. XIX
Treppiedi per catino lavamani
Ferro battuto/ 82cm./ Inv. 1485
Elegante e raffinato treppiedi per brocca e catino in ferro battuto. Le linee
morbide e sinuose che si sviluppano in volute decorative, i gigli stilizzati che
caratterizzano il canestro troncoconico nella parte inferiore, funzionale per
allocarvi la brocca, il corto braccio mobile a sostegno di leggeri panni di lino per
asciugare le mani, la cura di dettagli come i festoni che seguono l’anello del catino
e la testina zoomorfa che si inserisce lungo l’anello stesso, testimoniano della
poetica eleganza che seppe raggiungere il locale artigianato del ferro battuto
durante il XIX secolo.
Lo stato di conservazione risulta buono nonostante il processo di ossidazione
lasci emergere qua e là tracce di ruggine.
Manifattura friulana, sec. XIX
Attizzatoio da camino
Ferro/ 81cm./ Inv. 1666
Lunga e sottile asta appuntita con terminazione tripartita, atta forse a muovere e
sistemare la legna nel focolare. La ruggine che ne ha intaccato le superfici
determina il discreto stato conservativo dell’oggetto.
Manifattura di area friulana, sec. XIX
Cancelletto a due ante in ferro battuto
Ferro/ 65x54,20 cm/ Inv. 1496
Il cancelletto usato per la protezione e chiusura presenta un’elegante manifattura.
Il telaio ha spessore maggiore rispetto alla decorazione ottenuta dalla
composizione di elementi a ricciolo.
Manifattura di area friulana, XIX secolo
Forbici per tosare
Ferro/ 26 cm/ Inv. 1682
Le forbici per tosare si differenziano da quelle da sarto in quanto non sono
costitute da due lame incrociate e imperniate. Originate da un unico pezzo di
ferro piegato su se stesso simile alle molle per il fuoco. Alle estremità il metallo è
appiattito a formare due lame con base larga e vertice appuntito che di incrociano
premendo l’una verso l’alto.
Manifattura area friulana, sec. XIX-XX
Insegna segnavento
Ferro, tessuto/ 64x44 cm/ Inv. 1663
Insegna segnavento
Ferro dipinto/ 49 cm/ Inv. 1677
Insegna segnavento
Ferro, legno, ottone/ 149,8 cm/ Inv. 1498
Questo tipo di manufatto, attualmente in disuso, aveva la funzione di indicare da
quale parte il vento soffiava. In passato era importante poter analizzare questo
fenomeno in quanto diretto responsabile delle condizioni meteorologiche così
influenti per la lavorazione dei campi e la navigazione.
Posta fin dai tempi più antichi sopra case, torri, alberi delle imbarcazioni, era
costituita da una sagoma imperniata su di un asse che ruotava su se stessa a
seconda della spinta del vento.
Le banderuole potevano avere forme diverse, raffigurare stemmi, emblemi,
sagome animali e umane.
Gabbiette
Manifattura di area locale, sec. XIX
Gabbietta per volatili in due scompartimenti
Legno dipinto e ferro/ 42ca x 60 x 30 cm. max/ Inv. 1409
Gabbietta in ferro per volatili, ben conservata, divisa in due scomparti sormontati
da cupole al cui vertice è un tondino terminante a punta arrotondata, dipinto di
rosso. L’armatura in legno è colorata di verde (tranne la struttura delle cupole che
è dipinta di marrone). Su un lato lungo e sui due laterali, ulteriori vani, due dei
quali occupati da vaschette di ceramica, rimovibili. All’interno della gabbietta, due
piccoli recipienti in terracotta, sospesi, fissati agli angoli con fil di ferro. Per
ciascun vano, due trespoli posti ad altezze diverse. La gabbietta poggia su sei
piedini, tre per ogni lato lungo. Sei ganci a base circolare, tinti di rosso, che
richiamano i tondini ai vertici delle due cupole, sono posizionati agli angoli e alla
metà dei lati lunghi. Tra le due cupole, superiormente, anello di ferro per il
trasporto. Il ferro delle sbarre è piegato in diversi punti a comporre motivi
decorativi (ad arco, a volute, a spirale).
Manifattura di area locale, sec. XIX
Piccolo volatile in legno
Legno scolpito/ 7,3x8x9,5 cm/ Inv. 1410
All’interno della gabbietta Inv. 1409, riproduzione in legno scolpito di un
uccellino poggiante su un piedistallo circolare, in ottimo stato conservativo. La
coda e le ali sono rese con listelli di legno dal profilo ondulato, sovrapposti ed
aperti a ventaglio.
Manifattura di area locale, sec. XIX
Gabbietta per volatili a cupola con alla sommità un gancio
Ferro e legno/ 50 x 23 x 35 cm ca/ Inv. 1443
Esemplare di gabbietta dall’aspetto più rustico rispetto al precedente, inv. 1409. Si
compone di un unico vano a base rettangolare, quasi quadrata, su cui si innesta
una cupola a base ottagonale. Sulle due facce laterali si aprono due piccoli
scomparti sovrastati da stanghette piegate ad arco; al loro interno, vaschette di
legno munite di coperchio sul quale sono aperti due fori circolari, destinate
verosimilmente a contenere il mangime. Sui restanti lati, finestrelle sbarrate con
due assicelle di legno inchiodate allo scheletro ligneo della gabbietta. All’interno,
in corrispondenza di uno degli angoli, è fissato un anello in ferro, forse una staffa
per il sostegno di un contenitore d’acqua. Alla sommità della cupola, gancio in
ferro per il trasporto.
Manifattura di area locale, sec. XIX
Gabbietta a forma di capanna dipinta in verde e rosso
Ferro e legno/ 32,5 ca x 42 ca x 24 cm./ Inv. 1444
Gabbietta in buono stato conservativo che si distingue dalle precedenti (inv. 14091443) perché non provvista di cupola ma coperta da tetto a capanna. La struttura
è in legno, dipinto di marrone scuro in corrispondenza del tetto e di verde alla
base. Sui lati corti si aprono due piccoli vani, uno apribile dall’esterno attraverso
uno “sportello” verticale, l’altro sigillato. Alla base, sotto la griglia metallica, una
lamiera estraibile per la raccolta degli escrementi. All’interno, contenitore circolare
di vetro per l’acqua e vaschetta lignea rettangolare per il mangime. Al centro,
appeso internamente al tetto con fil di ferro, un piccolo dondolo.
Ferriperlapesca.Fiocine
Manifattura di area locale, sec. XVI-XIX
Fiocine
Ferro/ 28,5 cm. ca lungh./ Inv. 1529
Ferro/ 22 cm. lungh./ Inv. 1530
Ferro/ 21 cm. lungh./ Inv. 1531
Ferro/ 17,5 cm. lungh./ Inv. 1532
Fiocine a più denti di ferro con l’estremità inferiore aperta per consentire
l’inserimento di un manico di legno. I denti possono essere più o meno lunghi ed
appuntiti e concludersi con punte ad arpione.
Questo strumento, che nelle forme ricorda una forca, è prevalentemente usato per
la pesca dei mesi invernali, periodo dell’anno in cui si pratica anche la pesca a
braccio, alla quale si dedicano anche le donne. Le pescatrici, a partire dal mese di
ottobre si recano nei fondali bassi della laguna e qui, immerse fino alla cintola,
pescano il pesce direttamente con le mani.
La pesca con la fiocina è invece esclusivamente maschile: entrato in acqua con la
protezione di alti stivali, un tempo di cuoio ora di gomma, il pescatore trattiene il
bastone con due mani in modo da avere le punte metalliche rivolte verso il basso,
e scaglia la fiocina a infilzare i pesci, polpi ecc. che si muovono nelle basse acque
delle secche. Solitamente a nove denti, il fiocinino ne ha cinque.
Bibliografia: Maran…19??. Maran, Società Filologica Friulana, Udine?; CICERI
1976. L. Ciceri (a cura di), Storia del ferro battuto in Friuli dal 1500 al 1800, Udine. P.
Scheuermeier, Il lavoro dei contadini , foto 486, vol II; tesi di laurea: Manuela
Gargioli, Aspetti di vita marinara a Marano Lagunare, rel. G. Francescano, Università
degli studi di Trieste, facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 1979-80.
Utensiliinbronzo
Schede a cura di Antonella Ortogalli
MORTAIO
Sec. XIX/ Bronzo/ 9x11,3cm.Ø bocca/ Inv. 983
Mortaio con pestello
Sec. XIX/ Bronzo dorato/ 7,8x11cm.Ø bocca; 21,5cm. (lunghezza pestello)/
Inv. 1009
Mortaio
1825/ Bronzo/ 14,3x13,6cm.Ø bocca/ Inv. 1176
Mortaio con pestello
Fine sec. XIX/ Bronzo dorato/13x15cm.Ø bocca; 23cm. (lunghezza pestello)/
Inv. 1490
Bibliografia GORTANI 1965, p. 81
Il mortaio è un utensile di uso domestico costituito da una coppa realizzata in
materiale resistente, prevalentemente bronzo, corredato dal pestello per la
frantumazione del sale grosso o di piccoli quantitativi di cereali e per lo
sminuzzamento di erbe aromatiche o medicinali.
La collezione Ciceri ne conserva quattro esemplari ottocenteschi: i n. 1009 e 1490
sono completi di pestello. Il primo, in bronzo dorato, è caratterizzato da pestello
ad un’unica testa con nodo centrale e impugnatura con terminazione sferica. E’
abbinato ad un mortaio di forma cilindrica piuttosto tozza con bordi espansi alla
base e all’imboccatura, che gli conferiscono una forma a rocchetto. Il secondo ha
foggia troncoconica con orlo slabbrato e due maniglie a pomello, inserite in punti
diametralmente opposti della fascia centrale satinata. Presenta un pestello a doppia
testa con nodo centrale. Vi si legge il numero 8 inciso. Il n. 983 è, di tutti, il più
semplice con la sua forma troncoconica, base lievemente a calotta e due maniglie
sporgenti ed ora spezzate. Di grande interesse risulta invece il mortaio n. 1176
perché gli elementi decorativi che lo contraddistinguono si ricollegano alla
produzione carnica ottocentesca dei bronzini. La coppa, modanata alla base e con
orlo everso all’imboccatura, presenta una fascia centrale dove si susseguono sei
foglie di salvia suddivise in due gruppi dalle maniglie squadrate. Al di sopra di tale
fascia si legge la seguente iscrizione: A. 1825 AC, mentre sull’altra faccia
dell’oggetto è visibile la sigla G. S. F. Si tratta dell’anno d’esecuzione e delle iniziali
del committente. Michele Gortani, seguendo l’evoluzione formale dei bronzini fra
Sette e Ottocento, scrive che nel XIX secolo era d’uso “inserire nella parte
rigonfia del recipiente le iniziali del committente e la data di fabbricazione, cui si
aggiungeva talora come ornato un paio di foglie di salvia” (M. GORTANI 1965, p.
