La guerra civile Viviamo i tempi dell’ira e dell’odio. E’ la guerra civile La paura di nuovi attentati è resa visibile dall’accensione, dopo tanti mesi di oscuramento, dei fanali delle vie cittadine. I partigiani fanno più paura dei bombardamenti. [Forlì] 3 [gennaio] = Oltre che al centro le luci dei fanali, senza schermo, sono state accese lungo le vie principali. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) 6 gennaio 1944 - Debbo notare che l’oscuramento delle vie principali, ora non c’è più, per timore di rappresaglie e di insidie da parte dei partigiani. Fa una certa impressione tanta illuminazione! Da oltre tre anni conoscevamo il desolato buio di guerra. La luce però viene immediatamente spenta ad ogni preallarme, a mezzo di un interruttore, presso i Vigili del Fuoco (Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena) Nonostante i fanali accesi gli attentati non cessano. E’ chiaro che nulla può essere come prima. E’ la guerra civile. [Forlì] 6 [gennaio] = E’ corsa voce che alcuni partigiani armati di fucile mitragliatore, hanno sparato dal bosco di Ladino contro un auto che ritenevano recasse a bordo il commissario federale Plinio Pesaresi. Era invece l’auto dei fratelli Ricci, i quali portavano sul bagagliaio un maiale ucciso, che ha ricevuto i colpi. [Forlì] 9 [gennaio] = I partigiani scendono in autocarro fino all’abitato di San Martino in Strada cantando. Uno sconosciuto, armato di fucile mitragliatore, presso la caserma “Caterina Sforza” uccide un milite e ne ferisce altri quattro. [Forlì] 10 [gennaio] = Il milite ucciso ieri sera ha nome Dino Pezzi ed è di Sogliano al Rubicone. (...) Si dice che il ten. Pilota Garancini, figlio del direttore amministrativo del nostro zuccherificio, sia stato fatto segno a colpi di rivoltella. Costui è noto quale fascista violento e perciò odiatissimo. [Forlì] 11 [gennaio] = Ai funerali dell’ucciso [Dino Pezzi] hanno partecipato rappresentanze della provincia, dei tedeschi, i militi. I fascisti, fra cui molti venuti da fuori, recavano a tracolla sui panni borghesi il fucile mitragliatore in posizione di sparo e guardavano attentamente alle finestre dell’abitato, per timore d’imboscate come di recente a Milano in circostanze analoghe. Il Municipio aveva lasciato facoltà ai dipendenti di seguire il feretro, così altri pubblici enti, ma cittadinanza ve n’è poca. (...) Uno sconosciuto ferisce gravemente a colpi di fucile mitragliatore un carabiniere ed un poliziotto nei pressi del Foro Boario nella notte: giunge da quelle parti l’eco di una nutrita sparatoria. [Forlì] 12 [gennaio] = Si apprende che l’ucciso di questa notte è l’appuntato carabiniere Giovanni Leone da Lecce di 45 anni ed il ferito Francesco Nuti di Vincenzo, ventiduenne. Perquisizioni sono state eseguite subito nelle case dei pressi ed operati alcuni arresti; da una prima constatazione risulta dell’identità delle pallottole usate i giorni precedenti forse dello stesso individuo. (...) La popolazione è molto impressionata e deplora il ripetersi di questi fatti di sangue, temendone conseguenze gravi. [Forlì] 13 [gennaio] = Nel pomeriggio, con notevole concorso di folla, ed una rappresentanza tedesca, si sono svolti i funerali dell’appuntato dei carabinieri Giovanni Leone, ucciso l’altra sera. