Sociologia delle
Comunicazioni
ISSR - Matera
Sociologia della comunicazione - 1 - ISSR Matera
1. CONCETTO DI “COMUNICAZIONE”
Quello della comunicazione può essere definito il fenomeno originario della coesistenza, delle relazioni e
interazioni umane ed è quindi antico quanto la civiltà stessa dell’uomo. È diventato, specialmente nell’ultimo secolo,
sempre più esteso, multidimensionale e complesso, ed è oggetto di studio di diverse, spesso convergenti, discipline. Data
l’ampiezza semantica del termine “comunicazione”, è necessario chiedersi innanzi tutto quale sia il significato del termine
stesso, per vedere poi in cosa essa consiste e come si presenta la comunicazione, e in seguito indagare direttamente la sua
diversificata dimensione sociologica.
Dal punto di vista terminologico, la parola latina communicatio deriva da cum, ‘con’, e munus, ‘dono’: esprime, si
può dire, una particolare forma di “donazione”, il “mettere a parte” altri di qualcosa che si ha ma anche “munus” come
“impegno”, “ufficio” per cui si tratta di due significati intrecciati di “amore” e “dovere” in un vincolo più difficile perché
la responsabilità ne è la sintesi.
Evidentemente in questa nozione è centrale il concetto di partecipazione, che, ad esempio, si esplicita chiaramente
nella lingua tedesca nel vocabolo Mitteilung, il quale può essere tradotto, letteralmente, più che con
“comunicazione”, con “compartecipazione” (da Mit, “con”, e Teil, “parte”). In origine ‘communico’ — da cui nella lingua
latina il sostantivo communio e l’aggettivo communis — significa complessivamente mettere qualcosa in comune con
qualcuno: nel senso di “condividere qualcosa” l’accento è posto primariamente sul contenuto comunicato.
Per ulteriore caratterizzazione semantica, dall’originario e imprescindibile senso statico di condivisione si approda a
una concezione che ne evidenzia invece il significato ‘dinamico’ di trasmissione di informazioni-messaggi. In generale, la
comunicazione implica insieme anche l’istituzione o il riconoscimento di uno spazio comune (di relazione tra i
comunicanti), in cui il qualcosa stesso viene, appunto, trasmesso, comunicato.
Da un punto di vista psicologico si può intendere la comunicazione piuttosto come “uno scambio interattivo
osservabile fra due o più partecipanti, dotato di intenzionalità reciproca e di un certo livello di consapevolezza, in grado
di far condividere un determinato significato sulla base di sistemi simbolici e convenzionali di significazione e di
segnalazione secondo la cultura di riferimento” (L. ANOLLI).
Un principio, molto importante, avanzato da Paul Watzlawick, è che «È impossibile non comunicare, non esiste un
comportamento che non sia comunicativo». Come sostiene lo psicologo d’origine austriaca, infatti, parlare o restare in
silenzio, tutto comunica, tutto crea un rapporto fra il soggetto e l’ambiente sociale, quindi con gli altri soggetti. Ogni
comportamento è in sé stesso comunicativo — persino isolarsi dagli altri, un comportamento definibile ‘negativo’ — ed è
impossibile pensare di avere un non-comportamento: la comunicazione si rivela in ultima analisi come l’orizzonte, in
quanto tale intrascendibile, dell’essere e agire umani.
Per chiudere queste rapide considerazioni generali, si può concepire la comunicazione come svolgentesi lungo due
assi fondamentali o secondo una doppia relazione: l’uno verticale, relativo al rapporto tra “messaggio” e contenuti del
mondo o del pensiero; l’altro orizzontale, quello più propriamente comunicativo, concernente la relazione che s’instaura
tra produttori e destinatari del messaggio (U. VOLLI).
Vige un rapporto molto stretto tra comunicazione e forme della relazione sociale; una delle teorie più autorevoli in
merito fu elaborata dalla Scuola di Palo Alto: “Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed uno di relazione, in
modo che il secondo classifica il primo diventando metacomunicazione”. Qualsiasi comunicazione presenta questo
doppio aspetto di contenuto e relazione: se si litiga su più argomenti frivoli, ci si dovrebbe rendere conto che forse il
problema è di fondo. Il carattere metacomunicativo del piano della relazione è dovuto al fatto che la relazione che vige tra
due interlocutori ci fa capire se la frase “sei un genio” è un complimento o sarcastica. In questo caso, appunto, si ha una
comunicazione sulla comunicazione (metacomunicazione), processo del tutto sconosciuto alla maggior parte dei parlanti.
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2. LA STRUTTURA DELLA COMUNICAZIONE
2.1 I fattori strutturali
Per quanto riguarda la configurazione o struttura elementare della comunicazione, essa comprende — l’esistenza di
diversi fattori:
a) un emittente: la “fonte”, il produttore di un messaggio;
b) un messaggio (un segno, un testo ecc.): l’“oggetto di scambio” dell’atto comunicativo; al riguardo, si può anche
isolare, come fattore autonomo, il contenuto del messaggio stesso; che avrà un argomento che prenderà il nome di
referente.
c) un destinatario del messaggio: il soggetto cui deve pervenire il messaggio, qualificato spesso anche come
ricevente. Le due definizioni non coincidono però totalmente, in quanto l’atto di ricezione del messaggio può
effettivamente avvenire o, al contrario, fallire. Il destinatario diventa di fatto “ricevente” nel momento in cui
effettivamente recepisce e comprende il messaggio: è possibile però che il messaggio ricevuto differisca da quello
inviato, differenza che si determina in base al livello di attenzione ma soprattutto in rapporto ai criteri di selezione,
decodifica e interpretazione (come vedremo) usati, consapevolmente o meno, dal ricevente. Il processo della
comunicazione comporta anche che il ricevente rimandi un altro segnale, con cui rende noto che il messaggio è stato (o
non è stato) ricevuto e compreso: questo “ritorno” prende il nome di feedback.
Questa configurazione “astratta” e minimale, a tre fattori, viene poi approfondita e complicata nel quadro delle
diverse teorie comunicazionali, innanzitutto con la messa in evidenza di altri decisivi elementi-fattori intermedi, in primo
luogo di:
d) un canale (o mezzo): ciò entro cui e in virtù del quale viene trasmesso il messaggio. Il canale può essere perciò,
più precisamente, inteso sia come “ciò che sta in mezzo” sia come “ciò che media”, mediazione che determina in atto la
comunicazione. Si può però utilmente distinguere il mezzo dal canale, fermo rimanendo che un termine rimanda all’altro,
nel senso che il mezzo è definibile come il canale attraverso il quale passa o transita il messaggio, mentre il canale come
il “mezzo o apparato fisico-tecnologico” che questo transito effettua;
e) un codice e, eventualmente, dei “sottocodici”. Un “codice” è un sistema di segni e regole di utilizzo dei segni
usato nel processo comunicativo. Si assume
in linea di principio come conditio sine qua non della effettiva riuscita dello scambio comunicativo che l’emittente e
il destinatario condividano il medesimo codice e ad esso si riferiscano nella composizione e nella comprensione
del messaggio. Quindi il messaggio della comunicazione, il suo contenuto, è elaborato dal lato dell’emittente mediante
una codifica: consiste in “una sequenza di segni o segnali risultante da operazioni di selezione e di combinazione sulla
base di un codice”. Schematicamente, all’emissione del messaggio corrisponde poi, come aspetto complementare della
comunicazione, una (adeguata o meno) de-codifica da parte del destinatario;
tutto questo avviene in un determinato
f) un contesto o situazione, cioè una dimensione linguistica, cognitiva e culturale che funziona come quadro di
riferimento comune, senza cui qualsiasi comunicazione sarebbe soggetta a continui rischi di fraintendimento.
2.2 Altri elementi
Alcuni elementi utili per meglio comprendere la comunicazione sono:
la ridondanza cioè un insieme di elementi che convergono verso lo stesso significato
ad esempio una conversazione disturbata al cellulare ci permette lo stesso di coglierne il significato complessivo,
in quanto abbiamo familiarità con il significato della lingua italiana.
Altro esempio è costituito da casi particolare come di fronte alla frase “la credenza non aiuta certamente il
penetrare della luce nel tuo ambiente vitale” essa può essere intesa in ambito religioso ma anche in ambito di
arredamento di una casa. In questo caso la ridondanza è costituita da ciò da cui è preceduto l'evento (due amici che
stanno arredando casa o due professoroni che parlano?).
A questo proposito è bene anche fare riferimento ai deittici ovvero a delle parole che si riferiscono ad altro nel
discorso e che rientrano nell'ambito della ridondanza. Servono a collegare il testo al contesto
Esempi di deittici sono: qui, lì, ci, ti, prima dopo, ecco, etc.
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l' INFERENZA indica, genericamente, ogni conoscenza nuova ottenuta elaborando le informazioni in ingresso.
Essa può essere
 testuale se proviene dal testo che si sta leggendo
 extratestuale se proviene da conoscenze personali pregresse a ciò che si sta leggendo, visionando, ascoltando
ad esempio se leggo un libro che comincia con “Cenerentola era una fanciulla...” penserò subito ad un racconto
per bambini in quanto per “inferenza extratestuale” perchè per altre conoscenze so che Cenerentola è la famosa
protagonista di una fiaba ma se continuando il testo leggo “...che viveva a New York” risulta nel lettore una “inferenza
testuale” ovvero dal testo si ricavano delle informazioni che vanno a cambiare il mio modo di pensare quello stesso
brano per cui abbandonerò la fiaba solita per aprire un nuovo orizzonte. Se poi il testo parla di una rivisitazione in
chiave moderna del famoso racconto allora ci saranno ancora delle inferenze extra-testuali che riaffioreranno alla
memoria per cui il principe sarà sempre biondo, alto e magro e con gli occhi azzurri. A meno che l'autore non si sia
divertito a descriverlo (generando una inferenza testuale) e quindi a modificare l'idea che nella nostra mente ci era
apparsa alla parola “principe”
2.3 Relazioni tra emittente e destinatario (ovvero l'interazione complementare e simmetrica)
Nel libro “Pragmatica della comunicazione umana”, Paul Watzlawick delinea i percorsi della comunicazione,
differenziando la relazione simmetrica da quella di tipo complementare, a seconda se i due interlocutori tendono ad
uguagliarsi o piuttosto a differenziarsi.
La relazione simmetrica
Nell'interazione simmetrica, entrambi gli interlocutori tendono a porsi ad uno stesso livello (uguaglianza della
relazione).
Così mentre uno dei soggetti cerca di definire la natura della relazione, l’altro risponde alla definizione che viene
data confermandola, rifiutandola o cercando di modificarla. Abbiamo così una relazione simmetrica sana, e quindi stabile,
quando entrambi gli interlocutori riescono a posizionarsi sullo stesso livello, considerandosi uguali e confermandosi
reciprocamente. E’ il caso del rapporto fra pari, dove io “definisco te come amico” e “tu definisci me come amico”,
risultando in perfetta simmetria (principio di uguaglianza).
Abbiamo invece una relazione simmetrica patologica, quando uno dei due attori rifiuta o squalifica il “livello di
uguaglianza” dell’altro, cercando di porsi “al di sopra” (verso una posizione one-up) rispetto all’altro (“ io sono migliore
di te”, “tu sei diverso da me”). Di fronte a questa presa di posizione il secondo interlocutore, dal lato suo, cercherà di
ripristinare la posizione di uguaglianza, rifiutando o squalificando il ruolo imposto dal primo (“tu non sei migliore di me”,
“io non sono diverso da te”). Se entrambi rimangono rigidi sulle proprie posizioni, si genera un circolo vizioso che
prelude ad un’escalation simmetrica che sarà caratterizzata da forti conflitti che rischiano di protrarsi nel tempo, fino
alla reciproca esclusione, in cui si fa finta di ignorarsi “come due perfetti sconosciuti”, o peggio allarottura definitiva.
La relazione complementare
Nella relazione di tipo complementare, al contrario, il comportamento di uno tende a differenziarsi, ponendosi in
posizione opposta e complementare rispetto a quello dell’altro. Un esempio può essere fornito dal rapporto madre-figlio,
dove una definisce se stessa madre e l’altro figlio, o ancora dalla relazione medico-paziente. Avremo quindi uno che sta
“al di sopra” (posizione one-up), ovvero che dirige e consiglia, e un altro che sta “al di sotto” (posizione one-down),
obbedendo o accettando la definizione della relazione che l’altro ha deciso per entrambi. Potrebbe invece nascere lo
scontro nel caso in cui si cercherà di puntare all’uguaglianza. Pensate ad esempio ad un figlio adolescente che si ribella
alle regole di un genitore, non riconoscendogli l’autorità.
Anche in questo caso, come nell'interazione simmetrica, possiamo parlare di relazione complementare sanaquando
vi è un’accettazione spontanea e non imposta da parte di entrambi del tipo di relazione definita. (Es. il figlio che accetta il
ruolo dei genitori, il paziente che si fida del proprio medico, etc.)
Mentre si ha una relazione complementare patologica se la posizione di chi sta “al di sopra” si irrigidisce,
rischiando di creare un un'unione morbosa fino a soffocare la personalità dell’altro.
Entrambe le posizioni, simmetrica e complementare, non sono da considerarsi né positive né negative, fino al punto
in cui non si irrigidiscono, generando forme patologiche di interazione. In questo caso, come abbiamo visto, avremo
l’esclusione o la scissione nel primo caso e la dipendenza emotiva/intellettuale nel secondo.
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La forma di relazione/comunicazione più matura, è data quindi dal sapersi porre in alcuni casi in modo
complementare e in altri in posizione simmetrica, ciò al fine di creare un “rapporto equilibrato”.
2.4 IL CODICE
Per far si che il processo di comunicazione sia corretto, il messaggio deve passare attraverso il canale idoneo e deve
essere comprensibile al destinatario.
L’emittente e il ricevente devono conoscere il medesimo codice, ossia l’insieme delle regole che permettono di dare
un significato e un valore ai segni e ai simboli utilizzati all’interno del messaggio stesso.
Se analizziamo oggettivamente l’alfabeto scritto, ci accorgiamo che esso è un insieme di simboli, i quali assumono
un significato specifico solo quando emittente e ricevente sono a conoscenza del codice necessario a decodificarli. Per
esempio, nell’alfabeto Morse, un punto e una linea rappresentano una “A”.
Al fine di rendere possibile la comunicazione, il codice deve essere scelto prima dell’inizio della stessa e deve
essere noto all’emittente e al ricevente.
Durante la comunicazione, possono modificarsi alcuni parametri che rendono necessario un riadattamento del
codice. In questi casi si parla di transcodificazione , ossia, il passaggio da un tipo di codice ad un altro. Per esempio, se
durante una chat tra due persone che comunicano in italiano dovesse intervenirne una terza inglese, si dovrebbe adeguare
il codice comunicativo in modo da rendere possibile la comprensione a tutti i partecipanti.
Nella teoria della comunicazione, il codice è un sistema di segni e di regole per la loro combinazione,
convenzionalmente assunto.
Un codice potrebbero essere le varie lingue ma anche un sistema di codifica di determinate situazioni (pensate
al codice d'onore di un militare), al codice deontologico (ovvero una serie di situazione per cui per convenzione ci si da
delle regole per una migliore comprensione) e perfino al codice dell'alfabeto morse.
Tutti questi sistemi “suddividono” la realtà tenendo presente l'economia e la facilità dell'uso di essa stessa.
Per la lingua inglese (codice) la parola “make” in italiano corrisponde a “fare”, “costruire”, “realizzare”,
“creare”. Motivo per cui spesso le traduzioni “tradiscono” il testo.
2.4.1 I SOTTOCODICI
Nelle comunicazione non basta che il codice sia condiviso affinchè una comunicazione risulti mirata.
L'individuazione del codice è un individuazione banale, Occorre riuscire ad individuare un sottocodice utile all'occasione.
Il codice dell'emittente è il responsabile oggettivo di una tale realtà: significato denotativo. Il significato oggettivo
di una data realtà è detto significato denotativo. Le particolari sfumature di tipo più culturale, psicologico, emotivo che si
sovrappone al significato denotativo è detto significato connotativo. Le particolari sfumature di tipo più culturale,
psicologico, emotivo che un determinato significante può comunicare viene detto significato connotativo.
Il significato denotativo è stabilito dal codice.
Il significato connotativo è stabilito dal sottocodice.
Questa grande diversificazione corrisponde ad altrettante diversificazioni dei sottocodici. Spesso si parla di
incomprensibilità anche nel nostro piccolo.
Il codice stabilisce dei significati più o meno oggettivi (significato denotativo/oggettivo); ma si carica di sfumature
diverse a seconda dei sottocodici (es.: la parola lavoro può dare sollievo sicurezza a un disoccupato, inquietudine
preoccupazione a un minatore). connotazioni: individuazioni delle connotazioni esatte del significante. Sottocodice
(cultura implicita, non manifesta) si sovrappone al codice (cultura esplicita).
Tutto questo aumenta i rischi di rumore semantico. L'errore non è solo nella imperfetta sovrapposizione codici, ma
anche nella cattiva utilizzazione del sottocodice. Per ovviare al rumore semantico si possono usare dei segni molto
ambigui che si prestino a diverse decodifiche (soprattutto nei media, come la TV, che si rivolge a un target molto
diversificato, non selezionabile).
La circostanza della comunicazione aiuta il destinatario a stabilire, a scegliere quale codice o sottocodice si deve
applicare.
es. Bambino = essere umano piccolo di età (denotativo) è diverso dal dire “non fare il bambino” (connotativo)
L'emittente quando deve produrre un messaggio, per veicolarlo ha a disposizione più significanti (ovvero parole ma
anche frasi e strategie di comunicazione), raramente si ha una scelta obbligata. Se ne sceglie uno piuttosto che un altro a
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seconda del destinatario e del contesto in cui il messaggio compare.
Il destinatario vede il messaggio come forma significante. Il messaggio ha una valenza di significante. Il
messaggio ha una valenza di significato ed è la valutazione delle circostanze che lo aiuta a scegliere fra i diversi
significanti.
Perché riesca il processo comunicativo devo ammettere che la circostanza della comunicazione deve essere la
stessa sia per l'emittente che per il destinatario.
2.4.2 I REGISTRI LINGUISTICI
Il registro linguistico è il livello espressivo scelto dall’emittente (vocaboli, costruzione della frase, pronuncia,
tono) in base alla situazione e al rapporto esistente tra trasmettitore e ricevente.
Il registro, però, è efficace se è adeguato ai destinatari ed è coerente in ogni parte del testo.
Ogni persona è inserita in una rete di relazioni sociali ed assume un ruolo diverso al cambiare del contesto sociale
stesso. Infatti, un giovane, nei confronti dell’insegnante, rappresenta l’alunno, mentre nei confronti dei suoi compagni
svolge il ruolo di amico ecc … A seconda dell’ambiente e della relazione con l’interlocutore, il registro cambia
I principali registri sono tre:
Il registro alto o formale , fruibile nelle comunicazioni ufficiali con delle persone che non si conoscono,
utilizza un lessico alto e delle finezze linguistiche.
Il registro medio , sfruttabile nelle normali situazioni al di fuori della famiglia, è costituito da una scelta
linguistica dignitosa e corretta, ma senza particolari ricerche linguistiche.
Il registro basso o informale , si adotta con parenti e persone in confidenza, è caratterizzato da spontaneità,
poche espressioni formali, frasi brevi e spezzettate, termini generici e linguaggio colorito.
Le nomenclature sono diverse: il registro alto può essere definito come solenne, retorico e colto; il registro medio si
potrebbe assimilare a polemico, burocratico-ufficiale, offensivo o rispettoso; il registro basso è identificabile come
familiare, colloquiale o intimo-confidenziale.
Ad esso va aggiunto che esso può variare tra lo scritto e il parlato.
Ad esempio per dire per indicare il precetto della messa domenicale è probabile che dirò
ai bambini
“bisogna andare a Messa”
ai loro genitori che
“è opportuno partecipare alla Messa”
ma sul foglietto domenicale scriverò che
“la celebrazione domenicale è di precetto”
nella rivista specializzata troverò
“la celebrazione eucaristica del giorno del Signore rientra negli obblighi del cristiano”
2.5 Contesto
L’insieme della situazione generale e delle particolari circostanze in cui ogni evento comunicativo è, per forza di
cose, inserito, si chiama contesto.
Ad esempio il mio professore in aula userà comunicare in una certa maniera con un linguaggio aulico, durante un
incontro spirituale coi ragazzi con un linguaggio formale, pacato e più meditabondo, durante una partita di calcio
magari sbraiterà contro gli avversari.
Talvolta il contesto non corrisponde alla situazione creando equivoci e situazioni di estrema difficoltà: immaginate
ad esempio la vittoria in formula Uno durante la quale gara c'è stato un incidente mortale: per quanto il contesto sia di
felicità ad essa viene collegata una situazione triste (la morte di un compagno). Immaginate di dover proporre la lezione
sulla gioia di vivere a dei ragazzi a cui è stata appena negata la gita di classe. Come anche spiegare durante il precetto
pasquale a ragazzi a digiuno di liturgia: il contesto (Chiesa) va bene ma la situazione (ragazzi impreparati, canti
sconosciuti) non crea comunicazione.
2.6 Rumori e ridondanza
Durante il processo comunicativo potrebbero essere presenti degli elementi che lo disturbano e che rendono
difficoltosa la comprensione; i rumori. Essi possono essere di varia natura: dal rumore prodotto da un martello
pneumatico al brusio delle voci delle persone; dall’oscurità causata dalla mancanza di luce al fruscio del vento; ecc …
Per limitare i danni causati dai rumori si utilizza la ridondanza , ossia l’ausilio di un messaggio secondario atto ad
assicurare la riuscita della comunicazione. Nel caso in cui due persone stiano dialogando e vicino a loro ci sia un martello
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pneumatico che provoca rumore, l’emittente, oltre al suo messaggio verbale di saluto, farà anche un cenno con la mano.
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3. IL MECCANISMO DELLA COMUNICAZIONE VERBALE
Il processo fonico-uditivo
Osserviamo cosa avviene quando due individui usano il codice
lingua per comunicare.
Immaginiamo un uomo (A) di fronte ad un secondo uomo (B)
col quale vuole comunicare. Nel cervello di A (come in quello di
qualsiasi altro uomo) con il tempo e l’esperienza si sono depositate
delle immagini mentali o concetti, ossia delle rappresentazioni degli
oggetti di cui ho fatto esperienza. Queste rappresentazioni, presenti
come ricordi nella memoria, vengono, di continuo, precisate ed
arricchite integrando nuovi elementi attorno al primo nucleo di
significato. Associati ai concetti il cervello memorizza i suoni (se
sappiamo scrivere anche gli opportuni segni grafici per
rappresentarli) necessari per esprimerli, quella che si chiama
“rappresentazione acustica” del concetto. Quando A decide di
comunicare con B egli sceglie la opportuna associazione concetto-suono e trasmette un impulso nervoso all’apparato
della fonazione.
Il termine “oggetto” deve essere qui inteso nel senso più ampio, per cui anche l’amicizia è un oggetto d’esperienza.
Le onde sonore trasmettono attraverso l’aria i suoni all’orecchio di B e quindi al suo cervello, qui la
rappresentazione acustica riconosciuta viene associata al concetto esistente nella memoria di B.
Suoni diversi, esperienze diverse
Abbiamo visto come durante una comunicazione verbale
l’emittente usa un particolare insieme di suoni (immagine
acustica) questi suoni vengono recepiti e classificati dal ricevente
sotto una particolare etichetta.
Ad esempio sotto l’etichetta suono “a” sono fatte confluire
tutte le leggere varianti personali, regionali, nazionali a1, a2,
a3,ecc.
Un ragionamento analogo può essere fatto per i concetti,
l’immagine che noi abbiamo nella nostra mente di un oggetto è
derivata dall’esperienza che noi facciamo di quel particolare
oggetto. Il concetto “casa”
rimanda ad oggetti di esperienza diversi per chi vive in campagna, in città, o in mezzo al deserto.
Queste considerazioni sulle variabili suono ed esperienza ci portano alle seguenti riflessioni:
a. quando siamo emittenti di un messaggio, dobbiamo porre una particolare attenzione se vogliamo
che il messaggio trasmesso sia chiaro, in particolare:
1. Sceglieremo con cura le parole perché esprimano correttamente il nostro pensiero
2. Ci preoccuperemo di adattare ciò che diciamo al nostro ascoltatore, alla sua età, alle sue conoscenze
3. Porremo particolare cura alla corretta pronuncia delle parole, se il nostro ascoltatore non riesce a comprendere i
suoni che abbiamo pronunciato, non possiamo pretendere che capisca il significato del messaggio
4. Possiamo usare la lingua per spiegare ulteriormente ciò che intendiamo dire
b. quando siamo nella condizione di ricevente del messaggio dobbiamo porre la massima attenzione per la corretta
comprensione del messaggio ricevuto
Perché la comunicazione verbale possa essere attuata in maniera efficace, ci vuole la massima attenzione da parte
sia di chi produce il messaggio (emittente), sia da parte di chi lo riceve (ricevente o destinatario).