81). Evidentemente gli artigiani estesero queste caratteristiche ornamentali anche
agli altri oggetti bronzei da loro fabbricati.
Lo stato di conservazione dei manufatti è generalmente buono. Si può definire
ottimo nel caso del mortaio n. 1176, mentre è solo discreto nel caso del 983
intaccato da ossidazioni sulle superfici percorse anche da vistosi graffi dovuti
all’uso, cui si aggiungono le due maniglie non integre.
Manifattura carnica (Pesariis ?), 1749
Bronzino (bronzìn)
Bronzo e ferro/ 25x18,2cm.Ø bocca/ Inv. 1058
Manifattura carnica (Pesariis?), 1783
Bronzino (bronzìn)
Bronzo e ferro/ 19,5x14,5cm.Ø bocca/ Inv. 1060
Bibliografia: CICERI 1980, pp. X95, 105; NICOLOSO CICERI 1992, p. 54.
Manifattura carnica (Pesariis ?), 1812
Bronzino (bronzìn)
Bronzo e ferro/ 19,3x14cm.Ø bocca/ Inv. 1061
Manifattura carnica (Pesariis ?), 1870
Bronzino (bronzìn)
Bronzo e ferro/ 20x14,5cm.Ø bocca/ Inv. 1059
Manifattura carnica (Pesariis ?), sec. XIX
Bronzino (bronzìn)
Bronzo e ferro/ 21x16,2cm.Ø bocca/ Inv. 1056
Manifattura carnica (Pesariis ?), sec. XIX
Bronzino (bronzìn)
Bronzo e ferro/ 21,7x16,5cm.Ø bocca/ Inv. 1057
Le pentole panciute sostenute da tre piedi, chiamate bronzini in riferimento al
materiale di cui si compongono, mostrano una caratterizzazione formale adatta al
focolare aperto (fogolâr). La diffusione delle moderne cucine economiche (spolèr)
ne decretò la scomparsa e con essa, inevitabilmente anche la scomparsa degli
abili artigiani che con mezzi poveri e rudimentali erano in grado di forgiare
pentole di indubbio valore artistico, oggi ricercatissime da antiquari e
collezionisti. La Val Pesarina, e in particolare Pesariis di Prato Carnico, fu il fulcro
della produzione di bronzini. Se ne attesta la presenza anche in tutte le altre valli
del territorio friulano oltre che in quelle dolomitiche e austriache, ma mai tali
oggetti raggiunsero la perizia nella fusione del metallo e la grazia negli elementi di
decoro dei bronzini di Pesariis, dove, fino all’inizio degli anni cinquanta del
Novecento, molti studiosi friulani ricordano di aver incontrato l’ultimo custode
dei segreti di quest’arte (M. GORTANI 1925, pp. 136-139; A. CICERI – L. CICERI
1948, pp. 52-53; BERGAMINI 1994, p. 17). Gli strumenti da lavoro dei bronzinari,
spesso tramandati di padre in figlio, erano una cassa per fare gli stampi, stampi
d’argilla grossolana mescolata a frantumi di roccia e sterco di cavallo, le tavole
per tornirli, i crogioli di graffite. Non esisteva cucina che non esibisse serie
ordinate di tali pentole appese sotto il secchiaio di pietra in un rigoroso ordine di
grandezza: da quelli più piccoli della capacità di circa mezzo litro a quelli più
grandi che potevano contenere fino a dodici litri, orgoglio delle famiglie più
agiate. Durante la Grande Guerra alcuni esemplari di queste suppellettili
domestiche riuscirono a salvarsi dalla fusione, che già aveva sottratto ai campanili
la voce festante delle campane, per essere state nascoste sotto terra dai loro
legittimi proprietari.
La collezione Ciceri ne conserva ben sei accomunati dalla linea tondeggiante del
corpo impostato su snelli piedini e dalle due anse piegate a gomito e inserite
poco sotto l’orlo slabbrato per trattenere il manico mobile ad arco, realizzato in
ferro battuto. Se i n. 1056 e 1057 rappresentano le forme più comuni e semplici
con le superfici lisce e lucenti e i piedi dritti e percorsi da scanalature, gli altri
manufatti, invece, sono di grande interesse per gli interventi decorativi e le
iscrizioni che presentano. Appartengono al XVIII secolo i n. 1058 e 1060: il
primo reca la data 1749 entro un riquadro frontale dominato dalla presenza di un
cristogramma inserito fra due portapalme; il secondo è datato 1783 ed è
contrassegnato da un monogramma di Cristo intorno al quale si ripetono tre G e
due fiori entro una sagoma rettangolare a rilievo. In entrambi i casi i piedini dritti
sono abbelliti da decori vegetali e scanalature verticali. Ottocenteschi, invece,
sono gli esemplari contrassegnati dai n. 1061 e 1059. Differiscono dai modelli
appartenenti al secolo precedente per la caratteristica dei piedi arcuati, tipica del
XIX secolo, e per la presenza delle iniziali del committente. Il n. 1061 è datato
1812 entro una fascia dove si leggono anche le lettere PMSFF. Al di sopra un
cerchio centrale contiene il cristogramma ed è posto fra altre due forme circolari
con stilizzazioni floreali all’interno. Infine, il n. 1059 ci informa sull’anno
d’esecuzione, il 1870, e sulle iniziali del committente (L. F.) poste in linea con la
data.
I sei bronzini si conservano piuttosto bene: su alcuni i segni del tempo sono più
evidenti e si manifestano con saldature, crepe, superfici abrase, sbeccature lungo il
bordo e piedini non più originali, ma sostituiti.
Manifattura carnica, sec. XIX-XX
Piccola caldaia di bronzo o laveggio (lavèz)
Bronzo e ferro/ 10,2x10cm.Ø bocca/ Inv. 1000
Appartiene sempre alla tipologia dei laveggi questa piccola caldaia di bronzo con
corpo troncoconico dalla bocca leggermente maggiore rispetto alla base,
impostata su tre piedini snelli, le cui dimensioni sono quasi pari all’altezza del
corpo stesso. Due piccole espansioni ad orecchie interrompono il bordo dritto
della bocca e trattengono l’arco mobile che costituisce il manico smaltato.
Il manufatto risulta in buono stato senza manifestare particolari compromissioni e
conservandosi integro in tutte le sue parti.
Viste le minute dimensioni si può ipotizzare un uso limitato alla preparazione di
caffè o all’ebollizione di piccoli quantitativi d’acqua.
Manifattura carnica, seconda metà sec. XIX inizi XX
Caldaia di bronzo o laveggio (lavèz)
Bronzo e lega di bronzo smaltata/ 27x36,5cm.Ø bocca/ Inv. 1494
Il tozzo laveggio a forma di secchia tripodata si diffuse solo a partire dalla
seconda metà del XIX secolo accompagnando i più comuni bronzini nel corredo
delle cucine carniche. Anzi, spesso, questa tipologia di pentole si otteneva proprio
dalla fusione dei rottami dei bronzini stessi. Il termine con cui si identificano
deriva loro dal nome della pietra dalla quale in origine si ricavavano tali caldaie: il
laveggio o lavezzo che aveva lo svantaggio di essere piuttosto fragile, tanto da
necessitare di un rinforzo in ferro nella parte inferiore a contatto col fuoco. A
quanto pare, però, questo materiale consentiva una conservazione dei sapori e del
calore degli alimenti che nessun metallo è riuscito ad eguagliare. La diffusione dei
lavaggi di pietra si concentrava nell’Italia settentrionale e i principali luoghi di
produzione erano, come scrive Scheuermeier, la val Tellina, la val Maggia e
l’Ossola (SCHEUERMEIER 1983, p. 21). Visti i limiti del materiale lapideo ben
presto queste pentole furono costruite in bronzo mantenendo la forma originale
che consentiva di cucinare brodo di carne, polenta o un ottimo caffè a seconda
delle dimensioni e della capacità di questi paioli.
Il laveggio in esame presenta la caratteristica forma troncoconica con diametro di
base inferiore a quello della bocca, le cui dimensioni superano l’altezza
complessiva. Le pareti lisce si dilatano lungo il bordo in due orecchie (vorèles)
diametralmente opposte dove è inserito il manico semicircolare di ferro battuto
(cempli). Il corpo della pentola poggia su tre bassi piedini.
Lo stato di conservazione è buono: il lungo uso del laveggio è testimoniato dal
generale annerimento delle superfici dovuto al contatto diretto con il fuoco del
focolare aperto.
Manifattura carnica, sec. XIX-XX
Piccola padella di bronzo tripodata (antiàn)
Bronzo e ferro/ 5,9x6cm.Ø bocca/ Inv. 999
Bibliografia: A. CICERI – P. RIZZOLATTI 1991, p. 167.
La diffusione delle padelle si attesta in generale in tutta la penisola: vengono
realizzate in terracotta al sud e soprattutto in ferro o rame stagnato al nord. Le
dimensioni variano e molte cucine possedevano serie complete di varie misure.
Venivano usate per friggere in olio e burro la carne, le uova o le verdure.
L’oggetto della nostra collezione è un piccolo tegame dalle pareti basse e con
diametro di fondo e della bocca di uguali dimensioni. Si imposta su tre bassi
piedini per essere poggiato su focolare ed è completato da un manico di ferro
ripiegato a metà su se stesso e terminante con una forma a testa di serpente.
Lo stato conservativo risulta buono.
Le piccole dimensioni fanno intuire un uso legato allo scioglimento del burro o di
altri grassi solidi da usarsi poi come condimento sopra i cibi. L’oggetto è stato
pubblicato con il nome di antiàn o lantian da Andreina Ciceri, che precisa come
questo fosse il termine usato in val Pesarina per indicare una pentola “simile al
lavéc, ma molto più basso di bordo” sia esso di metallo o di terracotta (A. CICERI
– P. RIZZOLATTI 1991, pp. 159, 167).
Manifattura veneta (?), 1749
Alare da camino
Bronzo dorato e ferro/ 38,2x28x28,6 cm./ Inv. 1489
L’alare è costituito da un arco di ferro battuto, il montante, che sostiene una parte
frontale. Quest’ultima si sviluppa in altezza seguendo una sagoma vagamente
piramidale: si imposta su due piedini dai quali si dipartono motivi a volute e
fogliami che convogliano nel decoro a lira apicale, dove trova sede una graziosa
testina cherubica. Lo spiccato gusto settecentesco del fraseggio ornamentale
realizzato in bronzo dorato trova conferma nella data incisa su uno dei due
piedini, che reca l’anno 1749, accompagnato dalle iniziali del committente leggibili
sull’altro piede: S. M. A.
