SU FUEDDU Che cosa sappiamo dell’evangelista Luca - pag Ciclo di incontri biblici sul vangelo di Luca Diocesi di Oristano - Anno liturgico C Nell’anno liturgico C, le letture evangeliche saranno in genere tolte dal vangelo di Luca. Offriamo qui un sussidio per introdurre la lettura del vangelo. Questa prima parte riguarda la figura di Luca come autore e redattore. Che cosa sappiamo dell’evangelista Luca 1. I dati dei “documenti” I manoscritti. Il terzo vangelo, come tutti gli altri, è anonimo, non indica né chi lo scrive, né dove né quando. Un’antica tradizione che può essere fatta risalire al secondo secolo afferma che Luca, medico e compagno di Paolo, scrisse sia il terzo vangelo sia il libro degli Atti degli Apostoli. Il più antico manoscritto del vangelo, denominato in sigla P75, proveniente dall’Egitto, è datato tra il 175 e il 225 d.C. e contiene parti estese del vangelo di Luca e di Giovanni. Questo stesso manoscritto è il primo in cui troviamo il titolo “Vangelo secondo Luca”. Non si sa con precisione quando si cominciò a dare tali titoli ai vangeli. Sembra soltanto possibile dire che i vangeli ricevettero questi titoli nel momento in cui cominciarono a diffondersi tra le varie comunità cristiane e divenne necessario denominarli e distinguerli l’uno dall’altro. Il Nuovo Testamento. Il Nuovo Testamento fornisce poche notizie su Luca. La Lettera a Filemone (v. 24) elenca Luca tra i collaboratori di Paolo: “Ti saluta Epafra, mio compagno di prigionia per Cristo Gesù, con Marco, Aristarco, Dema e Luca, miei collaboratori”. La Lettera ai Colossesi (4,14), scritta forse nello stesso periodo di tempo (estate del 53 durante la prigionia ad Efeso), nomina Luca tra i compagni di Paolo e lo identifica come “il caro medico”: “Vi salutano Luca, il caro medico, e Dema”. La Seconda Lettera a Timoteo (2Tm 4,11), parlando dell’ultima prigionia di Paolo, dice che “Solo Luca è con me”. I cosiddetti passaggi “noi” degli Atti degli Apostoli (16,1017; 20,5-15; 21,1-18; 27,12-28,16), cioè i passaggi dove l’autore racconta usando la prima persona plurale come se fosse protagonista diretto dei fatti, hanno contribuito alla tradizione che fa di Luca un compagno di viaggio di Paolo. Questi passaggi sono stati però interpretati in diversi modi, e questo in vista di trovare una spiegazione al fatto che in vari punti ciò che dice Luca di Paolo non concorda con ciò che Paolo dice di sé stesso. Così alcuni studiosi prendono questi racconti come la testimonianza che Luca era davvero insieme a Paolo, altri pensano che Luca abbia soltanto usato i diari di Paolo o i diari di qualche altro suo compagno di viaggio, senza cambiare il soggetto che racconta, per mantenersi coerente con il resto del suo libro; altri infine pensano che Luca in questi punti abbia usato la prima persona uniformandosi a certi usi letterari del tempo che, passando a raccontare i fatti in modo diretto alla prima persona, rendevano più drammatico il resoconto di momenti ritenuti importanti. Se fosse così, dicono questi studiosi, si spiegherebbe perché Luca, non essendo stato in realtà compagno di Paolo, possa divergere da lui sotto molti aspetti. In ogni caso, anche se noi prendiamo questi passaggi “noi” nel senso di una diretta esperienza di Luca come compagno di Paolo, il Nuovo Testamento non ci lascia intravedere se e come e quanto Luca sia stato influenzato dal pensiero di Paolo. Dal momento che Luca è elencato fra coloro che “mandano saluti” (Col 4,14; Fm 24 citati prima), uno potrebbe presumere che Luca conobbe le lettere di Paolo. Tuttavia, noi non abbiamo dati per dire che Luca poté davvero leggere le lettere di Paolo, né sappiamo quanto tempo Luca stette con Paolo, o quanto Luca fosse familiare con i modi di pensare e di predicare di Paolo. Di conseguenza, noi dobbiamo leggere il vangelo di Luca per sé stesso, e non sullo sfondo della teologia di Paolo. Foglio 44 del manoscritto P75 (Bodmer XIV, XV): fine del vangelo di Luca e inizio del vangelo di Giovanni. Si noti (racchiuse tra le barre verticali) la dizione “Euaggelion kata loukan”. Il codice papiraceo constava di 75 fogli, di cui ne restano 51, originalmente di circa cm 26x13. Ogni pagina è scritta ad una singola colonna, le linee vanno da 38 a 45 linee, e ogni linea ha da 25 a 36 lettere, in caratteri onciali maiuscoli, che datano il manoscritto tra il 175 e il 225 d.C. La scrittura è di tipo maiuscolo, molto chiaro. Contiene parti estese del vangelo di Luca e di Giovanni. Che cosa sappiamo dell’evangelista Luca - pag I Padri della Chiesa. I riferimenti più antichi a Luca come autore del terzo vangelo negli scritti dei Padri della Chiesa appaiono negli antichi prologhi e negli scritti di Ireneo e Tertulliano. Ireneo (circa 130-200), vescovo di Lione in Francia, scrisse attorno al 185 una lunga opera in cinque volumi Contro le eresie. Circa la sua testimonianza, il problema è di sapere quanto Ireneo conoscesse di Luca e della composizione del suo vangelo in modo indipendente dalle notizie fornite dal Nuovo Testamento stesso (e sopra citate). Ireneo dunque scrive: “Anche Luca, il compagno di Paolo, registrò in un libro il vangelo predicato da lui” (3.1.1). Parlando dei passaggi “noi”, Ireneo aggiunge che “Luca era inseparabile da Paolo” e che “egli portò avanti un’opera da evangelista, e godette della fiducia di tramandarci un vangelo” (3.14.1). Così facendo, Luca, che era “non soltanto un seguace, ma anche un collaboratore degli Apostoli”, imparò dagli Apostoli ciò che essi avevano imparato dal Signore e ci trasmise “quanto egli aveva imparato da essi”, come egli stesso afferma nel prologo del suo vangelo (3.14.1-2). In definitiva, per quanto di valore possa essere la testimonianza di Ireneo, essa non ci dice niente in più di quanto è già affermato nei testi del Nuovo Testamento. Tertulliano (c. 150-225), scrivendo nel 207-208 il trattato Contro Marcione, attacca il rifiuto degli altri tre vangeli da parte di Marcione e la sua abbreviazione del vangelo di Luca. Tertulliano insiste sulla successione del Signore, gli apostoli (Matteo e Giovanni, e più tardi Paolo), e quelli che seguirono gli Apostoli (Marco e Luca). Egli dice: “Fra gli Apostoli, dunque, Giovanni e Matteo per primi ci istillarono la fede; fra gli uomini apostolici, Luca e Marco in seguito la rinnovarono... Luca tuttavia non era un apostolo, ma solo un uomo apostolico; non un maestro, ma un discepolo...” (4.2). Tuttavia, Tertulliano afferma l’autorità del vangelo di Luca e difende la credibilità della sua trasmissione anteriore agli emendamenti proposti da Marcione. Marcione doveva averlo avuto nella sua forma originale, dal momento che pretende che esso abbia subito aggiunte da parte dei “difensori del giudaismo” (4.4). Il vangelo di Luca, afferma Tertulliano, “aveva una base solida fin dalla sua pubblicazione... Poiché perfino la forma del vangelo di Luca viene fatta risalire a Paolo” e “anche il vangelo di Luca ci è giunto in modo altrettanto integro [quanto gli altri vangeli] fino al trattamento sacrilego di Marcione”(4.5). Tertulliano, in breve, attesta l’autorità goduta dal vangelo di Luca e l’affidabilità della sua forma originale, rifiutando la forma abbreviata di Marcione. Canone di Muratori. La data del Canone di Muratori, che ci è giunto in un manoscritto dell’ottavo secolo, è dibattuta. Al posto di una prima datazione che lo collocava a Roma nel 200 d.C., guadagna consensi una datazione che lo colloca invece in oriente, o in Siria o in Palestina, nel 400 d.C. Se così fosse, esso lascerebbe il posto di lista più antica dei libri del Nuovo Testamento alla lista riportata da Eusebio nella sua Storia Ecclesiastica (3.25), e sarebbe da leggere in dipendenza da questa. L’introduzione a Luca nel Canone muratoriano afferma: “Il terzo vangelo è quello secondo Luca. Questo medico Luca, dopo l’ascensione di Gesù, poiché Paolo lo aveva preso con sé come uno esperto nella via (dell’insegnamento), lo compose a suo nome e secondo il suo insegnamento. Tuttavia, egli non vide personalmente il Signore nella carne; e perciò, nella misura in cui fu capace di accertare, egli comincia a raccontare la storia dalla nascita di Giovanni”. Come si vede, anche il Canone muratoriano ci trasmette fondamentalmente quanto già attestato negli scritti citati del Nuovo Testamento. I prologhi evangelici antichi. Si tratta di premesse ai tre vangeli di Marco, Luca e Giovanni, che un tempo si pensavano scritti contro Marcione, ma che oggi vengono trattati come documenti autonomi e anche indipendenti fra di loro, e datati in genere nella seconda metà del quarto secolo. La prima parte del prologo al terzo vangelo dice: “Luca è un siriano di Antiochia, un medico per professione, che era un discepolo degli apostoli, e poi seguì Paolo fino al suo martirio. Egli servì il Signore, senza distrazione, non sposato, senza figli, e morì all’età di 84 anni in Boezia, pieno di Spirito Santo”. La seconda parte aggiunge che egli scrisse il vangelo “nelle regioni della Acaia”. Nello stesso tempo che tali dettagli biografici sono credibili, bisogna però anche dire che essi sono senza ulteriori prove, lasciandoci nella difficoltà di stabilire quale valore essi abbiano in realtà. Conclusione. In conclusione, si può dire che fin dalla seconda metà del secondo secolo la tradizione di Luca come autore del terzo vangelo è universalmente accettata. Tuttavia, la maggior parte di ciò che di Luca sappiamo deriva dal Nuovo Testamento stesso. A partire dal terzo secolo, appaiono dei dettagli aggiunti sia sulla biografia di Luca sia sulla composizione del suo vangelo, ma questi dati non possono essere corroborati da altre fonti. In considerazione di questa via “documentale” senza uscita, non resta agli studiosi che tentare di ricostruire la figura dell’autore del terzo vangelo a partire da ciò che può essere dedotto dal suo stesso scritto e dalle sue relazioni con gli altri vangeli. 2. I dati dell’opera lucana (NB. le righe in corsivo indicano le pagine proprie di Luca che vengono saltate nelle letture liturgiche della domenica). Se, come abbiamo visto, i Padri della Chiesa attingono le loro informazioni su Luca dalle stesse fonti già conosciute del Nuovo Testamento, per delineare la personalità dell’autore del terzo Vangelo e degli Atti non ci resta che osservare da vicino la sua opera. Nel prologo al vangelo egli dice di conoscere altri scritti sui fatti che si sono “compiuti”. Non è stato un testimone oculare, ma si annovera fra quelli che hanno ricevuto la tradizione trasmessa “da coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola” (1,2). Fra gli scritti conosciuti da Luca, gli studiosi in modo oggi quasi unanime annoverano lo stesso Vangelo di Marco. Luca ne farebbe uso, apportando modifiche di contenuto e di ordine, omettendo dei passi e aggiungendo dei materiali che egli avrebbe in parte da fonti proprie (nel prologo egli dice di aver fatto ricerche “accurate”) e in parte da una cosiddetta fonte Q, che risulterebbe usata anche dal vangelo di Matteo. La sigla Q con cui gli studiosi indicano questa fonte è abbreviazione del termine tedesco Quelle. È chiaro che queste modifiche di Luca rispetto al Vangelo di Marco, aggiunte, mutamenti di ordine, omissioni, possono fornire valide indicazioni non solo sullo stile di Luca, ma anche sui suoi scopi, sulle sue idee, sulle sue preferenze, e in qualche modo anche sulla sua personalità. In questo procedimento deduttivo, si eviterà però di isolare in modo troppo individualistico la figura dell’autore che se ne ricava. Egli infatti non scrive per sé stesso, ma tiene conto delle esigenze e delle situazioni delle comunità cristiane per le quali scrive. Fra i racconti esclusivi di Luca sono significativi quelli si trovano all’inizio e alla fine del vangelo. I cosiddetti “racconti dell’infanzia” di Luca sono infatti molto diversi da quelli di Matteo, mentre Marco non ha una sezione introduttiva Che cosa sappiamo dell’evangelista Luca - pag sulla nascita di Gesù. Nei primi due capitoli, sono propri di Luca l’annuncio a Zaccaria nel tempio di Gerusalemme (1,5-25), seguito dall’annuncio a Maria a Nazaret (1,26-38), la visita ad Elisabetta (1,39-45) e il canto del Magnificat (1,46-56), la nascita e la circoncisione di Giovanni con il canto del Benedictus (1,5780), il racconto