GIUSEPPE PETROCCHI ARCIVESCOVO DI L’AQUILA della Pasqua. Se questa Luce si posa su di noi, allora il bene viene “con-diviso” e si moltiplica; il positivo umano viene assunto e trasformato nel Positivo divino; la giustizia e la gioia si radicano nei cuori, portando frutti che rimangono (cfr. Gv 15, 16). Anche nell’affrontare i problemi, che spesso ci assillano, bisogna muovere i primi passi andando, anzitutto, verso Gesù, e solo dopo essere “rimasti” con Lui - nella preghiera e nella celebrazione dei sacramenti - troveremo il coraggio e la forza di dirigerci verso le difficoltà che ci avversano, per superarle e trasformarle in opportunità di bene. Infatti, affrontare un problema, da cristiano, significa anzitutto “illuminarlo” con la Parola, gestirlo nella carità, attraversarlo con la speranza, condividerlo nella comunione fraterna. S e in noi agisce la potenza del Risorto, non c’è freddezza che non possa essere riscaldata, non c’è nodo che non possa essere sciolto, non c’è montagna che non possa essere spostata, non c’è abisso da cui non si possa risalire, non c’è morte che non possa essere riscattata e riconsegnata alla Vita. Al contrario, se cercassimo soluzioni autocentrate, rimanendo privi della luce e della grazia del Signore, saremmo come specchi freddi e privi di luce: inevitabilmente, finiremmo per disperdere, invece di raccogliere (cfr. Mt 12,30). I l 6 aprile del calendario 2015 (sesto anniversario del sisma), coincide con il “lunedì dell’Angelo”, giorno in cui è annunciata la vittoria di Cristo sulla morte. Ricordiamo, una ad una, le 309 vittime del terremoto, le loro famiglie e le persone che sono state ferite nell’anima e nel corpo. Le affidiamo tutte a Maria, Consolatrice degli afflitti, perché le renda partecipi della Pasqua del Signore. I n Lei, “Donna vestita di Sole” (cfr. Ap 12,1), risplende - come in uno specchio immacolato la gloria del Risorto e da Lei si sprigiona verso ogni creatura il fulgore della Vita divina. Perciò, “come” Maria e “con” Maria, lasciamoci raggiungere dalla Luce della Pasqua, per riflettere, in ciò che siamo e facciamo, la verità, l’amore e la bellezza di Dio. Così, diventeremo anche noi “bagliori vivi” del Vangelo, lasciando intravedere, già da ora, la gloria del mondo che verrà! Con un abbraccio forte e cordiale + Giuseppe Petrocchi Arcivescovo Arcidiocesi di L’Aquila © Copyright - Riproduzione riservata Supplemento al numero 3/2015 di www.diocesilaquila.it - www.volalaquila.it Arti Grafiche Aquilane MESSAGGIO ALLA COMUNITÀ ECCLESIALE E CIVILE PER LA PASQUA 2015 Vivere la Pasqua, per diventare “riflessi vivi” del Signore risorto L a Pasqua non è solo un fatto storico da rievocare, ma un evento di salvezza da vivere. Fare-Pasqua, perciò, significa vincere, con Gesù, ogni morte (che è mancanza di verità, di amore e di bellezza), per entrare e crescere nella Vita (che è comunione con Dio, con se stessi e con gli altri). Non siamo noi gli “autori” della nostra redenzione: ma siamo quelli che la accolgono e, con il loro “sì”, la rendono efficace, qui e ora. Infatti, la Pasqua è avvenuta in Gesù, una volta per tutte (cfr. Eb 7,27): ma attende la libera e personale corrispondenza, per diventare la “nostra” Pasqua. R ecentemente ho visto in televisione l’impressionante scena di un soccorritore che, agganciato ad un robusto cavo, si calava da un elicottero su un mare in burrasca, per soccorrere un naufrago, ferito e incapace di salvarsi da solo dalla furia delle onde. Quando lo ha raggiunto, in mezzo alla tempesta, lo ha preso e legato a sé; poi ha iniziato la faticosa risalita, per portarlo al sicuro. Mi è venuto in mente Gesù, disceso nell’abisso del male in cui siamo caduti, per afferrarci, per MESSAGGIO ALLA COMUNITÀ ECCLESIALE E CIVILE PER LA PASQUA 2015 unirci a Sé e - se lo vogliamo - per ricondurci sulla “terra ferma” del Regno di Dio. Dalle “acque di morte”, agitate dal peccato, non ci affranchiamo da soli: la possibilità di approdare sui lidi della Vita, ci è donata. Ciascuno di noi tuttavia, come quel naufrago, deve lasciarsi abbracciare dal Soccorritore, se vuole emanciparsi dall’egoismo in cui annaspa. Abbiamo la libertà di aderire al Bene, che ci è dato gratuitamente, ma disponiamo anche della “facoltà del no”, con cui