Sociologia della comunicazione - 8 - ISSR Matera
3.1 MODELLO DI SHANNON-WEAVER
La comunicazione è trasmissione di informazioni. Questa definizione è conosciuta come Teoria matematica della
comunicazione di Shannon e Weaver. Tale teoria scompone il processo comunicativo nei suoi elementi fondamentali,
quali:
• Una sorgente capace di elaborare un
messaggio (insieme di informazioni da
trasmettere);
• Un apparato trasmittente (che codifica
in base al mezzo di comunicazione
prescelto);
• Un mezzo o canale di comunicazione
(attraverso il quale viaggia il messaggio);
• Una fonte di rumore (che può
modificare o deteriorare il messaggio);
• Un apparato ricevente (che codifica
all’inverso il messaggio);
• Un destinatario (che riceve il messaggio
decodificato).
Lo scopo della teoria matematica della
comunicazione è quello di studiare le strategie migliori affinché il messaggio arrivi integro alla sorgente.
Il modello di Shannon (questo il suo vero nome) si applica non solo alle conversazioni telefoniche, ma anche alle
comunicazioni faccia a faccia.
Dal modello di Shannon-Weaver nascono due nuovi elementi che sono: encoder e decoder ovvero codificazione e
decodificazione
Codificazione
è il processo attraverso il quale ciò che pensiamo viene espresso attraverso una strategia comunicativa.
Si tratta di far diventare il pensiero messaggio.
Ad esempio per far capire che sento freddo potrei dire:
“Ho la pelle d'oca”
“fra un po' divento un ghiacciolo”
“mi fa freddo”
“se continua così mi prendo una broncopolmonite”
“il freddo mi è penetrato nelle ossa”
“mi sembra di stare al Polo Nord”
ognuna di queste frasi a seconda del contesto e della situazione verranno usate secondo il piacere del mittente ma anche le
capacità del destinatario.
Decodificazione
è il processo attraverso il quale il messaggio diventa pensiero
ad esempio su un'alta montagna la fidanzata dice “quanto manca all'arrivo?”
questa frase può essere intesa come effettivamente un calcolo di tempo o di misura o come un modo per dire al fidanzato di
essere stanca e quindi di fermarsi.
Questo modello è importante in quanto ci aiuta a comprendere quali strategie elaborare affinchè il nostro messaggio arrivi in
maniera più lineare e comprensibile.
In particolare si tratta di:
• Scegliere il canale con maggiore grandezza di banda (quantità di informazione / unità di tempo);
• Scegliere un codice il più possibile condiviso e robusto;
• Codificare il messaggio in forma ridondante, per mantenerlo integro anche con rumori.
Il modello di Shannon ha costituito un elemento di fondamentale importanza negli anni passati, ma ben presto ci si è
resi conto della sua totale mancanza a riferimenti semantici del codice: tale modello non offriva molti strumenti per
addentrarci nei misteri della comunicazione umana. I suoi limiti potevano essere superati solo abbandonando la
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concezione di comunicazione come scambio di informazioni e cominciando a considerare gli aspetti complementari della
comunicazione, come l’intenzionalità.
L’influente Scuola di Palo Alto non riconosce il requisito dell’intenzionalità, equiparando comunicazione e
comportamento. Secondo tali esponenti, qualsiasi comportamento equivale ad una forma di comunicazione, anche quando
ci si sforza di non comunicare: è impossibile non comunicare.
In ambito sociologico la comunicazione è semplicemente definita come un processo di costruzione collettiva e
condivisa del significato, processo dotato di livelli diversi di formalizzazione, consapevolezza e intenzionalità.
Informazione
l'informazione a differenza della comunicazione non prevede che prevede un vero e proprio scambio di informazioni (quindi
anche di feedback e di effetti).
Ad esempio i cartelli stradali, le indicazioni riguardo una struttura, pur incontrandoli puoi anche subito non tenerli in
considerazione: se non fumo non mi dice nulla il cartello “non fumare” e d'altronde chi ha scritto quel cartello sa che fino a quando
non si trova uno che fuma quel cartello non trasmette nulla oppure se attendo il treno e sento la voce che mi avvisa del ritardo del
treno non gli interessa se dopo tale messaggio posso imprecare, sbuffare o andare a farmi un giro o cercare un posto più comodo
perchè il suo scopo è solo di farmi prendere coscienza di una realtà o ancora se sulla bacheca mettono il foglio dell'assenza di un
professore per quanto possiamo arrabbiarci, lamentarci alla segretaria non resta che far finta di nulla!!!
Nella sua accezione più estesa, il soggetto della comunicazione può essere di volta in volta un essere umano, un
gruppo, una pianta, un animale…
Tuttavia, nel momento in cui si utilizza il termine comunicazione col suo significato più ristretto, ci si rende conto
di quanto sia difficile utilizzare dei soggetti comunicativi che non siano umani. Agli animali, infatti, le parole non
servono, e i loro “discorsi” non si riferiscono a dati fattuali.
Tratteremo d’ora in poi soltanto la comunicazione tra soggetti umani (individuali e collettivi).
Uno dei più grandi esperti di comunicazione del secolo, Paul Watzlawick, del Mental Research Institute di Palo Alto, ha
formulato quelli che sono oggi diventati dei veri e propri assiomi della comunicazione.
Ecco di seguito di cosa si tratta:
E’ IMPOSSIBILE NON COMUNICARE. Il comportamento comunicativo non ha un suo contrario: l’attività e l’inattività, le
parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggi, perché influenzano gli altri i quali, a loro volta, non possono non rispondere a
queste comunicazioni.
OGNI COMUNICAZIONE HA UN ASPETTO DI CONTENUTO E UNO DI RELAZIONE, ED IL SECONDO CLASSIFICA
IL PRIMO. Una comunicazione non soltanto trasmette informazione ma, al tempo stesso, impone un comportamento. Ogni
comunicazione è comportamento, ma anche ogni comportamento è comunicazione. Ogni minuto che passa si comunica attraverso il
comportamento: sguardi, modi di parlare, posture, movimenti nello spazio.
LA NATURA DI UNA RELAZIONE DIPENDE DALLA PUNTEGGIATURA DELLE SEQUENZE DI COMUNICAZIONE
TRA I COMUNICANTI. La comunicazione è un flusso continuo di messaggi a cui però i partecipanti danno una
PUNTEGGIATURA, organizzando tali scambi secondo una sequenza in cui, ad uno specifico stimolo segue una precisa risposta.
LA COMUNICAZIONE UMANA E’ ANALOGICA E DIGITALE.IL LINGUAGGIO NUMERICO TRASMETTE IN MODO
EFFICACE I CONTENUTI MA NON SPIEGA LA RELAZIONE, IL LINGUAGGIO ANALOGICO TRASMETTE LA
RELAZIONE MA IN MODO AMBIGUO. Esistono due modi per far riferimento ad un oggetto: attraverso l’immagine ( creando un
rapporto stretto tra oggetto e modo di indicarlo) o attraverso l’attribuzione di un nome (creando un rapporto convenzionale, arbitrario,
tra oggetto e modo di indicarlo). La prima comunicazione è analogica (perché appunto esiste un’analogia tra linguaggio e oggetto), la
seconda è digitale (perché è convenzionale). La comunicazione umana analogica è qualsiasi comunicazione non-verbale, in cui sono
compresi i movimenti del corpo, i gesti, l’espressione del viso, l’abbigliamento, il tono di voce, ecc…L’aspetto di contenuto della
comunicazione è espresso normalmente dal linguaggio numerico, quello di relazione dal linguaggio analogico. Il primo linguaggio è
più preciso, strutturato, il secondo più efficace per trasmettere la relazione , ma inevitabilmente più impreciso e difficile da
interpretare.
TUTTI GLI SCAMBI DI COMUNICAZIONE SONO SIMMETRICI O COMPLEMENTARI (o asimmetrici), A SECONDA
CHE SIANO BASATI SULL’UGUAGLIANZA O SULLA DIFFERENZA. Gli scambi comunicativi possono essere improntati
all’uguaglianza dei due partner, e in questo caso vengono definiti simmetrici, oppure possono essere improntati alla differenza, allora
sono definiti complementari. Nel secondo caso inevitabilmente un partner assumerà una posizione dominante e l’altro quella
complementare. Il primo caso è quello di colleghi, amici, il secondo è contraddistinto dalle coppie madre-figlio, insegnante-allievo,
capo-dipendente.
Sociologia della comunicazione - 10 - ISSR Matera
4. Comunicazione interpersonale
4.1 linguaggio analogico e linguaggio digitale
Il primo stadio della comunicazione è il cosiddetto linguaggio gestuale naïf (indicare bocca per esprimere fame,
etc). Questi segni hanno una loro efficacia in situazioni d’emergenza, ma si dimostrano limitati se confrontati col
linguaggio verbale.
La superiorità del linguaggio verbale non deriva dall’uso della voce: la Lis (Lingua Italiana dei Segni) si dimostra
altrettanto potente e flessibile. La differenza tra Lis e linguaggio naïf sta nel fatto che ogni gesto è rigidamente codificato
e univoco.
Questo carattere di convenzionalità ci permette di distinguere tra loro i linguaggi digitali (numerici) dai linguaggi
analogici. Il linguaggio digitale è discreto, mentre quello analogico è continuo. (cane, imitazione di un cane). Non sempre
il linguaggio digitale e superiore a quello analogico: a volte un abbraccio può valere più di mille parole.
Analogico e digitale è solo uno dei modi nei quali si possono suddividere i sistemi che usiamo per comunicare.
Linguaggio "analogico" e linguaggio "digitale" sono termini entrati in uso in seguito agli studi compiuti negli anni
'60/'70, da parte di un gruppo di ricercatori che lavoravano presso il Mental Research Institute di Palo Alto, California.
Analogico, cioè "non logico", é qualcosa che non é rivolto alla parte razionale della nostra mente, ma a quello che
potremmo chiamare il nostro cuore, e cioè le emozioni e i sentimenti.
Digitale, dall'inglese "digit" che significa numero, é tutto quello che si indirizza al nostro cervello visto nelle sue
capacità di ragionamento, logica, analisi, matematica.
L'uso delle parole é quasi sempre digitale, razionale: se io ti parlo e non metto le parole nella giusta posizione, se
non utilizzo i verbi ed i nomi appropriati, tu non mi puoi capire.
Volendo essere più precisi si potrebbe ancora notare che il linguaggio delle parole si presta al linguaggio digitale ma
anche ad usi analogici come l'uso dei proverbi; viaggiando tra il digitale e l'analogico, con le parole si può decidere come
modulare le emozioni: c'é una grossa differenza tra il dire "quello che hai fatto mi dispiace molto" e il dire "mi hai
spezzato il cuore"; ed ancora, parliamo di "mente" per indicare la razionalità o l'intelligenza e di "cuore" per indicare i
sentimenti, quando tutti sappiamo che il cuore é un muscolo che serve a pompare il sangue e non é certo la sede delle
nostre emozioni d'amore; ed ancora, se dico "Carlo é un leone", tutti capiscono che sto dicendo che é un uomo coraggioso
e non un animale con la criniera.
L'uso dei gesti fa parte del linguaggio analogico; attraverso il gesto, senza parlare, comunico una certa risposta o un
mio atteggiamento; in Italia abbiamo anche tutta una serie di gesti e gestacci già codificati e conosciuti da tutti.
Ma posso comunicare in maniera analogica anche con la posizione che assumo col corpo: se ti ascolto stravaccato
sul divano, mostro meno attenzione che non seduto e leggermente reclinato verso di te, come per sentire meglio le tue
parole; con le espressioni del viso, o solo con uno sguardo, posso farti capire se sono d'accordo con te.
L'arte visiva, figure, disegni, fotografie, quadri, immagini pubblicitarie e non, quasi sempre appartengono al mondo
analogico, ci fanno provare delle emozioni.
Il bravo comunicatore, il giornalista, l'attore, il politico, l'uomo di spettacolo, il pubblicitario, in modo istintivo o in
modo razionale utilizzano sempre i due linguaggi per rafforzare il loro messaggio.
Se il destinatario del messaggio viene colpito al cuore e alla mente nello stesso momento, il messaggio sarà più
incisivo:
ad esempio si può scrivere sulla guerra in Iugoslavia per esempio, un articolo "digitale" serio e pieno di dati che
fanno appello alla nostra parte razionale; se poi al centro di quest'articolo ci mettiamo in maniera "analogica" la foto di un
bambino mutilato e insanguinato, o la foto di una vecchia con le mani alzate per la disperazione davanti alle rovine della
sua casa, otteniamo su chi legge l'articolo e vede la foto un effetto molto forte;
si può suggerire ad un venditore di illustrare al potenziale cliente il proprio prodotto in modo razionale/digitale, e
nello stesso tempo utilizzando anche strumenti analogici (una casa farmaceutica italiana qualche tempo fa proponeva ai
propri informatori scientifici di avvicinare il medico per propagandare un farmaco contro l'ansia, mostrando in maniera
digitale una tabella scientifica e dicendo al medico nello stesso tempo, in maniera analogica "...e vedrà che con questo
farmaco si libererà dei pazienti rompiscatole che le vengono tutti i giorni in studio");
un uomo politico che vuol dare di sé un'immagine forte e popolare, mentre pronuncia un discorso studiato in
maniera digitale, può rafforzarlo in maniera analogica scatenandosi sul palco, urlando, usando espressioni forti e anche
volgari, o può paragonare la nazione ad una madre da difendere contro la violenza sessuale, vantarsi dei propri attributi
maschili come simbolo di forza politica;
Un altro uomo politico invece, per darci la sensazione di solidità, serietà, soldi e raggiungimento del successo,
mentre ci parla usa sempre un linguaggio molto corretto e controllato, non alza mai la voce, non gesticola, si veste in
maniera tradizionale e seriosa, dalle giacche a doppio petto blu ai golfini di cashmere e si fa riprendere all'interno della
propria bella casa, magari con a fianco la bella moglie ed i figli in tenuta da collegio svizzero.
Sociologia della comunicazione - 11 - ISSR Matera
4.2 il linguaggio verbale e non-verbale
Come abbiamo detto, il linguaggio verbale caratterizza e distingue l’uomo dalle altre specie animali. La lingua
determina non solo il modo di cui parliamo del mondo, ma anche ciò che di questo mondo conosciamo (gli eschimesi
hanno un sacco di termini per distinguere i tipi di neve, noi no): questa teoria è nota col termine di relatività linguistica.
Oltre alle parole, l’uomo utilizza varie forme di comunicazione non verbale. Per comprendere l’inaspettata
ricchezza della comunicazione non verbale si può iniziare studiando le sue diverse componenti: sistema paralinguistico,
sistema cinesico, prossemica, aptica.
il sistema paralinguistico è costituito da tutti i suoni che emettiamo a prescindere dal significato delle parole. Si
tratta in primo luogo del tono e della frequenza della voce (fattori fisiologici), ma anche del ritmo e delle pause (che
possono essere vuote, es. silenzio, o piene, come quando usiamo gli intercalari beh, mmhh…).
il sistema cinesico comprende i movimenti degli occhi, del volto e del corpo ma anche la mimica facciale (es.
arrossire), i gesti (es. delle mani) e la postura ( dell’intero corpo, es. sull’attenti)
la prossemica studia la gestione dello spazio e del territorio. Come gli animali,
anche gli esseri umani mantengono distanze codificate tra loro: si va dalla zona intima
(50 cm dalla superficie della pelle) nella quale entrano solo familiari e il partner
(un’intrusione estranea provoca disagio, paura, imbarazzo), alla zona personale (50-100
cm) nella quale sono ammessi i familiari meno stretti, gli amici e i colleghi: è la zona
delle conversazioni informali, alla zona sociale (1-3, 4 metri), zona delle comunicazioni
formali e degli incontri casuali: riusciamo a vedere tutta la persona che abbiamo di fronte,
e alla zona pubblica (> 4 m), quella prevista per le occasioni pubbliche ufficiali, quali
lezioni o comizi. In questa zona la comunicazione è preparata e c’è particolare asimmetria
tra gli interlocutori (uno parla, altri ascoltano)
l’aptica studia il contatto fisico, ed è la branchia della comunicazione non verbale
meno studiata. Si va dalla stretta di mano, al doppio bacio per salutare gli amici, alle
effusioni più intime. L’aptica è importante in quanto un contatto in più o in meno può
renderci invadenti o freddi.
La comunicazione, tuttavia, non si riduce ad una semplice distinzione tra linguaggi verbali e non verbali: nessuno di
questi due ha una vera e propria supremazia sull’altro.
Per quanto riguarda la distinzione tra linguaggi digitali (numerici) e analogici dobbiamo ricordare che questa
suddivisione non è sovrapponibile con quella tra linguaggi verbali e non verbali, ma anzi si combina con questi dando
luogo a:
- Comunicazione verbale di tipo digitale (lezione universitaria): la componente più importante è ciò che dice il
docente, a prescindere da come lo dica.
- Comunicazione non verbale di tipo digitale (L.i.s.): anche un linguaggio dei segni può possedere segni
convenzionali che vanno appresi.
- Comunicazione verbale di tipo analogico (poesia): una poesia trova il suo senso più nella sonorità delle parole,
nella sua capacità di evocare sentimenti che nel significato delle singole parole.
- Comunicazione non verbale di tipo analogico (comunicazione tra madre e figlio): il bambino non ha ancora
l’uso della parole, comunica con la madre cogliendone la tonalità, lo sguardo.
Tuttavia la suddivisione tra digitale e analogico non appare sempre netta.
Sociologia della comunicazione - 12 - ISSR Matera
5. Il SEGNO
In linguistica si è soliti definire le due componenti di un segno come significato e significante: il significante è il
mezzo che usiamo per rappresentare il significato.
es. la parola GATTO (significante) e felino di piccole dimensioni (significato)
La semiotica distingue inoltre i segni in indici, icone e simboli:
• Quando esiste una relazione di continuità propriamente fisica tra significato e significante il segno assume le
caratteristiche di un indice: l’altezza raggiunta dal mercurio nella colonnina indica la temperatura.
• Quando si parla invece di relazione di similitudine o analogia tra significato e significante il segno assume le
caratteristiche di un’icona: le icone del pc o gli omini stilizzati sulle porte dei bagni.
• Quando, infine, il rapporto tra significato e significante è arbitrario e convenzionale, come per la comunicazione
digitale, il segno assume le caratteristiche di un simbolo: la parola “cane” è il simbolo convenzionale dell’animale in
questione.
5.1 Modello di Peirce
Charles Peirce, padre della moderna semiotica, ha riproposto uno schema simile a
quello classico, ma più complesso. In questo caso, i tre elementi sono tutti direttamente
collegati fra loro:
il representamen (ciò che rappresenta l'oggetto),
l'interpretante (come si interpreta l'oggetto)
l'oggetto stesso.
L'oggetto considerato all'interno di questo schema è definito immediato, cioè il
risultato dell'interpretazione stessa. Ad esso si oppone quello dinamico, che non può
essere all'interno del triangolo perché è l'oggetto al di là di ogni interpretazione, che deve
comunque tendere a raggiungerlo.
Questo avvicinamento all'oggetto dinamico è detto semiosi: secondo la teoria della
semiosi illimitata, un representamen viene interpretato come oggetto immediato, che a
sua volta diviene representamen per un'altra interpretazione che tenderà a raggiungere
l'oggetto dinamico.
In parole povere la mia immagine mentale di un oggetto corrisponderà sempre di più a quello con cui ho
esperienza diretta. Un esempio lo capiamo se pensiamo quando pensiamo alla musica: per un anziano probabilmente la
musica corrisponde alla banda, per un musicista alla musica classica, per un giovane alla musica dance, ad un adulto la
musica leggera. Il concetto di musica piano piano si aggiorna man mano che lo stesso segno viene usato per indicare
differenti modalità dello stesso genere. Per cui l'immagine verrà rinforzata di altri elementi e l'immagine mentale
(interpretamen) si modificherà per cui per l'adulto ad esempio musica diventerà anche quel “rumore” che il figlio
ascolta.
Sociologia della comunicazione - 13 - ISSR Matera
6. Modello di Lasswell
Quando parliamo di modelli si intendono delle semplificazioni di ciò che effettivamente avviene nella realtà
il Modello di Lasswell è un metodo corretto per descrivere un atto comunicativo che consiste nel rispondere alle
seguenti domande:
E' con queste parole che Harold Lasswell, nel 1948, tentò di organizzare un campo di studi allora caotico come
quello della comunicazione. Ilmodello di Lasswell ha il merito, infatti, di identificarsi come il primo tentativo di
introdurre allo studio dei processi comunicativi, attribuendo ruoli e parti ai diversi soggetti coinvolti nonché precise
dinamiche
di
interazione.
Oltre a descrivere più analiticamente il processo comunicativo, il modello di Lasswell, come detto, si presta ad
organizzare il campo della ricerca e dell'analisi in aree aventi distinti oggetti di indagine.

Prestare attenzione a "chi" attiva il processo comunicativo significa collocarsi nell'area di studio
dell'emittenza: vale a dire di quei soggetti che producono messaggi comunicativi. Gli studi sull'organizzazione del lavoro
giornalistico, delle emittenti televisive e delle nuove tecnologie della comunicazione si inscrivono all'interno di un filone
di studi che ruotano intorno alla figura dell'emittente e che hanno percorso due strade, l'una tracciata dalla sociologia delle
professioni, l'altra dalla sociologia del lavoro e dell'organizzazione.

Prestare attenzione a "cosa" viene comunicato, invece, comporta un'automatica collocazione nell'area di
studio del messaggio. Il filone estremamente ricco della content analysis trova in Lasswell, infatti, il suo padre fondatore,
con studi pionieristici sulle tecniche di persuasione utilizzate durante la prima guerra mondiale. Questa metodologia di
ricerca cotninua a rappresentare un'applicazione esemplare dell'analisi del contenuto, pur con tutti i limiti connessi
all'adozione di un'approccio basato sul conteggio dei simboli-chiave e sull'assunto implicito di un'univoca interpretazione
del messaggio da parte dei destinatari.

Prestare attenzione a "chi" è il destinatario del messaggio implica l'assunzione di un focus d'attenzione
centrato sul pubblico dei media. Gi studi sull'audience dei media sono incredibilmente cresciuti negli ultimi anni, a
testimonianza della centralità di una problematica a lungo ignorata.

Infine, prestare attenzione a "quali effetti" vengano attivati nei destinatari significa entrare di forza nel campo
di studio degli effetti, che ha attraversato l'intera storia della mass communication research. Gli effetti intenzionali o
inintenzionali, diretti o indiretti, a breve o a lungo termine rappresenteranno, infatti, sin dagli inizi, il campo privilegiato
degli studiosi alla perenne ricerca di conseguenze attribuibili all'azione dei media.
L'organizzazione del campo di studio, frutto dell'applicazione del modello di Lasswell, continua a rappresentare un
utile strumento di lavoro per organizzare la raccolta dei dati e per costruire una prima visione di insieme, come si evince
dalla rappresentazione grafica di tale modello.
Sociologia della comunicazione - 14 - ISSR Matera
7. La semiotica interpretativa (negoziazione del testo)
Fondamentale in Eco è quindi il problema dell'interpretazione. Eco muove dall'idea che l'analisi delle strutture del
testo coincida con la ricerca delle sue potenziali strategie interpretative. Eco definisce il testo "una macchina pigra" in
quanto ritiene che il senso di un testo sia determinato solo in parte dalle strutture o dai percorsi di senso potenziali
costruiti dall'emittente, ma che un ruolo fondamentale venga svolto dal fruitore del testo senza il cui intervento il senso
resterebbe lettera muta. Quindi la costruzione del senso di un testo si gioca nel processo dialettico che si attiva tra le
strutture retorico-testuali e le strategie di interpretazione del lettore (principio della cooperazione interpretativa nei testi
narrativi).
Legata alla questione dell'interpretazione testuale - una delle questioni centrali del lavoro di Eco - è quella della
individuazione dei limiti dell'interpretazione medesima. Fin dal 1962 - in una fase pre-semiotica della sua ricerca - Eco si
era occupato della questione della interpretazione dei testi;
Dapprima veniva infatti elaborata una estetica della ricezione testuale, in cui il ruolo del lettore era fortemente
attivo e creativo nei confronti della definizione del senso del testo. In seguito Eco ha notevolmente ristretto la libertà del
lettore o fruitore del testo, prima con la teoria già citata della cooperazione interpretativa tra testo e lettore, poi con una
vera e propria definizione dei limiti dell'interpretazione.
In sostanza, secondo Eco, si può definire propriamente interpretazione di un testo solo quella lettura che sia
giustificata e comprovata dalle strutture testuali medesime; ogni lettura del testo che vada oltre tale giustificazione
testuale dovrà essere definita un uso del testo medesimo e non avrà l'obbligo di essere coerente con il testo da cui deriva.
In sintesi Eco ammette che il lettore sia attivo ma ne definisce anche i limiti di una giusta comprensione del testo al
di là del quale c'è una cattiva interpretazione del medesimo.
7.1 Problema del significato
Altra questione centrale nella ricerca di Eco è il problema del significato. In sostanza Eco ha proposto un modello
semantico a istruzioni in formato di enciclopedia. La metafora dell'enciclopedia serve ad Eco per evidenziare la
differente struttura interna del modello di sapere da lui utilizzata che si definisce come una rete di unità culturali tra loro
interconnesse.
Il modello ad enciclopedia viene contrapposto a più rigidi modelli semantici a dizionario in cui ogni significato è
semplicemente definito da una serie di unità minime tra loro interdefinite e autosufficienti (semantica strutturale). Ma il
funzionamento del processo cognitivo che porta all'identificazione del significato è molto più aperta ed è legata
all'attivazione di porzioni del sapere culturale complessivo in ragione delle esigenze contestuali. Il significato è infatti
determinato dall'uso di concetti legati alla nostra generale esperienza o conoscenza del mondo, a stereotipi e strutture
culturalmente predefinite che abbiamo appreso nel tempo e/o da altri testi (competenza intertestuale).
