L’ATTUALITA’ DI MATTEI
di Claudio Moffa
www.mastermatteimedioriente.it
MATTEI, L’ “IMPRENDITORE ERETICO”
Cominciamo dalle fondamenta, che è allo stesso tempo cronaca dei nostri giorni,
l’economia mondiale in crisi, la rovina di tantissimi lavoratori e famiglie, i timidi o difficili
tentativi di reazione del capitalismo industriale produttore di ricchezza reale, ai contraccolpi
borsistici della finanza transnazionale. Una dialettica oggi forte e eclatante, dopo che alla svolta
del secolo il rapporto fra capitale industriale e capitale finanziario ebbe raggiunto il gap di 1 a
10, ma vecchia quasi quanto il capitalismo e già esistente al tempo di Enrico Mattei: figura
eccezionale – il fondatore e presidente dell’ENI - di capitalista di stato, sostenitore del sistema
misto pubblico-privato, produttore come pochi capitani d’industria italiani di “ricchezza reale”
per il benessere e lo sviluppo del suo paese: a cominciare, ma non solo, dalla metanizzazione
dell’apparato produttivo nazionale
Come si collocava Enrico Mattei rispetto a questo allora sotterraneo confronto fra due
mondi che solo certo schematismo “marxista” può ridurre ad una monolitica realtà? Disegnando
le storie parallele e antagoniste di Raffaele Mattioli e Enrico Cuccia, Giancarlo Galli così
inserisce nel suo Il Padrone dei Padroni. Enrico Cuccia, il potere di Mediobanca e il
capitalismo italiano, la vicenda Mattei e il capitolo oscuro della sua morte, il 27 ottobre 1962:
«Qualunque sia stata la causa della sua morte, fra i “nemici” si collocava, in primissima fila,
lo gnomo di via Filodrammatici (…) Fu a cena da Enrico Mattei... che sentii per la prima volta
nominare Enrico Cuccia… disse Mattei: “È molto bravo, sa dove vuole andare, e bisognerà
fare i conti con lui. Se passa ci distrugge... Qui stanno le divisioni di Cuccia: i francesi, gli
americani, i tedeschi, gli ebrei...” Baldacci [direttore del “Giorno”] fece presente che “è uomo
di Mattioli, un amico”; al che Mattei scosse la testa, con un “ne riparleremo” pieno
d’irritazione” » 1.
Due mondi e due visioni del mondo diversi, quelli del finanziere laico e azionista Cuccia
e dell’imprenditore cristiano e democristiano Mattei: da una parte Cuccia con la sua morbosa e
calvinisteggiante bramosia per il Denaro – per lui «il danaro è numero, e nei numeri risiede la
geometria cosmica del potere…» 2 - e col suo progetto totalitario teso al «primato della finanza
e del suo supercapitalismo sulla politica, evitando gli errori del comunismo e del keynesismo o
capitalismo statalistico» 3. Un Cuccia proiettato sul piano internazionale per il tramite del
Gruppo Lazard, la grande banca dell’ ‘anticomunista viscerale’, masson-socialista e radicale
ebreo francese André Meyer.
Dall’altra Mattei, amico di Nasser e alleato “organico” del mondo arabo e islamico
mediorientale; alieno alla sudditanza prona ai circoli finanziari ebraici dei suoi tempi
1
Giancarlo Galli, Il Padrone dei Padroni. Enrico Cuccia, il potere di Mediobanca e il capitalismo italiano, Garzanti,
Milano 1995, pag. 80
2
Idem, p. 41.
3
http://www.doncurzionitoglia.com/mattiolcuccia.htm.
1
ricordatigli dal sottosegretario agli Esteri Folchi in una lettera del 1957 4, in modo non dissimile
dai suoi coevi Eisenhower, come lui in contrasto con Israele durante la crisi di Suez del 1956; e
forse Kennedy, con cui non a caso Mattei avrebbe dovuto incontrarsi se non fosse stato ucciso
un anno prima dell’attentato di Dallas; fascista “rivoluzionario”, il diciottenne Enrico, ma poi –
dopo essere diventato imprenditore e aver conosciuto a Milano gli ambienti cattolici antifascisti
di Boldrini - comandante partigiano durante la Resistenza, stimato dal comunista Luigi Longo.
Mattei patriota convinto in un’epoca in cui il termine “patria” era tabù; edificatore di una
impresa che aveva al suo centro sia un’idea di lavoro per la creazione di ricchezza reale, sia il
fattore umano: “gli uomini”, come ci ricordano i filmati sull’attività dell’ENI da lui voluti e
come sanno bene i suoi ex collaboratori ancora memori del suo carisma e della sua carica
umana. Mattei, infine, che all’opposto dell’elitario Cuccia, una delle eminenze grigie di
Tangentopoli, era stato fra i protagonisti indiscussi della costruzione della democrazia
parlamentare repubblicana fondata sui partiti di massa e sulla effettiva partecipazione del
popolo alle vicende politiche nazionali.
Oggi quel mondo è pressoché scomparso, con la fine del bipolarismo sul piano
internazionale e, su quello interno, con Tangentopoli e l’abbandono del proporzionale, due
eventi-processi sorretti dalle micidiali campagne di stampa del “centrosinistra finanziario”:
eppure proprio per questo l’eredità di Mattei resta forte e suona come un monito, un esempio
utile – certo in una situazione storica radicalmente diversa - su come affrontare l’attuale crisi
“di sistema”.