Lo stato conservativo è discreto: la parte terminale con testina di cherubino e il
piedino sinistro risultano spezzati e ricongiunti al resto in maniera rudimentale
mediante fascette di ferro inserite nella parte posteriore che, per altro, è
largamente compromessa da ossidazioni e muffe.
L’oggetto in esame è sicuramente l’elemento superstite di una coppia di alari
mobili a tre piedi con un solo montante che venivano collocati parallelamente sul
piano del fuoco. Alla luce dei caratteri formali e stilistici della decorazione si
esclude il suo utilizzo nell’ambito della cucina, dove tali manufatti sono improntati
ad un senso molto pratico escludendo spesso interventi di decoro o attenzioni di
tipo estetico. L’alare della collezione Ciceri risulta, dunque, un tipico accessorio da
caminetto a muro presente in un ambiente di rappresentanza di un palazzo
signorile.
Suppellettiliinottone
Schede a cura di Antonella Ortogalli
Manifattura locale, fine sec. XVIII inizi XIX
Scaldamani (s’cjaldìn)
Ottone balzato, inciso, e dipinto/ 18x16,5Øboccax14,2cm.Øpiede/ Inv. 982
Scaldamani dalla caratteristica forma a vaso con alto piede troncoconico e coppa
panciuta. Il piede, in lamina d’ottone, ha orlo arrotolato e superfici sbalzate con
stilizzazioni di motivi floreali e forme geometriche. Il corpo mostra per trequarti
della sua altezza il lucido metallo senza indulgere in decorazioni, che, invece, si
concentrano nella fascia superiore o bordo dell’imboccatura, percorso da disegni
floreali. La grata di copertura che lo completa presenta un raffinato intaglio
riproducente, entro una sagoma a stella, altri motivi vegetali. Il bordo,
caratterizzato da fori posti a distanza regolare l’uno dall’altro, testimonia
dell’originaria presenza del ragno che serviva ad appoggiate le mani per riscaldarle
o a trasportare l’oggetto.
Lo stato conservativo è discreto: il punto di congiunzione fra piede e coppa
mostra una vistosa spaccatura e lungo l’orlo della grata di copertura la lamina
d’ottone risulta spezzata in più parti.
Lo scaldamani in esame non è l’unico esemplare presente in collezione, ma
rappresenta la variante in ottone dei n. 1097 e 1099 realizzati in rame, alla scheda
dei quali si rimanda per un confronto e per un approfondimento riguardo all’uso
di tali manufatti.
Manifattura ignota, sec. XX
Ciotola
Ottone sbalzato e inciso/ 5,4x12cm.Øbocca/ Inv. 882
Manifattura ignota, sec. XX
Ciotola
Ottone sbalzato e inciso/ 5,7x11,8cm.Øbocca/ Inv. 1191
Le due piccole ciotole, di uso ornamentale più che pratico, presentano la
caratteristica forma emisferica con base lievemente schiacciata e orlo
dell’imboccatura arrotolato. Le superfici incise e sbalzate presentano elementi di
decoro esclusivamente sulle pareti esterne. Il manufatto n. 882 si caratterizza per i
motivi riproducenti una fitta vegetazione che suggerisce l’ambiente di una
rigogliosa foresta con la presenza di due animali, forse un leone e una gazzella fra
loro in posizione contrapposta. Sul fondo un grande fiore a cinque petali chiude la
decorazione. Il n. 1191 è percorso da un semplice motivo a nido d’ape.
La ciotola n. 882 si conserva in maniera ottima e per le caratteristiche decorative
potrebbe essere un prodotto di artigianato africano o per lo meno di ispirazione
africana. Discreto, invece, lo stato dell’altro oggetto in esame a causa della patina
di ossido che ne ha ricoperto le superfici interne.
Manifattura ignota, sec. XX
Piccola scatola
Ottone sbalzato e inciso/ 4,4x12,5x9,7cm.Øbocca/ Inv. 1112
La scatolina, realizzata in lamina d’ottone, ha forma ovale e coperchio
incernierato. E’ caratterizzata da basse pareti mosse da motivi vegetali stilizzati e
sbalzati che si reiterano in maniera ritmica e continua. Il coperchio è decorato da
un cartiglio centrale costituito da volute ed elementi floreali a sbalzo.
L’oggetto si conserva discretamente: si segnalano tracce di ceralacca internamente
e il distacco dell’orlo del coperchio, che, per altro, non risulta integro, ma privo di
una parte della lamina.
Si tratta di un manufatto di artigianato modesto del XX secolo riproducente
decori di gusto vagamente settecentesco.
Suppellettiliinpeltro
Schede a cura di Antonella Ortogalli
Manifattura ignota, 1613
Piccola scatola a quattro scomparti
Peltro/ 4,7x6,2x8,8cm./ Inv. 1027
La scatola si imposta su quattro piedini e ha forma quadrata con orli superiori
piegati a squadra su tre lati per far da guide al coperchio scorrevole e
completamente estraibile. Quest’ultimo elemento è coronato da pomello forgiato
a testina cherubica. Internamente gli spazi sono suddivisi in quattro settori.
Lo stato conservativo è discreto con superfici segnate da graffi e ammaccature,
che hanno compromesso soprattutto le parti intorno agli spigoli.
Sul coperchio, di fronte alla piccola testa di cherubino, si scorgono ancora due
marchi entro sagoma mistilinea con un’ancora sormontata da una stella e posta in
mezzo a due iniziali purtroppo illeggibili. Sulle pareti incisioni a mano libera
riportano la data 1613 interrotta a metà da una lettera A e le sigle R.F. e V.N. Fra
queste iscrizioni sono visibili anche due punzoni a sole raggiato.
Manifattura ignota (area tedesca?), 1744
Portavivande
Peltro/ 16,7x13,2cm. Øbocca/ Inv. 1130
Manifattura ignota, sec. XVIII
Portavivande
Peltro e rame/ 16x19x12,6cm./ Inv. 1174
Il portavivande contrassegnato dal n. 1130 è costituito da due contenitori cilindrici
impilabili con manici verticali rispettivamente inseriti a metà altezza. I manici
hanno contorno ondulato e feritoia centrale di forma rettangolare. Il coperchio,
caratterizzato da bordo liscio che delimita la calotta, presenta tre pomelli sferici
posti lungo la circonferenza segnata da incisioni lineari. Il manufatto, che si
conserva in ottimo stato, ci restituisce una gran ricchezza di sigle e marchi: il
contenitore superiore è segnato dal numero 1, posto fra semplici elementi di
decoro, le iniziali .O.R. e la data 1744, interrotta a metà da una corona d’alloro
entro cui si leggono le lettere J.W.V.P. L’altro elemento del portavivande mostra
gli stessi decori e le stesse iscrizioni salvo la presenza del numero 2 a sostituire l’1
del contenitore gemello. La data d’esecuzione e le sigle relative al committente
sono riportate anche al centro del coperchio. All’interno di entrambi i contenitori
due punzoni dalle forme a scudo sembrerebbero rimandare all’intricato sistema
degli emblemi di città e di corporazione tipici della manifattura di area tedesca se
non fosse che in questa zona vigeva l’obbligo della triplice punzonatura.
L’altro portavivande della collezione Ciceri (inv. 1174) presenta quattro vaschette
di forma ovale caratterizzate da basse pareti decorate e incise con stilizzazioni
floreali entro intrecci di nastri che si reiterano identici. I contenitori, impilabili fra
loro, sono dotati di coperchio dalla forma vagamente a pagoda con manico ad
arco, inserito entro due orecchie sporgenti al centro. Il portavivande ha un
sistema di sicurezza costituito da due fascette metalliche sagomate ad elle che,
agganciate alla coppia di asole poste alla base e ai due spuntoni che fuoriescono
dal coperchio, consente di garantirne la chiusura.
Buono lo stato di conservazione con tracce localizzate di ossidazione.
L’oggetto risulta privo di punzoni, ma spicca per l’indubbia perizia formale e per
gli interventi di decoro di gusto settecentesco che ne determinano il pregio,
distinguendolo dal portavivande n. 1130, esemplare di una cultura più modesta e
attenta all’essenziale praticità del prodotto.
Manifattura di area tedesca, 1758-1760
Borraccia
Peltro/ 15,8x7,2cm./ Inv. 1131
Manifattura di area tedesca, 1868
Borraccia
Peltro/ 21x9,3cm./ Inv. 1132
Manifattura di area tedesca, sec. XVIII-XIX
Borraccia
Peltro/ 21,5x10x7,2cm./ Inv. 1133
Le tre borracce hanno base a sezione poligonale (esagonale per quanto riguarda i
n. 1131 e 1132), pareti lisce e tappo a vite con anello apicale che trattiene la
maniglia mobile, generalmente di forma ovale irregolare con fitti dentelli di
decoro nel caso del n. 1132.
Buono è il loro stato di conservazione nonostante il passare del tempo sia
ampiamente testimoniato dalle superfici abrase, segnate da scalfitture e qualche
saldatura.
La borraccia n. 1131 reca sulle pareti la data 1758, le iniziali VS entro una corona
d’alloro, la sigla AMM posta al vertice di una struttura piramidale costituita da
brevi tratteggi, elemento ripetuto più volte sul fondo del contenitore, dove si
legge anche la data 1860, le sigle VS, SNS e SH in un assoluto disordine, forse
segno dei passaggi di proprietà dell’oggetto. Internamente un decoro floreale
inscritto in un cerchio occupa completamente il fondo.
Il manufatto n. 1132 è contraddistinto da un punzone a scudo con il campo
diviso a rombi, forse si tratta del segno distintivo della città di provenienza. Esso
si trova sul tappo e non è completamente leggibile. Su una faccia del prisma
esagonale che ne costituisce il corpo un’incisione rudimentale riporta la lettera G
seguita dall’anno 1868.
Infine, la borraccia n. 1133 presenta sul fronte le lettere MS.
Questa particolare tipologia di bottiglia, assai diffusa in ambito tedesco fin dal XV
secolo, veniva usata dai contadini quando si recavano in campagna per mantenere
il più a lungo inalterata la temperatura del vino in essa contenuto.