Secondo Eco posti di fronte ad un nuovo fenomeno, attraverso un meccanismo di inferenza percettiva, noi ci
costruiamo dei tipi cognitivi - "privati" o individuali -, mentre sul piano dell'accordo comunicativo, quindi sul versante
intersoggettivo e culturale, ci troviamo di fronte alla elaborazione di quello che Eco chiama contenuto nucleare,
costituito dall'insieme delle diverse interpretazioni e concezioni dell'oggetto in uso. A queste competenze si può poi
aggiungere una conoscenza più specifica e "professionale" propria solo di alcuni soggetti che Eco chiama contenuto
molare.
7.2 Fagocitazione, manipolazione, inferenza
Secondo lo studioso romeno Paul Cornea, la fase cruciale della comprensione di un testo consiste nella
negoziazione del senso, un procedimento che ha lo scopo di mediare tra il repertorio del lettore e le nuove percezioni di
lettura.
Il lettore integra i significati parziali e provvisori di parole, frasi, capoversi in ipotesi globali da ulteriormente
controllare nella continuazione della lettura.
Il paradosso rilevato da Cornea consiste nella stretta correlazione tra il senso di una parola da attualizzare
nell'occasione specifica e la cornice semantica in cui tale parola si colloca.
Per comprendere la cornice semantica di un enunciato occorre attualizzare determinate aree semantiche delle parole
che contiene e tenerne sotto narcosi altre, ma per capire quali aree semantiche delle parole occorre attualizzare occorre
essere a conoscenza della cornice semantica del testo nel suo insieme. La comprensione del senso globale e quella del
significato particolare vanno di pari passo. Da queste considerazione osserviamo che:
Quando l'attività del lettore è lanciata alla sua velocità massima perché non incontra ostacoli, la negoziazione del senso è
Sociologia della comunicazione - 15 - ISSR Matera
talmente facile e al di fuori del pieno controllo consapevole che non viene nemmeno percepita come tale.
Quando l'attività del lettore viene rallentata, siamo in presenza di difficoltà di lettura, come per esempio una parola
sconosciuta. La lettura può riprendere solo dopo che alla parola in questione viene (provvisoriamente come sempre)
attribuito un significato, o dopo avere consultato un testo, o per abduzione, per congettura basata sulle opportunità di
attivazione di significati plausibili nel co-testo e nel contesto.
Nei testi fortemente referenziali, "chiusi", tali difficoltà di decodifica possono essere causate involontariamente
dall'autore, oppure da difficoltà lessicali legate a linguaggi settoriali, tecnicismi che vengono introdotti all'attenzione del
lettore. Nei testi non strettamente informativi, più tendenti all'auto-referenzialità, dal punto di vista dell'autore le difficoltà
di decodifica sono calcolate e fanno parte della strategia dell'autore, che vuole mettere alla prova la capacità o lo stato di
attenzione del lettore.
Sia per il lettore convenzionale, sia per il lettore traduttore, gli atteggiamenti possibili di fronte a difficoltà sono due:
reazione o rinuncia. In quest'ultimo caso, di rifiuto della provocazione dell'autore, a farne le spese senza alcuna colpa è il
lettore. Nel caso invece in cui si propenda per affrontare le difficoltà, la negoziazione del senso viene suddivisa da Cornea
in tre procedimenti: fagocitazione, manipolazione simbolica e inferenza multipla.
Fagocitazione: con questo termine si indica un'operazione che potremmo definire appropriazione dell'altrui,
livellamento dell'elemento estraneo ai parametri prevalenti all'interno del contesto ricevente. Ciò avviene quando il
contesto semantico è stato chiarito in un modo che si ritiene definitivo, oppure alcune unità di senso compiuto sono state
individuate e non si desidera metterle in discussione perché ritenute utili e coerenti con una prospettiva di decodificazione
ben precisa. L'approccio della fagocitazione, in senso generale, fuori dal contesto, potrà apparire livellante e poco attento
alle peculiarità del prototesto.
Manipolazione simbolica. Qui al lettore viene chiesto di non limitarsi all'attualizzazione del senso primario,
superficiale, letterale di un enunciato, ma di scoprire un senso secondario, figurato, traslato, senso suggerito da una
difficoltà di decodifica che richiede un'interpretazione particolare per dare coerenza al testo nell'insieme.
L'Inferenza multipla è l'operazione consistente nel proporre alcune ipotesi simultaneamente e concatenate tra
loro allo scopo di superare una difficoltà di lettura. Nella negoziazione del senso, però, che sta alla base delle inferenze,
un ruolo fondamentale assumono le valutazioni soggettive, che si basano su parametri affettivi, legati alle esperienze
precedenti del lettore.
Negoziare il senso è «un'operazione molto più complessa di quanto appaia a prima vista: richiede competenza,
flessibilità associativa ed esperienza di lettura (per saper superare le difficoltà) e, allo stesso tempo, l'adozione di un
atteggiamento vigile»circa i propri pregiudizi, circa la propria ideologia inconscia per controllare le reazioni impulsive e
non distaccarsi troppo dal percorso indicato - ancorché implicitamente - dalla strategia autoriale, sfociando nella
decodifica aberrante.
In sintesi Paul Cornea riconoscendola dialettica tra testo e lettore prevede che in alcuni casi il secondo possa
avere difficoltà nel decodificare un testo per cui sceglierà se accettarlo o rinunciare: se decide di accettare dovrà attuare
una triplice strategia: Fagocitazione (accettazione del termine in questione), Manipolazione simbolica (cercare di capire
il senso di quella parola in quel contesto), Inferenza multipla (trovare nel suo bagaglio culturale, emotivo e altro
qualcosa che lo avvicini al senso)
ad esempio se io trovo la frase “Ei fu, siccome immobile” dovrò scegliere se far rientrare questa frase nel mio
universo semantico-conoscitivo (fagocitazione), poi dovrò manipolare gli elementi in questione (fu=passato remoto Ei=
Egli= chi?) e infine pensare a ciò che nel mio universo conoscitivo mi permette di comprendere il senso pieno (chi è
morto il “5 maggio”? Chi è l'autore di questo testo?).
Altro esempio è una parola come “Pneumatologico” o “Pericoresi”: devo scegliere se volerlo inserire nella mia
enciclopedia mentale poi decifrarne i contenuti attraverso una manipolazione simbolica (pneuma=soffio, Spirito?
Pneumatico c'entra qualcosa?; peri=intorno coresi mi fa venire in mente coreografia e quindi i balletti del saggio del
musical) e infine una inferenza multipla (è il professore di Trinitaria che parla o il mio gommista? Sto a scuola di ballo o
sto in un aula?)
7.3 L'abitudine
La memoria delle percezioni passate crea una sorta di banca dati individuale parzialmente inconscia che però,
sebbene a livello subliminale, interviene attivamente per accorpare percetti affini e sistematizzarli in categorie.
Le interpretazioni cui dà luogo una stringa di testo costituiscono una memoria storica che fa sì che le percezioni
successive di stringhe di testo uguali o analoghe possano essere confrontate e, se è il caso, assimilate alle percezioni e
Sociologia della comunicazione - 16 - ISSR Matera
interpretazioni precedenti.
Il ri-occorrere di tali associazioni è ciò che dà luogo all'abitudine, alla generalizzazione dell'esperienza e al tentativo
di ergere un fascio di esperienze al rango di norma (regolarità):
Le abitudini hanno gradi di forza che variano dalla dissociazione completa all'associazione inseparabile. Questi
gradi sono un misto di prontezza all'azione, ossia eccitabilità e altri ingredienti che non è il caso di esaminare
separatamente qui.
Il cambiamento d'abitudine consiste spesso nell'innalzare o nell'abbassare la forza di un'abitudine. Spesso le
abitudini differiscono per durata (che analogamente è una qualità composita).
Per capirci il lettore esperto legge, guidato dall'abitudine interpretativa, grazie alla quale la sua lettura può
procedere spedita seguendo norme generali sulla regolarità, finché non s'incaglia in qualche zona di testo marcata, in
qualche scoglio che richiede una navigazione a vista, un'attenzione particolare per riuscire ad affrontare le peculiarità
estetiche e interpretative specifiche.
Qui l'abitudine non fa al caso interpretativo del lettore, e quindi occorre sopperirvi con un fresco impiego di
applicazione analitica ad hoc.
Le abitudini, le generalizzazioni non sono un vicolo cieco ma, come gli altri due vertici della triade, comunicano
con ciascuno degli altri elementi (ripensiamo a Peirce). Abbiamo visto che la percezione istintiva gradualmente porta
all'accumulo di esperienza, e che l'accumulo di esperienza a sua volta porta al costituirsi di abitudini. Ma le abitudini, una
volta formate, quando cominciano a dare luogo a regolarità percettive e a ritmi di lettura più veloci, sono entità statiche?
Le generalizzazioni hanno valore assoluto e permanente?
La risposta è no, e si capisce facilmente perché. L'esperienza e l'abitudine si fondano sulla possibilità di catalogare
le percezioni di lettura e di interpretazione. Tale catalogazione implica una semplificazione e l'istituzione di una norma
(intesa, in senso descrittivo, come caso statisticamente più frequente, regolarità) e di una serie di modi, di tempi e di
quantità di scostamento standard dalla norma.
L'elemento di novità, il testo marcato, richiama l'attenzione del sistema di lettura vigile il quale, dopo un tempo di
decodifica appesantito dalla difficoltà, finisce per compiere l'atto interpretativo. Al termine, l'elemento nuovo è stato letto
e interpretato, e il ciclo percezione - esperienza - abitudine si compie, con la peculiarità che la percezione nuova dà luogo
a un'esperienza nuova, alla quale l'abitudine (vecchia) non è applicabile e deve perciò essere adattata. Da qui scatta il
segnale d'allarme e si ha - per il passo in cui è necessario - la decodifica consapevole, lenta, analitica. A conclusione di
tale esperienza nuova, della decodifica di un testo anomalo, il vertice della triade a cui fa capo l'abitudine risulta però
integrato, arricchito, perché la vecchia abitudine è risultata inadeguata ad affrontare la nuova esperienza, ed è uscita
modificata e rafforzata e ampliata dal confronto. Perciò il ciclo triangolare dell'acquisizione della conoscenza non ha
mai fine.
L'esperienza di un lettore deve essere molto ricca se si
pretende che l'abitudine consolidata sia relativamente
stabile. In un lettore alle prime armi, la banca dei dati
esperiti è talmente misera che alla prima novità le sue
flebili abitudini ricevono uno scossone drastico e
radicale.
In parole semplici l'abitudine crea nella nostra
mente la capacità di poter affrontare un testo in maniera
molto più scorrevole ma essa non va vista come qualcosa
di statica ma di dinamica. Ogni volta che affrontiamo un
testo la nostra conoscenza viene a modificarsi e quindi
l'interpretamen viene modificato (per inferenza).
Ad esempio leggendo un testo di Sacra Scrittura
mi risulterà più agevole la lettura se conosco i vari
personaggi della Bibbia e magari anche la sua storia,
oppure pensiamo a un ragazzo che entra in chiesa e si
trova un'acquasantiera, non avendo abitudine a
intingere il dito per segnarsi farà fatica a capire il
perchè di quell'oggetto. Solo l'abitudine gli permetterà
che quell'acqua ricorda il passaggio del Mar Rosso, il
Battesimo, etc. etc.
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8. STORIA DEI MEDIA
A partire dalla prima metà del XX secolo, gli studi sulla comunicazione trovano un nuovo oggetto di studio, i
media. (media: lat. plurale di medium, mezzo).
Tracciamo qui di seguito una breve storia dei media:
Ogni nuovo mezzo di comunicazione è accompagnato da importanti cambiamenti sociali. La specie umana è
caratterizzata da sempre dalla facoltà di esprimersi attraverso il linguaggio verbale.
“I media, attraverso i quali gli uomini comunicano, influenzano la loro lingua, il loro modo di pensare e anche,
direttamente e indirettamente, le società in cui essi vivono” (M. Baldini, Storia della comunicazione, in Dizionario della
Comunicazione, Carocci 2009)
distinguiamo tre importanti rivoluzioni nella storia della comunicazione:
rivoluzione chirografica (con l’invenzione della scrittura);
rivoluzione gutenberghiana (con l’invenzione della stampa);
rivoluzione elettrica ed elettronica (dall’invenzione del telegrafo)
e cinque tipi di culture, di età o epoche della comunicazione, che si sono succedute alla luce dei vari strumenti di
comunicazione utilizzati.
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cultura orale o epoca dell’oralità;
cultura manoscritta (chirografica) o epoca della scrittura;
cultura tipografica o epoca della stampa;
cultura dei media elettrici ed elettronici o epoca dei media elettrici ed elettronici.
Cultura dei digital media o epoca dei digital media.
Conseguenze di queste rivoluzioni: rapidità di circolazione delle informazioni e costi sempre più bassi. Rivoluzioni
succedute con ritmi sempre più ristretti.
8.1 Le tappe della comunicazione
In tal modo, ci sembra di poter individuare cinque tappe fondamentali
nella storia della comunicazione:
1. il linguaggio, perfezionatosi come strumento sistematico di trasmissione e scambio di pensieri complessi
all’incirca 40.000-30.000 anni fa;
2. la scrittura, introdotta circa nel IV millennio a.C., tecnologia che introduce la possibilità di stoccaggio delle
informazioni e un certo — sia pure limitato — grado di riproducibilità dei testi e di comunicazione a distanza;
3. la riproducibilità tecnica, inaugurata dalla stampa, tecnologia di riproduzione della scrittura databile intorno alla
metà del Quattrocento. La riproducibilità tecnica è alla base dello sfruttamento commerciale dei prodotti culturali e
stabilisce, quindi, una delle condizioni essenziali per l’inizio della fase di commercializzazione della cultura. Tecnologie
di riproduzione sono anche fotografia, cinema e riproduzione del suono comparse o affermatesi nella seconda metà
dell’Ottocento, che consentono di riprodurre esperienze (visione di immagini, fisse o in movimento, ascolto di suoni) ed
avviano, nell’ambito della Rivoluzione Industriale, le prime industrie culturali Otto-Novecentesche;
4. la telecomunicazione che, con l’invenzione del telegrafo e del telefono, segna la possibilità di comunicazione
“uno a uno” istantanea a distanza. La prima metà del Novecento vede poi la nascita — con la radio e la televisione —
delle possibilità di telecomunicazione dell’esperienza, in un processo comunicativo “da uno a molti”. Telegrafo e
telefono, se influiscono profondamente sulla vita individuale e sociale, si riflettono solo in misura limitata
nell’organizzazione degli apparati delle industrie culturali (fatta eccezione per l’informazione, per la quale rappresentano
una vera e propria infrastruttura produttiva). La radio, e quindi la televisione, rispetto alla telecomunicazione “punto a
punto”, rappresentano un’ulteriore svolta comunicativa perché consentono a enormi quantità di persone di sperimentare la
simultaneità senza la necessità di condividere un luogo. Esse danno quindi origine a un processo comunicativo (la
comunicazione di massa) di tipo nuovo e fanno capo ad apparati organizzativi e a modelli industriali ed economici di tipo
inedito;
Sociologia della comunicazione - 19 - ISSR Matera
5. l’informatica, la telematica e l’adozione del codice digitale per la trasmissione e lo stoccaggio dell’informazione,
tecnologie che caratterizzano la fine del Novecento e gli inizi del terzo millennio.
Le diverse tecnologie della comunicazione sono accomunate dalla funzione di permettere lo scambio e la
trasmissione attraverso lo spazio e il tempo. Grazie ad esse individui dislocati sul territorio a distanze più o meno grandi
possono:
❏ collegarsi fra loro ed accedere a contenuti relativi al passato (nelle forme della tradizione) e al futuro (nelle forme
della previsione);
❏ mettere “in comune” una quantità sempre crescente d’informazioni, sentimenti, emozioni, pensieri;
❏ eliminare progressivamente i limiti spaziali e temporali;
❏ generalizzare le occasioni di uso e di scambio dei significati, in una rete comunicativa via via più fitta, capillare e
diversificata. La conseguenza più vistosa è quella di far circolare le informazioni a una velocità sempre maggiore, a costi
sempre minori.
Notevole è, poi, l’accelerazione dei tempi intercorrenti fra le introduzioni di nuove tecnologie comunicative. Mentre
tra i primi tentativi alfabetici e l’alfabeto latino passano circa cinquemila anni — e altrettanti ne trascorrono
dall’invenzione della scrittura a quella della stampa — tra l’invenzione della stampa e imedia elettrici non intercorrono
neppure quattro secoli, mentre il passaggio dal telegrafo al World Wide Web richiede soltanto circa 150 anni.
8.2 Oralità
Gli ominidi, che ancora non hanno conquistato la posizione eretta, comunicano in genere seguendo l’istinto e i
fattori ereditari. In questo stadio il comportamento comunicativo che dipende dall’apprendimento è molto limitato.
Attraverso il linguaggio, l’uomo imposta l’esistenza in modo da difendersi e da organizzare l’attività della caccia.
Con il passare dei secoli diventa capace di immagazzinare e trasmettere ai suoi successori le tecniche di
sopravvivenza e, a partire dal 10.000 a.C. circa, impara a praticare l’agricoltura.
La capacità di usare il linguaggio consente all’esistenza umana di fare passi da gigante. Parole, numeri e altri
simboli, unitamente alle regole del linguaggio e della logica, mettono gli esseri umani nella condizione di affrontare il
loro ambiente fisico e sociale in modi assolutamente non realizzabili nella precedente età dei segni e dei segnali.
Attraverso la padronanza dei sistemi simbolici gli individui possono operare classificazioni, astrazioni, analisi, sintesi e
ipotesi. Possono, inoltre, ricordare, trasmettere, ricevere e comprendere messaggi di lunghezza, complessità e finezza
molto superiori a quelli consentiti dalle prime forme di comunicazione.
Dalle pitture rupestri che caratterizzano l’era della parola e del linguaggio, si passa, con lo scorrere dei secoli,
alle immagini pittografiche. Spinti dalle necessità connesse all’attività agricola, dal bisogno di registrare i confini delle
proprie terre e dal progredire degli scambi commerciali, gli uomini cercano il modo per standardizzare i significati delle
immagini. Intorno al 4000 a.C., in Egitto e in Mesopotamia, compaiono iscrizioni che è possibile associare a significati
che, con il passare del tempo, diventano sempre più standardizzati e codificati.
8.2.1 Oralità e memoria
In una cultura orale primaria per esprimere e far conoscere agli altri pensieri e stati emotivi non esistono altri mezzi
che il linguaggio, principio convenzionale — socialmente introiettato — che vincola in modo univoco contenuti e suoni.
Il patrimonio di conoscenze è soggetto a pesanti limiti: ha un breve raggio spaziale, ammette uditori limitati e non
assicura permanenza ai contenuti. Una cultura che non conosce la scrittura e non possiede documenti si fonda
esclusivamente sulla memoria: gli uomini sanno solo ciò che ricordano e le conoscenze vengono trasmesse con il solo
strumento della voce. In tale ambito la relazione con le parole è profondamente diversa dalla nostra: le parole non hanno
una presenza visiva, ma sono soltanto suoni che si possono “richiamare”, ricordare. Pertanto in questa fase, per la
trasmissione delle conoscenze, tra i sensi umani, l’udito è il più importante: l’uomo è più auditivo che visivo.
In una cultura in cui non esistono testi scritti — né a mano né stampati — il sapere deve essere organizzato in
espressioni verbali essenziali, in modo da essere facilmente memorizzato e trasmesso attraverso formule, frasi fatte,
proverbi, massime. Queste ultime, per quanto reperibili ancora in opere a stampa, nelle culture orali non sono occasionali,
ma costituiscono e formano la sostanza di un pensiero che senza di loro non può avere durata. Nella cultura orale il
pensiero nasce, quindi, all’interno di schemi a grande contenuto ritmico, si struttura in ripetizioni e antitesi, in
allitterazioni e assonanze, in epiteti ed espressioni formulaiche, in temi standard, in proverbi, in versi o in una prosa molto
ritmica, in quanto il ritmo — con il suo legame con il processo respiratorio, i gesti e la simmetria bilaterale del corpo
umano — aiuta la memoria anche da un punto di vista fisiologico. In altre parole il pensiero è intrecciato ai sistemi
mnemonici, che ne determinano anche la sintassi. Pensare in termini non formulaici, non mnemonici, se anche fosse
possibile, in questo ambito sarebbe inutile, poiché il pensiero non potrebbe poi essere ricordato. Nelle culture orali
primarie, dunque, la memoria — che è la custode dell’intero sapere — occupa un ruolo centrale tra i poteri della mente e i
sapienti sono coloro che posseggono una memoria di ferro.
Sociologia della comunicazione - 20 - ISSR Matera
8.2.2 La cultura orale
L’universo culturale e comunicativo delle società dell’oralità primaria presenta alcune caratteristiche di fondo.
Cerchiamo di enucleare le più importanti:
1. primato dell’udito: l’udito è il senso attraverso il quale l’uomo viene in contatto con l’intero sapere della sua
cultura. L’uomo biblico, ad esempio, è per antonomasia l’uomo dell’ascolto. Dio si manifesta nella parola ed ascoltare
e credere costituiscono quasi uno stesso atto;
2. sintesi e atemporalità: il mondo orale ha una scarsa capacità di sezionamento analitico, non conosce divisioni e
sequenze e non discrimina sull’asse temporale. Comprende, invece, eventi e sentimenti in uno sguardo d’insieme, in un
presente multiforme, sganciato dal passato e imprevidente sul futuro;
3. ascolto partecipativo: l’uomo della cultura orale tende sempre ad una partecipazione empatica e ad
un’immedesimazione totale con ciò che ascolta. Il piacere è una condizione del suo ascolto e del suo apprendimento:
ascolta con pienezza di sensi ed è disposto a lasciarsi coinvolgere emotivamente;
4. ridondanza: l’espressione orale deve essere ridondante poiché la ripetizione serve a mantenere l’oratore e
l’ascoltatore sull’argomento e sul tracciato dell’argomentazione. Se si “perde il filo” non si può tornare indietro a
“rileggere”: bisogna ripetere. La ridondanza è, inoltre, incoraggiata dall’esigenza dell’oratore di continuare a parlare
mentre pensa (è meglio ripetersi con abilità, piuttosto che, mentre si va in cerca di idee e argomenti, smettere di parlare).
Infine, la ridondanza è favorita anche dalle condizioni fisiche dell’espressione orale, soprattutto se si è dinanzi ad
un pubblico numeroso. Per problemi acustici o di comprensione, non tutti capiscono ogni parola dell’oratore.
Risulta, allora, vantaggioso ripetere lo stesso concetto due o tre volte;
5. costruzione paratattica: il pensiero e i processi comunicativi delle culture orali sono caratterizzati da uno stile
paratattico, cioè da una costruzione del periodo essenzialmente fondata sulla coordinazione e sulla mancanza di connettivi
logici (“quando”, “allora”, “mentre”, “così”) caratteristici del flusso narrativo contraddistinto dalla subordinazione
analitica e ragionata tipica della scrittura;
6. tono agonistico: le produzioni verbali di una società dell’oralità primaria sono centrate, in genere, su dinamiche
agonistiche. In queste culture, i proverbi e gli indovinelli, oltre che per immagazzinare conoscenza, vengono usati anche
per impegnare gli interlocutori in una battaglia intellettuale e verbale: pronunciare un proverbio o un indovinello significa
sfidare gli ascoltatori a rispondere con un altro più appropriato o con uno che lo contraddica. In una cultura orale la
comunicazione è caratterizzata, inoltre, dallo scontro verbale. Il vantarsi del proprio coraggio e/o il sarcasmo nei confronti
del nemico ricorrono regolarmente nella narrativa orale; ne troviamo tracce nell’Iliade o nella Bibbia;
7. primato del presente: nelle culture orali si tende ad eliminare, fra le cose da memorizzare — con dispendio di
tempo, fatica ed esercizio — tutto ciò che non ha rilievo per il presente. L’interesse per il passato è sempre subordinato
alle esigenze attuali, ragion per cui le parti sgradite o non più attuali del passato sono presto dimenticate. Anche a livello
linguistico, sopravvivono solo le parole di uso quotidiano. I termini arcaici rimangono in circolazione solo se entrano a far
parte del vocabolario specializzato dei poeti e solo fin quando vengono da essi usati quasi quotidianamente;
8. pensiero situazionale: in una cultura orale non si può pensare in termini di figure geometriche, categorie
astratte, logica formale, definizioni o anche descrizioni inclusive o auto-analisi articolate — che derivano da un pensiero
condizionato dalla scrittura — ma solo secondo situazioni pratiche. Anche le regole legali non vengono mai presentate in
enunciati universali, in principi generali, ma attraverso la creazione di una situazione esistenziale concreta. In altre parole,
non “l’assassinio è un crimine punibile con la pena di morte”, ma “se un uomo uccide un altro uomo, sarà a sua volta
ucciso” oppure, nei contesti religiosi, “tu non ucciderai”, dove la norma etica è rivolta ai destinatari sotto forma di un
comandamento personalizzato della divinità;
9. tradizionalismo e conservazione: le società a cultura orale sono chiuse, fortemente conservatrici e tradizionali:
la critica, il miglioramento o l’innovazione non vengono favoriti, ma guardati con diffidenza e contrastati. I processi
comunicativi sono tra i principali motivi di questa propensione alla difesa della tradizione. In una cultura a oralità
primaria, infatti, bisogna investire molta energia nel ripetere più volte ciò che viene faticosamente acquisito nel corso dei
secoli. La società tiene in gran considerazione i vecchi saggi che si specializzano nel conservare la conoscenza, che
conoscono e possono raccontare le storie del passato. Ciò crea una mentalità altamente tradizionalista e conservatrice.