Qualcuno ha evocato il 1848 per spiegare le agitazioni di questi giorni: non so nulla delle
specifiche argomentazioni del paragone – non ho letto gli articoli di riferimento - ma comunque
l’evocazione-confronto è per metà vera e per metà fuorviante: vero il confronto, perché oggi è il
mondo della finanza e dell’economia borsistico-virtuale a minacciare le fondamenta di quella
reale, composta di parti differenziate e fra sé anche fisiologicamente conflittuali, ma comunque
entrambe sottoposte hic e nunc alla supremazia e all’anarchia distruttrice del capitale bancariofinanziario. Come appunto accadde nel 1848 descritto mirabilmente – per quel che riguarda la
Francia di Luigi Filippo controllata dalla finanza dell’epoca – da Marx nel suo Le lotte di
classe dal 1848 al 1850 in Francia: una raccolta di articoli pieni di strali feroci ed “estremisti”
contro “l’aristocrazia finanziaria” salita al potere con Luigi Filippo nel 1830 5; contro “la
dinastia Rothschild”; contro gli speculatori di borsa parassitari che non erano altro secondo
Marx che «la riproduzione del sottoproletariato alla sommità della società borghese» (come
dire – secondo la drastica categorizzazione di Marx - la parte delinquenziale della borghesia); e
con la sia pur temporanea fotografia, nel libello di Carlo Marx, di «un compromesso tra le
diverse classi» come base dell’abbattimento del trono di Luigi Filippo nella rivoluzione di
febbraio del 1848: proletari e borghesi produttori, insomma, uniti contro la cricca dei parassiti
di Borsa che, speculando e usando a loro profitto il debito costante dello Stato 6, minavano la
4
Claudio Moffa, Dalla guerra di Suez all’attentato di Bascapé: l’ombra di Israele sul “caso Mattei”, in AA.VV:
Enrico Mattei. Il coraggio e la storia, a cura di Claudio Moffa, Roma 2007.
5
«Dopo la rivoluzione di luglio il banchiere liberale Laffitte, accompagnando il suo compare, il duca di Orléans, in
trionfo all'Hôtel de Ville, lasciava cadere queste parole: "D'ora innanzi regneranno i banchieri"». E’ l’inizio de Le Lotte
di classe in Francia dal 1848 al 1850 di Marx..
6
«L'indebitamento dello Stato era, al contrario, l'interesse diretto della frazione della borghesia che governava e
legiferava per mezzo delle Camere. Il disavanzo dello Stato era infatti il vero e proprio oggetto della sua speculazione e
la principale fonte del suo arricchimento. Ogni anno un nuovo disavanzo. Dopo quattro o cinque anni un nuovo
prestito offriva all'aristocrazia finanziaria una nuova occasione di truffare lo Stato che, mantenuto artificiosamente
sull'orlo della bancarotta, era costretto a contrattare coi banchieri alle condizioni più sfavorevoli. Ogni nuovo prestito
2
ricchezza reale prodotta dal lavoro francese co-creato - in una dialettica interna comprensiva
anche di vessazioni e dunque conflitti - da lavoratori e capitalisti.
Ma è falso e fuorviante, il confronto fra oggi e il 1848, per quanto appena detto: e cioè non solo
perché di opposizione “proletaria” almeno per ora non se ne vede granché, ma anche perché sul
piano soggettivo la protesta giovanile odierna rischia di essere strumentalizzata proprio dagli
eredi del XXI secolo di quel milieu finanziario – vera causa della crisi attuale - contro cui Marx
giovane nel libello appena citato - scritto vent’anni prima delle ben diverse teorizzazioni de Il
Capitale (il cui paradigma è tutto rivolto contro la borghesia industriale, fino alla assurda
marginalizzazione delle figure del banchiere e del commerciante a meri “commessi” del
capitano d’industria: teoria, anche all’epoca, ben opinabile) - scagliava i suoi strali infuocati.
C’è già chi – ma non è Armani o Valentino – vuole mettere il vestito d’ordinanza al movimento
di protesta studentesco: con rigida esclusione della kefiah, ovviamente 7.
Ora, rispetto alla dialettica odierna fra economia reale e economia bancario-finanziaria –
contornata e operante da assetti istituzionali e tecnologici assolutamente diversi rispetto a quelli
dei tempi di Mattei: dai comizi all’era informatica, dai partiti di massa ai partiti “leggeri” che
sopravvivono senza “sezioni popolari”, solo grazie allo strapotere dei grandi mass media – non
c’è alcun dubbio che oggi il fondatore dell’ENI sarebbe per il compromesso interclassista fra le
classi produttive minacciate dal mondo della finanza “selvaggia”. Un compromesso che
riecheggia indirettamente nella diffidenza di Mattei verso Cuccia e del quale comunque fu
esempio significativo l’azienda ENI: i cui ex collaboratori di Mattei hanno sempre sottolineato
lo spirito di impresa come sua linfa vitale, la coscienza di lavorare a qualcosa di grande e
importante per il bene del paese, secondo costanti suggerimenti dal suo presidente: con dirigenti
che si sobbarcavano volentieri impegni e riunioni extraorario senza pretendere gli esosi stipendi
d’oro dei loro attuali eredi: animati da un ideale produttivistico che oggi cozzerebbe con le
pietose esaltazioni del non sviluppo alla Latouche o con i miti infausti e neoconservatori
dell’estremismo ecologista.
Una visione dell’impresa e del rapporto lavoratore-dirigente d’industria, quella di Enrico
Mattei, che lo accomunava all’epoca a un altro grande industriale suo coevo, anche lui
promotore di una cultura industrialista e allo stesso tempo umanitaria: l’ebreo Adriano Olivetti
– con cui Mattei ebbe ottimi rapporti – grande dirigente di una azienda che allora era
all’avanguardia nel panorama dell’industria italiana, con i suoi prodotti eccellenti a cominciare
dalla mitica Lettera 22, e con la sua “filosofia” d’impresa capace di rispetto vero per i
lavoratori.