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) Il 15 gennaio viene affisso un manifesto del capo della provincia in cui è riportato l’elenco degli uccisi a partire dall’8 settembre 1943: 13 ottobre 1943, a Tredozio il maresciallo dei carabinieri Domenico Amodio; 17 ottobre 1943, a Rocca San Casciano, il sergente Eugenio Fischer e un soldato tedesco non identificato; il 26 ottobre 1943, a Santa Sofia, il tenente Waldemar Ingenmey e sempre lo stesso giorno, a Premilcuore, quattro legionari: Danilo Benigni, Vasco Simoni, P.G. Correali Foti e uno non identificato; il 15 novembre 1943, a Corniolo, il legionario Nino Tamburini; il 24 dicembre 1943, a Cesena, lo squadrista Giacomo Rolandi e l’allievo ufficiale Salvatore Leto; il 30 dicembre, a Santa Sofia, il maresciallo Wilhelm Kurtz; a Forlì, il 9 gennaio 1944, il legionario Dino Pezzi, l’11 gennaio 1944, a Forlì, l’appuntato dei carabinieri Giovanni Leone. 14 morti in quattro mesi, circa, non può ancora considerarsi un bilancio, in sé, molto pesante. E’ però un chiaro segnale di come la situazione si stia rapidamente deteriorando. L’impatto psicologico fu fortissimo ed i fascisti non potevano non essere preoccupati. Tanto più preoccupati quanto più l’attività partigiana sembrava si stesse sempre più avvicinando alla pianura. Nei giorni successivi il numero dei morti continuò ad aumentare: il 17 gennaio, a San Piero in Bagno, è ucciso il podestà di Bagno di Romagna, il 18, a Cesena, un altro fascista, Ivo Piccinini, lo stesso giorno, sempre a Cesena, è gettata una bomba all’interno della casa del fascio. 19 gennaio - Ieri hanno ucciso un portiere per il Corso Cavour. (...) Era uno sfollato di Napoli. Poco dopo è scoppiato un ordigno a orologeria posto nella Casa del Fascio, che fracassati i vetri, porte, ecc. Domenica sera (16 c.m.) si sono presentati quattro signori al parroco di Bagnile (Don Drudi [Antonio]), i quali colle rivoltelle in pugno domandarono i quattrini della Cassa Rurale. Li andava a prendere quando le grida di alcuni vecchi della casa li misero in fuga. Ribelli? Costoro hanno ucciso il podestà di San Piero [in Bagno]. Nella provincia di Forlì dal’8 settembre sono stati soppressi 15 fascisti, più quello di mercoledì [il 18 gennaio] a Cesena. (Dal diario di don Pietro Burchi Gattolino) All’inzio del ’44 in Corso Cavour al mattino venne ucciso un Moschettiere del Duce. Un certo Piccinini. Gli son passati vicino in bicicletta. Due o tre colpi e l’hanno ucciso. Non so però lì dopo chi abbiano arrestato. (Anonimo - 1998) Dop i mazet Picinini [Ivo Piccinini]. (…) Picinini, e’ puren, l’era un ragaz che u n’ aveva fat de’ mèl. Gnint… Era un romano. Io l’ho conosciuto perché andai all’ospedale non so a fè che (…) Sto ragazzo era un bel giovane, coi capelli lisci alla Rodolfo Valentino. Con la divisa da Decima mas. Inveci u n’ era invel lo. Aveva una gamba rotta. Us l’era rota in mutor. Lo us l’era rota a posta par imbusches. Arrivai che stava telefonando a una ragazza, parché e’ geva, me lo ricordo ancora “I suoi begli occhi blu…” (…) Qualche sera dop i l’à mazè. (…) Io abitavo in via Verdoni, la casa del fascio era dove c’è la Banca popolare. (…) eravamo a cena. Verso le sei e mezzo u s’ sint ona slepa (…) i mitet una valisa. Cun ona bomba a orologeria. E non fecero dei gran danni. Però il giorno dopo che io dovevo andare a scuola avevano bloccato lì. U j era j militi. I t’ faseva pasè da u n’ enta perta. Poi, dopo, la casa del fascio la portarono lì al palazzo del capitano (…) subito appena poterono fare i lavori. Ah! Sobit dop perché qui era inagibile. Chi è stato non si seppe mai dicono che è stato uno che e’ punset una borsa… (Guido Mattei – 2003) Nei primi giorni del gennaio 1944 ipotizzarono di attaccare la sede del fascio di Cesena, che era collocata nei locali della banca Popolare. Il compagno Benini [Adriano] ebbe il compito di studiare il piano esecutivo dell’azione. Il compagno Mellini [Aldo] che