SU FUEDDU
Che cosa sappiamo
dell’evangelista
Luca - pag
Ciclo
di incontri
biblici
sul vangelo di Luca
Diocesi di Oristano - Anno liturgico C
Nell’anno liturgico C, le letture evangeliche saranno in genere tolte dal
vangelo di Luca. Offriamo qui un sussidio per introdurre la lettura del
vangelo. Questa prima parte riguarda la figura di Luca come autore e
redattore.
Che cosa sappiamo dell’evangelista Luca
1. I dati dei “documenti”
I manoscritti. Il terzo vangelo, come tutti gli altri, è anonimo, non
indica né chi lo scrive, né dove né quando. Un’antica tradizione
che può essere fatta risalire al secondo secolo afferma che Luca,
medico e compagno di Paolo, scrisse sia il terzo vangelo sia il libro
degli Atti degli Apostoli.
Il più antico manoscritto del vangelo, denominato in sigla
P75, proveniente dall’Egitto, è datato tra il 175 e il 225 d.C. e
contiene parti estese del vangelo di Luca e di Giovanni. Questo
stesso manoscritto è il primo in cui troviamo il titolo “Vangelo
secondo Luca”. Non si sa con precisione quando si cominciò
a dare tali titoli ai vangeli. Sembra soltanto possibile dire che i
vangeli ricevettero questi titoli nel momento in cui cominciarono
a diffondersi tra le varie comunità cristiane e divenne necessario
denominarli e distinguerli l’uno dall’altro.
Il Nuovo Testamento. Il Nuovo Testamento fornisce poche
notizie su Luca. La Lettera a Filemone (v. 24) elenca Luca tra
i collaboratori di Paolo: “Ti saluta Epafra, mio compagno di
prigionia per Cristo Gesù, con Marco, Aristarco, Dema e Luca,
miei collaboratori”. La Lettera ai Colossesi (4,14), scritta forse
nello stesso periodo di tempo (estate del 53 durante la prigionia
ad Efeso), nomina Luca tra i compagni di Paolo e lo identifica
come “il caro medico”: “Vi salutano Luca, il caro medico, e
Dema”. La Seconda Lettera a Timoteo (2Tm 4,11), parlando
dell’ultima prigionia di Paolo, dice che “Solo Luca è con me”.
I cosiddetti passaggi “noi” degli Atti degli Apostoli (16,1017; 20,5-15; 21,1-18; 27,12-28,16), cioè i passaggi dove
l’autore racconta usando la prima persona plurale come se fosse
protagonista diretto dei fatti, hanno contribuito alla tradizione
che fa di Luca un compagno di viaggio di Paolo. Questi passaggi
sono stati però interpretati in diversi modi, e questo in vista di
trovare una spiegazione al fatto che in vari punti ciò che dice Luca
di Paolo non concorda con ciò che Paolo dice di sé stesso. Così
alcuni studiosi prendono questi racconti come la testimonianza
che Luca era davvero insieme a Paolo, altri pensano che Luca
abbia soltanto usato i diari di Paolo o i diari di qualche altro suo
compagno di viaggio, senza cambiare il soggetto che racconta,
per mantenersi coerente con il resto del suo libro; altri infine
pensano che Luca in questi punti abbia usato la prima persona
uniformandosi a certi usi letterari del tempo che, passando a
raccontare i fatti in modo diretto alla prima persona, rendevano
più drammatico il resoconto di momenti ritenuti importanti. Se
fosse così, dicono questi studiosi, si spiegherebbe perché Luca,
non essendo stato in realtà compagno di Paolo, possa divergere
da lui sotto molti aspetti.
In ogni caso, anche se noi prendiamo questi passaggi “noi”
nel senso di una diretta esperienza di Luca come compagno di
Paolo, il Nuovo Testamento non ci lascia intravedere se e come
e quanto Luca sia stato influenzato dal pensiero di Paolo. Dal
momento che Luca è elencato fra coloro che “mandano saluti”
(Col 4,14; Fm 24 citati prima), uno potrebbe presumere che
Luca conobbe le lettere di Paolo. Tuttavia, noi non abbiamo
dati per dire che Luca poté davvero leggere le lettere di Paolo, né
sappiamo quanto tempo Luca stette con Paolo, o quanto Luca
fosse familiare con i modi di pensare e di predicare di Paolo. Di
conseguenza, noi dobbiamo leggere il vangelo di Luca per sé
stesso, e non sullo sfondo della teologia di Paolo.
Foglio 44 del manoscritto P75 (Bodmer XIV, XV): fine del
vangelo di Luca e inizio del vangelo di Giovanni. Si noti (racchiuse
tra le barre verticali) la dizione “Euaggelion kata loukan”. Il codice
papiraceo constava di 75 fogli, di cui ne restano 51, originalmente
di circa cm 26x13. Ogni pagina è scritta ad una singola colonna,
le linee vanno da 38 a 45 linee, e ogni linea ha da 25 a 36 lettere,
in caratteri onciali maiuscoli, che datano il manoscritto tra il
175 e il 225 d.C. La scrittura è di tipo maiuscolo, molto chiaro.
Contiene parti estese del vangelo di Luca e di Giovanni.
Che cosa sappiamo dell’evangelista Luca - pag I Padri della Chiesa. I riferimenti più antichi a Luca come
autore del terzo vangelo negli scritti dei Padri della Chiesa appaiono
negli antichi prologhi e negli scritti di Ireneo e Tertulliano.
Ireneo (circa 130-200), vescovo di Lione in Francia, scrisse
attorno al 185 una lunga opera in cinque volumi Contro
le eresie. Circa la sua testimonianza, il problema è di sapere
quanto Ireneo conoscesse di Luca e della composizione del suo
vangelo in modo indipendente dalle notizie fornite dal Nuovo
Testamento stesso (e sopra citate). Ireneo dunque scrive: “Anche
Luca, il compagno di Paolo, registrò in un libro il vangelo predicato
da lui” (3.1.1). Parlando dei passaggi “noi”, Ireneo aggiunge che
“Luca era inseparabile da Paolo” e che “egli portò avanti un’opera
da evangelista, e godette della fiducia di tramandarci un vangelo”
(3.14.1). Così facendo, Luca, che era “non soltanto un seguace, ma
anche un collaboratore degli Apostoli”, imparò dagli Apostoli ciò
che essi avevano imparato dal Signore e ci trasmise “quanto egli
aveva imparato da essi”, come egli stesso afferma nel prologo del
suo vangelo (3.14.1-2). In definitiva, per quanto di valore possa
essere la testimonianza di Ireneo, essa non ci dice niente in più di
quanto è già affermato nei testi del Nuovo Testamento.
Tertulliano (c. 150-225), scrivendo nel 207-208 il trattato
Contro Marcione, attacca il rifiuto degli altri tre vangeli da
parte di Marcione e la sua abbreviazione del vangelo di Luca.
Tertulliano insiste sulla successione del Signore, gli apostoli
(Matteo e Giovanni, e più tardi Paolo), e quelli che seguirono
gli Apostoli (Marco e Luca). Egli dice: “Fra gli Apostoli, dunque,
Giovanni e Matteo per primi ci istillarono la fede; fra gli uomini
apostolici, Luca e Marco in seguito la rinnovarono... Luca tuttavia
non era un apostolo, ma solo un uomo apostolico; non un maestro,
ma un discepolo...” (4.2). Tuttavia, Tertulliano afferma l’autorità
del vangelo di Luca e difende la credibilità della sua trasmissione
anteriore agli emendamenti proposti da Marcione. Marcione
doveva averlo avuto nella sua forma originale, dal momento che
pretende che esso abbia subito aggiunte da parte dei “difensori
del giudaismo” (4.4). Il vangelo di Luca, afferma Tertulliano,
“aveva una base solida fin dalla sua pubblicazione... Poiché perfino
la forma del vangelo di Luca viene fatta risalire a Paolo” e “anche
il vangelo di Luca ci è giunto in modo altrettanto integro [quanto
gli altri vangeli] fino al trattamento sacrilego di Marcione”(4.5).
Tertulliano, in breve, attesta l’autorità goduta dal vangelo di
Luca e l’affidabilità della sua forma originale, rifiutando la forma
abbreviata di Marcione.
Canone di Muratori. La data del Canone di Muratori, che ci è
giunto in un manoscritto dell’ottavo secolo, è dibattuta. Al posto
di una prima datazione che lo collocava a Roma nel 200 d.C.,
guadagna consensi una datazione che lo colloca invece in oriente,
o in Siria o in Palestina, nel 400 d.C. Se così fosse, esso lascerebbe
il posto di lista più antica dei libri del Nuovo Testamento alla lista
riportata da Eusebio nella sua Storia Ecclesiastica (3.25), e sarebbe
da leggere in dipendenza da questa. L’introduzione a Luca nel
Canone muratoriano afferma: “Il terzo vangelo è quello secondo
Luca. Questo medico Luca, dopo l’ascensione di Gesù, poiché Paolo lo
aveva preso con sé come uno esperto nella via (dell’insegnamento), lo
compose a suo nome e secondo il suo insegnamento. Tuttavia, egli non
vide personalmente il Signore nella carne; e perciò, nella misura in
cui fu capace di accertare, egli comincia a raccontare la storia dalla
nascita di Giovanni”. Come si vede, anche il Canone muratoriano
ci trasmette fondamentalmente quanto già attestato negli scritti
citati del Nuovo Testamento.
I prologhi evangelici antichi. Si tratta di premesse ai tre
vangeli di Marco, Luca e Giovanni, che un tempo si pensavano
scritti contro Marcione, ma che oggi vengono trattati come
documenti autonomi e anche indipendenti fra di loro, e datati
in genere nella seconda metà del quarto secolo. La prima
parte del prologo al terzo vangelo dice: “Luca è un siriano di
Antiochia, un medico per professione, che era un discepolo degli
apostoli, e poi seguì Paolo fino al suo martirio. Egli servì il Signore,
senza distrazione, non sposato, senza figli, e morì all’età di 84 anni
in Boezia, pieno di Spirito Santo”. La seconda parte aggiunge
che egli scrisse il vangelo “nelle regioni della Acaia”. Nello stesso
tempo che tali dettagli biografici sono credibili, bisogna però
anche dire che essi sono senza ulteriori prove, lasciandoci nella
difficoltà di stabilire quale valore essi abbiano in realtà.
Conclusione. In conclusione, si può dire che fin dalla seconda
metà del secondo secolo la tradizione di Luca come autore del
terzo vangelo è universalmente accettata. Tuttavia, la maggior
parte di ciò che di Luca sappiamo deriva dal Nuovo Testamento
stesso. A partire dal terzo secolo, appaiono dei dettagli aggiunti
sia sulla biografia di Luca sia sulla composizione del suo vangelo,
ma questi dati non possono essere corroborati da altre fonti. In
considerazione di questa via “documentale” senza uscita, non
resta agli studiosi che tentare di ricostruire la figura dell’autore
del terzo vangelo a partire da ciò che può essere dedotto dal suo
stesso scritto e dalle sue relazioni con gli altri vangeli.
2. I dati dell’opera lucana
(NB. le righe in corsivo indicano le pagine proprie di Luca che
vengono saltate nelle letture liturgiche della domenica).
Se, come abbiamo visto, i Padri della Chiesa attingono le
loro informazioni su Luca dalle stesse fonti già conosciute del
Nuovo Testamento, per delineare la personalità dell’autore del
terzo Vangelo e degli Atti non ci resta che osservare da vicino
la sua opera.
Nel prologo al vangelo egli dice di conoscere altri scritti sui
fatti che si sono “compiuti”. Non è stato un testimone oculare,
ma si annovera fra quelli che hanno ricevuto la tradizione
trasmessa “da coloro che ne furono testimoni fin da principio e
divennero ministri della parola” (1,2).
Fra gli scritti conosciuti da Luca, gli studiosi in modo
oggi quasi unanime annoverano lo stesso Vangelo di Marco.
Luca ne farebbe uso, apportando modifiche di contenuto e di
ordine, omettendo dei passi e aggiungendo dei materiali che
egli avrebbe in parte da fonti proprie (nel prologo egli dice di
aver fatto ricerche “accurate”) e in parte da una cosiddetta fonte
Q, che risulterebbe usata anche dal vangelo di Matteo. La sigla
Q con cui gli studiosi indicano questa fonte è abbreviazione
del termine tedesco Quelle. È chiaro che queste modifiche di
Luca rispetto al Vangelo di Marco, aggiunte, mutamenti di
ordine, omissioni, possono fornire valide indicazioni non solo
sullo stile di Luca, ma anche sui suoi scopi, sulle sue idee, sulle
sue preferenze, e in qualche modo anche sulla sua personalità.
In questo procedimento deduttivo, si eviterà però di isolare in
modo troppo individualistico la figura dell’autore che se ne
ricava. Egli infatti non scrive per sé stesso, ma tiene conto delle
esigenze e delle situazioni delle comunità cristiane per le quali
scrive.