Epoche storiche radicalmente diverse, dal 1848 agli anni Sessanta del secolo scorso, ad oggi:
ma comunque sottese dalla stessa dialettica fra capitalismo industriale e capitalismo
finanziario”puro” che sembra continuare ancor oggi, almeno in parte, o almeno in Occidente,
secondo “medesimi” protagonisti: con la vicenda Fazio ad esempio, il governatore della Banca
d’Italia accusato anche lui di essere un po’ come Raffaele Mattioli 8, ma sul versante della
era una nuova occasione di svaligiare il pubblico …». Carlo Marx, Le Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850,
prefazione di F. Engels, Uffici della Critica Sociale, 1896 – Milano, Feltrinelli Reprint, s.d., p. 25-26.
7
Così Repubblica in un suo articolo di cronaca sul modo di vestire degli studenti in rivolta di qualche giorno fa: non è
la prima volta che il quotidiano di via Colombo descrive o per meglio dire diffonde le “regole” del modo di vestire dei
movimenti di protesta: anni fa fu la volta dei “girotondini” di Nanni Moretti.
8
Giancarlo Galli, Il Padrone dei Padroni. Enrico Cuccia, il potere di Mediobanca e il capitalismo italiano, Garzanti,
Milano 1995, p. 41: «gestire una grande banca... è un’incombenza faticosa e persino ingrata. Per lui, legato alla
cultura classica, il denaro è semplicemente un mezzo (e nemmeno troppo nobile) per realizzare delle cose».
3
“finanza bianca” del filone Sindona-Calvi, un banchiere “eretico”, alieno all’estremismo di un
principio usurario concepito come dogma: e per questo non a caso avversato – al di là di altri
scontri secondari – da Cuccia finché fu un vita; dall’ “anglo-olandese” Abn Amro, che egli
cercò di contrastare con l’operazione Antonveneto; da Il Corriere della sera, che rimarcò
l’assenza di provvedimenti contro il Direttore della Banca centrale da parte del governo
Berlusconi …
La collocazione di Mattei è dunque chiara: si ritrova contro Cuccia e le sue proiezioni
internazionali, a loro volta interne al più vasto mondo della finanza “laica” mondiale. Per lui, il
denaro non può essere obbiettivo, ma deve essere strumento per costruire il benessere del paese;
per lui la “patria” è valore positivo – se intesa dentro il quadro della democrazia internazionale
e del rifiuto del colonialismo – e non «lo lascia freddo, ciò che conta sono le classi superiori...
» come accadeva al presidente di Mediobanca 9 . Una dialettica sotterranea – quello fra
borghesia produttiva o bancario-produttiva e borghesia speculatrice parassitaria della ricchezza
reale - spesso non compresa al momento giusto né dai giornalisti – come lo stesso grande
Baldacci prima citato – né dai politici («Cuccia rassicurava l’intero arco costituzionale: gli
americani, dato il suo passato resistenzial-azionista, i comunisti che lo ritengono una “longa
manus” di Mattioli, la DC e De Gasperi, data la sua amicizia col cardinale Spellman» 10) e
tenuta nascosta fino a quando è necessario, come nel caso del conflitto Cuccia-Mattioli svelato
da Eugenio Scalfari dopo la morte del presidente della Comit nel 1973 11. Una dialettica che
sembra accomunare la fine di Mattei a quella di altre personalità del mondo economico italiano
entrate in rotta con lo “gnomo” di Mediobanca, l’alleato di Meyer e del gruppo Lazard:
«Sindona considera il presidente di Mediobanca come uno dei peggiori nemici - scrive ancora
Giancarlo Galli - … Le cronache dell’affare Sindona (a partire dagli inizi degli anni Settanta
sino alla morte, causata da una tazzina di caffè avvelenato, nel supercarcere di Voghera nel
marzo 1986) restano… tuttora avvolte in una pesante coltre di nebbia. Esattamente come era
accaduto per “l’incidente” aereo di Enrico Mattei, e come accadrà per l’impiccagione di
Roberto Calvi… Resta la considerazione che il destino ha sempre assegnato ai “grandi nemici”
di Enrico Cuccia: una tragica uscita dalla scena di questo mondo»12.
E’ questa collocazione e figura imprenditoriale di Mattei che spiega comunque il silenzio e i
travisamenti che coprono la sua opera e memoria ancora oggi. Mattei imbarazza: a destra
perché, pur difensore dell’industria privata, fu e partigiano e capitalista di stato orgoglioso di
questo suo ruolo, in anni in cui il mondo politico era rigidamente diviso fra partiti dell’arco
costituzionale e MSI, e lo “statalismo” era considerato dai conservatori un “demone” ispirato
dal PCI e dall’Unione sovietica: e a sinistra perché la sinistra di oggi – comprese le sue
appendici “radicali” – non ha nulla più dei partiti di Togliatti e Nenni, ed è alla fin fine
“centrosinistra finanziario” egemonizzato dalla grande stampa “progressista” legata agli eredi
infedeli della filosofia d’impresa di Adriano Olivetti e alla tradizione elitaristica di Enrico
Cuccia. Basta guardare a tutte le “riforme” del centrosinistra negli anni Settanta, dalle
9
Ibidem.
Ivi, pp. 60-61, tondo in evidenza, mio.
11
Mattioli muore nel luglio 1973. Ne L’Espresso del 5 agosto dello stesso anno Eugenio Scalfari scriveva: «Niente di
più lontano da lui [Mattioli] di un Cuccia, di un Rockefeller o d’un Abs [il ministro delle Finanze di Hitler] (...). Questi
uomini hanno portato nel loro mestiere un che di puritano e d’esclusivo, ...relegando al margine della loro giornata
quanto non fosse banca. Il contrario di Mattioli.. » (citato in http://www.doncurzionitoglia.com/mattiolcuccia.htm).
Cfr. anche E. Scalfari-G. Turani, Razza padrona, Feltrinelli, Milano, 1974, pp. 159 e segg..
12
Giancarlo Galli, Il Padrone dei Padroni. Enrico Cuccia, il potere di Mediobanca e il capitalismo italiano, Garzanti,
Milano 1995, pp. 125-126.