era l’artificiere (costruiva gli ordigni esplosivi che utilizzammo in diverse azioni - saltare binari ferrovia, abbattere pali dell’alta tensione, fare campi minati, ecc. ecc. ) ricevette l’incarico di confezionare la bomba necessaria allo scopo. Sulla base del piano elaborato dal compagno Benini, la sera del 18 gennaio, decidemmo di procedere all’azione, alla quale doveva partecipare il gruppo comando del battaglione GAP. Il piano prevedeva: che i compagni Caselli [Luciano] e Benini avrebbero raggiunto l’ingresso della sede del fascio e collocata la bomba, mentre i compagni Ricci [Fabio] e Lucchi [Leopoldo], armati di mitra si sarebbero appostati all’angolo di via Roverella per proteggerli durante l’azione e la ritirata dopo l’azione stessa. Tutto si svolse come previsto. Dopo l’azione ci ritirammo in Viale Carducci dove riprendemmo le biciclette e dopo aver percorso Via Trento-Via Pola, ci portammo a S. Egidio per raggiungere la sicura base di Bagnile. Eravamo felici. Ancora una volta avevamo colpito i fascisti dimostrando a tutti la nostra efficienza e messo a nudo la debolezza dell’avversario. (Attacco alla Casa del fascio di Cesena / Gigi [Leopoldo Lucchi] - dattiloscritto 1987) 18 gennaio 1944 - Ieri un milite fascista, è stato ferito gravemente in via Cavour. (...) Ieri sera pure, un fragore insolito, ci ha spaventati al massimo, Una bomba è stata gettata nell’atrio interno della Casa del Fascio, nei locali della Banca Popolare. La bomba non ha fatto vittime, solo pochi danni. Per questi fatti, attribuiti ai partigiani, è stato ristabilito il coprifuoco dalle 18 alle 6,30. Più di due persone non possono girare insieme e sostate in luoghi pubblici. La lotta politica cresce d’intensità. Viviamo i tempi dell’ira e dell’odio. E’ la guerra civile. (Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena) [Forlì] 19 [gennaio] = Nella Casa del fascio di Cesena, mentre ieri si svolgeva un’adunanza, un ordigno deposto al primo piano in precedenza da un individuo che l’aveva recato in una valigia, esplodeva producendo gravi danni all’edificio e la rottura dei vetri delle case vicine; alla stessa ora , cioè verso le 17, 30, un milite repubblicano veniva ferito gravemente da colpi di rivoltella: coprifuoco alle 17. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) [Forlì] 22 [gennaio] = Appare il seguente manifesto: PARTITO FASCISTA REPUBBLICANO Federazione di Forlì Ieri 21 gennaio 1944=XXIII, a Cesena in seguito a vilissima proditoria aggressione che gli causava mortali ferite decedeva il Vice C.S. IVO PICCININI Guardia del Duce di anni 22 - ferito di guerra - tre volte volontario - decorato di medaglia di bronzo al valore militare e di due croci di guerra - Croce di guerra spagnola. L’animo gli consentì di addensare nei giovani anni tutta una vita di eroismo conclusa nel segno del martirio. Eroe e martire lo saluta il fascismo forlivese, che nel suo nome trova nuovo alimento per la fiamma di fede e nuova semente da cui germogli la vittoria. Forlì, 22 gennaio 1944=XXIII I funerali avranno luogo a Cesena domani 23 gennaio alle ore 15. I fascisti Repubblicani Forlivesi sono invitati a trovarsi alle ore 14,30 dinanzi a questa federazione per presenziare alle esequie. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) Al funerale di Piccinini i fascisti possono sfogare la loro impotenza su Mario Guidazzi, antifascista, che viene ucciso per non aver salutato il passaggio del corteo. 