Fra i racconti esclusivi di Luca sono significativi quelli si
trovano all’inizio e alla fine del vangelo. I cosiddetti “racconti
dell’infanzia” di Luca sono infatti molto diversi da quelli
di Matteo, mentre Marco non ha una sezione introduttiva
Che cosa sappiamo dell’evangelista Luca - pag sulla nascita di Gesù. Nei primi due capitoli, sono propri di
Luca l’annuncio a Zaccaria nel tempio di Gerusalemme (1,5-25),
seguito dall’annuncio a Maria a Nazaret (1,26-38), la visita ad
Elisabetta (1,39-45) e il canto del Magnificat (1,46-56), la nascita
e la circoncisione di Giovanni con il canto del Benedictus (1,5780), il racconto della nascita di Gesù, l’annuncio ai pastori, la
circoncisione e la presentazione di Gesù al tempio (2,1-40), il suo
ritrovamento nel tempio in occasione del viaggio a Gerusalemme
al compimento dei dodici anni d’età. Alla fine del vangelo soltanto
Luca ha il racconto dei due discepoli di Emmaus che partono da
e fanno ritorno a Gerusalemme (24,13-35), la lezione di Gesù agli
apostoli sul compimento delle Scritture (24,44-45) e sull’annuncio
del perdono a tutte le genti a partire da Gerusalemme (Lc
24,46-49), e infine il racconto dell’Ascensione e la preghiera
costante degli apostoli nel tempio (Lc 24,50-53; si noti che
nessun altro evangelista racconta questo fatto).
Il resto del suo materiale esclusivo Luca lo pone soprattutto
in due sequenze alternate con altre due dove invece segue da
vicino il vangelo di Marco. Gli studiosi le chiamano piccola e
grande interpolazione. Nella piccola interpolazione (Lc 6,208,3), il “materiale proprio” di Luca comprende i “guai” dopo le
beatitudini, il racconto della vedova di Nain (7,11-17), l’episodio
della donna prostituta che va a trovare Gesù nella casa di un fariseo
con il dibattito sul perdono (7,36-50), i nomi delle donne che
seguono Gesù (8,1-3). La grande interpolazione (Lc 9,51-18,14)
organizza i diversi episodi all’interno della descrizione continuata
del “viaggio verso Gerusalemme”. Luca sposta diversi episodi
in questa sezione e inserisce in situazioni sociali precise (sovente si
tratta di inviti a pranzo) diversi detti che Matteo situa invece nei
suoi cinque discorsi e in modo non contestualizzato. Materiale
esclusivo di Luca sono invece: le difficoltà trovate dagli apostoli
in Samaria proprio all’inizio del viaggio (9,51-56), il discepolo che
vuole andare a salutare i suoi familiari (9,61-62), la parabola del
buon samaritano (10,29-37), le due sorelle Marta e Maria (10,3842), la parabola dell’amico importuno (11,5-8), la parabola del
ricco stolto (12,13-21), il detto di Gesù sul fuoco e sul battesimo
(12,49-50), l’invito al pentimento ricordando le vittime di Pilato
e di un disastro avvenuto a Gerusalemme (13,1-5), la guarigione
di una donna curva in giorno di sabato (13,10-17), il ricordo di
alcuni farisei che vogliono proteggere Gesù da Erode e la risposta
di Gesù che parla della sua morte a Gerusalemme (13,31-33), la
parabola sulla scelta dei posti (14,7-11) e degli invitati (14,12-14)
con la beatitudine di chi mangerà nel regno (14,15), il discorso di
Gesù sulla necessità di scelte radicali (14,28-33), la parabola della
donna che ha perso i soldi (15,8-10), la parabola del figlio prodigo
(15,11-32) e dell’amministratore infedele ma previdente (16,113), il racconto-parabola del ricco cattivo e del povero Lazzaro
(16,19-31), il detto di Gesù sul padrone e sui servi (17,7-10), la
I principali interventi redazionali:
le cosiddette “interpolazioni” e “omissioni” di Luca
Lc 3,1-6,19 Prima sezione intercalata
Lc 6,20-8,3 Piccola interpolazione
Lc 8,4-9,50 Seconda sezione intercalata
Grande omissione: Lc salta quasi tutto Mc 6,458,26
Piccola omissione: Lc salta Mc 9,41-10,12
Lc 9,51-18,14 Grande interpolazione (sezione del viaggio)
guarigione di dieci lebbrosi, di cui uno samaritano (17,11-19),
la parabola del giudice iniquo e della vedova insistente (18,1-8),
l’episodio delle preghiere del fariseo e del pubblicano (18,914).
Dopo la sezione del viaggio, Luca riprende la trama
narrativa di Marco, riportando l’ultima tappa a Gerico, l’arrivo
e il ministero di Gesù nella città prima della passione. In questa
sezione Luca ha ancora del materiale esclusivo: l’episodio di
Zaccheo (19,1-10), la parabola dell’uomo che diventa re inserita
in una propria interpretazione della parabola delle “mine”(19,1127), il pianto di Gesù su Gerusalemme (19,41-44), ancora
alcune frasi sulla caduta di Gerusalemme all’interno del discorso
escatologico (21,21b-22.24), l’avvertimento a sulla necessità di
vigilare e non lasciarsi sopraffare dalle preoccupazioni della vita
(21,34-36).
Anche nelle due sezioni intercalate con queste interpolazioni,
e nelle quali Luca segue da vicino il Vangelo di Marco, Luca
ha del materiale proprio. Nella prima (3,1-6,19): la
contestualizzazione storica dell’inizio della predicazione del
Battista (3,1-2) e i consigli di questi alle folle, ai pubblicani
e ai soldati (3,10-14) e in più il giudizio su Erode il quale però
interrompe con l’arresto la predicazione di Giovanni (3,19-20), il
particolare ordinamento della genealogia di Gesù che si estende a
ritroso e in modo più universale fino ad Adamo e a Dio, mentre
quella di Matteo si ferma ad Abramo (3,23-38), un diverso
ordinamento delle tentazioni che culminano a Gerusalemme
(4,1-13), il discorso di Gesù a Nazaret con il riferimento alla
vedova straniera e a Naaman il siriano (4,17-21.23-30), la
pesca miracolosa prima della chiamata dei discepoli (5,310), i miracoli prima del grande “discorso della pianura” (“della
montagna” in Matteo; Lc 6,17-19). Nella seconda (8,4-9,50),
Luca ha soprattutto una diversa sistemazione e interpretazione
dell’episodio dei parenti che vengono da Gesù: mentre in Marco
questo episodio è raccontato prima del discorso delle parabole
e i parenti sono fra coloro che non vogliono ascoltare Gesù,
Luca invece sistema l’episodio a conclusione del discorso delle
parabole e i parenti diventano l’immagine di un ascolto riuscito
e fruttuoso (8,19-21).
I racconti della passione e resurrezione li analizzeremo
più approfonditamente a suo tempo. Ora segnaliamo solo
che Luca racconta l’ultima cena arricchendola di discorsi e
istruzioni di Gesù ai dodici discepoli, presentati come nucleo
rappresentativo dell’intero popolo di Dio (22,14-38). Anche
l’agonia nel Getsemani perde la drammaticità che ha nel
racconto di Marco, mostrando Gesù come il modello da seguire
nella preghiera ed evitando i rimproveri specifici a Pietro (22,4753). Ugualmente, il rinnegamento di Pietro è raccontato subito,
senza essere più in parallelo con gli insulti dei soldati (22,5452). Luca ha in proprio anche lo scambio di Gesù tra Pilato ed
Erode (23,6-12), le ripetute affermazioni di innocenza da parte
del procuratore romano in 23,13-24, il lamento delle donne e
la risposta di Gesù lungo il cammino di Gesù verso il Calvario
(23,27-32), e infine il dialogo fra i due ladri e Gesù e le ultime
parole prima della morte (23,39-43.46).
Sono propri di Luca, infine, i nomi delle donne e l’intero loro
gruppo che parlano agli apostoli della risurrezione, senza essere
da loro credute (24,10-11).
Fra le “omissioni”di Luca, significative la cosiddetta “grande
omissione” (Luca salta quasi del tutto Mc 6,45-8,26, con la
controversia sulle tradizioni giudaiche e il doppio racconto
delle moltiplicazione dei pani) e la “piccola omissione” (Mc
9,41-10,12, con le parole di Gesù sullo scandalo e la questione
Che cosa sappiamo dell’evangelista Luca - pag sul divorzio nella legge di Mosè).
Tutti questi interventi propri di Luca sono già per sé stessi
indicativi di alcune preferenze e caratteristiche dell’evangelista
Luca.
3. Conclusione
Dall’insieme della sua opera, in conclusione, Luca appare come
uno scrittore esperto, si dimostra a suo agio nella lingua greca,
conosce le convenzioni storiografiche ellenistiche, ha una notevole
familiarità con gli scritti sacri dell’ebraismo (Antico Testamento),
che egli mostra di conoscere nella traduzione greca fatta dalla
diaspora ebraica in Egitto (Settanta), della quale sovente imita
lo stile.
Luca è nello stesso tempo un maestro nell’arte della miniatura
e del grande mosaico. Egli è capace di racchiudere i messaggi
principali del suo vangelo in una piccola storia o in una breve
pagina. È un buon narratore. Sa come delineare con pochi tratti
i personaggi, come dare colore e vivacità alla scena. Luca, però,
sa anche come dare una struttura solida all’intera sua opera. Situa
Gesù non solo nel quadro universale del suo tempo ma anche
nello sviluppo del disegno di Dio verso il popolo di Israele e verso
tutti i popoli.
Egli così estende in diversi modi il genere del vangelo:
collega più precisamente la storia di Gesù alle figure più
importanti del tempo, narra l’annuncio e la nascita di Giovanni
Battista e di Gesù, inserisce una genealogia che traccia all’indietro
la discendenza di Gesù fino ad Adamo, “figlio di Dio” (3,28),
include più insegnamenti nei contesti dei racconti, lega la storia
del vangelo agli eventi successivi degli Atti degli Apostoli. In tal
modo Luca racconta la chiamata alla conversione per Israele, il
rifiuto dei suoi capi e gli inizi della missione ai pagani.
Dal breve quadro appena delineato le capacità artistiche
dell’autore del terzo vangelo e del libro degli Atti risultano
evidenti, e potranno essere confermate dall’esame più
approfondito sia di scene particolari sia dell’insieme dello
sviluppo narrativo e tematico dell’intera sua opera.
Per quanto riguarda, invece, i particolari biografici,
esaminando ancora i suoi scritti, è possibile dire che, oltre alla
familiarità con la Bibbia ebraica, egli dimostra una conoscenza
operativa anche delle pratiche e delle istituzioni giudaiche. Le
sue descrizioni di case (cf 5,19 dove parla di tetto e di tegole
a differenza di Mc 2,4, che parla di terrazza), di città, di classi
sociali (cf Lc 14,15-24 con le diverse categorie di invitati alle
nozze molto più specifiche che in Mt 22,1-14), mostra che egli
era familiare con la struttura e l’organizzazione sociale di città
ellenistiche come Antiochia o Efeso.
Il suo rispetto deferente verso il “molto eccellente Teofilo”
mostra che forse era egli stesso membro di una classe artigiana
piuttosto che della élite, quindi subordinato a Teofilo e non
suo collega. Anche se la tradizione e l’identificazione basata
su Col 4,14 è corretta (“vi salutano Luca, il caro medico, e
Dema”) e l’evangelista è davvero medico, ciò non lo poneva
automaticamente tra i benestanti o tra la classe dirigente. Nel
primo secolo, i medici appartenevano alla classe degli artigiani.
Sono stati fatti non pochi tentativi per mostrare che le descrizioni
di malattie e guarigioni fatte da Luca sono più precise di quelle
contenute negli altri vangeli, ma i dati non sono sufficienti per
provare che il terzo vangelo è scritto da un medico.
In ultimo, le differenze di teologia tra Luca e Paolo
significano che, anche se Luca è stato davvero compagno di
viaggio dell’apostolo (ciò di cui non pochi studiosi dubitano),
il suo vangelo deve essere letto per sé stesso e non sullo sfondo
della teologia paolina.
a. Un singolo foglio di papiro usato per
scrivere una lettera
b. Un singolo foglio di papiro piegato
al centro in verticale per essere parte di un
codice.
c. Un rotolo di papiro, scritto a colonne,
con linee verticali indicanti le giunture dei
singoli fogli di papiro.
d. Vista finale laterale di un codice
formato da un singolo “quinterno”
e. Vista finale laterale di un codice
formato da più “quinterni”
Testi e impaginazione
a cura di Antonio Pinna
Istituto di Scienze Religiose
di Oristano
www.sufueddu.org
SU FUEDDU
Ciclo di incontri biblici sul vangelo di Luca
Diocesi di Oristano - Anno Liturgico C
Nell’anno liturgico C, le letture evangeliche saranno in genere tolte dal vangelo
di Luca. Dopo il periodo di Natale, e prima della Quaresima, si fa in tempo solo
a iniziare la lettura del vangelo. Proponiamo qui una riflessione sullo sfondo
sociale presupposto dal vangelo e dal discorso delle beatitudini in Luca.
Luca, evangelista dei rapporti sociali ed ecclesiali.
Niente in cambio. Ma dov’è la differenza?
Le élites cambiano, le selezioni restano.
La “vita di città” al tempo di Luca
Da ciò che leggiamo nei due libri di Luca (Vangelo e Atti
degli Apostoli), sembra che la comunità cristiana per la quale
egli scrive viva in un contesto sociale che è quello tipico
di una città ellenistica della parte orientale dell’impero
romano.
Semplificando un po’ i dati, possiamo dire che la società
era divisa in due classi: quella della élite (5 o 10% della
popolazione: gli honestiores) e quella della non-élite (il
restante 90%: gli humiliores). La prima controllava la terra e
la sua produttività, e insieme il sistema politico e religioso;
in genere, abitava al centro della città, dove si trovavano
anche gli edifici pubblici più importanti. La seconda
comprendeva una grande varietà di gruppi: oltre ai servi
e agli schiavi della élite, vi erano commercianti, negozianti
e artigiani, organizzati in corporazioni e spesso riuniti in
propri quartieri. Nelle città portuali, come Corinto ed
Efeso, vi si aggiungevano stranieri provenienti da tutte le
aree del Mediterraneo e dal Medio Oriente. Ai gradini più
bassi della società troviamo le occupazioni più disprezzate,
come quelle dei conciatori, degli osti e delle prostitute.