Soltanto la scrittura, e ancor più la stampa, immagazzinando la conoscenza e disimpegnando energia dalla sua
conservazione mnemonica, possono consentire la libertà necessaria alla sperimentazione intellettuale.
8.3 La scrittura
La scrittura cuneiforme sumerica, la prima tra quelle conosciute, appare nel 3500 a.C. circa, in Mesopotamia. Dopo
i Sumeri, gli Egizi inventano il loro sistema di scrittura intorno al 3000 a.C. e i cinesi nel 1500 a.C. circa.
La scrittura cuneiforme potrebbe derivare almeno in parte da un sistema di registrazione delle operazioni
economiche tramite oggetti simbolici di argilla, racchiusi in piccole capsule cave, dette anche bullae, che recano
all’esterno intaccature corrispondenti agli oggetti contenuti al loro interno. Essa si evolve, poi, attraverso le fasi del
pittogramma (che adopera per la scrittura il simbolo stilizzato di un’immagine: ad esempio quella del “Sole” per indicare
Sociologia della comunicazione - 21 - ISSR Matera
il “Sole”), dell’ideogramma (in cui il simbolo rappresenta un’idea, come negli attuali cartelli stradali) e del fonogramma
(in cui i segni rappresentano suoni), accentuando l’elemento fonetico a discapito dell’elemento figurativo. Con il passare
dei secoli, inoltre, si semplifica passando dai 1200 caratteri della fase iniziale ai 500 circa nel 2000 a.C. Il cuneiforme —
nato nella Babilonia meridionale, nel Sud dell’attuale Irak — si diffonde lentamente in tutta l’area della Mezzaluna
Fertile; alla fine del XV secolo a.C. conquista l’Egitto e nel IX secolo a.C. è adottato dagli Urartei. Col passare del tempo
diviene la scrittura della corrispondenza internazionale, tanto che tavolette cuneiformi vengono ritrovate anche in
Transilvania.
Intorno al 3000 a.C. gli Egizi danno vita anch’essi a un sistema di scrittura a immagini — chiamato dai Greci
geroglifica (scrittura sacra incisa) — usato nelle iscrizioni religiose e monumentali. Successivamente sviluppano altri due
stili di scrittura a immagini: la ieratica e la demotica. Inoltre per primi usano in combinazione inchiostro liquido, penna e
carta come strumenti di scrittura. Per scrivere adoperano, infatti, penne ricavate dal gambo di un giunco masticato o
martellato ad un’estremità, in modo da trattenere una quantità di inchiostro (ottenuto mescolando fuliggine fine con acqua
e colla) sufficiente per scrivere un certo numero di segni. Un’innovazione ancora oggi alla base della maggior parte delle
comunicazioni manoscritte.
Intorno alla metà del secondo millennio avanti Cristo, quindi, nel bacino orientale del Mediterraneo vengono
utilizzati diversi tipi di scrittura: la cuneiforme in Asia; la geroglifica, nella variante corsiva dello ieratico, in Egitto; la
lineare A a Creta e la “pseudo-geroglifico ittita”, che va affermandosi in Anatolia a fianco della scrittura cuneiforme. Il
mondo semitico-occidentale, invece, non possiede ancora una scrittura sua propria.
8.3.1 L’alfabeto
Nei secoli XV e XIV a.C. i Fenici, popolo dedito al commercio insediato sulle coste della Siria, introducono una
nuova forma di scrittura, dalla quale derivano tutti gli alfabeti del mondo.
I precedenti sistemi di scrittura associano un segno a ogni suono (c’è, ad esempio,
un segno per il “ka”, uno diverso per il “ke” un altro per il “ki” e così via per il “ko” e per il “ku”) ma, essendo
enorme il numero dei suoni, il derivante sistema di segni risulta di difficile memorizzazione e poco maneggevole da
usare. I Fenici raggruppano le sillabe in “serie”, associandovi un segno che indica un denominatore comune: ad esempio i
cinque componenti della serie “ka-ke-ki-ko-ku” sono tutti rappresentati dal segno k, la “consonante” iniziale della serie.
Questo sistema di scrittura — definito in seguito “sillabario senza vocali” — pone le basi per il riconoscimento della
consonante come elemento teoricamente distintivo del linguaggio. Il nuovo “alfabeto” risulta così composto da un
numero di segni limitato e pertanto di facile memorizzazione. Quella che rimane difficoltosa è la lettura, che presuppone
che la parola vada — in qualche modo — “indovinata” a partire dagli “indizi” forniti dalle consonanti. Anche se le
grammatiche delle lingue semitiche facilitano il compito, la lettura necessita sempre di buona conoscenza della lingua e
grande familiarità con i testi. Questi alfabeti possono essere quindi utilizzati efficacemente soltanto da chi è in grado di
inferire il suono della parola grazie alla conoscenza della lingua.
Mentre i sillabari presemitici cercano di rendere in modo esauriente tutti i fonemi — e perseguendo tale obiettivo,
moltiplicano i segni sillabici al punto da rendere il loro utilizzo estremamente difficoltoso — i sillabari semitici privi di
vocalizzazione (fra cui anche l’aramaico e l’ebraico) contengono il numero dei segni entro una cifra oscillante fra i venti e
i trenta, rendendoli però suscettibili di un doppio o triplo impiego. L’economia realizzata si ottiene, quindi, a prezzo di
una forte ambiguità.
L’alfabeto fenicio viene ripreso più tardi dai Greci che, in un’epoca non anteriore
alla metà del VII secolo a.C., vi introducono significative modificazioni, consistenti essenzialmente nello sciogliere
la sillaba nelle sue (due o più) componenti foniche astratte e nello scomporre il suono in particelle elementari — le
consonanti e le vocali — componendo una serie di venticinque segni (comprendendo le aspirate) capaci di una efficienza
fonetica nettamente superiore a quella di tutti gli altri sistemi di scrittura esistenti.
L’alfabeto greco riesce, così, a soddisfare contemporaneamente tutte le esigenze di trascrizione della lingua, cioè:
1. rendere tutti i fonemi in modo esauriente;
2. contenere il numero dei segni entro una cifra oscillante fra i venti e i trenta;
3. attribuire ai segni un’identità fonica definita e invariabile.
Il nuovo alfabeto è, quindi, un sistema di scrittura capace di rispettare la complessità e la ricchezza del
linguaggio quotidiano e, mentre consente di descrivere adeguatamente l’esperienza umana, nello stesso tempo è in
grado di rendere conto della dialettica delle idee. Di conseguenza favorisce il sorgere del pensiero critico.
Può essere definito democratico — perché consente finalmente a tutti, addirittura anche ai bambini piccoli, di
imparare a leggere e a scrivere senza molta difficoltà — e internazionalista, perché può essere usato per scrivere o leggere
qualsiasi lingua.
Attraverso l’etrusco, l’alfabeto greco arriva ai Romani, che ulteriormente lo semplificano (eliminando la
differenziazione fra epsilon ed eta e fra omicron e omega) e lo diffondono come lo strumento più semplice e completo di
trascrizione del suono. La scrittura alfabetica è fra le condizioni che permettono lo svilupparsi di una struttura sociale e
politica estremamente articolata e la sua semplicità apre ad un notevole numero di persone l’accesso alla cultura scritta.
Sociologia della comunicazione - 22 - ISSR Matera
Con l’espandersi dell’Impero Romano, la diffusione dell’alfabeto si allarga alla maggior parte del mondo. Il
successivo sviluppo storico di questo sistema di scrittura — condizionato spesso da ragioni contingenti, come l’adozione
di grafie concepite per altre lingue o l’intervento di mutamenti linguistici non seguiti da adeguamenti grafici — fa sì che il
rapporto tra fono e segno sia non di rado impreciso nelle grafie storiche. L’alfabeto latino è, quindi, utilizzato ancor oggi,
con qualche modifica, dalla maggior parte del mondo ma, allo stesso segno — in base alle differenti lingue —
corrisponde una differente pronuncia.
8.3.2 L’uomo chirografico
Con la scrittura, dal pensiero orale (associativo e paratattico) e dal primato del campo uditivo — che privilegia la
simultaneità — si passa lentamente al pensiero analitico e al primato del campo visivo, che privilegia la sequenzialità.
Questo processo — lungo, lento e complesso — è caratterizzato da una serie di cambiamenti:
❏ la decadenza del primato dell’udito: nella trasmissione del sapere la supremazia dell’udito sulla vista si
attenua, ma l’orecchio conserva ancora, nei processi di comunicazione, un certo primato. La lettura è una attività solo in
parte visiva, in quanto, anche in privato, si svolge perlopiù ad alta voce. I libri manoscritti sono pieni di abbreviazioni, la
separazione tra le parole è praticamente sconosciuta, esistono pochissimi segni di interpunzione, l’ortografia non è fissa e
la grammatica è imprecisa. Come accade anche a noi, quando ci imbattiamo in un passo di cui non riusciamo a cogliere il
senso ad una prima lettura
silenziosa, l’uomo dell’antichità e del Medioevo legge chiedendo costantemente aiuto alle orecchie, perché
riesce a decifrare il senso dei testi solo unendo la vista all’udito;
❏ la frantumazione dell’esperienza: l’alfabeto fonetico crea una qualità dell’esperienza in cui a segni astratti
vengono associati arbitrariamente suoni che, isolatamente, sono privi di significato. Ciò conduce alla formazione di una
mentalità nella quale diviene possibile la frammentazione di ogni tipo di esperienza in unità uniformi, come anche
identificare, staccare e isolare delle unità, per poi ricombinarle;
❏ la temporalità: l’astrazione concettuale, unita alle capacità combinatorie necessarie a maneggiare la nuova
tecnologia di comunicazione, rende operativi — nella disciplina che regola la successione combinatoria delle unità — i
nessi temporali: il passato condiziona il presente e ipotizza il futuro. Il tempo diventa, così, una variabile essenziale:
scandisce l’ordine delle operazioni e si rivela come l’elemento e il principio che modella le forme dell’espressione
attraverso l’ordine stabilito dalla sequenza;
❏ la possibilità della scelta: poiché, pur seguendo le regole di combinazione, con l’alfabeto è possibile comporre
più sequenze diverse; l’analisi e la combinazione presuppongono anche la scelta: si acuisce, così, la consapevolezza di
diverse alternative possibili e se ne estende il campo;
❏ la nascita dell’Io: l’uomo dell’oralità non è in grado di fornire un’autoanalisi articolata, né è in grado di uscire
dal pensiero situazionale e di isolare il proprio Io dal mondo delle esperienze vissute in modo da oggettivarle, esaminarle
e descriverle. Le moderne riflessioni sull’Io e sull’autocoscienza sono una conseguenza dell’interiorizzazione della
scrittura (e successivamente della stampa): il concetto di “Io” nasce solo quando la parola si separa dalla persona che la
pronuncia, così che quest’ultima — divenuta la “fonte del linguaggio” —comincia ad assumere rilievo e identità.
8.3.3 La cultura chirografica
L’invenzione della scrittura cambia, quindi, lentamente il modo di pensare e di parlare degli uomini e influenza
anche le istituzioni politiche ed educative. Le caratteristiche della cultura chirografica possono essere sinteticamente così
individuate:
❏ decadenza della funzione della memoria: la cultura chirografica impara a fare a meno della memoria. La
scrittura e il libro liberano l’uomo dal dovere di memorizzare il sapere. Lo scritto è, di fatto, una memoria artificiale, una
“protesi” della mente che consente alla mente stessa di dedicarsi a compiti più creativi. Già all’inizio del IV secolo
a.C. gli intellettuali alfabetizzati cominciano a coltivare l’arte della memoria come una tecnica utile, ma accessoria.
Questa linea di tendenza si accentuerà ancora di più nella cultura tipografica, quando la memoria non sarà più il
requisito fondamentale del sapiente e non verrà più né educata, né esercitata;
❏ decadenza della formulaica: nelle culture orali il pensiero e le produzioni verbali sono caratterizzate da un
succedersi di formule fisse che ritroviamo. In altre parole, ad essi non è richiesta originalità, quanto piuttosto abilità nel
connettere e nell’eseguire brani familiari. Questa figura di poeta entra lentamente in crisi con l’introduzione della
scrittura.
Nella cultura manoscritta inizia a evidenziarsi l’individualità di un “autore”, cui si apre la possibilità di una
espressione “originale”;
❏ la scrittura “riflette” sulla parola: la separazione fra la parola e la persona che la pronuncia dà autonomia anche
alla parola stessa e al discorso, che può diventare così “oggetto” di riflessione e di studio, in modo da enuclearne e
organizzarne i “principi” e i costituenti. Divengono così possibili un ordine, un controllo, un’organizzazione del discorso,
impensabili in tempi di oralità, e diviene altresì possibile specificare tecniche dell’esposizione e di programmazione degli
Sociologia della comunicazione - 23 - ISSR Matera
“effetti” del discorso. Nasce la retorica classica che è, infatti, la più antica delle discipline concernenti il linguaggio ed
anche la prima tecnica comunicativa formalizzata;
❏ sviluppo del pensiero astratto e analitico: la comunicazione si affida all’efficacia di criteri costitutivi
concettuali; la combinatoria alfabetica associa arbitrariamente segni astratti ai suoni effettivamente pronunciati, così
come la moneta (più o meno coevi all’alfabeto greco sono le prime monetazioni) associa un valore a un oggetto
materiale. L’astrazione dei nuovi principi identifica, stacca e isola delle unità per poi ricombinarle. L’astrazione
concettuale unita alle capacità combinatorie, necessarie a maneggiare i nuovi strumenti, moltiplica la loro capacità
generativa. Inoltre, le verbalizzazioni della cultura manoscritta si distaccano, a poco a poco, dall’esperienza vissuta.
Mentre in una cultura orale apprendimento e conoscenza presuppongono il rapporto personale e una sintonia stretta,
empatica fra allievo e maestro, la scrittura separa chi conosce da ciò che viene conosciuto, stabilendo così le condizioni
per l’oggettività e il distacco personale.
Nella cultura chirografica gli uomini imparano ad usare una sintassi logica ed a manipolare enunciati teorici
generali, invece di enunciati relativi a una situazione esistenziale concreta. Dove gli uomini dell’oralità vedevano
situazioni, gli uomini della cultura chirografica imparano a vedere princìpi.
Trasportabilità del messaggio nello spazio e nel tempo
La scrittura diviene un mezzo della comunicazione diplomatica, politica, amministrativa. Trasmettere ordini e
istruzioni scritte è un sistema che offre maggiori garanzie di fedeltà rispetto alla comunicazione orale, perché il messaggio
non corre il rischio di essere modificato dal “messaggero”, è suscettibile di controllo oggettivo e, infine, può essere
consultato nuovamente ogni qualvolta si ritenga necessario o opportuno. Le caratteristiche della scrittura rendono
possibili:
❏ la comunicazione “in absentia”: con la scrittura la parola si separa dalla persona che la pronuncia. Si possono
verificare, così, forme di comunicazione in assenza del parlante. “Colui che parla” può essere lontano nello spazio o nel
tempo da colui che raccoglie il suo messaggio;
❏ la conservazione del passato: nella cultura chirografica è possibile conservare la memoria degli avvenimenti
nei documenti, per cui il passato — anche quello che non è più utile per il presente — viene conservato. La nozione dello
scorrere del tempo storico e la possibilità della storiografia cominciano con la scrittura. Inoltre, la cultura manoscritta
consente l’arricchimento del lessico, grazie alla possibilità di conservare memoria di quelle parole che escono dal traffico
quotidiano delle produzioni;
❏ la trasmissione e l’interpretazione: la possibilità di rileggere quanto si è scritto e di scoprirne gli aspetti nuovi
— poiché ogni uomo di scienza (ma anche ogni scrittore) mette molte più cose nelle scoperte che fa (o nelle opere che
scrive) di quante ne abbia immediata coscienza — è legata essenzialmente alla scrittura; così come legata alla scrittura è
la possibilità di tramandare le proprie opere ai posteri che, a loro volta, possono interpretare quanto leggono e scoprirne
letture e indicazioni delle quali lo stesso autore non era, o non poteva essere, consapevole.
La “fissazione” del discorso su un supporto e la possibilità di trasportare questo supporto nello spazio e nel tempo,
favorisce la nascita di forme di scambio e di commercio. Possiamo così assistere ad alcune forme di:
❏ creazione di un mercato della parola scritta: la parola scritta può essere mercificata, cioè trasformata in una
merce da vendere e acquistare sul mercato. Tracce di un commercio librario risalgono alla metà del IV secolo d.C. in
Grecia, si ritrovano a Roma, e si distinguono più forti tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo, in seguito alla rinascita
delle città;
8.4 Tecnologie della riproduzione: la stampa
La stampa consente, con un procedimento meccanico, di riprodurre testi, disegni e altre forme segniche in un
numero di copie illimitato, partendo da un’unica matrice.
Il più antico metodo di stampa, la xilografia — ancora oggi in uso per la stampa artistica — si afferma nel Trecento.
La tecnica xilografica nasce probabilmente in Estremo Oriente, in Cina.
La tecnica utilizza una tavoletta incisa a rovescio per fungere da matrice: inchiostrata nelle parti a rilievo, essa
è lo strumento necessario per riprodurre l’immagine, attraverso l’operazione di pressatura, su vari supporti: foglie di
papiro, pergamena, tessuti e carta.
La stampa a caratteri mobili è il risultato di costanti ricerche condotte nelle officine di tutta l’Europa in epoca
rinascimentale, ma è passata alla storia come invenzione dell’orefice e incisore tedesco Johann Genfleisch (1394/1399 ca1468) detto Gutenberg dal paese di origine dei genitori. La sua tecnica di stampa può essere ridotta sinteticamente al
sistema punzone-matrice-carattere-torchio. Per riprodurre meccanicamente lettere e segni, Gutenberg utilizza le tecniche
d’incisione già note e due strumenti di origini antichissime: il punzone e il torchio.
Uno dei motivi della progressiva differenziazione dei libri a stampa dai manoscritti è da ricercarsi nella
concorrenza tra gli editori per conquistarsi fette di pubblico. I manoscritti, infatti, non tengono conto dei lettori, ma dei
produttori: le abbreviazioni sono pensate per alleviare la fatica dei copisti e non per facilitare il lavoro di chi legge. Con il
nuovo metodo tipografico, la pagina viene sottomessa a un ordine formale — definizione dei margini, allineamento delle
righe, regolarità delle lettere, disposizione delle maiuscole — che assume, invece, come punto di riferimento l’occhio del
lettore impegnato a scorrere le righe.
Sociologia della comunicazione - 24 - ISSR Matera
Alle decorazioni e alle preziosità della pagina manoscritta — che gratificano l’occhio che guarda, ma penalizzano
quello che si muove nella lettura — subentra la semplificata regolarità della pagina stampata che agevola la lavorazione
tipografica e riduce la fatica di leggere. Gli stampatori producono, quindi, testi più leggibili, più facili da consultare, più
corretti.
La stampa introduce, poi, alcune delle caratteristiche che sono per noi distintive dell’“oggetto–libro”. La prima ad
affermarsi è il frontespizio, che per noi lettori moderni rappresenta lo “stato civile” dell’opera, una sorta di carta d’identità
del libro che contiene le informazioni relative all’apparato che lo ha prodotto: il produttore intellettuale (l’autore), il
produttore commerciale (l’editore), il titolo dell’opera, il luogo di edizione e la data di pubblicazione.
8.4. 1Autori e lettori
Il libro — nel suo doppio aspetto di prodotto culturale e merce — è l’elemento centrale sia del processo
comunicativo autore-editore-lettore, sia del processo commerciale attivato dall’apparato della stampa. In particolare le
figure dell’autore e del lettore, in seguito alla rivoluzione tipografica, subiscono cambiamenti che meritano un
esame attento e analitico:
1. Emerge la figura dell’autore:
Nella fase iniziale della storia della stampa, la figura dell’autore è pressoché assente: i testi sono spesso opere di
autori classici, scritti devozionali o di carattere commerciale di cui di solito l’autore è anonimo. In breve tempo, però, la
figura dell’“autore” diventa una componente essenziale del libro (fa parte dell’identità del testo, funge da elemento di
classificazione dei testi stessi) e del processo comunicativo che il libro mette in atto.
2. L’originalità diviene un valore
Le nuove modalità di pubblicazione dei testi della cultura tipografica fanno sì che, per gli uomini della cultura
tipografica, un autore sia tanto più degno di ammirazione quanto più è originale. La creatività e l’innovazione diventano
caratteristiche apprezzate nell’“autore”.
3. La parola diviene una merce, il plagio un reato
Nell’età del manoscritto copiare e mettere in circolazione l’opera di un altro può essere considerato un atto
meritorio. Nell’età della stampa lo stesso atto comincia ad assumere il carattere di una infrazione, che può dar adito a una
causa legale e alla richiesta del risarcimento dei danni. Il plagio diviene un reato e si istituzionalizza l’uso della citazione
della fonte, quando si usa un testo altrui. La paternità letteraria individuale si fa strada e si afferma anche grazie al fatto
che la stampa rende la parola una merce tra le altre merci e crea un senso tutto nuovo della “proprietà” privata
delle parole.
4. La lettura si fa silenziosa
Nell’antichità e nel Medioevo, la gente legge non solo con gli occhi, ma anche con le labbra, pronunciando quello
che gli occhi vedono, e ascoltando le parole pronunciate. Sant’Agostino, nelle Confessioni, cita come un fatto
decisamente insolito che Sant’Ambrogio sia in grado di leggere silenziosamente. Grazie alla normalizzazione dei testi
resa possibile con la stampa, diviene più facile leggere silenziosamente. Divenendo silenziosa, la lettura si fa privata;
divenendo privata, si fa silenziosa.
5. La lettura si fa estensiva
Sul finire del Settecento dalla lettura intensiva si passa alla lettura estensiva.
Sino alla metà del Settecento, in genere, gli uomini possiedono ben pochi libri: la Bibbia, qualche almanacco e
qualche operetta devozionale. Si pratica, quindi, una continua rilettura degli stessi testi: attenta, riverente, iterativa. Ma fra
Settecento e Ottocento — quando diviene possibile accedere a un numero crescente di testi stampati — la lettura si fa
estensiva. Il buon lettore non è più quello che conosce a fondo pochi testi, ma quello che conosce più testi.
6. La lettura diviene un fatto privato
Con la stampa la lettura diventa un fatto interiore: un atto di devozione (per lungo tempo la produzione è costituita
principalmente da libri d’ore o di argomento religioso) un piacere o un passatempo. Diminuendo la pratica della lettura
collettiva ad alta voce, il pubblico diviene sempre più atomizzato, individualistico, disperso.
7. La lettura diviene per molti
Fino alla fine del Seicento, tempo libero e capacità di leggere e scrivere sono solitamente limitati agli studiosi e
ai “gentiluomini”; solo nel Settecento il ceto medio dei mercanti e specialmente le donne cominciano ad acquisire il
gusto della lettura. In seguito, il processo di allargamento del numero dei lettori si amplia ed accelera e viene favorito
dalle trasformazioni sociali legate alla prima Rivoluzione Industriale che rende “cittadini” anche masse enormi
d’individui provenienti dalle campagne. Questi, nel processo di urbanizzazione, perdono la loro originaria identità e il
senso di appartenenza ad una comunità e cercano nella lettura strumenti per acculturarsi, riconoscersi ed elaborare una
nuova cultura. In questo complicato processo, in cui ogni fattore è, al tempo stesso, causa ed effetto di cambiamenti
sociali, l’alfabetizzazione è da considerarsi tanto un effetto, quanto una causa della diffusione e dell’affermazione della
stampa e dei suoi prodotti.
8. Il pubblico è il nuovo mecenate
Il mecenatismo letterario esercita un ruolo centrale nella storia della cultura, passando dalle mani dei re e della
Chiesa — nel Trecento e Quattrocento — a quelle di una più ampia cerchia di aristocratici, nel Cinquecento, e a mecenati
appartenenti al mondo della politica nel Seicento. Dopo tale secolo il mecenatismo finisce per trasformarsi nella semplice
Sociologia della comunicazione - 25 - ISSR Matera
dedica al personaggio dal quale l’autore avrebbe ricevuto un compenso. Per tutto il Settecento gli autori, anche se
percepiscono un compenso dai loro editori, se ne vergognano e cercano di far passare sotto silenzio la cosa. Molti tra loro,
Voltaire in testa, si schierano pubblicamente contro quella “sciagurata specie che scrive per vivere”. Tuttavia a partire
dalla metà del Settecento editori e librai raccolgono l’eredità dei mecenati. Da questo momento la sopravvivenza
dell’autore è legata ai capricci del mercato. Il pubblico, a poco a poco, diviene per lo scrittore il nuovo protettore da
conquistare.
8.4.2 L’uomo tipografico
Marshall McLuhan in The Gutenberg Galaxy. The Making of the Tipografic Man sostiene che l’invenzione della
stampa determini cambiamenti così profondi nel modo di conservare e trasmettere le informazioni e nel modo stesso di
pensare dell’uomo, che si può parlare della nascita di un uomo nuovo: l’uomo tipografico.