della nascita di Gesù, l’annuncio ai pastori, la circoncisione e la presentazione di Gesù al tempio (2,1-40), il suo ritrovamento nel tempio in occasione del viaggio a Gerusalemme al compimento dei dodici anni d’età. Alla fine del vangelo soltanto Luca ha il racconto dei due discepoli di Emmaus che partono da e fanno ritorno a Gerusalemme (24,13-35), la lezione di Gesù agli apostoli sul compimento delle Scritture (24,44-45) e sull’annuncio del perdono a tutte le genti a partire da Gerusalemme (Lc 24,46-49), e infine il racconto dell’Ascensione e la preghiera costante degli apostoli nel tempio (Lc 24,50-53; si noti che nessun altro evangelista racconta questo fatto). Il resto del suo materiale esclusivo Luca lo pone soprattutto in due sequenze alternate con altre due dove invece segue da vicino il vangelo di Marco. Gli studiosi le chiamano piccola e grande interpolazione. Nella piccola interpolazione (Lc 6,208,3), il “materiale proprio” di Luca comprende i “guai” dopo le beatitudini, il racconto della vedova di Nain (7,11-17), l’episodio della donna prostituta che va a trovare Gesù nella casa di un fariseo con il dibattito sul perdono (7,36-50), i nomi delle donne che seguono Gesù (8,1-3). La grande interpolazione (Lc 9,51-18,14) organizza i diversi episodi all’interno della descrizione continuata del “viaggio verso Gerusalemme”. Luca sposta diversi episodi in questa sezione e inserisce in situazioni sociali precise (sovente si tratta di inviti a pranzo) diversi detti che Matteo situa invece nei suoi cinque discorsi e in modo non contestualizzato. Materiale esclusivo di Luca sono invece: le difficoltà trovate dagli apostoli in Samaria proprio all’inizio del viaggio (9,51-56), il discepolo che vuole andare a salutare i suoi familiari (9,61-62), la parabola del buon samaritano (10,29-37), le due sorelle Marta e Maria (10,3842), la parabola dell’amico importuno (11,5-8), la parabola del ricco stolto (12,13-21), il detto di Gesù sul fuoco e sul battesimo (12,49-50), l’invito al pentimento ricordando le vittime di Pilato e di un disastro avvenuto a Gerusalemme (13,1-5), la guarigione di una donna curva in giorno di sabato (13,10-17), il ricordo di alcuni farisei che vogliono proteggere Gesù da Erode e la risposta di Gesù che parla della sua morte a Gerusalemme (13,31-33), la parabola sulla scelta dei posti (14,7-11) e degli invitati (14,12-14) con la beatitudine di chi mangerà nel regno (14,15), il discorso di Gesù sulla necessità di scelte radicali (14,28-33), la parabola della donna che ha perso i soldi (15,8-10), la parabola del figlio prodigo (15,11-32) e dell’amministratore infedele ma previdente (16,113), il racconto-parabola del ricco cattivo e del povero Lazzaro (16,19-31), il detto di Gesù sul padrone e sui servi (17,7-10), la I principali interventi redazionali: le cosiddette “interpolazioni” e “omissioni” di Luca Lc 3,1-6,19 Prima sezione intercalata Lc 6,20-8,3 Piccola interpolazione Lc 8,4-9,50 Seconda sezione intercalata Grande omissione: Lc salta quasi tutto Mc 6,458,26 Piccola omissione: Lc salta Mc 9,41-10,12 Lc 9,51-18,14 Grande interpolazione (sezione del viaggio) guarigione di dieci lebbrosi, di cui uno samaritano (17,11-19), la parabola del giudice iniquo e della vedova insistente (18,1-8), l’episodio delle preghiere del fariseo e del pubblicano (18,914). Dopo la sezione del viaggio, Luca riprende la trama narrativa di Marco, riportando l’ultima tappa a Gerico, l’arrivo e il ministero di Gesù nella città prima della passione. In questa sezione Luca ha ancora del materiale esclusivo: l’episodio di Zaccheo (19,1-10), la parabola dell’uomo che diventa re inserita in una propria interpretazione della parabola delle “mine”(19,1127), il pianto di Gesù su Gerusalemme (19,41-44), ancora alcune frasi sulla caduta di Gerusalemme all’interno del discorso escatologico (21,21b-22.24), l’avvertimento a sulla necessità di vigilare e non lasciarsi sopraffare dalle preoccupazioni della vita (21,34-36). Anche nelle due sezioni intercalate con queste interpolazioni, e nelle quali Luca segue da vicino il Vangelo di Marco, Luca ha del materiale proprio. Nella prima (3,1-6,19): la contestualizzazione storica dell’inizio della predicazione del Battista (3,1-2) e i consigli di questi alle folle, ai pubblicani e ai soldati (3,10-14) e in più il giudizio su Erode il quale però interrompe con l’arresto la predicazione di Giovanni (3,19-20), il particolare ordinamento della genealogia di Gesù che si estende a ritroso e in modo più universale fino ad Adamo e a Dio, mentre quella di Matteo si ferma ad Abramo (3,23-38), un diverso ordinamento delle tentazioni che culminano a Gerusalemme (4,1-13), il discorso di Gesù a Nazaret con il riferimento alla vedova straniera e a Naaman il siriano (4,17-21.23-30), la pesca miracolosa prima della chiamata dei discepoli (5,310), i miracoli prima del grande “discorso della pianura” (“della montagna” in Matteo; Lc 6,17-19). Nella seconda (8,4-9,50), Luca ha soprattutto una diversa sistemazione e interpretazione dell’episodio dei parenti che vengono da Gesù: mentre in Marco questo episodio è raccontato prima del discorso delle parabole e i parenti sono fra coloro che non vogliono ascoltare Gesù, Luca invece sistema l’episodio a conclusione del discorso delle parabole e i parenti diventano l’immagine di un ascolto riuscito e fruttuoso (8,19-21). I racconti della passione e resurrezione li analizzeremo più approfonditamente a suo tempo. Ora segnaliamo solo che Luca racconta l’ultima cena arricchendola di discorsi e istruzioni di Gesù ai dodici discepoli, presentati come nucleo rappresentativo dell’intero popolo di Dio (22,14-38). Anche l’agonia nel Getsemani perde la drammaticità che ha nel racconto di Marco, mostrando Gesù come il modello da seguire nella preghiera ed evitando i rimproveri specifici a Pietro (22,4753). Ugualmente, il rinnegamento di Pietro è raccontato subito, senza essere più in parallelo con gli insulti dei soldati (22,5452). Luca ha in proprio anche lo scambio di Gesù tra Pilato ed Erode (23,6-12), le ripetute affermazioni di innocenza da parte del procuratore romano in 23,13-24, il lamento delle donne e la risposta di Gesù lungo il cammino di Gesù verso il Calvario (23,27-32), e infine il dialogo fra i due ladri e Gesù e le ultime parole prima della morte (23,39-43.46). Sono propri di Luca, infine, i nomi delle donne e l’intero loro gruppo che parlano agli apostoli della risurrezione, senza essere da loro credute (24,10-11). Fra le “omissioni”di Luca, significative la cosiddetta “grande omissione” (Luca salta quasi del tutto Mc 6,45-8,26, con la controversia sulle tradizioni giudaiche e il doppio racconto delle moltiplicazione dei pani) e la “piccola omissione” (Mc 9,41-10,12, con le parole di Gesù sullo scandalo e la questione Che cosa sappiamo dell’evangelista Luca - pag sul divorzio nella legge di Mosè). Tutti questi interventi propri di Luca sono già per sé stessi indicativi di alcune preferenze e caratteristiche dell’evangelista Luca. 3. Conclusione Dall’insieme della sua opera, in conclusione, Luca appare come uno scrittore esperto, si dimostra a suo agio nella lingua greca, conosce le convenzioni storiografiche ellenistiche, ha una notevole familiarità con gli scritti sacri dell’ebraismo (Antico Testamento), che egli mostra di conoscere nella traduzione greca fatta dalla diaspora ebraica in Egitto (Settanta), della quale sovente imita lo stile. Luca è nello stesso tempo un maestro nell’arte della miniatura e del grande mosaico. Egli è capace di racchiudere i messaggi principali del suo vangelo in una piccola storia o in una breve pagina. È un buon narratore. Sa come delineare con pochi tratti i personaggi, come dare colore e vivacità alla scena. Luca, però, sa anche come dare una struttura solida all’intera sua opera. Situa Gesù non solo nel quadro universale del suo tempo ma anche nello sviluppo del disegno di Dio verso il popolo di Israele e verso tutti i popoli. Egli così estende in diversi modi il genere del vangelo: collega più precisamente la storia di Gesù alle figure più importanti del tempo, narra l’annuncio e la nascita di Giovanni Battista e di Gesù, inserisce una genealogia che traccia all’indietro la discendenza di Gesù fino ad Adamo, “figlio di Dio” (3,28), include più insegnamenti nei contesti dei racconti, lega la storia del vangelo agli eventi successivi degli Atti degli Apostoli. In tal modo Luca racconta la chiamata alla conversione per Israele, il rifiuto dei suoi capi e gli inizi della missione ai pagani. Dal breve quadro appena delineato le capacità artistiche dell’autore del terzo vangelo e del libro degli Atti risultano evidenti, e potranno essere confermate dall’esame più approfondito sia di scene particolari sia dell’insieme dello sviluppo narrativo e tematico dell’intera sua opera. Per quanto riguarda, invece, i particolari biografici, esaminando ancora i suoi scritti, è possibile dire che, oltre alla familiarità con la Bibbia ebraica, egli dimostra una conoscenza operativa anche delle pratiche e delle istituzioni giudaiche. Le sue descrizioni di case (cf 5,19 dove parla di tetto e di tegole a differenza di Mc 2,4, che parla di terrazza), di città, di classi sociali (cf Lc 14,15-24 con le diverse categorie di invitati alle nozze molto più specifiche che in Mt 22,1-14), mostra che egli era familiare con la struttura e l’organizzazione sociale di città ellenistiche come Antiochia o Efeso. Il suo rispetto deferente verso il “molto eccellente Teofilo” mostra che forse era egli stesso membro di una classe artigiana piuttosto che della élite, quindi subordinato a Teofilo e non suo collega. Anche se la tradizione e l’identificazione basata su Col 4,14 è corretta (“vi salutano Luca, il caro medico, e Dema”) e l’evangelista è davvero medico, ciò non lo poneva automaticamente tra i benestanti o tra la classe dirigente. Nel primo secolo, i medici appartenevano alla classe degli artigiani. Sono stati fatti non pochi tentativi per mostrare che le descrizioni di malattie e guarigioni fatte da Luca sono più precise di quelle contenute negli altri vangeli, ma i dati non sono sufficienti per provare che il terzo vangelo è scritto da un medico. In ultimo, le differenze di teologia tra Luca e Paolo significano che, anche se Luca è stato davvero compagno di viaggio dell’apostolo (ciò di cui non pochi studiosi dubitano), il suo vangelo deve essere letto per sé stesso e non sullo sfondo della teologia paolina. a. Un singolo foglio di papiro usato per scrivere una lettera b. Un singolo foglio di papiro piegato al centro in verticale per essere parte di un codice. c. Un rotolo di papiro, scritto a colonne, con linee verticali indicanti le giunture dei singoli fogli di papiro. d. Vista finale laterale di un codice formato da un singolo “quinterno” e. Vista finale laterale di un codice formato da più “quinterni” Testi e impaginazione a cura di Antonio Pinna Istituto di Scienze Religiose di Oristano www.sufueddu.org SU FUEDDU Ciclo di incontri biblici sul vangelo di Luca Diocesi di Oristano - Anno Liturgico C Nell’anno liturgico C, le letture evangeliche saranno in genere tolte dal vangelo di Luca. Dopo il periodo di Natale, e prima della Quaresima, si fa in tempo solo a iniziare la lettura del vangelo. Proponiamo qui una riflessione sullo sfondo sociale presupposto dal vangelo e dal discorso delle beatitudini in Luca. Luca, evangelista dei rapporti sociali ed ecclesiali. Niente in cambio. Ma dov’è la differenza? Le élites cambiano, le selezioni restano. La “vita di città” al tempo di Luca Da ciò che leggiamo nei due libri di Luca (Vangelo e Atti degli Apostoli), sembra che la comunità cristiana per la quale egli scrive viva in un contesto sociale che è quello tipico di una città ellenistica della parte orientale dell’impero romano. Semplificando un po’ i dati, possiamo dire che la società era divisa in due classi: quella della élite (5 o 10% della popolazione: gli honestiores) e quella della non-élite (il restante 90%: gli humiliores). La prima controllava la terra e la sua produttività, e insieme il sistema politico e religioso; in genere, abitava al centro della città, dove si trovavano anche gli edifici pubblici più importanti. La seconda comprendeva una grande varietà di gruppi: oltre