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Anita T. Giuga Matilde Montanari
Matilde Montanari E’ questo l’evento che toglie il fiato […] l’anacronia, la differenza all’opera nell’opera Hoc est enim corpus meum Jacques Derrida di Anita T. Giuga Il Nudo è diventato impossibile, come dice Belting a proposito di Duchamp: «l'arte è una robe de la marié, velo di sposa che non si può spogliare. O perché non c'è che il velo, cioè l'arte soltanto, o perché c'è qualcosa al di là dell'arte, di cui essa non è che indumento». Questa pelle porosa, bucata, orifiziale non chiude il corpo, solo la metafisica l'instaura come linea di demarcazione corporea ed è negata a profitto di una seconda pelle non porosa, senza essudazione o escrezione né calda ne fredda (è 'fresca', è 'tiepida': a climatizzazione ottimale), senza grana né asperità (è 'dolce', è 'vellutata'), senza un proprio spessore (la trasparenza della © Matilde Montanari, “Mediterraneo seta e giallo-­‐ALLEGRO”, 2006 'tinta'), soprattutto senza orifizi (è 'liscia'). Funzionalizzata come un rivestimento di cellophane. Tutte queste qualità 1
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(freschezza, elasticità, trasparenza, uniformità) son qualità Montanari si immortala, nella cornice di un altro tempo, di “di chiusura" (Baudrillard). una in-­‐temporaneità comprensiva di tutti i corpi della farsa e Autopsia di un corpo amatissimo, o forse detestato al limite della dell’ossessione, tanto da repertarne le “scopie”. Così il rappresentazione di un corpo s-­‐vestito dall'occhio. lavoro di Matilde Montanari, senza artifici tecnici, ma con il Occhio che seleziona l'abito alla nudità, oltre la pelle che è bisturi dell'inquadratura, ricapitola per zone, mappe, luoghi artificio; nell’abitacolo privato e desolato di meraviglie, di segregazione nel corpo, il suo stesso corpo. reperti, memorie di altri. Nelle stanze intime e ‘chiare’ del Sono istantanee, perciò, in qualche modo, hanno uno stretto frammento amoroso. legame con il senso di privazione della libertà. Nella Privo di ‘carne’ il mondo si spegnerebbe, da qui (hoc est fattispecie, il rapporto col mezzo diventa morboso, solitario enim corpus meum) la chiave di volta delle estetiche militanti, ed esclusivo. della ‘desublimazione’ del prodotto culturale, dell’iperbole "Preferisco la mia condizione scalza", scriveva dal suo della presenza hic et nunc. Un essere al mondo con tutto il isolamento febbrile Emily Dickinson; la più contemporanea mondo fuori che l'artista ‘usa’ con la disinvoltura di chi non delle poetesse, vergine vestale che ci supera dal pieno cita, perché quella forma (quel suo corpo ‘installato’) non è dell’Ottocento e racconta della sparizione alla Storia, del un recupero, o un omaggio al Nudo ma parte della più ovvia reclusorio dorato della sua stanza e, in fine, del gesto delle abitudini all'autoritratto. estremo di uscita dalla cronaca. L’esperienza diretta e attimale si pone allora come cartina di tornasole di un cambiamento, sulle anse del soggetto “Io e 2
danza, di ciascun discorso sensato sulla www.aracne-­‐rivista.it # 1 – 2011 La camera ibrida
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despota”, che troneggia addomesticando l’urto del suo Matilde Montanari scruta il suo guardaroba di identità essere-­‐nel-­‐mondo. “malgrado sé”, come si augura che gli altri possano “L’isolamento sarà il premio”, diceva Bukowsky con la voce continuare a fare. Après tout. del suo alter Chinasky. L’autrice elonga così la giovinezza dell’altra Matilde. Fa questo accarezzando la plastica immaginaria della sua stessa Quest’altra Lei del racconto diventa viva, nello sguardo che forma parziale (il frammento dice, è la frase liturgica la abita e, però, sposta l’occhio fuori — quasi un esoftalmo d’accesso, la formula arcana per l’inconscio); da quei provocato — dall’orbita. L’opera è l'autrice, con un centimetri che saldano la piega tra abitare e oggettivarsi nel linguaggio volutamente desueto, saturo di colore e distanza. riflesso, studiatissimo, che