10
4
privatizzazioni messe in atto con un golpe notturno agli inizi degli anni Novanta all’aggressione
al mondo del lavoro con la legalizzazione del precariato, alla guerra di Jugoslavia.
Leggete alcuni articoli della stampa “progressista” in occasione del centenario della nascita del
fondatore dell’ENI (2006): sul versante estremistico potrete trovare la lettura di Mattei in chiave
tutta antiamericana (ma Mattei, fra i fondatori di Gladio, ebbe buoni rapporti con gran parte
dell’establishment USA, ben diverso da quello odierno), e sulla “grande stampa” troverete quasi
sempre un lavorìo ai fianchi del primo presidente e fondatore dell’ENI, dove i presunti aspetti
negativi della sua opera sono più sottolineati di quelli positivi: o dove tutto si risolve nel mistero
della sua morte, da lasciare perennemente tale, senza alcuno sforzo per mettere assieme i diversi
tasselli, incastonarli nel fenomeno più generale del terrorismo di cui l’attentato di Bascapé,
secondo una battuta di Fanfani 13, potrebbe essere stato proprio il primo capitolo,
un’anticipazione della “strategia della tensione” dilagata qualche anno dopo, dopo il ‘68.
Aprite poi – per passare a Internet - Wikipedia alla voce Mattei: troverete la sottile diffamazione
di questa intelligente enciclopedia mediatica, opera di personaggi che non possono che avere in
odio un politico-manager come il fondatore dell’ENI, amico dei paesi arabi e di Nasser. I luoghi
comuni sulla sua presunta “corruzione”, sui suoi presunti difetti e mancanze di imprenditore, sul
suo presunto “cinismo”, sul suo carattere “avventuriero”: tutti aspetti in realtà da vagliare –
nessun politico è mai un puro - e comunque smentiti da chi lo ha conosciuto direttamente, oltre
che da una vasta saggistica non adeguatamente valorizzata e dalla documentazione di archivio.
La natura di “imprenditore eretico” di Enrico Mattei, cristiano, sviluppista, alieno dalla filosofia
del “profitto per il profitto”, nemico del mitico Cuccia - a sua volta in buoni rapporti con il suo
successore Cefis - è il primo fattore che spiega, certo assieme ad altri, il suo obnubilamento da
parte del giornalismo e dell’editoria di regime: che sono quelli, essenzialmente, che
costituiscono la “forza” del centrosinistra postbipolare, un raggruppamento eterogeneo e diviso
ma senza quasi più alcuno spazio di autonomia dalla catena editoriale che lo controlla e soffoca.
Ma queste stesse caratteristiche di Mattei possono probabilmente proporne anche la
straordinaria attualità: su questi aspetti della sua figura di imprenditore – che avrebbe detto
Mattei della crisi dell’Alitalia? La risposta è per chi scrive, molto semplice: si sarebbe schierato
dalla parte dell’italianità dell’azienda – e su altre questioni assolutamente fondamentali, a
cominciare dalla politica mediorientale dell’ENI. Una politica che venne bruscamente interrotta
dopo il 1962 con l’ascesa ai vertici del palazzo dell’EUR di Eugenio Cefis, l’ex partigiano
legato ai servizi segreti inglesi dai tempi della Resistenza, firmatario dell’accordo “al ribasso”
con Israele nel dicembre del 1957 14, e che, all’oscuro del suo Presidente, aveva intessuto
attraverso l’ANIC rapporti commerciali con lo Stato ebraico, suscitando gli attacchi di tutti i
paesi arabi contro l’azienda di cui era vicepresidente: e per questo probabilmente, avendo messo
a repentaglio l’intera strategia di amicizia e collaborazione con i paesi produttori di petrolio del
Medio Oriente elaborata in dieci intensissimi anni dall’ENI, espulso da Mattei nel gennaio
1962, otto mesi prima l’attentato di Bascapé.
13
«Chissà, forse l’abbattimento dell’aereo di Mattei, più di vent’anni fa, è stato il primo gesto terroristico nel nostro
Paese, il primo atto della piaga che ci perseguita »: discorso di Fanfani al Congresso dei Partigiani Cattolici,
Salsomaggiore 1986: citato in Giorgio Galli, Enrico Mattei: petrolio e complotto italiano, Baldini Castoldi Dalai 2005.
14
Claudio Moffa, Dalla guerra di Suez all’attentato di Bascapé: l’ombra di Israele sul “caso Mattei”, in AA.VV:
Enrico Mattei. Il coraggio e la storia, a cura di Claudio Moffa, Roma 2007.
5
LA POLITICA ESTERA DELL’ENI DI MATTEI: UNA POLITICA DI PACE,
DI AMICIZIA E DI COOPERAZIONE PARITARIA CON I PAESI ARABI E
ISLAMICI.
La principale eredità positiva tramandataci da Enrico Mattei è la costruzione intelligente,
perseguita con grande tenacia e determinazione, di una vera politica di pace nel Mediterraneo e
nel Vicino-Medio Oriente grazie ad una politica di cooperazione paritaria fra l’Italia, paese
privo di risorse energetiche, e i paesi arabi e islamici della regione produttori di greggio. Il
volano economico di questa strategia alla fine anche culturale e politico-diplomatica fu la
famosa “formula” ENI, con cui Enrico Mattei riuscì ad incrinare il cartello delle mitiche Sette
sorelle insidiandone il monopolio petrolifero: una formula fondata sulla compartecipazione
attiva e non solo renditaria dei paesi produttori, e che finiva peraltro per combinare - in modo
geniale e “anticonformista” per un’epoca in cui la “patria” sembrava dovesse essere solo
appannaggio delle destre - la difesa degli interessi nazionali italiani e quella dei popoli ex
coloniali: la grande stagione cioè della decolonizzazione, sostenuta apertamente dai partiti e
dall’intellighentzia di sinistra 15.