Manifattura di area tedesca, sec. XVIII
Ciotola con manici
Peltro/ 4x14,5cm. Øbocca/ Inv. 1125
Ciotola con manici e coperchio
Peltro/ 5x13,7cm. Øbocca/ Inv. 1175
Entrambe le ciotole hanno corpo a coppa con manici orizzontali. Solo nel caso
del n. 1175 l’oggetto è completato da un coperchio a calotta coronato da pomello
a foggia di gallo e decorato a motivi floreali interrotti da una corona, da una sigla
dagli intricati grafismi che intrecciano lettere in elegante corsivo, da un
medaglione con il busto di profilo di una figura maschile in assetto cesareo con
corona d’alloro in testa e da un altro medaglione, che fronteggia il precedente,
con profilo femminile dal lungo collo stretto da fili di perle. All’interno della
ciotola, la parte centrale è delimitata da una zona circolare lievemente convessa
che ospita la figura di un cavaliere e una sigla sormontata da corona. La sigla reca
al centro la lettera W fra due R, di cui la prima è rovesciata. Le maniglie inserite
lungo il bordo hanno forma a ventaglio. La ciotola n. 1125 risulta più modesta da
un punto di vista decorativo: spiccano gli importanti manici per l’espansione
verticale notevole e il contorno giocato su motivi curvilinei. Su uno di essi si rileva
il marchio del peltraio costituito da sagoma ovale contenente nella parte inferiore
uno spicchio di luna sormontato da una sorta di incudine a sua volta coronata da
tre stelle. Tutt’intorno si legge il nome dell’artigiano: DENIS ARCHIMBAVD.
Internamente il fondo è segnato da due cerchi concentrici incisi, entro cui è
inscritto un fiore.
Buono lo stato conservativo di entrambi gli oggetti. Si segnala il bordo smangiato
della ciotola n. 1125 e alcune spaccature oltre a segni di ossidazione nella parte
interna del n. 1175.
Simili oggetti venivano spesso scelti per essere donati in occasioni particolari
come matrimoni. Presso il Kunstgewerbemuseum di Dresda è conservata una
tazza da puerpera del 1748 con analoghe caratteristiche strutturali e una ricchezza
decorativa concernente il mondo femminile di straordinaria efficacia narrativa (cfr.
N. BOSCHIAN 1966, p. 129).
Manifattura ignota, sec. XVIII-XIX
Piatto con piedini
Peltro/ 5,4x23,3cm. Ø/ Inv. 263
Il piatto è sorretto da tre piedini zoomorfi ed è caratterizzato da orlo lievemente
rialzato e profilo irregolare. La superficie piana è segnata da cerchi concentrici
incisi.
Lo stato di conservazione del piatto è buono con una lesione in corrispondenza
di un piedino.
La tipologia, simile ad un’alzata, fa pensare ad un uso da piatto di portata o da
centrotavola.
Manifattura veneziana, sec. XVIII-XIX
Zuccheriera
Peltro/ 5x13,2x10,6cm./ Inv. 1189
La zuccheriera si imposta su quattro piedini zoomorfi ed è costituita da una
vaschetta con orlo slabbrato dal contorno mistilineo che determina il gioco
ondulato delle superfici. La forma è ovale. Sul fondo è a malapena visibile un
punzone, in cui pare di riconoscervi il leone in moleca della tradizione orafa ed
argentiera veneziana.
Lo stato di conservazione può essere giudicato discreto: si rileva la mancanza di
un piedino, la deformazione di un altro completamente piegato e la presenza di
tracce di ossidazione.
Manifattura ignota, sec.XVIII-XIX
Scatola con coperchio
Peltro/ 15x15,3cm. Ø/ Inv. 1491
La scatola ha forma cilindrica con pareti segnate da incisioni lineari riunite a
coppie ed equidistanti dal centro. L’orlo superiore è lievemente sporgente e
richiama la sporgenza del fondo. Il contenitore è completato dal coperchio di
foggia semplice con pomello a sfera posto al centro di un susseguirsi di cerchi
concentrici incisi.
Lo stato conservativo è buono: lungo il bordo del coperchio appare evidente una
saldatura, mentre le pareti presentano le consuete ammaccature e le superfici
graffiate, segno del lungo uso cui il manufatto fu sottoposto.
Il materiale conferisce un notevole peso all’oggetto che appartiene alla dotazione
domestica di un ambiente modesto.
Manifattura ignota, sec. XIX
Zuppiera
Peltro/ 19x23cm. Øbocca/ Inv. 970
Su piede di forma troncoconica, completamente ricoperto da decori incisi a
fogliame, si imposta il corpo della zuppiera. Esso presenta nella parte inferiore
arrotondata un susseguirsi di bugne lavorate a sbalzo che introducono alle pareti,
delimitate da bordi a corda in rilievo e percorse da fasce decorative con tralci di
piante e motivi geometrici. I manici verticali hanno forma di ventaglio. Il
coperchio è caratterizzato da cerchi concentrici che conferiscono un’ordinata
suddivisione degli elementi ornamentali incisi. Essi riprendono quelli presenti sul
corpo della zuppiera e fanno da corona al pomello lavorato a spicchi. Sotto la
pancia del contenitore si leggono le iniziali G.P., incise in maniera rudimentale
mediante un tratteggio a zig zag. Internamente, al centro dello spazio di fondo,
delimitato da cerchi concentrici, è incisa una figura di sole antropomorfo dai
linearismi geometrici molto accentuati.
Lo stato di conservazione è ottimo.
Manifattura ignota, sec. XIX
Piatto
Peltro/ 33,5cm. Ø/Inv. 696; 21,5cm. Ø/ Inv. 1126; 22,8cm. Ø/ Inv. 1127
Questi tre piatti appartengono ad una stessa serie come si evince dalle analogie
formali e decorative. Sono caratterizzati da orlo definito da motivo a corda e tesa
con bacellature. Il primo, quello di dimensioni maggiori, non presenta altri
interventi ornamentali eseguiti ad incisiome, mentre gli altri due sono accomunati
da un grande fiore centrale. Tale elemento, caratterizzato da linee di contorno
nette, è circondato nel caso del piatto n. 1126 da una fitta corona di gigli e nel
caso del n. 1127 da una cornice ad intreccio che ingloba forme circolari.
Se il piatto n. 696 si conserva in modo ottimo, possiamo definire buono lo stato
del n. 1126, dove si rintracciano segni di saldatura, e soltanto discreto è lo stato in
cui versa l’ultimo oggetto dal bordo smangiato e dalle diffuse traccie di
ossidazione sulla tesa.
Sul fondo del piatto più grande (inv. 696) si legge la sigla G.R.
L’uso decorativo di simili manufatti fu mantenuto anche dai coniugi Ciceri che
esposero tali piatti sulle rastrelliere del mobilio tradizionale friulano come
testimoniano molte fotografie della loro casa di Tricesimo. Essi potevano trovare
collocazione anche sulla mensola sopra il focolare della cucina.
La tipologia decorativa che informa questi piatti ha una tradizione che risale al
Rinascimento quando i peltrai copiavano il lavoro degli argentieri inserendo lungo
la tesa dei loro manufatti decori robbiani con fiori e frutti a rilievo, unica
caratteristica che distingue i piatti in esame da quelli cinquecenteschi conservati in
collezione privata a Trieste e pubblicati da Nada Boschian nel 1966 (N. BOSCHIAN
1966, p. 38).
Manifattura locale, sec. XIX
Piatto con manici
Peltro/ 32,5cm. Ø/ Inv. 1123
Copia di piatti con manici
Peltro/ a: 29cm. Ø, b: 30cm. Ø/ Inv. 1128a, b
Piatto con manici
Peltro/ 31,5cm. Ø/ Inv. 1181
Piatto con manici e sottopiatto a cerchio
Peltro/ 36cm. Ø/ Inv. 1124
Piatto con manici
Peltro/ 32,4cm. Ø/ Inv. 1484
La collezione Ciceri conserva sei grandi piatti con manici che per le comuni
caratteristiche strutturali possono essere ritenuti o degli eleganti centrotavola, in
particolare quelli con sviluppo verticale delle pareti (inv. 1124, 1181, 1484), o dei
piatti da portata utilizzati nelle occasioni importanti, come quelli con la tesa liscia.
I manici sono di due tipi: pieni e a forma di ventaglio nel caso dei numeri 1123 e
1181 oppure vuoti e con andamento irregolare in tutti gli altri casi. Solo il piatto
inventariato con il n. 1484, dalla forma molto simile ad un bacile, è dotato di
maniglie mobili trattenute da anelli saldati lungo la circonferenza. Va segnalata
inoltre la presenza, in abbinamento al manufatto n. 1124, di un piede di sostegno
mobile da porre sotto il piatto con l’intento di conferirgli un aspetto da alzata
classica. Sul bordo esterno di questo piatto sono incise le iniziali V.T. Anche gli
altri oggetti sono contrassegnati da sigle e punzoni: il n. 1123 reca la sigla M.C. sul
verso, mentre sul bordo si legge la lettera F.; il n. 1181 presenta la sigla G.F. sul
fondo; il n. 1484 mostra un punzone a sagoma circolare illeggibile.
Si può definire ottimo lo stato conservativo del piatto n. 1124, buono quello della
coppia 1128a e b rilevando solo una crepa lungo la tesa in corrispondenza di una
maniglia del secondo, e discreto in tutti gli altri casi per la presenza di scalfitture,
superfici assottigliate e consunte, zone diffuse di ossidazione e bordi spesso
smangiati.
Manifattura locale, sec. XIX-XX
Cucchiaio
Peltro/ 35,5cm./ Inv. 1205
Tre cucchiai
Peltro/ da 18 a 21,3cm./ Inv. 1535a, b, c
Fra i quattro cucchiai di forma comune si distingue il n. 1205 sia per le notevoli dimensioni, che lo
rendono adatto a servire in tavola alimenti di una certa consistenza come potrebbe essere il riso, sia
per i decori a zig zag lungo il manico, dove si leggono le sigle G.D.G. (presente anche sul cucchiaio n.
1535c) e B.V.B., sigle entrambe punzonate. Sono presenti motivi di decoro lineari e puntiformi anche
sul retro del manico del cucchiaio n. 1535b.
Risulta buono lo stato conservativo di tutti gli oggetti con piccole scalfitture e graffi sulle superfici di
manico e paletta.
Manifattura locale, sec. XIX-XX
Portatovagliolo
Peltro/ 3,8x5,5cm. Ø/ Inv. 1354
Il portatovagliolo in esame ha forma di rocchetto con strozzatura accentuata
lungo la fascia centrale, interessata da incisioni a motivi geometrici costituiti da
giochi di linee ondulate. Lo stato di conservazione è ottimo.
Manifattura locale, prima metà sec. XX
Stampo doppio per dolce
Peltro/ 3,5x7,5cm. Ø/ Inv. 1149; 4,5x7,5cm. Ø/ Inv. 1150; 3x7,5cm. Ø/ Inv.
1151; 3x7,5cm. Ø/ Inv. 1152; 8,5x10cm./ Inv. 1153; 8,5x10cm./ Inv. 1154
Gli stampi doppi a cerniera, tipici dell’alta cucina nella prima fase della loro
diffusione, furono adottati in ambito domestico per la realizzazione di dolci con
decorazioni su entrambi i lati. I dolci potevano essere di pasta frolla, di pasta
sfoglia o poteva trattarsi della cotognata o persegada, a base di mele cotogne e
zucchero, cui si fa riferimento in un lacerto di foglio scritto a mano e rinvenuto
entro lo stampo n. 1153.