22 gennaio 1944 - E’ stato ucciso il cesenate Mario Guidazzi, rappresentante di commercio, dai fascisti repubblicani, lungo Corso Cavour, nei pressi della Stazione. Incrociato un corteo di fascisti, con un gagliardetto, pare si sia rifiutato di salutare. I fascisti venivano dall’Ospedale con un corteo funebre, recante le vittime dei giorni scorsi. L’ucciso era parente di Cino Macrelli. L’impressione in città è vivissima. (Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena) [Forlì] 23 gennaio [1944] = Si dice che in Cesena il cognato dell’avv. Gino [Cino] Macrelli prima preso a schiaffi per il mancato saluto al gagliardetto durante il trasporto funebre del Piccinini, sia poi stato ucciso a revolverate mentre si recava con le valigie alla stazione. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) Fatalità, al funerale [di Ivo Piccinini] ci fu l’uccisione di Guidazzi [Mario]. Il quale tornava da Bologna. Loro dicono che… non ha voluto… No. E’ puret, un s’ n’ è gnenca incort! Sembra che uno dalla fila avrebbe urlato. S’ l’è vera! (…) “Dai ch’l’è un ad quii!” Perché lui era il cognato dell’onorevole [Cino] Macrelli. E’ scappato fuori uno dalla fila e l’ha fatto fuori. (…) Io andavo da mio babbo che era impiegato all’Arrigoni (…) e la Bianca, la tabaccaia, (…) la get “J à mazè un…” E dal quel momento delle uccisioni u i n’è stè pareci. (Guido Mattei – 2003) Quella stessa sera si attenta alla vita del vice segretario del fascio di Cesena, Pier Francesco Moreschini. 25 gennaio - Sabato u.s. (22 gennaio) nelle prime ore del pomeriggio i fascisti andavano in corteo all’Ospedale a prendere la salma del loro compagno ferito (non ucciso) il 19: lungo Corso Cavour incontrarono un signore sui 50, il quale non salutò il gagliardetto: lo schiaffeggiarono e lo uccisero con cinque colpi di fucile mitragliatore. Nello stesso momento alcuni malandrini si presentarono alla Villa di Massa dal signor Moreschini [Pier Francesco]: uno si fece dalla serva condurre dal padrone e cominciò a sparare con un fucile. Anche il Moreschini sparò. Ferito il Moreschini in un braccio, la sorella pure in un braccio, la moglie più gravemente nella pancia, l’assalitore non si sa dove. Quest’ultimo andò poi da un colono e colla rivoltella in mano si fece menare con un biroccino in un luogo lontano. (...) Si dice che Macrelli [Cino] comandi i ribelli delle nostre montagne, che assaltano e svaligiano. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) Il 22 corrente, in Cesena, sei ribelli armati assalirono la villa del fascista Pier Francesco Moreschini, ferendo questi, la sorella e la moglie di lui a colpi di fucile mitragliatore. Il Moreschini si difese con arma da fuoco, colpendo uno degli aggressori, che venne portato via dai compagni. (Dal Notiziario della Guardia nazionale repubblicana. 26/01/44 - ISRFC GNR 1110) 23 gennaio 1944 - Oggi tutta la città parla di un’aggressione fatta da alcuni individui, nella Villa Moreschini, presso la città. Sono stati feriti non gravemente, Pier Cesare Moreschini, la di lui moglie e una sorella. I Moreschini sono benestanti. Il movente si dice politico, chi invece parla di rapina. Il Moreschini si è difeso, ferendo uno degli aggressori.(Dal diario di don Leo Bagnoli Cesena) Si chiama... si chiama Lucchi [Giacomo (Paja)] (...) [incomprensibile] in montagna. Poco serio. Poco serio. Perché quando fecero l’azione... Questo Lucchi aderì alla lotta partigiana. Allora fu... fu lui assieme ad altri compagni per andare a far fuori Moreschini (...) Moreschini era un capoccia del fascismo no? Quando entrarono in casa di Moreschini... Moreschini era armato e sparò... Sparò Moreschini. Gli altri, non mi ricordo se erano in tre, in tre compreso con questo Lucchi no? Questo Lucchi gli doveva fare