Con la stampa, i tratti caratteristici della cultura chirografica subiscono una vistosa accentuazione e, ad essi, se ne
aggiungono di nuovi. Questi, schematicamente, gli aspetti della nuova cultura tipografica:
1. Vittoria dell’occhio sull’orecchio: Se la pratica della lettura collettiva ad alta voce rimane socialmente viva fino
ad Ottocento inoltrato, la scrittura e ancor più la stampa abituano l’uomo a guardare diversamente. Gli occhi non
esplorano più le immagini un pezzo alla volta, ma mettono a fuoco prima una visione d’insieme. Il processo di lettura,
infatti, a partire dalle origini sumere della scrittura, si basa principalmente sull’inferire la parola, in base alla conoscenza
della lingua e grazie alle sue caratteristiche di ridondanza: quel processo per cui riconosco, in una serie di consonanti
come prbblmnt, l’avverbio “probabilmente”;
2. Frantumazione dell’esperienza: L’alfabeto fonetico crea una qualità dell’esperienza frantumata in unità
uniformi.
I caratteri mobili introducono il principio dei “pezzi intercambiabili”, fondamento tecnico di ogni moderna
produzione in serie. Nel processo produttivo della stampa, il “testo” è diviso in “pagine” che perdono l’ordine originario
(legato al processo di produzione di senso), per acquistarne un altro, relativo al criterio detto segnatura. Esse vengono,
cioè, organizzate in modo da poter essere stampate su grandi fogli interi di carta che, a seconda del formato del libro o
dello stampato (quartino, ottavo, sedicesimo, trentaduesimo), conterranno 4, 8, 16, 32 pagine di testo. Esse saranno
disposte in ordine non sequenziale, ma corrispondente alla logica, appunto, della segnatura, e cioè dalla piegatura che il
foglio subirà prima di essere tagliato, cucito e rifilato. Anche il testo, così, non si presenta più come un “flusso”, ma si
scompone in “pezzi”, spostabili a seconda delle esigenze.
3. Detribalizzazione: Si conclude il processo di detribalizzazione iniziato con la creazione dell’alfabeto, grazie alla
trasportabilità del messaggio nello spazio e nel tempo e alla possibilità di comunicazione in absentia. Le aggregazioni
umane possono estendersi nel-Tecnologie della riproduzione: la stampa lo spazio, e garantirsi continuità — di cultura,
leggi, tradizioni e costumi — nel tempo. Si afferma la certezza del diritto, che diventa suscettibile di un controllo
oggettivo, cui ogni cittadino può accedere direttamente. I legami divengono più astratti, meno personali, i codici e i
sistemi di regole più rigidi e interiorizzati.
4. Individualismo: Il concetto dell’“Io” nasce quando la parola si separa dalla persona che la pronuncia, così che
quest’ultima — divenuta la “fonte del linguaggio” — comincia ad assumere rilievo e identità: è il processo per cui
lentamente emerge la figura dell’“Autore” di un testo. La pratica della lettura silenziosa, e quindi privata, fa emergere,
però, anche il “lettore” come figura individuale, non più confusa in un gruppo di ascoltatori. Il libro di piccolo formato —
e quindi trasportabile e assolutamente “personale” — rende ancor più individuale e privato il processo di lettura e
incrementa notevolmente il nuovo culto dell’individualismo, fornendogli uno strumento essenziale.
5. Interiorità e introspezione: La stampa favorisce l’interiorità e l’introspezione, del resto già alimentate dalla
scrittura. Scrivendo si può immaginare di parlare con se stessi, ma il “discorso intrapersonale” esclusivamente mentale
non assume mai le forme possibili con la scrittura. L’allargamento della capacità di scrivere — strettamente connesso con
quello della possibilità di leggere inaugurato dalla stampa — rende possibile nuove forme di verbalizzazione del
monologo interiore. Le riflessioni su se stessi, sulle relazioni con gli altri o con l’ambiente possono assumere una
sinteticità, analiticità, oggettività e astrattezza, che fa di loro il prodotto di una struttura mentale modellata dalla cultura
della stampa.
6. Capacità di espressione: Il tipo di controllo sul discorso che la stampa rende possibile trasforma la scrittura: e
influenza persino il discorso orale. Il controllo sociale cui la stampa sottopone lo scritto e la destinazione “indeterminata”
del prodotto stampato (che fa della comprensibilità un requisito indispensabile) stimolano ulteriormente l’esattezza,
l’ordine, la chiarezza e la raffinatezza dell’espressione.
7. Uniformità, ripetibilità, continuità: Nel libro stampato la pagina viene sottomessa ad un ordine formale. La
regolarità delle singole lettere, la definizione dei margini, l’allineamento e la compattezza di ciascuna linea sono tali da
conferire al testo della pagina l’aspetto di un “tessuto”, ovvero di un “testo” (dal latino textum, participio passato del
verbo texere). Lettere tutte uguali e righe tutte uguali per copie tutte uguali. Da una stessa matrice si ricava un numero di
copie potenzialmente infinito della stessa pagina: il processo di stampa è un processo ripetibile, seriale e continuo, che
tende a rendere ripetibile, seriale e continua l’esperienza mediata e — di qui, per estensione — le altre forme di
Sociologia della comunicazione - 26 - ISSR Matera
esperienza.
8. Reificazione della parola: La parola perde definitivamente il suo legame con il magico e con il divino per
divenire “cosa” che si può produrre con mezzi meccanici. La parola diviene, inoltre, un bene economico: merce che può
essere venduta.
9. Trasformazione della memoria collettiva: La stampa allenta ancora più gli obblighi mnemonici, allargando e
diffondendo il patrimonio di “memoria artificiale” costituito dai libri. La memoria diviene, nei libri, anch’essa “cosa”, in
un processo che conduce alla reificazione della memoria collettiva che si compie prima nelle biblioteche e, poi, nelle
enciclopedie.
10. Sinteticità, analiticità, oggettività, pensiero astratto: Il controllo del testo reso possibile dalla stampa elimina
la ripetizione, che comincia ad essere considerata una pecca dell’espressione. La possibilità di “tenere sotto controllo” il
testo favorisce, ancora, l’analisi dettagliata delle questioni. Il processo di oggettivazione e di distacco personale — iniziati
con la scrittura — si accelerano e si intensificano con la stampa. Nello stesso modo, il rivolgersi ad un pubblico vasto e
sempre più indifferenziato favorisce i concetti universali e l’espressione astratta.
11. Marginalizzazione del pensiero formulaico: Ancora per qualche secolo, dopo l’invenzione della stampa, la
prosa conserva alcuni caratteri orali, ma in maniera fortemente residuale, fino a che nella lingua scritta il pensiero
formulaico appare più che altro come eco della lingua parlata.
Ma ciò accadrà quando la lingua letteraria si sarà talmente consolidata da dover “simulare” il parlato con artifici.
12. Creatività linguistica: Per gli uomini della cultura tipografica, un autore è tanto più degno di ammirazione
quanto più è originale, tanto nei contenuti che nelle forme dell’espressione. La creatività e l’innovazione, anche
linguistica, diventano caratteristiche apprezzate nell’“autore”. Le possibilità di conservazione delle opere garantita dalla
stampa fa sì che la lingua possa, quindi, arricchirsi progressivamente di tutte le innovazioni che i testi le apportano.
9.4.3 La censura
Nell’antichità, dato il numero ridotto delle copie e la scarsa capacità d’influenzare l’opinione pubblica dei testi
scritti, la censura ha un ruolo meno marcato che nella cultura tipografica. Chiesa e Stato utilizzano l’industria nascente ai
propri fini — commissionandole la pubblicazione di documenti ufficiali, comunicazioni e ordinamenti, oltre che di
opere d’interesse più generale — ma hanno una limitata capacità di controllare la produzione degli stampatori. La
nascita dell’industria editoriale crea, quindi, nuovi centri e reti di influenza che restano relativamente indipendenti dal
potere esercitato dalla Chiesa e dallo Stato. Inizialmente, la Chiesa appoggia con energia lo sviluppo dei nuovi metodi di
stampa — commissiona agli stampatori la pubblicazione di opere liturgiche e teologiche e li accoglie nei monasteri —,
ma non può certo controllare le attività di case editrici e punti di vendita, poiché essi sono troppi, come troppo elevate
sono le loro capacità produttive e commerciali. Tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, la Chiesa tenta a
più riprese di distruggere parte dei materiali stampati, spesso in collaborazione con le autorità secolari. Nel 1485,
l’arcivescovo Bertoldo di Magonza chiede al consiglio comunale di Francoforte di esaminare i libri prima della loro
esposizione alla fiera quaresimale e di aiutare la Chiesa a distruggere quelli dannosi.
Nel 1501, papa Alessandro VI tenta di imporre un sistema di censura più rigoroso e completo, vietando la stampa di
qualsiasi libro privo dell’autorizzazione delle autorità ecclesiastiche. Poiché il numero dei libri banditi cresce, la Chiesa
decide di compilare un indice, l’Index librorum prohibitorum, promulgato per la prima volta nel 1559. l’Index viene
continuamente rivisto e, aggiornato, e rimane in vigore per circa quattrocento anni. Per quanto assai frequenti tra la
fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, gli interventi delle autorità religiose e politiche ottengono scarso
successo. Vi sono infiniti modi per sfuggire alla censura: i libri vietati in una città o regione vengono pubblicati in un’altra
e contrabbandati da mercanti e venditori ambulanti. Se la censura ecclesiastica reprime i testi ereticheggianti o in odore di
scisma, la censura politica colpisce le opere che delegittimano o criticano i governanti. Tra il 1600 e il 1756 la Bastiglia,
in Francia, ospita più di ottocento tra autori, tipografi, librai e mercanti di stampe. Le tecniche messe in atto per eludere la
censura sono molteplici e vanno dall’indicare come luogo di edizione una “città di comodo” all’omissione del nome dello
stampatore. Per gli autori la via più seguita è quella dell’anonimato o dello pseudonimo.
La censura nel Cinquecento, come ai nostri giorni, è la causa di grandi successi editoriali: i libri proibiti finiscono
con l’avere un fascino insolito e vengono acquistati più facilmente.
8.5 Nascita e sviluppo dei mass media
L’Ottocento e la società dell’informazione
L’Ottocento è il secolo in cui prende forma la cosiddetta società dell’informazione. È in questo periodo che nasce,
gradualmente, un complesso sistema fondato sull’informazione che deriva da una precisa esigenza: esercitare un efficace
controllo sia sulla produzione materiale sia sui mercati, sempre più distanti dai luoghi di produzione.
Questa necessità stimola l’invenzione di tecnologie di comunicazione e di elaborazione delle informazioni che
produce una vera e propria “rivoluzione del controllo”, interessando, in primo luogo, la produzione, la distribuzione e il
consumo di beni materiali.
Gli effetti della “rivoluzione dell’informazione” non rimangono però circoscritti a questi ambiti, bensì si estendono
Sociologia della comunicazione - 27 - ISSR Matera
a una vasta gamma di altre sfere tant’è che la società dell’informazione viene “accolta e celebrata non semplicemente
come un nuovo modo di produzione, ma più in generale come un nuovo modo di vivere.
Non solo si affinano le capacità organizzative, ma si ampliano anche le possibilità conoscitive nonché quelle
relazionali. Nella seconda metà dell’Ottocento nascono i primi mezzi di comunicazione di massa e inizia la
globalizzazione delle comunicazioni.
L’avvento del computer, poi, negli anni della seconda guerra mondiale e nel periodo immediatamente successivo,
segna l’apice della società dell’informazione in quanto tecnologia “ineguagliabile nella sua capacità di manipolare e
trasformare l’informazione e perciò di svolgere, automaticamente e senza l’intervento degli uomini, funzioni eseguibili in
precedenza solo dal cervello umano”.
8.5.1 La stampa diventa mezzo di comunicazione di massa
Iniziamo dalla stampa che, come già detto, nasce nel Quattrocento e diventa mezzo di comunicazione di massa nella
prima metà dell’Ottocento: il periodo della cosiddetta penny press in cui il giornale era venduto per la modica spesa di un
penny. I primi quotidiani stampati compaiono però molto prima, nel Seicento.
85.2 Il telefono e le sue funzioni
La nascita del telefono, che risale alla seconda metà dell’Ottocento, rinvia ad uno dei tanti conflitti di priorità che
fanno parte della storia della scienza e della tecnologia. Nel 1871, il fiorentino Antonio Meucci brevetta l’invenzione del
telefono ma, cinque anni dopo, Alexander Graham Bell ottiene a sua volta il brevetto per la stessa invenzione. Nel
luglio del 1877 nasce la Bell Telephone Company e solo nel 1886 una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti
risolve il conflitto di priorità a favore di Meucci.
Ciò premesso, cerchiamo di capire in che modo questo mezzo di comunicazione entri gradualmente a far parte della
vita quotidiana della gente. Innanzitutto, era necessario creare il bisogno del telefono, ovvero la domanda di questo nuovo
oggetto, vincendo timori e resistenze spesso simili a quelli successivamente espressi in riferimento alla comunicazione
telematica.
Inizialmente si pensa di far leva sull’utilità pratica di questo oggetto nonché sul suo basso costo e,
conseguentemente, le prime pubblicità sottolineano la funzione informativa del telefono, strumento indispensabile per
fronteggiare situazioni di emergenza, quali incendi o malori, ma anche per gestire più facilmente le normali attività della
vita quotidiana.
8.5.3 Lo spettacolo delle immagini in movimento
La prima proiezione cinematografica risale al 1895. Siamo a Parigi in una fredda sera di dicembre. È passato da
pochi giorni il Natale, e al Boulevard des Capucines i passanti infreddoliti vengono invitati ad entrare nel Salon Indien
del Grand Café per assistere, al prezzo di un franco, a uno spettacolo mai visto prima: immagini in movimento. Dieci
film della durata di un minuto e mezzo ciascuno. Fino alla prima guerra mondiale, comunque, la funzione del
cinema americano è essenzialmente quella di intrattenimento. Quando però scoppia il primo conflitto mondiale, e gli Stati
Uniti decidono di intervenire nel conflitto, il capo dell’allora “Comitato per l’informazione pubblica” pensa di usare il
cinema in funzione propagandistica per contrastare i diffusi sentimenti pacifisti presenti nella società americana. Il che
imprime una nuova direzione al rapporto tra pubblico e industria cinematografica: mentre, in un primo tempo, sono i gusti
del pubblico a guidare l’industria cinematografica, in un secondo tempo è quest’ultima a orientare il comportamento del
pubblico.
Verso la fine degli anni Venti, la voce si unisce all’immagine in movimento; dal muto si passa al sonoro;
l’immagine è un’immagine che parla. È un periodo estremamente delicato per molti artisti: l’avvento del sonoro implica
un cambiamento radicale sia nel modo di fare cinema, sia nel modo di recitare.
8.5.4 Il Novecento: la radio e la televisione
Radio e televisione sono i mezzi di comunicazione di massa della prima metà del Novecento. Dalla trasmissione
dei segnali punto-linea, caratteristica sia del telegrafo con fili di Samuel F.B. Morse, sia del telegrafo senza fili
realizzato dal padre della radio Guglielmo Marconi, si passa a un sistema più sofisticato che consente la trasmissione
della voce, tipica del mezzo radiofonico.
Sia il telegrafo con fili che quello senza fili realizzano, cioè, il sogno di un’informazione istantanea a distanza tra un
singolo emittente e un singolo ricevente; il che si rivela di grande utilità, rendendo ad esempio possibile, per le navi in
difficoltà, l’invio di richieste di aiuto.
Lo stesso Marconi non pensa ad altre possibili funzioni e, per di più, trascorre diversi anni ad eliminare quello che,
lungi dal costituire un difetto, era invece la caratteristica più importante del mezzo: la possibilità che il messaggio potesse
essere “intercettato” da altri. In sintesi, il telegrafo non era stato pensato e realizzato come mezzo di comunicazione di
massa.
La radio dimostra una grande vitalità e una notevole capacità di adattamento – peraltro favorite dalle stesse
Sociologia della comunicazione - 28 - ISSR Matera
caratteristiche strutturali del mezzo, che ben presto diventa leggero e maneggevole – mostrandosi addirittura aperta, negli
anni Novanta, al connubio con Internet.
Alla fine del secondo conflitto mondiale, il problema della radio era quello di fronteggiare la forte concorrenza
della televisione la cui tecnologia era già stata messa a punto negli anni Venti. Il primo servizio televisivo regolare del
mondo è inaugurato in Gran Bretagna il 2 novembre del 1936, ma lo scoppio della seconda guerra mondiale blocca
dappertutto la diffusione di questo mezzo stimolando, nello stesso tempo, la ricerca nel settore elettronico.
Nell’ambito della televisione, nel suo spazio di comunicazione broadcast (unidirezionale, “da uno a molti”), a
partire dalla metà degli anni Novanta del Novecento si vanno profilando nuovi, e parzialmente impensati, scenari. Ancora
prima si era andata determinando una differenza sostanziale tra i due modelli dominanti, quello commerciale e quello
pubblico, che ancora oggi è oggetto di discussione: almeno in Italia, sono gli unici - il modello “pubblico” anche per la
sua imprescindibile natura di televisione di servizio — ad avere, per la loro estensività, una rilevante funzione politica e
sociale. “Nonostante alcune preoccupanti somiglianze, questi due modelli di televisione non sono sullo stesso piano, anzi
sono addirittura incommensurabili.
Vi sono tante varietà di pubblicazioni a stampa che perseguono le finalità più disparate, così è per la televisione, la
quale può essere generalista e tematica, digitale satellitare e terrestre, via cavo, on-line, a pagamento o gratuita, ondemand ecc. Sempre maggiore rilevanza, in termini di modalità di fruizione e di incremento degli utenti (qualifica che
sembra più consona di “tele-spettatori”, perché evidenzia il carattere attivo della scelta), ha acquisito la Web-Tv: la
televisione presente su Internet, con palinsesti di programmi e trasmissioni, di informazione, di intrattenimento ecc. — da
vedere “in diretta” (live) o scegliendo tra i contenuti-video a disposizione in un archivio (per esempio, Repubblica
RadioTv) — grazie alla tecnologia del video-streaming (stream, “flusso”); esistono anche Web-Radio, oltre che radio che
trasmettono anche su Web.
Il Webcasting consiste in una trasmissione unidirezionale, dall’emittente a tutti i destinatari che sono on-line; dalla
Web-Tv vanno distinti comunque tutti quei siti Web che consistono in una raccolta, sempre più ampia e organizzata, di
video che gli utenti stessi “caricano” (upload) al loro interno (gli esempi più importanti sono il notissimo Youtube e
Google Video): in questo caso non esiste una struttura produttiva centralizzata, ma ogni utente della Rete è una
sorta diffusore e/o produttore di contenuti audiovisivi (user generated content).
8.6 Internet
Internet è contrazione della locuzione inglese Interconnected Networks, ovvero Reti Interconnesse; è una rete di
computer mondiale ad accesso pubblico, attualmente rappresentante il principale mezzo di comunicazione di massa, e che
offre all'utente tutta una vasta serie di possibili contenuti e servizi. Costituita da alcune centinaia di milioni
di computer collegati tra loro con i più svariati mezzi trasmissivi, Internet è anche la più grande rete di computer
attualmente esistente, motivo per cui è definita "rete delle reti" o "rete globale"
Internet offre i più svariati servizi, i principali dei quali sono il World Wide Web e la posta elettronica, ed è
utilizzata per le comunicazioni più disparate: private e pubbliche, lavorative e ricreative, scientifiche e commerciali. I suoi
utenti, in costante crescita, nel 2008 hanno raggiunto quota 1,5 miliardi e, visto l'attuale ritmo di crescita, si prevede che
saliranno a 2,2 miliardi nel 2013.
La storia di Internet è direttamente collegata allo sviluppo delle reti di telecomunicazione. L'idea di una rete
informatica che permettesse agli utenti di differenti computer di comunicare tra loro si sviluppò in molte tappe successive.
La somma di tutti questi sviluppi ha condotto alla “rete delle reti”, che noi conosciamo oggi come Internet. È il frutto sia
dello sviluppo tecnologico, sia dell'interconnessione delle infrastrutture di rete esistenti, sia dei sistemi
di telecomunicazione.
I primi progetti di questo disegno apparvero alla fine degli anni cinquanta. L'applicazione pratica iniziò alla fine
degli. Dagli anni ottanta le tecnologie che oggi costituiscono la base di Internet cominciarono a diffondersi in tutto il
globo (Italia compresa). Nel corso degli anni novanta la popolarità della rete è divenuta massiva in seguito al lancio
del World Wide Web.
Alcune date:
 1960: Avvio delle ricerche di ARPA, progetto del Ministero della Difesa degli Stati Uniti
 1967: Prima conferenza internazionale sulla rete ARPANET
 1969: Collegamento dei primi computer tra 4 università americane
 1971: La rete ARPANET connette tra loro 23 computer
 1972: Nascita dell'InterNetworking Working Group, organismo incaricato della gestione di Internet. Ray
Tomlinson propone l'utilizzo del segno @ per separare il nome utente da quello della macchina.
 1982: Definizione del protocollo TCP/IP e della parola "Internet"
 1983: Appaiono i primi server dei nomi dei siti
 1984: La rete conta ormai mille computer collegati
 1985: Sono assegnati i domini nazionali: .it per l'Italia, .de per la Germania, .fr per la Francia, ecc.
Sociologia della comunicazione - 29 - ISSR Matera
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1990: Scomparsa di ARPANET; apparizione del linguaggio HTML
1991: Il CERN (Centro Europeo di Ricerca Nucleare) annuncia la nascita del World Wide Web
1992: Un milione di computer sono connessi alla rete
1993: Apparizione del primo browser pensato per il web, Mosaic
1996: Sono connessi 10 milioni di computer
Le origini di Internet si trovano in ARPANET, una rete di computer costituita nel settembre
del 1969 negli USA da ARPA (Advanced Research Projects Agency). ARPA fu creata nel 1958 dal Dipartimento della
Difesa degli Stati Uniti per dare modo di ampliare e sviluppare la ricerca.
Verso il 1965 l'ARPA iniziò ad avere dei seri problemi di gestione: aveva diversi computer sparsi in varie sedi (tutti
molto costosi) che non potevano parlarsi: non avrebbero potuto farlo nemmeno se fossero stati nella stessa stanza.
Scambiare file fra loro era quasi impossibile, per via dei formati di archiviazione completamente diversi (e proprietari)
che ognuno di essi usava, quindi era necessario molto tempo e molto lavoro per passare dati fra i vari computer, per non
parlare dello sforzo necessario per portare e adattare i programmi da un calcolatore all'altro.
ARPANET sarebbe servita a condividere online il tempo di utilizzazione del computer tra i diversi centri di
elaborazione dati e i gruppi di ricerca per l'agenzia. L'IPTO si basò su una tecnologia rivoluzionaria: la commutazione di
pacchetto (packet switching),
8.6.1 Da Arpanet a Internet (anni settanta e ottanta)
In pochi anni, ARPANET allargò i suoi nodi oltreoceano, contemporaneamente all'avvento del primo servizio di
invio pacchetti a pagamento: Telenet della BBN. In Francia inizia la costruzione della rete CYCLADES sotto la direzione
di Louis Pouzin, mentre la rete norvegese NORSARpermette il collegamento di Arpanet con lo University
College di Londra. L'espansione proseguì sempre più rapidamente, tanto che il 26 marzo del1976 la regina Elisabetta
II d'Inghilterra spedì un'email alla sede del Royal Signals and Radar Establishment.
Gli Emoticon vennero istituiti il 12 aprile 1979, quando Kevin MacKenzie suggerì di inserire un simbolo nelle mail
per indicare gli stati d'animo.
Tutto era pronto per il cruciale passaggio a Internet, compreso il primo virus telematico: sperimentando sulla
velocità di propagazione delle e-mail, a causa di un errore negli header del messaggio, Arpanet venne totalmente
bloccata: era il 27 ottobre 1980. Definendo il Transmission Control Protocol (TCP) e l'Internet Protocol (IP), DCA e
ARPA diedero il via ufficialmente a Internet come l'insieme di reti connesse tramite questi protocolli.
8.6.2 Nascita del World Wide Web (1991)
Nel 1991 presso il CERN di Ginevra il ricercatore Tim Berners-Lee definì il protocollo HTTP (HyperText Transfer
Protocol), un sistema che permette una lettura ipertestuale, non-sequenziale dei documenti, saltando da un punto all'altro
mediante l'utilizzo di rimandi (link o, più propriamente, hyperlink). Il primo browser con caratteristiche simili a quelle
attuali, il Mosaic, venne realizzato nel 1993. Esso rivoluzionò profondamente il modo di effettuare le ricerche e di
comunicare in rete. Nacque così il World Wide Web.
Nel World Wide Web (WWW), le risorse disponibili sono organizzate secondo un sistema di librerie, o pagine, a cui
si può accedere utilizzando appositi programmi detti browser con cui è possibile navigare visualizzando file, testi,
ipertesti, suoni, immagini, animazioni, filmati.
La facilità d'utilizzo connessa con l'HTTP e i browser, in coincidenza con una vasta diffusione di computer per uso
anche personale , hanno aperto l'uso di Internet a una massa di milioni di persone, anche al di fuori dell'ambito
strettamente informatico, con una crescita in progressione esponenziale.