Infine, all’estrema periferia o fuori della mura, risiedono i
mendicanti e i “banditi”.
È già possibile osservare che nell’opera lucana sono
rappresentate abbondantemente tutte e due le classi. Ad
esempio: gli imperatori Augusto e Tiberio, i due Erode,
i prefetti Romani, i centurioni, la classe dirigente di
Gerusalemme con i sommi sacerdoti, scribi e anziani, i
“ricchi”, per quanto riguarda la classe delle “élites”; i pastori,
le vedove, gli affamati e i poveri, i debitori, i lebbrosi, per
quanto riguarda il resto della società.
Ma è ancora più importante notare che Luca, sia nel
Vangelo sia negli Atti, sembra particolarmente interessato
alle relazioni fra queste due classi di personaggi. Il suo
racconto prende dunque un senso più concreto sullo sfondo
della società che presuppone.
Per meglio inquadrarla, è tuttavia utile ricordare che gli
studi sull’interazione economica nelle società preindustriali
parlano di tre forme di reciprocità:
1) una reciprocità generalizzata: si dà senza una specifica
domanda di restituzione;
2) una reciprocità bilanciata: si dà con il presupposto di
una rapida restituzione;
3) una reciprocità negativa: si prende, magari con la
forza, senza niente restituire.
Ricordiamo, inoltre, che in questo tempo e in questi
luoghi dell’impero il potere romano permetteva alle élites
locali di conservare le proprie prerogative.
Ebbene, in questo contesto, e semplificando ancora i
dati, possiamo dire che la struttura delle relazioni sociali in
una città ellenistica, come quella presupposta da Luca, era
fondata essenzialmente su tre principi.
Il primo era la ricerca dell’onore, e questo creava nelle
élites un clima di costante competizione. I costi erano
quelli di una beneficenza verso la città sotto forma di edifici
pubblici, feste o giochi. Questa beneficenza era ricompensata
con pubblici uffici o altri status symbol, come statue, posti di
onore e banchetti cittadini.
In secondo luogo, le relazioni sociali erano fondate su un
sistema di patronato. La posizione di una persona non era
regolata in base ai diritti umani universali, ma in base al
posto occupato in una gerarchia personale di “clientela”.
Il terzo principio era quello di una reciprocità bilanciata,
per cui, all’interno del cerchio della élite, chi dava qualcosa
contava sul fatto che chi riceveva si sentiva obbligato per
onore a ricambiare in modo proporzionato.
Dimmi chi inviti e ti dirò chi sei
È su questo sfondo che bisogna rileggere le pagine di
Luca sul rapporto fra ricchi e poveri, tenendo presente
soprattutto i momenti conviviali che sono frequenti nel
vangelo e che svolgevano un ruolo importante nel sistema
di riconoscimento delle relazioni sociali in quelle città.
Noi vediamo così che nella comunità lucana era
conosciuto e accettato il ruolo dei “patroni”. Si rileggano gli
episodi che riguardano due centurioni “simpatizzanti” della
religione giudaica (Lc 7,1-10 e At 10-11). Insieme con altri
elementi, essi possono indicare che in questo momento i
romani che venivano in aiuto ai cristiani provenivano non
proprio dai più alti gradi delle élites, quanto piuttosto dai
Il contesto sociale di Luca e le beatitudini - pag. ranghi medi della società. Non mancano del resto i motivi
per pensare che i rapporti di Luca con Teofilo, destinatario
sia del Vangelo sia degli Atti, siano quelli tipici del “cliente”
verso il suo “patrono”, che chiama appunto “sua eccellenza”,
secondo le abitudini di ogni buon “cliente”.
Per quanto riguarda questo aspetto, è caratteristico di
Luca il fatto di mostrare anche alcune donne nel ruolo di
“patroni” e in modo a quanto pare autonomo dai loro mariti,
ciò che non era usuale per quel tempo e per quei luoghi (cf.
Lc 8,1-3; At 16,14-15). Diversamente però dai discepoli
maschi, queste donne non reclamano per sé né onori né
privilegi, ma rappresentano il modello del “padrone che
serve” proposto da Gesù nel discorso dell’ultima cena (Lc
22,27).
Fra le scene conviviali, una tra le più significative è quella
descritta al cap. 14 per ben 24 versetti. Quando Gesù
suggerisce di invitare «poveri, storpi, zoppi, ciechi» (14,13),
questi invitati non sono da classificare fra gli “impuri” dal
punto di vista giudaico, ma fra quelli che «non potevano
ricambiare» (14,14) dal punto di vista ellenistico. Luca
cioè descrive l’ospitalità nei termini ben conosciuti della
“reciprocità bilanciata”, anzi è il solo autore del Nuovo
Testamento a usare il vocabolario tecnico di questo sistema.
La lista che Gesù critica è il tipico “circolo chiuso”: «Non
invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né
i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e
tu abbia il contraccambio» (14,12). Ciò che viene criticato
è proprio l’uso dell’ospitalità come mezzo per mantenere
e coltivare il gruppo della élite. Gli “amici”, infatti,
rappresentano un cerchio diverso da quello del “patrono”
e si limita a quelli che occupano una medesima posizione
sociale. Una mancata reciprocità equivaleva a perdere
l’onore e lo statuto di “amici”. Invertire un simile “invito”
significava non solo rompere con il sistema elitario e i suoi
valori, ma anche esporsi alle conseguenti sanzioni sociali.
Un altro esempio d’inversione di tale organizzazione di
rapporti è rappresentato dal “discorso di addio” dell’ultima
cena. Solo nella versione di Luca troviamo un riferimento
esplicito al “sistema dei benefattori”: «I re delle nazioni
le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno
chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il
più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa
come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola
o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto
in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,25-27). Ciò che
viene criticato è ancora una volta il sistema della reciprocità
bilanciata, come anche la struttura gerarchica delle relazioni
sociali di beneficenza. L’alternativa proposta è basata invece
sulla “reciprocità generalizzata”, dove chi dà non presuppone
nessun sistema di “ritorno”.
Tenuto conto di questo, i “ricchi” ai quali Luca rivolge i
suoi “guai” (Lc 6,24-26) non sono tanto quelli che “hanno
molti beni”, quanto piuttosto i membri del gruppo delle
élites che non si curano affatto degli “esclusi” (cf. ad esempio
l’episodio del “povero Lazzaro” che giace alla porta del ricco:
Lc 16,19-31). Al contrario, il “ricco ideale” in Luca non
appartiene alla classe chiusa della élite, ma, come l’esattore
Zaccheo, proviene dalle classi periferiche della cittadinanza
e soprattutto mostra solidarietà verso coloro che si trovano
in una posizione d’inferiorità sociale (cf Lc 19,1-10, e si
tratta nuovamente di un “pranzo”).
Una simile «etica conviviale» di Luca rappresenta dunque
nel suo insieme una rottura con gli ideali della cultura
cittadina dove le comunità cristiane stanno nascendo.
Il terzo vangelo si presenta come “buona notizia” anche
nella misura in cui rompe con i principi di patronato, di
beneficenza e di ricerca dell’onore, tutti fondati sul sistema
della reciprocità bilanciata.
Le “élites” cambiano, i meccanismi restano
Certo, non siamo più nelle città preindustriali di Luca e di
Paolo, siamo però sempre parte di una “Chiesa di Dio che
è in ... ”. Ripetere questa frase paolina (cf. 1 Corinti 1,2) è
anzi diventato una moda. Tuttavia, nel saluto di Paolo «alla
Chiesa di Dio che è in Corinto» c’era qualcosa di più che un
“indirizzo”. Come nell’opera di Luca, c’era la convinzione
che il cristianesimo lo si vive non fuori della storia, ma in
rapporto con un contesto cittadino concreto nel quale si
innesta una “differenza”. Le “società complesse” di oggi
hanno anch’esse i loro “sistemi di relazione”. I “club” sono
cambiati rispetto al tempo di Luca. La democrazia (dove c’è)
ha certo reso più percorribile, e nei due sensi, il passaggio
tra la classe di “quelli che contano” e la classe di “quelli che
non contano”. Ma, appunto, sia pure sotto diversi nomi,
le élites sanno ancora molto bene come delimitare il loro
cerchio. E da questo punto di vista, l’organizzazione della
“città di Dio” non sembra molto diversa da quella della
“città dell’uomo”. E forse sarebbe biblicamente più onesto
cambiare la frase di Paolo, e parlare di una “Chiesa che è
come quelli di...”.
Per essere fedeli al vangelo di Luca, basterà alla Chiesa
di oggi predicare “beati i poveri” e “guai ai ricchi”? Basterà
parlare di “ricchezza disumana” e di “autosufficienza
idolatrica”? Basterà aver descritto una “dottrina sociale”
perfetta (almeno nei libri), in difesa della dignità della
persona?
Non si fa nessuno sconto ai “ricchi” se si dice che il
discorso di Luca su di loro mette in gioco ogni mentalità
di “élite”, e magari di “carriera”. Non solo civile, ma anche
ecclesiastica. Del “regno”, a una Chiesa che ha acquisito
nelle sue strutture relazionali i meccanismi mondani di
“riconoscimento”, resta poco da mostrare: come i ricchi, ha
già la sua ricompensa, ha già i suoi status symbol, ha già qui
i suoi “amici”. Il tesoro nei cieli sarà certo per tutti, grazie al
nome della misericordia. Ma secondo Luca, ciò che conta
si vede solo nella vita di coloro che, per quello che danno,
dicono o fanno, «non si aspettano niente in cambio» (Lc
6,35). E nemmeno lo prendono. Antonio Pinna
SU FUEDDU
I vangeli dell’infanzia - pag. Ciclo
di incontri biblici sul vangelo di Luca
Diocedi di Oristano - Anno liturgico C
I vangeli dell’infanzia.
Da dove vengono, che cosa significano
1. Da dove vengono
I primi capitoli dei vangeli sono molto diversi fra loro. Mentre
Matteo e Luca hanno una grade varietà di racconti sulla nascita e
I’infanzia di Gesù, Marco e Giovanni non ne hanno nessuno. Ma
anche i racconti di Matteo e Luca ignorano tanti particolari che
invece fanno ormai parte dell’immaginario collettivo natalizio. Ad
esempio, nei vangeli non si parla mai né della grotta né dell’asino
e del bue.
Da dove vengono questi “racconti dell’infanzia”? Già molto
prima del cristianesimo, noi troviamo che i commentatori
giudaici della Bibbia, a partire dai pochi dati che leggevano nei
testi biblici, avevano sviluppato lunghi racconti circa la nascita
di importanti perso­naggi. Era successo così per Abramo, Mosé,
Isacco, Samuele. Tracce di questi racconti restano nelle parafrasi
delle traduzioni aramaiche (Targum), nei commentari giudaici
dei primi secoli dopo Cristo (Midrash), negli scritti di Giuseppe
Flavio e di Filone di Alessandria.
Ad esempio, nelle Antichità Giudaiche (2,205ss) di Giuseppe
Flavio, uno scriba predice la nascita di Mosé, il Faraone ne ha un
annuncio premonitore in un sogno che si fa spiegare dal propri
maghi-interpreti, e, preso dalla paura, fa una strage di bambini
appena nati. Nello stesso midrash, la nascita di Mosé è annunciata
in sogno al padre di Mosé, Amram (che significa “popo­lo grande,
alto”).
In questi racconti, i genitori di Mosé sono sempre rappresentati
come dei personaggi molto pii, e anche la sorella di Mosé, Miryam,
riceve una visione. Il Libro delle Antichità Bibliche, dello PseudoFilone racconta: “Lo spirito di Dio scese su Maria, una notte, e essa
vide un sogno che raccontò al mattino ai suoi genitori: Ho visto una
visione questa notte. Ecco che un uomo con un abito di lino mi stava
davan­ti. Egli mi disse: va’ a dire ai tuoi genitori: ciò che nascerà da
voi sarà rigettato nell’acqua, poiché per mezzo di lui I’acqua sarà
prosciugata; io farò per mezzo di lui, dei segni e salverò il mio popolo;
lui ne assicurerà sempre la condotta” (9,10).
Gli esempi potrebbero essere molto più numerosi. Appare
dunque che, per parlare dell’infanzia di Gesù i primi cristiani ave­
vano a disposizione già dei modelli collaudati e cono­sciuti sulle
più importanti figure bibliche. L’interpretazione delle virtù di
Sara, Lea, Rebecca, hanno certo contribuito a mettere in valore il
tema della nascita verginale e dell’intervento divino miracoloso.
I testi cristiani del secondo secolo d.C., come i vangeli
apocrifi, hanno continuato su questa medesima strada, avendo
ora a disposizione non solo i testi dell’Antico Testamento e delle
tradizioni giudaiche, ma anche i racconti già diffusi e accettati di
quei vangeli che oggi noi chiamia­mo “canonici”.
Ma ancora prima dei testi dell’Antico Testamento, bisogna
dire che il racconto dell’infanzia era un genere ben attestato nel
Vicino Oriente antico. Il suo scopo era quello di attestare che
un personaggio importante per la storia del popolo aveva fin dal­
l’inizio della sua vita goduto dell’aiuto provvidenziale degli dèi, o,
in altre parole, era un dono stesso degli dèi agli uomini.