Ecco dunque che Mattei, sostenitore attivo come Nasser del FLN algerino – non a caso un anno
prima di morire, il presidente dell’ENI aveva ricevuto una lettera minatoria firmata “OAS”
francese - si ritrovò nei fatti a fianco di un’altra grande personalità del mondo ebraico italiano
dell’epoca, il regista comunista Gillo Pontecorvo, l’ autore de La battaglia di Algeri, cultmovie
di una contestazione giovanile degli anni Sessanta e Settanta spesso incline ad un astratto e
antinazionale “internazionalismo”.
Ed ecco che Mattei fu nel decennio ENI da lui guidato, alfiere della bandiera italiana in tutti i
paesi arabi e islamici del Vicino e Medio Oriente: una bandiera sorretta però non da soldati in
divisa e armati di mitra, ma da tecnici in tuta della SNAM e dell’AGIP, invitati dai suoi discorsi
e dai filmati che egli faceva produrre a collaborare fraternamente con i colleghi arabi e iraniani
16
. Mattei patriota convinto, e convinto amico dei paesi produttori di greggio al di là del
Mediterraneo: un aspetto questo che – certo assumendo fino in fondo la diversità fra le due
epoche storiche, non ultima la crisi della centralità del Vicino-Medio Oriente come regione
petrolifera per eccellenza – dovrebbe o potrebbe far riflettere su quali siano, anche oggi, i veri
interessi nazionali dell’Italia. L’assassinio di Calipari ad opera dell’ “americano” Lozano
potrebbe essere per noi italiani la cartina di tornasole di una verità scomoda: che le guerre
posbipolari che hanno visto coinvolto il nostro esercito sono state e sono tutte “per procura”, a
difesa di interessi che peraltro – stando al monito del democratico Jim Moran 17 a Bush Junior
pochi giorni prima dell’attacco all’Iraq del 2003 - potrebbero essere neppure veramente
“americani”.
15
Ecco un discorso di Mattei sul colonialismo, dove affiora la coscienza del pericolo insito anche nel
“neocolonialismo” (per usare il termine all’epoca utilizzato fra gli altri dal presidente del Ghana Nrumah): «Bisogna
fare in modo che il colonialismo, ormai universalmente condannato, sia soltanto un triste ricordo, un triste ricordo del
passato, e non resista o cerchi di sopravvivere sotto diverse ma non meno gravose forme. Le forze dell’immobilismo
politico alleato dei privilegi economici, gridano contro lo spirito di ribellione di questi popoli e si coalizzano per
ostacolare la marcia inarrestabile verso l’indipendenza e la libertà. Non molto diverso dal colonialismo è il
paternalismo economico, meno mortificante nella forma per chi lo subisce e anche esso frutto del cieco egoismo dei più
forti verso i più deboli».
16
Vedi il cortometraggio Viaggio di Gronchi in Medio Oriente, Settimana Incom, 1957, che nella seconda parte
descrive i rapporti ENI-Egitto, con parole di chiara esaltazione fra tecnici egiziani e tecnici italiani.
17
Il congressman Moran invitò Bush jr., a meditare che la nuova avventura bellica contro l’Iraq era in realtà intrapresa
dagli Stati Uniti per conto di Israele, e non in difesa degli interessi nazionali. Per questa sua esternazione Moran venne
ovviamente accusato di “complottismo” e “antisemitismo”, e fini per offrire le sue scuse a chi lo aveva linciato.
6
Quanto appena detto, a proposito della “lezione” di Mattei per l’oggi, è sicuramente solo un
accenno generale per approfondire il quale occorrerebbero non uno ma più convegni, capaci di
vagliare accuratamente la sua esperienza umana politica e economica attraverso il filtro della
realtà internazionale attuale, una realtà complessa e diversa in tanti cruciali aspetti (dalla fine
del bipolarismo alla scomparsa della DC e dei partiti di massa italiani; dall’emergere di un
islamismo estremista e del connesso terrorismo transnazionale stragista di “Bin Laden”,
all’accresciuto potere, dopo la scomparsa del blocco sovietico, del lobbismo filoisraeliano in
Europa, negli Stati Uniti e più in generale nel mondo) da quella che vide operare il fondatore
dell’ENI.
Ma, per continuare nella descrizione di quella che è comunque l’eredità storica di Mattei,
almeno due considerazioni vanno aggiunte.
La prima è che nel perseguire la sua politica di amicizia e collaborazione con i paesi arabi,
Mattei finì per scontrarsi con l’allora ancora giovane Stato ebraico: questa è verità comprovata
da indizi, fatti e documenti 18, ma come al solito è taciuta, obnubilata, nascosta volontariamente
o ingenuamente dalla stragrande maggioranza della saggistica e pubblicistica che si sono
occupate del “caso Mattei”. Per un motivo molto chiaro, che è quello sinteticamente ma con
grande efficacia accennato nella prima pagina della Prefazione dell’ultimo libro di Ariel Toaff,
Ebraismo virtuale, lo storico ebreo già fustigato in patria per il suo Pasque di sangue. Gli
risponde un collega a cui Toaff aveva domandato perché tante “aspre reazioni” al suo libro:
“perché ti sei “impelagato” nella Shoa?”. La Shoah? fa Toaff, e che c’entra in un saggio che
tratta di una vicenda di cinque-sei secoli fa? “In un modo o nell’altro, la Shoah c’entra sempre”,
conclude il suo interlocutore 19.