8.6.3 EVOLUZIONE DEL WEB
Sempre più spesso si sente parlare di web 1.0 e web 2.0 senza sapere esattamente di cosa si tratti e
fondamentalmente che differenza ci sia tra i due. Visto che ormai si parla già di web 3.0, è il caso di fare un pò di luce su
questo argomento.
Ci limitiamo qui a tracciare le definizioni dei vari tipi di web, introducendo, per quel che se ne sà ancora, quelle che
dovrebbero essere le caratteristiche del web 3.0.
Web 1.0: Le informazioni sono pubblicate in maniera statica, immaginate come un vostro foglio di word con testo e
immagini, portato su web. L’utente arriva sulla pagina, legge e se ne va senza nessuna interazione.
Attualmente il 70% degli utenti è ancora abituato a questo tipo di navigazione.
Web 2.0: Il termine venne coniato da Tim O’Reilly alla prima conferenza sul web 2.0. Per la prima volta si iniziò a
dare grande importanza all’usabilità e al modo di condividere i contenuti. Il webmaster non è che una parte del sito, che,
nei casi più importanti, è composto da comunità di migliaia di utenti (si pensi a Wikipedia).
Sociologia della comunicazione - 30 - ISSR Matera
Web 3.0 Come ogni rivoluzione, si cerca ora, con il web 3.0, di raffinare l’enorme cambiamento che ha portato il
web 2.0: Il web 3.0 infatti, non sarà altro che un evoluzione del suo predecessore. Attualmente non è ancora tutto chiaro
ma da quel che si legge sulla rete, ma possiamo immaginarci uno scenario in cui le informazioni in rete vanno sempre di
più agglomerate verso un unico database, e consultate da più pagine web.
Si parla altresì di intelligenze artificiali grazie ad algoritmi sempre più sofisticati che permetteranno un
orientamento migliore in una rete sempre più affollata.
Infine il web 3.0 si muoverà verso il 3D, con una rete non più fatta di pagine, ma di veri e propri spazi in cui
“muoverci” per trovare quello che cerchiamo. (in questo l’esperienza di second life credo sia stata determinante).
Per finire ecco qualche esempio:
WEB 1.0
DoubleClick
Ofoto
Britannica Online
Siti personali
Screen scraping
Pubblicazione
Sistemi di gestione dei contenuti
WEB 2.0
Google AdSense
Flickr
Wikipedia
Blogging
Web services
Partecipazione
Wikis
Come si può vedere ho evidenziato le due voci “pubblicazione” e “partecipazione” perchè fondamentalmente è
questa la differenza sostanziale. Mentre nel Web 1.0 è il webmaster il solo interlocutore con i suoi utenti, nel Web 2.0
sono il webmaster e gli utenti a comunicare.
8.7 COSA CAMBIA CON I MEDIA DIGITALI
Nei precedenti capitoli già si è fatto più volte riferimento a quella che è stata definita la “Rete delle reti”, ovvero
Internet, e si è visto come essa sia, in primo luogo, uno strumento di comunicazione creato inizialmente per permettere la
comunicazione-scambio di informazioni tra computer remoti.
Autonomia, plasmabilità, interattività sono alcuni concetti-fattori, come vedremo, che contraddistinguono la
comunicazione in Rete. Internet è anche il luogo in cui è potenziata al massimo la multimedialità, ossia l’impiego di
media diversi, intesi sia come mezzi, (testo, suono, immagini), sia come sistemi (radio, televisione) della
comunicazione. Per comprenderne la principale modalità di funzionamento si deve prendere in esame la “logica” dei
“rimandi” su cui si fonda; rimandi che possono essere di citazione, di approfondimento, di integrazione ecc., in un tessuto
di richiami intramediali — entro un unico mezzo — e/o intermediali, come nel caso di un testo collegato a un video,
collegato a un grafico e così via. Ogni fruitore-utente della rete, più o meno consapevolmente, traccia dei percorsi di
lettura, maturando gusti, opinioni, idee che poi esprime nelle proprie reti relazionali e nei propri comportamenti
quotidiani. L’insieme aperto, plasmabile, di questi messaggi-links non direttamente prodotto ‘dall’alto’ è ormai il terreno
fertile di una comunicazione che non è più produzione di semplice spettacolo ma di altra comunicazione.
Gli anni tra il 1995 e il 2000 hanno visto il cruciale passaggio del Web da luogo della comunicazione specializzata
di tipo scientifico a luogo della comunicazione generale, diffusa e globale. Il fondamento comunicativo della network
society, in cui da tempo viviamo, è costituito da un sistema globale di reti di comunicazione orizzontale, che comprende
uno scambio multimodale e interattivo di messaggi many-to-many, ossia da ‘molti a molti’.
Ciò a differenza di quanto avviene, come visto, nella televisione tradizionale, in cui si configura invece uno
scambio (‘uno a molti’) tra l’emittente e i molti utenti.
Per una descrizione minima di alcune caratteristiche del tipo di comunicazione che la Rete rende possibile,
possiamo indicare:
a) l’estrema velocità, in modalità sia sincronica sia asincronica (i contenuti-messaggi sono rapidamente accessibili
in archivi e database);
b) la diffusione semplice e a basso costo di qualsiasi tipo di informazione in formato digitale (testo, audio, video);
c) creazione di gruppi di interazione accomunati da interessi personali, senza che sia necessario alcun contatto
fisico tra i partecipanti: le cosiddette comunità virtuali nelle loro diverse versioni.
In sintesi, la tipologia comunicativa della Rete capovolge lo schema verticale o verticistico dei media tradizionali
(televisione, radio, stampa), i quali prevedono pochi centri di emissione e una massa di ricettori passivi o, quantomeno,
che non hanno il potere di contribuire o di partecipare attivamente alla produzione dell’informazione. Non prevedono,
insomma, quella reciprocità e capacità d’interazione trasversale che indubbiamente rappresentano le risorse della Rete.
Sociologia della comunicazione - 31 - ISSR Matera
Data la sua particolare configurazione tecnologica, Internet non possiede centri di emissione privilegiati: fruitori e
produttori d’informazione si scambiano facilmente il ruolo di emittente e di ricevente senza limitazioni di sorta (unico
requisito è una minima alfabetizzazione informatica).
Si può allora sintetizzare la differenza strutturale tra la mass communication e la mass self-communication: la prima
verticale e unidirezionale, la seconda orizzontale e bidirezionale o, meglio, multidirezionale Si può spesso verificare
anche una circuitazione tra le due, che in ogni caso convivono e si influenzano reciprocamente: è abituale, ad esempio,
l’echeggiare di un qualche evento-notizia nell’intero universo mediatico, sulla carta stampata, in televisione e infine, o
contemporaneamente, attraverso Internet.
8.7.1 Il cyberspazio
Questo termine, oggi molto usato, è stato coniato nel 1984 dallo scrittore di fantascienza William Gibson; il termine
deriva, come cibernetica, dal greco kybernein, e significa “governare”, “dirigere”; nel suo senso generale indica uno
spazio o una dimensione artificiale, poiché ciò che è governato, diretto, è non naturale, non fisico. Il cyberspazio designa
quindi una «realtà artificiale, “virtuale”, multidimensionale generata, alimentata e resa accessibile dal computer attraverso
le reti globali di comunicazione: in fondo una buona parte della nostra vita si svolge o passa proprio attraverso il
cyberspazio.
Lévy è una figura di riferimento anche per la sua importante teoria dell’intelligenza collettiva e connettiva,
l’intelligenza cioè che si sviluppa in ambiente cyberspaziale: l’intelligenza collettiva è “un’intelligenza distribuita
ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che porta a una mobilitazione effettiva delle
competenze”. Il coordinamento in tempo reale delle intelligenze implica dispositivi di comunicazione che, al di là di una
certa soglia quantitativa, dipendono obbligatoriamente dalle tecnologie digitali dell’informazione. I nuovi sistemi di
comunicazione, allora, dovrebbero fornire ai membri di una comunità i mezzi per coordinare al massimo grado le loro
interazioni nello stesso universo virtuale di conoscenza, interazioni che si effettuano all’interno di un paesaggio dinamico
di significazioni. In quest’ottica, il cyberspazio diventerebbe lo spazio mutevole delle interazioni tra le diverse
competenze dei “collettivi intelligenti deterritorializzati”. Il punto focale delle teorie di Lévy è che «noi formiamo
un’intelligenza collettiva, esistiamo come comunità significativa». Si passa così dall’idea di un cogito individuale e
autonomo (che poi si relaziona alle altre intelligenze) al cogitamus, al “pensare insieme o in comune”. Occorre, però,
precisare che nello scenario delineato dal filosofo francese le intelligenze individuali non risultano fuse in un magma
indistinto, in una massa amorfa, poiché, al contrario, l’intelligenza collettiva stessa rappresenta in sé — nel quadro di una
rete comunicativa dinamica e condivisa — un processo di crescita, di differenziazione e di mutuo rilancio delle
specificità.
8.7.2 Recenti sviluppi del web
La sigla 2.0 sta a indicare una nuova fase della vita di Internet, e più precisamente del Web, in cui vengono
sviluppate le sue enormi potenzialità principalmente nel campo della comunicazione, dell’informazione condivisa e della
fruizione di contenuti multimediali. Seguendo quanto riportato sul sito della Microsoft: «I servizi e gli strumenti del Web
2.0 trasformano ogni utente da consumatore a partecipante, da utilizzatore passivo ad autore attivo di contenuti, messi a
disposizione di chiunque si affacci su Internet, indipendentemente dal dispositivo che utilizza». La sigla non indica perciò
l’evoluzione della tecnologia TCP-IP che è alla base della Rete, ma quella dei mezzi e degli strumenti che utilizzano
l’infrastruttura tecnologica sulla quale poggia Internet. È il nuovo modo di intendere la Rete, che pone al centro i
contenuti, le informazioni, l’interazione. In questa sua “nuova” dimensione o versione, il Web, oltre alle sue permanenti
funzionalità, offre sempre di più Blog, Reti sociali (Social Network), podcasting (da iPod, lettore di file audio mp3, e
broadcasting), contenuti audio-visivi.
Il blog, termine derivato dalla contrazione di Web-log, che significa “traccia su Rete”, è uno strumento che ormai si
è imposto come uno dei fenomeni comunicativi più interessanti. Si tratta di una sorta di diario personale ma pubblico,
visibile da tutti, contenente i pensieri e le riflessioni (i cosiddetti post) di chi lo gestisce (il blogger). Il blog esprime, da un
lato, un evidente bisogno di comunicazione immediata, dall’altro, l’intenzione di dare e di lasciare una testimonianza di
sé, entrambi fenomeni interessanti per gli studi di sociologia della comunicazione. La maggior parte dei blog verte su temi
personali, ma esistono anche alcuni che veicolano una forma di impegno, di critica, di contro-informazione a carattere
sociale e politico: il caso più noto in Italia è quello del blog di Beppe Grillo, che è riuscito, in maniera imprevedibile, ad
attirare l’interesse di milioni di persone e a creare un movimento di notevole impatto sulla società civile. Sul piano
statistico, secondo alcuni studi condotti negli Stati Uniti, risulta che circa il 52% dei bloggers sostiene di fare un uso
prettamente privato di questa forma di comunicazione, mentre il 32% si rivolge a una propria e ben definita audience.
Una visione negativa del “fenomeno blog” mette in rilievo il fatto che tale linea di mass self-communication rischia di
dare luogo a una specie di “autismo informatico” più che ad un processo comunicativo vero e proprio.
In ogni caso, il dato che rimane è che ogni singolo post lasciato sul Web diviene, a prescindere dalle intenzioni
dell’autore, una “bottiglia nell’oceano” della comunicazione globale: un messaggio suscettibile di essere recepito e
rielaborato in modi assolutamente imprevedibili.
Altro e interessante fenomeno della nuova Rete è la nascita di siti, spesso con relative strutture organizzative
Sociologia della comunicazione - 32 - ISSR Matera
retrostanti, il cui fine principale è fare informazione alternativa, controinformazione, utilizzando proprio la facilità di
accesso e gestione dei media elettronico-digitali: in tale direzione s’è mossa l’esperienza di Indymedia, col suo motto,
divenuto famoso, Don’t hate the Media, become your Media (Non odiate i media, diventate i media). Libertà personale di
comunicazione e impegno sociale e politico sono i due elementi che si fondono insieme. ‘Decentramento
dell’informazione’, la parola offerta a tutti, il webgiornalismo ‘dal basso’, in cui la distanza tra gli autori e i lettori è
ridotta al minimo e spesso si annulla, sono le nuove prospettive in cui estendere le potenzialità democratiche della società
della comunicazione.
In sintesi. Internet diventa il luogo in cui si possono verificare e/o approfondire le informazioni ricevute tramite
i media tradizionali (radio, giornali, telegiornali) o il luogo esclusivo dove si ricercare informazioni su notizie, temi
ecc. La Rete inoltre offre la concreta ed efficace occasione per presentarsi come centri autonomi di diffusione (siti,
blog, forum), che possono poi favorire interazioni finalizzate all’organizzazione di movimenti a carattere sociale e
politico: una sorta di agorà elettronica, nel quadro di quella che è stata preconizzata come instant referendum
democracy, la “democrazia del referendum istantaneo”, in cui sarebbe possibile — pur entro certi limiti — una
partecipazione più attiva sul piano dell’opinione pubblica. L’evoluzione in corso nel Web si pone così sostanzialmente
all’insegna di un’interazione sociale sempre più forte, che marcia di pari passo con gli sviluppi in campo tecnologico.
8.7.3 Nodi problematici
problema antropologico (quale comunicazione per quale uomo);
Nello scenario comunicativo, ciò che è sempre più a rischio è il concetto stesso di persona, la sua privacy e la sua
libertà.
Il mondo così come lo conosciamo, basato sull’incontro tra persone, coscienze che si scambiano reciprocamente
sensazioni e sguardi, rischia di scomparire, sostituito da una comunità di corpi sintetici.
P. C. Rivoltella: “la progettazione di software sempre più raffinati e l’utilizzo delle reti neurali, sta consentendo al
computer di interagire con l’operatore in linguaggio naturale, rendendo impossibile distinguere a quest’ultimo se colui
con cui sta interagendo sia una macchina oppure un uomo”
Problema ontologico (la possibilità di un senso possibile);
L’applicazione del virtuale per simulare esperienze reali, prevedendone in anticipo le caratteristiche, può contribuire
a migliorare la qualità di vita dell’uomo?
Oppure, quella che chiamiamo simulazione sostitutiva, l’applicazione del virtuale all’area del ludico, finisce per
creare uno spazio alternativo, trasformando il simulacro in realtà?
Il reale si dissolve, in quest’ottica, in un reduplicare continuamente un referente inesistente, perché appunto
immagine sintetica.
Conseguenza di ciò è il crearsi di un pericolo processo di derealizzazione, al limite della patologia, in cui non
sarebbe neppure possibile procedere al riconoscimento di cosa sia vero e meno, nel mondo sinteticamente costruito.
Problema epistemologico (l’idea di conoscenza di tale scenario)
Problema epistemologico relativo a quale conoscenza sia possibile realizzare attraverso i new- media. La questione
è collegata al problema ontologico.
Proprio per il rarefatto (inesistente) legame con il
vero, tale neo-realtà può facilmente divenire luogo
dell’inganno, simulazione, imbroglio e violazione.
Non sappiamo ancora come sì concluderà la
rivoluzione segnata dall’avvento di Internet.
Si tratta di una rivoluzione silenziosa e sicuramente
più discreta rispetto a quella del passaggio dalla cultura
orale a quella chirografìca prima e tipografica poi.
In questo scenario della contemporaneità, l’uomo
non è più pellegrino, ma viandante e invoca nuovamente un
territorio da abitare come casa.
L’uomo della tarda modernità chiede di
riappropriarsi di se stesso, delle sue relazioni, in uno spazio
che torni ad essere luogo della stabilità.
Sociologia della comunicazione - 33 - ISSR Matera
9. Teorie sugli effetti dei mezzi di comunicazione
I mass media, per la loro stessa struttura comunicativa, modificano profondamente la nostra percezione della realtà
e della cultura, secondo il principio di Marshall McLuhan per cui "il medium è il messaggio" . Infine, poiché un aspetto
molto importante della comunicazione di massa è la produzione in serie di messaggi come "merce", diventa molto
importante lo studio delle strategie con cui vengono prodotti e diffusi i messaggi, specialmente quando lo scopo di questi
messaggi è quello di influenzare le idee ed i comportamenti dei destinatari, come accade nella comunicazione politica o
nella pubblicità.
9.1 Apocalittici e integrati
Nel corso degli anni è stata prodotta un'enorme quantità di studi e ricerche sugli effetti causati dai media e ancora
oggi gli esperti si dividono, secondo una famosa definizione di Umberto Eco, fra "apocalittici" (per i quali i media hanno
una portata sostanzialmente distruttiva rispetto alla socializzazione ordinaria) e "integrati" (propensi piuttosto a
considerare
gli
esiti
positivi
e
controllabili
della
socializzazione
tramite
media).
M. Baldini: “Ogniqualvolta si è verificata una delle rivoluzioni […] gli uomini si sono divisi in due fazioni, l’una
contro l’altra armata: da un lato quella degli apocalittici e dall’altra quella degli integrati”
N. Postman: “tanto gli apocalittici quanto gli integrati sono zelanti profeti con un occhio solo: “ogni tecnologia è
al tempo stesso un danno e una benedizione; non è l’una cosa o l’altra, è l’una cosa e l’altra”
“Primo apocalittico” è Platone, che nel Fedro riconosce come la scrittura avrebbe cambiato la mente degli uomini:
l’alfabeto nuocerà alla memoria e creerà un falso sapere.
Ogni innovazione tecnologica ridisegna le modalità di presenza dei media già esistenti.
Un nuovo medium segue una modalità di diffusione nel tempo non regolare. Si passa infatti da una rapida crescita
iniziale, a una fase di assestamento, fino all’esaurirsi della carica di novità tecnologica.
L’avvento di un nuovo medium non comporta la fine dei media precedenti. Cambiano gli equilibri, viene ridefinita
la collocazione, ma nessun medium viene meno.
W. J. Ong: “Oggi si sente dire che i libri sono finiti, che radio e televisione li hanno rimpiazzati. Ebbene, chiunque
pensi a ciò è ben lontano dalla realtà […]. Il nuovo medium non elimina quello vecchio, d’altra parte quest’ultimo non è
più lo stesso di prima”.
Si arriva così, finalmente, a definire il processo della comunicazione di massa. Essa si basa su organizzazioni
complesse per produrre e diffondere messaggi indirizzati a pubblici molto ampi e incisivi. Si tratta ora di capire se e come
i mass media agiscono nelle società che li ospitano. Esistono varie teorie a riguardo, che esaminiamo qui di seguito:
Teoria dell’ago ipodermico:
Più che una teoria vera e propria, può essere interpretata come una modalità di
lettura dei media. Nata nei primi decenni del 900, la teoria dell’ago ipodermico aveva
una visione apocalittica dei media, strumenti in grado di inoculare sotto la pelle delle
persona, qualsivoglia tipologia di messaggio. La tesi derivante è quella che “i media
manipolano le persone”. Tale tesi poggia le sue fondamenta sui cambiamenti che
attraversavano in quel periodo le società occidentali: il passaggio dalla comunità
tradizionale, con vincoli di sangue e di luogo, alla comunità moderna, asettica e
impersonale: una società di massa.
La teoria dell’ago ipodermico innesta un nuovo modello comunicativo, il
modello Stimolo-Risposta (S-R): in tale modello, ad ogni stimolo (messaggio dei
media) corrisponde una risposta (reazione degli spettatori). Tale modello lascia ben
poca autonomia al pubblico, descritto come quasi succube dei media. Nonostante i suoi limiti, nell’ambito della teoria
dell’ago ipodermico troviamo i padri della mass communication research (Lasswell). In definitiva la teoria dell’ago
ipodermico è facilmente criticabile: ognuno in fin dei conti sceglie cosa guardare o leggere, di solito interpretando tali
cose sotto l’influenza di qualcuno per loro importante.
Sociologia della comunicazione - 34 - ISSR Matera
Teoria degli effetti limitati e il flusso di comunicazione a due stadi:
la teoria ipodermica ha costituito la base per le ricerche degli anni
successivi. Le ricerche successive hanno portato alla critica del modello stimolorisposta (aggiungendo un passaggio intermedio) ottenendo così il modello StimoloVariabili Intervenienti-Risposta (S-IV-R): infatti si capì che i messaggi portavano a
stimoli diversi nei diversi target di pubblico. L’altro pilastro della teoria
ipodermica, la massa, venne demolito in quanto non era possibile analizzare gli
effetti dei media sulle masse senza considerare il contesto sociale in cui agiscono.
Uno dei risultati più eclatanti di queste ricerche sul campo fu la teoria del flusso di
comunicazione a due stadi: in base a tale teoria il messaggio dei media viene
recepito dal pubblico grazie a una categoria di persone che occupano posti-chiave
nei reticoli di relazioni interpersonali, i leader d’opinione. I messaggi arrivano
dunque prima ai leader d’opinione (I stadio) e dunque al pubblico (II stadio). Qui
accanto gli schemi delle due teoria sinora analizzate. Dalla teoria del flusso si cambia finalmente il punto di vista sui
media: dapprima visti come manipolatori, successivamente come persuasori, ora come influenti.
Struttural-funzionalismo (usi e gratificazioni)
dal secondo dopoguerra gli studi sulla comunicazione in Usa entrano in una fase più matura; a partire dallo, che
studia i media distinguendoli non più per i loro obiettivi ma per le loro funzioni, si arriva alla teoria di usi e
gratificazioni: la funzione dei media viene assimilata all’uso strumentale che il pubblico fa dei mezzi di comunicazione di
massa, al fine di soddisfare i propri bisogni e di riceverne così una gratificazione.
La teoria critica
nello stesso periodo le ricerche sociologiche europee si svolgevano nella neo-istituita scuola di Francoforte. Basata
sulle dottrine del Marxismo, tale scuola si pone con un atteggiamento critico rispetto alla cultura in generale. Svolge una
poderosa analisi dei mass media, arrivando alla definizione di industria culturale (l’insieme dei mezzi di
comunicazione). Tra i suoi dogmi, quello della cultura omologata, standardizzata e poi servita ai consumatori. I mass
media svolgono le loro azioni solo per raggiungere utili economici, manipolando i valori del pubblico: l’uomo diventa “a
una dimensione”, narcotizzato cioè dai media e offuscato da una falsa coscienza che gli impedisce di liberarsi dalle sue
catene.
I cultural studies
Sviluppatisi in Inghilterra negli anni ’50, pongono la cultura al centro dei loro interessi scientifici. Il concetto di
cultura cambia e viene inteso come un insieme di processi sociali e storici. Anch’essi si appoggiano al Marxismo,
rivedendone però alcuni aspetti. È all’interno di questa scuola di pensiero che si sviluppa il modello encoding-decoding:
qualsiasi prodotto mediale nasce da una messa in codice (encoding) da parte di un’organizzazione al cui vertice troviamo
l’autore. Una volta messo in circolo, il messaggio sarà decodificato (decoding) dal pubblico, portando a tre diversi casi:
1.
lettura egemonica-dominante, il punto di vista dell’autore appare l’unico anche per lo spettatore.
2.
lettura negoziata, accanto al punto di vista dell’autore appaiono considerazioni autonome.
3.
lettura oppositiva, quando il messaggio viene letto in modo antagonista e inserito in un contesto opposto
a quello dell’emittente.
Importante ricordare che per la prima volta viene riconosciuto al pubblico un ruolo attivo.
La Scuola di Toronto
Le basi di partenza degli esponenti della scuola consistono nella nuova
considerazione dei media: la tecnologia viene vista come il motore del
mutamento, una forza che può determinare la direzione del mutamento della
società. Per gli autori ogni tecnologia porta con sé un bias, cioè una tendenza alla
conservazione del sapere. Ogni media (dal papiro alle moderne tecnologie) si è
evoluto in una sorta di scala: il nuovo media inglobava quello precedente e le
informazioni in esso contenute. Si sono verificate delle vere e proprie mutazioni
antropologiche, come quelle dell’uomo. I media stessi vengono considerati come
una sorta di estensione dell’uomo (la scrittura, estensione della memoria; il
telefono, estensione di voce e udito) ma anche come una sorta di estensione di
consapevolezza. Tali processi portano alla nascita del villaggio globale, con la
Sociologia della comunicazione - 35 - ISSR Matera
conseguente differenziazione in media caldi (stimolano un solo senso, radio e cinema) e media freddi (abbisognano di più
partecipazione da parte dell’utente, televisione, telefono e internet).
La scuola di Toronto tende a disinteressarsi al contenuto dei media, preferendo lo studio del media vero e
proprio, poiché il contenuto del media è pur sempre un altro media: il contenuto della scrittura è il discorso, così
come la parola scritta è contenuta nella stampa, ecc… Ogni nuovo media tende ad inglobare i media precedenti: in
questa accezione, internet contiene tutti i media.