Due esempi sono molto conosciuti. Di Sargon di Accad
(2334 2279 a.C.) una stele racconta l’infanzia, la nascita segreta,
l’abbandono in una cesta sulle acque dell’Eufrate, e infine la sua
salvezza grazie a un giardi­niere. Ecco l’inizio: “Io sono Sargon, it re
potente di Akkad... Mia madre, la grande sacerdotessa, mi concepì e
mi mise al mondo in segreto. Essa mi depose in una cesta di giunchi
di cui chiuse l’apertura con del bitume. Essa mi gettò nel fiume...”.
Questo testo, molto conosciuto nell’antichità, fu copiato anche
in Egitto. Al lettore della Bibbia non sfuggiranno le rassomiglianze
con i racconti dell’infanzia di Mosé, deposto nel Nilo e salvato
dalla figlia del Faraone grazie alla sua stessa sorella (Es 2,1-10), il
cui intervento si inserisce nel ruolo provvidenziale che la Bibbia
riserva a molte figure femminili.
Un altro racconto di infanzia molto conosciuto è quello che
riporta Erodoto (Storie 1,108-123) a proposito di Ciro II,
fondatore dell’impero persiano (559-529). Nato dal matrimonio
di Madane, figlia di Astiage, re dei Medi, e del persiano Cambise,
Ciro fu fin dalla nascita sottratto ai suoi genitori. Infatti, il re
Astiage aveva fatto un sogno: dal grembo della sua figlia usciva
un ceppo di vite che si estendeva su tutta l’Asia. Volendo sapere
il senso di questo sogno, il re fece veni­re dei maghi, interpreti
di sogni, i quali gli annunciaro­no che il bambino della sua figlia
sarebbe divenuto re al suo posto. Astiage allora decise la morte del
bambino, ma l’ordine non fu eseguito. Ciro infatti fu consegnato
Herodium (vista da ovest). Fortezza a 5 km a sud-est da
Betlemme, costruita su una collina preesistente, era per Erode un
luogo di rifugio vicino a Gerusalemme (13 km) e nello stesso tempo
un palazzo ricco di ogni comodità. La sua immagine a forma di
vulcano domina il panorama attorno a Betlemme e sul deserto
della Giudea. Qui Erode nel 15 a.C. ospitò Agrippa, figlio adottivo
dell’imperatore Augusto, e qui decise di farsi seppellire, anche se
la sua tomba non è stata ancora ritrovata. Erode si costruì altre
dieci fortezze simili, sparse per tutto il suo territorio. La fortezza
fu riutilizzata al tempo della rivolta contro i Romani e poi come
monastero al tempo dei bizantini.
I vangeli dell’infanzia - pag. a un bovaro con l’incarico di esporre il bambino alle bestie feroci
presenti nei territori lontani e impervi del suo pascolo. Ora,
la moglie del bovaro si chiamava Cino (che significa “cane”,
animale sacro in Iran; cfr. la storia di Romolo e Remo allattati
da una lupa). La moglie, dunque, che proprio in quei giorni
aveva partorito un bimbo morto, riesce a convincere il marito
ad adottare Ciro al posto del loro proprio figlio. All’età di dieci
anni, durante un gioco tra coetanei, Ciro viene eletto “re” e come
tale punisce duramente il figlio di un personaggio importante che
non ubbidisce ai suoi ordini e finisce così denunciato di fronte
ad Astiage. Questi lo riconosce, ma, consultati di nuovo i maghi
e ritenendo che il sogno premonitore si fosse già avverato in un
gioco di bambini, salva Ciro e lo manda a vive­re in Persia con
i suoi veri genitori. Più tardi egli diventerà il re di Persia e dei
Medi. Come dice Erodoto, la salvezza di Ciro parve ai Persiani
un’opera divina e provvidenziale.
2. Rassomiglianze e differenze, confronto tra i vangeli e con
la storia
I vangeli di Matteo, Luca e Giovanni si differenziano tutti e
tre dal vangelo di Marco per il fatto che introducono il racconto
del ministero di Gesù con una premessa che riguarda o la sua
infanzia o la sua persona come Figlio di Dio. Queste introduzioni
hanno uno scopo cristologico. Mentre leggendo il solo vangelo
di Marco uno potrebbe in teoria far cominciare l’identità di Gesù
come Figlio di Dio solo a partire dal momento del Battesimo
(adozionismo), il prologo di Giovanni e i racconti dell’infanzia
di Matteo e Luca mostrano l’identità divina di Gesù fin dal
suo concepimento nel seno di Maria ad opera dello Spirito, e il
prologo di Giovanni lo identifica con il Verbo eterno operante
fin dalla dalla creazione e venuto ad abitare in mezzo agli uomini
come Figlio unigenito del Padre.
Prima di mettersi a risolvere il problema della storicità di
questi racconti dell’infanzia, è bene osservare i dati di fatto nel
loro insieme. Nel punto precedente, abbiamo già visto che il
tipo di racconto di Matteo
e Luca non è nuovo né
isolato, ma ha di fatto molte
rassomiglianze con il modo già
conosciuto e collaudato con
cui fin dall’antichità le diverse
popolazioni del territorio del
Vicino Oriente, mesopotamici,
persiani e greci, avevano
l’abitudine di raccontare i
primi periodi della vita dei
personaggi più
importanti
nella loro storia. Gli ebrei
avevano sviluppato racconti
Herodium. Vista dall’alto (verso est). Le quattro torri sulla
doppia cinta muraria corrispondono ai quattro punti cardinali.
L’insieme era composto da sei o sette piani, di cui mancano gli
ultimi due o tre. Lo spazio rettangolare di fronte al torrione est
era un giardino circondato da colonne, con sotto una grande
cisterna, che insieme con una più stretta e parallela assicurava
circa 2500 m3 d’acqua. Il rettangolo più piccolo a destra (tra le
due torri) era una sala da pranzo al tempo di Erode, e poi una
sinagoga al tempo della rivolta. In una costruzione di tipo romano
non potevano mancare le terme (tra le due torri a sinistra), locale
poi riutilizzato per le loro celle dai monaci, che vi affiancarono
anche una cappella.
simili, ad esempio, per Mosè.
Guardiamo ora più da vicino i contenuti di questi racconti di
Matteo e Luca.
Accordi. Essi sono concordi nei seguenti punti. Tutti e due
parlano di due momenti, uno prima della nascita (Mt 1 e Lc
1) e uno dopo la nascita (Mt 2 e Lc 2). I genitori di Gesù sono
Gesù e Giuseppe, che sono legalmente fidanzati o sposati, ma
non sono ancora andati a vivere insieme né anno ancora avuto
relazioni matrimoniali. Giuseppe è di discendenza davidica.
C’è un annunzio angelico della prossima nascita del bambino.
Il concepimento del bambino avviene per opera dello Spirito e
il suo nome di Gesù è dato secondo una direttiva angelica. Al
bambino sono assegnati i ruoli di Salvatore (Mt 1,21 e Lc 2,11)
e di Figlio di Dio (Mt 2,15 e Lc 1,35). La nascita ha luogo a
Betlemme dopo che i genitori sono andati a vivere insieme, ed
è messa in relazione con il regno di Erode il Grande (Mt 2,1 e
Lc 1,5). Sia in Matteo sia in Luca i racconti terminano con la
residenza di Gesù a Nazaret.
Disaccordi. Matteo e Luca sono in disaccordo sui seguenti punti
significativi. Nel cap. 1, riguardante il periodo prima della nascita,
il racconto lucano su Giovanni Battista, con l’annunciazione
dell’angelo Gabriele a Zaccaria, la nascita, il nome e la crescita del
“precursore”, è del tutto assente in Matteo. Secondo Matteo, la
famiglia di Gesù vive a Betlemme nel momento del concepimento
e vi hanno una casa (Mt 2,11); in Luca, essi vivono a Nazaret. In
Matteo, la figura principale che riceve gli annunci è Giuseppe,
mentre in Luca è Maria. I racconti lucani della visita di Maria
ad Elisabetta, con i cantici del Magnificat e del Benedictus, sono
assenti in Matteo. Al momento dell’annunciazione a Giuseppe,
1. Giardino a colonne, cisterne
2. Sala da pranzo e poi Sinagoga
3. Terme e poi celle dei monaci
4. Scale di ingresso (sotto il torrione)
I vangeli dell’infanzia - pag. Maria appare già chiaramente incinta, mentre l’annunciazione
avviene prima del concepimento in Luca. Nel cap. 2, i racconti
di base della nascita e di dopo la nascita sono del tutto diversi, al
punto che non è possibile metterli insieme in modo verosimile.
Matteo descrive la stella, i Magi che vengono presso Erode a
Gerusalemme e alla casa della famiglia di Gesù a Betlemme, il
complotto di Erode raggirato dai Magi, la fuga in Egitto e l’arrivo
a Nazaret per paura di Archelao. Luca descrive il censimento,
la nascita a Betlemme, la deposizione del bambino in una
“mangiatoia”, perché non c’era posto per loro nella “sala comune”
(stesso termine usato per la sala dell’ultima cena; ma non parla di
per sé di nascita in una grotta o in una stalla), l’annuncio degli
angeli ai pastori, la purificazione di Maria e la presentazione di
Gesù al tempio, i ruoli di Simeone e Anna, e il ritorno del tutto
pacifico e senza paure a Nazaret.
Confronto con il resto dei vangeli. Nessuna delle informazioni
date nei due racconti dell’infanzia riappare chiaramente nel
seguito dei vangeli. In particolare, i seguenti particolari appaiono
solo nei racconti dell’infanzia.
1) Il concepimento verginale di Gesù, anche se una minoranza
di studiosi hanno cercato di trovare delle allusioni a questo fatto
in Gal 4,4 (dove manca un riferimento al ruolo maschile) o in Mc
6,3 (Gesù vi è nominato come figlio di Maria, non come figlio
di Giuseppe) o ancora in Gv 1,13 (espresso in alcuni manoscritti
al singolare, riferito a Gesù, e non al plurale, riferito ai credenti
in genere).
2) La nascita di Gesù a Betlemme, anche se alcuni studiosi
vogliono vedervi un’allusione in Gv 7,42, per ironia.
3) La conoscenza da parte di Erode della nascita di Gesù e la
presentazione di lui come re. A rovescio, in Mt 14,1-1 Erode
(Antipa, figlio di Erode) sembra che non sappia niente di Gesù.
4) La notizia diffusa sulla nascita di Gesù, dal momento che
tutta Gerusalemme è turbata (Mt 2,3), e i bambini di Betlemme
sono uccisi nella ricerca di sopprimerlo . A rovescio, in Mt 13,5455, nessuno sembra conoscere le meravigliose origini di Gesù.
5) Giovanni Battista era un parente di Gesù e lo aveva
riconosciuto già prima della nascita (Lc 1,41.44). Più tardi,
invece, Giovanni Battista sembra non avere nessuna conoscenza
previa di Gesù ed è piuttosto colto di sorpresa dal suo arrivo (Gv
1,33) e dal suo comportamento (Lc 7,19).
Confronto con la storia. Nessuno degli avvenimenti che sono
presentati come “pubblici” nei racconti dell’infanzia trovano eco
o attestazione nella storia contemporanea.
1) Non c’è nessun convincente avvenimento astronomico
identificabile con la stella dei Magi, che viene da oriente, scompare
a Gerusalemme ma riappare a Betlemme (città che però è visibile
da Gerusalemme!).
2) Anche se lo storico Giuseppe Flavio documenta ampiamente
la crudeltà di Erode il Grande, né lui né nessun altro ricorda un
massacro di bambini a Betlemme. Il detto proverbiale di Macrobio
sovente citato sulla ferocia di Erode verso i suoi figli (Sat. 2.4.11)
non è applicabile al massacro di Betlemme.
3) Un censimento universale dell’impero da parte di Augusto
non è mai avvenuto, anche se egli ha indetto tre censimenti di
cittadini romani. Non è improbabile che Lc 2,1 sia da prendere
come una libera descrizione del comportamento di Augusto.
4) Quirinio divenne governatore della Siria nel 6 d.C.
L’implicazione da parte di Luca che egli fosse governatore della
Siria prima della morte di Erode e che vi abbia condotto un
censimento non risulta confermato.
5) Anche se si tratta di un dato da situare su un altro piano,
l’idea di Luca che tutti e due i genitori dovevano compiere la
purificazione (Lc 2,22) non è supportata da nessuna legge giudaica;
da qui i tentativi di alcuni copisti di correggere il testo lucano
(“sua” invece di “loro”) per indicare soltanto la purificazione di
Maria.
Questi sono i dati di fatto e la loro considerazione globale
spiega la difficoltà che essi pongono dal punto di vista storico.
Qualche volta si opta per una maggiore storicità del racconto di
Luca rispetto a quello di Matteo, facendo leva sul fatto che Luca
afferma di aver fatto “ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli
inizi” e di conoscere i resoconti trasmessi da “coloro che furono
testimoni oculari fin dagli inizi”(Lc 1,1-2), e identificando questi
testimoni con Maria (o addirittura i pastori). Tuttavia, tenendo
conto di quanto Luca dice nel libro degli Atti (cf 1,21-22) questi
testimoni oculari sono piuttosto i discepoli che condivisero fin
dall’inizio il ministero pubblico di Gesù. Non c’è nessun testo del
Nuovo Testamento o della letteratura cristiana delle origini che
accenni a Maria come fonte del materiale dei racconti dell’infanzia,
e per di più le incoerenze circa il censimento e la purificazione
porterebbero a dedurre che il racconto di Luca non può essere
giudicato globalmente più storico di quello di Matteo.
Come dunque leggere i racconti dell’infanzia dal punto di vista
storico e dal punto di vista teologico?