E’ la sacralizzazione integralista della storia degli ebrei e di Israele – che solo oggi comincia ad
essere incrinata grazie ai coraggiosi studi di alcuni revisionisti israeliani, come Ilan Pappe – che
produce un occultamento di fatto di Israele e degli Ebrei in ogni pagina negativa della storia
recente, contemporanea o passata: come il dossier Mitrokhin ridotto alla dialettica Est/Ovest,
nonostante Scaramella e la comparsa nella lista ricattatoria di un giornalista assolutamente
liberal e puro, tutto fuorché un “agente del KGB”, ma sicuramente “colpevole” di aver criticato
duramente nel lontano 1982, l’invasione israeliana del Libano e per questo censurato per anni
dal suo stesso giornale; come tutta la strategia della tensione in Italia, ridotta sempre ai binomi
CIA/KGB, estrema destra/estrema sinistra, nonostante l’anarco kibbutzista Bartoli, il caso Argo,
le pur vagliande dichiarazioni sulla strage di Bologna del terrorista Carlos; e il sequestro Alfa
Romeo con stella “a sei punte” del “compagno Moretti”, il sequestratore del filoarabo Moro,
Curcio e Franceschini rinchiusi in carcere e infuriati per l’ “errore” .
Anche per Mattei il meccanismo narcotizzante – capace di lobotomizzare persino studiosi e
giornalisti eccellenti – è consimile: Mattei si era scontrato frontalmente con Israele nella crisi di
Suez, fino a ipotizzare nel 1957 una campagna di stampa contro lo Stato ebraico che non voleva
risarcire adeguatamente – questa almeno la sua opinione - quanto razziato nei campi di Abu
Rudeis l’anno precedente 20; era grande amico di Nasser, l’ “Hitler” del mondo arabo secondo le
accuse reiterate di Israele finchè il leader egiziano fu vivo; sosteneva attivamente una guerriglia
algerina che aveva finito per scontrarsi duramente, durante la guerra di liberazione – e questo
18
Claudio Moffa, Dalla guerra di Suez all’attentato di Bascapé: l’ombra di Israele sul “caso Mattei”, in AA.VV:
Enrico Mattei. Il coraggio e la storia, a cura di Claudio Moffa, Roma 2007.
19
Ariel Toaff, Ebraismo virtuale, Rizzoli, Milano 2008, p.9.
20
Claudio Moffa, Dalla guerra di Suez all’attentato di Bascapé: l’ombra di Israele sul “caso Mattei”, in AA.VV:
Enrico Mattei. Il coraggio e la storia, a cura di Claudio Moffa, Roma 2007.
7
spiega peraltro perché l’OAS fosse guidata da un Soustelle nettamente filoisraeliano – con la
antica comunità ebraica della colonia francese 21. Come possono perciò la sua vicenda e il suo
caso, di fronte a questi fatti, non essere vagliati anche (almeno) alla luce del cruciale conflitto
arabo-israeliano, che vedeva l’ENI sicuramente sbilanciata dalla parte dei paesi arabi, non fosse
altro perché era in quei paesi che si trovava il petrolio di cui necessitava l’Italia?
Del resto, alcune carte d’archivio dimostrano chiaramente che quella che potrebbe essere
definita “l’ultima battaglia di Mattei” fu rivolta contro una “campagna di (presunta)
diffamazione” che accusava la sua ENI di intessere rapporti commerciali con Israele. Non è
vero, risponde con tanto di certificazione autenticata dall’ambasciata della RAU a Roma, il
presidente dell’ENI, e aggiunge: “tali voci sono di natura tendenziosa … l’ENI non ha rapporti
con Israele e non intende averne sotto alcun aspetto” 22.
Ben “forte” la smentita. Invece era vero: nel dicembre 1961 Mattei fa un’inchiesta interna
all’ormai mastodontica e ramificata ENI e scopre che l’ANIC guidata da Cefis aveva
effettivamente alcuni suoi rappresentanti nello Stato ebraico. Nel gennaio 1962 Cefis viene
espulso dall’ENI, una pagina clamorosa nella storia del Palazzo dell’EUR, ma ancora oggi – a
quasi mezzo secolo dal suo accadimento!! – sottaciuta, dimenticata, al massimo mormorata a
bassa voce dagli ex collaboratori ENI ancora vivi e sulla breccia 23. A giugno Montanelli,
l’innamorato respinto di Golda Meir secondo sua tardiva confessione nella rubrica delle Lettere
del Corriere della Sera, spara i suoi servizi anti-Mattei sul quotidiano di via Solferino, pieni di
dati di prima mano fonte ENI. Il 27 ottobre successivo Bascapé: un attentato, secondo la
conclusione dell’inchiesta del pubblico ministero Calia del 2005 24.
La seconda considerazione – un insieme di fatti che di nuovo, per diventare esempio e
“lezione”, deve essere vagliato con attenzione, e filtrato nella diversità radicale fra il Medio
Oriente degli anni Cinquanta e Sessanta, proiettato nel processo di modernizzazione di una
ancora giovane decolonizzazione, e quello attuale, imbarbarito dallo “scontro di civiltà” e dalle
guerre dell’Occidente contro i suoi veri o presunti nemici – riguarda la percezione
assolutamente opposta del mondo islamico e arabo da parte di Mattei, rispetto a quella oggi
egemone nel centrodestra come nel centrosinistra (si pensi all’impatto del Corriere della sera
con la sua indicazione di voto nelle penultime elezioni a favore del centrosinistra: sull’Islam, la
sua voce è praticamente identica, e forse peggiore, di quella del centrodestra).
A parte la categoria “terrorismo” in cui oggi i soliti “grandi opinionisti” pretendono di
accomunare sia lo stragismo di Al Qaeda, sia gli atti di violenza armata compiuti da movimenti
di liberazione nazionale ancorati a territori ben circoscritti (come avrebbe potuto l’ex
partigiano Mattei accettare una simile lettura del FLN algerino, che non faceva che seguire
l’esempio, eccessi inclusi, della Resistenza europea contro il nazismo e fascismo?), il caso
principe che in qualche modo tutto comprende della “revisione” dell’Islam degli ultimi dieciventanni in Occidente è costituito – in Italia - dal libello di Oriana Fallaci diffuso in 2 milioni di
copie dal Corriere della Sera all’indomani dell’11 settembre. Un libello – La rabbia e
l’orgoglio - non solo infarcito di insulti gratuiti, non solo animato dalla convinzione che l’Islam
è il “nazifascismo” della nostra epoca, ma che a monte – scritto poco dopo il criminale attentato
delle Torri Gemelle – parte da un apriori che qualsiasi serio professionista dell’informazione
21
Claudio Moffa, Il caso Mattei e il conflitto arabo-israeliano, “Eurasia”, 4, 2007, pp. 255-269.