ai servi e agli schiavi della élite, vi erano commercianti, negozianti e artigiani, organizzati in corporazioni e spesso riuniti in propri quartieri. Nelle città portuali, come Corinto ed Efeso, vi si aggiungevano stranieri provenienti da tutte le aree del Mediterraneo e dal Medio Oriente. Ai gradini più bassi della società troviamo le occupazioni più disprezzate, come quelle dei conciatori, degli osti e delle prostitute. Infine, all’estrema periferia o fuori della mura, risiedono i mendicanti e i “banditi”. È già possibile osservare che nell’opera lucana sono rappresentate abbondantemente tutte e due le classi. Ad esempio: gli imperatori Augusto e Tiberio, i due Erode, i prefetti Romani, i centurioni, la classe dirigente di Gerusalemme con i sommi sacerdoti, scribi e anziani, i “ricchi”, per quanto riguarda la classe delle “élites”; i pastori, le vedove, gli affamati e i poveri, i debitori, i lebbrosi, per quanto riguarda il resto della società. Ma è ancora più importante notare che Luca, sia nel Vangelo sia negli Atti, sembra particolarmente interessato alle relazioni fra queste due classi di personaggi. Il suo racconto prende dunque un senso più concreto sullo sfondo della società che presuppone. Per meglio inquadrarla, è tuttavia utile ricordare che gli studi sull’interazione economica nelle società preindustriali parlano di tre forme di reciprocità: 1) una reciprocità generalizzata: si dà senza una specifica domanda di restituzione; 2) una reciprocità bilanciata: si dà con il presupposto di una rapida restituzione; 3) una reciprocità negativa: si prende, magari con la forza, senza niente restituire. Ricordiamo, inoltre, che in questo tempo e in questi luoghi dell’impero il potere romano permetteva alle élites locali di conservare le proprie prerogative. Ebbene, in questo contesto, e semplificando ancora i dati, possiamo dire che la struttura delle relazioni sociali in una città ellenistica, come quella presupposta da Luca, era fondata essenzialmente su tre principi. Il primo era la ricerca dell’onore, e questo creava nelle élites un clima di costante competizione. I costi erano quelli di una beneficenza verso la città sotto forma di edifici pubblici, feste o giochi. Questa beneficenza era ricompensata con pubblici uffici o altri status symbol, come statue, posti di onore e banchetti cittadini. In secondo luogo, le relazioni sociali erano fondate su un sistema di patronato. La posizione di una persona non era regolata in base ai diritti umani universali, ma in base al posto occupato in una gerarchia personale di “clientela”. Il terzo principio era quello di una reciprocità bilanciata, per cui, all’interno del cerchio della élite, chi dava qualcosa contava sul fatto che chi riceveva si sentiva obbligato per onore a ricambiare in modo proporzionato. Dimmi chi inviti e ti dirò chi sei È su questo sfondo che bisogna rileggere le pagine di Luca sul rapporto fra ricchi e poveri, tenendo presente soprattutto i momenti conviviali che sono frequenti nel vangelo e che svolgevano un ruolo importante nel sistema di riconoscimento delle relazioni sociali in quelle città. Noi vediamo così che nella comunità lucana era conosciuto e accettato il ruolo dei “patroni”. Si rileggano gli episodi che riguardano due centurioni “simpatizzanti” della religione giudaica (Lc 7,1-10 e At 10-11). Insieme con altri elementi, essi possono indicare che in questo momento i romani che venivano in aiuto ai cristiani provenivano non proprio dai più alti gradi delle élites, quanto piuttosto dai Il contesto sociale di Luca e le beatitudini - pag. ranghi medi della società. Non mancano del resto i motivi per pensare che i rapporti di Luca con Teofilo, destinatario sia del Vangelo sia degli Atti, siano quelli tipici del “cliente” verso il suo “patrono”, che chiama appunto “sua eccellenza”, secondo le abitudini di ogni buon “cliente”. Per quanto riguarda questo aspetto, è caratteristico di Luca il fatto di mostrare anche alcune donne nel ruolo di “patroni” e in modo a quanto pare autonomo dai loro mariti, ciò che non era usuale per quel tempo e per quei luoghi (cf. Lc 8,1-3; At 16,14-15). Diversamente però dai discepoli maschi, queste donne non reclamano per sé né onori né privilegi, ma rappresentano il modello del “padrone che serve” proposto da Gesù nel discorso dell’ultima cena (Lc 22,27). Fra le scene conviviali, una tra le più significative è quella descritta al cap. 14 per ben 24 versetti. Quando Gesù suggerisce di invitare «poveri, storpi, zoppi, ciechi» (14,13), questi invitati non sono da classificare fra gli “impuri” dal punto di vista giudaico, ma fra quelli che «non potevano ricambiare» (14,14) dal punto di vista ellenistico. Luca cioè descrive l’ospitalità nei termini ben conosciuti della “reciprocità bilanciata”, anzi è il solo autore del Nuovo Testamento a usare il vocabolario tecnico di questo sistema. La lista che Gesù critica è il tipico “circolo chiuso”: «Non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio» (14,12). Ciò che viene criticato è proprio l’uso dell’ospitalità come mezzo per mantenere e coltivare il gruppo della élite. Gli “amici”, infatti, rappresentano un cerchio diverso da quello del “patrono” e si limita a quelli che occupano una medesima posizione sociale. Una mancata reciprocità equivaleva a perdere l’onore e lo statuto di “amici”. Invertire un simile “invito” significava non solo rompere con il sistema elitario e i suoi valori, ma anche esporsi alle conseguenti sanzioni sociali. Un altro esempio d’inversione di tale organizzazione di rapporti è rappresentato dal “discorso di addio” dell’ultima cena. Solo nella versione di Luca troviamo un riferimento esplicito al “sistema dei benefattori”: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,25-27). Ciò che viene criticato è ancora una volta il sistema della reciprocità bilanciata, come anche la struttura gerarchica delle relazioni sociali di beneficenza. L’alternativa proposta è basata invece sulla “reciprocità generalizzata”, dove chi dà non presuppone nessun sistema di “ritorno”. Tenuto conto di questo, i “ricchi” ai quali Luca rivolge i suoi “guai” (Lc 6,24-26) non sono tanto quelli che “hanno molti beni”, quanto piuttosto i membri del gruppo delle élites che non si curano affatto degli “esclusi” (cf. ad esempio l’episodio del “povero Lazzaro” che giace alla porta del ricco: Lc 16,19-31). Al contrario, il “ricco ideale” in Luca non appartiene alla classe chiusa della élite, ma, come l’esattore Zaccheo, proviene dalle classi periferiche della cittadinanza e soprattutto mostra solidarietà verso coloro che si trovano in una posizione d’inferiorità sociale (cf Lc 19,1-10, e si tratta nuovamente di un “pranzo”). Una simile «etica conviviale» di Luca rappresenta dunque nel suo insieme una rottura con gli ideali della cultura cittadina dove le comunità cristiane stanno nascendo. Il terzo vangelo si presenta come “buona notizia” anche nella misura in cui rompe con i principi di patronato, di beneficenza e di ricerca dell’onore, tutti fondati sul sistema della reciprocità bilanciata. Le “élites” cambiano, i meccanismi restano Certo, non siamo più nelle città preindustriali di Luca e di Paolo, siamo però sempre parte di una “Chiesa di Dio che è in ... ”. Ripetere questa frase paolina (cf. 1 Corinti 1,2) è anzi diventato una moda. Tuttavia, nel saluto di Paolo «alla Chiesa di Dio che è in Corinto» c’era qualcosa di più che un “indirizzo”. Come nell’opera di Luca, c’era la convinzione che il cristianesimo lo si vive non fuori della storia, ma in rapporto con un contesto cittadino concreto nel quale si innesta una “differenza”. Le “società complesse” di oggi hanno anch’esse i loro “sistemi di relazione”. I “club” sono cambiati rispetto al tempo di Luca. La democrazia (dove c’è) ha certo reso più percorribile, e nei due sensi, il passaggio tra la classe di “quelli che contano” e la classe di “quelli che non contano”. Ma, appunto, sia pure sotto diversi nomi, le élites sanno ancora molto bene come delimitare il loro cerchio. E da questo punto di vista, l’organizzazione della “città di Dio” non sembra molto diversa da quella della “città dell’uomo”. E forse sarebbe biblicamente più onesto cambiare la frase di Paolo, e parlare di una “Chiesa che è come quelli di...”. Per essere fedeli al vangelo di Luca, basterà alla Chiesa di oggi predicare “beati i poveri” e “guai ai ricchi”? Basterà parlare di “ricchezza disumana” e di “autosufficienza idolatrica”? Basterà aver descritto una “dottrina sociale” perfetta (almeno nei libri), in difesa della dignità della persona? Non si fa nessuno sconto ai “ricchi” se si dice che il discorso di Luca su di loro mette in gioco ogni mentalità di “élite”, e magari di “carriera”. Non solo civile, ma anche ecclesiastica. Del “regno”, a una Chiesa che ha acquisito nelle sue strutture relazionali i meccanismi mondani di “riconoscimento”, resta poco da mostrare: come i ricchi, ha già la sua ricompensa, ha già i suoi status symbol, ha già qui i suoi “amici”. Il tesoro nei cieli sarà certo per tutti, grazie al nome della misericordia. Ma secondo Luca, ciò che conta si vede solo nella vita di coloro che, per quello che danno, dicono o fanno, «non si aspettano niente in cambio» (Lc 6,35). E nemmeno lo prendono. Antonio Pinna SU FUEDDU I vangeli dell’infanzia - pag. Ciclo di incontri biblici sul vangelo di Luca Diocedi di Oristano - Anno liturgico C I vangeli dell’infanzia. Da dove vengono, che cosa significano 1. Da dove vengono I primi capitoli dei vangeli sono molto diversi fra loro. Mentre Matteo e Luca hanno una grade varietà di racconti sulla nascita e I’infanzia di Gesù, Marco e Giovanni non ne hanno nessuno. Ma anche i racconti di Matteo e Luca ignorano tanti particolari che invece fanno ormai parte dell’immaginario collettivo natalizio. Ad esempio, nei vangeli non si parla mai né della grotta né dell’asino e del bue. Da dove vengono questi “racconti dell’infanzia”? Già molto prima del cristianesimo, noi troviamo che i commentatori giudaici della Bibbia, a partire dai pochi dati che leggevano nei testi biblici, avevano sviluppato lunghi racconti circa la nascita di importanti personaggi. Era successo così per Abramo, Mosé, Isacco, Samuele. Tracce di questi racconti restano nelle parafrasi delle traduzioni aramaiche (Targum), nei commentari giudaici dei primi secoli dopo Cristo (Midrash), negli scritti di Giuseppe Flavio e di Filone di Alessandria. Ad esempio, nelle Antichità Giudaiche (2,205ss) di Giuseppe Flavio, uno scriba predice la nascita di Mosé, il Faraone ne ha un annuncio premonitore in un sogno che si fa spiegare dal propri maghi-interpreti, e, preso dalla paura, fa una strage di bambini appena nati. Nello stesso midrash, la nascita di Mosé è annunciata in sogno al padre di Mosé, Amram (che significa “popolo grande, alto”). In questi racconti, i genitori di Mosé sono sempre rappresentati come dei personaggi molto pii, e anche la sorella di Mosé, Miryam, riceve una visione. Il Libro delle Antichità Bibliche, dello PseudoFilone racconta: “Lo spirito di Dio scese su Maria, una notte, e essa vide un sogno che raccontò al mattino ai suoi genitori: Ho visto una visione questa notte. Ecco che un uomo con un abito di lino mi stava davanti. Egli mi disse: va’ a dire ai tuoi genitori: ciò che nascerà da voi sarà rigettato nell’acqua, poiché per mezzo di lui I’acqua sarà prosciugata; io farò per mezzo di lui, dei segni e salverò il mio popolo; lui ne assicurerà sempre la condotta” (9,10). Gli esempi potrebbero essere molto più numerosi. Appare dunque che, per parlare dell’infanzia di Gesù i primi cristiani ave vano a disposizione già dei modelli collaudati e conosciuti sulle più importanti figure bibliche. L’interpretazione delle virtù di Sara, Lea, Rebecca, hanno certo contribuito a mettere in valore il tema della nascita verginale e dell’intervento divino miracoloso. I testi cristiani del secondo secolo d.C., come i vangeli apocrifi, hanno continuato su questa medesima strada, avendo ora a disposizione non solo i testi dell’Antico Testamento e delle tradizioni giudaiche, ma anche i racconti già diffusi e accettati di quei vangeli che oggi noi chiamiamo “canonici”. Ma ancora prima dei testi dell’Antico Testamento, bisogna dire che il racconto dell’infanzia era un genere ben attestato nel Vicino Oriente antico. Il suo scopo era quello di attestare che un personaggio importante per la storia del popolo aveva fin dal l’inizio della sua vita goduto dell’aiuto provvidenziale degli dèi, o, in altre parole, era un dono stesso degli dèi agli uomini. Due esempi sono molto conosciuti. Di Sargon di Accad (2334 2279 a.C.) una stele racconta l’infanzia, la nascita segreta, l’abbandono in una cesta sulle acque dell’Eufrate, e infine la sua salvezza grazie a un giardiniere. Ecco l’inizio: “Io sono Sargon, it re potente di Akkad... Mia madre, la grande sacerdotessa, mi concepì e mi mise al mondo in segreto. Essa mi depose in una cesta di giunchi di cui chiuse l’apertura con del bitume. Essa mi gettò nel fiume...”