I quattro stampi inventariati dal n. 1149 al n. 1152 appartengono ad un'unica
serie. Sono costituiti da due parti cilindriche incernierate fra loro. Internamente, i
due dischi che li compongono mostrano elementi di decoro realizzati a stampo.
Uno dei due dischi è identico in tutti gli stampi e presenta una sorta di ruota
raggiata mentre l’altro varia in ciascuno: il n. 1149 è caratterizzato da un girasole,
il n. 1150 da un grappolo d’uva, il n. 1151 da linearismi geometrici convergenti al
centro e il n. 1152 da una pera.
E’ uno stampo doppio a forma di agnello il n. 1153, mentre il successivo ha
forma di grappolo d’uva. Entrambi sono contrassegnati da una sigla: E.E.. Due
piccole sporgenze lungo i bordi di ciascuna metà degli stampi costituiscono le
leve per facilitarne l’apertura.
Lo stato conservativo di tutti gli oggetti è generalmente ottimo. I segni dell’uso si
limitano a piccole deformazioni, forse indotte dal calore del forno per la cottura
dei dolci, graffiature sulle superfici e, in alcuni casi, lievi sconnessioni delle
cerniere.
Suppellettiliinrame
Schede a cura di Antonella Ortogalli
Manifattura locale, sec. XIX
Catino
Rame/ 9,5x30,5cm.Øbocca/Inv. 876
Tradizionale catino la cui funzionalità domestica è sottolineata dall’assoluta
essenzialità formale e dalla totale mancanza di interventi decorativi sulle superfici.
La forma vagamente tronco-conica presenta base circolare più stretta rispetto alla
circonferenza della bocca, circonferenza delineata da bordo everso ed arrotolato
su se stesso. In un punto della circonferenza, al di sotto del bordo, è inserita
mediante ribattino una sottile lamina a nastro ora spezzata, ma in origine supporto
per trattenere un gancio che consentiva di appendere il manufatto.
Lo stato di conservazione dell’oggetto testimonia visibilmente il lungo uso dello
stesso: le superfici sono consunte e abrase, numerose sono le ammaccature e
tracce di verderame si riscontrano sul fondo.
Le dimensioni contenute del catino ce lo fanno riconoscere come bacinella molto
diffusa nelle abitazioni fino alla prima metà del Novecento principalmente con la
funzione di lavamani. Per l’uso pratico che se ne faceva, il manufatto risulta una
dotazione domestica indispensabile costituendo così uno dei più frequenti doni
nuziali.
Manifattura locale, sec. XIX
Secchio da pozzo (cjaldîr)
Rame stagnato internamente e ferro/ 20x21cm.Øbocca/Inv. 877
Fra gli oggetti più diffusi non solo nella nostra regione, ma in tutta l’Italia
settentrionale, si annoverano i secchi di rame che servivano per il trasporto
dell’acqua dai pozzi o dalle fontane pubbliche della piazza paesana all’abitazione,
dove la loro funzione diveniva quella di recipienti per la conservazione
dell’acqua, riservata ai più svariati scopi domestici. I secchi venivano di norma
utilizzati a coppia per bilanciarne il trasporto attraverso l’arco di legno con
terminazioni a gancio, il bujnc, portato a spalla. Dai secchi spesso si attingeva
direttamente per bere mediante un mestolo a manico lungo realizzato in rame, ma
anche in latta o in legno (cop). Nelle case i secchi trovavano collocazione al di
sopra dei grandi acquai di pietra (seglârs), appesi a lunghi ferri decorati dotati di
ganci (fiârs di seglâr), presenti anche nella collezione Ciceri (inv.1499 e inv.1500).
Dovendo far bella mostra di sé nelle cucine le superfici di tali secchi venivano a
volte impreziosite da fasce con motivi vegetali o zoomorfi a sbalzo o punzone,
frutto di vere abilità artigianali.
Il secchio in esame è un contenitore a calotta con sviluppo in altezza di
dimensioni quasi pari al diametro della bocca. Il bordo liscio è modellato in un
punto della circonferenza a becco per favorire le operazioni di versamento
dell’acqua. Un accenno di espansione ad orecchie (voreles) diametralmente opposte
introduce alle due asole in ferro ribattute nella parte interna del secchio poco sotto
il margine. Le asole trattengono un manico movibile ad arco anch’esso di ferro
battuto (cempli). L’arco è completato da anello apicale, utile per facilitare il
trasporto del secchio mediante il bujnc (cfr. inv.1808). L’unica concessione
all’ornato si riscontra nelle due file di lievi tratteggi trasversali incise nella parte
superiore dell’oggetto.
Lo stato di conservazione si giudica discreto per le evidenti crepe delle superfici
assottigliate dal lungo uso, per le diffuse chiazze di verderame nelle parti interne e
per l’avanzata ossidazione degli elementi in ferro battuto.
Tale secchio non ha alcuna pretesa di dignità artistica, a differenza di molti cjaldîrs
conservati presso le principali raccolte etnografiche della nostra regione (Museo
Friulano delle Arti e Tradizioni popolari di Udine o Gortani di Tolmezzo per
citarne solo alcuni), ma rappresenta uno strumento atto a soddisfare esigenze
meramente pratiche dell’attività domestica come dimostra l’attenzione riservata
unicamente alla funzionalità.
Manifattura locale, fine sec. XIX inizi XX
Pentolone con coperchio
Rame, ottone e ferro/ 48,5(con coperchio, senza 29cm.)x43cm.Ø/Inv. 886
Manifattura locale, fine sec. XIX inizi XX
Pentolone con coperchio
Rame e ottone/ 51(con coperchio, senza 38,8cm.)x42cm.Ø/Inv. 976
Recipienti di grandi dimensioni, adatti per il trasporto dell’acqua e per la sua
conservazione. I due pentoloni di rame con coperchio sono analoghi nelle
forme: entrambi si impostano su piede che si restringe in altezza e si salda al
corpo della pentola dalla struttura tronco conica con circonferenza delle bocca
maggiore rispetto a quella della base. Le pareti lisce sono mosse da due cordoli a
sbalzo poco sotto il margine e all’attaccatura del piede. I coperchi conici a balze
hanno vertice a cupola con pomelli d’ottone forgiati a vaso. I due manufatti si
distinguono per la tipologia dei manici: verticali, squadrati e in ferro battuto quelli
del pentolone n. 886, ad orecchie con ampio foro centrale per la tradizionale
maniglia ad arco quelli, realizzati in rame, del n. 976. Quest’ultimo manufatto,
inoltre, presenta un decoro a merlatura sbalzata lungo le superfici del piede che
poi si ripete con maggior discrezione al di sotto dell’orlo. Internamente presenta
anche un fondo lievemente a calotta, rispetto al fondo piatto dell’altra pentola.
Questo particolare ci permette di ipotizzare la possibilità che si tratti di un grande
paiolo da formaggio riutilizzato, “rivestito” di nuovo rame e, dunque, adattato ad
una nuova funzione. Tale ipotesi sarebbe confermata anche dalle condizioni delle
superfici interne che appaiono visibilmente consunte, di spessore molto sottile
tanto da rompersi facilmente e con vistose crepe già presenti. Forse l’avvento
delle cucine economiche (spolèrt) subito dopo la Grande Guerra, cosa che
determinò il cambiamento di gran parte della dotazione di pentole e utensili,
comportò anche il riassetto di vecchi strumenti domestici: l’alto piede che
accomuna entrambi gli oggetti in esame risulta infatti funzionale alle piastre delle
nuove cucine e quindi i due pentoloni di rame furono forse utilizzati per riscaldare
grandi quantità d’acqua.
In generale lo stato di conservazione risulta buono. Si segnala la condizione non
stabile del pesante pomello da coperchio del n. 886.
Manifattura locale, seconda metà sec. XIX
Coperchio con manico (covertòrie)
Rame battuto, modellato e inciso/ 13cm.Ø; 19,4cm. con manico/Inv. 985a
Rame battuto, modellato e inciso, ferro/ 12cm.Ø; 19cm. con manico/Inv. 985b
Rame battuto, modellato e inciso, ferro/ 10,6cm.Ø; 17,1cm. con manico/Inv.
985c
Rame battuto, modellato e inciso/ 13,8cm.Ø; 20,2cm. con manico/Inv. 985d
Rame battuto, modellato e inciso, ottone/ 18,6cm.Ø; 22,8cm. con manico/Inv.
985e
Rame battuto, modellato e inciso/18,8cm.Ø; 25,8cm. con manico/Inv. 985f
I manufatti rappresentano la più comune tipologia di coperchio in rame a forma
circolare con manico fissato al centro mediante un perno che lo rende orientabile.
La parte terminale dei manici è forgiata ad asola per poter appendere i coperchi
sulla piattaia o sul focolare. Tutti gli esemplari della collezione presentano
analoghe caratteristiche formali salvo varianti nell’uso dei materiali che
compongono il manico stesso: eseguito in rame nella maggior parte dei casi (985a,
d, f), in ferro battuto (985b, c) e in ottone in un unico caso (985e). La calotta
lievemente sbalzata, che costituisce il coperchio, è rifinita da bordo liscio in modo
da consentire un’adeguata adesione alla circonferenza delle pentole. Le superfici
sono ingentilite da decori a punzone disposti secondo cerchi concentrici. I motivi
attingono a repertori semplici di disegni geometrici o di stilizzazioni floreali che si
ripetono anche lungo il manico, fatta eccezione di quelli realizzati in ferro,
entrambi privi di decorazioni. Gli unici coperchi che appartengono ad una stessa
serie sono proprio quelli contraddistinti dal manico di ferro: gli oggetti
contrassegnati dalle lettere b e c sono realizzati con lamina di rame molto sottile
tanto da risultare i più compromessi dal trascorrere del tempo con sbeccature
lungo i bordi e vistose crepe sulle superfici percorse da incisioni ad archetti. Tutti
gli altri coperchi si conservano in buono stato e risultano integri in ogni loro parte.
Manifattura locale, fine sec. XIX – inizi XX
Coperchio (covertòrie)
Rame battuto, modellato e inciso/18cm.Ø/Inv. 986
Il coperchio, realizzato in rame con rivestimento di stagno nella parte interna,
presenta bordo ondulato e decori geometrici incisi con motivi cuneiformi nella
parte più esterna della superfici e piccoli cerchi reiterati con una certa regolarità
nella parte più interna, lasciando completamente liscia la calotta centrale che
ospita un vezzoso pomello a bocciolo quadripetalo.