da copertura [e] scappò via. Scappò via. E gli altri furono costretti a scappare via... Non ci furono feriti e... ne... e niente no? Però Moreschini... non so se è ancora vi... sano... sano e salvo. Comunque lui fece un’azione così. Scappo via no? Scappo via e venne giù. Di giorno eh! In casa mia! Attraverso... tutto sporco, tutto stracciato, tutto sporco... tutto di terra e così no? A casa mia in pieno giorno... a casa mia ciou! A farsi vedere in quel modo lì in pieno giorno era... era una cosa... anche pericolosa no? E... dopo lo nascosi che c’era un seccatoio. Stette nascosto un po’ lì dentro. C’aveva... Era armato. Si sentiva qualche colpo. Sparava dentro questo essiccatoio. Era immenso. Dopo gli facemmo “Cosa fai? Tu hai perso la testa!”. No? Insomma era di quei partigiani praticamente [che] sarebbe stato meglio che non ci fossero. (Giuseppe Alessandri - 1984) [Forlì] 24 [gennaio] = Corre voce dell’uccisione in Cesena di uno squadrista e di sua moglie corsa in difesa, come pare per rappresaglia a seguito dell’omicidio di ieri. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) I fascisti sperano nella delazione. 20 gennaio 1944 - Il fascio repubblicano offre 100.000 lire a chi darà utili indicazioni sugli assassini di Rolandi, Leto, Piccinini Ivo, e su chi ha collocato la bomba nella sede del fascio. (Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena) [Forlì] 23 [gennaio] - Provvedimenti reazionari e taglie in Cesena. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) In caso contrario possono contare solo sulla rappresaglia. Un’arma a doppio taglio perché colpisce alla cieca e quasi mai i veri responsabili degli attentati. [Forlì] 13 [gennaio] = Riunione in prefettura di un tribunale che deve emanare una sentenza di rappresaglia a seguito dei fatti dell’altra sera; sembra che tra gli ostaggi vi sia anche una donna. [Forlì] 14 [gennaio] = Per sentenza emanata ieri da un tribunale militare straordinario, sono stati fucilati stamane alle sette, a ridosso di un muro del Tiro a Segno Nazionale in Campo di Marte, i due giovani contadini Mario Gordini, ravennate e Settimio Garavini di Angelo, forlivese residente in Bagnolo, carcerati per detenzioni di armi, giustiziati per rappresaglia con un procedimento che spaventa. (Dal diario di Antonio Mambelli.) 25 gennaio [1944] - Il Commissario del fascio ha messo fuori un manifesto in cui minaccia rappresaglie. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) [Forlì] 28 [gennaio] = A seguito dell’uccisione del federale di Bologna, il tribunale militare di quella città ha pronunciato la condanna a morte di nove persone, scelte nel centro intellettuale, arbitrariamente ritenuti responsabili morali con gli scritti, la parola e gli atteggiamenti assunti dal 25 luglio. Otto di essi sono stati fucilati alla schiena (...) In Bologna, come nella altre città romagnole, una sola cosa esiste: il terrore: Gli otto martiri - secondo la voce diffusa - avrebbero subito torture. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) Un’arma politicamente molto pericolosa, odiosa agli stessi fascisti più responsabili, che dopo la morte del federale Arturo Capanni, il 10 febbraio, prenderanno le distanze dagli altri camerati più favorevoli alla linea dura. Restammo quindi in carcere [come ostaggi, dopo i fatti della vigilia di Natale], poi uccisero il federale di Forlì [il 7 febbraio 1944]. Quindi dovevamo essere passati per le armi, però intervenne sua moglie, lo sapemmo dopo, che andò al comando tedesco... comando dei repubblichini e disse “Mio marito ha lasciato detto che non vuole nessuna