. Questo testo, molto conosciuto nell’antichità, fu copiato anche in Egitto. Al lettore della Bibbia non sfuggiranno le rassomiglianze con i racconti dell’infanzia di Mosé, deposto nel Nilo e salvato dalla figlia del Faraone grazie alla sua stessa sorella (Es 2,1-10), il cui intervento si inserisce nel ruolo provvidenziale che la Bibbia riserva a molte figure femminili. Un altro racconto di infanzia molto conosciuto è quello che riporta Erodoto (Storie 1,108-123) a proposito di Ciro II, fondatore dell’impero persiano (559-529). Nato dal matrimonio di Madane, figlia di Astiage, re dei Medi, e del persiano Cambise, Ciro fu fin dalla nascita sottratto ai suoi genitori. Infatti, il re Astiage aveva fatto un sogno: dal grembo della sua figlia usciva un ceppo di vite che si estendeva su tutta l’Asia. Volendo sapere il senso di questo sogno, il re fece venire dei maghi, interpreti di sogni, i quali gli annunciarono che il bambino della sua figlia sarebbe divenuto re al suo posto. Astiage allora decise la morte del bambino, ma l’ordine non fu eseguito. Ciro infatti fu consegnato Herodium (vista da ovest). Fortezza a 5 km a sud-est da Betlemme, costruita su una collina preesistente, era per Erode un luogo di rifugio vicino a Gerusalemme (13 km) e nello stesso tempo un palazzo ricco di ogni comodità. La sua immagine a forma di vulcano domina il panorama attorno a Betlemme e sul deserto della Giudea. Qui Erode nel 15 a.C. ospitò Agrippa, figlio adottivo dell’imperatore Augusto, e qui decise di farsi seppellire, anche se la sua tomba non è stata ancora ritrovata. Erode si costruì altre dieci fortezze simili, sparse per tutto il suo territorio. La fortezza fu riutilizzata al tempo della rivolta contro i Romani e poi come monastero al tempo dei bizantini. I vangeli dell’infanzia - pag. a un bovaro con l’incarico di esporre il bambino alle bestie feroci presenti nei territori lontani e impervi del suo pascolo. Ora, la moglie del bovaro si chiamava Cino (che significa “cane”, animale sacro in Iran; cfr. la storia di Romolo e Remo allattati da una lupa). La moglie, dunque, che proprio in quei giorni aveva partorito un bimbo morto, riesce a convincere il marito ad adottare Ciro al posto del loro proprio figlio. All’età di dieci anni, durante un gioco tra coetanei, Ciro viene eletto “re” e come tale punisce duramente il figlio di un personaggio importante che non ubbidisce ai suoi ordini e finisce così denunciato di fronte ad Astiage. Questi lo riconosce, ma, consultati di nuovo i maghi e ritenendo che il sogno premonitore si fosse già avverato in un gioco di bambini, salva Ciro e lo manda a vivere in Persia con i suoi veri genitori. Più tardi egli diventerà il re di Persia e dei Medi. Come dice Erodoto, la salvezza di Ciro parve ai Persiani un’opera divina e provvidenziale. 2. Rassomiglianze e differenze, confronto tra i vangeli e con la storia I vangeli di Matteo, Luca e Giovanni si differenziano tutti e tre dal vangelo di Marco per il fatto che introducono il racconto del ministero di Gesù con una premessa che riguarda o la sua infanzia o la sua persona come Figlio di Dio. Queste introduzioni hanno uno scopo cristologico. Mentre leggendo il solo vangelo di Marco uno potrebbe in teoria far cominciare l’identità di Gesù come Figlio di Dio solo a partire dal momento del Battesimo (adozionismo), il prologo di Giovanni e i racconti dell’infanzia di Matteo e Luca mostrano l’identità divina di Gesù fin dal suo concepimento nel seno di Maria ad opera dello Spirito, e il prologo di Giovanni lo identifica con il Verbo eterno operante fin dalla dalla creazione e venuto ad abitare in mezzo agli uomini come Figlio unigenito del Padre. Prima di mettersi a risolvere il problema della storicità di questi racconti dell’infanzia, è bene osservare i dati di fatto nel loro insieme. Nel punto precedente, abbiamo già visto che il tipo di racconto di Matteo e Luca non è nuovo né isolato, ma ha di fatto molte rassomiglianze con il modo già conosciuto e collaudato con cui fin dall’antichità le diverse popolazioni del territorio del Vicino Oriente, mesopotamici, persiani e greci, avevano l’abitudine di raccontare i primi periodi della vita dei personaggi più importanti nella loro storia. Gli ebrei avevano sviluppato racconti Herodium. Vista dall’alto (verso est). Le quattro torri sulla doppia cinta muraria corrispondono ai quattro punti cardinali. L’insieme era composto da sei o sette piani, di cui mancano gli ultimi due o tre. Lo spazio rettangolare di fronte al torrione est era un giardino circondato da colonne, con sotto una grande cisterna, che insieme con una più stretta e parallela assicurava circa 2500 m3 d’acqua. Il rettangolo più piccolo a destra (tra le due torri) era una sala da pranzo al tempo di Erode, e poi una sinagoga al tempo della rivolta. In una costruzione di tipo romano non potevano mancare le terme (tra le due torri a sinistra), locale poi riutilizzato per le loro celle dai monaci, che vi affiancarono anche una cappella. simili, ad esempio, per Mosè. Guardiamo ora più da vicino i contenuti di questi racconti di Matteo e Luca. Accordi. Essi sono concordi nei seguenti punti. Tutti e due parlano di due momenti, uno prima della nascita (Mt 1 e Lc 1) e uno dopo la nascita (Mt 2 e Lc 2). I genitori di Gesù sono Gesù e Giuseppe, che sono legalmente fidanzati o sposati, ma non sono ancora andati a vivere insieme né anno ancora avuto relazioni matrimoniali. Giuseppe è di discendenza davidica. C’è un annunzio angelico della prossima nascita del bambino. Il concepimento del bambino avviene per opera dello Spirito e il suo nome di Gesù è dato secondo una direttiva angelica. Al bambino sono assegnati i ruoli di Salvatore (Mt 1,21 e Lc 2,11) e di Figlio di Dio (Mt 2,15 e Lc 1,35). La nascita ha luogo a Betlemme dopo che i genitori sono andati a vivere insieme, ed è messa in relazione con il regno di Erode il Grande (Mt 2,1 e Lc 1,5). Sia in Matteo sia in Luca i racconti terminano con la residenza di Gesù a Nazaret. Disaccordi. Matteo e Luca sono in disaccordo sui seguenti punti significativi. Nel cap. 1, riguardante il periodo prima della nascita, il racconto lucano su Giovanni Battista, con l’annunciazione dell’angelo Gabriele a Zaccaria, la nascita, il nome e la crescita del “precursore”, è del tutto assente in Matteo. Secondo Matteo, la famiglia di Gesù vive a Betlemme nel momento del concepimento e vi hanno una casa (Mt 2,11); in Luca, essi vivono a Nazaret. In Matteo, la figura principale che riceve gli annunci è Giuseppe, mentre in Luca è Maria. I racconti lucani della visita di Maria ad Elisabetta, con i cantici del Magnificat e del Benedictus, sono assenti in Matteo. Al momento dell’annunciazione a Giuseppe, 1. Giardino a colonne, cisterne 2. Sala da pranzo e poi Sinagoga 3. Terme e poi celle dei monaci 4. Scale di ingresso (sotto il torrione) I vangeli dell’infanzia - pag. Maria appare già chiaramente incinta, mentre l’annunciazione avviene prima del concepimento in Luca. Nel cap. 2, i racconti di base della nascita e di dopo la nascita sono del tutto diversi, al punto che non è possibile metterli insieme in modo verosimile. Matteo descrive la stella, i Magi che vengono presso Erode a Gerusalemme e alla casa della famiglia di Gesù a Betlemme, il complotto di Erode raggirato dai Magi, la fuga in Egitto e l’arrivo a Nazaret per paura di Archelao. Luca descrive il censimento, la nascita a Betlemme, la deposizione del bambino in una “mangiatoia”, perché non c’era posto per loro nella “sala comune” (stesso termine usato per la sala dell’ultima cena; ma non parla di per sé di nascita in una grotta o in una stalla), l’annuncio degli angeli ai pastori, la purificazione di Maria e la presentazione di Gesù al tempio, i ruoli di Simeone e Anna, e il ritorno del tutto pacifico e senza paure a Nazaret. Confronto con il resto dei vangeli. Nessuna delle informazioni date nei due racconti dell’infanzia riappare chiaramente nel seguito dei vangeli. In particolare, i seguenti particolari appaiono solo nei racconti dell’infanzia. 1) Il concepimento verginale di Gesù, anche se una minoranza di studiosi hanno cercato di trovare delle allusioni a questo fatto in Gal 4,4 (dove manca un riferimento al ruolo maschile) o in Mc 6,3 (Gesù vi è nominato come figlio di Maria, non come figlio di Giuseppe) o ancora in Gv 1,13 (espresso in alcuni manoscritti al singolare, riferito a Gesù, e non al plurale, riferito ai credenti in genere). 2) La nascita di Gesù a Betlemme, anche se alcuni studiosi vogliono vedervi un’allusione in Gv 7,42, per ironia. 3) La conoscenza da parte di Erode della nascita di Gesù e la presentazione di lui come re. A rovescio, in Mt 14,1-1 Erode (Antipa, figlio di Erode) sembra che non sappia niente di Gesù. 4) La notizia diffusa sulla nascita di Gesù, dal momento che tutta Gerusalemme è turbata (Mt 2,3), e i bambini di Betlemme sono uccisi nella ricerca di sopprimerlo . A rovescio, in Mt 13,5455, nessuno sembra conoscere le meravigliose origini di Gesù. 5) Giovanni Battista era un parente di Gesù e lo aveva riconosciuto già prima della nascita (Lc 1,41.44). Più tardi, invece, Giovanni Battista sembra non avere nessuna conoscenza previa di Gesù ed è piuttosto colto di sorpresa dal suo arrivo (Gv 1,33) e dal suo comportamento (Lc 7,19). Confronto con la storia. Nessuno degli avvenimenti che sono presentati come “pubblici” nei racconti dell’infanzia trovano eco o attestazione nella storia contemporanea. 1) Non c’è nessun convincente avvenimento astronomico identificabile con la stella dei Magi, che viene da oriente, scompare a Gerusalemme ma riappare a Betlemme (città che però è visibile da Gerusalemme!). 2) Anche se lo storico Giuseppe Flavio documenta ampiamente la crudeltà di Erode il Grande, né lui né nessun altro ricorda un massacro di bambini a Betlemme. Il detto proverbiale di Macrobio sovente citato sulla ferocia di Erode verso i suoi figli (Sat. 2.4.11) non è applicabile al massacro di Betlemme. 3) Un censimento universale dell’impero da parte di Augusto non è mai avvenuto, anche se egli ha indetto tre censimenti di cittadini romani. Non è improbabile che Lc 2,1 sia da prendere come una libera descrizione del comportamento di Augusto. 4) Quirinio divenne governatore della Siria nel 6 d.C. L’implicazione da parte di Luca che egli fosse governatore della Siria prima della morte di Erode e che vi abbia condotto un censimento non risulta confermato. 5) Anche se si tratta di un dato da situare su un altro piano, l’idea di Luca che tutti e due i genitori dovevano compiere la purificazione (Lc 2,22) non è supportata da nessuna legge giudaica; da qui i tentativi di alcuni copisti di correggere il testo lucano (“sua” invece di “loro”) per indicare soltanto la purificazione di Maria. Questi sono i dati di fatto e la loro considerazione globale spiega la difficoltà che essi pongono dal punto di vista storico. Qualche volta si opta per una maggiore storicità del racconto di Luca rispetto a quello di Matteo, facendo leva sul fatto che Luca afferma di aver fatto “ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi” e di conoscere i resoconti trasmessi da “coloro che furono testimoni oculari fin dagli inizi”(Lc 1,1-2), e identificando questi testimoni con Maria (o addirittura i pastori). Tuttavia, tenendo conto di quanto Luca dice nel libro degli Atti (cf 1,21-22) questi testimoni oculari sono piuttosto i discepoli che condivisero fin dall’inizio il ministero pubblico di Gesù. Non c’è nessun testo del Nuovo Testamento o della letteratura cristiana delle origini che accenni a Maria come fonte del materiale dei racconti dell’infanzia, e per di più le incoerenze circa il censimento e la purificazione porterebbero a dedurre che il racconto di Luca non può essere giudicato globalmente più storico di quello di Matteo. Come dunque leggere i racconti dell’infanzia dal punto di vista storico e dal punto di vista teologico? 