Spirale del silenzio
La teoria della spirale del silenzio venne sviluppata negli anni 1970 da Elisabeth Noelle-Neumann. La tesi di fondo
è che i media, ma soprattutto la televisione, possano avere un notevole effetto di persuasione sui riceventi e quindi più in
generale sull'opinione pubblica. Nello specifico la teoria afferma che una persona singola è disincentivata dall'esprimere
apertamente e riconoscere a se stessa una opinione che percepisce essere contraria alla opinione della maggioranza, per
paura di riprovazione e isolamento da parte della presunta maggioranza.[1] Questo fa chiudere la persona in un silenzio
che fa aumentare la percezione collettiva (non necessariamente vera) di una diversa opinione della maggioranza,
aumentando di conseguenza in un processo dinamico il silenzio di chi si crede minoranza (da cui spirale del silenzio).
Questa teoria ebbe una notevole importanza nella scienza della comunicazione per la rinascita del dibattito sui
poteri di persuasioni forti dei mezzi di comunicazione, in contrasto con la scuola di pensiero di un effetto debole dei mass
media sul pubblico.
10.2 Mc Luhan
Nel libro La galassia Gutenberg McLuhan sottolinea per la prima volta l'importanza dei mass
media nella storia umana; in particolare egli discute dell'influenza della stampa a caratteri mobili sulla storia della cultura
occidentale.
Nel libro McLuhan illustra come con l'avvento della stampa a caratteri mobili si compia definitivamente il
passaggio dalla cultura orale alla cultura alfabetica. Se nella cultura orale la parola è una forza viva, risonante, attiva e
naturale, nella cultura alfabetica la parola diventa un significato mentale, legato al passato. Con l'invenzione
di Gutenberg queste caratteristiche della cultura alfabetica si accentuano e si amplificano: tutta l'esperienza si riduce ad un
solo senso, cioè la vista. La stampa è la tecnologia dell'individualismo, del nazionalismo, della quantificazione,
della meccanizzazione, dell'omogeneizzazione, insomma è la tecnologia che ha reso possibile l'era moderna.
Alla base del pensiero di McLuhan (e della Scuola di Toronto) troviamo un accentuato determinismo tecnologico,
cioè l'idea che in una società la struttura mentale delle persone e la cultura siano influenzate dal tipo di tecnologia di cui
tale società dispone.
Gli strumenti del comunicare
Questo è tra i lavori maggiormente noti di McLuhan, e costituisce una ricerca innovativa nel campo dell'ecologia
dei media. È qui che McLuhan afferma che è importante studiare i media non tanto in base ai contenuti che veicolano, ma
in base ai criteri strutturali con cui organizzano la comunicazione. Questo pensiero è notoriamente sintetizzato con la
frase "il medium è il messaggio". Tuttavia sarebbe fuorviante ridurre l'analisi condotta ai soli mezzi di comunicazione di
massa o mass - media. La riflessione di McLuhan abbraccia, in linea generale, qualsiasi tipo di media. In effetti la
versione originale in inglese del libro in questione è titolata Understanding Media (vale a dire Capire i media) mentre il
titolo della traduzione italiana - "Gli strumenti del comunicare" - trae evidentemente in inganno.
McLuhan afferma che "nelle ere della meccanica, avevamo operato un'estensione del nostro corpo in senso spaziale.
Oggi, dopo oltre un secolo di impiego tecnologico dell'elettricità, abbiamo esteso il nostro stesso sistema nervoso centrale
in un abbraccio globale che, almeno per quanto concerne il nostro pianeta, abolisce tanto il tempo quanto lo spazio". Ad
esempio un primo medium analizzato da McLuhan è stato quello tipografico. McLuhan osserva infatti che la stampa ha
avuto un grande impatto nella storia occidentale, veicolando la Riforma protestante, il razionalismo e l’illuminismo e
originando il nazionalismo, l'industrialismo, la produzione di massa, l'alfabetismo e l'istruzione universale.
Si può dunque asserire che qualsiasi tecnologia costituisce un medium nel senso che è un'estensione ed un
potenziamento delle facoltà umane, e in quanto tale genera un messaggio che retroagisce con i messaggi dei media già
esistenti in un dato momento storico, rendendo complesso l'ambiente sociale, per cui è necessario valutare dei media
l'impatto in termini di "implicazioni sociologiche e psicologiche".
McLuhan afferma che il contenuto di una trasmissione ha in realtà un effetto minimo sia in presenza di programmi
per bambini o di spettacoli violenti. Si tratta certamente di una forzatura, questa, che però tende a mettere l'accento sulla
struttura dello strumento che sovente viene dimenticata a favore del contenuto. Per esemplificare lo stesso film
(contenuto) visto alla televisione o al cinema (medium) ha un effetto diverso sullo spettatore. Per cui la struttura della
televisione e la struttura del cinema hanno un impatto particolare nella società e sugli individui che deve essere colto e
analizzato attentamente.
McLuhan osserva che ogni medium ha caratteristiche che coinvolgono gli spettatori in modi diversi; ad esempio, un
Sociologia della comunicazione - 36 - ISSR Matera
passo di un libro può essere riletto a piacimento, mentre (prima dell'avvento delle videocassette) un film deve essere
ritrasmesso interamente per poterne studiare una parte. È in questo testo che McLuhan introduce la classificazione dei
media in caldi e freddi.
Fra le tesi più illuminanti, quella per cui ogni nuova tecnologia (comprese la ruota, il parlato, la stampa), esercita su
di noi una lusinga molto potente, tramite la quale ci ipnotizza in uno stato di "narcisistico torpore". Se non abbiamo gli
anticorpi intellettuali adatti, questo capita appena ne veniamo in contatto, e ci porta ad accettare come assiomi assoluti, le
assunzioni non neutrali intrinseche in quella tecnologia. Se invece riusciamo a evitare di esserne fagocitati, possiamo
guardare quella tecnologia dall'esterno, con distacco, e a quel punto riusciamo non solo a vedere con chiarezza i principi
sottostanti e le linee di forza che esercita, ma anche i mutamenti sociali diventano per noi un libro aperto, siamo in grado
di intuirli in anticipo e (in parte) di controllarli.
Il medium è il messaggio
L'espressione "il medium è il messaggio" ci dice perciò che ogni medium va studiato in base ai criteri strutturali in
base ai quali organizza la comunicazione; è proprio la particolare struttura comunicativa di ogni medium che lo rende non
neutrale, perché essa suscita negli utenti-spettatori determinati comportamenti e modi di pensare e porta alla formazione
di una certa forma mentis. Ci sono, poi, alcuni media che secondo McLuhan assolvono soprattutto la funzione di
rassicurare e uno di questi media è la televisione, che per lui era un mezzo di conferma: non era un medium che diede
luogo a novità nell’ambito sociale o nell’ambito dei comportamenti personali.
La televisione non crea delle novità, non suscita delle novità, è quindi un mezzo che conforta, consola, conferma e
"inchioda" gli spettatori in una stasi fisica (stare per del tempo seduti a guardarla) e mentale (poiché favorisce lo sviluppo
di una forma mentis non interattiva, al contrario di internet e di altri ambienti comunicativi a due o più sensi).
Media "caldi" e media "freddi"
Questa classificazione ha dato luogo ad equivoci e a discussioni, dovute al fatto che gli aggettivi "caldo" e "freddo"
sono stati adoperati in senso antifrastico, cioè in senso opposto rispetto loro reale significato.
Mc Luhan classifica come "freddi" i media che hanno una bassa definizione e che quindi richiedono un’alta
partecipazione dell'utente, in modo che egli possa "riempire" e "completare" le informazioni non trasmesse; i media
"caldi" sono invece quelli caratterizzati da un'alta definizione e da una scarsa partecipazione. McLuhan nei suoi scritti
parrebbe cadere in contraddizione nel definire "caldo" o "freddo" un particolare Medium, nel caso della scrittura per
esempio questa viene dapprima definita fredda poi "calda ed esplosiva".
Per superare questa ambiguità occorre distinguere il senso emotivo degli aggettivi "caldo" e "freddo" da quello
matematico, specificamente adottato nel senso di una diretta proporzione fra "temperatura mediatica" e "quantità di
informazione". Questa proporzione ha senso nell'ambito di uno ed un solo canale sensoriale. Confrontare il "calore" della
radio con quello della televisione è un madornale vizio di forma, poiché l'una agisce sull'udito e l'altra sulla visione.
Benché, ovviamente, televisione e cinema abbiano una forte componente uditiva, nell'analisi della loro temperatura
mediatica questa non è indicativa, a meno che non si consideri lo specifico canale acustico in un'analisi a parte.
Ha senso, invece, un confronto tra media di diversa "vocazione" sensoriale, se si ragiona sugli effetti, in merito ad
una determinata strategia (ad esempio la propaganda politica).
Il villaggio globale
Quello del "villaggio globale" (1968) è un metaforico ossimoro adottato da McLuhan per indicare come, con
l'evoluzione dei mezzi di comunicazione, tramite l'avvento del satellite che ha permesso comunicazioni in tempo reale a
grande distanza, il mondo sia diventato piccolo ed abbia assunto di conseguenza i comportamenti tipici di un villaggio.
Nell'opera "Understanding Media" (1964), McLuhan scrive: "Oggi, dopo più di un secolo di tecnologia elettrica, abbiamo
esteso il nostro sistema nervoso centrale fino a farlo diventare un abbraccio globale, abolendo limiti di spazio e tempo per
quanto concerne il nostro pianeta". Il concetto che sta alla base di questa affermazione è la credenza dello studioso nel
fatto che la tecnologia elettronica sia diventata un'estensione dei nostri sensi, particolarmente la vista e l'udito. Le nuove
forme di comunicazione hanno trasformato il globo in uno spazio fisicamente molto più contratto di un tempo, in cui il
movimento di informazione da una parte all'altro del mondo è istantanea. La formazione di una comunità globale ampia
ma anche molto integrata nelle sue diverse parti incoraggia lo sviluppo di nuove forme di coinvolgimento internazionale e
di correlativa responsabilità. Il termine villaggio globale è inteso, a tal proposito, in due sensi diversi:
1)
da un punto di vista più letterale, ci si riferisce alla nozione di un piccolo spazio in cui le persone possono
comunicare rapidamente tra loro e in tal modo l'informazione diviene molto più diffusa e immediata. Infatti, mediante i
nostri "sensi estesi" ognuno di noi fa esperienza in tempo reale di eventi che possono avvenire fisicamente sull'altra faccia
del pianeta;
2)
da una prospettiva più ampia, si intende una comunità globale, in cui tutti sono interconnessi all'interno di
uno spazio armonioso e omogeneo.
Sociologia della comunicazione - 37 - ISSR Matera
13. Usabilità
Fra due spiegazioni scegli la più chiara.
Fra due forme la più elementare.
Fra due parole la più breve
(Eugenio d'Ors)
Spesso gli autori, pur essendo super-esperti della materia, non sempre sanno come scrivere un testo, come
comunicare con efficacia attraverso la scrittura. Che sia destinato alla stampa o alla lettura a video, un testo scritto deve
essere facilmente fruibile dal lettore.
Naturalmente, non mi riferisco a un testo narrativo, che deve sottostare a regole diverse riguardo alla struttura
(ma restano valide quelle di formattazione per un’agevole lettura).
Il lettore ideale
Ancora prima di cominciare a scrivere è bene chiedersi a quale tipo di pubblico si intende rivolgersi, domandarsi
chi sarà il vostro lettore-tipo.
Chi è?
Che mestiere fa? Quali sono le conoscenze tecniche e linguistiche e il background culturale che mediamente
possiede? Può essere collocato in una determinata fascia d’età? Per esempio, se vi rivolgete a ragazzi delle scuole medie
userete un linguaggio diverso da quello che usereste in un manuale destinato a studenti universitari.
Il significato etimologico di comunicazione è ‘mettere in comune, condividere, partecipare’: nel comunicare si ha
sempre presente un ‘altro’ che si desidera raggiungere e coinvolgere in qualche forma di attività. […]
Per comunicare è dunque necessario porsi sempre il problema dell’altro, del destinatario del nostro atto
comunicativo.
(Pallotti)
Perché?
Qual è la motivazione che lo ha spinto ad acquistare il libro o a restare collegato a Internet o a scaricare e stampare
questo testo? Quali vantaggi pratici potrebbe trarre dalla sua lettura? Questo testo può dargli informazioni pratiche per
risolvere un problema, o dargli gli strumenti per superare un esame o riparare un rubinetto, o ancora ampliare le sue
conoscenze, fornirgli una guida spirituale?
Come
Sarà un testo da leggere dalla prima all’ultima pagina o da consultare, saltando da una capitolo all’altro? Sarà una
pagina web interna a cui il lettore potrà accedere tramite motore di ricerca, capitando nel bel mezzo di un discorso?
Come rivolgersi al lettore?
Forma impersonale o diretta? Dargli del voi, del tu, del noi? Se immaginate di trovarvi di fronte a un uditorio
formato da più di una persona, potete usare il voi: è diretto, semplice, immediato.
Se si preferisce una forma più elegante si potrebbe usare quella impersonale: meno diretta, più formale e, a volte,
più complessa sintatticamente.
Se vorresti instaurare col lettore quasi un dialogo, in una comunicazione uno-a-uno, gli darai del tu: diretto e
semplice, usato in genere nelle comunicazioni commerciali e nei testi per bambini e ragazzi.
Se invece ci sentiamo coinvolti nell’ideale gruppo di lettori/ascoltatori, e sottintendiamo che facciamo le stesse
cose, possiamo usare il noi: attenzione, però, a non incartarci con frasi poco lineari.
Se mi sento un po’ cavia un po’ esempio, o voglio che il lettore si immedesimi totalmente nella lettura, posso usare
la prima persona singolare, anche se questa soluzione in alcuni casi potrebbe risultare… egocentrica.
Qualunque soluzione scegliate, siate consapevoli della scelta effettuata, coerenti e usatela dall’inizio alla fine.
Cambi improvvisi di stile sono fastidiosi e potrebbero disorientare il lettore. Se preferite una prima stesura spontanea,
questo tipo di uniformazione può essere affidato alla fase di rilettura e revisione.
Cosa ho da dire?
Il passo successivo, dopo aver compilato il profilo ideale del lettore, è capire cosa avete da dire in merito
all’argomento prescelto. Guardate cosa c’è in frigo e in dispensa, riordinate le idee e stendete il menu del pranzo che
vi accingete a preparare. Fuor di metafora, buttate giù un elenco di argomenti, temi, punti chiave; organizzateli in maniera
coerente, preparate una scaletta strutturata, che costituirà lo scheletro, la struttura portante del vostro lavoro di scrittura.
La fase di progettazione è indispensabile perché rappresenta un momento di riflessione sulle idee generate, e
quindi un momento di verifica, di approfondimento e di sviluppo delle idee stesse.
Organizzando le idee, si è costretti a valutarne la coerenza e l’opportunità.
Sociologia della comunicazione - 38 - ISSR Matera
È utile, poi, lasciar decantare per qualche giorno la prima scaletta e tornare in seguito a rileggerla con la
mente sgombra per assicurarsi di non aver dimenticato nulla. Quando sarete convinti della solidità e completezza e
coerenza della vostra struttura, cominciate a scrivere, possibilmente dal primo capitolo.
Letture. Caratteristiche di un testo
Partendo dal significato etimologico, testo deriva originariamente dal latino textus, che significa ‘tessuto’: già
l’etimologia ci indica che un testo è qualcosa che sta insieme, le cui parti sono strettamente intrecciate tra loro. Per potersi
definire tale un testo deve possedere queste cinque caratteristiche:
•
•
•
•
•
coerenza
coesione
strutturalità
completezza
autonomia
La coerenza indica precisamente l’aspetto di ‘tessitura’ di cui abbiamo parlato: un insieme disordinato di idee,
senza alcun legame tra loto, non è un testo. Se la coerenza riguarda i rapporti tra idee e significati, la coesione non è altro
che la manifestazione linguistica della coerenza, includendo tutti quei meccanismi che segnalano i rapporti tra le varie
parti del testo come per esempio pronomi, sinonimi, congiunzioni, avverbi.
Un terzo aspetto comune a tutti i testi è la loro strutturalità: un testo non è un amalgama indistinto di suoni o
lettere, ma questi sono ordinati a formare delle strutture di sempre maggiore complessità, dalle singole parole alle frasi, ai
paragrafi, ai capitoli. Le due caratteristiche dell’autonomia e della completezza evidenziano il fatto che i testi devono
avere dei confini cioè devono poter essere compresi senza bisogno di spiegazioni da parte dell’autore.
Letture. Il Lettore Modello
In un suo famoso saggio, Lector in fabula, Umberto Eco analizza il ruolo del lettore nei testi narrativi. Benché noi
qui ci occupiamo solo di testi non narrativi, alcune considerazioni di base sono valide per qualsiasi testo. Egli afferma che
un testo postula il proprio destinatario come condizione indispensabile non solo della propria capacità comunicativa
concreta ma anche della propria potenzialità significativa. In altri termini, un testo viene emesso per qualcuno che lo
attualizzi.
La figura del lettore è quindi centrale. A questo proposito, l’eminente saggista ci consiglia di non dimenticare mai
che la competenza del destinatario non è necessariamente quella dell’emittente.
Per una comunicazione efficace, bisogna quindi tener conto delle diverse competenze dei lettori e ricordarsi che
scrivere non è parlare. Infatti, se nella comunicazione faccia a faccia intervengono infinite forme di rafforzamento extralinguistico (gestuale, estensivo e così via) e infiniti procedimenti di ridondanza e feedback, l’uno in sostegno dell’altro
non è così in un testo scritto, poiché non vi è mai mera comunicazione linguistica, ma attività semiotica in senso lato,
dove più sistemi di segni si completano l’un l’altro. Ma cosa accade con un testo
scritto, che l’autore genera e quindi affida a svariati atti di interpretazione, come un messaggio in una
bottiglia?
Abbiamo detto — continua Eco — che il testo postula la cooperazione del lettore come propria condizione di
attualizzazione. Possiamo dire meglio che un testo è un prodotto la cui sorte interpretativa deve far parte del proprio
meccanismo generativo: generare un testo significa attuare una strategia di cui fan parte le previsioni delle mosse altrui
[…].
Per organizzare la propria strategia testuale un autore deve riferirsi a una serie di competenze (espressione più vasta
che “conoscenza di codici”) che conferiscano contenuto alle espressioni che usa. Egli deve assumere che l’insieme di
competenze a cui si riferisce sia lo stesso a cui si riferisce il proprio lettore.
Pertanto prevederà un Lettore Modello capace di cooperare all’attualizzazione testuale come egli, l’autore, pensava,
e di muoversi interpretativamente così come egli si è mosso generativamente.
Riprendendo ed esplicitando l’argomentazione di Eco, Gabriele Pallotti afferma che, poiché l’autore non può
effettivamente sapere chi saranno i suoi lettori reali, è costretto a costruirsi “lettori modello”, che orienteranno le sue
strategie di scrittura.
Quindi, se la scrittura vuol essere veramente un atto di comunicazione, occorre porsi esplicitamente il problema del
lettore, sapendo che non è di facile soluzione […] Non c’è mai un testo ‘buono’ in assoluto per tutti i lettori […]. Un
testo, per essere efficace, deve sempre porsi il problema del lettore modello, fare i conti con questa e altre limitazioni.
(Pallotti 1999: 11)
Forma e contenuto: Coerenza e correttezza linguistica
Una volta identificato l’interlocutore e stabilito il contenuto è bene tener d’occhio la forma. Se è a un tecnico che vi
state rivolgendo, usate pure termini specifici, molto spesso in inglese. Ma non fate l’errore di tradurre grossolanamente
espressioni straniere, senza neanche dare un’occhiata al vocabolario , o di usarle a sproposito.
Sociologia della comunicazione - 39 - ISSR Matera
Per esempio, se state parlando a un grafico digitale, non c’è evidentemente bisogno di spiegargli cosa
significa GIF, perché dovrebbe saperlo! Se invece vi state rivolgendo a un responsabile marketing, potete evitare la
spiegazione dell’acronimo perché a lui interessa piuttosto sapere che si tratta di un formato immagine universale leggibile
anche su piccoli schermi a 256 colori.
Inoltre, è importante essere coerenti. Spiegate gli acronimi (se necessario) o un termine particolare la prima volta
che li usate, quando introducete l’argomento.
Se scegliete uno stile diretto e informale non cambiate direzione strada facendo; non scrivete un paragrafo asettico e
staccato da giuristi e quello successivo col tono da imbonitore.
Altro elemento fondamentale è la correttezza linguistica: il rispetto delle norme ortografiche, grammaticali e
sintattiche della lingua in cui scrivete. Se nella lingua parlata sono tollerabili forme regionali e una sintassi “disinvolta”, la
lingua scritta è più formale. Chi vi legge vi giudica anche per gli errori che fate. Un testo ben scritto è più autorevole e più
affidabile.
Attenti anche all’uso della punteggiatura: sbagliare la posizione di una virgola può stravolgere il senso di una frase.
Limitate l’uso dei punti esclamativi e dei puntini di sospensione: vanno bene nei dialoghi, in una sceneggiatura o in un
racconto. Ma se usati in un testo informativo, troppi punti esclamativi danno l’impressione che chi scrive sia un esaltato
che grida al centro di una piazza o sta cercando di vendere qualcosa. Troppi puntini di sospensione, invece, possono dare
l’idea di un discorso incompleto, vago.
Chi vi legge non vi può ascoltare mentre con la voce date la giusta intonazione e riempite di significato le parole;
non è nella vostra testa, non è in grado di ricostruire i passaggi logici che avete omesso di scrivere. Ogni testo va
interpretato.
Fate in modo che il vostro sia il più possibile chiaro e inequivocabile: frasi ambigue disorientano il lettore.
Conviene, quando si progetta una testo per il web, essere elastici e assegnare più al valore del contenuto,
distinguendo ciò che è titolo da ciò che è nota o testo.
Bisognerà stare attenti a quali font scegliere, In pratica, i tipi di carattere
che si possono usare sul web sono tre:
• la famiglia dei bastoni (Arial, Verdana, Tahoma, Trebuchet e Lucida per Windows; Helvetica, Monaco e Geneva per il Mac; Bitstream Vera Sans e san serif
per altri sistemi);
• la famiglia dei graziati (Georgia e Times New Roman per Windows, Times per il
Mac, Bitstream Vera Serif e serif per altri sistemi);
• i caratteri monospazio o a larghezza fissa (il più diffuso è il Courier, molto simile
a quello delle vecchie macchine per scrivere).
In realtà, secondo gli standard stabiliti dal W3C (il consorzio internazionale che definisce regole uguali per tutti,
sia nei linguaggi e nei codici usati sul web. sia nei meccanismi di interpretazione del codice da parte dei vari
browser) le famiglie generiche di font sono cinque: serif (graziati), sans-serif (bastoni), monospaced (monospazio),
cursive, fantasy.
Cursive indica tutti quei font che ricordano la grafia manoscritta, generalmente inclinata (come il corsivo). Fantasy,
invece, indica quei font le cui lettere alfabetiche presentano decorazioni di vario tipo.
Chi visita il vostro sito è interessato al contenuto dei vostri testi, e fa poca differenza se essi sono visualizzati in
Garamond o Souvenir. Quel che conta è che il vostro testo sia ben leggibile sullo schermo.
Formattazione e disposizione dei testi
In un testo destinato alla lettura a monitor, è importante curare anche altri aspetti di formattazione. Leggere a video
è più faticoso che leggere un testo stampato e bisogna catturare l’attenzione del lettore.
Evitate blocchi lunghissimi di testo senza spazi bianchi, nonché righe di testo in caratteri piccoli che attraversano
tutto il monitor. In caso di righe lunghe, preferite la classica impaginazione allineata a sinistra, ed evitate testi tutti
centrati, con disordinato succedersi di righe lunghe e corte.
Attenzione al corsivo: alcuni font bastoni (tipo Arial, Helvetica) assumono un fastidioso aspetto scalettato
quando vengono corsivizzati. Se il vostro testo prevede grande uso del corsivo, preferite un font graziato (tipo Times).
Evidenziate le parole e i concetti chiave (mettendoli in grassetto o in colore), perché anche il lettore più distratto
possa cogliere a una prima occhiata il senso del vostro messaggio. Dividete il testo in piccoli paragrafi e usate dei
titoli, di modo che il lettore possa facilmente individuare l’informazione che gli interessa.
Il colore
Elemento visivo molto importante, il colore è spesso poco utilizzato nei testi a stampa per ragioni di costi. Stampare
un libro col solo inchiostro nero costa molto meno che stamparlo a colori, questo è evidente, e i libri con elevati costi di
produzione hanno più difficoltà a essere pubblicati.
Quando però si tratta di un testo digitale, il problema costi viene a cadere e, se sarà fruibile esclusivamente a
Sociologia della comunicazione - 40 - ISSR Matera
monitor (o proiettato, nel caso di presentazioni), l’uso del colore è consigliato, perché aiuta a evidenziare alcune parti e a
movimentare il testo. Naturalmente bisognerà porre molta attenzione alla scelta dei colori.
Colori troppo simili al fondo (giallo, rosa, celestino su fondo bianco; blu, viola, marrone su fondo nero) sono
difficoltosi da leggere per chiunque.
Anche i migliori contenuti restano illeggibili se scritti in rosso sul viola, o verde su sfondo rosso. Ci sono colori che
messi assieme “vibrano”, cioè si impastano e rendono difficile distinguere i contorni. La scelta si deve sempre orientare
verso colori non troppo accesi e con un buon contrasto rispetto allo sfondo.