Si registra un discreto stato conservativo compromesso da localizzate tracce di
ossidazione e da alcune sbeccature lungo il bordo.
Manifattura locale, inizi XX
Stampino per dolci a forma di stella
Rame battuto, modellato e inciso/12x13,5cm./Inv. 987
Stampino modellato a stella a cinque punte con occhiello saldato su una delle
punte e piccolo foro al centro. Più che per un utilizzo vero e proprio nell’ambito
della preparazione di dolci il manufatto pare avere una funzione decorativa.
Manifattura locale, sec. XIX
Coppia di stampini per dolci
Rame battuto, modellato e stagnato internamente/ 3,6x6,5cm.Ø/Inv. 988a,b
Stampino per dolci
Rame battuto, modellato e stagnato internamente/ 2x7,8x5,7cm./Inv. 989
Gli stampi di piccole dimensioni, adatti per budini o gelatine da una porzione,
ebbero anche funzione decorativa come testimoniano i ganci ad anello saldati
lungo il bordo per l’affissione a muro. La coppia contrassegnata dal n. 988 ha
forma di cupola con fronte circolare liscio dal quale si dipartono minute e fitte
coste che conferiscono al bordo un andamento ondulato. Lo stampino
inventariato con il n. 989 invece ha la caratteristica forma a melone con coste
lievemente accennate sulla superficie. Buono lo stato di conservazione.
Manifattura locale, fine sec. XIX – inizi XX
Stampo per dolce
Rame battuto, modellato e stagnato internamente/11x16,9cm.Ø; 12x17cm.Ø;
13,5x20cm.Ø; 11x18,5cm.Ø; 8x20,5x19,2cm; 12x23cm.Ø/Inv. 990a, 990b, 990c,
990d, 990e, 990f
La serie di sei stampi presenta una vasta gamma di forme a testimonianza di come
l’artigianato del rame si sbizzarrisse in questa particolare tipologia di prodotto. Si
riscontrano elementi decorativi già presenti in simili manufatti nei secoli
precedenti, ma la novità può essere rappresentata dalla presenza in tutti gli stampi
di un gancio lungo il bordo della bocca che testimonia come tali oggetti facessero
poi bella mostra di sé sulle pareti della cucina a riprova di come il rame costituisse
un metallo di pregio da mostrare agli ospiti. Gli stampi venivano utilizzati per dar
forma a budini e gelatine di frutta sia in ambito domestico che nelle pasticcerie. Il
secolo XIX ce ne ha restituiti un gran numero con un’incredibile ricchezza di
varietà formali.
Gli stampi della collezione Ciceri presentano un bordino everso ed arrotolato su
se stesso (all’interno di norma veniva inserito un sottile anello di ferro per
garantire stabilità) che introduce ad una fascia sgombra da elementi di decoro
presente nella maggior parte degli esemplari in esame, fatta eccezione del 990c
dove si susseguono motivi a triangoli sbalzati. Solo il 990e, dalla tipica forma a
conchiglia, non presenta tale caratteristica. Le pareti poi sono modellate a corolla
con motivi a riccio (990a), a coste (990b,c), a vortice (990d), a spicchi (990f).
Quest’ultimo si distingue per la decorazione a stella sul fronte. I sei oggetti, che si
conservano in buono stato, sono tutti stagnati internamente.
Manifattura locale, sec. XIX
Stampo per dolce
Rame battuto, modellato e stagnato internamente/ 12x21,7cm.Ø/Inv. 991
La particolarità di questo stampo per dolci dalla comune forma tronco conica con
pareti percorse da costolature dall’andamento a spirale è il fronte dove spicca
l’immagine sbalzata di un ufficiale raffigurato a mezzo busto in posizione
frontale. Il volto è caratterizzato da folti baffi, moschetto e occhi stranamente
chiusi. Sulla divisa non mancano le mostrine.
Lo stato di conservazione è buono.
Numerosi sono gli elementi figurativi che si riscontrano sul fronte degli stampi
per dolci in epoca ottocentesca: più tradizionali sono i frutti come il grappolo
d’uva, la pera e l’ananas, o gli animali come i pesci, ma non sono infrequenti anche
i ritratti o i simboli araldici (cfr. Rame d’arte. Dalla preistoria al XX secolo nelle Alpi
centro – orientali, catalogo della mostra di Trento a cura di U. Raffaelli, Trento
1998).
Manifattura locale, sec. XIX
Stampo per biscotti
Rame battuto, modellato e stagnato internamente, ferro/ 7,5x25cm.Ø (senza
manici, con 30,5cm.)/Inv. 992
Stampo di forma circolare dotato di semplici manici squadrati e orizzontali
realizzati in ferro come i sottili piedini su cui si imposta. Manici e piedini sono
ribattuti lungo il basso bordo a squadra. La superficie circolare dello stampo
presenta 18 formine interne emisferiche ottenute a sbalzo e funzionali per la
realizzazione e la cottura di biscotti. Si conoscono analoghi utensili da cucina con
svariate forme, a stella, a conchiglia a cuore e altre, compresenti in uno stesso
stampo (cfr. Rame d’arte 1998, p. 283).
Lo stato conservativo è discreto a causa delle parti ferrose intaccate da
ossidazione e per la mancanza di uno dei tre piedini.
Manifattura locale, sec. XIX
Cuccuma o bricco per caffè (cògume)
Rame battuto, modellato e stagnato internamente/ 22,5x11cm.Øbase,
18,2x8cm.Øbase, 13,2x7,6cm.Øbase, 17,5x9cm.Øbase, 16x7,5cm.Øbase,
9,7x4,6cm.Øbase, 13,2x5,5cm.Øbase, 15,4x9cm.Øbase, 7,1x5cm.Øbase,
12,3x5,5cm.Øbase, 15x7cm.Øbase, 10,4x5,5cm.Øbase, 11,3x4,5cm.Øbase,
11,7x6cm.Øbase, 10,8x5cm.Øbase/ Inv. Dal 1002° al 1002q
Con la diffusione ottocentesca della bevanda del caffè e dei suoi surrogati si assiste
ad un incremento della domanda di cuccume che entrano nella cucina di ogni casa.
Esse hanno forma tradizionale ad anfora con parte inferiore panciuta per aumentare
la superficie a contatto con la fiamma e sveltire così i tempi di riscaldamento
dell’acqua, beccuccio, coperchio incernierato ed ansa. Di norma non presentavano
alcun elemento decorativo (per la costruzione delle cuccume si rimanda a Rame
d’Arte…1998, p. 178). Si faceva poco uso del caffè che si doveva acquistare crudo a
grani ancora verdi da abbrustolire con il tostino (brustulìn) e macinare con l’apposito
macinino (vedi inv. 1100). Più comune era l’orzo o il surrogato di cicoria. Aldo
Madotto ci fa sapere che “un tempo, al posto del caffè o del suo surrogato, si
adoperavano i semi di uva tostati o pestati in un piccolo mortaio di legno o di pietra,
e il granoturco abbrustolito e macinato. Questo dai più poveri, quando la miseria era
maggiore” (in Vivere fra le montagne, Udine 1987, p. 87). Il caffè si faceva anche con
soia, fave o ghiande ed era il cosiddetto caffè di cjamp per la merenda dei boscaioli,
come scrive Andreina Ciceri in Vita Tradizionale in Val Pesarina (Udine 1991, pp.
175, 182). Il caffè o le altre simili bevande venivano assunte più volte nell’arco della
giornata anche perchè attenuavano gli stimoli della fame. Era poi gesto di ospitalità,
cosa che vige tutt’ora, offrire il caffè a chiunque venisse in visita specialmente se si
trattava del parroco, cui era riservata la preziosa scorta di caffè genuino.
La collezione conta bel quindici cuccume da caffè di cui soltanto alcune
appartengono ad una stessa serie: quelle contrassegnate dal n. d’inventario 1002m e
1002q accomunate dalla stessa struttura con basso piede svasato verso il basso,
corpo panciuto segnato dal beccuccio squadrato e ben delimitato da linee incise,
coperchio a cupola con pomellino in rame e ansa su cui si notano quattro puntini
punzonati. Esemplari sopravvissuti di una stessa serie sono anche i n. 1002d e
1002e che si distinguono per il beccuccio segnato da due profondi solchi che si
perdono nel corpo panciuto, per i coperchi accentuatamente emisferici e per le anse
con terminazioni a testa di serpente. A tale serie forse appartiene anche la cuccuma
1002n, ma lo stato conservativo fortemente compromesso (presenta ansa spezzata
in due punti, beccuccio completamente sformato e coperchio privo di pomello) non
permette di stabilirlo con certezza. Per quanto riguarda gli altri manufatti va
segnalato il n. 1002a, che si conserva integra in tutte le sue parti, per la pesantezza
e la capienza che la rende adatta alle grandi occasioni. La 1002c, invece, è una
cuccuma di medie dimensioni ed è caratterizzata da una forma particolare che la
differenzia dalle altre. Infatti, essa presenta un corpo con pancia molto espansa
delimitata da un gioco di incisioni lineari, al di sopra del quale si sviluppa in
maniera particolarmente slanciata verso il margine dove è incernierato il
coperchio di forma quasi cilindrica con levetta che permette di sollevarlo. Inoltre,
un ansa raffinatissima, che si assottiglia dall’alto verso il basso fin dove un
ribattino la salda al corpo del bricco, completa l’oggetto. Va ricordata anche la
1002o per la forma sferica della pancia con la massima circonferenza evidenziata
da un cordolo a rilievo. Il coperchio è piuttosto piatto ed è incernierato nel punto
dal quale ha origine un ansa sinuosa e molto larga. All’interno l’incisione di due
freccette indica i livelli di riempimento per l’acqua. Tutti gli altri esemplari
rispondono alle forme più tradizionali e in linea generale possiamo dire che si
conservano discretamente con ammaccature che ne testimoniano il lungo uso.
Manifattura locale, sec. XIX
Cuccuma o bricco per caffè (cògume)
Rame battuto, modellato e stagnato internamente/ 37x19,5cm.Øbase/Inv. 1003
Di grande interesse e bellezza formale questo esemplare di grande cuccuma di
rame forse faceva parte della dotazione di utensili da cucina di qualche luogo di
ristorazione pubblica visto la notevole capienza. L’oggetto presenta un corpo
troncoconico con netta strozzatura nella parte superiore riservata al beccuccio
ben disegnato da linee di contorno nette e con orlo arrotolato. Il coperchio
panciuto è dotato di leva che si salda alla cerniera da dove ha inizio anche l’ansa
che si svolge ampia per poi aderire alle superfici del corpo e terminare a testa di
serpente. Gli elementi di decoro sono dati dalla stessa battitura del rame che crea
raffinati giochi di luce e suggerisce motivi ad intreccio disposti su due fasce
parallele nella parte inferiore del prezioso manufatto. Lo stato conservativo è
ottimo e la buona qualità del rame si riscontra nella lucentezza dai riflessi dorati.