3. La “coerenza” narrativa e teologica dei vangeli dell’infanzia
Fra gli edifici costruiti da Erode presso la fortezza, spiccano una
piscina di 70x46x3 m, e uno stadio di 350x25 m sul quale si
affacciava un grande palazzo, dalla funzione ancora incerta.
I vangeli dell’infanzia - pag. 10
con la precedente storia di Israele
A proposito dei racconti dell’infanzia, abbiamo visto in una
prima riflessione che il loro modo di raccontare, e in parte anche
i loro contenuti, si rassomigliano ai modi e ai contenuti con cui
i popoli del vicino oriente parlavano della nascita e dei primi
anni di vita dei personaggi più importanti della loro storia. In
una seconda riflessione abbiamo visto più da vicino in che cosa
i racconti di Matteo e di Luca concordano e discordano tra di
loro e con la storia. Abbiamo fatto anche un breve confronto
con il resto dei vangeli, mostrando soltanto come “nessuna
delle informazioni date nei due racconti dell’infanzia riappare
chiaramente nel seguito dei vangeli”.
Ora riprendiamo quest’ultimo confronto con il resto dei
vangeli, per dire che la frase precedente resta vera solo se si parla
di “informazioni storiche”, mentre è del tutto da rovesciare
se si parla di “informazioni teologiche”. Da questo punto di
vista, vogliamo ora far intravedere come i racconti dell’infanzia
di Matteo e di Luca sono da vedere, sia in quanto concordano
sia in quanto discordano, da una parte come un riassunto, o
“compimento”, della precedente storia di Dio con Israele, e
da un’altra parte come un anticipo, o una “prefigurazione”
profetica, di quello che avviene nel seguito della storia di Gesù
con il suo popolo e con la chiesa. Detto con una immagine, i
vangeli dell’infanzia sono come i “riflessi” delle montagne sulle
rive del lago. Vediamo oggi i “riflessi” che vengono dal passato.
Matteo comincia il suo racconto con una genealogia di Gesù che
include i patriarchi ebrei e i re giudei. Continua poi mostrando gli
avvenimenti soprattutto dal punto di vista di Giuseppe, che riceve
gli annunci attraverso dei sogni e scende in Egitto, ricordando da
vicino gli avvenimenti di un altro patriarca, “Giuseppe l’ebreo”
(come viene popolarmente nominato). Il malvagio re Erode
che uccide i bambini di Betlemme evoca ancora il racconto del
faraone egiziano che fece uccidere i bambini maschi degli ebrei
in Egitto. Gesù, in tal modo, viene a rassomigliarsi a Mosè,
salvato dalle acque e a sua volta salvatore del suo popolo. Le
parole dette in sogno a Giuseppe dopo la morte di Erode, «va’ nel
paese d’Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del
bambino», sono quasi uguali alle parole rivolte a Mosè in Madian:
«Va’, torna in Egitto, perché sono morti coloro che insidiavano la
tua vita!» (Es 4,19). La storia dei magi ricorda anche un altro
momento della storia del popolo ebraico. Quando Mosè sta per
entrare nella terra promessa, Balak re di Moab chiama il profeta
Balaam, che secondo il testo della Settanta viene dall’est (Nm
23,7), per maledire il popolo d’Israele. Balaam, però, rese vani
i progetti di distruzione del re di Moab, e profetizzò invece il
sorgere di una stella, di un re, da Giacobbe (Nm 24,7.17). Il
fondersi delle figure del Faraone e di Balak in quella di Erode può
essere stata favorita dagli sviluppi dei racconti su Mosè così come
sono attestati da Giuseppe Flavio (Antichità giudaiche 2,9) e da
antichi racconti giudaici (midrashim). In essi, il Faraone veniva
avvertito in un sogno, interpretato poi dai suoi “sapienti”, che
stava per nascere un bambino ebreo il quale avrebbe liberato il
suo popolo. A queste notizie, gli egiziani erano presi da timore (cf
Mt 2,3: «All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui
tutta Gerusalemme»). Il piano del Faraone per prevenire l’azione
liberatrice del bambino, facendo uccidere tutti i bambini ebrei,
viene vanificato dal Signore che appare in sogno ad Amram, la cui
Moglie è già incinta di Mosè.
Alla genealogia dei patriarchi e dei re, e alla sua narrazione
tanto evocativa delle antiche storie di Mosè, Matteo aggiunge
cinque citazioni dalle sacre scritture ebraiche per mostrare come
esse si trovano realizzate negli avvenimenti dell’infanzia di Gesù.
Esse sono in genere introdotte da una formula quasi sempre
uguale: «Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato
detto dal Signore per mezzo del profeta... ». Tutto questo ha portato
alcuni studiosi a descrivere il racconto di Matteo come una specie
di “ricerca” sui testi biblici (ciò che in ebraico si dice appunto
“midrash”) per trovare e scegliere quelli che più sembravano adatti
ad esprimere non solo il significato della vita di Gesù, ma anche
il suo collegamento con tutta la precedente storia della salvezza
del popolo.
Anche Luca presenta gli inizi della vita di Gesù come
compimento della precedente storia di salvezza, ma lo fa in
modo meno ovvio di Matteo. Intanto, anche Luca propone una
genealogia di Gesù. A parte il fatto dei nomi diversi (problema
che non affrontiamo ora), questa genealogia non si trova all’inizio
del vangelo, come in Matteo, ma arriva dopo che Gesù riceve la
voce dal cielo nel Battesimo e subito prima che egli cominci la
sua azione pubblica. In questo, la genealogia di Gesù in Luca si
assomiglia alla genealogia di Mosè nel libro dellEsodo, che arriva
come ultimo momento dei “preliminari” che rendono Mosè
“competente” a iniziare la sua missione a favore del suo popolo.
Se Matteo, dunque, comincia con Abramo che genera Isacco,
Luca invece comincia il suo racconto, subito dopo il prologo
che riprenderemo a parte, con Zaccaria ed Elisabetta, genitori di
Giovanni Battista, i quali tuttavia vengono presentati in modo
tale da rassomigliare molto da vicino ad Abramo e Sara. Le due
coppie sono le uniche ad essere rappresentate come sterili in tarda
età, pur essendo giusti (Gen 18,11; Lc 1,7). L’annuncio fatto
soltanto al padre, la risposta di Zaccaria (che è uguale a quella
di Abramo in 15,8 «Come posso conoscere questo?»), il rallegrarsi
con Elisabetta da parte di quelli che vengono a sapere della nuova
nascita (Lc 1,58 e Gen 21,6) sono elementi sufficienti a mostrare
che anche per Luca la storia di Dio con Abramo sta all’inizio della
storia di Gesù.
L’angelo che parla a Zaccaria all’ora dell’incenso è l’angelo
Gabriele, che appare anche in Dn 9,20-21 al momento di
Tempio di Gerusalemme, ricostruzione ipotetica
al tempo di Gesù, sullo sfondo del Monte degli Ulivi ad
est. Sul lato sud si ergeva il Portico reale, la Porta Doppia
e la Porta tripla immettevano nel Cortile dei pagani.
Lungo il muro occidentale (oggi conosciuto come “muro
del pianto”) una scalinata portava dal Portico Reale alla
strada (Arco di Robinson), lungo la valle del Tiropeon,
un passaggio sopraelevato collegava il cortile del Tempio
alla Città alta (Arco di Wilson), e un ulteriore ingresso
permetteva di entrare dalla strada (Porta di Warren). Sul
lato nord, stava la fortezza Antonia, sede della guarnigione
romana.
I vangeli dell’infanzia - pag. 11
una preghiera liturgica. nella Bibbia. Un confronto delle due
apparizioni (l’angelo Gabriele è nominato solo nel libro di
Daniele e in Luca) mostra delle indubbie rassomiglianze, incluso
il fatto che chi vede la visione resta muto (cf Dn 10,7-15). Ora,
se la storia di Abramo sta vicino all’inizio della raccolta dei libri
biblici “della legge e dei profeti”, il libro di Daniele era più o meno
l’ultimo della raccolta degli “altri libri” (oggi detti “sapienziali”)
che concludeva l’insieme dei libri sacri (insieme tuttavia in quel
tempo non ancora definito). Gabriele interpretava per Daniele
(Dn 9,24-27) le settanta settimane di anni, al cui termine una
“giustizia eterna” sarà portata, “visione e profezia” saranno
compiute, e “il Santo dei Santi” sarà unto. In tal modo i racconti
di Luca si aprono con dei temi che spaziano dall’inizio alla fine
della storia della salvezza.
Un altro racconto che influisce sui racconti dell’infanzia in
Luca viene invece da un momento centrale di questa storia: si
tratta della nascita di Samuele. Le parole di Luca «Compiuti i
giorni del suo servizio, (Zaccaria) tornò a casa. Dopo quei giorni
Elisabetta, sua moglie, concepì...», rassomigliano molto a quelle di
1Sam 1,19-20: «Il mattino dopo si alzarono e dopo essersi prostrati
davanti al Signore tornarono a casa in Rama. Elkana si unì a sua
moglie e il Signore si ricordò di lei. Così al finir dell’anno Anna
concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele». Così pure il
canto del Magnificat si ispira al canto di lode di Anna in 1Sam
2,1-10; la presentazione di Gesù al tempio con l’accoglienza
del vecchio Simeone riecheggia la presentazione di Samuele al
santuario centrale alla presenza dell’anziano sacerdote Eli (1Sam
1,21-2,11); le due descrizioni della crescita di Gesù in Lc 2,40.52
rassomigliano alle due descrizioni di Samuele in 1Sam 2,21.26.
In tal modo, mentre il vangelo dell’infanzia di Matteo si
muove sullo sfondo dei racconti epici di Mosè e di Giuseppe, i
racconti di Luca si muovono piuttosto sullo sfondo dei racconti
di Samuele, forse per il loro contesto liturgico e il loro svolgersi
attorno al santuario. Per Luca, il vangelo di Gesù comincia e
finisce nel tempio (Lc 24,53), e per lui è anche importante la
continuità della storia di Gesù con il culto e con la Legge (2,2224.27.39). In modo complementare alla storia di Samuele, il
racconto lucano ha anche alcune reminiscenze minori della storia
di Davide, come ad esempio la menzione dei pastori e della città
di Davide (2,1-20).
Oltre ai libri storici, anche i libri profetici influenzano i
racconti di Luca. I quattro cantici lucani, il Magnificat (1,4655), il Benedictus (1,68-79), il Gloria in excelsis (2,14) e il Nunc
Dimittis (2,29-32) sono riportati all’interno di un contesto o di
un’ispirazione profetica. Quasi ogni linea di questi inni riecheggia
frasi di salmi o di profeti, al modo della salmodia attestata negli
ultimi due secoli a.C. (inni maccabaici e inni di ringraziamento a
Qumran). In particolare, il Benedictus è un inno alla “continuità”,
con le sue citazioni dei “nostri padri, Abramo, l’alleanza, la Casa
di Davide, e i santi profeti di Dio”. L’opera in due volumi di
Luca culminerà con Paolo che proclama come Dio ha offerto la
sua salvezza alle nazioni e queste hanno ascoltato (At 28,29); per
ora essa comincia insistendo su come questa salvezza è in perfetta
continuità con Israele.
Concludendo questa breve riflessione sui due principali punti
teologici comuni ai vangeli dell’infanzia di Matteo e Luca,
possiamo constatare una forte affermazione dell’identità di Gesù
in termini comuni “cristiani” (Figlio di Davide, Figlio di Dio)
combinati con un singolare compendio di narrazioni e tematiche
bibliche. In questo modo, i racconti dell’infanzia diventano un
ponte che riassume la storia di Israele e anticipa il vangelo di
Gesù Cristo.
Tratteremo questo secondo aspetto nella prossima riflessione,
a commento della lettura evangelica della Domenica III del
Tempo Ordinario (25 gennaio 2004) che presenta l’inizio della
predicazione di Gesù nella sinagoga di Nazaret.
4. La “coerenza” dei vangeli dell’infanzia con il seguito dei
vangeli di Matteo e di Luca
Sguardo riassuntivo sul cammino percorso. Riassumendo
quanto detto sui vangeli dell’infanzia, abbiamo visto che:
1) Il loro modo di raccontare e in parte anche i loro contenuti,
si rassomigliano ai modi e ai contenuti con cui i popoli del
vicino oriente parlavano della nascita e dei primi anni di vita dei
personaggi più importanti della loro storia, segnalando così fin
Sefforis, teatro. Città a sei km da Nazaret, restaurata, sviluppata e
fortificata da Erode antipa durante i primi anni di vita di Gesù. Detta
talvolta “la città dimenticata”, essa era una città cosmopolita , di grande
benessere e bellezza, e giocava un ruolo sociale politico ed economico
importante durante la vita di Gesù, anche dopo che Erode spostò la capitale
del suo territorio a Tiberiade (18-20 d. C.). Giuseppe Flavio la chiama
“l’ornamento della Galilea”. Diversi studiosi ritengono verosimile che
Giuseppe e Gesù abbiano lavorato alla sua costruzione come “carpentieri”.
Secondo una tradizione, era la città dove risiedevano Gioacchino e Anna, e
in questo quadro Giuseppe vi ha potuto conoscere Maria e prenderla come
fidanzata.
A parte queste supposizioni, un simile contesto fa capire che Gesù è
cresciuto in un ambiente ben in contatto con il mondo culturale grecoromano, anche se il mondo evangelico si muove prevalentemente all’interno
del mondo agropastorale palestinese.