3. La “coerenza” narrativa e teologica dei vangeli dell’infanzia Fra gli edifici costruiti da Erode presso la fortezza, spiccano una piscina di 70x46x3 m, e uno stadio di 350x25 m sul quale si affacciava un grande palazzo, dalla funzione ancora incerta. I vangeli dell’infanzia - pag. 10 con la precedente storia di Israele A proposito dei racconti dell’infanzia, abbiamo visto in una prima riflessione che il loro modo di raccontare, e in parte anche i loro contenuti, si rassomigliano ai modi e ai contenuti con cui i popoli del vicino oriente parlavano della nascita e dei primi anni di vita dei personaggi più importanti della loro storia. In una seconda riflessione abbiamo visto più da vicino in che cosa i racconti di Matteo e di Luca concordano e discordano tra di loro e con la storia. Abbiamo fatto anche un breve confronto con il resto dei vangeli, mostrando soltanto come “nessuna delle informazioni date nei due racconti dell’infanzia riappare chiaramente nel seguito dei vangeli”. Ora riprendiamo quest’ultimo confronto con il resto dei vangeli, per dire che la frase precedente resta vera solo se si parla di “informazioni storiche”, mentre è del tutto da rovesciare se si parla di “informazioni teologiche”. Da questo punto di vista, vogliamo ora far intravedere come i racconti dell’infanzia di Matteo e di Luca sono da vedere, sia in quanto concordano sia in quanto discordano, da una parte come un riassunto, o “compimento”, della precedente storia di Dio con Israele, e da un’altra parte come un anticipo, o una “prefigurazione” profetica, di quello che avviene nel seguito della storia di Gesù con il suo popolo e con la chiesa. Detto con una immagine, i vangeli dell’infanzia sono come i “riflessi” delle montagne sulle rive del lago. Vediamo oggi i “riflessi” che vengono dal passato. Matteo comincia il suo racconto con una genealogia di Gesù che include i patriarchi ebrei e i re giudei. Continua poi mostrando gli avvenimenti soprattutto dal punto di vista di Giuseppe, che riceve gli annunci attraverso dei sogni e scende in Egitto, ricordando da vicino gli avvenimenti di un altro patriarca, “Giuseppe l’ebreo” (come viene popolarmente nominato). Il malvagio re Erode che uccide i bambini di Betlemme evoca ancora il racconto del faraone egiziano che fece uccidere i bambini maschi degli ebrei in Egitto. Gesù, in tal modo, viene a rassomigliarsi a Mosè, salvato dalle acque e a sua volta salvatore del suo popolo. Le parole dette in sogno a Giuseppe dopo la morte di Erode, «va’ nel paese d’Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino», sono quasi uguali alle parole rivolte a Mosè in Madian: «Va’, torna in Egitto, perché sono morti coloro che insidiavano la tua vita!» (Es 4,19). La storia dei magi ricorda anche un altro momento della storia del popolo ebraico. Quando Mosè sta per entrare nella terra promessa, Balak re di Moab chiama il profeta Balaam, che secondo il testo della Settanta viene dall’est (Nm 23,7), per maledire il popolo d’Israele. Balaam, però, rese vani i progetti di distruzione del re di Moab, e profetizzò invece il sorgere di una stella, di un re, da Giacobbe (Nm 24,7.17). Il fondersi delle figure del Faraone e di Balak in quella di Erode può essere stata favorita dagli sviluppi dei racconti su Mosè così come sono attestati da Giuseppe Flavio (Antichità giudaiche 2,9) e da antichi racconti giudaici (midrashim). In essi, il Faraone veniva avvertito in un sogno, interpretato poi dai suoi “sapienti”, che stava per nascere un bambino ebreo il quale avrebbe liberato il suo popolo. A queste notizie, gli egiziani erano presi da timore (cf Mt 2,3: «All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme»). Il piano del Faraone per prevenire l’azione liberatrice del bambino, facendo uccidere tutti i bambini ebrei, viene vanificato dal Signore che appare in sogno ad Amram, la cui Moglie è già incinta di Mosè. Alla genealogia dei patriarchi e dei re, e alla sua narrazione tanto evocativa delle antiche storie di Mosè, Matteo aggiunge cinque citazioni dalle sacre scritture ebraiche per mostrare come esse si trovano realizzate negli avvenimenti dell’infanzia di Gesù. Esse sono in genere introdotte da una formula quasi sempre uguale: «Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta... ». Tutto questo ha portato alcuni studiosi a descrivere il racconto di Matteo come una specie di “ricerca” sui testi biblici (ciò che in ebraico si dice appunto “midrash”) per trovare e scegliere quelli che più sembravano adatti ad esprimere non solo il significato della vita di Gesù, ma anche il suo collegamento con tutta la precedente storia della salvezza del popolo. Anche Luca presenta gli inizi della vita di Gesù come compimento della precedente storia di salvezza, ma lo fa in modo meno ovvio di Matteo. Intanto, anche Luca propone una genealogia di Gesù. A parte il fatto dei nomi diversi (problema che non affrontiamo ora), questa genealogia non si trova all’inizio del vangelo, come in Matteo, ma arriva dopo che Gesù riceve la voce dal cielo nel Battesimo e subito prima che egli cominci la sua azione pubblica. In questo, la genealogia di Gesù in Luca si assomiglia alla genealogia di Mosè nel libro dellEsodo, che arriva come ultimo momento dei “preliminari” che rendono Mosè “competente” a iniziare la sua missione a favore del suo popolo. Se Matteo, dunque, comincia con Abramo che genera Isacco, Luca invece comincia il suo racconto, subito dopo il prologo che riprenderemo a parte, con Zaccaria ed Elisabetta, genitori di Giovanni Battista, i quali tuttavia vengono presentati in modo tale da rassomigliare molto da vicino ad Abramo e Sara. Le due coppie sono le uniche ad essere rappresentate come sterili in tarda età, pur essendo giusti (Gen 18,11; Lc 1,7). L’annuncio fatto soltanto al padre, la risposta di Zaccaria (che è uguale a quella di Abramo in 15,8 «Come posso conoscere questo?»), il rallegrarsi con Elisabetta da parte di quelli che vengono a sapere della nuova nascita (Lc 1,58 e Gen 21,6) sono elementi sufficienti a mostrare che anche per Luca la storia di Dio con Abramo sta all’inizio della storia di Gesù. L’angelo che parla a Zaccaria all’ora dell’incenso è l’angelo Gabriele, che appare anche in Dn 9,20-21 al momento di Tempio di Gerusalemme, ricostruzione ipotetica al tempo di Gesù, sullo sfondo del Monte degli Ulivi ad est. Sul lato sud si ergeva il Portico reale, la Porta Doppia e la Porta tripla immettevano nel Cortile dei pagani. Lungo il muro occidentale (oggi conosciuto come “muro del pianto”) una scalinata portava dal Portico Reale alla strada (Arco di Robinson), lungo la valle del Tiropeon, un passaggio sopraelevato collegava il cortile del Tempio alla Città alta (Arco di Wilson), e un ulteriore ingresso permetteva di entrare dalla strada (Porta di Warren). Sul lato nord, stava la fortezza Antonia, sede della guarnigione romana. I vangeli dell’infanzia - pag. 11 una preghiera liturgica. nella Bibbia. Un confronto delle due apparizioni (l’angelo Gabriele è nominato solo nel libro di Daniele e in Luca) mostra delle indubbie rassomiglianze, incluso il fatto che chi vede la visione resta muto (cf Dn 10,7-15). Ora, se la storia di Abramo sta vicino all’inizio della raccolta dei libri biblici “della legge e dei profeti”, il libro di Daniele era più o meno l’ultimo della raccolta degli “altri libri” (oggi detti “sapienziali”) che concludeva l’insieme dei libri sacri (insieme tuttavia in quel tempo non ancora definito). Gabriele interpretava per Daniele (Dn 9,24-27) le settanta settimane di anni, al cui termine una “giustizia eterna” sarà portata, “visione e profezia” saranno compiute, e “il Santo dei Santi” sarà unto. In tal modo i racconti di Luca si aprono con dei temi che spaziano dall’inizio alla fine della storia della salvezza. Un altro racconto che influisce sui racconti dell’infanzia in Luca viene invece da un momento centrale di questa storia: si tratta della nascita di Samuele. Le parole di Luca «Compiuti i giorni del suo servizio, (Zaccaria) tornò a casa. Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì...», rassomigliano molto a quelle di 1Sam 1,19-20: «Il mattino dopo si alzarono e dopo essersi prostrati davanti al Signore tornarono a casa in Rama. Elkana si unì a sua moglie e il Signore si ricordò di lei. Così al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele». Così pure il canto del Magnificat si ispira al canto di lode di Anna in 1Sam 2,1-10; la presentazione di Gesù al tempio con l’accoglienza del vecchio Simeone riecheggia la presentazione di Samuele al santuario centrale alla presenza dell’anziano sacerdote Eli (1Sam 1,21-2,11); le due descrizioni della crescita di Gesù in Lc 2,40.52 rassomigliano alle due descrizioni di Samuele in 1Sam 2,21.26. In tal modo, mentre il vangelo dell’infanzia di Matteo si muove sullo sfondo dei racconti epici di Mosè e di Giuseppe, i racconti di Luca si muovono piuttosto sullo sfondo dei racconti di Samuele, forse per il loro contesto liturgico e il loro svolgersi attorno al santuario. Per Luca, il vangelo di Gesù comincia e finisce nel tempio (Lc 24,53), e per lui è anche importante la continuità della storia di Gesù con il culto e con la Legge (2,2224.27.39). In modo complementare alla storia di Samuele, il racconto lucano ha anche alcune reminiscenze minori della storia di Davide, come ad esempio la menzione dei pastori e della città di Davide (2,1-20). Oltre ai libri storici, anche i libri profetici influenzano i racconti di Luca. I quattro cantici lucani, il Magnificat (1,4655), il Benedictus (1,68-79), il Gloria in excelsis (2,14) e il Nunc Dimittis (2,29-32) sono riportati all’interno di un contesto o di un’ispirazione profetica. Quasi ogni linea di questi inni riecheggia frasi di salmi o di profeti, al modo della salmodia attestata negli ultimi due secoli a.C. (inni maccabaici e inni di ringraziamento a Qumran). In particolare, il Benedictus è un inno alla “continuità”, con le sue citazioni dei “nostri padri, Abramo, l’alleanza, la Casa di Davide, e i santi profeti di Dio”. L’opera in due volumi di Luca culminerà con Paolo che proclama come Dio ha offerto la sua salvezza alle nazioni e queste hanno ascoltato (At 28,29); per ora essa comincia insistendo su come questa salvezza è in perfetta continuità con Israele. Concludendo questa breve riflessione sui due principali punti teologici comuni ai vangeli dell’infanzia di Matteo e Luca, possiamo constatare una forte affermazione dell’identità di Gesù in termini comuni “cristiani” (Figlio di Davide, Figlio di Dio) combinati con un singolare compendio di narrazioni e tematiche bibliche. In questo modo, i racconti dell’infanzia diventano un ponte che riassume la storia di Israele e anticipa il vangelo di Gesù Cristo. Tratteremo questo secondo aspetto nella prossima riflessione, a commento della lettura evangelica della Domenica III del Tempo Ordinario (25 gennaio 2004) che presenta l’inizio della predicazione di Gesù nella sinagoga di Nazaret. 