Claudio Moffa, Dalla guerra di Suez all’attentato di Bascapé: l’ombra di Israele sul “caso Mattei”, in AA.VV:
Enrico Mattei. Il coraggio e la storia, a cura di Claudio Moffa, Roma 2007, p. 95 ex ergo.
23
Ivi, passim.
24
Atti dell’inchiesta del Pubblico Ministero Enzo Calia, CD riprodotto su www.mastermatteimedioriente.it
22
8
(tanto più la Fallaci, attiva giornalista nell’epoca di Ho chi minh e della contestazione degli anni
Settanta, già compagna di Panagoulis, formatasi dunque in un periodo in cui era assolutamente
normale e professionale allo stesso tempo, interrogarsi sui veri autori e mandanti degli attentati
stragisti della strategia della tensione italiana e europea di allora) avrebbe dovuto verificare
ponendosi sull’11 settembre l’elementare interrogativo: davvero l’attentato alle Twin Towers è
stato compiuto da “Bin Laden” e Al Qeda? Chi è il mandante vero dell’attentato che ha
cambiato la storia del mondo, scatenando lo scontro di civiltà e producendo sconfitte a
ripetizione per il mondo arabo e islamico, a cominciare dal rovesciamento del laico Saddam
Hussein, mentre l’unico a ben sopravvivere sono stati proprio e solo “Bin Laden” e Al Qaeda?
Questa domanda banale, la Fallaci non se la pone, accetta la versione ufficiale della stampa
americana e mondiale: preferisce rivolgere immediatamente la sua “rabbia” tutta contro i
musulmani, un odio antico, di vecchia data, probabilmente incrudito dalla terribile malattia che
l’aveva colpita, come sottolineato da Giulio Andreotti all’inaugurazione del master Enrico
Mattei all’Università di Teramo il 6 febbraio 2006: stupisce perciò che il suo libello-patacca
venga riproposto come un esempio di chissà quale alta professionalità; stupisce che la Fallaci, il
cui livore antiislamico si è nutrito per una decina d’anni di quello consimile della Manhattan
ebraica – andò “esule” a New York, la snob Fallaci, disgustata dalla nostra bella Italia, nel 1990
- venga assunta dalla destra a simbolo di un Occidente ferito nella sua identità. Sicuramente
Enrico Mattei, il milazzista, fondatore di Gladio, amico dell’ex repubblichino ingegner
Zanmatti anche dopo essere stato comandante partigiano, potrebbe dare fior di lezioni a certa
destra su cosa vuol dire essere italiani ed avere orgoglio di italiani quando di parla di Islam.
MATTEI SVILUPPISTA: IMMIGRAZIONE E NUCLEARE
Infine, due altri aspetti importanti da prendere in considerazione quando si parla di eredità di
Mattei: il primo è la questione immigrazione. Solo per ricordare che – parlando all’epoca
ovviamente dell’emigrazione italiana – Mattei collegava i flussi migratori ai grandi processi
strutturali dell’economia, rifuggendo dunque da ogni approccio immediatistico e “caritatevole”:
il suo appello augurio agli emigranti siciliani a tornare in patria, fatto in un comizio poco prima
di morire, aveva alle spalle la forza strutturale del progetto di Gela, fonte di ricchezza e di
occupazione per l’intera isola. Questo aneddoto va a ricongiungersi alla sua strategia generale
nei confronti dei paesi emergenti: il problema di fondo per colpire oggi alla radice il fenomeno
immigratorio in Italia è paradossalmente, nonostante la diversità di epoche, quello individuato e
affrontato da Mattei 40 anni fa. Da una parte cioè lo sviluppo di una cooperazione
internazionale con i paesi emergenti in grado di favorirne la crescita economica, e dall’altra
una politica di pace. Due banali considerazioni 25 che sembrano di difficile acquisizione oggi da
parte del ceto politico italiano alle prese con il drammatico fenomeno immigratorio, diviso, il
ceto politico, fra un buonismo irrazionale e autolesionista sulle ondate di disperati che si
riversano – manovrate o no da più o meno oscuri disegni strategici di destabilizzazione
dell’Italia e dell’Europa - e una accettazione passiva delle guerre illegittime cui hanno
partecipato e partecipano anche i nostri soldati, sicuramente responsabili, i conflitti,
25
Cfr. Claudio Moffa, La favola multietnica. Per una critica della sociologia dell’immigrazione “facile”, Harmattan,
Torino, 2002. Il volumetto non nasce e non contiene alcuna riflessione su Mattei, ma raccoglie i frutti di un’esperienza
come direttore internazionale di un Osservatorio contro le Discriminazioni Etniche e di Genere, progetto Commissione
Europea, Università di Teramo; e di membro del Comitato Scientifico di Intemigra, progetto interregionale e
internazionale finanziato dalla Regione Abruzzo.
9
dell’aggravamento e aumento negli ultimi 15 anni – dai Balcani e dal Curdistan – dei flussi
immigratori clandestini verso l’Italia.