Le origini del teatro di Sefforis restano dibattute. Fu costruito dallo stesso
Erode Antipa o risale invece al tardo primo secolo o inizio secondo secolo,
con il crescere dell’influenza romana dopo la prima rivolta giudaica? In
ogni caso, insieme con le altre strutture importanti della città, è una
testimonianza sicura dell’influenza ellenistica al tempo di Gesù. Quando
Gesù usa il termine “ipocrita”, tipicamente teatrale, lo fa forse sotto l’influsso
degli “spettacoli’ e del “linguaggio” greco della città dove ha lavorato?
I vangeli dell’infanzia - pag. 12
dagli inizi il senso provvidenziale della loro opera (cf VN 24 dic.
2000, n. 46, p.7).
2) In una seconda riflessione abbiamo esaminato da vicino i
contenuti dei due racconti di Matteo e di Luca, vedendo con
precisione dove concordano e dove discordano tra di loro,
dove discordano con la storia civile conosciuta, e come anche
discordano con il resto dei rispettivi vangeli (cf VN 7 gennaio
2001, n. 1, p. 5).
3) In una terza riflessione, abbiamo visto come i racconti
dell’infanzia di Matteo e di Luca sono da vedere, sia in quanto
concordano sia in quanto discordano, come un riassunto, o
“compimento”, della precedente storia di Dio con Israele (cf VN
14 gennaio 2001, n. 2, p. 5).
4) In questa quarta riflessione, concludiamo riprendendo
il confronto dei racconti dell’infanzia con il resto dei vangeli,
per mostrare come essi rappresentano un anticipo, o una
“prefigurazione” profetica, di quello che avviene nel seguito
della storia di Gesù con il suo popolo e con la chiesa. In questo
senso, la storia passata di Israele e la storia futura di Gesù e dei
cristiani si ritrovano come “eco”e “anticipazione” nei vangeli
dell’infanzia, così come i monti circostanti si trovano “riflessi”
sulle rive di un lago.
Per quanto riguarda la domanda iniziale su come leggere
i vangeli dell’infanzia, i punti 3 e 4 sono i più importanti, nel
senso che mostrano che la “solidità” che Luca vuole mostrare a
Timoteo e ai suoi lettori consiste, per quanto riguarda i racconti
dell’infanzia, non tanto nella “esattezza” storica concepita al
nostro modo positivista centro-europeo, quanto nella “coerenza”
che anche questi racconti evidenziano nell’insieme della
storia della salvezza, che Luca mostra appunto come un
“compimento”.
I vangeli dell’infanzia come anticipazione profetica del
resto dei vangeli. Per quanto riguarda i racconti dell’infanzia
nel vangelo di Matteo, Giuseppe vi è descritto come un uomo
giusto, e nel contesto la sua giustizia consiste nell’osservanza e
nel superamento della Legge di Mosè (Mt 1,19). Il tema della
“giustizia” sarà un tema importante nel seguito del vangelo
di Matteo, e il discorso della montagna comincerà appunto
affermando una “giustizia superiore a quella degli scribi e dei
farisei” (cf 5,17). Giuseppe accetta la rivelazione sull’identità
di Gesù, obbedisce alle indicazioni date dall’angelo e protegge
Gesù fino a condurlo sano e salvo a Nazaret. I Magi sono dei
pagani che ricevono la rivelazione attraverso il segno di una stella
e vengono a Gerusalemme cercando il nuovo nato, re dei Giudei,
ma lo troveranno soltanto con l’aiuto delle Sacre Scritture che
parlano del Messia atteso. La spiegazione che ricevono dal testo
del profeta Michea li conduce a Betlemme dove si affrettano per
adorare Gesù. Una terza reazione è esemplificata da quella di
Erode, da quella dei capi dei sacerdoti e degli scribi: essi hanno
e conoscono i testi delle Scritture sul Messia. Tuttavia, non solo
non si muovono per adorare, ma al contrario cercano di eliminare
il bambino Gesù (notare il plurale in Mt 2,20: «perché sono morti
coloro che insidiavano la vita del bambino»).
La comunità di Matteo incontrerà tutte e tre queste reazioni.
I pagani che diventano discepoli sono chiaramente presenti nel
vangelo di Matteo: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni,
battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo,
insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt
28,19-20). Giuseppe, che è giusto nell’osservanza della Legge, ed
è nello stesso tempo aperto alla nuova rivelazione su Gesù, viene
ad essere come l’eroe della storia, poiché per Matteo egli incarna
la reazione ideale dei Giudei verso Gesù. In 13,52, l’evangelista
loda uno scriba che mette insieme il vecchio con il nuovo: «Per
questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un
padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». Il
re Erode, i sommi sacerdoti e gli scribi che vorrebbero distruggere
la vita del bambino Gesù anticipano la figura del governatore
Pilato, dei sommi sacerdoti e degli scribi che mettono a morte
Gesù (cf Mt 27,1-2: «Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli
anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per farlo morire. 2
Poi, messolo in catene, lo condussero e consegnarono al governatore
Pilato»). Quasi sicuramente, Matteo li mette in relazione con i
Farisei che Gesù critica severamente (cf Mt 23) e che trovano un
contrasto insanabile tra le loro tradizioni e Gesù. Fin dall’inizio,
dunque, nel quadro di Matteo è presente nel giudaismo una
duplice reazione verso Gesù, quella del giusto Giuseppe e quella
dei sacerdoti, degli scribi e dei sovrani.
Passando a Luca, troviamo anche in lui di passaggio un quadro
simile, quando dice che Gesù è «luce per illuminare le genti» e
«gloria» del popolo di Israele», ma non per tutti in Israele, poiché
«Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di
contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche
a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,32-34). In Luca tuttavia
questa allusione al fatto che molti in Israele non accetteranno
Gesù resta in secondo piano rispetto agli esempi di Giudei
osservanti della Legge che invece accolgono la nuova rivelazione
data da Dio su Gesù, in particolare Zaccaria, i pastori, Simeone e
Anna. In tal modo, l’ombra del rifiuto non è in Luca così oscura
come lo è in Matteo.
Un’enfasi particolare viene data alla reazione di Maria al
momento dell’annuncio di Gesù. Prima figura a sentire parlare di
Gesù, Maria è il modello del discepolo secondo i criteri che Luca
esporrà nel seguito del suo vangelo: «Mia madre e miei fratelli
sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica»
(Lc 8,21); «Mentre diceva questo, una donna alzò la voce di mezzo
alla folla e disse: «Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai
preso il latte!». Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la
parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,28). Questo comportamento
è esemplificato nella risposta di Maria all’angelo: «Avvenga di
me secondo la tua parola» (Lc 1,38), reazione sottolineata subito
dopo dalla lode di Elisabetta: «E beata colei che ha creduto
nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45).
L’interpretazione del senso della venuta di Gesù espresso nel
Magnificat (disperde i superbi, abbatte i potenti, rialza i miseri,
sazia gli affamati) è un anticipo del senso fondamentale espresso
nel vangelo di Luca con le «beatitudini» e i «guai», questi ultimi
non presenti nel testo di Matteo: «Beati voi poveri... ma guai a voi,
ricchi... » (Lc 6,20-26). Nel motivo ripetuto che «Maria conservava
tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19.51), Luca sta
presentando Maria come colei cui Dio comunica gradualmente
l’interpretazione dei misteriosi eventi dell’infanzia di Gesù dei
quali essa è partecipe, e come colei che personifica l’accoglienza
della sapienza data da Dio.
Alcune traduzioni più corrette di Lc 1,1. In questo contesto
lucano, si comprende una delle correzioni apportate dalla
traduzione CEI del 1997 proprio nel prologo del vangelo di
Luca che si legge nella terza domenica ordinaria dell’anno C.
Mentre nella traduzione che ancora si legge nei lezionari si parla
in modo neutro di «avvenimenti successi tra di noi», nella nuova
traduzione si parla invece di «avvenimenti compiuti», cioè arrivati
a compimento: «Poiché molti hanno cercato di raccontare con
I vangeli dell’infanzia - pag. 13
ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi». Questa
nuova traduzione ha inteso così rendere in italiano uno dei sensi
possibili in questo contesto del verbo greco plerophoreo, “arrivare
a compimento”, collegando in tal modo gli avvenimenti di Gesù
a tutta la storia precedente della Bibbia Ebraica.
Curiosamente, un secondo senso possibile del participio
perfetto passivo del verbo greco lo troviamo espresso in una
traduzione sarda pubblicata nel 1900, che dice: «Essendi chi medas
si sunti postus a fai su rapportu de is cosas, chi sunt arricidas in mesu
de nosaturus cun prena çertesa...». Il traduttore è anonimo, ma o
era ben padrone del greco oppure stava seguendo qualche altro
traduttore competente, come ad esempio il Diodati (1607) che
aveva tradotto: «Conciossiachè molti abbiano impreso d’ordinare la
narrazione delle cose, delle quali siamo stati appieno accertati...».
La traduzione della Nuova Diodati (1991) mette in qualche
modo insieme i due possibili sensi, dicendo: «Poiché molti hanno
intrapreso ad esporre ordinatamente la narrazione delle cose che si
sono verificate in mezzo a noi...». In ogni caso, sia queste nuove
traduzioni sia quelle alternative più antiche, intendono esprimere
quello che appare l’intento di Luca in tutta la sua opera: mostrare
la “continuità” della storia della salvezza, pur in mezzo ad alcune
“rotture” o “novità” a prima vista sconcertanti, come sarà
il superamento dei confini ebraici per arrivare, negli Atti degli
Apostoli, a tutte le genti.
È del resto il senso fondamentale del discorso programmatico
di Gesù nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,16-30). Gesù vi parla da
profeta e si mette in continuità di compimento e di rottura con i
profeti antichi. In questa “coerenza” che dà senso alle “incoerenze”,
e non in una esattezza storica come la intendevano i positivisti
centro-europei del secolo scorso, sta quella “solidità” che Luca
mette proprio come ultimo termine del suo prologo, della sua
ricercata e quanto mai “à la page” dichiarazione di intenti, che
qui riportiamo secondo una versione letterale e nell’ordine esatto
delle parole greche: «Poiché molti hanno intrapreso a comporre un
racconto degli avvenimenti compiuti-verificati in mezzo a noi, quali
ci hanno trasmesso i fin dall’inizio testimoni-oculari e diventati
servi della parola, è sembrato bene a me pure, avendo tutto seguitoda-vicino fin-dall’inizio, accuratamente, di scrivere per te in-modoordinato, eccellente Teofilo, affinché riguardo alle cose di cui sei stato
informato, tu conosca la solidità».
Nota Bibliografica:
R.E. Brown, voce “Infancy Narratives in the NT Gospels” , in
Anchor Bible Dictionary.
Testi a cura di Antonio Pinna
Istituto di Scienze Religiose di Oristano
www.sufueddu.org
Masada. complesso del palazzo nord, con le tre terrazze
digradanti lungo il costone. Queste tre “ville” erano riservate all’uso
privato di Erode. Essendo rivolte a nord, esse offrivano un buon riparo
nelle ore più calde del giorno. Torri a scala collegavano i tre livelli. La
terrazza inferiore era una sala qudrata di 17,6 m per lato, con
una sala “bagni” a un livello inferiore. La terrazza centrale era
fondata su mura concentriche, il cui diametro esterno è di 5,3
m. Più in alto di 20 metri, la terrazza superiore era formata da
una balconata semicircolare che un piccolo cortile aperto separava
da alcune stanze con i muri dpinti a mosaico. I monaci bizantini le
suddivisero per usarle come celle nel secolo V. In alto, si intravedono
i “depositi”, lunghi dai 20 ai 27 m e larghi 4 m. Essi servivano
sicuramente non solo per le necessità dei residenti, ma anche per quelle
dei soldati che Erode aveva incessante bisogno di arruolare.
Giuseppe Flavio (Guerre Giudaiche 7,295-9) parla di grano,
vino, olio, datteri e legumi in quantità sufficienti per diversi anni e
ritrovate dopo anni da Eleazaro, capo dei Sicari, e poi dai Romani,
quasi cento anni dopo, in stato di ottima conservazione. Le armi di
ogni genere ivi ritrovate erano sufficienti per dieci mila uomini, oltre
a pelle, ferro e altri materiali non lavorati.
La fortezza di Masada fu prima fortificata da Alessandro Ianneo
(103-76 a.C.) per difendere il confine orientale, e poi conquistata da
Erode il Grande dopo l’uccisione di suo padre Antipatro nel 43 a.C.
e ivi nel 40 a.C. fece rifugiare la sua famiglia quando i Parti fecero
re Antigone, mentre egli riparava a Roma. La resistenza offerta dalla
fortezza contro l’assedio di Antigone, convinse Erode a farne il suo
principale rifugio in caso di rivolta dei Giudei o nel caso che Cleopatra
avesse convinto Marco Antonio a ucciderlo. La storia di questa e delle
altre “fortezze” e “residenze” erodiane, come l’Herodium, danno l’idea
del “clima” sociale, politico e culturale in cui viveva Erode.
SU FUEDDU
Vangelo di Luca. Introduzione narrativa - pag. 14
Ciclo di incontri biblici sul vangelo di Luca
Diocesi di Oristano - Anno Liturgico C
Nell’anno liturgico C, le letture evangeliche saranno in genere tolte dal vangelo
di Luca. Dopo il periodo di Natale, e prima della Quaresima, si fa in tempo solo a
iniziare la lettura del vangelo. Proponiamo qui una proposta di lettura continua e
narrativa del vangelo e insieme un confronto con le selezioni liturgiche.
Introduzione narrativa al Vangelo di Luca e confronto con la lettura liturgica festiva
NB. Nei rimandi, le cifre in corsivo indicano una parte di testo saltata nell’uso liturgico del lezionario festivo.