possiamo rifiutare l’aiuto che ci viene proposto. Se facciamo queste scelte, miopi ed “escludenti”, rimaniamo intrappolati nella malizia e nella tristezza. I ncontrare Gesù, nella Pasqua, significa entrare in contatto con la Sua potenza redentiva, che ci cambia radicalmente, perché ci rende partecipi della Sua risurrezione. La verità, l’amore, la bellezza, che da Lui promanano, ci avvolgono e ci trasformano: così, lasciandoci guarire e rinnovare dalla grazia, diventiamo sempre più simili a Lui. Ecco perché, essendo stati salvati, possiamo a nostra volta diventare “sacramenti vivi” di salvezza per gli altri. Come una barra di ferro, immersa nel fuoco, pur mantenendo la sua natura “metallica”, acquisisce le “proprietà” termiche della fiamma e le trasmette all’ambiente in cui si trova (infatti, diventa incandescente, emanando luce e calore), così anche noi, se siamo “accesi” dalla carità di Cristo, che lo Spirito diffonde nei nostri cuori, diventiamo capaci di diffondere il Suo stesso amore. Infatti, noi possiamo amare “come” Lui (cfr. Gv 13,34), poiché è il Signore stesso che ama in noi (cfr. Gv 15,1-6): ecco perché la nostra carità diventa capace di produrre gli stessi effetti del Suo amore (cfr. Gv 14,12). Per questo chi incontra noi, dovrebbe in noi incontrare Lui. Sta qui la vocazione e la missione di ogni discepolo del Signore: crescere nella conformazione a Lui (cfr. Fil 3,10), per testimoniare e comunicare il Vangelo agli altri (cfr. Gv 17,20-23). I n questo orizzonte discorsivo, mi viene in mente un’altra immagine, che ha la forza simbolica e i limiti di ogni analogia. Quando eravamo ragazzini, giocavamo spesso con piccoli pezzi di specchio, con i quali ci divertivamo ad “inviare” fasci di luce sugli ambienti in cui ci aggiravamo, specie i più oscuri. La tecnica era semplice e molto nota: occorreva polarizzare gli specchi sul sole, perché splendessero della stessa luce; poi, mantenendo costante quella “centratura”, bisognava ruotare la superficie degli specchi affinché i raggi si riflettessero nella direzione voluta. Lo specchio non produceva la luce che lo “abitava”, ma, avendola ricevuta dall’Alto, poteva rifrangerla liberamente, permettendo così che arrivasse anche nei luoghi dove non sarebbe giunta. Infatti grazie a quei “riverberi”, alcuni settori, coperti dall’ombra, si rischiaravano e acquistavano piena visibilità; così come diventava possibile accendere il fuoco, per combustione, facendo convergere i raggi solari su pezzi di carta, sui quali venivano posti alcuni rami secchi. Perché il “gioco” riuscisse, dunque, occorreva garantire due condizioni: la prima è che lo specchio rimanesse sempre focalizzato sul globo solare; la seconda è che - mantenendo quella “connessione” - si trovasse l’angolo giusto per proiettare la luce verso i punti prescelti. Se, infatti, lo specchio fosse stato orientato solo verso il sole, avrebbe rinviato la luce alla sua fonte, senza però arricchire altri spazi del dono che aveva ricevuto. Se, al contrario, lo specchio fosse stato posto davanti ad un ambiente oscuro, senza prima essere messo “in asse” con il sole, avrebbe riprodotto in sé le ombre con cui si interfacciava, senza vincerle e fugarle. È evidente che l’integrità e la pulizia dello specchio favoriscono la buona rifrazione della luce: infatti, una superficie rovinata e opaca svolge con scarsa efficacia e in modo alterato la sua funzione “riflettente”. L’ analogia dello specchio, così ricca di applicazioni pratiche, ha pure una importante valenza biblica. Infatti, san Paolo, parlando della nuova alleanza che Dio ha siglato con noi nella Pasqua di Cristo, afferma: «noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello spirito» (2Cor 3,18). Dunque ogni cristiano, per essere vero “specchio della gloria”, deve anzitutto centrarsi su Gesù, che incontra nella Chiesa, lasciandosi raggiungere dal Vangelo e dalla Vita nuova che Egli ci dona; poi, è chiamato a impegnarsi nel mondo in cui opera, per rifrangere, in parole e in opere, la luce della Pasqua sulle persone e sulle situazioni che incontra, specie nelle “periferie esistenziali”. P erciò, nel progettare la nostra storia occorre anzitutto partire da Gesù. Solo così possiamo immettere, nel tempo che viviamo, la novità