4. La “coerenza” dei vangeli dell’infanzia con il seguito dei vangeli di Matteo e di Luca Sguardo riassuntivo sul cammino percorso. Riassumendo quanto detto sui vangeli dell’infanzia, abbiamo visto che: 1) Il loro modo di raccontare e in parte anche i loro contenuti, si rassomigliano ai modi e ai contenuti con cui i popoli del vicino oriente parlavano della nascita e dei primi anni di vita dei personaggi più importanti della loro storia, segnalando così fin Sefforis, teatro. Città a sei km da Nazaret, restaurata, sviluppata e fortificata da Erode antipa durante i primi anni di vita di Gesù. Detta talvolta “la città dimenticata”, essa era una città cosmopolita , di grande benessere e bellezza, e giocava un ruolo sociale politico ed economico importante durante la vita di Gesù, anche dopo che Erode spostò la capitale del suo territorio a Tiberiade (18-20 d. C.). Giuseppe Flavio la chiama “l’ornamento della Galilea”. Diversi studiosi ritengono verosimile che Giuseppe e Gesù abbiano lavorato alla sua costruzione come “carpentieri”. Secondo una tradizione, era la città dove risiedevano Gioacchino e Anna, e in questo quadro Giuseppe vi ha potuto conoscere Maria e prenderla come fidanzata. A parte queste supposizioni, un simile contesto fa capire che Gesù è cresciuto in un ambiente ben in contatto con il mondo culturale grecoromano, anche se il mondo evangelico si muove prevalentemente all’interno del mondo agropastorale palestinese. Le origini del teatro di Sefforis restano dibattute. Fu costruito dallo stesso Erode Antipa o risale invece al tardo primo secolo o inizio secondo secolo, con il crescere dell’influenza romana dopo la prima rivolta giudaica? In ogni caso, insieme con le altre strutture importanti della città, è una testimonianza sicura dell’influenza ellenistica al tempo di Gesù. Quando Gesù usa il termine “ipocrita”, tipicamente teatrale, lo fa forse sotto l’influsso degli “spettacoli’ e del “linguaggio” greco della città dove ha lavorato? I vangeli dell’infanzia - pag. 12 dagli inizi il senso provvidenziale della loro opera (cf VN 24 dic. 2000, n. 46, p.7). 2) In una seconda riflessione abbiamo esaminato da vicino i contenuti dei due racconti di Matteo e di Luca, vedendo con precisione dove concordano e dove discordano tra di loro, dove discordano con la storia civile conosciuta, e come anche discordano con il resto dei rispettivi vangeli (cf VN 7 gennaio 2001, n. 1, p. 5). 3) In una terza riflessione, abbiamo visto come i racconti dell’infanzia di Matteo e di Luca sono da vedere, sia in quanto concordano sia in quanto discordano, come un riassunto, o “compimento”, della precedente storia di Dio con Israele (cf VN 14 gennaio 2001, n. 2, p. 5). 4) In questa quarta riflessione, concludiamo riprendendo il confronto dei racconti dell’infanzia con il resto dei vangeli, per mostrare come essi rappresentano un anticipo, o una “prefigurazione” profetica, di quello che avviene nel seguito della storia di Gesù con il suo popolo e con la chiesa. In questo senso, la storia passata di Israele e la storia futura di Gesù e dei cristiani si ritrovano come “eco”e “anticipazione” nei vangeli dell’infanzia, così come i monti circostanti si trovano “riflessi” sulle rive di un lago. Per quanto riguarda la domanda iniziale su come leggere i vangeli dell’infanzia, i punti 3 e 4 sono i più importanti, nel senso che mostrano che la “solidità” che Luca vuole mostrare a Timoteo e ai suoi lettori consiste, per quanto riguarda i racconti dell’infanzia, non tanto nella “esattezza” storica concepita al nostro modo positivista centro-europeo, quanto nella “coerenza” che anche questi racconti evidenziano nell’insieme della storia della salvezza, che Luca mostra appunto come un “compimento”. I vangeli dell’infanzia come anticipazione profetica del resto dei vangeli. Per quanto riguarda i racconti dell’infanzia nel vangelo di Matteo, Giuseppe vi è descritto come un uomo giusto, e nel contesto la sua giustizia consiste nell’osservanza e nel superamento della Legge di Mosè (Mt 1,19). Il tema della “giustizia” sarà un tema importante nel seguito del vangelo di Matteo, e il discorso della montagna comincerà appunto affermando una “giustizia superiore a quella degli scribi e dei farisei” (cf 5,17). Giuseppe accetta la rivelazione sull’identità di Gesù, obbedisce alle indicazioni date dall’angelo e protegge Gesù fino a condurlo sano e salvo a Nazaret. I Magi sono dei pagani che ricevono la rivelazione attraverso il segno di una stella e vengono a Gerusalemme cercando il nuovo nato, re dei Giudei, ma lo troveranno soltanto con l’aiuto delle Sacre Scritture che parlano del Messia atteso. La spiegazione che ricevono dal testo del profeta Michea li conduce a Betlemme dove si affrettano per adorare Gesù. Una terza reazione è esemplificata da quella di Erode, da quella dei capi dei sacerdoti e degli scribi: essi hanno e conoscono i testi delle Scritture sul Messia. Tuttavia, non solo non si muovono per adorare, ma al contrario cercano di eliminare il bambino Gesù (notare il plurale in Mt 2,20: «perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino»). La comunità di Matteo incontrerà tutte e tre queste reazioni. I pagani che diventano discepoli sono chiaramente presenti nel vangelo di Matteo: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20). Giuseppe, che è giusto nell’osservanza della Legge, ed è nello stesso tempo aperto alla nuova rivelazione su Gesù, viene ad essere come l’eroe della storia, poiché per Matteo egli incarna la reazione ideale dei Giudei verso Gesù. In 13,52, l’evangelista loda uno scriba che mette insieme il vecchio con il nuovo: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». Il re Erode, i sommi sacerdoti e gli scribi che vorrebbero distruggere la vita del bambino Gesù anticipano la figura del governatore Pilato, dei sommi sacerdoti e degli scribi che mettono a morte Gesù (cf Mt 27,1-2: «Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per farlo morire. 2 Poi, messolo in catene, lo condussero e consegnarono al governatore Pilato»). Quasi sicuramente, Matteo li mette in relazione con i Farisei che Gesù critica severamente (cf Mt 23) e che trovano un contrasto insanabile tra le loro tradizioni e Gesù. Fin dall’inizio, dunque, nel quadro di Matteo è presente nel giudaismo una duplice reazione verso Gesù, quella del giusto Giuseppe e quella dei sacerdoti, degli scribi e dei sovrani. Passando a Luca, troviamo anche in lui di passaggio un quadro simile, quando dice che Gesù è «luce per illuminare le genti» e «gloria» del popolo di Israele», ma non per tutti in Israele, poiché «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,32-34). In Luca tuttavia questa allusione al fatto che molti in Israele non accetteranno Gesù resta in secondo piano rispetto agli esempi di Giudei osservanti della Legge che invece accolgono la nuova rivelazione data da Dio su Gesù, in particolare Zaccaria, i pastori, Simeone e Anna. In tal modo, l’ombra del rifiuto non è in Luca così oscura come lo è in Matteo. Un’enfasi particolare viene data alla reazione di Maria al momento dell’annuncio di Gesù. Prima figura a sentire parlare di Gesù, Maria è il modello del discepolo secondo i criteri che Luca esporrà nel seguito del suo vangelo: «Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,21); «Mentre diceva questo, una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: «Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!». Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,28). Questo comportamento è esemplificato nella risposta di Maria all’angelo: «Avvenga di me secondo la tua parola» (Lc 1,38), reazione sottolineata subito dopo dalla lode di Elisabetta: «E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45). L’interpretazione del senso della venuta di Gesù espresso nel Magnificat (disperde i superbi, abbatte i potenti, rialza i miseri, sazia gli affamati) è un anticipo del senso fondamentale espresso nel vangelo di Luca con le «beatitudini» e i «guai», questi ultimi non presenti nel testo di Matteo: «Beati voi poveri... ma guai a voi, ricchi... » (Lc 6,20-26). Nel motivo ripetuto che «Maria conservava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19.51), Luca sta presentando Maria come colei cui Dio comunica gradualmente l’interpretazione dei misteriosi eventi dell’infanzia di Gesù dei quali essa è partecipe, e come colei che personifica l’accoglienza della sapienza data da Dio. Alcune traduzioni più corrette di Lc 1,1. In questo contesto lucano, si comprende una delle correzioni apportate dalla traduzione CEI del 1997 proprio nel prologo del vangelo di Luca che si legge nella terza domenica ordinaria dell’anno C. Mentre nella traduzione che ancora si legge nei lezionari si parla in modo neutro di «avvenimenti successi tra di noi», nella nuova traduzione si parla invece di «avvenimenti compiuti», cioè arrivati a compimento: «Poiché molti hanno cercato di raccontare con I vangeli dell’infanzia - pag. 13 ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi». Questa nuova traduzione ha inteso così rendere in italiano uno dei sensi possibili in questo contesto del verbo greco plerophoreo, “arrivare a compimento”, collegando in tal modo gli avvenimenti di Gesù a tutta la storia precedente della Bibbia Ebraica. Curiosamente, un secondo senso possibile del participio perfetto passivo del verbo greco lo troviamo espresso in una traduzione sarda pubblicata nel 1900, che dice: «Essendi chi medas si sunti postus a fai su rapportu de is cosas, chi sunt arricidas in mesu de nosaturus cun prena çertesa...». Il traduttore è anonimo, ma o era ben padrone del greco oppure stava seguendo qualche altro traduttore competente, come ad esempio il Diodati (1607) che aveva tradotto: «Conciossiachè molti abbiano impreso d’ordinare la narrazione delle cose, delle quali siamo stati appieno accertati...». La traduzione della Nuova Diodati (1991) mette in qualche modo insieme i due possibili sensi, dicendo: «Poiché molti hanno intrapreso ad esporre ordinatamente la narrazione delle cose che si sono verificate in mezzo a noi...». In ogni caso, sia queste nuove traduzioni sia quelle alternative più antiche, intendono esprimere quello che appare l’intento di Luca in tutta la sua opera: mostrare la “continuità” della storia della salvezza, pur in mezzo ad alcune “rotture” o “novità” a prima vista sconcertanti, come sarà il superamento dei confini ebraici per arrivare, negli Atti degli Apostoli, a tutte le genti. È del resto il senso fondamentale del discorso programmatico di Gesù nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,16-30). Gesù vi parla da profeta e si mette in continuità di compimento e di rottura con i profeti antichi. In questa “coerenza” che dà senso alle “incoerenze”, e non in una esattezza storica come la intendevano i positivisti centro-europei del secolo scorso, sta quella “solidità” che Luca mette proprio come ultimo termine del suo prologo, della sua ricercata e quanto mai “à la page” dichiarazione di intenti, che qui riportiamo secondo una versione letterale e nell’ordine esatto delle parole greche: «Poiché molti hanno intrapreso a comporre un racconto degli avvenimenti compiuti-verificati in mezzo a noi, quali ci hanno trasmesso i fin dall’inizio testimoni-oculari e diventati servi della parola, è sembrato bene a me pure, avendo tutto seguitoda-vicino fin-dall’inizio, accuratamente, di scrivere per te in-modoordinato, eccellente Teofilo, affinché riguardo alle cose di cui sei stato informato, tu conosca la solidità». Nota Bibliografica: R.E. Brown, voce “Infancy Narratives in the NT Gospels” , in Anchor Bible Dictionary. Testi a cura di Antonio Pinna Istituto di Scienze Religiose di Oristano www.sufueddu.org Masada. complesso del palazzo nord, con le tre terrazze digradanti lungo il costone. Queste tre “ville” erano riservate all’uso privato di Erode. Essendo rivolte a nord, esse offrivano un buon riparo nelle ore più calde del giorno. Torri a scala collegavano i tre livelli. La terrazza inferiore era una sala qudrata di 17,6 m per lato, con una sala “bagni” a un livello inferiore. La terrazza centrale era fondata su mura concentriche, il cui diametro esterno è di 5,3 m. Più in alto di 20 metri, la terrazza superiore era formata da una balconata semicircolare che un piccolo cortile aperto separava da alcune stanze con i muri dpinti a mosaico. I monaci bizantini le suddivisero per usarle come celle nel secolo V. In alto, si intravedono i “depositi”, lunghi dai 20 ai 27 m e larghi 4 m. Essi servivano sicuramente non solo per le necessità dei residenti, ma anche per quelle dei soldati che Erode aveva incessante bisogno di arruolare. Giuseppe Flavio (Guerre Giudaiche 7,295-9) parla di grano, vino, olio, datteri e legumi in quantità sufficienti per diversi anni e ritrovate dopo anni da Eleazaro, capo dei Sicari, e poi dai Romani, quasi cento anni dopo, in stato di ottima conservazione. Le armi di ogni genere ivi ritrovate erano sufficienti per dieci mila uomini, oltre a pelle, ferro e altri materiali non lavorati. La fortezza di Masada fu prima fortificata da Alessandro Ianneo (103-76 a.C.) per difendere il confine orientale, e poi conquistata da Erode il Grande dopo l’uccisione di suo padre Antipatro nel 43 a.C. e ivi nel 40 a.C. fece rifugiare la sua famiglia quando i Parti fecero re Antigone, mentre egli riparava a Roma. La resistenza offerta dalla fortezza contro l’assedio di Antigone, convinse Erode a farne il suo principale rifugio in caso di rivolta dei Giudei o nel caso che Cleopatra avesse convinto Marco Antonio a ucciderlo. La storia di questa e delle altre “fortezze” e “residenze” erodiane, come l’Herodium, danno l’idea del “clima” sociale, politico e culturale in cui viveva Erode. SU FUEDDU Vangelo di Luca. Introduzione narrativa - pag. 14 Ciclo di incontri biblici sul vangelo di Luca Diocesi di Oristano - Anno Liturgico C Nell’anno liturgico C, le letture evangeliche saranno in genere tolte dal vangelo di Luca. Dopo il periodo di Natale, e prima della Quaresima, si fa in tempo solo a iniziare la lettura del vangelo. Proponiamo qui una proposta di lettura continua e narrativa del vangelo e insieme un confronto con le selezioni liturgiche. Introduzione narrativa al Vangelo di Luca e confronto con la lettura liturgica festiva NB. Nei rimandi, le cifre in corsivo indicano una parte di testo saltata nell’uso liturgico del lezionario festivo. 