L'analisi semiotica del manifesto si basa sul modo di esistenza semiotica semi-simbolico cercando di estrapolare,
attraverso una visione astratta del dipinto, eventuali contrasti plastici, ripartendoli nelle tre categorie, cromatica, eidetica e
topologica. È necessario questi concetti
12. Comunicazione visiva
Fu Greimas, uno dei più illustri esponenti della scuola di Parigi, a sviluppare dei primi approcci sulle nozioni di
concetti semiotici. Per Greimas bisogna prima di tutto distinguere tra semiotica delle lingue naturali, riferendosi dunque
alle lingue verbali e alle loro trascrizioni e semiotica del mondo naturale. Quest’ultima presuppone che per rendere il
mondo significante sia necessario porre su di esso una griglia (la cultura), uno schema di rappresentazioni che ci consenta
di identificare le figure come oggetti, classificarle e collegarle. Nella semiotica del mondo naturale, affinché l’uomo
riesca a raggiungere i propri fini comunicativi e di significazione, le figure devono essere trasmissibili e riconoscibili.
Detto questo, risulta impossibile “comunicare” grandi blocchi; bisogna ridurre il mondo in tratti: i formanti
figurativi (che costituiscono le figure del mondo) dal punto di vista del contenuto; i formanti plastici dal punto di vista
dell’espressione. L’idea di Greimas è che anche i messaggi visivi abbiano un piano dell’espressione e un piano del
contenuto.
Dalla scuola di Parigi sono state individuate tre diverse tipologie di categorie ovvero delle opposizioni che, nel
momento in cui vedono richiamato un termine, mettono automaticamente in gioco anche il secondo: le categorie
cromatiche (costituite da contrasti di colore), eidetiche (costituite da contrasti tra figure geometriche astratte) e
topologiche ( costituite da contrasti tra posizioni topologiche).
Categorie cromatiche.
Il manifesto è un’esplosione di colori forti, accesi, di forte impatto con il pubblico (del resto l’obbiettivo è quella di
attirare l’attenzione del pubblico).
Categorie eidetiche
Le categorie eidetiche definiscono le configurazioni plastiche a livello della forma (es., convesso versus concavo) e
dei contorni (es., retto versus curvo). Sono costituzionali, perché permettono di cogliere una configurazione plastica. Più
nello specifico vengono considerate “costituite: focalizzano certe superfici nella loro funzione isolante e discriminante.
Categorie topologiche
A livello topologico l’opposizione che risalta maggiormente è quella sinistra-destra.
12.1 La grammatica del manifesto
Per manifesto pubblicitario si intende un testo composto di immagini e/o parte scritta che può essere pubblicato con
varie modalità: affisso ai muri, sui cartelloni di specifici circuiti commerciali, sui quotidiani, sulle riviste, ecc.
Il manifesto pubblicitario, nato con funzione prettamente descrittiva del prodotto/servizio pubblicizzato, si è evoluto
come tutta la comunicazione pubblicitaria acquisendo una precisa grammatica interna.
In un manifesto distinguiamo alcuni elementi ricorrenti che svolgono una precisa funzione in riferimento alla
retorica persuasiva obiettivo della comunicazione pubblicitaria:
•Headline: è il titolo principale del manifesto, posto generalmente in alto o in posizione centrale, con i caratteri più
grandi.
•Visual: è la scena raffigurata nel manifesto, di importanza fondamentale non solo per gli elementi descritti, ma
soprattutto per lo stile con cui essi vengono raffigurati (bianco e nero/colore, fotografia/disegno, taglio dell’immagine,
effetti particolari, ecc.).
•Copy: è il testo esplicativo che può accompagnare il messaggio dandone una spiegazione. Normalmente non è
presente sui manidùfesti destinati all’affissione murale.
•Pay-off: è il titolo di chiusura, che completa il manifesto nella sua parte bassa. Nelle pubblicità contemporanee
sempre più spesso è assente.
Sociologia della comunicazione - 41 - ISSR Matera
•Brand: è il marchio, il simbolo identificativo dell’emittente del messaggio, la cui presenza è fondamentale per la
costruzione del senso del messaggio.
12.2 La sintassi del manifesto
La pubblicità basa la sua capacità persuasiva sull’applicazione della proprietà transitiva al pensiero logico
deduttivo, secondo le regole del sillogismo aristotelico. Nel sillogismo aristotelico, una premessa maggiore e una
premessa minore che hanno un termine in comune generano una conclusione che viene dedotta dalle proposizioni
precedenti.
 La premessa maggiore, normalmente, è un assunto cultural-mente condiviso di tipo assiomatico, la cui veridicità
spesso discende dal fatto di essere enunciato da un’autorità (ipse dixit): es. “I gatti miagolano”.
 La premessa minore è di solito la constatazione di una proprietà evidente che si manifesta con chiarezza agli
occhi dello spettatore: “Fufi miagola”
 La conclusione è l’assunto derivante dall’unione transitiva delle due premesse: “Fufi è un gatto”.
Nella pubblicità moderna, normalmente, il sillogismo persuasivo viene costruito “in absentia” di alcune sue parti,
cercando di portare il lettore a costruire l’entimema partendo da premesse maggiori universalmente condivise e arrivando
a conclusioni tanto più forti quanto più sentite come personali da parte del lettore.
In molte pubblicità è assente la premessa maggiore (costituita da un luogo comune) e l’elemento dimostrativo del
messaggio (spesso il visual) è incentrato sulla dimostrazione della premessa minore.
La conclusione del sillogismo viene normalmente omessa oppure traslata su un piano metaforico nel pay-off (quindi
non attraverso un discorso apodittico), poiché un’affermazione troppo netta sarebbe oggi rifiutata dal lettore che parte non
più da un assunto di buona fede, quanto di distacco dal mezzo pubblicitario “lo dice la pubblicità, quindi non è vero…”.
Gli elementi sono oggi spesso utilizzati in questa maniera:
•Headline: è normalmente utilizzata per catturare l’attenzione, attraverso la creazione di analogie, metafore e
polisemie nell’interpretazione del visual
•Visual: è l’elemento più importante delle comunicazione pubblicitarie, utilizzato per dimostrare la premessa
minore (la proposizione specifica) che, normalmente è quella zoppa, falsa. Per questo motivo oggi è soprattutto di tipo
fotografico, perché la fotografia è considerata (in maniera sbagliata) una documentazione della realtà e, per questo, più
verosimile, mentre fino agli anni ’70 era di preferenza di tipo grafico (illustrazioni, fumetti).
•Copy: è il testo esplicativo che può accompagnare il messaggio dandone una spiegazione. Si sta progressivamente
perdendo.
•Pay-off: è la chiusura, che completa il manifesto nella sua parte bassa, nelle pubblicità classiche costituisce la
conclusione del sillogismo. Nelle pubblicità contemporanee (soprattutto nei settori immateriali, come la moda) sempre
più spesso è assente.
•Brand: è il marchio, il simbolo identificativo dell’emittente del messaggio, la cui presenza è fondamentale per la
costruzione del senso del messaggio.
Nel nostro esempio, la pubblicità può essere spiegata con il seguente sillogismo:
 Premessa maggiore (luogo comune): “Internet potrebbe aprirmi molte opportunità se sapessi come sfruttarle”.
 Premessa minore (visual focalizzato dall’headline): “Web Graphic srl sa sfruttare tutte le opportunità del WEB”.
 Conclusione: “Con Web Graphic srl potrò sfruttare tutte le opportunità del WEB!”.
Sociologia della comunicazione - 42 - ISSR Matera
14. Approfondimenti:
L'evoluzione dell'uomo: bussola, radar, decoder
La «navigazione» sul web è una via ormai ordinaria per la conoscenza. Oggi accade sempre più spesso che,
quando si ha la necessità di una informazione, si interroghi la Rete per avere la risposta da un motore di ricerca come
Google, Bing o altri ancora. Internet sembra essere il luogo delle risposte. Esse però raramente sono univoche: la risposta
è un insieme di link che rinviano a testi, immagini e video. Ogni ricerca può implicare una esplorazione di territori
differenti e complessi dando persino l’impressione di una certa esaustività. Quale fede troviamo in questo spazio
antropologico che chiamiamo web?
Digitando in un motore di ricerca la parola God oppure anche religion, spirituality, otteniamo liste di centinaia di
milioni di pagine. Nella Rete si avverte una crescita di bisogno religioso che la «tradizione» sembra faccia fatica a
soddisfare. L’uomo alla ricerca di Dio oggi avvia una navigazione. Quali sono le conseguenze? Si può cadere
nell’illusione che il sacro o il religioso siano a portata di mouse. La Rete, proprio grazie al fatto che è in grado di
contenere tutto, può essere facilmente paragonata a una sorta di grande supermarket del religioso. Ci si illude dunque che
il sacro resti «a disposizione» di un «consumatore» nel momento del bisogno.
In tale contesto occorre però considerare un possibile vero e proprio cambiamento radicale nella percezione della
domanda religiosa. Una volta l’uomo era saldamente attratto dal religioso come da una fonte di senso fondamentale.
L’uomo era una bussola, e la bussola implica un riferimento unico e preciso.
Poi l’essere umano ha sostituito nella propria esistenza la bussola con il radar, che implica un’apertura
indiscriminata anche al più blando segnale, e questo, a volte, non senza la percezione di «girare a vuoto». L’uomo però
era inteso comunque come un «uditore della parola», alla ricerca di un messaggio del quale sentiva il bisogno profondo.
Oggi queste immagini, sebbene sempre vive e vere, reggono meno. L’uomo, da bussola prima e radar poi, si sta
trasformando in un decoder, cioè in un sistema di decodificazione delle domande sulla base delle molteplici risposte che
lo raggiungono. Viviamo bombardati dai messaggi, subiamo una sovra-informazione, la cosiddetta information overload.
Il problema oggi non è reperire il messaggio di senso ma decodificarlo, riconoscerlo sulla base delle molte risposte che
riceviamo. La testimonianza digitale diventa sempre di più un «rendere ragione della speranza» (1 Pt 3,15) in un
contesto in cui le ragioni si confrontano rapidamente e «selvaggiamente». A farsi largo è il classico meccanismo della
pubblicità, che offre risposte a domande che ancora non sono state formulate. La domanda religiosa in realtà si sta
trasformando in un confronto tra risposte plausibili e soggettivamente significative.
La grande parola da riscoprire, allora, è una vecchia conoscenza del vocabolario cristiano:il discernimento. Le
domande radicali non mancheranno mai, ma oggi sono mediate dalle risposte che si ricevono e che richiedono il filtro del
riconoscimento. La risposta è il luogo di emersione della domanda. Tocca all’uomo d’oggi, dunque, e soprattutto al
formatore, all’educatore, dedurre e distinguere le domande religiose vere dalle risposte che lui si vede offrire
continuamente. È un lavoro complesso, che richiede una grande preparazione e una grande sensibilità spirituale.
“Malati” di troppa comunicazione: un test per curarli dalla Svizzera
La comunicazione è il male moderno. Una vera e propria malattia che come tale necessita di una cura. Un test in
Svizzera mostra come l’uso smisurato di cellulare, posta elettronica e social network diventi per l’uomo una patologia.
Questo il progetto presentato nella mostra “Comunicare nuoce” al Museo della Comunicazione di Berna, che spiega al
visitatore come “difendersi” dalla ipercomunicazione e dal “flusso incessante” di dati che ogni giorno ci travolge.
I dati sono impressionanti: una persona potrebbe leggere 350 pagine al giorno – se avesse moltissimo tempo a
disposizione, sia chiaro – , per vedere tutti i video caricati in un giorno su Youtube da tutto il mondo sarebbero necessari 6
anni, che nel web finiscono 20 milioni di mail ogni 2 minuti, che i siti nel mondo sono 325 milioni e che in un secondo
inviamo 200 mila sms. Ma l’uomo come reagisce alla quantità di dati che continuamente lo raggiungono? L’Istituto di
Sociologia dell’Università di Berna si è posta questo problema.
La soluzione dei ricercatori di Berna è stata di formulare un semplice test che può essere eseguito durante la mostra.
Il visitatore “subisce” una raffica di domande al termine del quale riceve un cartellino di differente colore in base al
rapporto con la comunicazione: verde per i “sani”, giallo per i “malaticci”, arancione e rosso per i “malati”. La mostra
negli ultimi due casi offre anche una cura. Gli “arancioni” sono indirizzati in una stanza piena di sassi, una sorta di
giardino zen dove ritrovare il proprio equilibrio fisico e simbolico. Difficile la guarigione dei “rossi”, indirizzati in una
stanza con cuscini neri e luci fucsia per il relax.
Ulrich Schenk, responsabile del progetto, ha detto: “Qui nessuno ha soluzioni in tasca. Nessuno dice che
comunicare sia un male. È indispensabile, come mangiare. Mangiare male e troppo però ci danneggia: ecco, il concetto è
lo stesso. Qui diamo solo suggerimenti per fronteggiare, selezionare, filtrare l’ondata di comunicazione che ci arriva
addosso ogni giorno. E poi, sia chiaro, non è che si è soltanto vittime. Chi partecipa al banchetto contribuisce a sua volta a
crearlo, fa parte del problema”. Insomma le indigestioni di “comunicazione” hanno una sola cura: la moderazione.
Riusciremo a staccare telefono, computer e televisione e cercare il relax ormai perduto?
Sociologia della comunicazione - 43 - ISSR Matera
Il Papa condanna il progresso della virtualità: “ha condotto ad una mutazione antropologica dei giovani”
Secondo il Papa, il progresso avrebbe condotto i giovani a vite più concitate e ad una virtualità che rischia di
dominare la realtà. Benedetto XVI l’ha dichiarato presso la Certosa di Serra San Bruno, dove ha recitato i Vespri.
“’Fugitiva relinquere et aeterna captare’: abbandonare le realtà fuggevoli e cercare di afferrare l’eterno. In questa
espressione della lettera che il vostro Fondatore indirizzò al Prevosto di Reims, Rodolfo, è racchiuso il nucleo della vostra
spiritualità: il forte desiderio di entrare in unione di vita con Dio, abbandonando tutto il resto.
Ogni monastero - maschile o femminile - è un’oasi in cui, con la preghiera e la meditazione, si scava
incessantemente il pozzo profondo dal quale attingere l’acqua viva per la nostra sete più profonda”.
“Ma la Certosa è un'oasi speciale, dove il silenzio e la solitudine sono custoditi con particolare cura, secondo la
forma di vita iniziata da san Bruno e rimasta immutata nel corso dei secoli”, ha proseguito il Papa, ricordando alcuni
effetti del progresso: “Ha reso la vita dell'uomo più confortevole, ma anche più concitata, a volte convulsa”, con “città
rumorose” e raro “silenzio”. Fra questi effetti c’è anche la “virtualità che rischia di dominare sulla realtà”, che porta le
persone ad essere “immerse in una dimensione virtuale, a causa di messaggi audiovisivi che accompagnano la loro vita da
mattina a sera”, e i più “giovani” a “riempire di musica e di immagini ogni momento vuoto, quasi per paura di sentire,
appunto, questo vuoto”. Tutto questo sarebbe alla base di una sorta di “mutazione antropologica”: “Alcune persone non
sono più capaci di rimanere a lungo in silenzio e in solitudine”.
Spiritualità e i giovani
In quali e quanti modi la nostra generazione vive la spiritualità? Abbiamo ancora un rapporto con un Dio, tra Chiesa
Cattolica ed altre religioni, quali strade abbiamo conosciuto per vivere il rapporto con un`entità al di sopra del mondo
terreno, se ci crediamo ancora? Viviamo nell`epoca della virtualità e della rete, il nostro contatto con l`evanescenza è
quotidiano, la tecnologia ci fornisce con una rapidità oltre-umana strumenti e mezzi per superare i nostri corpi e spesso,
anche i nostri desideri. Riuscire a trovare spiritualità in questo nuovo contesto culturale forse è molto più difficile che in
passato. Per alcuni, le religioni, così come ce le insegnavano alla scuola elementare, non hanno più molto senso, al
contempo Piazza San Pietro continua ad affollarsi ogni domenica e tra la moltitudine, anche tanti giovani. In compagnia
di Padre Cesare Atuire una riflessione sulla crisi spirituale che attraversa le nuove generazioni. La volontà di rimettere
tutto in discussione spesso racchiude il bisogno di una dimensione religiosa più autentica che non si ferma alla superficie,
ma scava in profondità nella coscienza; una fede che non nasce da imposizione esterna o da accettazione passiva, ma da
una reale aspirazione dell'individuo.
Religione e Cybernetica
Internet oggi rappresenta l’apogeo dell’astrazione e dell’intellegibile: sfruttare le risorse del web può far sentire i
giovani onnipotenti perché attribuisce loro alcune delle prerogative che appartenevano per tradizione alla divinità, come il
dono dell’ubiquità: la rete mette a disposizione un ampio raggio di informazioni e contenuti prelevandoli da ogni parte del
globo, con un solo clic ci permette di avere di fronte un interlocutore proveniente da un’altra nazione e di conoscere
notizie provenienti da ogni parte della terra in tempo reale, superando in un soffio immense distanze sia sul piano
temporale che su quello spaziale.
Grazie all’interfaccia è possibile proiettarsi in mondi immaginari che esistono solo virtualmente e sottoporsi ad ogni
sorta di esperienza restando seduti di fronte ad uno schermo. Il mondo virtuale non è del tutto estraneo alla cultura
religiosa, basti pensare al concetto di “avatar” che è stato preso in prestito dall’Induismo: il termine in sanscrito significa
“disceso” e indica l’incarnazione di una divinità in una forma umana per far trionfare la giustizia e il bene, ogni volta che
i demoni infrangono la legge cosmica; gli avatar o avatara sono considerati intermediari dall’aspetto umano tra l’Essere
Supremo e i mortali. Evidenti le analogie con l’avatar che diventa rappresentazione digitale (realizzata in forme diverse,
per esempio un personaggio inventato o reale) del visitatore di un ambiente virtuale: oltre ad essere un personaggio
coerente con l’ambientazione in cui viene vissuta la seconda vita, varcando i limiti delle possibilità umane, è un modo
diverso di vivere la propria personalità, in quanto ognuno può determinare le caratteristiche del proprio avatar (pur nei
limiti imposti da certi parametri) e nella scelta far emergere la parte più profonda di se stessi che solitamente non riesce a
rivelarsi nella mondo reale.
Tuttavia anche in un contesto di questo tipo restano immutate le esigenze spirituali dei giovani di cui la tecnologia
si fa tramite, divenendo unicamente il mezzo attraverso cui esprimerle e, al limite, soddisfarle. La volontà di non apparire
in Internet, nascondendosi dietro ad un’identità inesistente, è un atteggiamento controcorrente rispetto all’esibizionismo
che invade la società nel mondo reale: il disperato tentativo di mostrarsi davanti ai riflettori coinvolgendo esageratamente
l’aspetto fisico. Anche la Chiesa ha preso coscienza di questa nuova configurazione: il Papa ha sottolineato l’importanza
di doversi adeguare ai nuovi mezzi di comunicazione e alle nuove tecnologie per trasmettere il messaggio evangelico, ha
compreso che, per parlare ai giovani è necessario porsi sullo stesso piano, parlare lo stesso linguaggio. Per questa ragione
anche gli studiosi di teologia devono affiancare alla loro preparazione anche nozioni di tipo informatico, per rendere più
efficace il loro messaggio –che non può prescindere dal potere suggestivo delle immagini –ed evitare fraintendimenti.
“Dio dopo Internet” è stato il primo sito italiano di omelie online, fondato dal Gesuita Padre Nazzareno Taddei sj,
Sociologia della comunicazione - 44 - ISSR Matera
nel 1995. Dopo la sua morte il sito ha riaperto i battenti con una nuove veste grafica e viene gestito da un gruppo di
religiosi che rispondono alle domande dei fedeli sui grandi temi dell’attualità, dispensando anche consigli per la vita
quotidiana. L’interesse dei giovani per le questioni spirituali è dimostrato dalla presenza di un folto gruppo di visitatori
del sito (anche persone che si sono allontanate dalla religione e vorrebbero riavvicinarsi), desiderosi di confidare i propri
dubbi e le proprie perplessità in fatto di fede e non solo.
Oggi il rapporto tra preti e web è divenuto ancor più stretto e si sono moltiplicati i siti gestiti da religiosi: non è stato
risparmiato neppure Facebook dove, grazie alle mailing list i fedeli possono ricevere informazioni sulle attività e notizie
locali.
Come facebook ha cambiato la nostra vita
“Ti taggo nella foto di gruppo”.
“ A dieci dei tuoi amici piace questo elemento. Dì che piace anche a te”.
“Tizio ha commentato il tuo stato”.
Queste espressioni sono ormai entrate a far parte del linguaggio quotidiano di circa 800 milioni di persone in tutto il
mondo: sono gli iscritti a Facebook, il social network che ha cambiato il modo di comunicare. E' rapido, immediato e
gratuito, basta un computer ed una connessione internet. Chi ha amici sparsi in tutto il mondo conosce i molteplici lati
positivi del social network: chiacchierare con l'amica cilena o vedere le foto del matrimonio dell'amico francese non è mai
stato così facile. Niente più lunghe telefonate dispendiose, basta uno smile in bacheca per sapere che l'amico che vive
lontano sta bene.
Oltre ad agevolare le persone che si vogliono tenere in contatto, permette all'uno di conoscere i molteplici aspetti
della vita dell'altro: è possibile condividere stati, canzoni, video. Favorisce il confronto e spesso, lo scontro. Questo sito
web di reti sociali permette agli iscritti di mostrare ai propri amici i gusti musicali, le preferenze in fatto di film, la
posizione politica, il credo religioso, la situazione sentimentale. Avere un profilo su facebook significa mettere la propria
vita su una piattaforma virtuale.
“Come ci si distingue in un gruppo in cui tutti prendono 1600 al test di ammissione universitario?” chiede Mark
Zuckerberg, interpretato da Jesse Eisenberg nel film “The social network”, alla fidanzata.
Quando ha creato Facebook, lo studente di Harvard aveva solo diciannove anni. Lui e la sua creazione hanno
ricevuto molte critiche: si passa da quelle ironiche, come quella presente nella pagina di Nonciclopedia interamente
dedicata al social network, a quelle fondate sul reale timore che questa nuova “moda” apparentemente innocua possa
invece rivelarsi pericolosa e creare dipendenza. Tre dei colleghi universitari di Zuckerberg hanno intentato causa contro di
lui: pare che il suo comportamento non sia stato esattamente corretto durante la fondazione di Facebook.
Alcuni temono che la nostra diventi una società afona: la televisione, il computer, il telefono cellulare portano
l'individuo a isolarsi e ad evitare il contatto diretto col prossimo. La comunicazione non verbale rischia di scomparire,
secondo gli osservatori pessimisti. Nella comunicazione multimediale non c'è spazio per i sorrisi, gli sguardi, non si può
ammiccare o corrucciare la fronte. Qualche tempo fa, un telegiornale nazionale lanciava un vero e proprio allarme:
facebook dà dipendenza.
In realtà la ricerca della prossimità è sempre presente, e spesso i social network come Facebook vengono utilizzati
proprio per favorire questo tipo di rapporto diretto. La creazione degli eventi permette infatti a gruppi numerosi di darsi
appuntamento in un determinato luogo ad una certa ora: sarebbe quasi impossibile organizzare eventi di così ampia
portata se non si avesse a disposizione uno strumento simile. Sono stati organizzati scioperi, manifestazioni pacifiche;
sono stati creati gruppi di persone che perseguono uno stesso ideale. Si ha a disposizione una molteplicità alquanto
differenziata di fonti di informazione: sono infatti numerosi i giornali online e cartacei che hanno una propria pagina
facebook.
Molti giovani artisti riescono a farsi conoscere attraverso questo strumento: il metodo utilizzato è il “passaparola”.
Un iscritto pubblica nella propria bacheca una sua canzone ( lo stesso vale per fotografie, poesie, articoli ), che poi verrà
condivisa da un amico nella sua bacheca, così altre persone potranno vederla, commentarla e condividerla a loro volta.
Attualmente Facebook è il secondo sito più visitato al mondo, con un
fatturato di 1 miliardo di dollari. Il suo creatore è stato nominato il più
giovane miliardario al mondo nel 2008.
Ogni iscritto potrà dare una diversa risposta alla domanda: “Perchè ti
sei iscritto a Facebook?”. Potranno essere mosse nuove critiche, più o meno
fondate. Qualsiasi teoria sul social network è opinabile e suscettibile di
modifiche.
Quel che invece è certo è che Mark Zuckerberg, nel bene e nel male,
ha trovato il modo per distinguersi.
Giulia Cara
Sociologia della comunicazione - 45 - ISSR Matera
Indice generale
1. CONCETTO DI “COMUNICAZIONE”.........................................................................................................................2
2. LA STRUTTURA DELLA COMUNICAZIONE............................................................................................................3
La relazione simmetrica............................................................................................................................................4
La relazione complementare.....................................................................................................................................4
2.5 Contesto...............................................................................6
3. IL MECCANISMO DELLA COMUNICAZIONE VERBALE................................................................8
4. Comunicazione interpersonale.............................................11
5. Il SEGNO.............................................................................13
6. Modello di Lasswell.............................................................14
7. La semiotica interpretativa (negoziazione del testo)............15
8. STORIA DEI MEDIA .........................................................19
9. Teorie sugli effetti dei mezzi di comunicazione..................34
Spirale del silenzio..............................................................................................................................................................36
10.2 Mc Luhan ........................................................................36
13. Usabilità.............................................................................................................................................................38
14. Approfondimenti:...............................................................43
Sociologia della comunicazione - 46 - ISSR Matera
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