1. PROLOGO: 1,1-2. LA SOLIDITÀ
1.1. Nella lettura liturgica il prologo a tutto il vangelo (1,1-2) viene
unito con l’inizio della vita pubblica a Nazaret (4,14-21).
Traduzione letterale del prologo: “1 Poiché molti hanno intrapreso
a comporre un racconto degli avvenimenti compiutisi in mezzo a
noi, 2 quali ce [li] hanno trasmessi coloro [che furono] fin dall’inizio
testimoni-oculari e che-sono-divenuti servi della parola, 3 è sembrato
bene a me pure, avendo tutto seguito-da-vicino fin-dall’inizio,
accuratamente, di scrivere per te in-modo-ordinato, eccellente Teofilo,
4
affinché riguardo alle cose di cui sei stato informato, tu conosca la
solidità.
1.2. Appare che lo scopo dell’autore non è quello di informare
né quello di assicurare la memoria (molti lo hanno già fatto), ma
piuttosto quello di verificare una coerenza. Il vangelo si presenta
come un lungo processo di veridizione.
1.3. Se si confronta con la prefazione di Atti (“Il primo discorso l’ho
fatto, o Teofilo, riguardo a tutte quelle cose che Gesù ha cominciato a
fare e ad insegnare, fino al giorno in cui...”), la prefazione del vangelo
appare volutamente “sfocata” dal punto di vista narrativo (Luca non
solo non nomina Gesù ma nemmeno dice esplicitamente di quali
avvenimenti si tratta; lascia invece al racconto di mostrare a poco a
poco i fatti nel loro svolgersi, senza riassumerli in una frase iniziale).
L’autore si pone fin dall’inizio in una posizione di “discrezione”
rispetto al lettore.
1.4. Niente porta a pensare ad un progetto apologetico: mostrare
la “solidità” non risponde ad una esigenza di difesa, ma ad una
esigenza di “comprensione” di un’esperienza che viene vista nel
suo svilupparsi “coerente” nel tempo e nello spazio. La coerenza
viene mostrata nella continuità tra i fatti narrati e la storia biblica
(passato), nel vertice (presente) che di questa continuità gli attori
stessi del racconto riconoscono avverarsi nei fatti di Gesù, e infine
nella posterità (futuro) che questo sviluppo instaura e che sarà
ampiamente ed esplicitamente narrata nel libro degli Atti. Nel
prologo di Lc, tutto mostra la “augusta antichità del nuovo”.
2. PREISTORIA 1,5-4,13. CHI LEGGE SA
2.1. Il cosiddetto “vangelo dell’infanzia” è letto fondamentalmente
nel tempo di Avvento; solo l’episodio delle tentazioni nel deserto
4,1-13 viene letto nella Prima Domenica di Quaresima.
Sono però saltati (nella lettura festiva): - l’annuncio di Giovanni
a Zaccaria, nel tempio, e il nascondimento di Elisabetta 1,5-25;
- la nascita di Giovanni, il cantico del Benedictus e la crescita del
bambino 2,57-80; - la predicazione di Giovanni con il riferimento
ad Abramo 3,6-9; - la genealogia di Gesù 3,23-38.
I salti sono notevoli e nascondono uno degli scopi principali della
“solidità” di Luca, quello di mostrare la continuità con il passato
biblico di Israele. 1,5-79 (ma si salta sempre 1,80) vengono letti dal 19
al 24 dicembre; 2,22-40 vengono ripetuti il quinto e il sesto giorno
dell’Ottava di Natale (oltre che essere letti di seguito il 2 febbraio).
2.2. All’inizio della storia di Gesù le allusioni bibliche sono per
lo più all’inizio della storia d’Israele (situazione di Abramo e Sara
in filigrana nella situazione di Zaccaria ed Elisabetta). In bocca
agli attori “celesti” la “memoria” (passato) evidenzia l’iniziativa
divina, in bocca agli attori umani ne esprime il “riconoscimento”
(presente) libero e consapevole.
2.3. La “previsione” (futuro) degli avvenimenti, in bocca
agli angeli soprattutto, orienta il racconto sul “come” le cose
avverranno (“veridizione”; racconto “gnoseologico”). Cfr. avanti,
3.4: previsione sul rifiuto in bocca a Gesù, a Nazaret.
2.4. La “lode”, generalmente in bocca ai personaggi umani e
sempre rivolta a Dio (1,25.38.46.64.67; 2,16.20.29; in 2,14 sono
gli angeli a lodare), manifesta che il vertice narrativo non è
cristologico (presentare il protagonista del racconto, Gesù), ma
teologico: l’attenzione non si ferma egoisticamente sui benefici,
ma va direttamente al benefattore, per la sua parola di promessa
nel passato (1,55.70.73; 2,29) e il suo agire salvifico nel presente
(1,54.68.78; 2,30). Tuttavia, si noterà come la lode ha una funzione di
“annuncio” (di nuovo, futuro) di una salvezza, di cui nel presente
non si vedono che dei segni. Dio viene celebrato in tutte le sue
dimensioni: passato, presente e futuro.
2.5. Si noterà lo strano fenomeno letterario: mentre il lettore
sa tutto su Gesù, e a partire da ciò che dicono i personaggi, i
personaggi stessi, dopo alcune iniziali rivelazioni, sono lasciati in
una situazione di non comprensione o di silenzio: Gesù, dopo gli
anni di Nazaret, arriverà al Giordano come uno sconosciuto. Se
Luca si presenta nei primi capitoli come narratore “onnisciente”,
anche se molto “discreto” (dopo l’episodio di Nazaret, invece, solo
Gesù è così caratterizzato), lo fa a beneficio dell’onniscienza del
lettore. Il racconto conferma il suo carattere “gnoseologico”: per
i personaggi, che, avendo avuto alcuni segni, sono costretti poi a
entrare progressivamente nella realtà dell’umanità di Gesù; per il
lettore, che, posto dall’autore in una posizione di “onniscienza”,
avrà modo di vedere chi e come riconosce, o rifiuta, Gesù.
2.6. Le differenze con gli episodi paralleli di Giovanni e le parole
che i personaggi stessi si scambiano fra loro fino all’episodio delle
tentazioni, mostrano progressivamente Gesù come personaggio
Vangelo di Luca. Introduzione narrativa - pag. 15
“competente” per quanto riguarda il sapere (cfr. 2,49; ...), potere
(cfr. 3,16; ...), voler-fare (cfr. 4,1-13). Gesù arriva dunque a Nazaret
pronto per iniziare il suo ministero “profetico”.
2.7. Si può cominciare a notare che il vangelo di Luca non ha
grandi sezioni “tematiche”, come quello di Matteo, ma procede
per “riprese” di uno stesso aspetto, sparse lungo tutto il percorso, o
per episodi che sviluppano episodi precedenti e preparano episodi
seguenti. Si noti ad esempio il tema del “vedere”: molto discreto
in questi primi capitoli (cfr. 1,2: “testimoni oculari”; 1,25; 2,1518.20.26.30.48; 3,4-6: “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”, proprio
di Lc!), esso troverà in seguito diverse riprese e manifesterà tutta
la sua importanza nell’insieme del vangelo: che cosa/chi “vedere”?
Cfr. avanti, 3.6.a.
3. IDENTITÀ: 4,14-9,50. I PROTAGONISTI SCOPRONO
3.1. Ciò che dà unità a questa sezione:
3.4. Gesù stesso cita per sé, fin dall’inizio di Nazaret, il detto che
“nessun profeta è ben accetto in patria” (4,24), riprendendone il
contenuto alla fine della sezione, quando annuncia, senza ancora
essere compreso, che “il Figlio dell’uomo” deve soffrire molto
(9,22.44). Sulla dinamica profezia-compimento, cfr. sopra, 1.4; 2.3;
e avanti, 6.1 e 7.
3.5. Tuttavia si noterà che mai il titolo è riferito in modo diretto
a Gesù. Il testo lascia che siano i segni a portare i personaggi a
una risposta libera. I due episodi propri a Lc in questa sezione
evidenziano le due possibili scelte: positiva in 7,16 nelle parole
di tutti dopo la risurrezione del figlio della vedova (“Un grande
profeta è sorto tra noi”), negativa in 7,39 nelle parole del fariseo che
pur avendo invitato Gesù a pranzo, di fronte al gesto della donna
peccatrice esclama: “Se costui fosse un profeta, saprebbe...”.
3.6. Per quanto riguarda le “riprese” di temi (cfr. sopra, 2.7), si
rivelano avere valore unificante ancora una volta quelle
a) non è la geografia (non c’è un itinerario o uno spazio preciso),
né il crescere del “successo” o dell’”opposizione” in Galilea.
L’opposizione in Lc appare in modo molto più graduale che
non in Mc: i farisei si interrogano anch’essi (cfr. 5,17-6,11; 7,3650); l’ostilità vera e propria appare solo in 9,22.44, e solo come
annuncio inaspettato (ripreso come “compiuto” in 24,6-9) e con
avversari di per sé diversi dai personaggi degli episodi precedenti.
Sull’opposizione, cfr. avanti, 4.2.
a) circa il “vedere”: cfr. i rimandi ad Isaia in 4,18 (in posizione
centrale), in 7,21-22, e poi in 8,10, dove la prospettiva “discreta” di
Luca appare evidente se si confronta il riutilizzo più completo che
egli fa del testo isaiano in Atti 28,26-27! Cfr. sopra, 2.7; avanti, 4.3.
Vedi inoltre Lc 9,10 (ripreso in 23,8).
b) quanto piuttosto il progetto, così come appare dall’episodio
di Nazaret: si tratta di “rivelare” ai “poveri” (cfr. 4,18; 6,20; 7,22
ecc.) “chi è” Gesù, “il profeta”, attraverso i segni delle guarigioni e
del perdono.
3.7. Si faccia attenzione al fatto che questa sezione è quella che
soffre più “tagli” nella lettura liturgica festiva. Sono saltati gran parte
del capitolo 5, i capitoli 7 e 8 per intero e l’inizio del cap. 9. Viene
ignorata perciò con la maggior parte dei “segni” che devono rivelare
chi è Gesù! Delle tre pagine proprie di Lc (la pesca miracolosa con
la chiamata dei discepoli 5,1-11, la risurrezione del figlio della vedova
7,11-17, l’episodio della peccatrice perdonata 7,36-49) viene letta solo
la prima, la chiamata dei primi discepoli, ma si salta poi l’elezione
dei dodici (6,12-16), il loro invio in missione e la conseguente
reazione di Erode con le sue domande e il suo desiderio di vedere
Gesù (9,1-10), desiderio che sarà ripreso e realizzato nel momento
della passione, in 23,8.12, anche questo un episodio proprio a Lc.
Vengono saltati anche 9,17-27 (la domanda di Gesù ai discepoli
sulla sua identità, la risposta di Pietro, il primo annuncio, generico,
della passione e le condizioni per seguire Gesù), e 9,37-50 ( il secondo
annuncio, ancora generico, della passione e di nuovo le condizioni
per seguire Gesù).
Per intero si legge soltanto il “discorso della pianura”, ma saltando
di nuovo i vv. 18-19 che abbinavano, di nuovo!, i segni alle parole. Di
conseguenza, della sezione restano soltanto: la chiamata dei primi
discepoli, le parole del discorso private di ogni riferimento ai segni!,
la moltiplicazione dei pani, la trasfigurazione. Del punto di vista
proprio di Luca non resta praticamente niente, a meno che non si
valorizzi l’episodio di Nazaret in tutto il suo valore di “modello” per
ciò che segue.
3.2. Luca sottolinea, in genere solo attraverso le reazioni
dei personaggi, la parola potente di Gesù. Il rapporto fra
“insegnamento” e “segni” (guarigioni e perdono) sembra più
rimarcato: cfr. 4,31-37; 5,15 (solo Lc); 5,17 (solo Lc); 6,18!; 8,1-2
(solo Lc); 9,2.6 (in Lc è il narratore a parlare). Il titolo di “profeta”
(cfr. avanti, 4.2.b), sempre in bocca ai personaggi, ha una rilevanza
particolare: 4,24.27; 6,23.26; 7,16.39; 9,8.19. NB. Si sarà notato che
tutti questi testi sono saltati nelle lettura liturgica!
3.3. Tutti si interrogano sul “profeta” (cfr. avanti, 4.2.b), compresi
i farisei e gli scribi. La sezione in cui appare più chiaramente è quella
del cap. 7 immediatamente seguente al “discorso della pianura” (e
del tutto saltata nella lettura liturgica!):
- 7,1-10 (Gesù guarisce il servo moribondo del centurione);
- 7,11-17 (Gesù guarisce il figlio della vedova; pagina propria a Lc):
conclusione di tutti: “un grande profeta è sorto tra noi”.
- 7,18-23: i “segni” come risposta agli inviati del Battista;
- 7,24-28: il Battista “profeta” accettato dal popolo e dai peccatori,
rifiutato dai farisei e dottori della legge;
- 7,29-35: il destino del Figlio dell’uomo identico a quello del
Battista;
- 7,36-49: episodio della peccatrice perdonata: un fariseo si
interroga: “Se costui fosse un profeta...”, e gli altri commensali
commentano: “Chi è quest’uomo che perdona anche i peccati?”
(7,49: si noti il passaggio da 5,21, dove si diceva: “Chi è costui che
pronuncia bestemmie? Chi può rimettere i peccati se non Dio
soltanto?”).
b) e circa il “regno”: 4,43; 6,20; 7,28; 8,1.10; 9,2.11.27 (tutti testi
saltati). Cfr. avanti, 4.1.b (sul “regno”)
Non vengono mai letti, nemmeno nei giorni feriali: 8,22-56
(passaggio del lago e domanda dei discepoli su Gesù, l’indemoniato
geraseno, la figlia di Giairo e la donna con emorragia); 7,10-17 (ritorno
dei discepoli e miracolo dei pani; 9,26-27 (su chi si vergogna del Figlio
dell’uomo, i presenti e il regno); 9,37-43a (il figlio unico guarito dopo
la trasfigurazione e stupore per la grandezza di Dio).