Il secondo aspetto è l’opzione e intuizione nucleare di Mattei: una pagina tutta da vagliare, ma
che ancora una volta pone all’avanguardia il presidente dell’ENI nella lotta per lo sviluppo del
nostro paese. I problemi di cui si discute oggi, con una Francia che dispone da tempo di centrali
nucleari capaci di esportare nel nostro paese energia elettrica – e che per la vicinanza geografica
potrebbero costituire un pericolo anche oltralpe in caso di incidente – mentre noi italiani ne
siamo invece privi, erano già stati avviati a potenziale soluzione con la centrale di Latina da
Enrico Mattei agli inizi degli anni Sessanta. Il filmato che la riguarda, Taccuino di una centrale
è indubbiamente didascalico e allo stesso tempo obsoleto quanto alle tecniche di produzione di
energia nucleare arricchito che propone; e tuttavia esso – con le sue immagini di laboratori di
controllo puntellati da tecnici in camice bianco che ricordano certi coevi, avveniristici films del
primo James Bond – costituisce una rappresentazione perfetta dello sviluppismo e della fiducia
nel progresso tecnologico che caratterizzava Mattei. Una filosofia di vita che poneva al centro,
come già detto, l’uomo, ma un uomo eticamente impegnato a crescere e a migliorare le proprie
condizioni di vita grazie all’utilizzo di grandi macchine e di grandi opere. Mattei come Marx,
Stalin e forse Mussolini, o come il Gheddafi dell’acquedotto di Sirte. Un collaboratore che lo
aveva accompagnato in Egitto in uno dei suoi tanti viaggi, raccontava che il presidente dell’ENI
a un certo punto avrebbe voluto finanziare la diga di Assuan per incunearsi nella concorrenza
fra USA e URSS nello scacchiere egiziano, e che solo dopo aver fatto un calcolo
approssimativo, aveva capito di non potercela fare.
Al di là della mancata realizzazione di questa idea, questa era comunque la visione del mondo e
dell’economia di Mattei. Una filosofia oggi sicuramente da filtrare attraverso i complessi
problemi posti dal tema ambiente negli ultimi decenni, ma da assumere anche ponendosi alcuni
interrogativi di fondo che riguardano proprio la presunta positività dell’ecologismo occidentale,
almeno nelle sue varianti più estreme: veramente è corretta un’idea della cooperazione
internazionale fondata sull’esaltazione dei microinterventi e sul rifiuto delle grandi opere
strutturali: tipico esempio, i pozzi per l’acqua anziché la grande diga per dirottare le acque verso
le aree meno fertili o semidesertiche? Oppure: veramente è da criticare la diga di Assuan –
come capitò a chi scrive di ascoltare da un “rosso-verde” in una sezione del PCI romano alla
fine degli anni Ottanta – perché avrebbe avuto effetti negativi, avendo provocato notevoli
mutamenti ecosistemici e climatici? Non è questa una visione tutta eurocentrica e neo
colonialista del problema ambiente, che non considera ad esempio – nel caso specifico – che
grazie alla diga di Assuan, l’Egitto della riforma agraria nasseriana riuscì a triplicare il proprio
prodotto agricolo e a costruire dunque benessere per il popolo egiziano?
Così Mattei getta un bel sasso nello stagno di certa pigrizia mentale “occidentocentrica”: fra
l’altro ponendo anche la questione, vista la fine combattuta e “violenta” del suo progetto – lo
scandalo Ippolito, 1963-64, pose fine ai progetti nucleari di Latina e Garigliano – del possibile
uso politico dell’ecologismo e della filosofia del “piccolo è bello” a fini di “guerra economica”
e di strategia pauperista planetaria tipica di certa grande finanza transnazionale: una attività
peculiare dell’homo economicus che, vivendo di speculazione pura nel cielo delle Borse e di
Internet, aborrendo tutto quel è produzione di ricchezza materiale, non sporcandosi le mani con
lo sfruttamento operaio e con l’inquinamento ambientale, può anche presentarsi come “di
sinistra”. Sarà stato il 2002 e 2003 quando un ministro italiano – forse Martino – notò
puntigliosamente che fra i sostenitori dei no-global c’era anche un famoso banchiere inglese, a
suggerimento di come certa generosa contestazione potesse essere strumentalizzata da disegni
10
altri che quelli ingenuamente perseguiti da quel movimento giovanile: quel banchiere firmò un
articolo persino su una pubblicazione del Campo antimperialista.
Simili considerazioni, dagli Stati Uniti, ha più volte fatto il senatore Lindon LaRouche a
proposito del progetto Transparency International, una associazione transnazionale giuridicoeconomica sostenitrice di una sorta di Tangentopoli planetaria, che infatti si batte contro la
corruzione “in tutto il mondo”: finendo però alla fine per privilegiare – questa la tesi di
Larouche – la lotta “anti-corruzione” proprio contro le grandi opere di sviluppo dei paesi
emergenti, quelle necessarie alla loro fuoriuscita dalla fame e dalla miseria 26.
Così la grande finanza transnazionale, ricca di capitali che non dovendo essere impiegati nel
marxiano ciclo produttivo possono ben finanziare mass media in tutto il mondo, e guerriglie
criminali in Cecenia, Kosovo, Kurdistan, “fa” - magari sfruttando pro domo sua certa ingenuità
movimentista “anticapitalista” e “antiimperialista”, e certo rigore moralistico adeguatamente
incanalato - “la storia” del mondo.
Anche Mattei ha fatto la storia del mondo, e dell’Italia, facendola fuoriuscire da uno stato di
provincialismo e di paurosa arretratezza economica quale illustrata da certe immagini
sconvolgenti del film – voluto da Mattei stesso – l’Italia non è un paese povero di Joris Ivens, il
regista di Mao. Ma la sua opera restò incompleta, con danno per l’Italia, per i paesi arabi e per
la pace in Medio Oriente: restò infatti ucciso in quello che ormai è accertato essere stato un
attentato al suo aereo, precipitato il 27 ottobre 1962 a Bascapé-Pavia, per lo scoppio di un
esplosivo collegato al meccanismo di apertura del carrello di atterraggio.
Claudio Moffa
www.mastermatteimedioriente.it
26
Vedi il sito www.movisol.org
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L`ATTUALITA` DI MATTEI