la polaroid registra e poi L’opera è una preterizione — nego per affermare —, restituisce mutato e nuovo. un’oggettivazione del gusto per il ricordo. Uno sbigottimento, come racconta Freud, proprio del non È una madeleine, il biscotto post-­‐rivoluzionario di Proust; è riconoscimento di sé; dello scoprirsi estraneo nel riflesso di l’afrore della pelle nella calura umida d’agosto; è anche il una vetrina. D’un tratto. borotalco asperso dopo il bagno. È, ancora, lentezza del L’obiettivo, Montanari lo ammette, cattura il corpo sesso con amore e senza. all’insaputa; congela un perimetro astratto, di pelle, di seno, È una casa di cui si spalancano gli scuri dopo lunga assenza; di parete, alla sprovvista. Un Doppelgänger. dopo freddo inverno. È l’appassire perpetuo dei fiori. La marcescenza dei petali e l’affranta bellezza del continuare a L’autoritratto si mostra, e si presta, per l’abito di carne che morire trafitti nella posa. gli occhi estranei gli conferiscono: sopra la somatoplastica, al 3
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di là della patina d’argento dello specchio (mitologia retrò dell’Accademia di Belle Arti Michelangelo di Agrigento, n. 1, anno 2011 del dagherrotipo). La carne virtuale indossa un sudario (N.d.A.) traslucido, mentre gli abiti circondano la carne in una finzione poliziesca. Matilde Montanari, nata a Bologna nel 1979, si rivela al pubblico Così Montanari diventa ‘fantasma’, perturbante perché alla presentando nel 2000, a Trebnitz (Berlino), il suo lavoro Effetti collaterali, solidità dell’immagine è attribuita una moltiplicazione opera riproposta l'anno seguente a Verona. Il suo lavoro indaga i incontrollata del simile, ma non identico (identica è colei che rapporti esistenti fra l'ambiente e gli accadimenti privati; la stretta scatta, pur essendo lo stesso subiectum dell’autoritratto: connessione che lega il privato al comune disagio frutto di relazioni sociali sempre più rarefatte e invasive, potenzialmente pericolose. quel che siamo non cambia, “cosa” siamo cambia di Compie uno studio sistematico sulla normalità del quotidiano e la continuo). In quel catalogo immaginario, concepito per la possibilità di agire sulla realtà fino a giungere alla messa in scena di visione e l’archivio privato, c’è, ancora, il Sé; il pronostico del atmosfere oniriche e sognanti, la ricostruzione di dimensioni magiche e Sé, che fra innumerevoli decenni la archivierà. surreali, libere e senza tempo. Elementi fondamentali di questi racconti sono i colori e le forme che li delineano, partendo dal punto di vista volitivo e prospettico dell'autoritratto. Con uno di questi lavori, È (e) là l’osceno. Il ‘fuori scena’ di linee-­‐lineamenti semi Proiezioni di un desiderio, vince nell'estate del 2003 il Premio Portfolio sepolti; quel che non siamo più, pur essendolo ancora: “sta Giovane Fotografia in Italia e si classifica al secondo posto del Premio Le per accadere e non smetterà di accadere...” Logge del TFF. Nello stesso anno partecipa alla mostra collettiva Quelli di Franco Fontana a Massa Marittima. Sempre nella città toscana nel 2004 Questo pezzo critico è derivato da una precedente stesura dal titolo espone il progetto Proiezioni di un desiderio, nello stesso anno con il “Matilde Montanari”, edita su Demetra Arte, periodico trimestrale 4
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medesimo lavoro partecipa alla collettiva Nudi fuori a Bologna e al Portfolio Giovane Fotografia in Italia a Modena, Padova e Berlino. Anita Tania Giuga è critico d’arte, curatrice indipendente, giornalista di settore, specialista di Beni e media culturali. Ha seguito per due anni il dottorato di “Estetica e pratica delle Arti” dell’Università di Catania. Ha collaborato al dipartimento di Psicologia dell’Arte del DAMS di Bologna e insegnato all’Accademia di Belle Arti di quella città. Una sua breve lirica è stata menzionata da Maurizio Cucchi su Tuttolibri del 24 settembre 2011. 5
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