rappresaglia”. (Roberto Venturi - dattiloscritto - 1984) [Forlì] 12 [febbraio] = ... la città è come oppressa da un incubo pauroso sulla sorte riservata agli ostaggi. Oggi deve avere inizio il processo a carico degli antifascisti, cioè in un’atmosfera satura di odio; vero sembra però che la vedova di Capanni abbia chiesto ed ottenuto di non procedere a vendette sull’esempio di Milano, Bologna e Ferrara e ciò le farebbe molto onore. La Prefettura comunica tuttavia che dieci antifascisti della provincia sono stati da essi denunciati alla Sezione regionale del Tribunale speciale per la difesa dello Stato. (...) Fra le voci che corrono circa le rappresaglie per l’uccisione di Arturo Capanni, vi è quella che attribuisce a Mussolini l’intento di non lasciare addivenire qui ad alcuna esecuzione capitale, ma è da credere piuttosto che lo si debba alla vedova come accennai. Permane tuttavia un profondo senso di disagio. [Forlì] 14 [febbraio] = I tedeschi trascinano nelle carceri una ventina di ribelli da essi catturati non si sa dove: allungano le file dei morituri. Si dice che domani, martedì, avrà luogo il processo, a seguito dell’omicidio del Federale Capanni. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) La mattina presto lo scopino venne a bussare alla nostra porta e disse. “L’avete scampata bella ieri sera!” Chiedemmo perché e lui rispose che era per merito della moglie del federale se non eravamo alle Casermette! Infatti la moglie del federale ebbe coscienza perché disse: “Se trovate il colpevole d’accordo, altrimenti non sono stati quelli in galera a uccidere mio marito”. Ci andò benissimo quella volta. (Renato Bartolini - 1984) [Forlì] 18 [febbraio] = In relazione all’uccisione di Arturo Capanni, si dice che il capo della Provincia [Alberto Zaccherini] ed il Questore [Secondo Larice] sarebbero concordi nel non voler gravata la mano sui disgraziati ostaggi in loro potere; il processo contro di essi pare rinviato a lunedì. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) All’interno della federazione forlivese del partito fascista repubblicano si vengono così a creare due fazioni, in disaccordo sulle misure e sui metodi da applicare alla repressione del fenomeno partigiano: il comando della GNR e della federazione fascista da una parte, la più estremista, il capo della provincia e il questore dall’altra. [Forlì] 19 [febbraio] = Alle 19,15 si è visto un razzo ed udita subito dopo una cupa esplosione che ha fatto tremare i vetri. Sono seguiti degli spari e l’immediata irruzione di militari per le vie e nelle case per largo raggio da Schiavonia e da Ravaldino, poi fermi, arresti, richiesta di documenti ovunque in forme concitate da lasciar comprendere accaduto qualche cosa di grave. [Forlì] 20 [febbraio] = L’attentato di ieri sera è avvenuto con il collocamento di un ordigno quasi vicino all’ingresso della caserma “Caterina Sforza”; l’esplosione ha prodotto una buca e la rottura dei vetri delle case vicine. (...) pare che abbia fondamento la supposizione di un trucco, organizzato per giustificare la richiesta e la applicazione di misure repressive, in quanto si sa che il comando della G.N.R. e la federazione hanno intenti estremisti, più moderati il capo della provincia e il questore. L’ipotesi si avvalora considerando come possa collocarsi a lato dell’ingresso di una caserma; presidiata da militi fascisti sempre di guardia, un esplosivo, senza che alcuno si accorga, ove non sia vera l’altra supposizione che attribuisce il tentativo a comunisti militanti nella guardia repubblicana. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)