Vangelo di Luca. Introduzione narrativa - pag. 16
4. VIAGGIO: 9,51-19,44. CHI CREDE?
4.1. Questa sezione si estende dal momento in cui Gesù si “dirige
decisamente verso Gerusalemme” (9,51) fino al momento in cui
Gesù inizia la sua ultima attività all’interno del tempio (19,45).
Gli episodi quanto mai vari di questa sezione sembrano inserirsi
all’interno di una progressione narrativa e tematica.
a) La progressione narrativa suggerisce di distinguere tre
sottosezioni, caratterizzate dal fatto che
- in un primo momento solo il lettore sa che cosa di preciso accadrà
a Gerusalemme (9,51-13,21);
- in un secondo momento i discepoli e i farisei ne sono soltanto
indirettamente informati (13,22-18,30; cfr. 13,31-35);
- e infine un terzo momento in cui i dodici sanno con precisione
che cosa accadrà a Gerusalemme (18,31-19,44).
b) La progressione tematica trova il suo punto di forza nel
concetto del “regno”, collegato evidentemente al fatto che il
viaggio stesso è teso verso la “città di Davide” (cfr. 19,38). I verbi
di moto segnalano il progressivo “avvicinamento” (andare verso,
camminare: 9,51.53; 13,22.33.34; 17,11; avvicinare, salire: 18,31.35;
19,1.11.28,29.37.41; infine, entrare nel tempio: 19,45...).
In Mc e Mt, il regno è detto “venire” fin dall’inizio; in Lc, invece,
Gesù parla sì del regno fin dall’inizio (cfr. 4,43), ma esso si fa
“vicino” soltanto durante il viaggio verso Gerusalemme (cfr. 10,9.11;
11,20; 17,20; 19,11).
Notiamo le riprese circa le componenti del “regno”:
- Condizioni per entrare nel regno: 9,57-62; 12,22-32; 18,15-17;
18,18-30; - soprattutto la “conversione”: c’è chi si converte e chi no:
10,8-16; 11,29-32; 13,1-9; 15,7.10.32; 16,30-31; 17,3-4; su questo tema
nelle altre sezioni cfr. 1,16.17; 3,3.8; 5,32; 22.32 (Pietro!); 24,47. Il
modo con cui questo tema è trattato (cfr. ad es. le particolarità di
Lc nella parabola della pecora smarrita e nella figura di Pietro!),
precisa il modo “storico” e positivo con cui Luca vede le cose: c’è
una “crisi di mezzo” che può ri-orientare antiche energie verso un
nuovo cammino (cfr. 10,29-37; 14,28-33; 15,17-19; 16,1-8; anche 7,1117; “passaggio” da Gerusalemme a Roma;...). Non è un caso che
Luca abbia le storie più note sul mutamento di condotta (Zaccheo,
il figlio prodigo, l’amministratore...).
- Quando verrà? 10,9.11; 11,20; 17,20-25; 19,11; - Come viene?
11,14-23; - Qual è? 13,18-21; - Quali sono i suoi destinatari? 13,23-30;
14,15-24; 16,16; - Quale Re? 11,29-32; 18,31-19,44 (Il cieco di Gerico e
il Figlio di Davide; Zaccheo e il “pastore” di Ez 34,16 in cerca delle
pecore perdute; la parabola delle mine e l’uomo di nobile stirpe che
riceve il titolo di re, l’ingresso regale a Gerusalemme).
In totale, i riferimenti al regno in questa sezione sono circa venti.
Notiamo infine il parallelismo e la progressione tra la fine della
prima sezione (confessione in privato di Pietro su Gesù “messia”, 9,20)
e la fine della seconda (confessione pubblica delle folle su Gesù “re”,
19,11.38).
4.2. Se la “salita” (concreta e simbolica) verso Gerusalemme è la
punta narrativa che porta avanti il discorso, lo scopo finale resta
quello di mostrare come i rapporti tra i personaggi vengono a
precisarsi nei confronti di Gesù.
a) Il titolo di “profeta” (cfr. sopra, 3.2. e 3.3) non appare più sotto
il tono della ricerca o della domanda degli attori, ma si trova solo
in bocca a Gesù ed evoca fin dall’inizio del viaggio il destino degli
“inviati”: 10,24; 11,29-32; 11,47-48.50 (proprio di Lc); 13,28.33 (propri
di Lc).34. Gesù del resto proclama la sua identità fin dall’inizio della
sezione: 10,21-22; 11,31-32.
b) I “segni” che vengono menzionati (in numero minore rispetto
alla sezione precedente) non hanno più lo scopo di “rivelare” chi è
Gesù, ma piuttosto quello di introdurre o provocare una discussione
su di lui, svelando eventualmente le radici del rifiuto: cfr. 11,14 in
vista dei vv. 15-16; 13,11-13 in vista di 14-17; 14,4b in funzione di
1-4a e 5-6; 17,14 in vista di 17,18; 18,35-43 è solo apparentemente
un’eccezione (termina con la lode a Dio), ma si noterà che in ogni
caso il segno, diversamente che nella sezione 4,14-9,50, non è in
vista del “riconoscimento” di Gesù.
c) Si delinea un’opposizione dei farisei, ma rispetto a Mc, dove
si tratta subito di una inimicizia “mortale” (Mc 3,6!), in Lc essa
cresce in modo più graduale . Cfr. 11,39.42-43.53; 12,1.(50-52);
13,31 (i farisei avvertono Gesù del pericolo incombente da parte
di Erode!); 14,1.3 (un fariseo invita Gesù a pranzo!); 15,2; 16,14;
19,20.39. Sull’opposizione, cfr. sopra, 3.1.a.
4.3. Per quanto riguarda le riprese, segnaliamo di nuovo soltanto
quella circa il “vedere”: il passaggio dal vedere “fisico” a quello
“spirituale” appare soggiacente alla successione degli episodi del
cieco di Gerico (18,35-43) e di Zaccheo (19,1-10). Cfr. sopra, 3.6.a.
Vedi inoltre: 10,23-24 (in Lc in disparte ai discepoli); 19,42 (proprio
di Lc); cfr. anche 24,16.31! nell’ultima sezione (cfr. avanti, 6.3).
4.4. Non vengono mai letti, nemmeno nei giorni feriali: 11,3336 (sulla luce e sull’occhio); 12,22-31 (conclusione sulla provvidenza e
sulla ricerca del regno); 14,34-35 (sul sale); 16,16-18(la Lege e i Profeti
fino a Giovanni, il regno e la violenza, il ripudio e l’adulterio); 18,1534 (i bambini e il regno; il notabile ricco e osservante; dialogo con
Pietro sulla ricompensa; precisione ai dodici su che cosa accadrà a
Gerusalemme!).
5. NEL TEMPIO: 19,45-21,38. LE DECISIONI FINALI
5.1. L’estensione della sezione corrisponde al cambiamento di
spazio, di attori: scompaiono farisei e “folle”, entrano “popolo”
e sommi sacerdoti - scribi (19,47; 20,19; 22,2 .4); cambia il tipo
di azione: dalla opposizione graduale si passa alla inimicizia
“mortale”.
Si può dire che è la sezione più mortificata dalla lettura liturgica.
Larghe parti vengono saltate anche nella lettura feriale, e perciò
non vengono mai lette: 20,1-26 (discussione sull’autorità e su
Giovanni Battista; parabola della vigna affidata ad altri servi e la
pietra scartata dai costruttori; discussione sul tributo a Cesare); 20,4147 (discussione sul Cristo figlio di Davide e messa in guardia contro gli
scribi); 21,37-22,13 (sommario sugli ultimi giorni tra Gerusalemme e
il Monte degli Ulivi, decisione dei sommi sacerdoti e sscribi di uccidere
Gesù, preparazione della Pasqua).
6. LA PASSIONE: 22,1-23,56. I RICONOSCIMENTI
PARADOSSALI
6.1. Il richiamo (memoria) alla parola biblica continua ad essere
implicito, eccetto in 22,37 (proprio di Luca): “Perché vi dico: deve
compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i
malfattori. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo termine”.
Ciò che viene sottolineato nel seguito del racconto della passione
fa di questo testo e delle altre “predizioni” di Gesù (annuncio del
Vangelo di Luca. Introduzione narrativa - pag. 17
tradimento di Giuda e del rinnegamento di Pietro) l’elemento
dinamico della narrazione. (Sulla dinamica profezia-compimento,
cfr. sopra, 1.4; 2.3; 3.4; e avanti, 7.) Tutto ciò che avviene realizza
le parole della Scrittura e di Gesù:
- 22,52: “Siete usciti con spade e bastoni come per un brigante?”;
- 23,2 (Lc): “Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro
popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il
Cristo re”;
- 23,5: riprende 23,2;
- 23,14 (Lc): Pilato riprende, per negarle, le accuse di 23,2.5;
- 23,19: “(Barabba) era stato messo in carcere per una sommossa
scoppiata in città e per omicidio”;
- 23,25 (Lc): “(Pilato) rilasciò colui che era stato messo in carcere
per sommossa e per omicidio”;
- 23,32: “Venivano condotti insieme con lui anche due malfattori
per essere giustiziato”;
- 23,33: “là crocifissero lui e i due malfattori...”;
- 23,39 (Lc): “Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava...”;
- 23,41 (Lc): uno dei malfattori: “noi giustamente, perché
riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto
nulla di male”.
Gesù, posto a livello di un malfattore, viene infine dichiarato
innocente: diverse volte da Pilato (23,1-7.13-25), da Erode (23,15:
lo sappiamo da Pilato), dal “buon ladrone” (23,41), dal centurione
(23,47), indirettamente dalle folle (23,48). In conclusione, gli attori
del racconto sono riconosciuti nella loro verità: Gesù innocente e
gli altri, almeno le folle, peccatori pentiti.
6.2. Le contraddizioni rivelatrici: l’innocenza appare anche nel
fatto che tutti i personaggi si contraddicono, senza che Luca lo
sottolinei esplicitamente. Il sinedrio: accusa Gesù di sommossa, e
chiede la liberazione di Barabba (Luca non lo nomina mai, ma è una
delle poche volte che dà un’informazione diretta su un personaggio
come narratore, dicendo che è stato messo in carcere “per una
sommossa”). Il popolo: Gesù è accusato di sobillare il popolo, che
lo ascoltava ogni giorno nel tempio (19,48!), ma è il popolo che
ne chiede ora la morte: l’accusa si smentisce da sola. Erode stesso
(23,8-12). Pilato: riconosce più volte l’innocenza di Gesù e alla fine
lo abbandona “alla volontà” degli accusatori, che dunque sono essi
ai limiti della rivolta. La menzogna non impedisce la verità, anzi,
paradossalmente e ironicamente, la verità appare nel momento
stesso in cui la menzogna si afferma e si contraddice.
6.3. Circa la ripresa del “vedere”: Lc insiste sui testimoni di
quanto “accaduto” sul calvario: centurione, folle, donne, 23,4749.54. Così anche, nella sezione seguente (7) del cap. 24, Lc insiste
in diversi modi sul “vedere” il risorto: cfr. soprattutto 24.16.31
e 24,36-43, proprio di Lc. Tutto favorisce la “solidità” del suo
scritto, e la ripresa sulla “conversione”.
7. PASSAGGIO AI TESTIMONI: 24,1-53. CHI LEGGE
NON SA, MA DEVE PASSARE ALL’ASCOLTO DELLA
COMUNITÀ TESTIMONE (Libro degli Atti degli Apostoli)
All’inizio il lettore ne sapeva più dei protagonisti e poteva
verificare come essi arrivavano a conoscere Gesù e a decidersi per
lui o contro di lui; durante il racconto, poi, egli si è trovato sempre
di più nella stessa posizione dei protagonisti (soprattutto nelle
parabole); ora, alla fine, egli arriva invece a saperne di meno degli
attori stessi: infatti, per due volte Luca dice che Gesù “cominciando
da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò
che si riferiva a lui” (24,27; cfr. vv. 25-26.45), ma lascia il lettore
all’oscuro dei contenuti di queste lunghe “lezioni bibliche”. Se
il lettore ne vuole conoscere il contenuto, deve in realtà sia tornare
al punto di partenza del vangelo, dove si ricorda che ciò che è
stato scritto dipende da quelli che furono “testimoni oculari fin da
principio” (1,2), sia proseguire nella lettura del libro degli Atti,
in altre parole deve mettersi in ascolto all’interno della comunità
dei testimoni che viene annunciata esplicitamente (Lc 24,48; At
1,8) e implicitamente (5,1-11 e 22,24-36). Il testo di Luca non si è
mai definito “vangelo” e ora ne comprendiamo il perché: lo scritto è
solo una parte di quella “buona notizia” che il credente conosce per
intero solo prendendo parte alla vita della comunità dei credenti e
testimoni.
Bibliografia
Aletti, Jean-Noël, L’arte di raccontare Gesù Cristo. La scrittura
narrativa del vangelo di Luca, Editrice Queriniana, Brescia 1991, pp.
228.
Aletti, Jean-Noël, Il racconto come teologia. Studio narrativo del
terzo Vangelo e del libro degli Atti degli Apostoli, Edizioni Dehoniane,
Roma 1996.
Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia
nella Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1993
(soprattutto le pp. 36-44 sui “nuovi metodi di analisi letteraria”).
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