1. PROLOGO: 1,1-2. LA SOLIDITÀ 1.1. Nella lettura liturgica il prologo a tutto il vangelo (1,1-2) viene unito con l’inizio della vita pubblica a Nazaret (4,14-21). Traduzione letterale del prologo: “1 Poiché molti hanno intrapreso a comporre un racconto degli avvenimenti compiutisi in mezzo a noi, 2 quali ce [li] hanno trasmessi coloro [che furono] fin dall’inizio testimoni-oculari e che-sono-divenuti servi della parola, 3 è sembrato bene a me pure, avendo tutto seguito-da-vicino fin-dall’inizio, accuratamente, di scrivere per te in-modo-ordinato, eccellente Teofilo, 4 affinché riguardo alle cose di cui sei stato informato, tu conosca la solidità. 1.2. Appare che lo scopo dell’autore non è quello di informare né quello di assicurare la memoria (molti lo hanno già fatto), ma piuttosto quello di verificare una coerenza. Il vangelo si presenta come un lungo processo di veridizione. 1.3. Se si confronta con la prefazione di Atti (“Il primo discorso l’ho fatto, o Teofilo, riguardo a tutte quelle cose che Gesù ha cominciato a fare e ad insegnare, fino al giorno in cui...”), la prefazione del vangelo appare volutamente “sfocata” dal punto di vista narrativo (Luca non solo non nomina Gesù ma nemmeno dice esplicitamente di quali avvenimenti si tratta; lascia invece al racconto di mostrare a poco a poco i fatti nel loro svolgersi, senza riassumerli in una frase iniziale). L’autore si pone fin dall’inizio in una posizione di “discrezione” rispetto al lettore. 1.4. Niente porta a pensare ad un progetto apologetico: mostrare la “solidità” non risponde ad una esigenza di difesa, ma ad una esigenza di “comprensione” di un’esperienza che viene vista nel suo svilupparsi “coerente” nel tempo e nello spazio. La coerenza viene mostrata nella continuità tra i fatti narrati e la storia biblica (passato), nel vertice (presente) che di questa continuità gli attori stessi del racconto riconoscono avverarsi nei fatti di Gesù, e infine nella posterità (futuro) che questo sviluppo instaura e che sarà ampiamente ed esplicitamente narrata nel libro degli Atti. Nel prologo di Lc, tutto mostra la “augusta antichità del nuovo”. 2. PREISTORIA 1,5-4,13. CHI LEGGE SA 2.1. Il cosiddetto “vangelo dell’infanzia” è letto fondamentalmente nel tempo di Avvento; solo l’episodio delle tentazioni nel deserto 4,1-13 viene letto nella Prima Domenica di Quaresima. Sono però saltati (nella lettura festiva): - l’annuncio di Giovanni a Zaccaria, nel tempio, e il nascondimento di Elisabetta 1,5-25; - la nascita di Giovanni, il cantico del Benedictus e la crescita del bambino 2,57-80; - la predicazione di Giovanni con il riferimento ad Abramo 3,6-9; - la genealogia di Gesù 3,23-38. I salti sono notevoli e nascondono uno degli scopi principali della “solidità” di Luca, quello di mostrare la continuità con il passato biblico di Israele. 1,5-79 (ma si salta sempre 1,80) vengono letti dal 19 al 24 dicembre; 2,22-40 vengono ripetuti il quinto e il sesto giorno dell’Ottava di Natale (oltre che essere letti di seguito il 2 febbraio). 2.2. All’inizio della storia di Gesù le allusioni bibliche sono per lo più all’inizio della storia d’Israele (situazione di Abramo e Sara in filigrana nella situazione di Zaccaria ed Elisabetta). In bocca agli attori “celesti” la “memoria” (passato) evidenzia l’iniziativa divina, in bocca agli attori umani ne esprime il “riconoscimento” (presente) libero e consapevole. 2.3. La “previsione” (futuro) degli avvenimenti, in bocca agli angeli soprattutto, orienta il racconto sul “come” le cose avverranno (“veridizione”; racconto “gnoseologico”). Cfr. avanti, 3.4: previsione sul rifiuto in bocca a Gesù, a Nazaret. 2.4. La “lode”, generalmente in bocca ai personaggi umani e sempre rivolta a Dio (1,25.38.46.64.67; 2,16.20.29; in 2,14 sono gli angeli a lodare), manifesta che il vertice narrativo non è cristologico (presentare il protagonista del racconto, Gesù), ma teologico: l’attenzione non si ferma egoisticamente sui benefici, ma va direttamente al benefattore, per la sua parola di promessa nel passato (1,55.70.73; 2,29) e il suo agire salvifico nel presente (1,54.68.78; 2,30). Tuttavia, si noterà come la lode ha una funzione di “annuncio” (di nuovo, futuro) di una salvezza, di cui nel presente non si vedono che dei segni. Dio viene celebrato in tutte le sue dimensioni: passato, presente e futuro. 2.5. Si noterà lo strano fenomeno letterario: mentre il lettore sa tutto su Gesù, e a partire da ciò che dicono i personaggi, i personaggi stessi, dopo alcune iniziali rivelazioni, sono lasciati in una situazione di non comprensione o di silenzio: Gesù, dopo gli anni di Nazaret, arriverà al Giordano come uno sconosciuto. Se Luca si presenta nei primi capitoli come narratore “onnisciente”, anche se molto “discreto” (dopo l’episodio di Nazaret, invece, solo Gesù è così caratterizzato), lo fa a beneficio dell’onniscienza del lettore. Il racconto conferma il suo carattere “gnoseologico”: per i personaggi, che, avendo avuto alcuni segni, sono costretti poi a entrare progressivamente nella realtà dell’umanità di Gesù; per il lettore, che, posto dall’autore in una posizione di “onniscienza”, avrà modo di vedere chi e come riconosce, o rifiuta, Gesù. 2.6. Le differenze con gli episodi paralleli di Giovanni e le parole che i personaggi stessi si scambiano fra loro fino all’episodio delle tentazioni, mostrano progressivamente Gesù come personaggio Vangelo di Luca. Introduzione narrativa - pag. 15 “competente” per quanto riguarda il sapere (cfr. 2,49; ...), potere (cfr. 3,16; ...), voler-fare (cfr. 4,1-13). Gesù arriva dunque a Nazaret pronto per iniziare il suo ministero “profetico”. 2.7. Si può cominciare a notare che il vangelo di Luca non ha grandi sezioni “tematiche”, come quello di Matteo, ma procede per “riprese” di uno stesso aspetto, sparse lungo tutto il percorso, o per episodi che sviluppano episodi precedenti e preparano episodi seguenti. Si noti ad esempio il tema del “vedere”: molto discreto in questi primi capitoli (cfr. 1,2: “testimoni oculari”; 1,25; 2,1518.20.26.30.48; 3,4-6: “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”, proprio di Lc!), esso troverà in seguito diverse riprese e manifesterà tutta la sua importanza nell’insieme del vangelo: che cosa/chi “vedere”? Cfr. avanti, 3.6.a. 3. IDENTITÀ: 4,14-9,50. I PROTAGONISTI SCOPRONO 3.1. Ciò che dà unità a questa sezione: 3.4. Gesù stesso cita per sé, fin dall’inizio di Nazaret, il detto che “nessun profeta è ben accetto in patria” (4,24), riprendendone il contenuto alla fine della sezione, quando annuncia, senza ancora essere compreso, che “il Figlio dell’uomo” deve soffrire molto (9,22.44). Sulla dinamica profezia-compimento, cfr. sopra, 1.4; 2.3; e avanti, 6.1 e 7. 3.5. Tuttavia si noterà che mai il titolo è riferito in modo diretto a Gesù. Il testo lascia che siano i segni a portare i personaggi a una risposta libera. I due episodi propri a Lc in questa sezione evidenziano le due possibili scelte: positiva in 7,16 nelle parole di tutti dopo la risurrezione del figlio della vedova (“Un grande profeta è sorto tra noi”), negativa in 7,39 nelle parole del fariseo che pur avendo invitato Gesù a pranzo, di fronte al gesto della donna peccatrice esclama: “Se costui fosse un profeta, saprebbe...”. 3.6. Per quanto riguarda le “riprese” di temi (cfr. sopra, 2.7), si rivelano avere valore unificante ancora una volta quelle a) non è la geografia (non c’è un itinerario o uno spazio preciso), né il crescere del “successo” o dell’”opposizione” in Galilea. L’opposizione in Lc appare in modo molto più graduale che non in Mc: i farisei si interrogano anch’essi (cfr. 5,17-6,11; 7,3650); l’ostilità vera e propria appare solo in 9,22.44, e solo come annuncio inaspettato (ripreso come “compiuto” in 24,6-9) e con avversari di per sé diversi dai personaggi degli episodi precedenti. Sull’opposizione, cfr. avanti, 4.2. a) circa il “vedere”: cfr. i rimandi ad Isaia in 4,18 (in posizione centrale), in 7,21-22, e poi in 8,10, dove la prospettiva “discreta” di Luca appare evidente se si confronta il riutilizzo più completo che egli fa del testo isaiano in Atti 28,26-27! Cfr. sopra, 2.7; avanti, 4.3. Vedi inoltre Lc 9,10 (ripreso in 23,8). b) quanto piuttosto il progetto, così come appare dall’episodio di Nazaret: si tratta di “rivelare” ai “poveri” (cfr. 4,18; 6,20; 7,22 ecc.) “chi è” Gesù, “il profeta”, attraverso i segni delle guarigioni e del perdono. 3.7. Si faccia attenzione al fatto che questa sezione è quella che soffre più “tagli” nella lettura liturgica festiva. Sono saltati gran parte del capitolo 5, i capitoli 7 e 8 per intero e l’inizio del cap. 9. Viene ignorata perciò con la maggior parte dei “segni” che devono rivelare chi è Gesù! Delle tre pagine proprie di Lc (la pesca miracolosa con la chiamata dei discepoli 5,1-11, la risurrezione del figlio della vedova 7,11-17, l’episodio della peccatrice perdonata 7,36-49) viene letta solo la prima, la chiamata dei primi discepoli, ma si salta poi l’elezione dei dodici (6,12-16), il loro invio in missione e la conseguente reazione di Erode con le sue domande e il suo desiderio di vedere Gesù (9,1-10), desiderio che sarà ripreso e realizzato nel momento della passione, in 23,8.12, anche questo un episodio proprio a Lc. Vengono saltati anche 9,17-27 (la domanda di Gesù ai discepoli sulla sua identità, la risposta di Pietro, il primo annuncio, generico, della passione e le condizioni per seguire Gesù), e 9,37-50 ( il secondo annuncio, ancora generico, della passione e di nuovo le condizioni per seguire Gesù). Per intero si legge soltanto il “discorso della pianura”, ma saltando di nuovo i vv. 18-19 che abbinavano, di nuovo!, i segni alle parole. Di conseguenza, della sezione restano soltanto: la chiamata dei primi discepoli, le parole del discorso private di ogni riferimento ai segni!, la moltiplicazione dei pani, la trasfigurazione. Del punto di vista proprio di Luca non resta praticamente niente, a meno che non si valorizzi l’episodio di Nazaret in tutto il suo valore di “modello” per ciò che segue. 3.2. Luca sottolinea, in genere solo attraverso le reazioni dei personaggi, la parola potente di Gesù. Il rapporto fra “insegnamento” e “segni” (guarigioni e perdono) sembra più rimarcato: cfr. 4,31-37; 5,15 (solo Lc); 5,17 (solo Lc); 6,18!; 8,1-2 (solo Lc); 9,2.6 (in Lc è il narratore a parlare). Il titolo di “profeta” (cfr. avanti, 4.2.b), sempre in bocca ai personaggi, ha una rilevanza particolare: 4,24.27; 6,23.26; 7,16.39; 9,8.19. NB. Si sarà notato che tutti questi testi sono saltati nelle lettura liturgica! 