Manifattura locale, fine sec. XVIII inizi XIX
Scaldamani (s’cjaldìn)
Rame battuto, modellato e inciso, ottone e ferro battuto/ 17,2x19cm.Øbase/Inv.
1097
Manifattura locale, inizi sec. XIX
Scaldamani (s’cjaldìn)
Rame battuto, modellato e inciso, ottone/ 22x12cm.Øpiede/Inv. 1099
Lo scaldino portatile è definito da Paul Scheuermeier come “mezzo di
riscaldamento individuale” che, riempito di braci ardenti fra due strati di cenere,
veniva utilizzato soprattutto dalle donne per scaldare le mani o per appoggiarvi
sopra i piedi. Lo studioso prosegue precisando che “le donne lo tengono quasi
sempre in grembo, in Sicilia anche sotto la gonna” (in Il lavoro dei contadini…1983,
p. 78). In Italia centro-meridionale è realizzato prevalentemente in terracotta,
mentre al nord si prediligono i metalli: il rame, l’ottone e la lamiera. Le superfici
metalliche concedono ampio spazio ad interventi decorativi spesso ispirati a
simboli e temi amorosi come i fiori e i cuori visto che tale oggetto era un dono
molto diffuso fra fidanzati.
I due scaldamani di rame della nostra collezione presentano caratteristiche formali
molto diverse: il primo (inv. 1097) è costituito dal contenitore per le braci a forma
troncoconica espansa alla base lievemente a calotta. Le pareti sono percorse da
una fascia a rameggi e fogliami punzonati fra due bordi a cordoncino. Su tale
fascia si impostano anche due borchie d’ottone a forma di stella, una stella
ottenuta dall’alternarsi di grappoli d’uva e foglie di vite, con terminazione ad
anello, entro cui si inserisce un manico ad arco di forma irregolare. Il coperchio,
incernierato al margine superiore del contenitore, è aperto a forma di ragno,
realizzato in ottone. Il sistema di chiusura del coperchio è garantito da un gancio
in ferro battuto.
Il secondo scaldamani (inv. 1099) ha struttura a vaso con piede troncoconico,
decorato da motivi lineari e puntiformi sbalzati, su cui si imposta il corpo
panciuto ad ampia bocca definita da un orlo dritto mosso da una fitta successione
di piccole forme emisferiche. Due piccoli anelli, uniti mediante ribattini al margine
superiore dello scaldino, trattengono un manico ad arco sagomato nella parte
apicale a cerchio. Il coperchio ad innesto è costituito da una lamina di rame
traforata a disegni geometrici e curvilinei, su cui si imposta il ragno d’ottone,
fissato con ribattini.
In entrambi i casi lo stato di conservazione può dirsi generalmente buono: la
copertura a ragno non è giunta integra, ma priva di alcune zampe, chiazze di
verderame sono presenti all’interno dello scaldino n. 1097 e sulla grata del
coperchio del n. 1099.
Il modello a vaso si ripete con varianti stilistiche anche nello scaldino inventariato
con il n. 982, presente nella stessa collezione e schedato a parte in quanto
costituito da lamina d’ottone.
Manifattura locale, sec. XIX
Secchiello
Rame battuto, modellato, inciso e stagnato internamente, ferro battuto/
23,5x16,4cm.Øbocca/Inv. 1101
Contenitore per la conservazione dell’acqua dalla forma allungata e vagamente
cilindrica con base più stretta rispetto all’imboccatura dall’orlo everso. Poco sotto
il margine le superfici sono modellate a doppio cordoncino. Due borchie con
anello in ottone sono fissate mediante tre ribattini ciascuna sotto l’orlo in punti
diametralmente opposti e trattengono la maniglia ad arco in ferro battuto. In
corrispondenza di tali borchie prendono avvio due fasce di rame che percorrono
verticalmente l’oggetto lungo la sua altezza. Su di esse si esplica il repertorio
decorativo a piccoli fiori stilizzati e punzonati che si riconosce identico anche
sotto l’orlo.
Il secchiello si conserva in buono stato e in modo integro.
Manifattura locale, sec. XIX
Secchiello
Rame battuto, modellato e stagnato internamente/10,3x7,8cm.Øbocca/Inv.
1102
Con tutta probabilità si tratta di un’acquasantiera portatile da cucina che richiama
altri tre esemplari di peltro presenti nella stessa collezione (inv. 1186, inv. 1187,
inv. 1190).
Piccolo secchiello panciuto con motivi decorativi ad ovuli concavi poco sotto
l’orlo dritto e liscio che si espande in due punti diametralmente opposti ad
orecchie forate al centro per ospitare la piccola maniglia ad arco realizzata in rame.
La maniglia ha sezione quadrata ed è attorcigliata su se stessa.
Lo stato conservativo è buono: le pareti interne, probabilmente stagnate in
origine, sono oggi completamente ricoperte da una fitta patina prodotta
dall’ossidazione. Lo stesso fenomeno ha intaccato anche le superfici esterne in
corrispondenza della fascia decorativa ad ovuli.
Industria Tremonti, Udine, inizi sec. XX
Zuccheriera
Rame battuto, modellato e stagnato internamente/12x6,5cm.Øpiede/Inv. 1103
Porta la firma della più nota industria del rame udinese, incisa sotto il piede
(TREMONTI UDINE), la piccola zuccheriera dalle forme aggraziate. Su piede
troncoconico si imposta la coppa emisferica dalle superfici sbalzate che
richiamano il motivo a petali rigonfi del fiore che caratterizza il coperchio a
cupolino sormontato da pomello a ghianda. In prossimità dell’orlo della bocca
s’innestano mediante ribattini due semplici maniglie ricurve all’ingiù. Il materiale
utilizzato e la lavorazione conferiscono all’oggetto un peso notevole.
Lo stato conservativo risulta ottimo.
La ditta Tremonti fu fondata a Udine nel 1853 da Pasquale Tremonti, cadorino
d’origine, che aprì una modesta bottega all’angolo di via del Sale con via Poscolle.
Alla sua scomparsa, avvenuta nel 1898, fu la moglie a prendere le redini
dell’attività fino all’intervento del figlio Angelo che creò una nuova officina
caratterizzata da una nuova impronta imprenditoriale. Numerose furono le
commissioni di prestigio e le collaborazioni con architetti ed artisti locali che
portarono alla realizzazione di opere sempre ispirate al recupero della tradizione e
dell’arte popolare. (G. Bucco, L’antica ditta Tremonti, in Le arti a Udine nel 900,
catalogo della mostra a cura di I. Reale, Venezia 2001, pp. 418-419).
Industria locale, fine sec. XIX inizi XX
Zuppiera con coperchio e vassoio
Rame battuto, modellato e stagnato internamente, ottone/zuppiera
22x26,5x17,5cm.; vassoio 34x28cm./Inv. 1104
Vassoio di forma ellissoidale con tesa a due balze, sopra il quale è posta la
zuppiera dal corpo panciuto sostenuto da piede. Il servizio è completato da
coperchio con bordo liscio che introduce alla calotta centrale dominata da un
pomello d’ottone a forma di ghianda. Le superfici dei tre pezzi sono lisce e prive
di interventi decorativi. La zuppiera presenta due maniglie ribattute sulle pareti e
costituite da tondino di rame a sezione quadrata ripiegate verso il basso.
L’oggetto si conserva in buono stato con tracce di ossidazione concentrate
unicamente intorno alle maniglie.
Manifattura locale, sec. XIX
Portaposate (sedonâr)
Rame battuto, modellato e inciso, legno/ 20,2x12x10cm./Inv. 1177a
Manifattura locale, sec. XIX
Piccolo mestolo
Rame battuto e modellato, ferro inciso/27,3cm./Inv. 1177b
Il portaposate, dotazione tipica della cucina friulana, presenta un cestello
costituito da una banda di rame modellata a semicilindro e ribattuta su un
fondale di legno intagliato e sagomato nella parte superiore ad orecchio con foro
centrale per l’affissione a parete. Il fondo è determinato da una lamina di rame
forata per far sgocciolare le posate. Le pareti di rame sono aggraziate da decori
floreali e racemi incisi, mentre il bordo inferiore presenta un motivo a semicerchi
reiterati e con foro al centro.
Assieme al sedonâr è giunto in Museo anche un mestolino di rame con manico in
ferro inciso a minuti motivi floreali stilizzati.
Il generale stato conservativo è buono: per quanto riguarda il portaposate si
registra un principio di distacco della lamina di rame dalla parete di legno,
intaccata qua e là dai tarli.
Manifattura locale, sec. XIX
Tre stampini
Rame battuto, modellato e stagnato internamente/4,5x7,5x4cm./Inv. 1199a, b, c
Serie di tre stampini di forma ellissoidale con fondo di dimensioni
impercettibilmente minori rispetto all’imboccatura e pareti piuttosto alte, tanto da
far pensare a contenitori adatti ad impasti liquidi. Le pareti sono lisce in sintonia
con l’essenzialità assoluta degli oggetti, conservati in buono stato.
Manifattura locale, sec. XIX
Coppia di bicchieri
Rame battuto, modellato e stagnato internamente/a 5,2x5cm. Ø bocca; b
4,9x4,7cm. Ø bocca/1200a, b
Coppia di bicchieri di rame dalle forme semplici e vagamente cilindriche con
fondo lievemente inferiore rispetto alla bocca. Poco sotto il margine due fori
irregolari testimoniano l’originaria presenza di maniglie per l’impugnatura o di
anelli per agganciare gli oggetti alla cintura, uso diffuso fra i contadini durante la
lavorazione nei campi. Inoltre, il materiale e le piccole dimensioni possono far
pensare a bicchieri adatti a bevande calde come il caffè nelle sue diverse accezioni.
Buono lo stato conservativo con solo poche tracce di ossidazione intorno ai fori.
Manifattura locale, sec. XIX
Coppia di stampini
Rame battuto, modellato e stagnato internamente/ a 13,1x7cm.; b 13,5x7,5cm;
7,4cm.Ø bocca./Inv. 1202a, b; 1204a, b
Stampino
Rame battuto, modellato e stagnato internamente/ 9,5x6cm/Inv. 1203
Gli stampini hanno in comune le medesime caratteristiche strutturali: tutti sono
costituiti da una lamina sottile di rame modellata in modo che il fondo risulti più
piccolo della bocca dopo uno sviluppo in altezza molto limitato non superando i
2cm. Gli oggetti inventariati con il n. 1202a, b e 1203 hanno forma ellittica,
mentre i n. 1204a e b hanno forma circolare. Ciascuno presenta in un punto poco
sotto il margine una sottile fettuccia di rame, spezzata nella maggior parte dei casi
fatta eccezione dello stampino n.1203, per trattenere l’anellino che li rendeva
anche adatti come decori da parete. La coppia 1204a e b ha impressa sul fondo la
sigla L.P.M., di norma sigla riferita al committente o comunque a chi riceveva tali
oggetti come regalo.