3.3. Tutti si interrogano sul “profeta” (cfr. avanti, 4.2.b), compresi i farisei e gli scribi. La sezione in cui appare più chiaramente è quella del cap. 7 immediatamente seguente al “discorso della pianura” (e del tutto saltata nella lettura liturgica!): - 7,1-10 (Gesù guarisce il servo moribondo del centurione); - 7,11-17 (Gesù guarisce il figlio della vedova; pagina propria a Lc): conclusione di tutti: “un grande profeta è sorto tra noi”. - 7,18-23: i “segni” come risposta agli inviati del Battista; - 7,24-28: il Battista “profeta” accettato dal popolo e dai peccatori, rifiutato dai farisei e dottori della legge; - 7,29-35: il destino del Figlio dell’uomo identico a quello del Battista; - 7,36-49: episodio della peccatrice perdonata: un fariseo si interroga: “Se costui fosse un profeta...”, e gli altri commensali commentano: “Chi è quest’uomo che perdona anche i peccati?” (7,49: si noti il passaggio da 5,21, dove si diceva: “Chi è costui che pronuncia bestemmie? Chi può rimettere i peccati se non Dio soltanto?”). b) e circa il “regno”: 4,43; 6,20; 7,28; 8,1.10; 9,2.11.27 (tutti testi saltati). Cfr. avanti, 4.1.b (sul “regno”) Non vengono mai letti, nemmeno nei giorni feriali: 8,22-56 (passaggio del lago e domanda dei discepoli su Gesù, l’indemoniato geraseno, la figlia di Giairo e la donna con emorragia); 7,10-17 (ritorno dei discepoli e miracolo dei pani; 9,26-27 (su chi si vergogna del Figlio dell’uomo, i presenti e il regno); 9,37-43a (il figlio unico guarito dopo la trasfigurazione e stupore per la grandezza di Dio). Vangelo di Luca. Introduzione narrativa - pag. 16 4. VIAGGIO: 9,51-19,44. CHI CREDE? 4.1. Questa sezione si estende dal momento in cui Gesù si “dirige decisamente verso Gerusalemme” (9,51) fino al momento in cui Gesù inizia la sua ultima attività all’interno del tempio (19,45). Gli episodi quanto mai vari di questa sezione sembrano inserirsi all’interno di una progressione narrativa e tematica. a) La progressione narrativa suggerisce di distinguere tre sottosezioni, caratterizzate dal fatto che - in un primo momento solo il lettore sa che cosa di preciso accadrà a Gerusalemme (9,51-13,21); - in un secondo momento i discepoli e i farisei ne sono soltanto indirettamente informati (13,22-18,30; cfr. 13,31-35); - e infine un terzo momento in cui i dodici sanno con precisione che cosa accadrà a Gerusalemme (18,31-19,44). b) La progressione tematica trova il suo punto di forza nel concetto del “regno”, collegato evidentemente al fatto che il viaggio stesso è teso verso la “città di Davide” (cfr. 19,38). I verbi di moto segnalano il progressivo “avvicinamento” (andare verso, camminare: 9,51.53; 13,22.33.34; 17,11; avvicinare, salire: 18,31.35; 19,1.11.28,29.37.41; infine, entrare nel tempio: 19,45...). In Mc e Mt, il regno è detto “venire” fin dall’inizio; in Lc, invece, Gesù parla sì del regno fin dall’inizio (cfr. 4,43), ma esso si fa “vicino” soltanto durante il viaggio verso Gerusalemme (cfr. 10,9.11; 11,20; 17,20; 19,11). Notiamo le riprese circa le componenti del “regno”: - Condizioni per entrare nel regno: 9,57-62; 12,22-32; 18,15-17; 18,18-30; - soprattutto la “conversione”: c’è chi si converte e chi no: 10,8-16; 11,29-32; 13,1-9; 15,7.10.32; 16,30-31; 17,3-4; su questo tema nelle altre sezioni cfr. 1,16.17; 3,3.8; 5,32; 22.32 (Pietro!); 24,47. Il modo con cui questo tema è trattato (cfr. ad es. le particolarità di Lc nella parabola della pecora smarrita e nella figura di Pietro!), precisa il modo “storico” e positivo con cui Luca vede le cose: c’è una “crisi di mezzo” che può ri-orientare antiche energie verso un nuovo cammino (cfr. 10,29-37; 14,28-33; 15,17-19; 16,1-8; anche 7,1117; “passaggio” da Gerusalemme a Roma;...). Non è un caso che Luca abbia le storie più note sul mutamento di condotta (Zaccheo, il figlio prodigo, l’amministratore...). - Quando verrà? 10,9.11; 11,20; 17,20-25; 19,11; - Come viene? 11,14-23; - Qual è? 13,18-21; - Quali sono i suoi destinatari? 13,23-30; 14,15-24; 16,16; - Quale Re? 11,29-32; 18,31-19,44 (Il cieco di Gerico e il Figlio di Davide; Zaccheo e il “pastore” di Ez 34,16 in cerca delle pecore perdute; la parabola delle mine e l’uomo di nobile stirpe che riceve il titolo di re, l’ingresso regale a Gerusalemme). In totale, i riferimenti al regno in questa sezione sono circa venti. Notiamo infine il parallelismo e la progressione tra la fine della prima sezione (confessione in privato di Pietro su Gesù “messia”, 9,20) e la fine della seconda (confessione pubblica delle folle su Gesù “re”, 19,11.38). 4.2. Se la “salita” (concreta e simbolica) verso Gerusalemme è la punta narrativa che porta avanti il discorso, lo scopo finale resta quello di mostrare come i rapporti tra i personaggi vengono a precisarsi nei confronti di Gesù. a) Il titolo di “profeta” (cfr. sopra, 3.2. e 3.3) non appare più sotto il tono della ricerca o della domanda degli attori, ma si trova solo in bocca a Gesù ed evoca fin dall’inizio del viaggio il destino degli “inviati”: 10,24; 11,29-32; 11,47-48.50 (proprio di Lc); 13,28.33 (propri di Lc).34. Gesù del resto proclama la sua identità fin dall’inizio della sezione: 10,21-22; 11,31-32. b) I “segni” che vengono menzionati (in numero minore rispetto alla sezione precedente) non hanno più lo scopo di “rivelare” chi è Gesù, ma piuttosto quello di introdurre o provocare una discussione su di lui, svelando eventualmente le radici del rifiuto: cfr. 11,14 in vista dei vv. 15-16; 13,11-13 in vista di 14-17; 14,4b in funzione di 1-4a e 5-6; 17,14 in vista di 17,18; 18,35-43 è solo apparentemente un’eccezione (termina con la lode a Dio), ma si noterà che in ogni caso il segno, diversamente che nella sezione 4,14-9,50, non è in vista del “riconoscimento” di Gesù. c) Si delinea un’opposizione dei farisei, ma rispetto a Mc, dove si tratta subito di una inimicizia “mortale” (Mc 3,6!), in Lc essa cresce in modo più graduale . Cfr. 11,39.42-43.53; 12,1.(50-52); 13,31 (i farisei avvertono Gesù del pericolo incombente da parte di Erode!); 14,1.3 (un fariseo invita Gesù a pranzo!); 15,2; 16,14; 19,20.39. Sull’opposizione, cfr. sopra, 3.1.a. 4.3. Per quanto riguarda le riprese, segnaliamo di nuovo soltanto quella circa il “vedere”: il passaggio dal vedere “fisico” a quello “spirituale” appare soggiacente alla successione degli episodi del cieco di Gerico (18,35-43) e di Zaccheo (19,1-10). Cfr. sopra, 3.6.a. Vedi inoltre: 10,23-24 (in Lc in disparte ai discepoli); 19,42 (proprio di Lc); cfr. anche 24,16.31! nell’ultima sezione (cfr. avanti, 6.3). 4.4. Non vengono mai letti, nemmeno nei giorni feriali: 11,3336 (sulla luce e sull’occhio); 12,22-31 (conclusione sulla provvidenza e sulla ricerca del regno); 14,34-35 (sul sale); 16,16-18(la Lege e i Profeti fino a Giovanni, il regno e la violenza, il ripudio e l’adulterio); 18,1534 (i bambini e il regno; il notabile ricco e osservante; dialogo con Pietro sulla ricompensa; precisione ai dodici su che cosa accadrà a Gerusalemme!). 5. NEL TEMPIO: 19,45-21,38. LE DECISIONI FINALI 5.1. L’estensione della sezione corrisponde al cambiamento di spazio, di attori: scompaiono farisei e “folle”, entrano “popolo” e sommi sacerdoti - scribi (19,47; 20,19; 22,2 .4); cambia il tipo di azione: dalla opposizione graduale si passa alla inimicizia “mortale”. Si può dire che è la sezione più mortificata dalla lettura liturgica. Larghe parti vengono saltate anche nella lettura feriale, e perciò non vengono mai lette: 20,1-26 (discussione sull’autorità e su Giovanni Battista; parabola della vigna affidata ad altri servi e la pietra scartata dai costruttori; discussione sul tributo a Cesare); 20,4147 (discussione sul Cristo figlio di Davide e messa in guardia contro gli scribi); 21,37-22,13 (sommario sugli ultimi giorni tra Gerusalemme e il Monte degli Ulivi, decisione dei sommi sacerdoti e sscribi di uccidere Gesù, preparazione della Pasqua). 6. LA PASSIONE: 22,1-23,56. I RICONOSCIMENTI PARADOSSALI 6.1. Il richiamo (memoria) alla parola biblica continua ad essere implicito, eccetto in 22,37 (proprio di Luca): “Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo termine”. Ciò che viene sottolineato nel seguito del racconto della passione fa di questo testo e delle altre “predizioni” di Gesù (annuncio del Vangelo di Luca. Introduzione narrativa - pag. 17 tradimento di Giuda e del rinnegamento di Pietro) l’elemento dinamico della narrazione. (Sulla dinamica profezia-compimento, cfr. sopra, 1.4; 2.3; 3.4; e avanti, 7.) Tutto ciò che avviene realizza le parole della Scrittura e di Gesù: - 22,52: “Siete usciti con spade e bastoni come per un brigante?”; - 23,2 (Lc): “Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re”; - 23,5: riprende 23,2; - 23,14 (Lc): Pilato riprende, per negarle, le accuse di 23,2.5; - 23,19: “(Barabba) era stato messo in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio”; - 23,25 (Lc): “(Pilato) rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e per omicidio”; - 23,32: “Venivano condotti insieme con lui anche due malfattori per essere giustiziato”; - 23,33: “là crocifissero lui e i due malfattori...”; - 23,39 (Lc): “Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava...”; - 23,41 (Lc): uno dei malfattori: “noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. Gesù, posto a livello di un malfattore, viene infine dichiarato innocente: diverse volte da Pilato (23,1-7.13-25), da Erode (23,15: lo sappiamo da Pilato), dal “buon ladrone” (23,41), dal centurione (23,47), indirettamente dalle folle (23,48). In conclusione, gli attori del racconto sono riconosciuti nella loro verità: Gesù innocente e gli altri, almeno le folle, peccatori pentiti. 6.2. Le contraddizioni rivelatrici: l’innocenza appare anche nel fatto che tutti i personaggi si contraddicono, senza che Luca lo sottolinei esplicitamente. Il sinedrio: accusa Gesù di sommossa, e chiede la liberazione di Barabba (Luca non lo nomina mai, ma è una delle poche volte che dà un’informazione diretta su un personaggio come narratore, dicendo che è stato messo in carcere “per una sommossa”). Il popolo: Gesù è accusato di sobillare il popolo, che lo ascoltava ogni giorno nel tempio (19,48!), ma è il popolo che ne chiede ora la morte: l’accusa si smentisce da sola. Erode stesso (23,8-12). Pilato: riconosce più volte l’innocenza di Gesù e alla fine lo abbandona “alla volontà” degli accusatori, che dunque sono essi ai limiti della rivolta. La menzogna non impedisce la verità, anzi, paradossalmente e ironicamente, la verità appare nel momento stesso in cui la menzogna si afferma e si contraddice. 6.3. Circa la ripresa del “vedere”: Lc insiste sui testimoni di quanto “accaduto” sul calvario: centurione, folle, donne, 23,4749.54. Così anche, nella sezione seguente (7) del cap. 24, Lc insiste in diversi modi sul “vedere” il risorto: cfr. soprattutto 24.16.31 e 24,36-43, proprio di Lc. Tutto favorisce la “solidità” del suo scritto, e la ripresa sulla “conversione”. 7. PASSAGGIO AI TESTIMONI: 24,1-53. CHI LEGGE NON SA, MA DEVE PASSARE ALL’ASCOLTO DELLA COMUNITÀ TESTIMONE (Libro degli Atti degli Apostoli) All’inizio il lettore ne sapeva più dei protagonisti e poteva verificare come essi arrivavano a conoscere Gesù e a decidersi per lui o contro di lui; durante il racconto, poi, egli si è trovato sempre di più nella stessa posizione dei protagonisti (soprattutto nelle parabole); ora, alla fine, egli arriva invece a saperne di meno degli attori stessi: infatti, per due volte Luca dice che Gesù “cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (24,27; cfr. vv. 25-26.45), ma lascia il lettore all’oscuro dei contenuti di queste lunghe “lezioni bibliche”. Se il lettore ne vuole conoscere il contenuto, deve in realtà sia tornare al punto di partenza del vangelo, dove si ricorda che ciò che è stato scritto dipende da quelli che furono “testimoni oculari fin da principio” (1,2), sia proseguire nella lettura del libro degli Atti, in altre parole deve mettersi in ascolto all’interno della comunità dei testimoni che viene annunciata esplicitamente (Lc 24,48; At 1,8) e implicitamente (5,1-11 e 22,24-36). Il testo di Luca non si è mai definito “vangelo” e ora ne comprendiamo il perché: lo scritto è solo una parte di quella “buona notizia” che il credente conosce per intero solo prendendo parte alla vita della comunità dei credenti e testimoni. Bibliografia Aletti, Jean-Noël, L’arte di raccontare Gesù Cristo. La scrittura narrativa del vangelo di Luca, Editrice Queriniana, Brescia 1991, pp. 228. Aletti, Jean-Noël, Il racconto come teologia. Studio narrativo del terzo Vangelo e del libro degli Atti degli Apostoli, Edizioni Dehoniane, Roma 1996. Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1993 (soprattutto le pp. 36-44 sui “nuovi metodi di analisi letteraria”).