Tutti si conservano in buono stato salvo rilevare diffuse ossidazioni concentrate
sulle pareti interne stagnate.
Manifattura locale, sec. XIX
Caldaia (cjaldèrie)
Rame battuto, modellato e stagnato internamente, ferro battuto/ 32,5x39cm. Ø
bocca/Inv. 1488
La tipologia della caldaia in esame è piuttosto comune e adatta al focolare aperto
dove veniva appesa alla catena (cjadenàz) dell’alare di ferro battuto (cjavedâl).
Serviva generalmente per farvi bollire l’acqua, ma vi si cuocevano anche la
minestra, le verdure e la carne. Nelle cucine friulane la sua diffusione era pari ai
paioli per la polenta che si distinguevano per avere il fondo più stretto rispetto la
bocca.
Nel caso specifico si osserva un fondo tondeggiante raccordato a pareti che vanno
restringendosi verso la bocca dal bordo largo, everso e con terminazione
arrotondata verso l’interno. Sotto tale bordo sporgente sono presenti, in punti
diametralmente opposti, due nastri di rame fissati mediante ribattini e incrociati in
modo da formare due occhielli sui quali si innesta il manico mobile ad arco,
realizzato in ferro battuto. La particolare fattura del bordo all’imboccatura fa
pensare alla possibilità che in origine la pentola fosse dotata di un suo coperchio.
Il fondo largo e panciuto offriva al fuoco sottostante una vasta superficie
accelerando il processo di ebollizione dell’acqua. L’interno stagnato presenta
visibili segni della battitura del rame.
Lo stato conservativo è discreto: si rilevano molte ammaccature e il rame risulta
particolarmente annerito testimoniando il lungo uso della caldaia stessa.
Lattaealluminio
Produzione industriale lombarda (Metalgraf, Milano), inizi sec. XX
Scatola di biscotti Delser
Latta serigrafata/ 5,5x17,5x12,5cm/ Inv. 1043
Iscrizioni: BUSCUITS DELSER – SOCIETA’ IN ACCOMANDITA PER
AZIONI MARTIGNACCO (UDINE)
METALGRAF MILANO
Produzione industriale austriaca, inizi sec. XX
Scatola di biscotti
Latta serigrafata/10,5x20x9,5cm/Inv. 1345
Iscrizioni: ROMAN UHL NACHFOLGER JOSEF M BREUNIG K V HOF
BACKER KARLSBAD WIEN SEMMERING KARLSBADER WASSER
ZWIEBACK MARKE SPRUDEL ALLE RECHTE VORBEHALTE UHLBREUNIG WIEN, KARLSBADREGISTRIERTE SCHUTZMARKE B.W. &
M.L. MANSFIELD
Produzione industriale ligure (Stab. Riuniti G.De Andreis-G.Casanova,
Genova Sampierdarena), inizi sec. XX
Scatola di biscotti Delser
Latta serigrafata/ 10,5x20x9,5cm/ Inv. 1508
Iscrizioni: DELSER Biscotti – amaretti – wafers – caramelle – drops
CARLO DELSER F.LLI CASA FONDATA NEL 1893 MARTIGNACCO
(UDINE)
FORNITORI DELLA REAL CASA FORNITORI PONTIFICI
S.A. STAB. RIUNITI G. DE ANDREIS - G. CASANOVA : Genova
Sanpierdarena 29
Produzione industriale ignota, sec. XX
Serie di formine per biscotti
Latta sagomata/ 2,2cm. (altezza)/ Inv. 1503a, b, c, d, e
Produzione industriale ignota, sec. XX
Serie di 10 coni per la preparazione di cannoli
Latta sagomata/ 10,5x3,2 Øcm/ Inv. 1504
Produzione industriale ignota, sec. XX
Serie di 7 formine per biscotti
Latta sagomata/ 3x7 Øcm/ Inv. 1505
Produzione industriale ignota, sec. XX
Serie di 6 formine per biscotti
Latta sagomata/ 2x6 Øcm/ Inv. 1506
Produzione industriale ignota, sec. XX
Serie di due trafile per macchina impastatrice
Ferro/ 6,3 Øcm/ Inv. 1826a, b
Produzione industriale ignota, sec. XX
Serie di due stampi per frittelle
Alluminio/ a: 1x6,8 Øcm.; b: 1x7 Øcm/ Inv. 1827a, b
Argenti
Schede a cura di Antonella Ortogalli
Manifattura ignota, 1751-1754
Astuccio con posate da viaggio
Argento, ferro, lamina d’ottone, legno e cuoio/ 21cm./ Inv. 1155
Entro un astuccio, che rassomiglia ad una custodia per pugnale, si trovano,
ciascuno nel proprio scompartimento, un coltello, una forchetta ed un
punteruolo. L’astuccio di cuoio scuro è decorato a motivi floreali stilizzati entro
partiture geometriche di gusto orientaleggiante ed è composto da due parti che
sono il fodero vero e proprio e il coperchio ad innesto. In origine fra tali parti
esisteva un sistema esterno per assicurarne la chiusura. Ora è testimoniato solo dai
quattro fori lungo i rispettivi bordi. Le posate sono costituite da un’anima
d’argento, dove si concentrano le incisioni ornamentali a disegni tratti dal
repertorio vegetale e le iscrizioni. Sul coltello si legge IXS e la data 1751, mentre
sulla forchetta FXS e l’anno 1754. Le due posate hanno manici di legno, lama di
ferro per il coltello, tre lunghi e sottili denti d’argento, che si innestano su un
raffinato decoro a giorno con motivi circolari posti intorno ad un cuore, per
quanto concerne la forchetta. Il punteruolo è di ferro con scanalature nella parte
terminale ad introdurre il piccolo pomello ricoperto da lamina d’ottone incisa.
Lo stato di conservazione è discreto: le parti più compromesse risultano i manici
di legno, ormai quasi completamente perduti, e le parti ferrose interamente
ricoperte da patina di ruggine.
Manifattura Italia settentrionale, sec. XIX-XX
Coppia di zuccheriere
Argento/a: 5,8x14x10,2cm.; b: 5,4x13x8,5cm./ Inv. 1600a, b
Zuccheriera
Argento/ 6x11x8cm./ Inv. 1601
Le zuccheriere hanno la classica forma costituita da vaschetta ovale con orlo
della bocca a cordoncino e quattro piedini zoomorfi. La coppia inventariata con il
n. 1600 testimonia della lunga tradizione dell’argenteria veneziana grazie alla
presenza del bollo di San Marco o leone “in moleca” accanto al quale si nota il
punzone dalla sagoma irregolare intorno alla sigla Z G con al centro un giglio. La
zuccheriera 1601 è di manifattura udinese come si evince dal punzone con lo
stemma di quella città posto fra due lettere, di cui solo la seconda è leggibile ed è
una Z, forse a richiamare l’antica dinastia degli argentieri Zorzi, noti fin dal
Settecento. Sulla parte frontale della vasca sono incise le iniziali L. A., che
lasciano intuire un riferimento ai nomi dei coniugi Ciceri: Luigi e Andreina. Si
può presumere che si tratti di un ricordo o di un dono legato a qualche
ricorrenza come il matrimonio o un anniversario.
Gli oggetti necessitano di una profonda pulitura capace di asportare le
incrostazioni del fondo e di riportare a lucentezza le superfici annerite che ne
compromettono lo stato di conservazione giudicabile comunque buono.
Manifattura italiana, sec. XX
Pinza per zollette di zucchero
Argento/ 11cm./ Inv. 267
La pinzetta, adatta alle zollette di zucchero in virtù delle piccole dimensioni che la
caratterizzano, presenta terminazioni forgiate a zampa leonina. Come impose un
Regio Decreto del 1934 anche il nostro manufatto presenta il doppio punzone:
quello di titolo (800) e quello di riconoscimento dell’orefice produttore racchiuso
entro sagoma ad esagono (PD4).
Lo stato di conservazione è buono.
Manifattura italiana, sec. XX (post 1935)
Forchettina
Argento/ 10cm./ Inv. 268
Piccola forchettina a due denti con manico decorato nella parte terminale da tre
ciliegie ottenute per fusione. Sul retro del manico un bollo attesta il titolo
dell’argento (800) ed un altro si riferisce all’argentiere: la sigla AR è preceduta da
alcuni numeri di difficile lettura.
Lo stato conservativo è buono.
Portatovagliolo
Sec. XX/ Argento/ 4x5,2 Øcm./ Inv. 1347
Portatovagliolo
Sec. XX/ Argento/ 3,7x3,8 Øcm./ Inv. 1355
Il portatovagliolo n. 1347 ha una forma a rocchetto con strozzatura nella parte
centrale sottolineata da un decoro sporgente a cordino. Lungo i bordi inferiore e
superiore si ripete un semplice motivo puntiforme. L’unico punzone che si
riscontra sulla lamina sottilissima d’argento reca il numero 13 entro sagoma
circolare. L’altro portatovagliolo è costituito da un anello cilindrico con pareti
incise a disegni floreali interrotti da un cartiglio che custodisce le iniziali M.F.
Il primo versa in mediocre stato conservativo: appare quasi diviso a metà dalla
lacerazione visibile intorno al cordino che lo caratterizza. Il secondo, invece, si
conserva discretamente nonostante le superfici abrase non permettano più di
godere dell’originario decoro floreale.
Manifattura trevisana, sec. XX
Cucchiaio
Argento/ 7,6x4,5cm./ Inv. 1356
Il cucchiaio presenta una paletta ovale con incise al centro le iniziali E .M. e un
cortissimo manico costituito da elementi figurativi ottenuti per fusione: si tratta di
una coppia di tortore affrontate e con i becchi uniti. Conclude l’immagine la
presenza di un anello sopra i due volatili, simbolo dell’unione coniugale. Si può
dedurre che si tratti di una raffinata bomboniera per matrimonio, prodotta
dall’argentiere trevigiano Santona, come attesta il marchio posto sul retro della
paletta assieme al numero 15. Lo stato conservativo è ottimo.
Coppia di cucchiaini
Sec. XX/ Argento/ 7,6x4,5cm./ Inv. 1359
La coppia di minuti cucchiaini ha paletta emisferica e manico liscio con
terminazione lievemente espansa. Sul retro del manico è attestato il titolo
dell’argento (800) e la sigla WTB.
Entrambi si conservano in maniera ottima.
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